Meditazione Lam Rim
Sentiero per risveglio
Geshe Gedun Tharchin
INSEGNAMENTI
***
INDICE
Meditazione del
Lam Rim
LAM RIM JOR CHÖ
Introduzione alla
pratica del Jor Chö…………………………..
Il fondamento di
tutte le buone qualità 1……………………….
Il fondamento di
tutte le buone qualità 2……………………….
Utilità della
pratica Jor Chö e introduzione al Dharma … .........
Pratica
Jor
Chö............................................................................
Natura di Buddha e
realizzazione spirituale .................................
Praticare di
Dharma ………………………………………….....
Bodhicittà e
praticà della generosità…….....................................
***
Introduzione alla pratica del Jor Chö
E’
molto bello potersi ritrovare insieme ancora una volta per continuare
la ricerca della felicità genuina; è un viaggio interiore che
ognuno di noi deve voler percorrere con la consapevolezza che la vera
felicità non proviene mai dall’esterno, ma è già presente in
noi, sempre, il nostro compito consiste solo nello scoprirla. Gli
esseri umani, la mente umana, sono sempre capaci di trovarla.
Esiste
una tecnica per attivare la ricerca della vera felicità ed è la
meditazione, che non ha nulla di magico, ma che è una pratica, un
metodo, che ci accompagna passo a passo verso la meta. Il segreto
della meditazione è la scoperta di sé stessi attraverso la
consapevolezza.
Sono
contemporaneamente presenti due attività nella nostra mente:
- la prima è costituita dalla mente che compie le cose usuali, ordinarie;
- la seconda è la mente in grado di leggere le motivazioni e le intenzioni con cui attraversiamo la vita ordinaria.
La
meditazione affonda in entrambe le attività mentali, senza
discriminare o escludere nessuna delle due. Durante la meditazione
siamo capaci, tramite la consapevolezza, di riesaminare tutti i
comportamenti abitudinari, le azioni ordinarie, avendone una visione
particolare. Questa è un’attività fondamentale della mente,
sempre vigile e presente, perché solo in questa consapevolezza siamo
in grado di trasformare le azioni quotidiane in una vera pratica
meditativa.
Dobbiamo
comprendere chiaramente che nella meditazione sono sempre presenti le
due attività mentali e mai, in nessun caso, solo una di esse. Quindi
la meditazione non consiste nello sfuggire e negare i pensieri
abituali, ma nell’averne una loro rilettura che produce chiarezza
mentale, tranquillità, rilassamento, serenità e scoperta della
genuina felicità interiore.
Questi
nostri incontri ci danno quindi la possibilità di addestrarci alla
meditazione.
Anche
le realizzazioni ottenute affondano nella mente meditativa, che non
rifugge i pensieri abituali, ma mantiene la presenza vigile in ogni
attività.
Mantenendo
una presenza mentale chiara scopriamo molti spunti di riflessione che
altrimenti non sapremmo vedere, gli oggetti a cui possiamo attingere
per sviluppare le capacità della mente. Ecco il motivo per cui
leggiamo su ogni argomento più testi che riportano differenti punti
di osservazione, essi favoriscono lo sviluppo e il potenziamento di
facoltà mentali aperte e diversificate.
Sono
tre differenti livelli che dobbiamo analizzare in questo percorso:
- Il primo è costituito dall’atteggiamento abituale riguardo la vita ordinaria, aspetto importantissimo che ci sostiene nelle attività quotidiane;
- il secondo è quello della consapevolezza che ci permette di osservare e guidare tutti gli aspetti della vita quotidiana.
Questi
due aspetti costituiscono la base della meditazione e solo se sono
presenti entrambi si può parlare di vera meditazione, se ne manca
uno, no;
- il terzo livello riguarda tutte le qualità mentali, come l’amore e la compassione, che possono essere sviluppate solo in seguito alla realizzazione dei primi due livelli.
In
genere si pensa, sbagliando, che la meditazione si limiti alla
consapevolezza, mentre essa è la base su cui sviluppare le
importanti qualità mentali descritte nei testi che leggeremo e che
ne costituiscono il cuore.
Lo
studio dei testi è basilare perché permette di conoscere la
gradualità del sentiero, di riconoscere le qualità della mente e di
svilupparle in noi.
Coloro
che si interrogano su cosa sia la mente positiva e cercano di
meditare per ottenere una rapida e precisa risposta, non la
conosceranno mai se non conoscono la gradualità con cui procedere
per il suo sviluppo, una simile meditazione non serve a nulla. Invece
è importante conoscere i tre livelli di sviluppo della meditazione.
Adesso
comprendete quanto sia difficile risponde alla domanda “cos’è
la mente positiva?” perché essa deve poter crescere
gradualmente, piano piano.
La
generica accezione di mente positiva che noi abbiamo è assolutamente
differente dalla sua accezione spirituale.
Comunemente
si pensa che la mentre positiva sia qualcosa da conquistare, da
costruire per la nostra realizzazione, ma il fatto stesso che ci si
focalizzi totalmente sull’ “io”, sul “me” e sul “mio”,
escludendo automaticamente gli altri, rende la vita molto pesante,
difficile e carica di negatività e, purtroppo, questo è il nostro
atteggiamento usuale.
La
visione spirituale della mente positiva invece include tutti gli
altri esseri nel processo della vita, senza esclusioni o
discriminazioni.
Ad
un livello ordinario molti pensano che non sia possibile sviluppare
la mente positiva partendo dagli altri esseri, ma che si debba porre
se stessi al centro di tutto, però la visione spirituale dimostra
esattamente il contrario.
Con
la lettura, lo studio e l’ascolto degli insegnamenti si favorisce
lo sviluppo della mente positiva che comporta una apertura, una
dolcezza e un rilassamento reali, ecco perché è così difficile
rispondere in poche parole alla domanda su cosa sia una mente
positiva, essa abbraccia un ambito molto vasto e graduale, deve
essere appresa lentamente e gradualmente.
La
conoscenza dei diversi livelli della mente richiede tempo e
consequenzialità, bisogna iniziare contemporaneamente dai primi due
e poi si potranno sviluppare in modo infinito le qualità positive
della mente. Lo studio permette l’attuazione di tale processo.
I
tre livelli sono dunque costituiti dalla mente ordinaria, dalla mente
meditativa e dalle qualità spirituali, ed è bene tener sempre
presente che la mente ordinaria non ha in sé nulla di negativo, è
la natura insita negli esseri samsarici. Lo spontaneo desiderio e la
pulsione verso il bene e le cose buone non ha in sé nulla di errato,
ma soltanto in assenza della consapevolezza delle qualità spirituali
potrà verificarsi qualcosa di sbagliato.
Nella
nostra situazione di esseri samsarici, umili e ordinari, è
sufficiente un po’ di consapevolezza per renderci già più
intelligenti e con qualità mentali che, trasformandoci in esseri
spirituali, possono donarci una vita veramente felice.
Ciò
che dobbiamo sempre ricercare in noi stessi, in ogni istante anche
minimo dell’esistenza ordinaria, è la consapevolezza, la presenza
delle qualità mentali e la potenzialità del loro sviluppo.
La
meditazione si basa sulla nostra naturale potenzialità mentale per
cui è sufficiente possedere la piccola chiave in grado di aprire il
forziere del tesoro, è così semplice!
Il
grande errore che commettiamo invece consiste nell’attendersi tutto
dall’esterno, mentre il tesoro è già depositato al nostro
interno, basta scoprirlo. Se non sappiamo come aprire il forziere che
lo contiene esso rimarrà là, inutile, lasciandoci inesorabilmente
poveri ed è un vero peccato, un grande spreco.
La
mente umana è il più grande fenomeno che esista su questo pianeta,
è la fonte di ogni qualità, felicità, rilassamento e gioia, è
così particolare che contiene un tesoro tanto grande da poter
esaudire tutti i desideri e donarci la felicità.
Questo
dovrebbe essere il modo corretto di avvicinarsi alla pratica, da
questo momento fino alla fine dei nostri giorni, al fine di poter
vivere felici rilassati e sereni.
I
libri sono un grande aiuto, la mappa che ci permette di trovare più
facilmente il tesoro in noi, per questo insieme studieremo il “Jor
Chö” un testo tibetano in cui sono contenute tutte le pratiche,
esso è il migliore per queste nostre giornate perché è semplice e
ci permette di procedere con gradualità iniziando dalla lettura e
continuando con la riflessione, la meditazione e la contemplazione.
In
questi incontri analizzeremo la versione semplificata, anche se io
faccio sempre riferimento al testo completo; ne posseggo una copia
identica a quella che mi fu regalata a conclusione del primo anno di
corso come premio per essere stato il migliore nella prova di
memorizzazione. Un monaco anziano in seguito mi aveva chiesto il
testo e così adesso forse quel libro è in Tibet e ciò mi rallegra
molto. E’ stato il primo regalo che ho ricevuto e oggi questo è un
bel ricordo.
In
monastero ci sono due differenti tipi di valutazione, uno riguarda il
numero di pagine che lo studente è riuscito a memorizzare durante
l’anno e l’altro riguarda invece l’esame del livello globale di
studio, della capacità dialettica e in quest’ultimo non ho mai
avuto difficoltà ad essere il primo della classe, mentre per quel
che riguarda la memorizzazione ci sono riuscito soltanto quella volta
in cui ho appunto ricevuto questo testo, ed è per me un ricordo
interessante perché, tradizionalmente, la memorizzazione delle
pagine è considerata essenziale. Certamente la sola capacità di
memorizzazione è assolutamente inutile se non è accompagnata dallo
sviluppo di tutte le altre necessarie qualità filosofiche.
E’
comunque bello ricordare come la premiazione per la memorizzazione,
anche se è vissuta intensamente dagli interessati che ricevono
pubblicamente un regalo, non sia
mai discriminante
perché la tradizione vuole che, anche se si è memorizzata una sola
pagina, si riceva ugualmente un dono. Ciò è magnifico perché
dimostra che l’essenziale è la compassione che valuta la
partecipazione, l’impegno posto secondo le proprie qualità, non
esiste un livello minimo al di sotto del quale non si supera la
prova, tutti ottengono il riconoscimento del loro l’impegno e
dell’entusiasmo posto, indipendentemente dal risultato ottenuto.
Adesso
purtroppo le cose stanno un po’ cambiando, si stanno introducendo
criteri valutativi che partono da livelli minimi e comincia a entrare
il concetto di bocciatura. Invece il metodo tradizionale è stupendo,
ci si può presentare anche con una sola pagina memorizzata e si
riceve ugualmente la “kata”, nessuno è escluso.
Le
prove sono due, una consiste nel dibattito e l’altra nella
memorizzazione, e non vi è nulla di scritto; ho trovato una certa
analogia nel sistema universitario italiano in cui quasi tutti gli
esami sono orali, come nella sua tradizione monastica!....Il valore
umano viene esaminato in base alla naturale capacità di espressione
della persona e non tanto per le sue capacità di leggere e scrivere.
Da
giovedi prossimo inizieremo quindi lo studio di questo testo che è
una vera pratica di Dharma.
Se
non ci sono domande concludiamo con la lettura, tutti insieme e a
voce bassa, dei “Tre aspetti del Sentiero” 1:
“Porgo
omaggio ai venerabili Lama2.
Spiegherò come
meglio posso,
il significato
essenziale di tutte le scritture del Buddha,
il
sentiero lodato dagli eccellenti Bodhisattva,3
la
via d’accesso per il fortunato che anela alla liberazione4.
Coloro
che non sono attaccati ai piaceri dell’esistenza mondana,5
coloro
che si sforzano per rendere utili le circostanze favorevoli e la
fortuna,6
coloro che
propendono per il sentiero che compiace il Buddha,
questi
fortunati7
dovrebbero ascoltare con mente attenta.
Senza
una rinuncia8
completamente pura,
non
vi è modo di frenare l’ardente ricerca di piaceri nell’oceano
dell’esistenza.9
Inoltre,
l’attaccamento all’esistenza ciclica imprigiona completamente gli
esseri incarnati.
Quindi, sin
dall’inizio bisognerebbe cercare di realizzare la rinuncia.
Le circostanze
favorevoli e la fortuna sono difficili da ottenere e la vita non è
lunga,
familiarizzando
con ciò, si elimina l’attaccamento alle apparenze di questa vita.
Riflettendo
costantemente sul karma e sui suoi inevitabili effetti
e
sulle sofferenze del Samsara,10
si
elimina l’attaccamento alle apparenze delle vite future11.
Se, avendo
meditato in tal modo, non nasce nessun desiderio
per i piaceri
dell’esistenza ciclica,
e se
costantemente, giorno e notte, sorge un’aspirazione alla
liberazione,
allora la
rinuncia è stata generata.
Tuttavia, se
questa rinuncia non viene unita alla generazione
di
una completa aspirazione alla più alta illuminazione12,
non
diverrà causa della meravigliosa beatitudine dell’insuperabile
Bodhi13.
Perciò,
il saggio dovrebbe generare il supremo Bodhicitta14.
Gli
esseri samsarici vengono trascinati dalla corrente dei quattro
potenti fiumi15,
sono
legati con le strette catene del karma16,
difficile da eliminare,
sono
entrati nella gabbia di ferro dell’attaccamento al Sé17,
sono
completamente oscurati dalle fitte tenebre dell’ignoranza,
nascono
nell’esistenza senza limiti, e nelle loro nascite
vengono
incessantemente torturati dalle tre sofferenze18.
Riflettendo
in tal modo circa la condizione delle madri19
che si trovano in tale stato,
genera
la suprema intenzione altruistica di divenire un Risvegliato20.
sebbene tu
abbia sviluppato la rinuncia e il Bodhicitta,
la
radice del Samsara23
non può essere estirpata.
Quindi,
impegnati intensamente per realizzare l’origine interdipendente24.
