Saturday 2 February 2019

AUGURI DI LOSAR CAPODANNO TIBETANO 2146

བོད་ལོ་ ༢༡༤༦ གསར་ཚེས་ཀྱི་དགའ་སྟོན་དུ་བཀྲིས་བདེ་ལེགས་ཞུ།
AUGURI DI 
FELICE LOSAR CAPODANNO TIBETANO 2146

Martedi 5, Febbraio 2019


Monday 28 January 2019

CONVERSAZIONE SU RAIMON PANIKKAR


CONVERSAZIONE SU RAIMON PANIKKAR 
Lessolo (TO)
26 gennaioi 2019
di
Renata Simonotti
***
                                       



Biografia

3 novembre 1918 nascita a Barcelona da madre catalana e padre indiano. Nella sua lunga vita imparerà e utilizzerà indifferentemente, sia verbalmente che negli scritti, più di una decina di lingue antiche e moderne.

1935 si diplomò presso i gesuiti di Barcelona, ma nel 1936 allo scoppio della guerra civile spagnola la famiglia Panikkar avendo ricevuto concrete minacce di morte trovò, grazie alla cittadinanza britannica del padre, rifugio su una nave da guerra inglese ancorata nel porto di Barcelona. Raggiunsero Marsiglia e poi la Germania dove si stabilirono in quanto il padre vi aveva rapporti commerciali. I ragazzi continuarono gli studi in questo paese, ma la madre decise di tornare in Spagna con il marito che doveva salvare la fabbrica per poter mantenere la famiglia. Raimon, iscritto alle facoltà di scienze e lettere, rientrerà in Spagna in bicicletta nel 1939 e concluderà gli studi laureandosi in lettere all’università di Madrid e in scienze in quella di Barcelona, ottenendo poi nel 1946 il dottorato in lettere e filosofia con la tesi El concepto de la naturaleza”, tema che approfondirà per tutta la vita elaborando il concetto di unità tra Cosmo - Dio e Uomo che lui definirà “Trinità cosmoteandrica” Scriverà moltissimo e insegnerà in varie università in Europa, negli Stati Uniti e a Varanasi in India.

 1940 L’educazione cattolica ricevuta dalla madre lo porterà ad approfondire il cristianesimo e ad amare profondamente Gesù Cristo, in tale contesto incontrò il primo nucleo di fedeli laici dell’Opus Dei, ne diventò membro nel 1946 accettandone pienamente la rigorosità con fortissimo senso dell’obbedienza. Su suggerimento di Escrivà de Balanguer decise di ricevere l’ordinazione sacerdotale, malgrado il parere contrario dei genitori che in quel momento avevano assoluto bisogno della sua presenza in fabbrica per sostituire momentaneamente il padre colpito da ictus. Raimon chiese l’autorizzazione di recarsi al capezzale del padre gravemente ammalato e di potersi assentare per un breve periodo per aiutare la famiglia, ma i superiori furono irremovibili nel negare il permesso. Con una ferita sanguinante e mai sopita che lo segnò per tutta l’esistenza, di fronte all’imposizione dell’Opus Dei di dover scegliere tra l’amore per la famiglia e l’obbedienza all’organizzazione, lui scelse la seconda, ma ancora negli ultimi mesi della sua vita, ricordando questo fatto, scoppiava in un pianto irrefrenabile, in fondo non si perdonò mai. La sua ordinazione creò una frattura profonda con la famiglia, superata poi negli anni in una tacita riappacificazione. La notizia della morte del padre nel 1954 lo raggiunse a Roma dove si trovava presso l’Opus Dei per completare gli studi e conseguire la laurea in teologia presso l’Università Lateranense.
Il suo rapporto con l’Opus Dei fu sempre conflittuale soprattutto a causa delle  continue pressioni finalizzate ad annientare la sua libertà di pensiero e della volontà fino  a quando, nel 1965, venne espulso dall’organizzazione che lo considerava elemento di disturbo.
Fu attivissimo e partecipe durante il concilio Vaticano II ed ebbe una stretta collaborazione con i teologi Hans Küng, Karl Rhaner e Yves Congar.

  Decise così di ritornare in India dove all’età di 36 anni era già stato per la prima volta come professore e prete e aveva potuto approfondire l’induismo, la religione paterna, che ora aveva la possibilità di vivere intensamente in tutte le sue dimensioni. La seconda permanenza in India lo impegnò come ricercatore presso l’università di Varanasi e Mysore e qui dedicò molto tempo alla preghiera e alla meditazione. L’approfondimento dell’induismo e l’incontro con il buddhismo saranno per lui fondamentali, infatti il suo essere nella spiritualità sarà da lui così definito: “Sono partito cattolico, mi sono scoperto induista, ritorno buddhista, senza cessare per questo di essere cristiano”. Panikkar affermò sempre la sua fedeltà al sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedek, cioè nel senso universale del termine e al Cristo che scoprirà, in questo suo cammino spirituale, in una dimensione ben più profonda e completa.

