La natura di Sofferenza
Le Terre dei Bodhisattva di Asanga
Insegnamenti di
Lama Geshe Gedun Tharchin
Assisi, 21-23 maggio 2010
****
“Conoscere
la sofferenza significa conoscere profondamente l’amore e la
compassione, la vastità del cuore, e questa è la gioia, la
soddisfazione, il senso della vita.”
Geshe
Gedun Tharchin
****
La
natura di Sofferenza
INDICE
I
Principi del Dharma
I
Quattro Pensieri Incommensurabili
Asanga
– “Le Terre dei Bodhisattva”
I primi
sei tipi di sofferenza descritti da Asanga
Dieci
categorie di sofferenze
Conclusioni
******
I principi del Dharma
Un saluto a tutti, è
sempre un grande piacere ritornare in questa casa e ritrovare tanti
amici che nutrono sincero interesse per la ricerca spirituale, evento
che imprime autentico significato alla comunità, al Sangha.
E’ importante
condividere questo valore con generosità, con altruismo in
un’attitudine che potenzia il proprio sviluppo; la condivisione è
il metodo con cui accrescere ogni qualità in se stessi, risponde
alla natura interdipendente, alla legge di causa effetto, ma per
poterlo fare è necessario innanzitutto riconoscerlo, e ciò non è
affatto facile, - come individuarlo dunque? Il valore e i principi
coincidono, il valore umano è la dignità, è tutti i principi di
vita che costituiscono una risorsa indispensabile alla stabilità
mentale e che in questo contesto sono il Dharma, parola sanscrita
intraducibile; riconoscere il proprio valore è riconoscere il
Dharma, non come entità esterna, ma in se stessi, un impegno
veramente arduo, attuabile solo tramite la meditazione, la
riflessione, la contemplazione.
Verificando il
proprio cuore sarà possibile riconoscere il proprio Dharma, ma cos’è
questo cuore? certamente non ci si riferisce a quello fisico, bensì
all’attitudine spirituale di amore e compassione, il più elevato
significato nell’esistenza umana.
Non è facile
discernere in se stessi il Dharma, non si tratta di avvertire le
emozioni in tutta la loro potenza, di seguire sentimenti effimeri, si
tratta di amore vero, autentico, stabile, è il principio della
propria vita, la dignità, e deve necessariamente essere condiviso
con gli altri in ogni momento e in tutte le ordinarie attività
quotidiane.
Cosa sono l’amore
e la compassione universali? non certamente il sentimento che
proviamo nei confronti delle persone care, vanno ben oltre, sono una
realtà solida, genuina, duratura, già presente in ognuno di noi,
dobbiamo soltanto discernerne i segnali e nutrirla, farla crescere.
Noi siamo
costantemente turbati dalla sofferenza, dai dispiaceri, dai dubbi,
dall’insoddisfazione, dal rancore, dall’attaccamento, poiché non
abbiamo ancora realizzato in noi stessi l’amore universale e la
generosità altruistica, dunque l’insoddisfazione incessante che ci
sfinisce non è causata dalla mancanza di oggetti materiali, dalla
impossibilità di realizzare i desideri mondani, bensì dall’assenza
di amore e compassione.
Non pretendiamo di
possedere la perfezione dell’amore di Dio o di Buddha, è
sufficiente sviluppare il nostro piccolo amore umano, purché sia
puro, altruistico, disinteressato, disponibile, dobbiamo abbandonare
la rincorsa affannosa e quasi esclusiva verso gli oggetti mondani,
poiché in questo modo incrementiamo e rafforziamo soltanto la
frustrazione di desideri futili e regolarmente inappagabili.
La nostra vita è
nella natura di sofferenza, e amore e compassione sono l’elemento
essenziale che vi imprime un senso profondo, altrimenti tutto sarebbe
davvero inutile e sprecato nell’illusione.
La sofferenza è
inevitabile, ogni istante ne è impregnato, dobbiamo semplicemente
imparare a vederla, a meditarla, malgrado l’attitudine mondana
della società moderna suggerisca esattamente il contrario, escogiti
ogni mezzo per evitarla e inventi oggetti sempre più sofisticati
utili a stordirsi, ignorando che questo è il metodo sicuro per
affondare sempre più nelle sabbie mobili della sofferenza stessa.
E’ invece
importante esercitarsi quotidianamente ad osservare la sofferenza, a
scavare in se stessi, e ogni sera fermarsi a contare, ad analizzarne
la quantità, le tipologie, sapendo che questo è la difficoltà
fondamentale dell’umanità.
Oggi si investiga
minuziosamente nei molteplici campi della scienza, ma nessuno vuole
affrontare seriamente una ricerca sull’infelicità che pure è la
causa prima di ogni problema nella condizione umana, la medicina
moderna ad esempio rivolge spasmodicamente ogni energia per
nascondere, per negare l’esistenza del dolore, e in questo modo
l’aumenta a dismisura. La malattia fa paura a tutti, ma non serve a
nulla nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, dobbiamo
accoglierla come parte della vita, così come la morte.
Ognuno deve compiere
questa ricerca in se stesso, non è possibile meditare sulla
sofferenza altrui, è necessario osservarla nella profondità del
proprio essere.
Una domanda
essenziale che dobbiamo porci è: “Perché l’amore e la
compassione sono importanti?” - “Per darci ricchezze e beni?” -
No, affatto, in quanto la vita è natura stessa di sofferenza e
soltanto l’amore e la compassione sono in grado di rendere gioiosa
questa innata condizione.
È sbagliato
considerare la sofferenza come evento esclusivamente negativo, frutto
del peccato; qualsiasi azione è permeata da insoddisfazione, da
malattie sempre più misteriose e diffuse, da pene immense e dunque
dobbiamo affrontare questa realtà consapevolmente, vivendo ogni
istante di vita pienamente, accogliendone il senso profondo, sapendo
che è preziosa occasione di crescita.
Non servono a nulla
le sovrastrutture, le etichette dietro cui si barricano le
confessioni religiose, l’unico messaggio autentico di Buddha, di
Cristo, di Dio, è amore e compassione.
Esiste un ulteriore
motivo che imprime la natura di sofferenza alla vita, ed è
l’impermanenza di tutte le cose.
E’ un errore
comune e grave quello di proiettare le proprie paure e i desideri su
un futuro ignoto, temere l’inferno e aspirare al paradiso.
L’inferno e il paradiso sono già qui, questa è la nostra
opportunità per comprendere, per vivere pienamente, cosa avverrà
dopo la morte nessuno lo sa e non ha importanza, ciò che conta è
non sprecare la meravigliosa opportunità della vita presente e
concreta.
Riconoscere la
natura di impermanenza della realtà è fondamentale, tutto è
impermanente, noi sprechiamo l’intera esistenza per rincorrere le
ricchezze, il denaro, illudendoci che questo sia il senso della vita,
ma in un solo istante tutto svanisce, il nostro stesso corpo è
fragilissimo.
La principale causa
di sofferenza è ritenere che ciò che appare ai nostri sensi sia
permanente, mentre ogni evento si trasforma, vola via in un soffio,
si è appena nati e già si comincia a morire. L’attaccamento a
queste illusioni è innaturale e per questo soffriamo, la nostra vera
natura è dare, condividere con compassione, con amore universale,
tutti siamo allo stesso livello, non c’è ragione di alimentare
emozioni distruttive quali l’invidia, la gelosia, la rabbia,
l’attaccamento, ogni essere è immerso nell’identica condizione
di sofferenza.
Non dobbiamo
meditare per raggiungere l’illuminazione o il nirvāna il più
presto possibile, ma piuttosto fermare il pensiero, giorno e notte,
sulla sofferenza dell’umanità che tutto permea in assoluta
equanimità e sviluppare autentici amore e compassione, così è
stata la vita di Gesù Cristo, di Buddha, di San Francesco e di tanti
altri. Questo significa trasformare la vita nei principi e nel valore
del Dharma.
La morte e
resurrezione del Cristo rappresenta la sofferenza dell’umanità, la
vita è sofferenza, è chiarissimo e immenso il messaggio del
crocifisso anche se purtroppo molti cristiani, chiusi in una visione
fanatica, lo fraintendono non comprendendone l’essenza vasta e
completa.
È
fondamentale e magnifico meditare sul significato profondo della
passione, crocifissione e resurrezione di Gesù Cristo, i tre
elementi fondamentali del cristianesimo. La sofferenza si trasfigura
nella resurrezione, nel paradiso, nella purezza, il dolore si tramuta
in amore; il meccanismo è questo, non si tratta di miracoli lontani,
di magia, di sublimazioni, mostra in completezza assoluta la realtà
della natura di sofferenza della vita umana e si trasforma nella
natura amorevole della compassione; dalla croce alla resurrezione.
E’ essenziale
meditare consapevolmente e incessantemente sulla natura di sofferenza
della vita e sull’impermanenza della realtà sapendo che tutto è
uguale, perfettamente equanime, perché ignorare questo significa
andare incontro a tragedie ben più devastanti, ad esempio i
terremoti ci sono sempre stati sulla terra, ma ora a causa
dell’avidità, degli interessi del mercato, quando accadono
provocano un’infinità di morti. Un tempo in Tibet si viveva in una
tenda con qualche yak e capra, serenamente, e quando succedeva un
terremoto nessuno si faceva male, ora invece morte e distruzione sono
incalcolabili, le case mal costruite crollano seppellendo tutto.
Questo è soltanto un piccolo esempio, ma tutto il comportamento
umano egocentrico e insensato sta provocando danni inimmaginabili.
Domanda: Hai
detto una cosa importante e vorrei essere certa di non fraintendere:
la sofferenza vissuta consapevolmente porta immancabilmente
all’amore, quindi il risultato della sofferenza è l’amore;
mentre il risultato della fuga dalla sofferenza porta alla
distruzione sia delle persone che del pianeta? Soprattutto noi popoli
ricchi che stiamo usurpando e consumando più risorse di quanto la
terra disponga per produrre spasmodicamente tecnologie sempre più
sofisticate e già obsolete dopo qualche mese, siamo responsabili di
questa disintegrazione che coinvolge tutti?
Lama: Si,
questa è la realtà, la legge di causa effetto. Viviamo in tempi
degenerati e oscuri, nel Kali-Yuga, e più aumenta la crisi provocata
dagli interessi di pochi, più cresce la sofferenza di molti,
aggravata dall’incoscienza diffusa e dall’incapacità di vederla,
di riconoscerla. Siamo così ciechi e ottusi che non in nessun caso
ammettiamo la nostra individuale e personale responsabilità, di
fronte a qualsiasi problema cerchiamo prontamente un colpevole
esterno, e in questo modo creiamo le condizioni affinché nulla possa
cambiare, aggraviamo la condizione interiore e nutriamo, potenziamo,
la sofferenza nostra e altrui, invece è indispensabile che ognuno
assuma le proprie responsabilità, soprattutto a livello spirituale.