Colui che vede
come inevitabile la realtà di cause ed effetto di tutti i fenomeni
nel
samsara e nel nirvana25,
distrugge
totalmente ogni percezione errata
ed è entrato
nel sentiero che compiace i Buddha.
Fin quando le
due realizzazioni, quella delle apparenze,
ovvero
l’inevitabilità dell’origine interdipendente26,
e
quella della Vacuità, ovvero la non-asserzione,27
vengono
considerate separate, non vi è ancora la realizzazione
del
pensiero di Buddha Shakyamuni28.
Quando le due
realizzazioni esistono simultaneamente, senza alternarsi,
e la semplice
percezione dell’inevitabilità dell’origine interdipendente
eliminerà
la concezione
di un’esistenza intrinseca,
allora
l’analisi della visione29
è completa.
Se comprenderai
che la vacuità appare come causa ed effetto
non
sarai preda delle visioni estremiste34.
Quando avrai
realizzato correttamente
i
punti essenziali dei tre aspetti principali del sentiero35,
dimora
in solitudine e genera il potere della perseveranza entusiastica36.
Il fondamento di tutte le buone qualità 1
L’incontro di
oggi inizia con l’approfondimento del testo Lamrim “Il fondamento
di tutte le qualità”, che ha un significato fondamentale per la
pratica del sentiero graduale verso l’illuminazione in quanto ogni
verso descrive e spiega dettagliatamente e in modo consequenziale
ogni passo, gradino dopo gradino.
Ogni verso
analizza differenti qualità spirituali, che non sono già pienamente
realizzate in noi, ma costituiscono l’aspirazione, il punto di
arrivo, a cui dobbiamo giungere. Il solo ricordarle è qualcosa di
assai prezioso e di molto importante, esse esistono già in noi, sono
parte di noi, appartengono al mondo, sia a quello interiore che a
quello esteriore; in ogni situazione possiamo scoprire le ottime
qualità che costituiscono fonte di benessere.
Quindi, questo
testo che si intitola “Il fondamento di ogni qualità”, malgrado
la sua brevità, contiene il significato profondo di tutti gli
insegnamenti.
Certamente alcuni
significati del testo appaiono ostici, di difficile comprensione, ma
questo non ci deve scoraggiare perché attraverso lo studio, una
buona esperienza, possiamo cercare e trovare in noi la realtà
corrispondente.
Queste qualità
non sono visibili solo all’interno di noi stessi, ma le troviamo
anche negli altri; osservando la bellezza del mondo, la bellezza
degli esseri umani, comprendiamo come sia più facile ottenere gioia
e felicità piuttosto che dolore e difficoltà, e proprio grazie alla
presenza delle qualità spirituali.
Ciò che non mi
stanco mai di sottolineare è l’importanza delle due accumulazioni,
di meriti e di saggezza, che debbono sempre essere presenti nel
nostro cammino spirituale. E’ prima di tutto necessario eliminare
il fraintendimento che ci vede sempre protagonisti, costruttori di
qualcosa, ma, al contrario, non si tratta di costruire bensì di
coltivare con cura le nostre qualità attraverso l’accumulazione
dei meriti e l’accumulazione della saggezza che elimina
l’ignoranza.
La pace e la
felicità mentale dipendono dall’accumulazione dei meriti e
dall’accumulazione della saggezza. Anche il portare a compimento i
nostri desideri dipende da queste due accumulazioni.
Più
analiticamente osserviamo che l’accumulazione dei meriti contiene
le prime tre perfezioni:
- generosità;
- moralità o etica;
- pazienza
La generosità
consiste nel donare sia i beni materiali che i beni spirituali, è
dare protezione, rifugio e Dharma. La generosità è dedicare agli
altri questo dare.
L’etica consiste
fondamentalmente nel non fare male agli altri, compiere qualsiasi
azione sulla base della volontà di non nuocere in alcun modo agli
altri. E se ci si trova in una condizione in cui sia impossibile
evitare un danno a qualcuno si cerchi di ridurne al massimo gli
effetti.
L’etica non deve
assolutamente essere intesa come l’insieme di norme, di regole,
perché esse dipendono dalla situazione temporale in cui sono state
emesse e sono soggette a interpretazioni e cambiamenti, non è
questo, l’etica è l’azione basata sulla volontà di non nuocere
agli altri. Questo è un punto saldo e immutabile in qualsiasi tempo
e situazione culturale.
La pazienza è
prima di tutto fondamentale per la nostra pace e tranquillità
mentale.
Un aspetto della
pazienza è la capacità di affrontare e sopportare le difficoltà
che si presentano e che sono parte della nostra esistenza. Di fronte
ai problemi non si può nascondere la testa come gli struzzi ma
bisogna farsene carico con serenità e tolleranza. Le difficoltà
possono riguardare noi stessi o gli altri e solo sapendole affrontare
con pazienza si evita di procurare un danno a se stessi e agli altri;
invece di essere un ostacolo esse devono trasformarsi in un mezzo per
rafforzare le nostre qualità interiori.
Un secondo
significato che il termine pazienza racchiude è la lungimiranza.
Quando subiamo un torto, una aggressione, o un qualsiasi male, non
dobbiamo sentirci offesi o colpiti, perché questo approccio è
assolutamente non corretto, in realtà dobbiamo essere in grado di
capire che il comportamento dell’altro è condizionato da fattori
oscuranti, dall’ignoranza, quindi dobbiamo essere in grado di non
prendercela, di saper comprendere le motivazioni dell’altro. Questo
è un altro modo di praticare la pazienza.
Un altro aspetto
della pazienza è in relazione alla pratica del Dharma, e qui è
necessario eliminare ogni fraintendimento, non confondere la pazienza
con la pigrizia Un detto tibetano cita: “Non confondere la
pigrizia con la santità”. Non corrisponde a vera pazienza la
non reazione, il non prendersela, se ciò è dovuto esclusivamente
alla stanchezza mentale che sorge di fronte ai problemi, questa è
pigrizia e non pazienza. A volte è facile confondere pazienza e
pigrizia quindi, in questa distinzione, diventa comprensibile il
terzo livello della pazienza che richiede al praticante di Dharma una
profonda determinazione e convinzione. Il terzo livello di pazienza è
proprio basato sulla forte convinzione interiore a voler praticare il
Dharma, consiste nel coltivare le buone qualità, nell’azione volta
al bene degli altri, e non ha nulla a che vedere con l’atteggiamento
del lasciar correre, è, al contrario, una forza interiore che ci
permette di essere attivi e non di restare immobili.
Questi tre modi di
praticare la pazienza sono estremamente importanti. Le tre prime
perfezioni, generosità etica e pazienza, letteralmente possono
essere definite l’accumulazione di meriti.
Le successive due
perfezioni:
- lo sforzo gioiosa o perseveranza entusiastica;
- la concentrazione,
appartengono ad
entrambe le accumulazioni, sia all’accumulazione di meriti che
all’accumulazione di saggezza, mentre la sesta perfezione:
- la saggezza,
appartiene
all’accumulazione della saggezza.
Le sei paramita o
perfezioni racchiudono interamente l’insegnamento del Buddha,
contengono tutte le pratiche spirituali perché includono sia
l’accumulazione dei meriti che l’accumulazione della saggezza e
sono dette le pratiche dei Bodhisattva.
Ora, alla luce di
questa spiegazione, leggiamo il testo:
IL FONDAMENTO DI
TUTTE LE QUALITÀ
Il Guru è il
fondamento di tutte le buone qualità ed è molto gentile e
venerabile. Avendo ben compreso che seguire il Guru correttamente è
la radice del sentiero, vi prego di benedirmi perché possa seguirlo
con profonda devozione e sforzo intrepido.
Vi prego,
beneditemi perché possa realizzare che la preziosa rinascita umana,
ottenuta una sola volta, è grandemente significativa e molto
difficile da ottenere di nuovo, e perché io generi la mente che ne
prende l’essenza giorno e notte senza sosta.
Vi prego,
beneditemi perché possa realizzare che il mio corpo e la mia vita
sono fragili come una bolla di sapone e velocemente si deteriorano e
si avvicinano alla morte; perché possa io vedere chiaramente ed
ottenere la ferma comprensione che, dopo la morte, la mente dovrà
seguire il karma positivo e negativo come l’ombra segue il suo
corpo; e perché io sia sempre vigile e prudente nell’evitare di
accumulare karma negativi anche i più insignificanti, e per ottenere
tutte le virtù.
Vi prego,
beneditemi perché possa realizzare che i piaceri della felicità
samsarica non danno alcuna soddisfazione e sono la porta verso tutte
le sofferenze; che le perfezioni del Samsara non valgono la nostra
fiducia, e perché io faccia sorgere un desiderio intenso per la
felicità della liberazione.
Vi prego,
beneditemi perché possa compiere la pratica essenziale, mantenere
l’ordinazione di pratimoksa, la radice degli Insegnamenti, con
grande cura, attenzione e memoria che derivano dal pensiero puro
(della rinuncia).
Vi prego,
beneditemi perché sia capace di vedere che, come io sono caduto
nell’oceano del Samsara, tutti gli esseri senzienti, mie madri,
stanno soffrendo allo stesso modo, e perché possa addestrare la
mente nella sublime bodhicitta, sopportando il peso di liberare tutti
quei trasmigratori.
Vi prego,
beneditemi perché sia capace di vedere che, anche se ho ricevuto la
bodhicitta, se non sono ben addestrato nelle tre moralità, con
questa soltanto non potrò mai raggiungere l’illuminazione, e
perché possa seguire con intenso sforzo le ordinazioni dei figli dei
conquistatori (i Bodhisattva).
Vi prego,
beneditemi perché possa generare presto nella mia mente il sentiero
in cui si uniscono samatha (quiescenza mentale) e vipassana (visione
superiore), pacificando la distrazione (causata) da oggetti
ingannevoli e contemplando perfettamente il significato assoluto.
Quando sono
diventato ricettivo, avendo esercitato la mente nel sentiero
generale, vi prego di benedirmi perché possa entrare istantaneamente
nel vajrayana che è il più sublime tra tutti gli yana (sentiero),
il sentiero eccellente degli esseri fortunati.
Vi prego,
beneditemi perché possa ricevere la ferma, autentica certezza nella
spiegazione che la base per ottenere i due tipi di realizzazione
(ordinarie e straordinarie), è osservare puramente i voti e le
parole d’onore e proteggerli anche a costo della vita.
Quindi vi prego,
beneditemi perché sia capace di realizzare gli insegnamenti degli
esseri puri senza mai abbandonare lo yoga in quattro sessioni, con
grande sforzo, avendo perfettamente compreso l’importanza
dell’essenza del sentiero tantrico in due stadi.
Vi prego,
beneditemi perché i miei guru, che mostrano questo sentiero
eccellente, e gli amici spirituali, che lo praticano perfettamente,
abbiano lunga vita, e perché pacifichi tutti gli ostacoli esterni ed
interni alla mia pratica del Dharma.
In tutte le mie
vite future possa io non essere mai separato dai perfetti maestri e
gioire del magnifico Dharma e così completare tutto il sentiero ed i
suoi gradi; possa io ottenere velocemente lo stato di Vajradhara.
***
Leggeremo anche il
commento tibetano al Jor Chö di Potowa, un Kadampa Geshe vissuto
nell’undicesimo-dodicesimo secolo, nel quale si dice che tutti gli
insegnamenti e tutti i commenti, scaturiscono dagli esseri illuminati
e sono stati dati con l’intento di trasformare il continuum
mentale.
Se non avviene
questa trasformazione mentale qualsiasi azione virtuosa, sia fisica
che verbale, non potrà essere causa della futura illuminazione.
Questo è un punto importante: le azioni verbali e fisiche, anche se
piene di virtù, se non sono in grado di trasformare la mente, sono
prive di significato.
L’insegnamento
Lamrim del sentiero graduale verso l’illuminazione, ha quattro
grandezze e permette di eliminare le cattive comprensioni degli
insegnamenti laddove sia dimostrato che esistono contraddizioni al
loro interno. Ciò è bellissimo perché annulla un grave
fraintendimento sempre presente nel mondo moderno, una situazione
costantemente conflittuale per cui si continua a discriminare, a
pensare ed affermare che una cosa sia migliore di un’altra, che una
religione sia superiore alle altre, e così via, qualsiasi situazioni
si affronti. Ma tutte le religioni nella loro essenza sono ugualmente
buone e una tale conflittualità ingenera visioni errate e aumenta la
confusione della mente.
E’ fondamentale
comprendere che tutte le dottrine non sono assolutamente
contraddittorie tra loro, anzi sono complementari. Questa è la prima
grandezza dello studio del Lamrim.
La seconda
grandezza è data dal fatto che tutti gli insegnamenti ci giungono
come istruzioni spirituali e tutto ciò che proviene dalle autentiche
fedi religiose sono pure istruzioni spirituali che rispondono
pienamente alle nostre attitudini.
La terza grandezza
è la chiarezza che produce la capacità di comprendere il pensiero
dell’essere illuminato immediatamente.
La quarta
grandezza, infine, elimina automaticamente la presenza di concetti
errati, le difficoltà e gli ostacoli alla comprensione.
Queste sono le
quattro grandezze dell’istruzione del Lamrim. Esistono ulteriori
tre caratteristiche che esamineremo la prossima settimana.
Studiando e
meditando sui testi Lamrim dobbiamo sempre tener presenti le quattro
grandezze.
(L’incontro si
conclude con una sessione di meditazione e una preghiera di dedica).
Il fondamento di tutte le buone qualità 2
“Il
fondamento di tutte le buone qualità” è un testo Lamrim e
contiene ogni spiegazione necessaria per percorrere il sentiero verso
l’illuminazione. Con il termine Lamrim si sottintende e ci si
riferisce ad un preciso insieme di testi.