In India incontrò monaci cristiani e in particolare sviluppò un rapporto di profonda amicizia fraterna con il monaco benedettino francese Henry le Saux e lavorò proficuamente anche con il XIV Dalai Lama per l’approfondimento della mistica Buddhista.

  All’inizio degli anni 80 rientrò in Spagna, in Cataluña stabilendosi a Tavertet immerso in una meravigliosa natura silente e immensamente eloquente. Qui continuò a scrivere e a incontrare persone, ma viaggiò anche moltissimo per tenere seminari, corsi e conferenze.

  Nel 1982 in una riunione di teologi incontrò la filosofa, scrittrice e teologa spagnola Maria Gonzalez Haba con cui si sposò poi il 6 dicembre 1984. Questo fu un matrimonio molto serio e profondo, soprattutto voluto come monito per la chiesa sulla necessità di rivedere il celibato sacerdotale. Maria, per evitare ogni fraintendimento, non dormiva nella stessa casa di Panikkar e la sera si trasferiva in un edificio della Fondazione Vivarium. Contro Panikkar, conosciuto e apprezzato da troppi, il Vaticano non osò più di tanto, invece nei confronti di Maria l’atteggiamento fu di profondo disprezzo e condanna, non la nominarono mai per nome, ma solo come “una donna nella vita di un presbitero” (in quel “donna” si intendeva prostituta) la persecuzione e la denigrazione fu capillare e sistematica, perpetrata dal suo maggiore inquisitore, il vescovo Guiz.  Panikkar in seguito si dichiarò pentito di questo gesto emblematico, il matrimonio, e non perché lo disconoscesse, bensì per il dolore che aveva causato a Maria. Panikkar e Maria, adottarono anche due orfanelli indiani, Marion e Giuseppe.

  Il 26 agosto 2010 Panikkar morì nella sua casa di Tavertet pienamente consapevole e sereno, con gli ultimi messaggi d’amore per tutti. La moglie non era con lui in quegli ultimi giorni perché ricoverata in una struttura in quanto da tempo affetta da Alzheimer, ma sarà comunque presente al suo funerale.
In verità Panikkar ebbe tre funerali:
il 28 agosto 2010 parte delle sue ceneri venne seppellita nel piccolo parco a fianco della chiesa di Tavertet;
il 3 settembre 2010 vi è la cerimonia ufficiale nel monastero di Montserrat;
 l’8 gennaio 2011 si celebrò l’ultimo funerale secondo il rito hindù della “Immersione delle ossa” in cui le ceneri sono disperse nel Gange.

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Personalità

Panikkar era persona di rara intelligenza e grandissima sensibilità, laureato in lettere, filosofia, teologia e chimica, cresciuto in una famiglia davvero speciale, poiché già il matrimonio dei genitori, di diverse culture e rispettive religioni, era cosa quasi impensabile nella Spagna ipercattolica di allora. La madre, Carmen Alemany, persona energica, profondamente cristiana, spesso redarguiva eminenti rappresentanti del clero per l’abuso di potere ed eventuali errori nella gestione religiosa e non accettò mai la loro pressione di dover far convertire il marito induista. Il padre, Raimuni, che aveva studiato in Inghilterra, si stabilì a Barcelona  divenendo rappresentante di una società chimica tedesca e in seguito titolare di una propria impresa. I due coniugi vivevano in perfetta armonia con grande rispetto delle rispettive peculiarità culturali e religiose ed ebbero 4 figli, due maschi e due femmine Raimon era il maggiore.

Cresciuto in questo clima così fecondo spiritualmente e intellettualmente Raimon affermò sempre: “Non mi considero mezzo spagnolo e mezzo indiano, mezzo cattolico e mezzo indù, ma totalmente occidentale e totalmente orientale”.

Raimon conosceva perfettamente le moderne lingue europee, l’indi le lingue antiche, latino, greco e sanscrito, per tutta la vita non smise mai di studiare, ricercare, comparare le diverse tradizioni e su questo elaborò il suo pensiero.

