Thursday 15 April 2021

LA MORALITA’ O ETICA

LA VIA DEL NIRVANA
 Il Dharma del Buddha
2003
Lama Geshe Gedun Tharchin

LA MORALITA’ O ETICA

Come abbiamo già detto in precedenza, innanzitutto dobbiamo ricordarci di generare delle buone motivazioni per impegnarci seriamente nella pratica del Dharma. In definitiva, la motivazione principale è quella di non danneggiare nessuno. 

Analizziamo ora la seconda perfezione: la moralità o etica. In termini buddhisti l’etica consiste nella pratica del controllo del proprio corpo, della propria mente e della propria parola. Tra questi tre livelli il controllo della mente è quello principale perché gli altri due, il controllo del corpo e della parola, vengono generati da esso. Infatti, le funzioni del corpo e del linguaggio scaturiscono dal potere della mente e, di conseguenza, dai pensieri che coltiviamo. Ed è per questo che, in termini di etica buddista, si dice che il controllo della mente permette di controllare anche le funzioni del corpo e del linguaggio. 

L’essenza dell’etica buddista può essere considerata un modo di vivere non violento, che non danneggia. In altre parole, essa consiste nell’abbandono di tutte le azioni negative del corpo, del linguaggio e della mente. 

Il controllo del corpo non ha niente a che vedere con il rimanere immobili, senza far niente, senza agire, perché, se così fosse, la staticità permetterebbe di ottenere una buona etica e, di conseguenza, anche il dormire sarebbe una buona azione etica; ma in realtà non è così. L’azione morale del corpo non ha niente a che vedere con il corpo in se stesso, cioè con il corpo fermo ma con l’azione del corpo sotto il controllo di pensieri positivi. 

Lo stesso vale per l’azione morale del linguaggio che non significa dire parole piacevoli: non è questa l’azione morale del linguaggio. È invece importante che la parola sia generata da buone intenzioni e che anch’essa sia sotto il controllo dei pensieri positivi della mente. In questo caso interviene la consapevolezza. Questa è la chiave per aprire la porta a uno stile di vita etico. In questo senso il pensiero morale dell’insegnamento del Buddha è un modo non violento di manifestare se stessi. Questa etica è la base di ciò che si può chiamare legge naturale. 

Se osserviamo la filosofia e la teologia cristiana notiamo che viene sempre menzionata la legge soprannaturale. Questo non avviene nella filosofia buddhista. Secondo il pensiero del Buddha, la legge naturale si intende basata sulla vera realtà dei fenomeni. In questo senso si intende una vita genuinamente pacifica e un modo di vivere positivo. 

Quando si parla di morale o di etica secondo i principi del Dharma, si intende il controllo del proprio corpo, delle proprie parole e della propria mente. Non ci si riferisce al controllo degli altri ma solo e sempre al controllo di se stessi. Questa è la peculiarità, la caratteristica dell’etica buddhista, regolata dalle leggi  fondamentali dei cinque precetti: non uccidere; non prendere cose che non ti appartengono e quindi non rubare; usare una corretta parola e quindi non mentire; usare una corretta sessualità e astenersi dall’assumere sostanze che possono danneggiare il proprio corpo e la propria mente quali le droghe o l’alcool. Queste cinque norme sono i precetti fondamentali per qualsiasi praticante buddhista. Di questi cinque precetti i primi quattro li possiamo trovare in qualsiasi religione, sia essa indù, cristiana, musulmana o ebraica. 

Invece, il quinto precetto è probabilmente una esclusiva della tradizione buddhista. Il quinto precetto è stato creato dal Buddha, dalla sua sottile intelligenza, dal suo profondo modo di pensare. Se si infrangono i primi quattro precetti si genera un cattivo karma perché si va contro la legge naturale e questo vale anche se non si sono presi i voti. Infatti in tutte le comunità umane, in qualsiasi luogo, si osservano queste norme universali ed è considerato un errore infrangerle, anche perché danneggiamo il nostro potenziale spirituale. Infrangere il quinto precetto,  cioè quello di non prendere alcool o qualsiasi altra cosa intossichi la mente o il corpo, anche se non si sono presi i voti o i precetti in modo formale, genera ugualmente un cattivo karma. Se una persona ha preso i voti e ha ricevuto i precetti ha fatto anche il voto di non prendere intossicanti e nel momento in cui li prende questa azione creerà un cattivo karma, perché questa persona sarà andata contro la promessa fatta. Ci sono molto discussioni e studi su questo quinto precetto, il Buddha stesso dice nelle scritture che se ci si considera suoi discepoli non si deve bere neanche un goccio di bevande intossicanti, e se si prende anche soltanto una goccia di sostanze intossicanti non ci si può dichiarare suoi discepoli. Ciò non vuol dire che se si prende una goccia di alcool questa cosa deve essere considerata dannosa e cattiva ma chi ha ricevuto i cinque precetti deve rifarsi a quello che ha detto il Buddha. 