Tutta
la letteratura Lamrim si basa sui testi di Atisha che ne è
considerato il fondatore; la sua opera basilare è il
“Bodhipathapradipa” “La Lampada che Illumina il
Sentiero che porta all’Illuminazione”.
Per
quanto possano differenziarsi tra loro i testi Lamrim contengono la
stessa impronta di completezza e soprattutto hanno un modo molto
simile, anzi identico, di presentare i passi del sentiero che conduce
all’illuminazione.
Riferendoci
alla pratica Lamrim indichiamo in particolare tre diversi passi, o
stadi, che è necessario attraversare.
- Il primo è il thöpa ed è il livello dell’ascolto e include anche lo studio e la lettura;
- Il secondo è il sampa ed è riferito alla comprensione dei testi e alla riflessione;
- Il terzo è gompa ed è il livello meditativo della concentrazione e della contemplazione su ciò che si è ricevuto dall’ascolto e dalla riflessione.
La
pratica non è sempre uguale, statica, esistono moltissimi modi
diversi di attuarla, ciò che è importante, e rimane punto fermo ed
essenziale, indipendentemente dal tipo di pratica che si intenda
applicare, è mantenere sempre saldo il cammino attraverso questi tre
gradini.
La
pratica spirituale non può essere parziale, riferita soltanto alla
meditazione, o all’ascolto, o alla lettura, o alla riflessione, ma
è l’insieme delle tre fasi che, dunque, devono sempre essere
presenti.
E’
piuttosto difficile giungere direttamente alla pratica della
meditazione o della riflessione se non si è passati prima attraverso
la fase dell’ascolto e della lettura. Questo è l’approccio
migliore e corretto.
Per
avvicinarsi alla pratica spirituale è necessario riceverne prima la
giusta preparazione; tentare di praticare senza avere gli strumenti
necessari per farlo correttamente, comporta grandi sforzi e nessun
risultato.
La
preparazione è dunque fondamentale al fine di poter godere
pienamente delle pratiche che si intraprendono e il Jor Chö, che è
ciò che noi intendiamo studiare, è essenzialmente una pratica di
preparazione.
Quando
leggiamo un testo di Lamrim abbiamo la possibilità di aprire la
mente alla completa conoscenza del sentiero che conduce
all’illuminazione. Le persone che sono adatte al Lamrim, che se ne
sentono attratte, sono coloro che ricercano il senso profondo
dell’esistenza, che hanno la ferma determinazione di voler rendere
significativa la loro vita. Per queste persone dedicarsi al Lamrim
sarà entusiasmante, di sicuro interesse e grandemente significativo.
Anche
nella tradizione tibetana per definire il Lamrim si dice che “il
Lamrim è l’essenza di tutti gli insegnamenti del Buddha” ed è
l’unico sentiero che può essere percorso dal Buddha dei tre tempi.
Il
Lamrim appartiene alla grande tradizione di Nagarjuna ed Asanga ed è
la suprema tradizione religiosa di coloro che si protendono verso
l’illuminazione, comprende tutti i tre livelli delle pratiche degli
individui e per questo viene definito il sentiero graduale verso
l’illuminazione.
Il
Lamrim attinge alla fonte autentica, non è solo una parte della
tradizione spirituale ma è il cammino completo in cui il Buddha ha
avuto fede, scaturisce dallo stesso Buddha ed è stato tramandato,
attraverso Nagarjuna, fino ai giorni nostri. E’ la gemma che
esaudisce tutti i desideri e include tutti i livelli delle pratiche
spirituali, è come un oceano in cui sfociano tutti i fiumi, così,
per analogia, tutti i molteplici percorsi spirituali, le diverse
pratiche spirituali, affluiscono nel Lamrim.
Il
Lamrim comprende in sé tutte le pratiche dei Sutra e dei Tantra, è
il sistema tradizionale che sottolinea maggiormente l’addestramento
del continuum mentale e proprio per questo è facile da seguire.
Il
Lamrim fu attivato da Atisha, il quale a sua volta ricevette un
insegnamento molto speciale riferito alla bodhicitta dal grande
maestro Serlingpa, conosciuto come il maestro dell’isola dorata
(Sumatra), quindi fu tramandato con le istruzioni di Nagarjuna, che
ne inizia il lignaggio, passando poi da Chandrakirti che integrò
ulteriormente le istruzioni. Questa è una caratteristica importante
del Lamrim.
Dobbiamo
essere consapevoli di quanto siamo fortunati ad aver incontrato le
istruzioni di questo bellissimo e rilevante sentiero, anche se non
sempre sappiamo cogliere il significato profondo di ciò che
ascoltiamo perché qui siamo in Italia ma la voce viene da molto
lontano, dal Tibet. Sono comunque parole bellissime, frasi armoniose
che appartenendo alla cultura tibetana di quel tempo e, anche se ci
suonano estranee, accogliamole come un magnifico oggetto a cui
rivolgersi con omaggio e rispetto.
Una
delle grandezze del Lamrim è l’apertura del cuore che permette di
poter ascoltare diversi insegnamenti da diversi maestri senza
escluderne nessuno, considerandoli tutti come strumento di
illuminazione. E’ come un corpo, composto da diverse parti, tutte
ugualmente importanti. Differenti maestri, o anche un solo maestro,
possono dare insegnamenti diversi, e il praticante Lamrim li vedrà
sempre tutti in modo non discriminante, come elemento essenziale del
cammino, senza il quale il percorso non sarebbe completo.
Il
Lamrim permette di apprezzare qualsiasi piccola pratica e di goderne
come irrinunciabile istruzione spirituale. Lo studio del Lamrim
permette immediatamente di riconoscere la parte della pratica che si
riferisce ad un determinato insegnamento.
Il
Lamrim comprende in sé l’intero sentiero e non è una pratica
parziale, singola, per questo è indispensabile la giusta
preparazione per poterla attuare; all’inizio non saremo capaci di
affrontarla nella sua globalità, è un po’ e come se dovessimo
saltare, cominceremo con pochi centimetri e poi potremo aumentare il
livello dell’asta, sempre più in alto.
Ho
seguito alcune fasi delle olimpiadi di Atene e mi ha incuriosito
l’atleta italiano che prima di saltare si dimenava moltissimo,
forse per prepararsi e scaldare i muscoli, ma consumando una gran
quantità di energie, e quando si è trattato di saltare, malgrado il
suo grande sforzo, ha sbagliato.
Per
praticare il Lamrim non è necessario dimenarsi convulsamente, al
contrario è bene iniziare la preparazione con concentrazione e
tranquillità, passo dopo passo.
Tra
l’allenamento sportivo dell’atleta e la preparazione del
praticante spirituale vi è una differenza sostanziale e a questo
proposito è opportuno ricordare Dharmakirti, un famosissimo, forse
il maggiore, filosofo e logico indiano della sua epoca (intorno al
600), il quale sottolineava come tutte le cose abbiano un loro
limite, quando si salta si può arrivare fino a un certo punto e non
oltre; se si fa bollire l’acqua, ugualmente, ciò non può superare
il suo limite di riscaldamento. Il salto dipende dallo sforzo di chi
salta e ha comunque un limite, il bollore dell’acqua dipende dal
fuoco e quando il fuoco finisce anche l’acqua si raffredda, questo
è il suo limite, non esiste una natura dell’acqua per cui essa
possa bollire da sola.
Invece
nella pratica spirituale non esistono limiti perché essa dipende
dalla mente umana e la mente umana non è subalterna alla forza
fisica, all’energia. Più si allena, e più lo sforzo iniziale
scema sino a quando la mente procede da sola illimitatamente; la
spiritualità umana può svilupparsi in modo infinito.
La
natura umana è basata su fondamenta solide e se si ha familiarità
con la pratica spirituale non occorre più applicare nessuno sforzo.
Ciò costituisce una grande speranza, un vero entusiasmo
nell’affrontare lo sforzo iniziale, sapendo che la mente progredirà
ogni giorno sempre più in là, senza volontà imposta, in modo
naturale e autonomo.
Per
la comprensione di questo meraviglioso processo naturale è
interessante leggere gli importantissimi e stupendi commentari
contenuti nel testo di Dharmakirti, “Pramanavarttika”.
A
conclusione della serata rileggiamo il testo “Il fondamento di
tutte le buone qualità” e poi faremo una sessione di meditazione.
Utilità della pratica Jor Chö e introduzione al Dharma
(la
registrazione è molto disturbata e lontana quindi alcune
trascrizioni possono non corrispondere esattamente, altre, dove ci
sono puntini di sospensione, punti interrogativi e scritte in
corsivo, mancano)
Il
Jor Chö introduce al Lamrim ed è fondamentale per coloro che
intendono intraprendere un ritiro Lamrim; è molto bello e piacevole
per chi si impegna nella pratica quotidiana e vuole approfondire la
conoscenza dei testi.
Nella
pratica Lamrim tendiamo a confrontarci direttamente con il testo,
mentre con il Jor Chö abbiamo una pratica più libera.
Oggi,
come già successo al ritiro di Bolsena, ho portato un certo numero
di testi relativi alla pratica Jor Chö e in entrambe le situazioni
sono stati distribuiti tutti, questo significa che abbiamo un buon
karma, una relazione spontanea con il Jor Chö, possiamo dunque
procedere ad analizzarlo anche se oggi ne affronteremo solo una
parte.
Cominciamo
con l’esame della visualizzazione e dell’invocazione del campo
dei meriti e del campo dei rifugi. Questo primo passo è l’invito
agli esseri che hanno realizzazioni molto elevate, prendendoli come
oggetto della nostra pratica, essi rappresentano i nostri punti di
riferimento e con loro prendiamo rifugio nei tre gioielli ed
espandiamo l’atteggiamento interiore.
La
seconda fase è lo sviluppo dei quattro pensieri incommensurabili.
Il
terzo punto è riferito all’intensificazione della bodhicitta.
Segue
quindi una pratica molto bella che è la “Purificazione in sette
rami”.
Leggere,
pensare e meditare su questi versi è aprire le porte del Dharma.
Nell’addestramento
iniziale dei praticanti Lamrim, al primo capitolo, si afferma di
dover abbandonare l’interesse per questa vita. Ma cosa significa
concretamente questo abbandono? Esso è reale e completo e il suo
centro è posto nell’intenzione di ogni nostra azione.
Se
facciamo qualcosa per il piacere la felicità o la fama di questa
vita, anche se si tratta di azioni virtuose quali ad esempio la
meditazione, esse non avranno alcun significato dharmico perché
questo è lo stesso modo di agire degli animali. E’ molto frequente
nella terminologia buddhista la comparazione con il mondo animale, un
simile atteggiamento non può che riprodurre all’infinito cause
samsariche.
Un
attitudine ben diversa è l’attenzione verso le vite future. Coloro
che agiscono e meditano con l’intenzione di continuare a migliorare
se stessi attraverso vite fortunate, umane o divine, attuano una
pratica primaria di Dharma ed è la prima intenzione nel Lamrim per
non produrre più cause del samsara.
E’
interessante questa possibilità di praticare il Dharma affrontando
questioni esclusivamente samsariche, perché generalmente si pensa
che la pratica del Dharma sia essenzialmente rivolta al Nirvana, al
Buddha, e nessuno si accorge che essa deve comunque partire dalla
situazione presente, al fine di poter cominciare a modificare e
migliorare la situazione del samsara stesso.
Per
noi, che siamo poverissimi sul piano spirituale, questa pratica è
fondamentale per la possibilità di realizzazione dello scopo finale,
dobbiamo iniziare ad ottenere dei risultati che possano continuare a
migliorare il nostro essere nelle vite future.
Questa
vita è troppo breve perché possiamo ottenere grandi risultati, è
già un dono immenso quello di essere nati come esseri umani, ma nel
nostro arrancare non otterremo molto di più, tutti i nostri sforzi e
il nostro interesse devono essere rivolti alla vita futura in modo da
poter rinascere ancora come esseri umani, conoscere il Dharma e
poterlo praticare e sviluppare sempre di più, infatti esiste sempre
la possibilità di dover rinascere in un posto dove c’è carestia,
povertà e nessuna possibilità di venire a contatto con il Dharma.
In
questa vita abbiamo già avuto la grande fortuna di vivere bene, in
Italia, ma non abbiamo certezze per quanto riguarda le prossime
rinascite. Non ha quindi alcun senso praticare il Dharma per avere
fortuna e ottenimenti in questa vita, perchè questo è lo stesso
atteggiamento che hanno gli animali, è un atteggiamento che non
produce alcun frutto, tende solo a saziare la fame del momento.
Il
primo passo dei praticanti Lamrim riguardo all’interesse per un
miglioramento verso le vite future è dunque importantissimo. A
questo livello non dobbiamo preoccuparci della liberazione o del
Nirvana.
Vi
è poi un’altra intenzione e riguarda la liberazione di se stessi
dal samsara, una situazione in cui dobbiamo già possedere la
rinuncia, la consapevolezza che tutta la realtà samsarica è
sofferenza. Possedere questa consapevolezza e attuare la rinuncia è
una pratica verso la liberazione, è causa di liberazione, ed è
attuata dal praticante di livello intermedio.
Esiste
un’ulteriore possibilità di espandere la nostra pratica quando
l’intenzione non è limitata alla liberazione di noi stessi, ma è
rivolta intensamente alla volontà di liberazione di tutti gli
esseri. I praticanti superiori praticano il Dharma, la meditazione,
con l’intenzione di liberare tutti gli esseri.
Non
è tanto importante quello che si fa, ma, piuttosto,l’intenzione
con cui si pratica.
Se
qualcuno, con cattiva intenzione, ci offrisse anche un miliardo di
dollari, non li vorremmo. Ma se qualcuno, con una buona intenzione,
ci donasse anche solo un cioccolatino questo ci riempirebbe il cuore
di gioia.