L’esperienza conflittuale e dolorosa nell’Opus Dei gli diede consapevolezza di una sua debolezza caratteriale o incapacità di reagire con immediatezza e sicurezza a situazioni che la sua intelligenza gli mostrava chiaramente come errate. Questa presa di coscienza dei propri limiti lo rese implacabilmente critico nei confronti di se stesso e gli permise di superare le titubanze grazie all’impegno sempre più radicale nell’ininterrotta ricerca spirituale, non dava mai nulla per acquisito una volta per tutte, ma aperto all’indispensabile e costante evoluzione.

Se alcune incertezze permanevano nella sua vita personale come ferite aperte, non limitarono mai la sua rigorosità scientifica in costante evoluzione spirituale che si dilatò completamente nella scoperta della grandezza delle religioni orientali, taoismo, induismo e buddhismo e nel confronto con altri esseri spirituali di diverse tradizioni e la sua fede cristiana, ben lungi dall’esserne intaccata, ne fu al contrario purificata, integrata, compresa, amata e rafforzata in modo esponenziale.

Importantissimo per lui fu l’incontro e la condivisione di vita per lungo tempo, in India, con il monaco benedettino Hernry Le Saux (Swami Abhishikananda - 1910 -1970) fondatore dell’ashram Saccidananda che, al contrario di Panikkar che viveva tutto pacificamente in un senso di profonda unificazione, era costantemente tormentato dalla consapevolezza di non poter più accettare il cattolicesimo convenzionale carico di rigidità e dogmi non più condivisibili, fardelli a lui ormai completamente estranei, mentre si trovava sempre più in sintonia nella profonda libertà incontrata nell’induismo, e questo tormento interiore e scarnificante lo accompagnò fino alla morte. I due amici passarono giorni e giorni ad analizzare la profondità delle diverse espressioni spirituali, traendone crescita e giovamento reciproci.

L’esperienza della meditazione silenziosa, così naturale nella spiritualità orientale divenne fondamentale prassi nella vita di Panikkar senza nulla togliere alla sua realtà non solo di cristiano, ma di sacerdote, realtà che mantenne vivissima sino all’ultimo giorno, e proprio in questa ricerca cresceva in lui la coscienza della irrinunciabile necessità di una revisione radicale degli schemi della chiesa romana.

Panikkar era un mistico e per questo ne studiava l’espressione nelle diverse culture, egli sosteneva che i dogmi, in qualsiasi religione, hanno il compito di orientare il credente verso la sorgente divina, ma devono fermarsi li, perché se vengono confusi con la sorgente stessa possono oscurarla completamente.

Panikkar scrisse moltissimo, ma lui ci teneva ad affermare: “Il mio libro è quello della mia vita e non quello dei miei scritti.”

***

Alcuni fondamenti del suo Pensiero

Panikkar nell’esprimere il suo pensiero spesso, come amava dire ridendo, coniava nuove “parolacce” che potessero contenere una complessità più realistica rispetto a quella comunemente intesa.

Il suo pensiero si articola intorno alla visione mistica dell’esistenza e include la religiosità profonda presente in tutte le tradizioni spirituali, ma mette in guardia dai falsi condizionamenti di una religiosità che lega invece di liberare lo spirito umano, ed era fermamente convinto della pericolosità di tale rigidità, egli affermava che le religioni così stereotipate avevano completamente fallito e tradito il loro più autentico significato e che vi era dunque la necessità di una loro profonda e totale trasformazione che lui definiva metanoia radicale.

La metanoia implica la trasformazione, il radicale cambiamento dal cristianesimo (limitante etichetta) alla “cristiania” (essere in, vivere il Cristo) e ciò può avvenire soltanto partendo dalla presa di coscienza che il cristianesimo è una religione fra le altre. In uno dei suoi libri più importanti: “Il Cristo sconosciuto dell’induismo” spiega come il Cristo non si esaurisca con Gesù di Nazareth, ma sia presente in ogni autentica tradizione religiosa, seppur con vesti diverse. Panikkar dice: Nel terzo millennio al cristiano sarà riservato il compito di superare la cristologia tribale con una cristofania che permetta ai cristiani di vedere l’opera di Cristo nella sua completezza” e aggiunge: “Nella Trinità si realizza un vero incontro delle religioni.”

A me pare che il centro del pensiero di Panikkar si sia poi ampliamente sviluppato dettagliatamente in moltissimi aspetti importanti, e qui ne vedremo solo quelli di base derivanti dall’osservazione della realtà costituita da due elementi tra loro inscindibili: La visione della TRINITA’ e la visione COSMOTEANDRICA”, concetto complesso e articolato che esprime la sua idea filosofico-teologica che unisce in imprescindibile correlazione armonica l’Assoluto (Teo) con il mondo (cosmo) e con l’uomo (andria).