Questi sono tempi
oscuri, e ognuno deve trovare in se stesso la via per praticare il
Dharma, non esiste uno schema prestabilito né rigide e
immodificabili preghiere, è necessario adattare la pratica alle
condizioni del mondo attuale con consapevolezza amore e compassione;
Milarepa, San Francesco trovarono i giusti mezzi e praticarono
secondo le esigenze e le possibilità della loro epoca.
Quando siamo colpiti
dalla sofferenza, quanto più grande è tanto più dobbiamo
concentrarci su di essa, sviscerarla dalla sua stessa radice,
riconoscerla, vederla nella sua impermanenza, questo è l’unico
modo per accrescere il nostro valore, i principi, il senso della
vita.
Non serve a nulla
attendere che tutto si risolva miracolosamente, magicamente, soltanto
nell’amore e compassione c’è lo Spirito Santo, e unicamente
nella sofferenza abbiamo l’opportunità di far emerge quell’umiltà
così necessaria e indispensabile al senso stesso dell’esistenza
umana.
Questa sera
rimaniamo si queste riflessioni, ci ritroveremo domattina alle sette
e trenta per una meditazione silenziosa e dopo colazione riprenderemo
gli insegnamenti.
I Quattro Pensieri Incommensurabili
Dopo la bella
meditazione di questa mattina proseguiamo nell’esame del
significato della sofferenza.
Conoscere la vita è
fondamentale per poter imparare a spendere ogni istante nel Dharma,
sia che camminiamo, meditiamo o lavoriamo; il tempo a disposizione si
riduce in un continuo movimento, giorno dopo giorno ci si avvicina
alla fine dell’esistenza. Non sappiamo da dove veniamo né dove
andremo, si fanno infinite ipotesi, spesso contraddittorie, ma in
realtà nessuno ha esperienza diretta di Dio, di Cristo, di Buddha,
l’unica conoscenza possibile riguarda il presente, di come si è
ora, ecco perché ognuno è il primo ed essenziale maestro di se
stesso, è evidente, non servono oracoli, né divinazioni, né
astrologi che, anzi, incrementano all’infinito la confusione.
Dobbiamo invece
vivere nella purezza, nella luce, nel sole, evitando di rinchiuderci
in un angolo angusto ed oscuro in attesa di qualcosa di magico, di
miracoloso, di misterioso, non è bene confondere le antiche leggende
con la realtà odierna. Un tempo si tramandavano verbalmente racconti
fantastici senza differenziare il vero dall’immaginario, oggi la
distinzione è chiara, nelle librerie i settori sono ben divisi con
scaffali colmi di testi: letteratura classica, fantasia, narrativa,
saggistica, psicologia, sociologia, matematica, filosofia e ogni
disciplina conosciuta, ma anticamente non era così, la trasmissione
delle informazioni era limitata e avveniva oralmente, così di bocca
in bocca si arricchiva di aneddoti coloriti e affascinanti, per cui
credere oggi a queste narrazioni epiche è davvero un errore che ci
porta soltanto nella densa oscurità.
L’unica cosa
davvero chiara, la storia della nostra vita, è la sofferenza che
tutto permea naturalmente, nel sogno come nella veglia, senza sosta.
I pensieri negativi, fastidiosi affollano la mente, mentre sono
assenti la rinuncia, il distacco, l’altruismo che, seppur
richiamati, non compaiono e ciò significa che il nostro cuore è
inquinato dai condizionamenti mondani.
Ogni istante è
subordinato alle emozioni distruttive, ma come possiamo invertire
questo processo?
Non dobbiamo opporre
una resistenza armata, arrabbiarci, lottare per eliminarle, è un
metodo che non funziona perché più le vogliamo annientare con la
forza e più acquistano potenza, dobbiamo semplicemente prenderne
atto, fermarci, osservarle e contarle.
Questo metodo ha un
significato preciso, perché siamo incessantemente accompagnati dal
dolore anche se non abbiamo consapevolezza della sua natura e
quantità e dunque non sappiamo come affrontarlo; l’unico modo per
vincerlo consiste nella capacità di guardarlo tranquillamente, di
riconoscerlo e analizzarlo sia a livello convenzionale che ultimo,
sino a giungere al centro della sua natura di vacuità.
Questa è la
risposta equanime alla sofferenza; l’analisi equanime della propria
pena permette di conoscere se stessi, il proprio cuore, di sviluppare
l’innata natura di amore e compassione.
Conoscere la
sofferenza significa conoscere profondamente l’amore e la
compassione, la vastità del cuore, e questa è la gioia, la
soddisfazione, il senso della vita.
Al contrario,
l’insoddisfazione è frutto della mancanza di amore e compassione,
di un cuore arido, chiuso, inconsapevole.
La vita autentica è
permeata dalla sofferenza che procede di pari passo con l’amore e
la compassione che non avrebbero invece alcuna possibilità di
svilupparsi al di fuori dell’esperienza consapevole del dolore.
Ieri abbiamo
ricordato che Gesù Cristo ha parlato poco, solo tre anni e senza
utilizzare nessun mezzo pubblicitario, conferenze, seminari,
camminava infaticabilmente come un senza tetto, ma ogni sua parola
era essenziale, così come lo è stata la sua morte. Con umiltà e
semplicità ha offerto l’insegnamento del significato della vita
umana nella sua natura di sofferenza sino alla morte di croce,
manifestando nella resurrezione l’infinita potenza dell’amore e
della compassione.
Il crocifisso
rappresenta sia il dolore della vita che l’amore e compassione,
inseparabili, senza l’uno non potrebbe esserci l’altro, la
salvezza dalla sofferenza sono l’amore e la compassione, e la causa
dell’amore e della compassione è la sofferenza intrinseca alla
vita.
Volendo
combattere forzatamente, cancellare, ignorare i problemi che
affollano le nostre giornate ci contrapponiamo ostinatamente alla
natura della realtà ed è una lotta persa in partenza, nessuno è
mai riuscito in questo intento, è importante esserne coscienti e per
questo è bene riflettere sui quattro aspetti dell’amore universale
conosciuti come i “Quattro
Pensieri Incommensurabili”:
- Equanimità illimitata;
- Gioia compartecipe illimitata;
- Compassione illimitata;
- Amore e benevolenza illimitata.
L’aggettivo
“illimitato” indica che sono aspetti non circoscritti al mondo
conosciuto, alla famiglia, agli amici, alle persone incontrate, vanno
ben oltre, si trasformano in un amore sconfinato, universale.
Il primo pensiero,
l’equanimità, è assolutamente fondamentale perché è l’unico
mezzo che permette di sperimentare questa universalità; sono
annullate tutte le differenze, alti e bassi, esplosioni di felicità
o di disperazione, ogni evento è presente nella sua eguaglianza,
nell’equilibrio dei suoi valori. Le percezioni discriminatorie che
ci condizionano in modo devastante sono causate dalla nostra visione
illusoria, dai giudizi, dalle aspettative errate, nella realtà
invece tutto è uguale, la vita condivisa da ogni essere non ha
differenze: quando osserviamo un elefante che porta grandi tronchi e
una formica che trascina un minuscola briciola di pane,
automaticamente giudichiamo il peso dell’elefante superiore a
quello della formica, ma non è così, sul dorso di entrambi pesano
esattamente allo stesso modo. Lo stesso vale per gli esseri umani,
sia l’uomo più potente che il meno importante hanno nella loro
mente uguale carico di sofferenze, insoddisfazione, problemi.
Ognuno dei quattro
pensieri è strettamente interconnesso agli altri nell’assoluta
equanimità, e allo stesso modo i momenti di gioia, di serenità,
devono essere pienamente goduti nella condivisione, senza esaltazioni
o discriminazioni.
La gentilezza
amorevole è gioiosa, serena, non separa, unisce, e porta
spontaneamente a rivolgere amore e compassione a tutti gli esseri
affinché possano essere liberati dalla sofferenza.
I quattro pensieri
incommensurabili sono oggetto della meditazione sull’amore
universale, leggiamone il testo:
- “Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero equanimi, senza attaccamento né ostilità, non vicini a qualcuno e distanti da altri.
Possano
dimorare nell’equanimità.
Io
farò in modo che vi dimorino.
Vi
prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice
affinché io sia in grado di fare ciò.
- Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti avessero la felicità e le sue cause.
Possano
essi averla.
Io
farò in modo che la posseggano.
Vi
prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice
affinché io sia in grado di fare ciò.
- Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero liberati dalla sofferenza e dalle sue cause.
Possano
esserne liberati.
Io
farò in modo che ne siano liberati.
Vi
prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice
affinché io sia in grado di fare ciò.
- Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti non fossero privi della gioia delle rinascite elevate o della liberazione completa.
Possano
non esserne mai privi.
Io
farò in modo che essi non ne siano separati.
Vi
prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice
affinché io sia in grado di fare ciò.”
Il primo essenziale
pensiero della meditazione, l’equanimità illimitata, ci libera da
ogni avversione, odio, rabbia verso coloro che consideriamo i nemici,
e altrettanto dall’attaccamento nei confronti delle persone che
amiamo, degli amici, poiché nella realtà amici e nemici sono
assolutamente uguali, dov’è la differenza? Tutti, noi, i nostri
amici e i nostri nemici, soffriamo esattamente allo stesso modo.
E’ inutile,
fastidioso e dannoso porre continuativamente il nostro ego al centro
dell’universo, ipernutrendolo con le emozioni estreme di
avversione, di attaccamento e dell’indifferenza che ci rende
impermeabili alla sofferenza altrui. Quest’attitudine consueta
rende la vita davvero pesante e ogni cosa diventa un problema,
insopportabile, doloroso.
L’atteggiamento
opposto che genera gioia, gentilezza, equilibrio, serenità, è
l’equanimità incommensurabile in quanto ci trasforma in esseri
completi, sani, maturi, liberi dai limiti dell’attaccamento,
dell’avversione e dell’ignoranza indifferente; questa è
meditazione.
Meditazione
significa conoscere, approfondire e vivere la realtà nel quotidiano
in modo da diminuire giorno dopo giorno l’ignoranza,
l’attaccamento, l’odio e soprattutto la centralità del sé e, al
contrario, insegna ad osservare con occhi puri la perfetta equanimità
di ogni fenomeno.
L’equanimità è
il principio fondamentale dell’esistenza umana, eppure la società
moderna lo valuta negativamente e lo combatte strenuamente nel
tentativo di ignorarlo, di annientarlo definitivamente, non
accorgendosi che proprio a causa di questa cecità incrementa la
crisi mondiale e l’infelicità diffusa.