La
gioia e la sofferenza derivano direttamente dall’intenzione delle
azioni e non solo dalle cose materiali in sé, per questo
l’intenzione è assolutamente fondamentale. L’intenzione di
abbandonare questa vita, cioè i piaceri, la voluttà, l’illusione,
l’attaccamento alle cose, è per i praticanti di Dharma il primo
passo da compiere. Abbandonare questa vita è abbandonare
l’attaccamento, il desiderio, l’abbondanza il possesso e il vero
abbandono è un atteggiamento mentale, non è soltanto il lasciare
gli oggetti.
Ogni
azione compiuta con un’attitudine di attaccamento a questa vita non
è Dharma.
Un
punto fermo della pratica del Dharma è abbandonare questa vita. La
prima pratica del Dharma è il progettare come abbandonare questa
vita. Se un individuo non possiede la pratica fondamentale del
Dharma, ma si proclama praticante di Dharma, rivela una grande
stupidità.
Bisogna
dunque osservare dentro se stessi e chiedersi se c’è realmente in
noi l’intenzione di abbandonare questa vita oppure no. E’
importante che l’atteggiamento di non attaccamento sia vero, puro,
è necessario ridurlo progressivamente.
Il
primo passo da compiere da parte dei praticanti è compiere queste
tre cose.
Se
si è praticato o meno il Dharma nel passato lo si può comprendere
osservando la propria intenzione, se si è abbandonato l’attaccamento
alla vita oppure no determina se una vera praticande di Dharma o no.
Marpa
diceva a Milarepa “pensare alle sofferenze del Samsara al fine di
comprendere il Samsara non posso spiegartelo concretamente anche se
moltiplicassi le mie lingue, anche se parlassi per eoni ed eoni,
quindi non dovresti sprecare il Dharma.” Questo insegnamento è
stato dato da Marpa a Milarepa”. Milarepa invece ha detto che se si
voleva praticare il Dharma bisognava sviluppare la fede e
l’intenzione dal profondo del cuore. Quindi se bisogna abbandonare
tutto è meglio abbandonarlo adesso.
La
visione errata è come un amico cattivo, instabile. Bisogna eliminare
la radice del Samsara e l’attaccamento al sé, a volte è
difficile da comprendere perché è un linguaggio antico.
Una
persona che è molto attaccata alle cose di questa vita non può
praticare il Dharma maniera puramente.
Pratica Jor Chö
Iniziamo
con la lettura delle “Meditazioni e Pratiche preliminari Jor Chö”:
(traduzione
dall’inglese di Annamaria Depretis. Istituto Lama Tzong Khapa, 3
agosto 1993)
VISUALIZZAZIONE
DELL’OGGETTO DEL RIFUGIO
Nello spazio di
fronte, all’altezza degli occhi, c’è un trono ampio e maestoso
fatto di gemme preziose di ogni tipo e sorretto da grandi leoni, due
ad ogni angolo, che guardano in alto e in basso. Sopra il trono vi è
un seggio mandala composto da un fiore di loto multicolore
completamente sbocciato, dal disco di luna e di sole.
Su
di esso è seduto il mio guru radice, virtuoso e gentile,
nell’aspetto di Buddha Sakyamuni. Il suo corpo, della natura della
luce è del colore dell’oro purissimo e splendente. E’ coronato
dall’usnisha, ha un volto e due braccia. La mano destra è
allungata a toccare terra, la sinistra è posata in grembo nella
posizione della meditazione colma di nettare.
E’
adorno di tutti i centodieci segni fisici di un Buddha, indossa le
vesti color zafferano da monaco ed è seduto con le gambe incrociate
nella postura del vajra (o del loto), in un’aura di luce emanata
dal suo corpo.
Attorno
a lui sono seduti tutti i miei Guru diretti, quelli del lignaggio,
gli Ydam, i Buddha, i Bodhisattva, i Daka, le Dakini e i Protettori
del Dharma, con i volumi dei loro insegnamenti, splendenti di luce
chiara, posti davanti a loro su magnifici troni.
Tutti
i membri di questa potente assemblea sorridono e sono compiaciuti che
io stia facendo questa pratica.
Ricordando
la loro gentilezza e le loro qualità, sorge in me fiducia e
ammirazione profonda.
Io
e tutti gli esseri senzienti, mie madri, da rinascite senza inizio
fino ad ora, abbiamo sperimentato ogni sorta di sofferenza del
samsara in generale e, in particolare dei tre stati inferiori.
Tuttavia non ci è facile comprendere la profondità e l’estensione
delle sofferenze.
Ma
ora ho ottenuto una condizione umana ottimale, pienamente dotata
degli otto tipi di libertà e delle dieci circostanze favorevoli al
Dharma, che è veramente difficile da trovare e, una volta ottenuta
può essere vantaggiosamente utilizzata poiché mi permette di
ottenere una buona rinascita , il Nirvana e persino lo stato di
Buddha.
Per
questa volta ho avuto la fortuna di trovare il Dharma, il cui
incontro è rarissimo. Se non mi impegno ora che ho questa occasione
così favorevole per ottenere la completa illuminazione, la forma
suprema di liberazione da tutte le sofferenze, dovrò sperimentare
ancora tutta la serie di sofferenze del samsara in generale e, in
particolare, quella dei tre reami inferiori.
Solo
il mio guru e i tre gioielli del rifugio visualizzati di fronte a me
hanno il potere di proteggermi da tutte queste sofferenze.
Dovendo
ottenere il risveglio per riuscire a beneficiare in modo completo
tutti gli esseri senzienti, mie madri, prendo rifugio nel maestro e
nei tre rari e supremi.
FORMULA DEL
RIFUGIO
(da ripetere tre
volte)
Prendo rifugio nel
Guru.
Prendo rifugio nel
Dharma.
Prendo rifugio nel
Sangha.
PREGHIERA PER
SVILUPPARE LA BODHICITTA
(da ripetere tre
volte)
Fino
all’illuminazione prendo rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel
Sangha. Per i meriti virtuosi accumulati praticando la generosità e
le altre perfezioni, possa io raggiungere lo stato di Buddha, per
essere in grado di beneficiare tutti gli esseri senzienti.
QUATTRO
MEDITAZIONI ILLIMITATE
(da ripetere tre
volte)
Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri viventi fossero equanimi,
senza attaccamento né ostilità, non vicini a qualcuno e distanti da
altri. Possano dimorare nell’equanimità. Io farò in modo che vi
dimorino. Vi prego, Guru-divinità, concedetemi la vostra energia
ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.
Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti avessero la
felicità e le sue cause. Possano essi averla. Io farò in modo che
la posseggano. Vi prego, Guru-divinità, concedetemi la vostra
energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.
Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero liberati
dalla sofferenza e dalle sue cause. Possano esserne liberati. Io farò
in modo che ne siano liberati. Vi prego, Guru-divinità, concedetemi
la vostra energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.
Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti non fossero privi
della gioia delle rinascite elevate o della liberazione completa.
Possano non esserne mai privi. Io farò in modo che essi non ne siano
separati. Vi prego, Guru-divinità, concedetemi la vostra energia
ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.
PREGHIERA PER
SVILUPPARE INTENSAMENTE BODHICITTA
Per
il bene di tutti gli esseri senzienti, che sono stati mie madri, farò
qualsiasi cosa per ottenere al più presto, rapidamente, lo stato
prezioso della buddhità pura e completa.
Quindi
ora mediterò sugli stadi del sentiero verso l’illuminazione, la
porta del sentiero profondo dello yoga del Guru-yidam.
(ora
si medita sull’assorbimento dell’oggetto del rifugio.)
PRATICA DEI SETTE
RAMI
Oh
nobile Manjusri dalla giovane forma, mi prostro davanti a te.
Oh
leoni fra gli uomini, Buddha passati, presenti e futuri, a quanti di
voi esistono nelle dieci direzioni, mi prostro con corpo, parola e
mente.
Sulle
onde della potenza di questa regina delle preghiere, per i metodi
supremi e sublimi con i corpi numerosi come gli atomi del mondo, mi
prostro ai Buddha che pervadono lo spazio.
In
ogni atomo si trova un Buddha che siede tra gli innumerevoli figli di
Buddha; con sguardo fiducioso mi rivolgo ai vittoriosi che riempiono
l’intero dharmadhatu.
A
coloro che hanno infiniti oceani di eccellenza, con un oceano di
prodigiosa parola canto le lodi alla grandezza di tutti i Buddha: un
elogio a coloro che sono andati nella beatitudine.
Offro loro
ghirlande di fiori, parasoli decorati, musiche piacevoli e profumi
eccelsi; offro a tutti i vittoriosi lampade al burro e sacro incenso
purissimo.
Cibo eccellente,
fragranze supreme e un cumulo di sostanze mistiche alto come il monte
Meru, dispongo in un ordine speciale e offro a coloro che hanno
conquistato se stessi.
Elevo tutte le
offerte impareggiabili con ammirazione per coloro che sono andati
nella beatitudine con la forza della fede nei metodi sublimi, mi
prostro e faccio offerte ai conquistatori.
Da lungo tempo,
sopraffatto da attaccamento, odio e ignoranza, con il corpo, la
parola e la mente ho compiuto innumerevoli azioni negative. Ora le
confesso tutte senza omissioni.
Nelle perfezioni
dei Buddha, Bodhisattva, Arhat, sul sentiero e oltre e nella
potenziale bontà di tutti gli esseri viventi, elevo il mio cuore e
gioisco.
Oh luci
dell’universo, Buddha che otteneste lo stato dell’illuminazione
incontaminato, a tutti voi rivolgo questa richiesta: fate girare
l’incomparabile “ruota del Dharma”.
Oh maestri che
volete mostrare il paranirvana, vi prego di restare con noi e
insegnare per tanti eoni quanti sono i granelli di polvere, per
portare gioia e virtù a tutti gli esseri.
Possa qualunque
merito accumulato con queste prostrazioni, offerte, purificazione,
nel rigioire e chiedendo ai Buddha di rimanere e insegnare il Dharma,
essere dedicato all’illuminazione suprema e perfetta, affinché, al
più presto, liberi dalla sofferenza tutti gli esseri.
IL FONDAMENTO DI
TUTTE LE BUONE QUALITA’
Il Guru è il
fondamento di tutte le buone qualità ed è molto gentile e
venerabile. Avendo ben compreso che seguire il guru correttamente è
la radice del sentiero, vi prego di benedirmi perché possa seguirlo
con profonda devozione e sforzo intrepido.
Vi prego,
beneditemi perché possa realizzare che la preziosa rinascita umana,
ottenuta una sola volta, è grandemente significativa e molto
difficile da ottenere di nuovo, e perché io generi la mente che ne
prende l’essenza giorno e notte senza sosta.
Vi prego
beneditemi perché possa realizzare che il mio corpo e la mia vita
sono fragili come una bolla di sapone e velocemente si deteriorano e
si avvicinano alla morte; perché io possa vedere chiaramente ed
ottenere la ferma comprensione che, dopo la morte, la mente dovrà
seguire il karma positivo e negativo come l’ombra segue il suo
corpo, e perché io sia sempre vigile e prudente nell’evitare di
accumulare karma negativi anche i più insignificanti, e per ottenere
tutte le virtù.
Vi prego
beneditemi perché possa realizzare che i piaceri della felicità
samsarica non danno alcuna soddisfazione e sono la porta verso tutte
le sofferenze, che le perfezioni del Samsara non valgono la nostra
fiducia, e perché io faccia sorgere un desiderio intenso per la
felicità della liberazione.
Vi prego
beneditemi perché possa compiere la pratica essenziale, mantenere
l’ordinazione di pratimoksa, la radice degli Insegnamenti, con
grande cura, attenzione e memoria che derivano dal pensiero puro
(della rinuncia).
Vi prego
beneditemi perché sia capace di vedere che, come io sono caduto
nell’oceano del Samsara, tutti gli esseri senzienti, mie madri,
stanno soffrendo allo stesso modo, e perché possa addestrare la
mente nella sublime bodhicitta, sopportando il peso di liberare tutti
quei trasmigratori.
Vi prego
beneditemi perché sia capace di vedere che, se anche ho ricevuto la
bodhicitta, se sono ben addestrato nelle tre moralità, con questa
soltanto non potrò mai raggiungere l’illuminazione, e perché
possa seguire con intenso sforzo, l’ordinazione dei figli dei
conquistatori (i Bodhisattva).
Vi prego
beneditemi perché possa generare presto nella mia mente il sentiero
in cui si uniscono samatha (quiescenza mentale e vipassana (visione
superiore), pacificando la distrazione (causata) da oggetti
ingannevoli e contemplando perfettamente il significato assoluto.
Quando sono
diventato ricettivo, avendo esercitato la mente nel sentiero
generale, vi prego di benedirmi perché possa entrare istantaneamente
nel vajrayana che è il più sublime tra tutti gli yana (sentiero),
il sentiero eccellente degli esseri fortunati.
Vi prego
beneditemi perché possa ricevere la ferma, autentica certezza nella
spiegazione che la base per ottenere i due tipi realizzazioni
(ordinarie e straordinarie) è osservare puramente i voti e le parole
d’onore e proteggerli anche a costo della vita.
Quindi, vi prego
beneditemi perché sia capace di realizzare gli insegnamenti degli
esseri puri senza mai abbandonare lo yoga in quattro sessioni, con
grande sforzo, avendo perfettamente compreso l’importanza
dell’essenza del sentiero tantrico in due stadi.
Vi prego
beneditemi perché i miei guru, che mostrano questo sentiero
eccellente, e gli amici spirituali che lo praticano perfettamente,
abbiano lunga vita, e perché pacifichi tutti gli ostacoli esterni e
interni alla mia pratica del Dharma.