L’intuizione cosmoteandrica va al di là delle varie etichette che vogliono definire e limitare le spiritualità, cristiana, buddhista, induista, atea, panteista o altro, non è in alcun modo confessionale, ma può essere considerata il fondamento di ogni spiritualità umana “incarnata - in relazione trascendentale”, è Vita nell’armonia e pervade tutta la realtà.

Tutto è vivo, tutto è animato nel senso di avere un’anima, anche la materia è viva e deve essere vista come soggetto e non come oggetto e ciò porta a inevitabili conseguenze di ordine economico, politico e religioso. Panikkar richiama alla necessità di calarsi nell’ecosofia che è la saggezza della terra in quanto soggetto e di cui l’uomo ne è l’interprete.

Dice Panikkar che noi ci accostiamo al problema del mondo umano, animale e vegetale secondo la concezione romana del diritto, mentre invece dovremmo avere un approccio assai più completo fondato sull’analisi dell’ordine intrinseco naturale della realtà. Infrangere tale ordine non à ledere un diritto, quanto ferire un soggetto, la natura, e nella visione cosmoteandrica, diveniamo consapevoli del fatto che ferire l’anima mundi è creare disarmonia nell’intera realtà, è ferire la vita del mondo.
Tutto è animato, persino le pietre hanno una vita propria che noi chiamiamo, non anima, ma energia, e tutto è nella condizione armonica della realtà. In questa armonia cosmica c’è il senso delle parole del Figlio: “Io sono la Via, la Verità, la Vita”

La spiritualità cosmoteandrica non nega affatto la visione mistica che le varie religioni esprimono, anzi la vive nel riconoscimento dell’esperienza della vita nella sua universalità, non è una linea retta che parte da un punto per giungere ad un altro, è un cerchio in cui l’inscindibile relazione del Tutto è vita.

Nell’epoca moderna, così tecnocratica, non si considera minimamente l’ecosofia indispensabile alla vita stessa, si galleggia in un fango disarmonico prodotto dalla negazione dell’anima mundi, dall’indifferenza al dinamismo della vita, al cosmo considerato soltanto come oggetto inerte di proprietà individuale, con un’attitudine mentale che porta all’inevitabile distruzione della terra, non più considerata madre, la pachamama, ma solo come cosa da sfruttare, inaridire, sino a renderla irrimediabilmente sterile; e con assoluta cecità e rinuncia umana siamo altrettanto indifferenti all’uomo, sempre più ripiegato su se stesso, chiuso nel proprio mondo virtuale eccessivamente tecnologico, senza più alcuna vera relazione con gli altri; e a Dio ridotto a idolo, al tappabuchi capriccioso e umorale di cui parlava già Dietrich Bonhoeffer, al deus di Mancuso, inutile e fuorviante senza alcuna relazione con il mondo.

Panikkar ribadisce con forza il nostro essere pellegrini sulla terra, non suoi padroni o turisti superficiali e dice che oggi la nostra ininterrotta preghiera universale in questa consapevole ecosofia dovrebbe essere: Terra, abbi pietà di noi.”

La visione cosmoteandrica nasce dall’approfondimento radicale della Visione Trinitaria che non è assolutamente prerogativa del cristianesimo, ma è pienamente presente in ogni spiritualità, è universale.

In una concreta ricerca spirituale l’umanità, nel tentativo di comprendere se stessa e il cosmo, ha sviluppato tre grandi visioni: la visone monista, la visione pluralista o meglio dualista, e la visione a-dualista, a-dvaita.

Volendo definire la realtà soltanto secondo la ragione si giunge alla conclusione che è vero solo ciò che può essere dimostrato, in qualche modo codificato e tutto si riduce a un’unica manifestazione, monismo, e quindi in ultima analisi, tutto è rigidamente stabilito e senza alcuna possibilità di dubbio o discussione, Dio, o Essere, o Spirito, o Materia, o Energia, o Nulla. In nome della ragione, eletta come unico idolo, si giustificano guerre, leggi di mercato inique, ingiustizie sociali e “effetti collaterali” devastanti, distruzione sistematica dell’ambiente del pianeta e della vita.

E se, con maggior apertura mentale alla visione razionale così rigida si aggiunge buon senso o intuizione, si può elaborare un’osservazione più elastica, un pluralismo filosofico che però divide nettamente ogni fenomeno in due poli distinti: positivo - negativo, bello - brutto, bene - male, guerra - pace, materia - spirito, incasellando rigidamente ogni realtà in un dualismo metafisico, altrettanto limitato.