Avvertiamo
in noi un deserto arido, siamo assetati di gioia, di felicità, di
tranquillità, siamo perennemente insoddisfatti, ma per poter
riempire questo immenso vuoto interiore non abbiamo altra possibilità
che riflettere sulla sofferenza, sul dolore intrinseco all’esistenza
e diffuso in modo assolutamente uguale, dobbiamo superare le false
visioni dell’ignoranza che nell’egocentrismo megapresente
generano attaccamento e avversione.
I pensieri
incommensurabili di equanimità, e gioia duraturi, illimitati, una
volta riconosciuti, devono essere preservati, mantenuti, e in questo
consiste la seconda parte della pratica; come inizia il secondo
verso?
“Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti avessero la
felicità e le sue cause.”
Che cos’è la
felicità? - un dolce? il cioccolato? ovviamente no, ma la domanda è
importante, cos’è la felicità? - la felicità è nel pensiero
incommensurabile dell’equanimità.
Se accettiamo di
conoscere e riflettere profondamente sulla nostra sofferenza, sul
dolore naturale intrinseco all’esistenza, sorge spontaneamente nel
nostro cuore l’equanimità che, radicandosi, permette di diminuire
progressivamente l’attaccamento, l’avversione e l’ignoranza,
divenendo così essa stessa felicità.
La felicità
autentica è il pensiero equanime ed è indispensabile svilupparlo in
se stessi tramite l’osservazione del dolore, perché la natura
dell’esistenza può manifestare la felicità solo laddove riconosca
la sua stessa essenza di sofferenza; come diceva San Francesco non
c’è luce senza tenebra, se non ci fosse il buio la fiamma della
candela non illuminerebbe nulla.
La natura della
felicità è imprescindibile dalla natura della sofferenza e deve
essere coltivata con intelligenza nella riflessione profonda e nella
conoscenza dell’essenza umana, perché questa è la peculiare
caratteristica degli esseri umani.
Praticare il Dharma,
il valore spirituale, non è un compito semplice da assumere con
superficialità, deve essere assimilato nella sua completezza e posto
al centro del cuore, altrimenti la confusione prodotta dalla suo
fraintendimento può produrre danni immensi.
Il Dharma non
consiste in divinazioni, benedizioni, iniziazioni, danze, predizioni
astrologiche, attività di possibile supporto nel cammino verso la
conoscenza, ma che isolate dal contesto della trasformazione del sé
non raggiungono alcun obiettivo e possono, in una visione fanatica,
diventare un ostacolo serio.
Nella meditazione
sulla propria condizione si acquisisce la consapevolezza che gioia e
sofferenza sono elementi propri dell’esistenza umana, ugualmente e
incessantemente presenti, e si è così pronti a compiere il terzo
passo compassionevole, l’attenzione non è più rivolta solo a sé
stessi, ma a tutti gli esseri; in questo modo si impacchetta e
spedisce lontano l’ignoranza, l’attaccamento, l’avversione e la
centralità dell’ego, sviluppando l’autentica gioia della
gentilezza amorevole.
Nel quarto pensiero
incommensurabile si completa la purificazione della propria mente, si
rafforza la presenza della gioia, mentre si indebolisce quella della
sofferenza e a questo punto l’amore illimitato scaturisce
spontaneamente.
I quattro pensieri
incommensurabili sono la purificazione, non i cerimoniali formali o i
lavacri nell’acqua inquinata del Gange, la purificazione è
trasformazione profonda del cuore e queste indicazioni sono ribadite
in tutte le religioni del mondo.
Oggi più che mai è
necessario purificare la propria anima, perché stiamo vivendo in
tempi degenerati, nel Kali-Yuga, non ha alcun senso spendere ogni
energia nel vano tentativo di rendere perfetto il corpo, un’impresa
impossibile in quanto per sua natura la materia è corruttibile.
Dobbiamo
purificare la mente per vivere pienamente con gioia e chiarezza,
finalmente liberati dalla visione ingannevole che ci mostra la
felicita laddove sussistono soltanto le cause di infelicità e di
insoddisfazione, e ci fa considerare permanente ciò che è
impermanente, mentre non esiste realtà che non cambi, è un processo
inevitabile e universale.
Se ci ostiniamo a
imporre cocciutamente al centro dell’universo il nostro abnorme ego
che così strutturato è altrettanto inesistente, tutto ciò che è
impuro ci appare come puro, la nostra visone è completamente errata
in quanto non conosciamo la vera natura delle cose, siamo annebbiati
dai fumi dell’ignoranza.
La
più grande illusione e ignoranza è proprio quella di considerare
come unicamente importante “io,
io, io” e
immediatamente conseguente “mio,
mio, mio”,
e ciò è chiaramente evidente nel nostro linguaggio, provate ad
esaminare le espressioni ricorrenti con cui vogliamo entrare in
comunicazione con il prossimo e vedrete che sono improntate e partono
tutte dal presupposto di io
e di mio.
La pratica
consapevole e costante dei cinque pensieri incommensurabili immette
nel percorso di gioia, felicità, compassione ed equanimità, che
conduce alla coscienza del vero senso all’esistenza umana.
Asanga – “Le Terre dei Bodhisattva”1
Il
testo tibetano che sto consultando “Bodhisattvabhūmi2”
è stato rivelato da Asanga, grande maestro del IV secolo d.C. nello
Yogācārabhūmisāstra
e affronta minuziosamente, articolandola in tre livelli, la
meditazione sui quattro pensieri incommensurabili:
- il primo livello riguarda gli esseri senzienti;
- il secondo analizza la natura impermanente dei fenomeni;
- il terzo è rivolto alla natura della vacuità, la realtà ultima.
Gli esseri senzienti
sono a loro volta suddivisi in tre gruppi:
- coloro che vivono nella felicità;
- coloro che vivono nella sofferenza;
- coloro che vivono in modo equilibrato con sofferenza e felicità e senza sofferenza e felicità.
L’unico mezzo per
ottenere l’autentica felicità è permanere nell’incommensurabile
equanimità, senza desiderare la felicità, perché ciò sarebbe già
sofferenza, e senza contrastare inutilmente la sofferenza.
Asanga spiega che
tutti gli esseri desiderano la felicità, ma questo auspicio deve
diventare impegno effettivo tramite la pura intenzione che supera lo
stadio della stessa aspirazione affermandosi nella concreta
realizzazione.
Pura intenzione
significa azione diretta, responsabilità personale e, se sul piano
pratico ciò è impossibile in quanto la materia ha precisi limiti, è
invece fattibile a livello mentale che è infinito.
Leggiamo il terzo
pensiero:
“Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero liberati
dalla sofferenza e dalle sue cause.”
In questa prima
frase è espressa l’intenzione, la compassione che induce a voler
liberare gli esseri dalla sofferenza, attuabile grazie alla pura
intenzione:
“Io
farò in modo che ne siano liberati.”
Io, in prima
persona, devo agire affinché siano liberati, non attendere che
avvenga miracolosamente, che cada dall’alto, il mio diretto impegno
deve essere totale, effettivo, puro, incommensurabile.
Nel primo livello di
compassione, rivolto ai tre gruppi degli esseri senzienti, si genera
la pura intenzione.
Nel secondo livello
si riflette e analizza in profondità la natura impermanente di ogni
fenomeno, la natura di sofferenza che ne deriva, sino a giungere alla
comprensione autentica dell’assenza del sé; questa è
purificazione.
La
purificazione non è subordinata a cerimonie e rituali, non si trova
nell’acqua più o meno pulita del Gange perché il corpo è in sé
impuro e non può essere in alcun modo reso puro, non sarebbe più
corpo, la vera purificazione avviene nella trasformazione della mente
che comprende l’impermanenza dei fenomeni ed è introdotta
naturalmente nell’autentica compassione.
In questo modo si
giunge alla comprensione del livello ultimo, la natura di vacuità,
lo spazio infinito, noi siamo spazio, affatto concreti duri e rigidi
come invece ci percepiamo a causa dell’ignoranza egocentrica che ci
domina e che è riassunta nei quattro concetti errati:
- considerare puro ciò che è impuro;
- ritenere permanente l’impermanente;
- percepire come felicità ciò che è sofferenza;
- avere un’errata nozione del sé.
Soltanto nella
pratica dell’equanimità possiamo superare queste visioni deformate
ed ottenere la felicità che nasce dalla riflessione sulla stessa
felicità e sulla sofferenza, entrambe ugualmente presenti in noi e
negli altri, dobbiamo raggiungere la consapevolezza dell’inesistenza
di oggetti, inventati, fabbricati dall’io illusorio, su cui
riversare odio, attaccamento o indifferenza. Tutto è impermanente,
tutto è spazio, siamo venuti dal vuoto e finiamo nel vuoto, siamo
venuti dallo spazio e finiamo nello spazio, questa visione profonda è
saggezza.
Come meditare sulla
sofferenza degli esseri senzienti? Con la compassione permeata dalla
pura intenzione di voler eliminare la sofferenza di tutti gli esseri,
indistintamente.
Come meditare sulla
compassione? Il testo dice che i Bodhisattva meditano con infinita
compassione le mille sofferenze degli esseri senzienti e, anche se il
numero è metaforico, indica l’impegno assoluto dell’intera
esistenza.
Meditare anche su
una sola sofferenza degli esseri senza discriminare è già
sufficiente per far sorgere spontaneamente la pura compassione, che
non è dolore e che nell’equanimità diviene autentica gioia, amore
profondo.
Avendo maturato
questa compassione pura si può meditare su due fondamentali
sofferenze degli esseri senzienti:
La
prima, detta sofferenza
della sofferenza,
è relativa al dolore fisico, quando lo avvertiamo diciamo: “io
soffro”, ma in
realtà non è l’io che soffre, si tratta di un disordine in
qualche parte del corpo, che comunque non è “io”,
e che noi, altrettanto erroneamente, consideriamo “mio”,
patendo così doppiamente, nel fisico e nell’anima.
La
seconda è detta sofferenza
del cambiamento,
in quanto ciò che in un primo momento appariva fonte di felicità in
effetti manifesta prontamente tutto il suo peso di dolore,
l’aspettativa di un risultato gioioso si è rivelata vana, è stata
cambiata. Ugualmente considerando qualsiasi fenomeno come permanente
proviamo dolore quando esso mostra inevitabilmente la sua
impermanenza.
Oggi esistono
laboratori scientifici altamente sofisticati e prestigiose
università, ma nessuno ha mai affrontato, come invece ha fatto
Asanga nel quarto secolo, una seria ricerca sulla sofferenza degli
esseri senzienti.