In tutte le mie
vite future possa io non essere mai separato dai perfetti maestri e
gioire del magnifico Dharma e così completare tutto il sentiero ed i
suoi gradi; possa io ottenere velocemente lo stato di Vajradhara.
DEVOZIONE
CONCLUSIVA VERSO IL GURU-Buddha
Mi
prostro a Sakyamuni, guru vittorioso, ti porgo offerte, in te prendo
rifugio.
Om muni muni maha
muni ye so ha
(recitare questo
mantra molte volte)
Per
queste virtù così create , possa io al più presto diventare
Guru-Buddha per poter condurre ogni essere, senza eccezione alcuna, a
quello stesso stato.
***
In
alcuni Centri di Dharma queste pratiche sono cantate in tibetano, ciò
rispetta l’armonia con cui sono state pensate, ma c’è il
problema che non vengono capite. Se si recitano in italiano, invece,
perdono la grande bellezza della poesia, però sono comprensibili,
dovremmo quindi ingegnarci per renderle altrettanto musicali in
italiano.
Non
ha senso salmodiare un testo così pregno di significato senza
comprenderlo, si deve invece cogliere il più possibile il senso di
ogni frase in modo da saper riconoscere nella melodia stessa il
sentimento profondo ispiratore delle parole.
Ogni
monastero, ogni lama, ha il suo modo di salmodiare, di leggere, di
intonare e, anche quando tutti sono riuniti, ognuno canta
diversamente, così come sente il testo.
All’inizio
della pratica questa lettura deve certamente essere fatta in
italiano, deve essere compresa profondamente, perché maggiore è la
comprensione più c’è partecipazione, sensibilità, sentimento, da
cui potrà nascere in seguito l’armonia.
Il
canto è l’espressione della propria realizzazione interiore, non
ci sono regole prestabilite, non si può imparare la melodia seguendo
le note come se si fosse parte di un coro, soggetto a precise
tecniche musicali controllate e dirette dal maestro, in questo caso
il lama.
Mutano
i tempi e le necessità e non è facile conservare il Dharma, farsene
carico mantenendo vigile l’attenzione verso i cambiamenti che
coinvolgono la comunità e il mondo intero.
L’approccio
spirituale corretto è senza dubbio quello di saper curare se stessi,
perché curando se stessi si cura il mondo. Qualsiasi cosa facciamo
che abbia un impatto su di noi, compie inevitabilmente una
trasformazione che ricade sul mondo. E’ fondamentale dunque
comprendere l’essenza del Dharma, perché attraverso di essa si può
fare tutto, in caso contrario ogni cosa diviene enormemente
difficile.
Ritornando
al testo del Jor Chö, constatiamo che se lo leggiamo in italiano non
risulta così armonioso e gradevole, ma se lo leggiamo in tibetano
non capiamo niente e quindi dovremo trovare il modo per far emergere
entrambe le valenze, questo è il metodo corretto che ci permetterà,
con il tempo, di realizzare un buon risultato. Ci sono domande?
Il
Jor Chö, essendo una pratica molto tradizionale, è piuttosto
complicata, quindi non abbiate timore nell’esprimere le vostre
difficoltà, ciò che è emerso nella vostra pratica, il porre
domande può essere utile a tutti.
Domanda: Nella
preghiera per sviluppare correttamente la bodhicitta c’è un punto
in cui dice che bisogna meditare, ma quale tipo di meditazione
dobbiamo applicare?
Risposta:
In questo caso non si intende una meditazione da attuare dopo, ma è
la meditazione sulle parole della preghiera, nel momento stesso in
cui si pronunciano.
Domanda: Resta
però il fatto che io non so cos’è lo “yoga del guru-yidam”
Risposta:
Yidam è la divinità personale e quindi, in questo contesto,
dovrebbe essere riferito al Buddha Sakyamuni.
Nella pratica
Lamrim il punto focale non è la divinità ma il Buddha Sakyamuni. E’
anche necessario evitare una ulteriore confusione, il punto centrale
non è costituito nemmeno dal guru ma sempre dal Buddha Sakyamuni.
Bisogna intendere
chiaramente che non esiste separazione tra divinità personale, guru,
e Buddha Sakyamuni.
Il primo livello è
quello del Buddha Sakyamuni perché il Lamrim è esattamente una
pratica di devozione al Buddha Sakyamuni.
Domanda: Si
può porre al centro un altro Buddha invece del Buddha
Sakyamuni?
Risposta:
Dipende dal tipo di pratica che si fa, c’è ad esempio la pratica
di Amitabha e, in questo caso, il punto centrale sarà il Buddha
Amitabha, ma nel Jor Chö è il Buddha Sakyamuni.
Domanda:
Quando si parla dei Buddha dei tre tempi, presente, passato e futuro,
riferendosi al futuro si possono intendere tutti gli esseri che sono
destinati a diventare Buddha?
Risposta:
La pratica dei sette rami è tratta direttamente dai sutra del Buddha
Sakyamuni e non a caso essa viene definita “il re delle preghiere”,
noi in realtà abbiamo letto il dieci per cento del testo completo
normalmente utilizzato per tale pratica.
Nella prima parte,
dell’omaggio, si riferisce alle dieci direzioni del mondo, ma, in
queste dieci direzioni quanti mondi ci sono?
Le dieci direzioni
sono costituite dai punti cardinali e dalle fasi intermedie
(nord-est, sud-ovest, ecc.) quindi da tutti gli otto punti della rosa
dei venti ai quali cui si devono aggiungere il sopra e il sotto.
Al centro delle
dieci direzioni si trovano coloro che praticano e, dalle
ramificazioni, si sviluppa un numero interminabile di mondi.
Per quanto
concerne questo pianeta il Buddha del presente è il Buddha
Sakyamuni, il quarto dei Buddha esistiti. Gli altri tre sono i Buddha
del passato. Il momento presente è quello in cui agiscono gli
insegnamenti del Buddha storico, il Buddha Sakyamuni.
Il Buddha
immediatamente successivo nel futuro sarà il Buddha Maitreya, a cui
ne seguiranno altri novecentonovantacinque. Ciò indica che siamo
nell’eone (o era) dei mille Buddha.
Le caratteristiche
particolari dei mille Buddha sono specificate nel testo che si
intitola “Il sutra del buon eone”, (o della buona era). In esso
si possono trovare tutte le indicazioni relative alla vita e agli
insegnamenti di ognuno dei mille Buddha. E’ un libro estremamente
noto e diffuso nella cultura tibetana, lo si trova in tutte le
famiglie e viene utilizzato a scopi devozionali, è consuetudine
invitare i monaci per ricevere una corretta lettura e interpretazione
del testo.
Ecco cosa si
intende quando si dice Buddha dei tre tempi.
Nello stesso verso
si parla dei mondi delle dieci direzioni, si immagina che ci sia un
Buddha in ogni atomo ed è un tipo di immaginazione straordinaria, il
re delle preghiere.
Nella frase “in
ogni atomo si trova un Buddha che siede tra gli innumerevoli figli di
Buddha; con sguardo fiducioso mi rivolgo ai vittoriosi che riempiono
l’intero dharmadhatu” si vuole sottolineare, con dharmadatu,
la vacuità, anche la vacuità dei Buddha.
Quindi quanti
Buddha ci sono adesso?
Il Jor Chö non è
facile perché ogni verso introduce approfondimenti complessi. Quando
ci prostriamo non ci rivolgiamo ad un singolo individuo, ma a tanti
quanti sono gli atomi.
Quando ci
prostriamo porgiamo omaggio a tutti i Buddha, quanti sono gli atomi
dell’universo e, nel contempo, dobbiamo immaginare noi come tutti
gli atomi dell’universo.
E’ complesso il
Jor Chö, quindi è bene affrontarlo con la dovuta calma, piano,
piano. I primi versi sono dedicati all’omaggio e sono un modo per
accumulare meriti.
Questo è lo stato
dell’insegnamento del Dharma ai giorni nostri.
Nei versi nel
Abhidharmakosa si dice che il Buddha Sakyamuni è passato oltre, i
grandi maestri che hanno mantenuto vivo il Dharma e lo hanno
trasmesso, sono passati e quindi ,ora, lo stato dell’insegnamento
del Dharma è ben povera cosa.
Noi siamo i
fortunati, attaccati alla coda dell’elefante della storia e
possiamo ancora usufruire di questo insegnamento, una situazione in
cui ci sono vantaggi e svantaggi.
Lo svantaggio è
ci troviamo in una posizione assai precaria, attaccati ad un esile
appiglio, la punta della coda.
Il vantaggio è
che, perlomeno, siamo ancora alla presenza del Dharma e ciò è
comunque uno stato di grande valore e fortuna.
Quando affrontate
il Dharma non pensiate di avere a portata di mano una cosa perfetta e
completa, perché in una simile realtà è ben piccola cosa.
Nella società
tibetana usualmente per cena si presenta una zuppa composta di acqua,
farina di orzo, ossa di animali e, se si può, un po’ di carne, ma
chiaramente, chi non ha molte possibilità economiche, la carne la
centellina con cura ed è molto difficile trovarne un pezzo quando si
affonda il cucchiaio nel brodo.
Così è oggi la
situazione del Dharma, è assai raro incontrare il Dharma ma è
ancora più difficile incontrare il Dharma puro.
Ho ricevuto una
e-mail da una persona che non conosco e che esprimeva forti
preoccupazioni sulla tremenda situazione tibetana. Io ho risposto che
il Tibet antico ormai è finito, il Tibet presente è sotto il
dominio cinese, e il Tibet futuro ancora non è arrivato. Come ogni
cosa il Tibet è impermanente e soggetto a cambiamento. La cosa
migliore è sperare che la situazione si evolva positivamente e,
poiché nessuno conosce il futuro, essere ottimisti è meglio che
essere pessimisti. Il modo migliore per essere di aiuto in situazioni
drammatiche è quello di provvedere alle necessità della popolazione
e dare rifugio con buon cuore. Questo è il servizio pratico e
concreto all’umanità.
Natura di Buddha e realizzazione spirituale
Ogni
volta che abbiamo la possibilità di ritrovarci per praticare il
Dharma è sempre una grande gioia.
L’incontro
nel Dharma significa poter godere insieme di quest’atmosfera ricca
di pace in cui è semplice dimenticare i soliti problemi permettendo
alla nostra mente di diventare più elastica, benedetta dal Dharma, e
quando essa è calma è più facile addestrarla.
E’
necessario dedicare il tempo opportuno per creare quest’atmosfera e
rendere la mente veramente duttile e malleabile.
Ultimamente
sono andato in Nepal dalla mia famiglia e mia madre, che è una
persona profondamente religiosa, mi ha chiesto cosa faccio in Italia;
le ho risposto che sto in casa o mi sposto per dare insegnamenti di
Dharma. Questo l’ha resa estremamente felice perché, come mi ha
fatto notare, i momenti in cui insegno il Dharma sono i più gioiosi
per me perché possono rendere felici anche gli altri, e mi ha
esortato a proseguire su questa strada.
Sono
rimasto profondamente colpito da questo suo consiglio perché a volte
è difficile comprendere realmente se stessi e la propria finzione
nei confronti degli altri; Mia madre invece ha immediatamente colto
l’aspetto più importante e adesso anch’io sono in grado di
vederlo, di poterlo sviluppare il più possibile, e dagli incontri di
Dharma ricevo veramente una immensa gioia.
Mi
ha toccato la sua naturale capacità di cogliere l’essenziale e mi
sono chiesto, quasi stupito, come poteva lei veder che anche il
maestro, vivendo una realtà così preziosa, fosse felice.
Possiamo
essere certi che ogni istante trascorso nel Dharma è un momento
particolare, sperimentiamo una felicità speciale, un’atmosfera
unica che riconosciamo come atmosfera dharmica.
Spesso
viviamo belle esperienze, istanti preziosi, e l’importante è
averne piena coscienza. Il riconoscimento, la consapevolezza,
conferisce un significato superiore a ciò che stiamo vivendo.
Questa
consapevolezza mi è stata donata dalle parole di mia madre.
E’
un insegnamento a non abbassare mai la guardia e a mantenere vigile
l’attenzione, perché spesso le persone più semplici, che non
hanno una particolare preparazione, ci offrono eccellenti consigli.
Mia madre non è istruita, ma ha una mente vasta, aperta, ed è molto
intelligente; Queste persone ci donano insegnamenti unici e ci
arricchiscono.
Nei
monasteri tibetani, succede abbastanza frequentemente che si ricevano
ottimi consigli da persone ignoranti, apparentemente stupide, perché
nella loro semplicità lasciano scaturire l’essenza delle cose e
offrono indicazioni fondamentali. Per questo è necessario essere
umili e imparare ad ascoltarli con attenzione e rispetto. Un
proverbio tibetano recita che discorsi eloquenti possono essere
formulati anche dalla bocca di un bambino. Tutto ciò è molto bello.
Ad
Assisi ho visto un interessante dipinto
in cui sono raffigurati San Francesco sdraiato, un grande filosofo in
atteggiamento dotto e concentrato, e un povero che osserva il cielo
stellato; ciò che emerge immediatamente è la perfetta armonia
dell’insieme, quasi le tre figure fossero complementari, ciò
significa che, indipendentemente dai diversi livelli di conoscenza,
tutti, con uguale capacità potevano comprendere la verità.
Le
qualità spirituali, le realizzazioni, sono presenti in ogni
individuo, si tratta solo di farle emergere. Questo è un punto
primario nella visione buddhista.
Tutti
gli esseri senzienti debbono essere considerasti uguali, perché
tutti possiedono la natura di Buddha. La possibilità data agli
esseri di raggiungere l’illuminazione è chiamata la natura di
Buddha.