Sia il monismo razionale che privilegia l’essere statico, immutabile, assoluto, indiscutibile, che il dualismo più dinamico, volto al mutare delle cose, al cambiamento, al provvisorio, ma sempre in una distinzione che resta ben definita in due parti contrapposte, non lasciano alcuno spazio all’irrazionale, a ciò che non possa essere razionalmente incasellato secondo le regole del pensiero sviluppato in occidente che, ponendo l’uomo al centro dell’universo, deve avere il controllo su tutto.

Vi è dunque una terza via, una saggezza dell’esistere che non trova spazio in nessuna di queste due posizioni che purtroppo spesso hanno generato le folli scelte attuate per il “bene” di non si sa chi. Per comprendere questa via è necessario aprire la mente e il cuore, non essere attaccati a concetti rigidamente acquisiti come verità assolute nella nostra formazione culturale e scoprire così che non esiste un’unica verità superiore alle altre, ma vi sono diverse cosmovisioni che hanno ipotizzato una via d’uscita al dilemma tra monismo e dualismo, e questa è la concezione a-dualista, o a-dvaita.
L’a-dvaita è ininterrotta, paritaria e vera relazione tra Dio uomo e cosmo, non può essere accettata solo dalla ragione, richiede contemporaneamente anche la presenza autentica dell’amore, non inteso come sentimento, ma come apertura al reale cambiamento di sé, è uscire dall’ego per poter accogliere altro da sé.

Il bisogno umano di Verità e di Bene può essere compreso consapevolmente soltanto nell’inscindibile unione di Conoscenza e Amore. La spiritualità autentica infatti non può essere imposta per ordine o per legge, ma può solo fiorire spontaneamente e liberamente nelle profondità del nostro essere.
Nella tradizione occidentale fortemente dualista si è potenziato al massimo anche in ambito religioso l’individualismo che si pone come obiettivo finale quello di salvare la propria anima per ottenere il premio futuro ed evitare la punizione, ma questo è un grandissimo limite perché le azioni veramente umane si compiono per se stesse e non in vista di un fine estrinseco. Superare questo limite significa spalancarsi al autentico, che va ben oltre l’inevitabile, pur necessario e onnipresente ego.

Questa è la sfida della visione Cosmoteandrica che non vede la realtà come unico blocco, sia esso spirituale o materiale, né da tre blocchi distinti: il mondo Divino o della Trascendenza; il mondo degli uomini o della Coscienza; e il mondo fisico o della materia. La realtà è costituita da tre dimensioni inscindibilmente relazionate tra loro e interdipendenti.

Dio, il Mondo e l’Uomo presi separatamente non sono altro che astrazioni della nostra mente.
Nella nostra cultura è fortissima la concezione personalistica di Dio e ciò comporta inevitabilmente la sua elezione a idolo a cui attribuiamo tutte le emozioni e prerogative umane, questo Dio a cui rivolgiamo richieste, implorazioni e a cui lui risponde capricciosamente, concedendo bene ad alcuni e ad altri no, che pare giocare a birilli con le vite dei singoli, non può che essere una proiezione contorta delle aspettative umane, è dunque necessario trasformare radicalmente la concezione di Dio e Panikkar trova lo spazio necessario per elaborare e ampliare la visione della realtà secondo le intuizioni dell’induismo, nelle Upaniśad, in cui l’atteggiamento religioso non è fondato sulla fede in un Dio-Tu, né in un Dio-volontà sovrana, ma sull’esperienza soprarazionale di una “Realtà”completa nella sua essenza profonda. Il “Dio delle Upaniśad” non parla, non è Parola, ispira è Spirito. Non risponde a schemi personalistici e le sue categorie basilari si fondano sulla consapevole “conoscenza e ignoranza”.

Nelle religioni si parla di un Dio trascendente e un Dio immanente intendendo concetti che in una visione superficiale paiono contrapposti, identifichiamo istantaneamente il Dio trascendente come colui che dall’alto convoca, ordina, dirige, mentre collochiamo il Dio immanente dentro di noi, così abbiamo due Dio, uno esteriore e uno interiore e tutto è concepito in funzione di questo uomo posto al centro di tutto; al di sopra vi è la trascendenza, al di sotto l’immanenza, ma, dice Panikkar,  questa concezione non corrisponde affatto all’esperienza mistica autentica.

La trascendenza divina non può rivelarsi né incarnarsi, perché in questo modo cesserebbe di essere trascendenza e l’immanenza divina non è una trascendenza negativa, non è nemmeno una passiva inabitazione divina nelle profondità dell’anima. E’ essenzialmente l’interiorità ultima di ogni essere, il Principio supremo, il fondamento dell’Essere e degli esseri.