Questa è l’unica norma peculiare del Buddha, gli altri precetti si possono trovare più o meno simili nelle altre tradizioni religiose. Per questo il Buddha ha detto che non bisogna prendere neanche una goccia di sostanze intossicanti, perché una goccia chiama la seconda poi la terza e poi la quarta e alla fine si beve sempre di più fino al punto di diventarne dipendenti. In Tibet, in Nepal e in India ci sono due bevande una è il chan, che assomiglia alla birra, ma è più leggera e più frizzante e l’altra è l’ara che è più forte e più buona e di solito chi beve un solo bicchiere di questa bevanda si ubriaca subito e incomincia ad andare fuori di testa, generando risse e problemi. In Occidente mi sembra che ci sia più resistenza all’alcool, forse perché qui il vino è di qualità migliore. Se andate in India o in Nepal e visitate anche il più piccolo villaggio trovate sempre qualcuno che cammina per strada barcollando mentre qui in Italia è più raro. Tutte le norme e i precetti buddhisti  sono in relazione e dipendono da questi tre fattori: dal luogo, dal tempo e dalle condizioni. È possibile che queste norme possano cambiare in quanto dipendono da questi tre fattori e quindi potrebbero avere degli sviluppi nel tempo. Vi sono luoghi nel mondo dove la gente è più capace di mantenere il controllo: di conseguenza, se voi riuscite ad evitare di ubriacarvi bevendo vino, potete berne per tutto il giorno. Se una persona è malata e ritiene salutare assumere un po’ di alcool, questo non è considerato un errore, è consentito. Per un monaco possono esserci diverse eccezioni ma non si transige su questo precetto: se uno vuole seguire il Buddha non deve prendere neanche un goccio di alcool. Questa è una restrizione molto forte soprattutto per i monaci. Invece, per i laici non credo che ci siano restrizioni di questo tipo ma se avete preso dei voti e avete ricevuto i precetti in maniera formale è importante non infrangerli. Questi sono i cinque precetti fondamentali del Buddhismo. 

Le dieci azioni virtuose

In relazione alla legge naturale nella filosofia buddista esistono le dieci azioni virtuose, tre delle quali sono azioni che riguardano il corpo e che derivano dai primi quattro precetti: non uccidere, non rubare, non avere una scorretta condotta sessuale; le altre quattro azioni virtuose sono riferite alla parola: non mentire, non usare parole calunniose, non parlare in maniera dura, infine non parlare a vanvera che significa non fare discorsi senza senso e futili. 

Infine, abbiamo le tre azioni della mente. Sono quelle azioni che ci consentono di non generare pensieri dannosi per gli altri che derivino dall’attaccamento, dall’odio e dalla visione errata della realtà. 

Il primo tipo di azione mentale genera un tipo di pensiero la cui causa è il desiderio o l’attaccamento verso qualcosa o verso qualcuno. Ad esempio, quando desideriamo ardentemente di possedere una bella auto sportiva. 

Il secondo tipo di azione mentale deriva dall’odio che proviamo verso qualcosa o qualcuno. Può verificarsi quando desideriamo la sofferenza di qualche altro essere senziente. Per esempio, quando desideriamo che il nostro collega di lavoro –che tanto odiamo, perché maggiormente considerato dal nostro capo- venga licenziato. 

Infine, il terzo tipo deriva da una visione errata delle cose. Per esempio, comportandosi senza considerare la legge del karma. Ignorando la legge del karma, non ci rendiamo conto che ogni azione negativa verrà scontata in un futuro più o meno prossimo.