Eppure questa
indagine è il metodo, la via che dobbiamo percorrere, è necessario
purificare i concetti errati che ci confondono e abbandonare
l’illusione di poterci facilmente purificare con acqua, fuoco, aria
e terra, gesti esteriori che non hanno alcun valore se avulsi dalla
vera purificazione interiore perché se così fosse il Tibet e
l’India sarebbero i luoghi più puliti al mondo, invece l’India è
soffocata dall’immondizia e il Tibet è stato cancellato, non
esiste più.
Dobbiamo stare
attenti a non cadere in fuorvianti superstizioni, il Dharma è il più
grande fenomeno, ma comporta altrettanti rischi, maggiori sono i
benefici maggiori sono i pericoli.
Dopo
aver riflettuto sulle prime due sofferenze, della sofferenza e del
cambiamento, meditiamo sulla terza, la sofferenza
della condizione, o onnipervasiva.
La sofferenza della
sofferenza è la più grossolana, tangibile, palese; la sofferenza
del cambiamento è già più sottile, meno immediatamente evidente, e
la sofferenza della condizione è la più sottile, appartiene alla
vita stessa, non sempre automaticamente visibile, ma inesorabilmente
presente in ogni essere nella condizione samsarica e l’unica via di
liberazione da questo tormento è l’amore.
I grandi maestri di
tutte le religioni hanno insegnato questo percorso fondamentale,
null’altro, le sovrastrutture e i dogmi costruiti a posteriori sono
finalizzati unicamente a consolidare il potere temporale delle
istituzioni, non hanno alcun significato intrinseco e annientano la
spiritualità autentica.
L’incomparabile
significato della vita è l’amore universale che supera ed elimina
la sofferenza della condizione, questo è il messaggio basilare che
dobbiamo assimilare e, portare nella quotidianità dell’esistenza.
Non avrebbe alcun
senso restare immobili aspettando il giudizio universale, immaginare
un futuro paradiso raggiungibile soltanto dopo la morte, o sperare in
infinite rinascite, migliori forse, ma sempre nel samsāra, per
ottenere infine un’illuminazione di cui ancora non si ha alcuna
conoscenza; è un modo davvero terribile di sprecare l’insostituibile
opportunità offerta da questa esistenza umana, dobbiamo scuoterci da
un simile torpore e agire, vivere pienamente ogni istante, nella
meditazione, nella contemplazione che è felicità, illuminazione,
paradiso, qui e ora.
Tutte le fantasie
costruite sulle antiche narrazioni tramandate dalle varie tradizioni
che descrivono ipotetici paradisi o terre pure dopo la morte
incrementano la pigrizia, gli errori, la confusione e vanificano i
veri messaggi dei grandi maestri. Gandhi ha così faticato per
salvare l’India, eppure a causa dell’indolenza, dell’ignavia,
dell’ottusità e della chiusura del cuore di chi aspetta
apaticamente non si sa cosa, dopo sessantanni nulla è cambiato nella
situazione dolorosa degli indiani.
L’unica vera
possibilità di trasformare la condizione degli esseri senzienti si
concretizza nella purificazione del cuore, nella ferma intenzione di
volere la felicità, abbandonando ogni falsa illusione di poter
raggiungere questi obiettivi restando legati alle apparenze, alle
cerimonie, vestendosi o mangiando come i tibetani, copiando come
fantocci comportamenti altrui, recitando preghiere incomprensibili in
lingue assolutamente sconosciute, tutto questo è una insensata
follia. In occidente, forse per assecondare le leggi di mercato, si
pubblicizzano i centri di Dharma nelle palestre, nei centri
benessere, gli insegnamenti sono redatti come menù di ristoranti, è
davvero un’aberrante perdita di valori e di tempo.
Ci sono domande?
Domanda: Quanto
dobbiamo ancora soffrire?
Lama: Questo
dipende unicamente da te, ognuno ha tutte le possibilità nelle
proprie mani. Si deve essere coraggiosi, determinati, senza debolezza
o titubanza. Puoi scegliere di rimanere nella sofferenza, ma se
decidi di vivere la gioia devi applicare i quattro pensieri
incommensurabili e purificare i concetti errati.
Domanda: Se
ho ben compreso la natura umana è sofferenza, ma contemporaneamente
c’è felicità, frutto dell’equanimità che ci permette di vivere
attivamente ogni avvenimento con gioia e amore, senza aspettare
passivamente gli avvenimenti…
Domanda: Il
non far coincidere il dolore fisico con il proprio atteggiamento
interiore non è separazione tra materia e spirito?
Lama: Non
si tratta di separare spirito e materia, tra i due aspetti vi è
inscindibile interdipendenza, ma non si deve cadere nel concetto
errato di “io”
e “mio”
perché questa visione potenzia il peso della sofferenza in quanto si
riferisce a un immaginario sé che in realtà non si conosce, di cui
si ha falsa visione, e di conseguenza ad un altrettanto illusoria
immagine di “mio”, per questo è importante riflettere
attentamente sui quattro concetti errati.
Qualsiasi
fenomeno derivante dal karma e dall’illusione mentale è oggetto di
sofferenza e dolore.
Qualsiasi
fenomeno derivante da cause è soggetto a impermanenza.
Tutti
i fenomeni hanno natura di vacuità, sono spazio, non esistono in
modo indipendente, in lingua pali i tre segni dell’essere sono così
indicati: Dukkha,
Anicca, Anattā
(Sofferenza, Impermanenza, Inesistenza del sé), questo è il cuore
del Dharma, una conoscenza imprescindibile senza la quale tutto
sarebbe inutilmente vanificato, perduto.
Meditare
con semplicità su questi elementi essenziali è efficace e
fondamentale, lasciamo dunque perdere complessi sistemi intellettuali
che forse gratificano il nostro ego, ma rendono la meditazione
davvero povera e sterile.
I primi sei tipi di sofferenza descritti nel testo di Asanga
Sediamoci nella
posizione più confortevole, rilassata.
Gli occidentali nei
confronti delle discipline orientali devono necessariamente superare
alcuni ostacoli, il primo è la posizione, il secondo l’attitudine,
il terzo la cultura, il quarto la visione settaria della religione,
il quinto il materialismo, il sesto la troppa intelligenza, e tanti
altri ancora che costituiscono una vera barriera da oltrepassare
prima di poter giungere all’autentico valore spirituale. Si tratta
di un vero lavoro, però facilitato dalla sincera ricerca di
integrazione, come stiamo tentando di fare qui tutti insieme.
L’integrazione
degli aspetti culturali, spirituali, umani, religiosi, senza
contraddizioni, è essenziale soprattutto oggi in un mondo diventato
davvero piccolo e in cui gli scambi interculturali sono la norma, non
l’eccezione, questa è la civiltà del ventunesimo secolo e
richiede un nuovo approccio.
Dobbiamo dunque
rilassare il corpo e di conseguenza la mente poiché l’interrelazione
tra i due contenitori è continua, permette l’attuazione dei valori
spirituali che imprimono senso all’esistenza, e tra questi la
compassione, la concentrazione, la saggezza.
Non è stato scelto
uno specifico argomento per questo seminario e il tema della
compassione e dell’amore è scaturito spontaneamente dalle
condizioni create dall’assemblea.
Il nostro cuore
costantemente vuoto, affamato, insoddisfatto, produce
ininterrottamente disagi e problemi che nell’aridità della
mancanza di amore e compassione si radicano sempre più profondamente
in un dolore inestinguibile dell’anima. Attenzione però, amore e
compassione non purificati da attaccamento possono creare
altrettante difficoltà.
Come possiamo
liberarci dall’attaccamento e riempire il cuore vuoto, indurito,
con compassione e amore puri? E’ necessario addentrarsi in
un’attenta analisi della sofferenza, perché l’amore può nascere
soltanto quando realizziamo pienamente la natura della sofferenza
intrinseca all’esistenza umana, in caso contrario non saremo mai in
grado di costruire nulla di autentico, di vero.
E’ dunque
fondamentale procedere con un atto molto semplice e remissivo,
dobbiamo ogni sera osservare e contare le sofferenze che hanno
condizionato la giornata: i problemi, le debolezze, i conflitti, la
litigiosità, la competitività, le difficoltà. Grazie a questo tipo
di contabilità cominciamo ad avere maggiore consapevolezza della
natura dell’esistenza umana, diventiamo più umili e spontaneamente
crescono in noi amore e compassione, unico certo nutrimento del
cuore.
Il nettare in grado
di eliminare l’aridità e la sete inestinguibile del cuore non cade
dal cielo come manna miracolosa, non possiamo esigerlo direttamente
da Dio o dal Buddha, dobbiamo coltivare i semi già piantati in noi
affrontando senza paura e contando ogni giorno le sofferenze, senza
cercare scappatoie (e gli italiani in questo sono esperti), ma non
serve fuggire, ignorare la realtà della condizione umana, anche
perché non c’è altro modo per sviluppare amore e compassione e
dunque la gioia.
È importantissimo
imparare a vedere con chiarezza e contare le sofferenze. giorno dopo
giorno, molto più utile che tenere la contabilità di mantra, di
mandala e delle preghiere alle divinità, poiché con questa
meditazione giungiamo alla conoscenza del sé.
Soffermiamoci
ad esaminare le quattro sofferenze di base, comuni a tutti gli esseri
e che quotidianamente si presentano: la perdita, la separazione da
ciò che amiamo; l’interruzione, il termine, la fine di condizioni
agevoli credute acquisite e stabili e invece assolutamente caduche e
fragili; la nascita che sin dal primo istante è sofferenza; la morte
di cui si ha terrore e che si affronta in totale dolorosa solitudine.
Riflettendo su
queste quattro condizioni umane sviluppiamo naturalmente amore e
compassione perché ci liberiamo dall’attaccamento, dalla rabbia,
dall’ignoranza, dall’ego, i veleni che costituiscono il problema
fondamentale della vita, l’origine stessa della sofferenza di cui
verifichiamo l’inconsistenza, poiché soltanto quando ne siamo
pienamente consapevoli possiamo vedere nitidamente l’assoluta
equanimità della condizione umana e a questo punto emerge quasi
automaticamente in noi l’attitudine a diminuire ogni ingiustificato
egoismo ed egocentrismo, ecco perché l’amore è il messaggio
fondamentale degli esseri realizzati di tutte le religioni, Cristo,
Buddha, Gandhi, San Francesco, Santa Teresa d’Avila e tanti altri
che hanno predicato questa legge naturale già presente nel cuore di
ognuno, dobbiamo solo scoprirla e farla germogliare.
Senza l’amore sono
assolutamente inutili le sfarzose cerimonie religiose, le pūja
ripetute automaticamente, le benedizioni, le iniziazioni, i rituali
che né Cristo né Buddha hanno mai praticato e che soltanto in
seguito sono state elaborate dalle istituzioni diventando un ostacolo
alla crescita degli individui.