Immanenza e trascendenza divina per manifestarsi devono essere presenti in unità trinitaria, non sono separati né separabili, sono come due archi che incontrandosi si legano formando un ininterrotto cerchio. L’immanenza divina è fondata sulla trascendenza divina e viceversa.

Qualsiasi tentativo di concettualizzare Dio è inutile e falso, la preghiera autentica è di colui che non ha coscienza né di chi prega né della preghiera stessa, solo l’atteggiamento che in nessun modo si rivolge a se stesso consente di entrare in comunione con il fondamento ultimo di tutte le cose.
Una spiritualità puramente immanente sarebbe ancor più falsa di una fondata univocamente su un Dio trascendente, altro da sé. Monismo e dualismo sono ugualmente limitanti e quindi falsi e per questo nelle Upaniśad si indica una terza via, l’a-dvaita in cui l’Assoluto è contemporaneamente trascendente e immanente, è tutto in Uno, in tale ottica si sviluppa un’altra facoltà detta anubhava, esperienza, intuizione, grazia, fede, dono, rivelazione, il terzo occhio. Continua Panikkar: Quando si è visto, si è sentito, si è sperimentato che Dio sta in tutto, che tutto sta in Dio e che, nonostante ciò, Dio non è niente di quello che è…allora si è vicini alla realizzazione, all’autentica esperienza a-dvaita che, come ogni vera esperienza, non può venire comunicata, né espressa per mezzo di parole, concetti o pensieri”.

La visione cosmoteandrica non è mai dualistica ed è imprescindibile dall’interconnessione e interrelazione nell’armonia del Tutto, è fusione nell’Uno, è questa la visione mistica di Panikkar del mistero trinitario, che non è limitato alla tradizione cristiana, ma è realtà in tutte le tradizioni religiose dell’umanità, scrive Panikkar: “E’ una delle visioni più profonde e più universali che l’uomo può avere di sé stesso, di Dio, della creazione e del creatore. Non è solo uno dei problemi teoricamente più importanti, ma è anche uno degli interrogativi praticamente più urgenti. Rappresenta una delle istanze basilari alla radice della nostra situazione umana, in stretto rapporto con l’esigenza di una società più giusta e di una personalità più integrata”. 

La Trinità non si riferisce a tre sostanze diverse, a tre Dio, ma è pura relazione fra le tre dimensioni costitutive della realtà: quella umana, quella cosmica e quella divina.
La realtà del Cristo è presente in tutte le religioni, è l’Unto di cui i cristiani non hanno il monopolio. Il Cristo è il mediatore tra creato e increato, relativo e assoluto, temporale ed eterno, terra e cielo, è il sacerdote cosmico, l’Unzione per eccellenza. È il mediatore che altre religioni chiamano Iśvara, Tathāgata e altri nomi ancora.

La Trinità è il punto di incontro della spiritualità di tutte le religioni, e non è un tri-teismo, le tre persone sono uguali perché sono Dio. 
Il Padre è l’Assoluto, il senza nome, l’Uno, colui che non può essere visto, né definito in alcun modo, è il Santo, la santità e Dio stesso.
Il Figlio è il mediatore, il sommo sacerdote della creazione, della redenzione e della trasformazione del mondo e gli esseri, in quanto da, con e attraverso il Figlio sono una cristofania, una manifestazione del Cristo. L’antropocentrismo è una visione errata in quanto dimentica il divino e non può giungere al più vero cosmoteandrismo, cioè pienamente cosmico, divino e umano insieme, e questa è la meta di ogni religione.
Lo Spirito si rivela nella Trinità che è il mistero reale dell’Unità. Dice Panikkar: “Non si possono avere «relazioni personali» con lo Spirito. Non si può pregare lo Spirito come se fosse un oggetto isolato della nostra preghiera. Si può solo avere un’unione non relazionale con lui. Si può pregare nello Spirito, rivolgendosi al Padre per mezzo del Figlio. E’ piuttosto lo Spirito che prega per noi. La contemplazione nello Spirito non ha contenuto intellettuale”.
E continua:
“La spiritualità dello Spirito è del tutto differente da quella del Verbo. Né con la parola né con l’azione si raggiunge lo Spirito. La fede nello Spirito non può essere rivestita di strutture personalistiche e non può essere formulata, è anche silenzio”.

La contemplazione è esperienza, non esperimento, ci fa scoprire il senso pieno della vita che è la vita stessa.

Un esempio fortissimo e concreto di contemplazione nello Spirito, consumata nella notte oscura necessaria per potersi spogliare totalmente dell’ego, ci è offerto dai santi mistici Teresa D’Avila, Giovanni della Croce e da Chiara e Francesco d’Assisi.