L’ignoranza è la  visione distorta della realtà. Secondo il Buddha, la visione errata è riferita ai pensieri egoistici, le azioni virtuose sono invece quelle che si adeguano alla legge naturale e sono tali per natura. Di conseguenza, che chi si impegna a praticarle genera un buon karma, mentre chi agisce contro queste regole genera un cattivo karma, un cattivo modo di vivere, danneggiando prima di tutto se stesso.

È molto utile verificare in prima persona se questa filosofia ci porta qualche vantaggio. Le dieci azioni virtuose sono abbastanza diverse dal precetto di non assumere alcool o sostanze intossicanti. Una persona che non conosce i precetti del Buddha e, comunque, non prende alcool non sta maturando necessariamente un buon karma. Il precetto di non assumere sostanze intossicanti non è in relazione alla legge naturale, come nel caso dei primi quattro precetti, e possiamo tranquillamente considerarlo un buon suggerimento o, addirittura, un dogma buddhista. 

Le dieci azioni virtuose posseggono la potenzialità di cambiare effettivamente la nostra vita. Possono essere messe anche in relazione con i dieci comandamenti dei cristiani e, di fatto, sembrano molto simili. Però, c’è una differenza: i primi tre comandamenti rimandano a ciò che si può chiamare legge soprannaturale, trascendente, mentre gli altri sette comandamenti hanno molto in comune con le dieci azioni virtuose buddhiste. I primi tre comandamenti riguardano la presa del rifugio: nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha, dette anche Guru Devotion nel Buddismo tibetano. Però c’è una differenza sostanziale: nei precetti buddhisti non c’è nulla che viene imposto, si tratta piuttosto di qualcosa che riferisce  alla disciplina di sé: discernere ciò che è utile da ciò che è dannoso e metterlo in pratica.

Domanda: vorrei sapere qual è il significato di «Sila».

Risposta: Sila è un termine sanscrito e indica la seconda paramita: la moralità. In tibetano è simile ed è scritto Siltop. La traduzione di Siltop è «prendere la brezza». Questo significa che nel momento in cui le persone prendono l’impegno di praticare i cinque precetti o le dieci azioni virtuose ciò li preserva dal cattivo karma. Colui che vive rispettando i cinque precetti o le dieci azioni virtuose automaticamente riduce le proprie preoccupazioni e si mette in uno stato di maggiore tranquillità

Domanda: se si uccide non volendo uccidere, cosa succede in questo caso con il karma?

Risposta: dipende dalle intenzioni, se capita di uccidere un insetto perché non abbiamo fatto abbastanza attenzione, questo crea cattivo karma. Se invece agiamo in maniera attenta, consapevole, facendo attenzione a non uccidere neanche un insetto ma capita accidentalmente, il karma che si produce è molto più «leggero». L’azione di uccidere è la stessa, ma è molto differente. 

Domanda: cosa si intende per corretta sessualità?

Risposta: sostanzialmente vuol dire non andare contro gli impegni presi all’interno della coppia. Questo è il significato principale e poi ce ne sono altri secondari ma non sono così importanti perché la cosa più importante è mantenere gli impegni all’interno della coppia. Se si incomincia a infrangere questo impegno si genereranno una serie di problemi successivi. Oggi, in merito a questi discorsi, ci sono molti nuovi argomenti che non esistevano ai tempi del Buddha o di Gesù. Penso che l’aspetto principale sia quello di non creare problemi, di non danneggiare l’unità della coppia, di avere un reciproco rispetto. E’ stata fatta una promessa e se la si mantiene non sorgeranno problemi.

Domanda: è ammessa la poligamia?

Risposta: penso di sì se tutti sono consenzienti. In Tibet una donna può avere due o tre mariti, così anche un uomo. Nell’Islam è diverso: un uomo può avere molte mogli ma una donna non può avere più di un marito. Queste situazioni non sono contemplate nel Buddhismo, non è specificato se si possa o meno avere uno o più mariti o una o più mogli. In Tibet tutto ciò è regolato dalla legge civile e cioè: se una donna vuole avere quattro mariti e questi sono tutti d’accordo, le è consentito. Qui in Occidente questo tema è basato sull’etica sociale cristiana che consente soltanto la monogamia. Nel Buddhismo non c’è scritto gran ché a proposito dell’etica sociale e cioè su come le persone debbano comportarsi nella collettività. La cosa è lasciata aperta perché la liberazione è nelle vostre mani, non posso darvela io, è una vostra scelta quella di arrivare alla liberazione oppure no. Nel Buddhismo non è scritto niente su come fare le leggi sociali. Il re Ashoka nell’antica India ha cercato di impostare uno Stato secondo l’ottica buddhista. In Tibet si dice che se si beve l’acqua di una terra si devono rispettare le leggi di quella terra.