La pratica
principale del Cristo e del Buddha era la semplicità, l’umiltà,
la povertà che è rinuncia, invece oggi cosa stanno facendo le
religioni? – rischiano fortemente di annientare la ogni
spiritualità, di svuotarne tutti i contenuti mostrando
esclusivamente le copertine, le etichette che discriminano e segnano
i confini di potere delle istituzioni, difendono bellicosamente la
propria presunta unica verità, per questo l’umanità sta soffrendo
così tanto.
Queste sono le prime
quattro sofferenze, la quinta è direttamente collegata alle emozioni
negative frutto dei desideri mondani tendenti a soddisfare i propri
sensi, a vendicarsi e voler danneggiare altri, a rimanere
nell’ignoranza che rende ottusi nel torpore sonnolento o
nell’eccitazione iperattiva, a farsi dominare dai rimpianti e dal
dubbio.
Domanda: Scusa,
dubitare è negativo?
Lama: I
dubbi non sono in sé negativi, ma causano molte sofferenze perché
ristagnano nella mente ottusa, allo stesso modo il rimpianto, il
torpore sonnolento e l’eccitazione sono neutri, ma la loro natura è
di sofferenza, la vita stessa non è né negativa né positiva, ma
natura di sofferenza.
Il sesto tipo di
sofferenza riguarda la sofferenza di causa, la ricerca del risultato,
della ricchezza e del suo mantenimento con la preoccupazione e il
timore di perderla, la perenne insoddisfazione, e infine la perdita
dei beni materiali.
L’analisi
di ognuna di queste categorie offre una visione completa dei tormenti
che condizionano l’esistenza. Se ci domandassero a bruciapelo
“cos’è la vita?”
non sapremmo rispondere, perché non ci siamo mai soffermati ad
analizzarla dettagliatamente nella sua stessa natura di sofferenza
samsarica.
L’insoddisfazione,
il volere sempre qualcosa di più, la paura di perdere ciò che si
ha, dominano ogni istante, ma imparare a riconoscere la fonte del
tormento, a contarla è utilissimo per colpire il nostro ego, per
vanificare ogni rabbia, odio, attaccamento e ignoranza, è l’unico
mezzo che ci pone di fronte alla nostra debolezza, condivisa in modo
assolutamente uguale con tutti gli altri.
Nell’umiltà,
nella semplicità, la mente è sana, la vita più gioiosa, sorge una
ricerca interiore concreta, necessaria, che non ha nulla a che fare
con le inutili manifestazioni esteriori elaborate nei secoli dalle
istituzioni, ma mai insegnate dai maestri.
Il
Buddha non ha tentato di ingannarci con false consolazioni suggerendo
parole dolci, gratificanti, ha per prima cosa illustrato
l’impermanenza della realtà, ha detto che tutti,
indiscriminatamente, siamo soggetti a nascita, malattia, vecchiaia e
morte, così come Gesù è stato altrettanto chiaro e determinato
nell’indicare la porta stretta, la difficile, dura via, spogliata
da ogni esteriorità e ricchezza e da inutili fantasie.
Buddha
non si è mai soffermato a spiegare cerimoniali tantrici, non ha mai
detto: “devi recitare
centomila mantra di questo e di quello e raggiungerai meravigliose
terre pure, paradisi di beatitudine assoluta”,
ha detto invece: “tu
sei il maestro di te stesso, la condizione umana è sofferenza e la
via per superarla è questa, solo tu puoi scegliere se percorrerla o
meno”.
Da queste
meditazioni nasce la rinuncia e la gioia. La nostra vita è natura di
sofferenza, è assodato, però non significa che il dolore sia in sé
negativo, è anzi un inestimabile valore da cui nascono amore e
compassione, la sofferenza è la possibilità terrena di sviluppare i
preziosi tesori che portano, nell’equanimità, alla vera felicità.
Nell’equanimità
si attenuano fino a scomparire attaccamento, rabbia, ignoranza,
egocentrismo, e ciò significa raggiungere l’autentica la gioia che
affonda le sue radici nei quattro pensieri incommensurabili.
Se non comprendiamo
intimamente la natura dell’infelicità, non potremo nemmeno capire
quella della felicità, per questo Asanga, uno dei maggiori maestri
buddhisti, con infinita pazienza ha analizzato dettagliatamente le
sofferenze degli esseri senzienti, è stato un concreto ricercatore
dello spirito come Leonardo da Vinci lo è stato della scienza.
Sofferenza e amore e
compassione sono le due facce della stessa medaglia, l’unica
differenza consiste nella natura implicita dell’infelicità e nella
natura potenziale che deve essere coltivata e sviluppata, della
felicità, dei pensieri positivi.
Potete fare un
esperimento semplicissimo: immergetevi per cinque minuti in pensieri
positivi e analizzate come vi sentite in questa condizione, poi fate
altrettanto con pensieri negativi, il risultato è evidente, non
necessita altro commento, l’indicazione della via verso la felicità
è chiarissima.
I pensieri positivi
sono raccolti in sei categorie: generosità, moralità, pazienza,
perseveranza entusiastica, concentrazione e saggezza, tutti
rappresentati dalle sei pāramitā (perfezioni) e manifesti nel
mantra OM MA NI PAD ME HUM.
La mia mamma recita
questo mantra da mattina a sera, non si ferma per indagare
sull’origine di ogni sillaba, semplicemente sa che significa
compassione, l’essenza di tutti i pensieri positivi, e non si
stanca di ripeterlo con umile e profonda fede che diviene parte della
vita, esperienza inscindibile.
Dunque la
meditazione non è perdersi nelle visioni fantastiche, nei sogni, è
semplicemente consapevolezza nei pensieri positivi, la presenza in se
stessi delle sei pāramitā, in grado di soppiantare le sei
sofferenze.
Le possibilità
nella vita materiale sono limitate dalla materia stessa, ma nello
spirito sono infinite perché lo spazio è illimitato.
Domanda: Cosa
significa esattamente “realizzare la sofferenza”? forse
bisognerebbe dire “essere consapevoli del dolore” perché in
italiano con il verbo realizzare
si sottintende ottenere il dolore.
Lama: Realizzare
la sofferenza significa averne chiara conoscenza, in genere noi la
sopportiamo senza comprenderla, non ci rendiamo nemmeno conto di
subirla ininterrottamente. Soltanto se nella meditazione,
nell’osservazione e conteggio delle sofferenze che ci colpiscono ne
maturiamo piena consapevolezza saremo in grado di non ripetere
automaticamente gli stessi errori e di modificare le premesse che ne
sono causa.
Domanda: Che
differenza c’è tra felicità e gioia?
Lama: La
felicità è la gioia; sono la stessa cosa con sfumature leggermente
diverse, la felicità è automatica contrapposizione all’infelicità,
nella gioia c’è un aspetto più costante di quiete ininterrotta.
Si
deve sempre mantenere l’attenzione sui quattro pensieri
incommensurabili, l’equanimità è felicità, e restare stabili in
questo stato di pace che non discrimina è gioia. Da questa
permanenza duratura nella compassionevole equanimità sorgono l’amore
e la gentilezza. Il passo immediatamente seguente è la pura
aspirazione a voler eliminare per sé e per gli altri la sofferenza e
quest’attitudine concreta diventa compassione incommensurabile,
amore universale.
Amore
e gentilezza, compassione, gioia, equanimità, sono altrettante forme
di amore e tutte e quattro insieme costituiscono la completezza
dell’amore, la sua universalità incommensurabile, l’unico
autentico valore spirituale del cuore che è l’anima stessa, senza
amore non può esserci nemmeno anima.
Domanda: Perché
la morte è negativa? La morte non dovrebbe eliminare ogni
sofferenza?
Lama: Bella
domanda, la morte non è necessariamente negativa, per noi è
sofferenza, per gli esseri realizzati non è né dolore né felicità.
La morte è un’esperienza assolutamente individuale, il modo con
cui è sperimentata dipende singolarmente da ogni persona. Per te
cos’è la morte?
Risposta: Pace…
Lama: Un
bel concetto, anche prescindendo dalle elaborazioni filosofiche. La
morte ha comunque varie fasi, c’è la sofferenza che precede la
morte e quella che viene dopo, non si conosce la morte e questo è
terrorizzante, fa paura.
Domanda: Per
la filosofia tibetana la morte non è lo specchio della vita?
Lama: I
tibetani non hanno filosofia, la filosofia è stata importata
dall’India, dalla Cina, l’antica filosofia tibetana è stata
cancellata dai tibetani stessi, per questo non hanno alcun senso le
suddivisioni in buddhismo tibetano o altro, il buddhismo è
universale, esattamente come il cristianesimo, tutte le successive
classificazioni sono sciocchezze.
Domanda: E’
vero che il buddhismo è una filosofia di vita piuttosto che una
religione?
Lama: Dipende
da come lo si interpreta, la sua definizione è un’esigenza della
cultura occidentale che separa nettamente filosofia e religione, ma
nel buddhismo questa distinzione non esiste, la filosofia è
religione, la filosofia è un supporto logico, un ragionamento alla
teologia.
Lo
stesso termine “filosofia”
è occidentale e non è traducibile in tibetano, così come non si
può tradurre in inglese “Buddha,
Dharma e Sangha”.
Tu
prima ha detto che per te la morte è pace, che significa
esattamente?
Risposta: Non
dover più tenere la contabilità delle sofferenze….
Lama: Anche
qui si ripropone lo stesso problema di linguaggio intraducibile, in
sanscrito il termine è “dukkha”
ed è reso
parzialmente nella sua traduzione in “sofferenza” in quanto non
ha una valenza solo negativa, sottintende il peso della vita, di
quella valigia che necessariamente si deve con fatica portare sempre
appresso perché contiene cose necessarie, e sapere cosa mettervi
dentro, contarne i pezzi eliminando quelli inutili, è indispensabile
per un viaggio agevole e proficuo, rende la valigia più leggera.
Questo
è il significato di dukkha, nel cristianesimo si dice croce, è il
senso della vita. Il simbolo della croce è molto profondo,
significativo, il dolore è la vita e la salvezza è l’amore, Gesù
Cristo rappresenta l’amore e la croce, vita, morte e resurrezione,
il miracolo di Cristo è raccontato nel crocifisso, il messaggio è
diretto chiarissimo, ma è necessario assimilare profondamente il
senso della vita e della morte, conoscere ciò che portiamo nel
bagaglio e decidere cosa lasciare per poter risorgere.
Domanda: Tu
credi nel libero arbitrio?