Vivere la vita secondo lo Spirito è la condizione ascetica in un’esistenza autentica e deve essere integrata in perfetto equilibrio con la spiritualità del Verbo incarnato a completamento dell’esistenza umana temporale. E’ lo Spirito che ci fa comprendere la parola, il senso delle scritture, perché la realtà trinitaria deve essere vissuta come esperienza di fede prima di poter essere formulata come dottrina.

La spiritualità cosmoteandrica è trinitaria e in questo senso l’immanenza divina non significa panteismo, non si afferma che tutto sia Dio, ma che tutto è anche divino. Dio, Uomo e Mondo non sono né tre né uno, sono dimensioni costitutive della realtà. Questa è la concezione che Panikkar chiama PANENTEISMO, visione condivisa sempre più nella teologia moderna e ripresa anche da Vito Mancuso nel suo libro “Dio e il suo destino”.

Il Panenteismo esprime la sua visione di Dio, non è panteismo, ma nemmeno pura trascendenza, lui dice: “Dio è come una sfera il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo”  Dio è amore e l’amore è Dio, Dio è relazione, non sostanza, è il polo della relazione di cui noi siamo l’altro polo e questa relazione può esistere in un'unica realtà non dualistica (a-dvaita).

Per Panikkar è fondamentale questa visione a-duale (cioè non due) di Dio, derivante dall’induismo. “La divinità non è individualmente separata  dal resto della realtà e non è completamente identica a se stessa come avviene nel dualismo e nel  monismo”. La visione nell’a-dvaita introduce all’esperienza suprema della non separabilità tra se stesso (ātman) e Dio (Brahman).

Nell’a-dvaita Dio e il mondo non sono contrapposti, ma in relazione di reciprocità. L’Assoluto è al contempo trascendente e immanente. La dimensione della trascendenza esclude l’identificazione monista, mentre quella dell’immanenza impedisce l’identificazione dualista. Dice Panikkar: “Dio non è blocco statico (monismo), né Lui o l’Altro (dualismo). Dio è un polo della Realtà, polo costitutivo, silenzioso e quindi ineffabile in sé, ma che parla in noi; trascendente, ma immanente nel mondo; infinito però limitato nelle cose. Questo polo è nulla in se stesso, non esiste se non nella sua polarità, nella sua relazione. Dio è relazione, relazione intima con il Tutto”.

Non è impossibile trovare Dio, ma è un lungo percorso nella propria interiorità, nel centro, non del proprio ego, ma del centro di ogni cosa che implica la necessità di de-centrarsi da noi stessi. Ogni cosa è Dio, nel senso che ogni cosa riflette Dio, il centro del tutto. Il centro sta in me e fuori di me, in ogni cosa.

L’esperienza di Dio non è impossibile, non è l’esperienza di un altro, è l’esperienza della realtà di cui siamo lo specchio riflettente, e il nostro vivere nella consapevole meraviglia di ogni istante è reale solo in questa circolarità del tempo, è esistere nella tempiternità.

Panikkar dice: “L’uomo è tempo in quanto è vita, ma non è proprietario del suo tempo e nemmeno è il padrone della propria vita. L’uomo vive nella vita e la vita non muore, e chi fa l’esperienza della vita non ha paura della morte, muore soltanto l’individuo. La spiritualità cosmoteandrica è profondamente personale, ma non è individualista, è una spiritualità matura che ha eliminato l’ego, l’egoismo. Vivere la via è vivere la tempiternità. La realtà non si esaurisce nella temporalità; non è ora temporale e dopo eterna, ma è al contempo tempiterna.

La paura della morte è la paura della vita, la paura di chi non vive la vita perché il suo ego è fortemente aggrappato al bios individualista che, nella morte, sparirà come goccia d’acqua nell’oceano, ma a chi vive la vita nella pienezza del suo essere acqua, non teme nulla, perché all’acqua in sé non succede nulla.

L’esperienza di tempiternità è vivere il presente come esperienza intensa dell’istante senza riferimento al passato che fu o al futuro che sarà. E’ il presente sempiterno nel quale si realizza un’azione veramente autentica e quindi, unica. Ciò significa che ogni essere, realtà ed evento, esiste in inscindibile interrelazione cosicché non vi è nulla che rimanga non toccato dal tempo, neppure l’eternità. Al contempo l’aspetto temporale della realtà totale è soltanto un aspetto parziale della natura tempiterna delle cose.