Wednesday 14 April 2021

LA NATURA DI BUDDHA

 LA VIA DEL NIRVANA

Il Dharma del Buddha
2003
Lama Geshe Gedun Tharchin

3° LA NATURA DI BUDDHA

Tutto quello che abbiamo detto sul Dharma ha lo scopo di mantenere e preservare la nostra tranquillità mentale, ma esistono comunque casi  in cui questo lavoro può sembrare molto pesante e si possono incontrare  grosse difficoltà anche da parte di chi si impegna molto nella pratica. Colgo l’occasione per citare un caso personale: io stesso, venendo qui in Occidente, mi sono imbattuto in situazioni molto differenti dalle condizioni in cui vivevo in India, dove ho studiato, ed ho incontrato difficoltà a fronteggiarle e a superarle, pur essendo un monaco buddhista. Ciò che mi ha aiutato a sopportarle è una scrittura che ho sempre tenuto presente e che dice: «Uno studente abile, qualsiasi difficoltà possa incontrare, non deve mai perdere la sua stabilità mentale». La scrittura continua dicendo «ogni volta che si intraprende una battaglia contro le illusioni, durante questa battaglia scaturiranno molte distruzioni, ma, al contrario, se non c’è battaglia, se non c’è guerra contro ciò che ti si oppone, non sorgerà nessuna distruzione e nessun problema verrà risolto». Questa scrittura, questa iscrizione, che in tibetano è molto breve ed è composta solo da tre righe, mi è stata molto utile perché ho capito che nella nostra vita possiamo contare unicamente sulle nostre qualità mentali che ci sostengono e rappresentano la cosa più importante che possediamo ora e che possiamo portare nelle vite future.

Senza addentrarci nella reincarnazione o rinascita, ma soffermandoci sul nostro essere presenti qui e ora, possiamo ben affermare come l’istruzione e lo studio siano questioni fondamentali per l’esistenza. Una persona ben istruita, una persona che ha studiato, ha uno stile di vita differente, quindi, durante la nostra pratica del Dharma in questo mondo incontriamo molte difficoltà  perché siamo vittime della confusione, ed è inevitabile che sorgano difficoltà contro le quali dobbiamo combattere. Un vero praticante di Dharma, qualsiasi asperità possa incontrare nella sua pratica, l’affronterà con coraggio e leggerezza, perché in grado di percepire i problemi esistenziali con estrema chiarezza.

Tutto questo vuole significare che l’incontrare delle difficoltà è comunque un’occasione in più per praticare il Dharma; le difficoltà ci forniscono, dunque, un’occasione ulteriore per attenervisi . 


L’importante, come ho già detto, è mantenere doti di fermezza e stabilità.

Stabilità e tranquillità caratterizzano la continuità della nostra pratica che a sua volta ci fornisce la possibilità di superare tutti i problemi che sorgono; al contrario, quando noi, incontrando delle difficoltà, ci sentiamo scoraggiati e senza speranza, significa che stiamo perdendo la nostra battaglia. Bisogna precisare che la parola guerra ha generalmente un’accezione negativa, correlabile con sentimenti di rabbia, di odio. La battaglia interiore di cui vi parlo è invece deprivata di tali sentimenti.

Se nella nostra guerra contro i problemi prevalessero rabbia e odio, questo implicherebbe la nostra sconfitta e la nostra stessa distruzione. Per vincere occorre mantenere stabilità mentale e quel tipo di qualità mentali che vi ho sino ad ora illustrato.

Tranquillità e stabilità mentale ci forniscono l’opportunità di vincere, di risolvere i nostri problemi. La fonte di tutte le nostre qualità interiori è la natura di Buddha oppure, come può essere anche chiamata, il piccolo Buddha. 

Bertolucci ha avuto dei problemi in Nepal mentre stava girando il film «Il Piccolo Buddha» perché i buddhisti nepalesi si risentirono e gli dissero che non doveva intitolare quel film il Piccolo Buddha, perché Buddha non è piccolo. Bertolucci dovette promettere che così non l’avrebbe mai intitolato.  Quando uscì il film egli andò dal Dalai Lama e questi gli disse che era un ottimo titolo perché in ognuno di noi esiste un piccolo Buddha. 