Lama: Non
mi è chiaro il termine “libero arbitrio”, non so esattamente
cosa vuoi dire, ti posso rispondere per me stesso, io sono totalmente
responsabile delle mie scelte, ma non posso imporre la mia visione ad
altri, né conoscere tutto, sapere tutto, decidere tutto, queste sono
preoccupazioni inutili, invenzioni del potere, ognuno può decidere
solo per sé, non può in nessun modo controllare l’esistenza degli
altri.
Domanda: Nella
valigia c’è posto per i sogni? cioè per la speranza di essere
felice, di rendere l’esistenza positiva….
Lama: Nella
valigia c’è tutto, sia la sofferenza che la felicità, ogni
possibilità è nelle tue mani, tu scegli cosa e come utilizzare gli
strumenti a tua disposizione. Il pacchetto è completo, hai a
disposizione le sei perfezioni per sviluppare le qualità positive,
ma altrettanto hai la possibilità di incrementare le caratteristiche
negative.
Domanda: E’
positivo sperare di morire il prima possibile?
Lama: La
morte in sé non è né bene né male, è una realtà neutrale,
naturale, la differenza della sua esperienza è determinata da come
si vive, se in modo sano, autentico, oppure sprecando questa
inestimabile opportunità; vivendo definiamo il significato
dell’esistenza, non c’è fretta per morire, la morte verrà da sé
molto rapidamente, senza bisogno di sollecitarla, la vita è
brevissima, l’importante è viverla pienamente e in modo
significativo.
Domanda: A
me però sembra sbagliato desiderare di morire presto perché si
hanno troppi problemi, sperando in un al di là migliore….
Lama: Cosa
accade dopo la morte io non lo so, in ogni caso qualsiasi desiderio è
attaccamento e deve essere lasciato andare. La vita è un caso unico
e particolare per ogni essere, ognuno è personalmente responsabile
di ciò che avviene qui e ora, nessuno conosce il futuro. I filosofi
greci, Platone, Socrate, si sono dedicati completamente alla ricerca
del senso della morte per giungere alla consapevolezza finale di non
sapere nulla. Nell’ottocento Freud con la psicanalisi pensava di
aver scoperto il funzionamento della mente umana, ma nel suo percorso
scientifico ha dovuto continuamente cambiare le sue deduzioni e alla
fine concludere di non aver capito nulla, e la vera conoscenza è
proprio a questo livello, perché non c’è niente da capire, il
mistero resta tale.
Domanda: Noi
occidentali, siamo sempre più affascinati dai vostri insegnamenti,
filosofia di vita, religione, questo può significare che abbiamo
sbagliato tutto? che la nostra civiltà è completamente fuorviata e
produce soltanto scompensi fisici e mentali?...
Lama: Il
dilemma non è risolvibile interessandosi ad altre culture o
religioni, perché il problema si trova nella non conoscenza della
propria cultura, religione e spiritualità. Se si conosce bene la
propria origine, ogni approccio con culture e religioni diverse non è
mai un’alternativa contrapposta, al contrario può essere solo un
arricchimento. Nelle differenti religioni le contraddizioni non
esistono, se ci fossero ne indicherebbero la falsità, noi inventiamo
tutte le possibili divisioni perché siamo profondamente ignoranti.
I
cosiddetti dogmi imposti dalle varie dottrine servono solo ad
affermare il copyright, una presunta quanto falsa superiorità. La
conoscenza, l’apertura della mente, l’integrazione,
l’arricchimento interiore portano generosità, amore, mai
discriminazione, sostituzione delle proprie radici; le guerre di
religione sono soltanto immondizia, assurde nel ventunesimo secolo.
Domanda: Ogni
sera si deve aggiornare la contabilità delle sofferenze, ma appena
svegli cosa si deve fare?
Lama: Appena
svegli si deve richiamare alla mente la consapevolezza, si deve
essere osservatori attenti di ogni evento, emozione, reazione,
altrimenti sarà impossibile contare alla sera ciò di cui non si è
avuto coscienza. Per questo è importante iniziare la giornata con la
meditazione, la riflessione silenziosa che permette di liberare la
mente, di predisporla all’osservazione analitica.
Domanda: Con
il passare degli anni credo che non occorra nemmeno più tenere la
contabilità delle sofferenze, perché se vuoi sapere sai…
Lama: Non
si tratta di “voler sapere” devi realizzare la sofferenza, cioè
vederla chiaramente, riconoscere la realtà di ciò che sta
accadendo, questa è la differenza.
Concludiamo
meditando in silenzio nella condivisione dell’esperienza
spirituale, questo è il significato del Sangha.
Dieci categorie di sofferenze
Buon giorno agli
amici della casa e a chi viene da lontano, tutti condividiamo
l’uguale condizione di esseri umani, abbiamo la stessa natura, la
stessa fame, qui siamo insieme in allegria, senza litigi, uniti dal
comune interesse per il valore spirituale.
Il valore spirituale
sorge spontaneamente a causa del desiderio istintivo e impellente di
placare la sete, la sensazione di vuoto che ci accompagna
costantemente qualsiasi cosa stiamo facendo e che in ogni caso non è
affatto negativo, è assolutamente naturale, segno di una ricchezza
immensa, di uno spazio sconfinato che è impossibile riempire con la
materia, è il collegamento con l’universo, è la natura ultima che
possiamo soltanto intuire non avendola ancora realizzata.
Di fronte a questo
vuoto ci sentiamo a disagio, ne siamo infastiditi e da mattina a sera
cerchiamo di riempirlo con qualsiasi mezzo, inconsapevoli della sua
potenzialità, ma non è un problema, al contrario è spazio,
libertà, flessibilità, infinito valore.
La sofferenza cresce
dall’insoddisfazione determinata dall’impossibilità di colmare
il vuoto interiore con oggetti impropri, è causata dalla non
conoscenza di se stessi, della naturalezza spontanea,
dell’autenticità pura del proprio sentimento, però questa
ignoranza non deve sconvolgerci ulteriormente, dobbiamo semplicemente
osservare e riconoscere la realtà nella sua essenza innocente perché
così è la nostra vita.
La pratica più
importante è imparare a lasciar andare con naturalezza, liberamente,
senza trattenere nulla, costringere, cercare di correggere, di
combattere, di litigare, tutto questo è vano affanno, un’impossibile
guerra che non porta affatto alla libertà, al contrario, non può in
nessun caso esservi lotta per la pace, la pace si conquista con la
pace, la libertà con la libertà.
Il tema di questo
seminario, non studiato e deciso con anticipo, è scaturito
genuinamente dalla condizione in cui ci troviamo qui, dall’atmosfera
che si è creata tra noi, dalla condivisione con gli amici.
Abbiamo iniziato
esaminando i quattro pensieri incommensurabili che illustrano in modo
esaustivo la pratica per maturare amore e compassione, un messaggio
fondamentale, condiviso dall’umanità intera che indistintamente
vive il naturale stato di sofferenza.
La nostra
incessante, quanto inutile, dichiarazione di guerra alla sofferenza è
controproducente, infatti non c’è nulla contro cui battersi,
perché la sofferenza è l’unica opportunità per allargare il
cuore, è il più grande maestro, l’amico più prezioso.
La persona a noi più
cara non può amarci e farci del bene quanto la sofferenza e dunque
dobbiamo riconoscerne il valore infinito che è natura stessa della
vita e da cui scaturiscono spontaneamente amore e compassione e,
anche se per noi è difficilissimo comprendere il significato
profondo di questa condizione umana, possiamo rimediare e facilitare
il compito richiamando senza sosta alla mente i quattro pensieri
incommensurabili.
La porta principale
che apre il cuore all’amore e compassione è l’equanimità verso
tutti gli esseri senzienti immersi nella stessa sofferenza samsarica.
L’insoddisfazione,
il tormento, sono causati dall’ignoranza che ci confina entro
pseudo-valori limitati alla materialità e ci impedisce di
riconoscere la natura del vuoto interiore, dello spazio di cui
abbiamo comunque percezione pur non avendolo ancora realizzato
(perché in questo caso avremmo raggiunto la saggezza).
L’equanimità può
sorgere esclusivamente dalla comprensione completa della natura della
sofferenza quotidiana, ecco perché il dolore è un dono infinito, il
maestro fondamentale che ci permette di sperimentare tutte le qualità
della vita, piccole e grandi.
Senza l’esperienza
della sofferenza il nostro egocentrismo si espanderebbe abnormemente,
mostruosamente, invece nella pena riconosciamo i nostri limiti e
nell’umiltà siamo costretti a fermarci, a riposare, troviamo la
pace, la serenità, e nel profondo del cuore possiamo allontanarci da
questo ego distruttivo.
Per crescere
spiritualmente la sofferenza è indispensabile, se volessimo
sviluppare solo il corpo non dovremmo fare altro che dedicare tempo
ed energie agli esercizi fisici, alla cura estetica, ma per il cuore
non esiste palestra, né ipermercato, né ospedale, né psichiatria,
né chirurgia, né prestiti o depositi bancari, soltanto l’amore e
la compassione garantiscono il suo benessere, e l’indispensabile
terapia è la sofferenza di cui si deve quotidianamente tenere il
conteggio.
Il
rosario, che con nomi diversi è utilizzato da tutte le religioni,
non serve soltanto per contare le preghiere o i mantra, in realtà
conta le sofferenze di ogni giorno. Si deve cominciare la mattina
domandandosi: “…perché
sono triste? da dove viene questa angoscia? perché non possono
lasciare questa preoccupazione? perché mi sento così
insoddisfatto?...” e
così via, è necessario analizzare e annotare mentalmente ogni
particolare, questa è autentica pratica perché la sofferenza è
importantissima, senza dolore non ci sarà spazio per l’umiltà,
per la rinuncia, per l’aspirazione alla liberazione.
La vita senza
sofferenza non avrebbe alcun senso, da un campo arato e concimato con
letame nascono frutti meravigliosi e succulenti, mentre da un terreno
arido non germoglia nulla.
L’unica preghiera
dei Bodhisattva è l’aspirazione ad alleviare, condividere e
assumere su di sé l’incessante pioggia di dolore, di sofferenza
che cade su ogni essere e in questo modo nutrono la loro pratica,
rafforzano la generosità, la moralità, la pazienza, la perseveranza
entusiastica, la concentrazione e la saggezza.
Dobbiamo dunque
comprendere molto bene il significato sia della felicità che
dell’infelicità, non esiste dualismo, il che non significa che
siano la stessa cosa, ma piuttosto che non c’è tra loro
contraddizione alcuna.
Nella vita umana
sofferenza e felicità devono coesistere, sono l’unico cammino che
possiamo percorrere nell’armonia dell’equanimità, è la famosa
via di mezzo, tutto il resto è illusione, confusione, una rincorsa
inutile all’illuminazione che in questo modo si allontana sempre
più.