Panikkar parla del tempo e dell’eternità con i concetti di temporalità e tempiternità. Mentre la temporalità implica la divisione tra presente, passato e futuro, la tempiternità rappresenta “la cristallizzazione” la completezza del momento temporale senza necessità di ulteriori estensioni.
Dice Panikkar:La realtà non si esaurisce nella temporalità, non è ora temporale e poi eterna, ma tempiterna. Il futuro in quanto tale non esiste; la vera speranza, che impropriamente è detta -del futuro- deve cercare di scoprire in ogni istante la pienezza a cui aneliamo: è possibile trovare il futuro soltanto nel presente. Il tempo è un altro aspetto di ciò che si è continuato a chiamare eternità, di modo che tempo e eternità formano ciò che si potrebbe dire tempitenità.”

L’eternità non viene dopo il tempo, né esisteva prima. La vita dell’uomo sulla terra non è un semplice pellegrinare verso Dio, la reincarnazione o il nulla, ma costituisce un ritmo in cui ogni momento è abitato dall’altro aspetto eterno (La realtà cosmoteandrica). E “se pretendi di vivere la tua vita pienamente dovrai viverla oggi senza aspettare il domani”.

***

Conclusioni:

L’approfondimento di Panikkar dello studio delle diverse religioni e filosofie non significa affatto uno svolazzamento superficiale, come spesso facciamo noi, tra una ideologia e l’altra, ma un serio e studiato approfondimento dei diversi punti di osservazione della realtà così come maturati in culture e condizioni diverse. Infatti ribadiva sempre che non si può parlare di dialogo interculturale, ma di dialogo intraculturale, perché sosteneva: “se non trovo in me il terreno in cui l’indù, il musulmano, l’ebreo, l’ateo possano avere uno spazio nel mio cuore, nella mia intelligenza, nella mia vita, non potrò mai entrare in un vero dialogo”.

E non si tratta affatto di attingere un po’ dell’uno e un po’ dell’altro e poi fare una bella insalata, no, si tratta di imparare a conoscere con estremo rispetto e umiltà le radici che hanno dato vita a piante diverse in base al terreno e al clima in cui sono sbocciate e anche ad assaporarne i frutti con rispetto e desiderio di comprendere. Ogni radice ha uguale dignità e la fedeltà alle proprie radici è fondamentale perché se non si è fedeli ad essa non lo si potrà essere a nessun’altra.

Quindi non si tratta di disconoscere, di abbandonare, di convertirsi ad altro più esotico e affascinante, ma esattamente al contrario, si tratta di integrare, arricchire la propria cultura, la propria fede, la propria anima, la propria natura spirituale.

Panikkar riconosce che la spiritualità costruita sulla Trinità cosmoteandrica è condivisa pienamente da tutti e non può essere realmente compresa se analizzata con rigidità partendo da un unico punto di osservazione. Non c’è una sola verità che ha supremazia sulle altre, così come non può in nessun caso esserci una religione superiore alle altre.

Soltanto imparando a cogliere i diversi punti di partenza, a conoscere le culture che hanno creato quelle modalità di fede, si può davvero giungere alla maturità spirituale, alla comprensione, o meglio, all’esperienza dello Spirito Santo.

Per questo la sua profonda consapevolezza di essere totalmente cristiano e induista e buddhista non è un dichiarazione d’effetto, ma risponde radicalmente alla pienezza del suo essere umano nella tempiternità.


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Fonti principali e Bibliografia

* Raimon Panikkar “Visione Trinitaria e Cosmoteandrica: Dio - Uomo - Cosmo”. Jaca Book
* Raimon Panikkar “Mistica Pienezza di Vita”. Jaca Book
* Raimon Panikkar “Vita e Parola - La mia Opera” Jaca Book
* Francesco Comina “Il Cerchio di Panikkar” Il Margine
* Raimon Panikkar e Milena Carrara Pavan “Pellegrinaggio e ritorno alla Sorgente” Servitium/Jaca Book
* Articoli da giornali spagnoli

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Glossario

A-dvaita: a-dualità. Espressione metafisica della non dualità tra il mondo e il divino, elaborata filosoficamente da Śankara. L’Assoluto viene compreso nell’esperienza medesima della sua relazione.
Ātman:  il se stesso di un essere della realtà.
Brahman: designazione della Realtà assoluta, una e identica all’ātman, fondamento e substrato di tutto.
Dharma:  norma cosmica, legge naturale e ordine etico
Metanoia: conversione, cambio di mentalità e di visione.
Upanisad: insegnamento sacro fondamentale sotto forma di testi che costituiscono il vedānta.
Veda: insieme di sacre Scritture dell’induismo.