Il
testo che stiamo leggendo è il Lamrim, il sentiero che conduce
all’illuminazione e si basa su sei categorie:
- La prima categoria è la causa, indica perché possiamo ottenere l’illuminazione e perché abbiamo la causa dell’illuminazione;
- la seconda è la forma umana, che è la realtà che ha le maggiori possibilità di sviluppare la natura di Buddha o il seme dell’illuminazione. Per far crescere e maturare questo seme la miglior cosa è la forma umana. Il luogo in cui può essere piantato questo seme è la forma umana. Questo è interessante perché se possediamo un seme, ma non sappiamo dove piantarlo esso resta completamente inutilizzato;
- abbiamo un seme, il luogo dove piantarlo, ma occorre il tempo adatto per fare ciò e questa è la terza categoria, la condizione. La condizione è un amico spirituale. Se abbiamo la causa dell’illuminazione, la forma umana che permette lo sviluppo del seme, ma non abbiamo un amico spirituale, non sappiamo come far crescere il seme piantato. La terza categoria è l’amico spirituale che sa come attivare lo sviluppo;
- la quarta è rappresentata dalle istruzioni impartite dall’amico spirituale;
- la quinta è il risultato del seme piantato nella forma umana, coltivato e cresciuto. Il risultato è l’illuminazione;
- Quale sarà la sesta? quando si è raggiunto lo stato dell’illuminazione che cosa c’è ancora da fare? Qual’è il beneficio dello stato dell’illuminazione? E’ l’azione senza le intenzioni ordinarie. Generalmente il compimento di un’azione è la conseguenza di precise intenzioni, invece, nell’illuminazione, l’azione è pura, rivolta al benessere di tutti gli esseri, priva di intenzioni personali.
Sorge
spontanea una domanda: “Se siamo esseri ordinari possiamo
ugualmente raggiungere l’illuminazione?” la risposta è senza
dubbio: SI, perché possediamo il seme dell’illuminazione, o,
detto in altre parole, possediamo l’essenza di Buddha. Quindi
l’essenza di Buddha è posseduta da tutti gli esseri senzienti e si
diffonde in tutti gli uomini così come il burro è contenuto nel
latte, anche se non riusciamo a distinguerlo.
Una
seconda domanda è: “perché tutti gli esseri senzienti hanno la
natura di Buddha?” Per tre ragioni:
- la prima è che tutti gli esseri sono vacui, hanno la natura di vacuità;
- la seconda è che la natura di vacuità non ha differenze;
- la terza ragione è che tutti gli esseri posseggono la natura di Buddha.
Ognuno
è coperto dalla vacuità e non c’è differenza nella natura di
vacuità. Non c’è alcuna differenza tra la natura di vacuità
delle persone, anche se hanno esperienze diverse, realizzazioni
diverse; non esiste tra loro alcuna differenza nella natura di
vacuità.
Tutti
noi possediamo in modo uguale la natura di Buddha. Poiché tutti gli
esseri senzienti hanno la natura di Buddha tutti gli esseri senzienti
sono coperti dalla natura di vacuità.
La
vacuità di un Buddha e la vacuità degli esseri senzienti è la
stessa, non c’è nessuna differenza e questa è la ragione per cui
tutti gli esseri senzienti posseggono l’essenza dell’illuminazione.
La
natura di Buddha non è altro che il potenziale per sviluppare le
qualità del Buddha, di essere illuminato. Questo potenziale è
naturalmente presente in ogni individuo dal tempo senza inizio.
Possedere la natura di Buddha significa possedere il seme
dell’illuminazione.
E’
un argomento molto difficile, ma è essenziale comprendere la natura
di Buddha, il seme dell’illuminazione, perché esso è naturalmente
in noi dal tempo senza inizio ed è il potenziale che ci porterà
all’illuminazione. E’ stupendo! Non c’è bisogno di chiedere
“datemi il seme, la natura di Buddha”, perché essa è già in
noi e, sulla base di questa consapevolezza, possiamo praticare il
Dharma molto facilmente e con vero entusiasmo.
Cos’è
esattamente la natura di Buddha? È qualcosa di fisico? No, è
semplicemente la famosa vacuità. Questa vacuità che copre in ugual
modo ogni cosa, copre il Buddha, copre gli esseri illuminati e gli
esseri non illuminati. Non c’è alcuna differenza tra la vacuità
degli esseri illuminati e quella degli esseri non illuminati.
L’essenza
dell’esistenza degli esseri illuminati e l’essenza dell’esistenza
degli esseri non illuminati è la stessa essi hanno in comune la
stessa natura.
La
natura di Buddha è il seme dell’illuminazione ed è il potenziale
per sviluppare le qualità degli esseri illuminati.
Quali
sono le qualità degli esseri illuminati?
Risposte
(di tutti): la bodhicitta…, l’azione..., la vacuità…, la
compassione..., la semplicità…, la spontaneità…, il distacco…,
la saggezza…, il non attaccamento…, la capacità di insegnare
secondo la capacità di percezione delle persone…, non so…, il
senso della giustizia…, l’equanimità…
Vero,
tutte queste qualità insieme sono importanti. Con la natura di
Buddha innata, nella vacuità, c’è la possibilità di sviluppare
le qualità dell’illuminazione.
La
qualità essenziale degli esseri illuminati è l’amore e la
compassione infiniti, ed esiste una simile possibilità solo perché
c’è la vacuità. Senza la vacuità non potremmo mai sviluppare
nulla di infinito.
Il
Buddha è amore e compassione infiniti e anche se adesso il nostro
amore e la nostra compassione sono limitati, finiti, abbiamo in noi
la potenzialità per svilupparli trasformandoli in amore e
compassione infiniti.
L’amore
e la compassione infiniti devono essere supportati dalla saggezza.
L’amore e la compassione infiniti portano ad azioni spontanee con
tutte le qualità che avete elencato prima, è chiaro?
La
natura di Buddha è un argomento molto importante, è il seme
dell’illuminazione, il potenziale per sviluppare le qualità in
maniera infinita.
Domanda: Che
cos’è la vacuità?
Risposta:
La vacuità è lo spazio che contiene tutta l’esistenza. Poiché
c’è la vacuità c’è l’esistenza e poiché c’è l’esistenza
c’è la vacuità; sono due fenomeni coesistenti. La vacuità è la
sostanza di tutta l’esistenza.
Domanda: Sono
due fenomeni coesistenti o sono due concause?
Domanda:
praticamente è un continuum?
Risposta:
E’ uno spazio che dà tutte le possibilità, è uno spazio
assolutamente utile.
Pratica di Dharma
Come
praticare il Dharma?
Risposta:
Una pratica di vita; non mi verrebbe da dire altro;
Adriana:
Ritornando a casa in metropolitana, leggevo sul libretto una
parte a proposito del karma nella pratica del Dharma e ciò su cui mi
sono soffermata a riflettere è la fondamentale importanza della
motivazione e dell’intenzione delle nostre azioni. Io sono
insegnante e le mie intenzioni, certamente positive, sono sempre
rivolte agli studenti, però qualcosa non funziona, si inceppa
durante il percorso, credo che il problema sia la mia ansia nel
ricercare sempre il risultato che si traduce in impazienza, in un
potenziamento dell’ego perché, se non ottengo immediati risultati,
accuso gli studenti di essere incapaci o io stessa mi sento
inadeguata. Riflettevo dunque sull’importanza della pratica nelle
intenzioni che deve essere sempre accompagnata da una sorta di pace
interiore che nasce dall’abbandono delle illusioni.
Lama:
Vero, molto chiaro.
Renzo:
Non saprei, forse praticare l’ottuplice sentiero….
Lama:
L’ottuplice sentiero è importante, è trasversale a tutto.
Altra risp.:
Io volevo dire che nella mia pratica di vita ho sempre amato leggere
molto, però da alcuni mesi non lo sto facendo perché mi pare più
importante, ora, prestare attenzione ad ogni momento della giornata,
lo sento più essenziale al Dharma perché aiuta ad essere più
vicini alle persone e alle situazioni quotidiane. A volte tendo ad
essere un po’ rigida però, con questo nuovo atteggiamento, sto
imparando ad accogliere le situazioni con naturalezza senza reagire
di impulso, istintivamente, ma fermandomi a riflettere. Questa è una
trasformazione che ho notato in me e che mi permette anche di godere
del piacere di stare da sola mentre prima questo era quasi sempre
motivo di sofferenza.
Fabrizio: Il
Dharma interessa ognuno in maniera diversa e, poiché gli
insegnamenti sono molto vasti e profondi, una cosa certa e
propedeutica a tutto, alla meditazione, alla vita, è
l’accontentarsi. In questo atteggiamento c’è tutto,
l’attenzione, perché tu sai di cosa ti stai accontentando, non si
proietta troppo, non si esclude niente e tutto viene da sé.
Altra risp.:
Qualche giorno fa ho avuto un problema di salute, una seria
infiammazione agli occhi e questo, poiché ho la vista debole,
qualche tempo addietro mi avrebbe preoccupato tantissimo, adesso
invece il mio atteggiamento è stato quello di non preoccuparmi, di
considerarlo un fenomeno transitorio, ho affrontato la malattia in
modo nuovo che mi pare davvero ottimo, vivendo il presente.
Alessandro:
Il Dharma si vive tutti i giorni in ogni momento, restando aperti
agli altri. Ultimamente ho due tipi di problemi: uno è quello di
colpevolizzarmi perché non sono costante nel sedermi e praticare la
meditazione, e a questo proposito sono stato però aiutato dalla
lettura di un libro del Dalai Lama nel quale si dice di unire metodo
e saggezza; il metodo è la pratica delle sei perfezioni e quindi la
generosità, l’etica, la compassione,.. che devono essere praticate
nel periodo “pre” e “post” meditativo. Al di fuori del
periodo meditavo si pratica il Dharma dell’ottuplice sentiero con
le sei perfezioni. Questa visione aiuta a capire che, anche se nella
vita di tutti i giorni non si può praticare la meditazione seduta,
si può praticare ugualmente il Dharma, senza colpevolizzarsi e così
ho ricevuto un incoraggiamento, mi sono sentito spronato a voler
praticare maggiormente. Il secondo problema è quello di essere
troppo assorbito dalle questioni quotidiane di lavoro, dalle
moltissime informazioni con cui si è bombardati, con il pericolo di
non riuscire a distaccarsene. Geshe una volta ha detto: “Se devi
fare una cosa non è detto che tu la debba fare oggi, puoi anche
farla domani, affrontare il problema con calma” Io invece ho
una tendenza ansiosa a voler risolvere tutto e subito. Questi sono i
due elementi su cui sto lavorando nella pratica di Dharma.
Maria Grazia:
Per me il Dharma deve essere praticato nella vita. Non riesco a
pensare a nessuna pratica al di fuori di essa. Con questo non dico
che non ci si debba sedere a meditare, ma per me la meditazione è
uno strumento che permette di focalizzare meglio quello che posso
fare nella vita, la meditazione è un mezzo per ottenere il fine,
l’obiettivo, che è la qualità della vita, naturalmente non solo
per me, ma anche per gli altri. Io pratico per poter dare agli altri
e dando agli altri sto meglio anch’io, è una situazione
assolutamente reciproca. Rispetto a ieri oggi sento di avere compreso
più profondamente la compassione e l’ho potuto verificare nel mio
lavoro che mi pone a contatto continuo con le altre persone, perché
ho imparato a non reagire aggressivamente all’aggressività e alla
provocazione dall’esterno, cosa che prima facevo spesso, sentendo
invece i problemi e le motivazioni dell’altra persona. Questo
aspetto è stato molto importante e ha cambiato totalmente la mia
vita di relazione con gli altri.
Luigi: Per
me è stato cercare di far emergere le qualità che normalmente non
vengono considerate o che, addirittura, sono valutate negativamente.
Ad esempio la pazienza nella società occidentale è un difetto, non
si ritiene giusto essere troppo pazienti o troppo tolleranti. Invece
queste qualità devono essere coltivate perché aiutano a vivere bene
con se stessi e con gli altri, è dunque importante, come se fosse
una specie di esercitazione, non desistere e cercare continuamente di
familiarizzare con i pregi interiori che hanno una grossa ricaduta
sul mondo esterno.
Non
è facile dare una risposta alla domanda“come praticare il
Dharma?”, perché essa dipende esclusivamente dalla condizione
personale, dalle possibilità e dalle capacità di ognuno.
Esistono
varie possibilità per una buona pratica del Dharma e, anche se la
ricerca del meglio è buona e positiva, non bisogna mai forzare le
capacità e possibilità individuali, perché è facilissimo cadere
nella trappola di voler classificare tutto, individuare gli aspetti
che definiscono l’identità di una buona pratica, ritenendo,
erroneamente, che essa debba essere eseguita sempre in un determinato
modo, uguale per tutti. Ma non è assolutamente così, ogni persona
la vive secondo le proprie possibilità.
E’
fondamentale comprendere la misura con cui praticare in rapporto alle
proprie capacità e possibilità così da potersi accostare nel modo
migliore e corretto al Dharma.
E’
anche necessario considerare la propria quotidianità perché il
Dharma deve essere integrato negli impegni di tutti i giorni. Anche
se siamo molto occupati e abbiamo un intenso programma giornaliero
ciò non significa che siamo esentati dal praticare il Dharma, al
contrario, lo dobbiamo introdurre in ogni attività..
Anche
quando siamo malati non dobbiamo accantonare il Dharma, al contrario,
esso deve essere lo spirito all’interno della malattia stessa.
Soprattutto
durante il tempo libero delle vacanze è il momento opportuno per
dedicarci alla pratica Dharma; stando soli, preparando altari,
recitando mantra, meditando. Generalmente invece tendiamo sempre a
sprecare tutto il tempo libero in futilità, ed è un vero peccato,
perché perdiamo un’occasione unica di praticare intensamente.