Lasciamo perdere la
chimera dell’illuminazione che arriverà naturalmente quando ne
avremo maturato le condizioni e coltiviamo invece concretamente la
felicità, perché se viviamo nel samsāra con fastidio e disagio
sarà impossibile raggiungere l’illuminazione.
Per gli esseri
realizzati tutto è felicità, anche la sofferenza, per noi persone
comuni questo non è ancora possibile, ma dobbiamo lavorare in tal
senso, indirizzare la pratica nel non dualismo, non trattenendo,
lasciando andare con libertà, perché non c’è nulla da
combattere, guerreggiare contro la sofferenza significa lottare
inutilmente contro la vita, esaurire ogni risorsa e persino imboccare
la via del suicidio.
Conoscere la
sofferenza e la felicità nella loro interrelazione e non
contraddizione richiede una costante pratica, gli aspetti sono molto
sottili e non prontamente palesi a causa della superficialità e non
conoscenza delle potenzialità di questa preziosa vita, così
perdiamo opportunità magnifiche e sprechiamo tempo ed energie nel
tentativo fallito in partenza di allontanarci dal dolore, di
cancellare ciò che ci turba.
La vita umana non è
per la lotta, ma per l’armonia, per l’equanimità.
La felicità che
diminuisce la sofferenza si realizza nei quattro pensieri
incommensurabili che riducono l’attaccamento verso le persone care,
l’avversione e la rabbia verso i nemici, l’ignoranza
nell’indifferenza verso tutti, e infine sgretolano l’ego che
inganna se stesso.
In questi giorni
abbiamo enfatizzato la necessità di contare le sofferenze
giornaliere, un mezzo abile e magnifico perché non esistono su
questo tema né corsi universitari, né programmi politici, né
disposizioni dell’ONU; noi però abbiamo a disposizione il testo di
Asanga, assolutamente unico, completo e raccomandato dallo stesso
Sāntideva.
Nel capitolo
sedicesimo sono indicate in particolare tre cose: l’offerta, il
sostegno ai maestri, i quattro pensieri incommensurabili volti a far
crescere concretamente in se stessi amore e compassione, non soltanto
tramite la visualizzazione del Bodhisattva Avalokiteśvara o
recitando il mantra OM MA NI PAD ME HUM, ma, suggerisce Asanga,
osservando e contando quotidianamente le sofferenze.
Indubbiamente ogni
persona segue la sua strada e può scegliere come percorrerla, ma è
difficile prescindere da questo metodo, indispensabile allo sviluppo
dei quattro pensieri incommensurabili e di conseguenza dell’amore
universale.
In questo capitolo
si analizzano dettagliatamente le categorie di sofferenze che
accompagnano l’esistenza umana e su cui è necessario meditare da
mattina a sera, le prime dieci sono:
- La prima sofferenza si presenta alla nascita, un evento in sé traumatico, e cominciano subito i tormenti del bambino che necessita di cure continue e che poi è costretto a svegliarsi presto, affrontare il freddo e lo smog per andare a scuola in cui, tra l’altro, in questo mondo consumistico e materiale non si insegna la bellezza e il valore della vita, ma piuttosto come arricchirsi, come prevaricare il prossimo, come competere per affermare se stessi a qualsiasi prezzo e dunque come costruire mattoncino su mattoncino la propria sofferenza;
- sin dalla nascita ha inizio la seconda sofferenza, l’invecchiamento;
- poi sopravviene la malattia, il dolore fisico, le limitazioni;
- la sofferenza della morte, evento sconosciuto e pauroso, ma certo;
- gli incontri indesiderati che, a qualsiasi livello, avvengono in continuazione;
- la perdita degli oggetti del desiderio, delle persone care;
- la sofferenza di non trovare ciò che per tutta la vita si cerca;
- la sofferenza del freddo, del caldo, della fame, della sete, della perdita di libertà, del subire violenza, dell’aver fatto male ad altri, del vivere nell’ottusità della chiusura e rigidità mentale;
- la perdita delle qualità, della salute, della moralità, della visione di saggezza, delle ricchezze proprie e delle persone care e sofferenza generale di questa vita e delle prossime;
- la mancanza di cibo, di bevande, di mezzi di trasporto, di abiti, di ornamenti, di oggetti di cucina, di incensi, di fiori, di unguenti, di musica e arte, di lenti per vedere, di oggetti funzionali al reciproco appagamento sessuale.
Asanga non ha
trascurato nulla e invita ad una meditazione realistica che non
comporta tristezza, al contrario è liberatoria e sviluppa in noi
gentilezza, umiltà, compassione, amore, generosità, moralità,
pazienza, perseveranza entusiastica, concentrazione e, infine,
saggezza.
Questa è la pratica
del Dharma, intangibile patrimonio umano.
Per sviluppare amore
e compassione, per trovare la gioia, non è sufficiente rivolgere lo
sguardo al Buddha, dobbiamo concretamente meditare le sofferenze
quotidiane.
A livello ordinario
affrontando la sofferenza sentiamo disagio, dolore, ma ciò indica
semplicemente che abbiamo guardato male, in maniera sbagliata, se
invece impariamo ad osservarla nel giusto modo troveremo la felicità,
come un fiore che nasce da un terreno concimato con letame, senza il
nutrimento della sofferenza non potrebbe mai sorgere la gioia, senza
l’esperienza del dolore saremmo assolutamente insensibili, incapaci
di riconoscere la felicità.
La situazione della
nostra vita è complicatissima, la sofferenza permea ogni istante,
uscirne è impossibile e ogni tentativo di contrapposizione peggiora
la situazione, dunque l’unica cosa che possiamo fare è accoglierla
con tranquillità, osservarla e cercarne le qualità che sono l’amore
e la compassione e dunque è fondamentale per ognuno, singolarmente,
praticare quotidianamente questa meditazione, sperimentare, cercare
di penetrarne e assimilarne il senso profondo e trarre le proprie
conclusioni, questa è la fede, la fiducia nel proprio cuore, nel suo
valore.
L’amore e la
compassione, essenza della nostra vita, sono l’unico strumento in
grado di distruggere l’ego, così ingombrante, faticoso, arrogante.
Domanda: Qual
è la cosa a cui l’uomo non deve mai rinunciare?
Lama: L’uomo
deve rinunciare a tutto, senza attaccarsi a nulla, solo in questo
modo libera se stesso.
Domanda: Rinunciare
anche a Dio?….
Lama: Soprattutto!..
l’attaccamento a Dio, al Cristo, al Buddha è un potente ostacolo
alla la spiritualità autentica che può espandersi solo
nell’incondizionata rinuncia. La rinuncia non è mai riduttiva, non
impoverisce, al contrario è purificazione, incommensurabile
arricchimento.
Domanda: Puoi
definire il concetto di paura, così ricorrente in questo elenco di
sofferenze?
Lama: La
paura nasce dal senso di vuoto, perché noi viviamo inconsapevolmente
come se dipendessimo, per esistere, dalla sofferenza e quando questa
stampella cade, quando ci stiamo liberando dal dolore, avvertiamo
immediatamente insicurezza, ci sentiamo privi del sostegno e abbiamo
paura.
La
paura è importante, segna il passaggio verso l’indipendenza,
l’autonomia.
Domanda: Quando
medito sull’impermanenza mi sento molto bene, perfettamente serena,
ma se poi nel quotidiano qualcuno mi pesta i piedi la reazione
dell’ego è istantanea e immediatamente si ricompone il cerchio di
sofferenza non minimamente scalfito, trovo che sia veramente
difficile tradurre in concreto quanto ho sentito in questi giorni.
Lama: E’
difficilissimo, ma bisogna provare instancabilmente, senza
scoraggiarsi e senza fretta, procedendo lentamente, tre passi avanti
e due indietro, questo è il più grande impegno concreto della vita
umana. Quali sono le vostre opinioni?
Opinione: Che
fatica!... tre passi avanti e due indietro, continuamente, è
qualcosa che mi schiaccia, mi opprime veramente, mi fa sentire
incapace, anche se sono convinta che questa sia davvero l’unica
via.
Opinione: Infatti
è un ottimo mezzo per applicare l’umiltà, è difficilissima da
praticare perché le pressioni di questo arrogante e pesantissimo ego
sono ovunque e comunque.
Opinione: Quando,
dopo aver fatto tre passi avanti si torna indietro di due perché
qualcuno ci ha pestato i piedi, dimentichiamo che al dolore dei
nostri piedi corrisponde altrettanto dolore di colui che lo ha
provocato, quindi la sofferenza universale potrebbe essere un punto
di partenza concreto per avvicinarsi all’altro ed accoglierlo e
allora forse si riuscirà a fare due passi avanti e due indietro.
Opinione: Si
può anche osservare la propria inadeguatezza, la propria fragilità,
dal punto di vista della gioia e, senza scoraggiarsi, concludere
serenamente che si ha ancora un lungo percorso da compiere, molte
cose da imparare, un infinito da scoprire e questo è davvero bello,
un obiettivo gioioso.
Domanda: Geshe,
non pensi che in questa parte del sud Europa, in particolare in
Italia, sia più difficile che altrove fare questi passi? faccio un
esempio, mi diceva un’amica svedese che in Scandinavia i contadini
ogni mattina lasciano incustoditi al mercato i cesti carichi di
prodotti e tornano la sera a riprenderli con il denaro del venduto,
quando lo racconto agli amici italiani rimangono a bocca aperta,
increduli dicono che qui non rimarrebbero nemmeno i cesti vuoti, è
una forma di rispetto degli altri inconcepibile.
Lama: E’
ugualmente difficile ovunque, nulla è facile per nessuno. Già
conoscere la condizione umana è un passo avanti.
Domanda: Io
ho l’impressione che oltre alla nostra volontà ci sia sempre
qualcosa dietro le nostre spalle, a volte si è nel buio più pesto,
eppure si avverte una forza che aiuta, non siamo soli, tu che pensi
Geshe?
Lama: Questa
è la forza del Dharma, il potere positivo dell’energia
dell’universo è preponderante, vince sempre, se pure a livello
individuale ogni caso è diverso; anche laddove le tenebre sono più
dense, sempre c’è la luce che ha comunque una forza superiore per
eliminare ogni oscurità, noi siamo parte di questo universo e anche
quando individualmente precipitiamo nel buio questa luce arriva e ci
mostra la via per uscirne, ognuno la vede e le dà un nome secondo il
proprio credo, Dio, Cristo, Buddha, guru, benedizioni, grazia, questa
energia positiva esiste senza interruzione in tutto e per tutti.
E’ sempre un
grande piacere condividere questa ricerca spirituale, siamo umili
esseri samsarici, sappiamo che il nostro cuore è amore e
compassione, un valore semplice che è la nostra stessa esistenza in
pace e gioia.