Spesso abbiamo delle qualità interiori che neppure conosciamo, come Bertolucci che ha dato un titolo adatto al film senza saperlo. Dal punto di vista cristiano è come se Dio gli avesse dato l’ispirazione. 

Quindi, questo piccolo Buddha che abbiamo dentro di noi, meglio definibile come «Natura di Buddha», è la sorgente, la fonte di tutte le nostre qualità interiori che ci forniscono la possibilità di vincere la battaglia contro i nostri problemi e il necessario incoraggiamento per sconfiggere le illusioni. Come possiamo riconoscere ed essere coscienti di questa natura di Buddha? Con la comprensione che la natura di Buddha non è altro che una qualità mentale. Ciascuno di noi ha una coscienza e questa ha le potenzialità e le capacità di essere pacifica e tranquilla. Tale natura della coscienza è il piccolo Buddha: in pratica, la tranquillità e la pace che ci pervadono di immensa felicità e di grande gioia.

Per preservare la tranquillità mentale, dunque, esiste quello che noi chiamiamo la pratica del Dharma e che rappresenta il bene più prezioso che possediamo. 

Tutto questo è molto chiaro se operiamo un’attenta introspezione. Non c’è niente di più salutare, che ci possa dare maggiore  giovamento interiore.

Per realizzarlo, per comprenderlo, per capirlo dobbiamo realizzare la nostra natura di Buddha. Poiché  generalmente non lo facciamo, non siamo consapevoli di avere questa grande qualità interiore. Ogni persona che sta leggendo questo libro, ognuno di noi dunque, ma anche tutti gli animali possiedono questa preziosa capacità di mantenere tranquillità e pace mentale.

Tuttavia, noi esseri umani possediamo una potenzialità ulteriore, ovverosia la possibilità di riconoscere questa qualità, dato che per gli altri esseri è molto difficile comprenderla e soprattutto svilupparla. Per questa ragione, la forma umana di esistenza è considerata la migliore fra tutte: non dobbiamo sprecare, non dobbiamo perdere questa grande opportunità che possediamo.

In un certo senso abbiamo il Buddha, l’Illuminazione, nelle nostre mani: se lo accettiamo o lo abbandoniamo dipende solo dal nostro arbitrio.

Anche chi si è macchiato di crimini e sconta le proprie azioni in prigione ha una grande opportunità: quella di sviluppare la propria natura di essere illuminato.

Vorrei narrarvi la breve  e  chiarificante storia di un monaco tibetano che è stato imprigionato per vent’anni in Tibet e che, finalmente libero, è andato in India a parlare con il Dalai Lama. Questi gli ha chiesto quale fosse stata la cosa più tremenda che era capitata in prigione, e il monaco gli ha risposto che era stato il rischio di perdere la compassione. 

Il più grave problema che  il monaco aveva dovuto affrontare era stato il pericolo di perdere la propria compassione, perché i cinesi lo picchiavano, lo torturavano e lui aveva corso seriamente il rischio che ciò accadesse.

Questo si ricollega a quanto dicevo all’inizio: qualsiasi problema si debba affrontare non bisogna perdere mai la tranquillità mentale che ci deve sempre accompagnare. Quindi, se noi compariamo le grandi difficoltà che ha avuto questo monaco nella prigionia nel Tibet cinese con le difficoltà quotidiane che viviamo qui in Occidente, queste divengono nulla  rispetto a quelle del povero monaco. Egli, infatti, non ha perso la sua compassione e la sua benevolenza, e questo gli ha permesso di mantenere la propria stabilità mentale durante i venti anni trascorsi in prigionia.

Riflettiamo: è un punto veramente cruciale. Fortunatamente il nostro monaco ha avuto la capacità di riconoscere che la compassione e la benevolenza sono le cose più importanti per la nostra vita attuale e per le nostre vite future.

Mantenere  tranquillità e pace mentale è la ragione per cui noi pratichiamo il Dharma: non lo pratichiamo certamente per ottenere beni materiali. 