La
pratica del Dharma non dovrebbe mai essere separata dalla vita
quotidiana, in particolar modo nei periodi di vacanza perché questo
le attribuisce un significato maggiore, e dovremmo sempre riservare
uno spazio per approfondire e potenziare la pratica, perché in caso
contrario è ben difficile farla crescere quando siamo completamente
assorbiti da giornate estenuanti cariche di impegni.
Questi
sono i due modi diversi di praticare il Dharma, uno negli impegni che
affollano le giornate di lavoro, e l’altro nel tempo libero e, in
ogni caso, non bisogna mai separare il dharma dalle attività di
tutti i giorni.
L’intenzione
è un atteggiamento dharmico che deve essere sempre posto all’inizio
di ogni attività.
Domanda:
Quando intraprendo una qualsiasi attività mi chiedo “perché
faccio questo?” è ciò che ho imparato stando con voi. Anni fa,
insegnando a gruppi ebrei di kabalà, il mio si chiamava “Kavannà”,
che significa “l’intenzione del cuore”, avevo un approccio
molto intellettuale, assolutamente diverso, qui invece ho capito,
subendo una trasformazione radicale, che qualunque cosa faccia
l’importante è chiedermi il perché, qual’è l’intenzione. Per
me questo è il cuore del Dharma.
Risposta:
L’intenzione è solo una, qualsiasi cosa facciamo, l’intenzione è
sempre quella di agire per il bene degli altri esseri, non può
essere altra.
Non
è però sempre possibile essere in presenza di Dharma puro, ma anche
soltanto cercando di mantenerne lo spirito, seppur in un’attività
molto stupida, rende possibile la sua trasformazione in qualità
positiva. Quindi, nel momento in cui riusciamo a mantenere
un’attitudine dharmica in tutto ciò che facciamo, le cose
diventano leggere, flessibili, facili da trasformare.
Si
è parlato spesso dei tre momenti, apprendere, riflettere e
contemplare.
Per
quanto riguarda “imparare” lo si può fare in qualsiasi momento
della vita, ogni istante può essere un mezzo per imparare il Dharma,
ogni esperienza può divenire un mezzo di insegnamento del Dharma.
Ogni
esperienza offre la possibilità di riflettere e di meditare sul
Dharma.
Per
questo è fondamentale dedicare una parte del tempo libero alla
pratica del Dharma, altrimenti rischiamo di perderci in migliaia di
faccende senza giungere mai a conclusione e, anche se sappiamo di
dover morire domani, non abbiamo potuto finire nulla.
I
praticanti di Dharma dovrebbero essere preparati a morire in
qualsiasi momento. In ogni istante il tuo diario deve poter essere
chiuso; questo fa parte della realtà dell’impermanenza. Il Dharma
è connesso all’impermanenza, le cose cambiano continuamente e
dobbiamo essere preparati ad affrontarne la realtà.
Inoltre
il Dharma è correlato alla legge di causa effetto. Il fenomeno di
causa effetto è strettamente connesso alla pratica del Dharma.
Una
realtà da tenere in considerazione è rappresentata dai difetti del
samsara. Tutti commettiamo errori, è parte del samsara, però esiste
sempre la possibilità di trasformare le situazioni, e tale aspetto
di flessibilità è anch’esso Dharma. Quando altri cadono in errore
non bisogna dire: “ah è impossibile!...”, perché se
succede significa che è possibile, ma si può riflettere su come gli
stessi errori possano essere trasformati, questo è lo spirito del
Dharma, esiste sempre la possibilità di cambiare.
Un
altro aspetto della legge di causa – effetto da tenere ben presente
è il valore di ogni azione, dobbiamo agire, sempre e comunque, bene,
senza perderci in stupidi conti di quante cose buone si siano fatte o
quanti risultati si siano ottenuti. Se si agisce bene i risultati
scaturiranno naturalmente.
Quando
siamo arrabbiati ci scordiamo completamente dell’impermanenza,
perché se si pensasse all’impermanenza la rabbia scomparirebbe
nello stesso istante.
Quando
siamo arrabbiati dimentichiamo totalmente la legge di causa –
effetto perché, se la realizzassimo, ci calmeremmo immediatamente.
Ugualmente,
dobbiamo rammentare sempre che la sofferenza è una realtà condivisa
da tutti, eppure, quando siamo arrabbiati, ce ne scordiamo perdendo
di vista un punto centrale del Dharma.
Con
la realizzazione di questi tre aspetti sorgono naturalmente in noi
l’amore, la compassione, la semplicità.
Spesso
si parla della consapevolezza della presenza mentale che è
importante, non di per sé, ma in quanto ci rammenta queste tre
realtà. La pratica del Dharma è esserne consapevoli in tutti i
momenti della vita.
Così
non c’è più spazio per la negatività, siamo rilassati, e la
nostra vita subisce una trasformazione positiva. Questi tre punti,
strettamente connessi al Dharma, non sono qualcosa da noi creato, ma
uno stato di fatto, una realtà con cui ci dobbiamo confrontare
sempre.
Praticare
il Dharma nel tempo libero è mantenere la presenza mentale di queste
tre realtà, mitigando così le forti emozioni quotidiane
strettamente connesse all’ego.
La
presentazione delle offerte fa emergere la generosità e ad essa
possono collegarsi naturalmente molteplici qualità spirituali, anche
solo con il semplice gesto di accendere una candela.
E’
fondamentale mantenere vigile la consapevolezza, le stesse statue non
devono essere considerate soltanto decorazioni, in modo che,
osservando una statua del Buddha, immediatamente riportiamo alla
mente i suoi insegnamenti, ricordiamo le quattro nobili verità, e,
accendendo una candela, lo ringraziamo per questo suo inestimabile
dono. Anche se non abbiamo conosciuto personalmente il Buddha le sue
parole, ancora oggi, si rivelano estremamente utili e preziose e
dunque il nostro piccolo gesto, così colmo di significato, diventa
automaticamente una buona pratica.
A
casa della mia famiglia non c’è giorno in cui non si accendano
candele e incensi, può non esserci cibo, ma l’offerta al Buddha
non manca mai, perché è forte la fede nelle tre realtà della
sofferenza generale del Samsara, della legge di causa effetto, e
dell’impermanenza. Accendere la candela non è sprecare dell’olio
ma accumulare meriti positivi.
Anche
pulire la stanza, presentare offerte, sono attività propedeutiche
alla meditazione; è difficile poter meditare senza i preparativi
accurati dello spazio esterno, perché tramite essi si predispone la
mente ad una serena pratica di meditazione intensa.
I
simboli, i segni, hanno significato quando noi ne conosciamo il senso
profondo, altrimenti, anche se abbiamo una preziosa statua d’oro
del Buddha, essa è priva di significato, è un banale oggetto da
museo. La differenza è enorme.
Possiamo
dedicare il tempo libero alla pratica del Jor Chö, preparare con
cura lo spazio esterno e poi preparare lo spazio interiore. Non
importa se all’inizio sarà molo imperfetto, ciò che conta è
farlo con apertura senza preoccupazione.
Oggi,
nella tradizione e cultura orientale impariamo queste cose osservando
e aiutando coloro che le fanno, in questo contesto però, poiché non
abbiamo l’abitudine all’osservazione, sarebbe difficile
organizzare un seminario sull’argomento, e, in ogni caso non ce ne
preoccupiamo perché impareremo ugualmente, poco per volta, piano
piano. Se ci focalizzassimo rigidamente su questi aspetti formali e
non indispensabili dovremmo programmare corsi per tutte le cose: per
imparare a realizzare il mandala, a suonare le campane, ecc.. ma
tutto ciò sarebbe per noi un segno di degenerazione.
L’importante
è lo spirito, la preparazione interiore, senza alcun tipo di
strumenti, solo una visualizzazione semplice e chiara. Io preferisco
la pratica in cui gli unici supporti sono il Buddha e alcune offerte
da usare come oggetto della meditazione.
Perché
se rincorriamo la coreografia degli strumenti trasformiamo la pratica
in uno spettacolo da portare al teatro dell’opera, ma perdiamo
completamente la meditazione. Attenzione, sarebbe molto facile
perdere il Dharma invece di afferrarlo.
Domanda: Qual’è
la differenza tra le scuole buddhiste, ad esempio tra la corrente dei
Theravada e le scuole tibetane?
Domanda: Io
credo che sostanzialmente non ci sia alcuna differenza, sono la
stessa cosa, espressa secondo usi e costumi della cultura in cui sono
inseriti.
Domanda: E’
un po’ come nel cattolicesimo, il Padre il Figlio e lo Spirito
Santo, sono sostanzialmente la stessa cosa.
Risposta:
Esattamente, la differenza sorge solo dai limiti del linguaggio,
esistono tanti linguaggi quante religioni. Ognuna di esse si esprime
secondo i parametri della cultura in cui è immersa. Se così non
fosse ci potrebbero essere solo Bodhisattva buddhisti, o santi
cattolici, invece i Bodhisattva e i santi appartengono a tutte le
tradizioni religiose.
Domanda: Questa
commistione di principi può creare qualche impedimento alla
realizzazione finale del dharma?
Risposta:
L’armonia è il Dharma, oggi sarebbe impossibile dare definizioni
esclusive per ogni religione, forse era così nel passato, ma ora non
ha proprio senso, le differenze sono solo dovute ai limiti umani
nell’esprimere questi grandi principi. Diversamente un buddhista
potrebbe dire io so tutto sul buddhismo, ma questo non è vero,
oppure, un cristiano potrebbe dire io so tutto sul cristianesimo, ma
anche questo non è vero; sono le istituzioni che determinano i
limiti. Se conoscessimo tutto il buddhismo o tutto il cristianesimo
saremmo già degli illuminati, dei Buddha.
Domanda:
Quest’estate ho letto un libro del Dalai Lama, una raccolta dei
suoi discorsi, e una cosa che mi ha stupito positivamente è la sua
affermazione del principio di grande tolleranza verso tutte le
espressioni spirituali, con un invito particolare rivolto a tutti,
soprattutto agli occidentali, di non forzare la propria natura, la
propria identità culturale con strane conversioni. Lui afferma la
necessità di portare avanti naturalmente il processo spirituale che
non può che affondare nella propria cultura pur facendo propri i
principi buddhisti che sono universali e che ritroviamo in tante
religioni.
Risposta:
Molto bene.
Bodhicitta e praticà della generosità
L’argomento
di oggi è la bodhicitta. Comunemente riferendosi ad essa, si intende
quella convenzionale, cioè l’aspirazione ad ottenere
l’illuminazione per poter aiutare tutti gli esseri senzienti a
raggiungere lo stesso obiettivo.
Ma
nei testi, nei sutra e nei commentari, si fa spesso riferimento a due
diverse bodhicitta:
- la bodhicitta convenzionale;
- la bodhicitta ultima, cioè la mente dell’illuminazione che ha realizzato la comprensione della vera natura della realtà.
Un’altra
definizione che viene data è:
- il metodo, che corrisponde alla bodhicitta convenzionale;
- la saggezza, che corrisponde alla bodhicitta ultima.
E’
dunque sempre necessario distinguere a quale delle due bodhicitta ci
si riferisce.
La
bodhicitta convenzionale si presenta a sua volta su due livelli:
- Il livello dell’aspirazione;
- livello dell’impegno.
La
bodhicitta dell’aspirazione sottintende che ancora non si abbia un
impegno in alcun tipo di pratica, essa rimane al momento solo su un
piano ideale.
Ma
quando la bodhicitta penetra profondamente nel cuore si trasforma
nell’impegno della pratica.
A
volte leggiamo riguardo ai Bodhisattva, che c’è un’aspirazione,
un sentiero del Bodhisattva e ciò corrisponde sia al livello
dell’aspirazione che a quello dell’impegno. La bodhicitta
dell’aspirazione si manifesta a livello mentale, mentre quella
dell’impegno consiste nell’applicazione nelle sei perfezioni, o
paramita.
Santideva,
nel Bodhicaryavatara, chiarisce questo concetto con questo esempio:
“la bodhicitta dell’aspirazione corrisponde al desidero di
recarsi in un determinato luogo e la bodhicitta dell’impegno è
invece l’ andare concretamente, il movimento verso quel luogo”.
Onde
evitare fraintendimenti e confusione è importante riconoscere,
leggendo sui testi argomenti riguardanti la bodhicitta, a quale di
queste suddivisioni essa appartiene.
Riassumendo:
la bodhicitta è suddivisa in bodhicitta convenzionale e bodhicitta
ultima.
La
bodhicitta convenzionale è a sua volta suddivisa in bodhicitta
dell’aspirazione e bodhicitta dell’impegno.
Bodhicitta
è uno dei termini più importanti della pratica mahayana, che ne
comprende tutti e tre i livelli.
Con
la bodhicitta dell’impegno ci si riferisce all’applicazione delle
sei paramita e delle dieci paramita.
La
pratica della bodhicitta è inclusa nelle sei paramita perché tutte
le qualità del Buddha risultano dalle due accumulazioni.
Le
sei paramita costituiscono la completezza delle cause per realizzare
le qualità del Buddha.
Tutte
le qualità del Buddha risultano dalle due accumulazioni e le due
accumulazioni sono completate dalle sei paramita.
La
pratica del Bodhisattva e la bodhicitta dell’impegno si attuano con
le sei paramita. Delle sei paramita, le prime cinque: la generosità,
l’etica, la pazienza, la perseveranza entusiastica e la
concentrazione sono accumulazione di meriti, la sesta, la saggezza
costituisce accumulazione di saggezza.
La
generosità è l’offrire il proprio corpo, i propri beni e le
proprie virtù a tutti gli esseri dei tre tempi, senza avere alcun
attaccamento.
La
generosità presenta tre livelli:
- la generosità dei beni materiali;
- la generosità del Dharma;
- la generosità della protezione.
Nel
testo di Geshe Potowa la generosità materiale viene spiegata con
cinque esempi:
Il
primo è conosciuto come “la pelle del serpente”. Quando il
serpente cambia pelle lascia quella vecchia dove si trova e se ne va
senza alcun attaccamento. Ciò significa che quando si dona qualcosa
non è bene voltarsi indietro rimpiangendo ciò che si è lasciato,
ma bisogna allontanarsi, senza attaccamento, come il serpente.
Il
Bodhisattva non ha attaccamento alcuno e, per quanto ci riguarda, la
generosità non consiste solo nel dare oggetti ma soprattutto nel non
esserne attaccati. Questa è l’essenza della generosità.
Un
altro esempio che risale a tempi molto antichi, parla di due uomini
in competizione tra loro per dimostrare chi dei due fosse più
generoso. Entrambi offrivano tutto ciò che avevano fino a quando uno
dei due, rimasto senza nulla, decise di abbandonare anche i desideri
e divenne monaco. Nella rinuncia totale, senza più attaccamento
alcuno, nemmeno al concetto di generosità, divenne naturalmente il
vincitore.
Il
secondo esempio riguarda gli animali selvatici della foresta che non
hanno possedimento alcuno, costretti a vagare continuamente senza
riparo; similmente, la generosità del Bodhisattva è lasciare ogni
cosa, non possedere nulla, nemmeno un posto sicuro in cui poter
riposare.
I
terzo esempio narra di un proprietario di case, tanto ricco quanto
avaro. U giorno però qualcuno gli fece notare che la sua generosità
consisteva nel dare passando le ricchezze da una mano all’altra di
se stesso. Resosi conto dell’inutilità del suo agire, cambiò e
divenne una persona molto generosa.
Con
ciò si intende che ognuno può praticare la generosità, sempre,
anche cominciando con il dono di piccole cose.
Il
quarto esempio riguarda un monaco avido, attaccato ai propri beni e
con grandi desideri di possederne sempre di più. Un suo amico,
stanco di un atteggiamento così stolto, un giorno gli disse: “io
ti offro tutte le cose che ho a patto che tu non ne desideri il
possesso, fino a quando però tu dici che vorresti quello o
quell’altro io non ti darò nulla.” Allora il monaco, riflettendo
sulle parole dell’amico, cambiò veramente atteggiamento interiore
e dicendo sinceramente a se stesso “non voglio nulla, non desidero
nulla”, trasformò il proprio atteggiamento mentale e divenne una
persona buona e generosa. Pure questa è pratica della generosità.
La
generosità dunque può nascere anche dalle parole.
Un’altra
storia riguarda Atisha che, essendo venerato da molti, riceva ingenti
offerte. I suoi discepoli, incuriositi gli domandarono che cosa ne
avrebbe fatto ed egli rispose serenamente che, per quanto lo
riguardava, egli non aveva ricevuto alcuna offerta, allora ressi
insistettero: “dunque a chi darai tutte queste cose?” Allora
Atisha, che era particolarmente esperto nella pratica della
generosità, disse: “non importa a chi si da, quello che realmente
conta è il dare.”
Nell’azione
della generosità ci sono tre soggetti:
- la persona che dona, il donatore;
- l’oggetto della donazione;
- l’atto del donare.
Bisogna
comprendere bene che tutti e tre i soggetti sono vacuità. La vacuità
è la loro realtà vera.
Questo
è il modo di praticare la generosità dei beni materiali.
Un’altra
storia riguarda un Lama in India, che riceveva molte visite di
persone provenienti dai villaggi vicini, ma lui non aveva nulla di
materiale da offrire, né cibo, né altro, allora dava loro
insegnamenti di Dharma.
Nell’insegnare
il Dharma la generosità del Dharma sorge dalla bodhicitta
dell’aspirazione e, il Lama, nello stesso momento, riconosce in
tutti gli esseri senzienti la natura del Buddha, consapevole che le
oscurazioni mentali che essi possono mostrare sono temporanee.
L’insegnamento
del Dharma ha l’obiettivo di dissolvere le oscurazioni mentali
temporanee delle persone che ricevono tale dono, in modo che possa
essere liberata la realtà ultima, la natura di Buddha, già viva e
presente in ognuno..
Questo
è il modo di praticare la generosità del Dharma.
La
generosità del Dharma consiste nel chiarire, nello spiegare il
Dharma e vi sono tre diversi modi per farlo:
- Dare l’aspetto terminologico, linguistico del Dharma;
- Dare il significato del Dharma;
- Dare i testi del Dharma.
Se
si è ancora lontani da elevate realizzazioni suggerisco di non
tentare di dare agli altri insegnamenti di Dharma, ma di concentrarsi
nella purificazione della propria mente.
Nell’antica
India c’era un monaco molto generoso, gentile e compassionevole che
leggeva i testi del sutra, non per insegnarli ad altri, ma per la
propria realizzazione spirituale, però mentre lui leggeva c’erano
nell’aria esseri invisibili che ascoltavano, traendone grande
beneficio; questo è Dharma. Quindi anche se pratichiamo il Dharma,
leggiamo i sutra per il nostro avanzamento spirituale, se lo facciamo
con compassione, amore e gentilezza, automaticamente esso diventa
generosità del Dharma.
Quando
si legge il Dharma con lo spirito della generosità del Dharma,
automaticamente, gli esseri invisibili, i naga, che ascoltano ne sono
felici e ci aiuteranno.
La
terza generosità è la generosità della protezione.
Se
una persona con importanti realizzazioni protegge gli altri e opera
per il loro benessere, conforta e rende naturalmente felici tutti
coloro che hanno la fortuna di incontrarla.
Mettendo
in atto la generosità della protezione verso animali, persone, o
chiunque sia meno capace di noi, rendiamo automaticamente felici
tutti questi esseri con la sola nostra presenza.
La
generosità della protezione è offrirla chi è meno capace, meno
potente, e infonde a tutti gioia eliminando ogni paura.
Questo
è il saper dare la generosità della protezione.
Un
esempio evidenzia questo concetto: Se ci trovassimo soli, in una
regione deserta, sconosciuta, nota per la presenza di banditi e
rapinatori, e vedessimo in lontananza avvicinarsi una persona
sconosciuta avremmo una immediata reazione di paura, ma quando,
nell’avvicinarsi, riconoscessimo in essa un monaco o un prete ci
sentiremmo subito rassicurati. Poter trasmettere questa sensazione ad
altri è la generosità della protezione.
Geshe
kadampa Potowa era molto abile nel trasmettere il Dharma usando una
gran quantità di chiarissimi esempi. Tutto il Lamrim e il Lojong
viene così insegnato in questo testo.
Abbiamo
presentato la generosità dei bei materiali, del Dharma e della
protezione attraverso esempi semplici e chiari e questo è un metodo
molto originale ma efficace di spiegare il Dharma. Alcuni esempi sono
strettamente connessi alla cultura tibetana e forse non è sempre
facile darne una spiegazione esauriente, in ogni caso sono
importanti, non dimentichiamoli.
Lama: Qual’era
il primo esempio?
gruppo: la
pelle del serpente….
Lama: Si, i
primi cinque esempi appartengono alla generosità dei beni materiali,
poi ne abbiamo due per la generosità del Dharma e altri due per la
generosità della protezione. Il secondo esempio?.... Il primo
esempio era la pelle del serpente, il secondo gli animali selvatici
che non posseggono alcun rifugio, il terzo è il proprietario di
case, il quarto il monaco con tantissimi desideri, c’è poi
l’esempio di Atisha che insegna con grande abilità l’importanza
del dare indipendentemente dagli esseri a cui si da, e, infine,
l’esempio delle persone in competizione per il primato di
generosità finché uno dei due, divenendo monaco, risulta essere il
vincitore.
Il
titolo dell’interessante testo di Geshe Potowa potrebbe essere così
tradotto: “L’unione dei gioielli degli esempi del Dharma”, è
l’unico insegnamento dato esclusivamente con esempi.
Un
esempio si chiama “Ama ani” che significa, “Madre, sono io” e
narra la storia di una pigra ragazza che, sposandosi, era andata a
vivere nella casa del marito, ma un giorno, afflitta, torna a casa
dalla madre e dice “mamma io ho molti problemi”. Ciò significa
che, se entrando nel Dharma incontriamo troppe difficoltà, è un
segno che non abbiamo sufficiente accumulazione di meriti.
Un
giorno un giovane monaco giovane andò da Geshe Potowa e gli chiese
come riuscisse a trovare esempi tanto semplici quanto chiari e
comprensibili nel suo insegnamento e lui rispose tranquillamente: “io
ricevo questi esempi dal maestro Wormga”.
Ma,
ci domandiamo, chi è il maestro Wormga? Infatti egli non esiste nel
mondo fisico, con questa risposta Geshe Potowa si riferiva alla
propria conoscenza personale, al maestro interiore.
Ciò
significa che se noi sappiamo avere consapevolezza della realtà
esterna appariamo agli altri come maestri e questo è un segno di
avere una buona comprensione del Dharma.
Gli
esempi raccolti nel libro di Geshe Potowa sono scaturiti direttamente
dalla sua coscienza e io sono assolutamente affascinato da questo
metodo di insegnamento; è divertente usarlo nel contesto tibetano,
ma trasporlo nella realtà occidentale può essere davvero
complicato, chissà, forse un giorno riusciremo a trovare esempi
italiani altrettanto incisivi e diventare come Geshe Potowa!....
Grazie.
1
Testo insegnato dall’erudito monaco Lobsang Drakpa Pal (Tsong
Khapa) a Tsa Kho Vonpo Ngawang Drakpa. La traduzione inglese e le
note sono di Geshe Gedun Tharchin. La traduzione italiana è stata
curata dall’istituto Lamrim di Roma.
2
Lama (termine tibetano, in sanscrito Guru), guida o maestro
spirituale. Letteralmente “ricco di qualità spirituali”.
3
Bodhisattva (termine sanscrito): colui che possiede la Bodhicitta.
4
Liberazione (in sanscrito Moksha): eliminazione di tutte le emozioni
afflittive o illusioni, ottenimento dello stato di Arhat, il
sentiero della fine dell’apprendimento del sarvakabuddha e della
pratyekabuddha.
5
Piaceri dell’esistenza mondana: piaceri dominati
dall’attaccamento ai piaceri dei sensi
6
Circostanze favorevoli e la fortuna: avere delle buone opportunità
e condizioni per praticare il Dharma.
7
Fortunati: coloro che hanno incontrato il Dharma e sono capaci di
praticarlo.
8
Rinuncia: autentica intenzione di abbandonare il samsara e
raggiungere il Nirvana.
9
Oceano dell’esistenza (in sanscrito samsara, in tibetano khor wa):
attaccamento alle apparenze di questa vita, interesse per gli
aspetti riguardanti la vita presente.
10
Samsara (termine sanscrito): gli aggregati impuri di un essere
senziente, che da tempo senza inizio hanno luogo al ciclo di morte e
rinascita a causa dell’illusione e del karma e hanno reso gli
esseri senzi9enti carichi delle sofferenze dei sei regni fisici e
spirituali.
11
Attaccamento alle apparenze delle vite future: interesse per gli
aspetti riguardanti le prossime vite nel samsara.
12
Aspirazione alla più alta illuminazione (in sanscrito Bodhicitta,
in tibetano jang chub kyi sem).
13
Insuperabile Bodhi: lo stato di Buddha.
14
Bodhicitta (termine sanscrito): autentica aspirazione a raggiungere
la completa illuminazione allo scopo di portare tutti gli esseri
senzienti allo stato di completa illuminazione.
15
Quattro potenti fiumi: rinascita, invecchiamento, malattia e morte.
16
Karma (termine sanscrito, in italiano azione, in tibetano les): una
sottile impronta nel continuum mentale proveniente da esperienze
precedenti, la quale da impulsi ad azioni mentali e fisiche.
17
Attaccamento al Sé (in tibetano dag zin): percezione errata che si
attacca all’idea di un Sé o di un io intrinsecamente esistente.
18
Tre sofferenze: sofferenza del dolore, del cambiamento e della
condizione.
19
Madri: tutti gli esseri senzienti, i più cari, quelli che ci hanno
recato più benefici.
20
Intenzione altruistica di divenire un Risvegliato: in questo
contesto si riferisce al Bodhicitta
21
Saggezza: realizzazione della Vacuità.
22
La vera natura delle cose: la realtà ultima dell’esistenza delle
cose, vacue di un’esistenza intrinseca.
23
Radice del samsara: l’ignoranza, il non vedere la verità, opposta
alla saggezza.
24
Origine interdipendente (in tibetano ten byung): la realtà
dell’esistenza delle cose e degli eventi, che esistono in modo
interdipendente.
25
Nirvana. Al di la della sofferenza, cessazione della sofferenza.
26
Apparenze, ovvero l’inevitabilità dell’origine
interdipendente: realtà convenzionale o verità convenzionale.
27
Vacuità, ovvero la non-asserzione: realtà ultima o verità ultima.
28
Pensiero di Buddha Shakyamuni: la natura non duale delle due verità.
29
Visione: realtà ultima.
30
Estremo dell’esistenza: l’idea che le cose esistano solo in
maniera intrinseca o da sé .
31
Apparenza: visione comune.
32
Estremo della non-esistenza: l’idea che le cose non esistano, se
non esistono in maniera intrinseca.
33
Vacuità: la vera natura dei fenomeni, non esistenti in maniera
intrinseca.
34
Visioni estremiste: Nichilismo ed Eternalismo.
35
Tre aspetti principali del Sentiero: Rinuncia, Bodhicitta e
Saggezza
36
Perseveranza entusiastica: sforzo gioioso nella pratica del Dharma.
37
Meta finale: illuminazione competa, stato di Buddha.
38
Figlio mio: direttamente rivolto al suo discepolo T.N.D. - ma
indirettamente a tutti coloro che desiderano realizzare i tre
aspetti del sentiero.