Analizzando la questione sotto il profilo della legge di causalità possiamo affermare che in questo caso la causa è il nostro piccolo Buddha, la natura di Buddha, e l’effetto è il grande Buddha. Dunque, se esisterà il Buddha nella causa scaturirà il Buddha nell’effetto.

Il Buddha deve nascere dal Buddha, il grande Buddha deve nascere dal piccolo Buddha. Se il piccolo Buddha è dentro di noi, ci darà come risultato il grande Buddha.

Attenzione, però, quando parliamo di Buddha non dobbiamo pensare al Buddha quale riferimento fisico - storico. Esso è invece l’immagine, il simbolo, la forma delle sue qualità mentali: rappresenta la tranquillità, la felicità, la stabilità.

Una volta sono stato a Napoli per una conferenza e, alla fine mi hanno detto che avevo parlato della vita di tutti i giorni e non avevo parlato della morte; ed io ho risposto: «Se voi vivete in maniera pacifica morirete in maniera pacifica». Le persone che incontro, in genere, hanno molta paura di morire. Io invece vi dico: se vivrete in maniera pacifica e tranquilla allora vedrete che la morte non sarà un problema. Imparare a vivere con serenità vuol dire imparare a morire in ugual  modo, e non c’è bisogno di far proprie tutte quelle pratiche sulla morte che caratterizzano, ad esempio, la cultura tibetana.

Il libro tibetano dei morti è uno dei libri più orrendi che io conosca!

E’ interessante leggerlo, ma non è necessario praticarlo. 


Imparate a vivere in maniera gioiosa, questa è la cosa più importante.


Vorrei aggiungere qualche altra  considerazione sul  vivere in pace. Questa regola è alla base della pratica buddhista.

La presa di Rifugio nei Tre Gioielli, ovvero ricevere i precetti, sono atti fondamentali nell’ambito della teoria di causa ed effetto. Prendere rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha vuol dire rifugiarsi nel nostro piccolo Buddha, metterlo in atto nel momento della causa è come prendere rifugio nel momento del risultato e tutto questo rientra nella filosofia di causa ed effetto. La legge di causa ed effetto produce il Karma.


A questo punto ci si pone la domanda: la crescita di un fiore dipende dal Karma oppure no? Non tutto è correlabile al Karma. Esso dipende dal continuum mentale, ma che la crescita di un fiore dipenda dal nostro continuum mentale oppure no e’ una questione molto pio complessa, relazionabile alla teoria causale. Quindi, la teoria del karma è un sotto insieme della filosofia di causa ed effetto, ma questa teoria non illustra soltanto il karma. Quando  parliamo del karma dissertiamo intorno a qualcosa che ha una connessione con il continuum mentale. 


Analizzare la causa e l’effetto è una forma di meditazione molto importante, dovete sempre chiedervi il perché di ciò che vi circonda. Quando voi incontrate un problema non affrontatelo alla cieca,  ma provate a trovare una risposta con mente tranquilla. Fate un passo indietro ed analizzate con rigore i dati in vostro possesso. Alla fine troverete la soluzione. Questa è la meditazione: la consapevolezza, la Shamatha, cioè la concentrazione su un singolo punto. La Shamatha e la Vipassana non si riferiscono soltanto al sedersi in una certa postura, e devono essere praticati sempre.

Gli Zen sono specialisti della Shamatha, che vuol dire concentrazione, mentre invece la Vipassana è più sviluppata nella scuola Theravada.

I tibetani sono specialisti nelle visualizzazioni. 


Il Theravada è il Buddhismo del Sud, dell’Indocina e del Sud-Est Asiatico, ed è il più antico, mentre il Ch’an  e lo Zen e sono tipici delle aree del Nord, del Giappone e della Cina. Il Vajrayana è il Buddhismo centrale perché è passato dall’India fino in Tibet. Quello tibetano è il più recente, introdotto direttamente dall’India tra l’VIII e X secolo.


Ognuna di queste tradizioni ha proprie caratteristiche, tuttavia si parla di un solo Buddhismo per motivi ecumenici .

Quando ho cominciato a studiare la teologia cristiana mi hanno detto di approfondire l’ecumenismo buddhista prima di addentrarmi nel cristianesimo.

Ho cominciato, così, a leggere alcuni testi Theravada, Ch’an e Zen. Ogni argomento è buono, mi hanno detto, e troverai degli ottimi spunti ovunque.