Invece
la vita nel mondo materiale è impostata sul consumismo, sulla
competitività e in ogni campo bisogna sistemarsi immancabilmente al
primo posto, si vuole che tutto sia ottimale, perfetto e funzionale
ai propri interessi, ma questo è impossibile, anche nelle migliori
condizioni non si dovrebbe mai rispondere a chi domanda “come
va?” Con
“benissimo”,
perché non è vero, la risposta giusta sarebbe “molto
bene e poco male”.
Intervento: Ma
è un modo di dire per non lamentarsi continuamente come invece siamo
consueti fare…
Lama: Lamentarsi
dipende dall’imputare senza eccezione agli altri la colpa del
nostro disagio, piccolo o grande, noi riteniamo di non avere mai
responsabilità di nulla, se ci ammaliamo e anche quando moriamo è
colpa dei medici, degli infermieri, eppure non c’è bisogno di
nessun intervento esterno per morire, succede comunque, arrivando in
Italia sono stato veramente scioccato da questa mentalità.
Sicuramente esistono colpe altrui e bisogna averne compassione, ma la
maggiore responsabilità è indubbiamente nostra, non possiamo
ignorare questo aspetto perché in questo caso non andremo mai avanti
e aggraveremo invece il nostro bagaglio di sofferenza.
La pratica del
Dharma è appunto saper sviluppare le capacità spirituali e superare
questi automatismi devastanti che caratterizzano la società
costruita sulla materialità.
Conclusioni
Riprendiamo i
quattro pensieri incommensurabili: Equanimità illimitata, Gioia
compartecipe illimitata, Compassione illimitata, Amore e benevolenza
illimitati, queste quattro forme di pratica costituiscono il completo
principio dell’Amore Universale, sono la linfa vitale della nostra
esistenza.
La sofferenza è un
messaggio che non possiamo accantonare o fingere di non vedere,
segnala la presenza di un tesoro prezioso che noi, a causa
dell’ignoranza, non sappiamo cogliere.
Il dolore non deve
essere buttato, al contrario, deve essere compreso, sperimentato,
utilizzato per aprire e arricchire il cuore.
L’esperienza della
nostra umanità, la manifestazione degli eventi naturale, spontanea,
non manipolata da informazioni errate, è assolutamente essenziale in
quanto la nostra conoscenza della realtà è infinitesimale e
affidarsi unicamente alla razionalità pensando di trovarvi risposte
certe è autentica follia.
Il testo di Asanga è
lo specchio che riflette la condizione del cuore.
I quattro pensieri
incommensurabili sono il tesoro del cuore, sono gratuiti, non
dobbiamo pagare nessun biglietto per un viaggio in Tibet, o in India
o sull’Himalaya, abbiamo già tutto nella nostra valigetta.
L’equanimità, il
primo pensiero incommensurabile è la felicità e se non sappiamo
riconoscerne la sua stessa natura nella sofferenza che è essenza di
vita, non la realizzeremo mai.
Per ottenere la
felicità dobbiamo distruggere l’ego e ciò è possibile solo
tramite la sofferenza accolta, compresa, sperimentata
nell’equanimità.
La vita deve essere
vissuta con coraggio, determinazione, come ha fatto San Francesco che
si è spogliato degli eleganti abiti rimanendo completamente nudo, o
Milarepa che scandalizzava con la sua nudità, la vita da barbone e
la completa assenza di discepoli. La sorella e la sua ex fidanzata,
sconcertate e impietosite da quella che ritenevano essere la sua
pazzia, lo volevano aiutare portandogli cibo e di che coprirsi,
rimproverandolo di non far nulla per mostrare la sua capacità di
guru e indicandogli come esempio opposto lo stile di vita degli altri
maestri, circondati da discepoli, accuditi e riveriti, ricchi di doni
preziosi e del cibo più succulento. Ma Milarepa rispose
semplicemente che la sua pratica era diversa, infatti era Dharma
puro.
Certamente per noi è
impossibile oggi comportarci in modo altrettanto radicale, i tempi
non lo consentirebbero, dobbiamo però essere ben coscienti che non
si può in nessun caso ottenere l’illuminazione impigrendo
completamente inerti nella bambagia delle comodità, è evidente,
eppure siamo così ottusi che preferiamo accogliere le proposte del
mondo materiale e continuare a crogiolarci in un ego arrogante, pigro
e ignorante che non porta a nulla di buono.
Dobbiamo coltivare
l’umiltà, seguendo l’esempio di San Pietro che, condannato alla
crocifissione, ha chiesto di essere capovolto per non essere
crocifisso come il suo maestro, in questo ultimo atto di amore puro
ha distrutto del tutto l’ego, trasformando la sofferenza in forza
vitale, nell’unico valore della vita, l’amore universale. Tutto
il resto, i vari menù preparati e pubblicizzati in nome delle
religioni, e terribilmente distruttivi, sono spazzatura.
L’amore
universale nasce dalla grandezza della sofferenza universale, anche
se per noi è difficilissimo da comprendere, eppure, se non capiamo
questo valore sprechiamo la vita, perdiamo tempo ed energie, dobbiamo
dunque iniziare dalla sofferenza che è costante presenza e imparare
ad analizzarne l’aspetto sottile.
Nella realizzazione
profonda, sagace, della prima nobile verità enunciata dal Buddha, la
verità della sofferenza, ci troviamo già al piano superiore degli
Arhat, degli Ārya; a livello ordinario la sofferenza sembra
evidente, tanto banalmente palese da non richiedere ulteriore
approfondimento, ma non è affatto così, questo è solo l’aspetto
più superficiale, esterno, e lo dobbiamo oltrepassare, perché la
profondità sottile della sofferenza determina la profondità sottile
dell’amore e compassione, questo è il segno, il grande significato
del crocifisso, altrimenti sarebbe solo morte fine a se stessa.
In questa
consapevolezza e conoscenza sottile della sofferenza di tutti gli
esseri senzienti le sei pāramitā - generosità moralità, pazienza,
perseveranza entusiastica, concentrazione e saggezza - scaturiscono
automaticamente.
Il testo continua
dicendo che i Bodhisattva riflettendo sull’infinito dolore degli
esseri senzienti meditano sull’amore e compassione di tutti i
Buddha e i Bodhisattva, cioè di Gesù Cristo, del Buddha Sākyamuni,
dei santi di ogni latitudine, senza distinzione.
Questo è il Dharma,
non esiste buddhismo o qualsiasi altro “ismo”, etichette
imputabili a probabili errori di traduzione e i libri che le
riportano sono in questo senso falsi, la verità è nel cuore
accogliente, flessibile, amorevole, disponibile, sereno, verso tutti
gli esseri senzienti.
Praticare il Dharma
significa praticare la vita, la sofferenza, non subirla apaticamente.
Nell’amore e
compassione che sorgono dalla sofferenza il nostro cuore si apre, si
dilata all’infinito e la pratica della generosità scaturisce
spontanea, altrimenti senza questo passaggio saremo sempre soggetti
al controllo e alla devastazione delle emozioni distruttive.
Le qualità dei
quattro pensieri incommensurabili sono davvero infinite.
Noi non siamo ancora
Bodhisattva, ma almeno dobbiamo conoscere il significato della loro
pratica, dell’amore e compassione universali, dei quattro pensieri
incommensurabili. Il Bodhisattva costantemente immerso in questa
pratica vive tutta la vita in suprema beatitudine, è chiaro, non si
tratta di astrazione filosofica, è semplice, concreta ed evidente
logica.
La nostra ignoranza
è invece grande, ma praticando i quattro pensieri incommensurabili
acquisiamo un’immensa accumulazione di meriti, cioè di energia, di
atmosfera, di sensazioni, di gioia positive, tutto diventa più
leggero e proficuo.
In occidente è
difficile comprendere il significato dell’accumulazione di meriti,
perché la società è impostata esclusivamente sul denaro, tutto si
trasforma in una valutazione meramente economica.
Con l’accumulazione
di meriti la nostra intenzione di bodhicitta, anche se superficiale,
diventa più stabile, solida.
Il testo continua
descrivendo l’attitudine dei Bodhisattva, (opposta alla nostra), di
vivere la sofferenza di tutti gli esseri con gioia, non desiderando
altro, noi invece ci sentiamo subito affaticati, stanchi, eppure la
sofferenza è il migliore maestro.
IL sedicesimo
capitolo di Asanga affronta tre oggetti: l’offerta, l’appoggio ai
maestri e i quattro pensieri incommensurabili, noi abbiamo sfiorato
solo questo ultimo aspetto e, pur non avendolo trattato
esaustivamente, abbiamo comunque acquisito indicazioni di base
sufficienti per praticare.
Personalmente
io confido particolarmente nell’accumulazione di meriti, perché è
la luce che ci permette di non cadere nelle innumerevoli trappole.
Possiamo incontrare i più grandi maestri, ma loro non possono
salvarci, soltanto noi possiamo, con lavoro, fatica e forza
interiore, salvare noi stessi, la responsabilità è totalmente
soggettiva e non volerla assumere pienamente è debolezza, pigrizia,
ignavia. Solo con consapevole decisione individuale si può
rinunciare all’ego, all’ignoranza, all’attaccamento, all’odio,
nessun’altro può farlo al posto nostro, dobbiamo impostare la
pratica con apertura, disponibilità, senza inutili protocolli.
Domanda: Che
differenza c’è tra protocolli e mezzi abili?
Lama: I
mezzi abili sono applicati in assoluta libertà al fine di ottenere
il migliore risultato, senza alcuna coercizione, invece i protocolli
sono definiti da rigide regole a cui ci si deve attenere come
soldati, tutti sono costretti portare la stessa uniforme e agire in
modo uguale, e questo non è bene, ognuno deve indossare l’abito
che gli calza meglio, adatto alla sua persona, deve parlare e
muoversi secondo le proprie qualità. I maggiori problemi nelle
istituzioni religiose sono proprio dati dall’imposizione di
protocolli. Cristo, Buddha, San Francesco, hanno dato insegnamenti
scambiati per pazzie in quanto assolutamente liberi, aperti, perché
l’amore non può mai essere soggetto a protocolli.
Domanda: A
proposito della rinuncia alcuni sostengono che la vera rinuncia non
consista nel rinunciare al mondo e abbandonare tutto ciò che si
possiede, bensì nell’utilizzare i beni materiali nel miglior modo,
a fin di bene, è così?
Lama: Rinuncia
è distacco radicale, non ci sono scorciatoie, è l’attitudine a
non avere nessun attaccamento verso oggetti, persone e soprattutto
idee.
Domanda: Non
capisco, cosa significa attaccamento alle idee?…
Lama: Attaccamento
alle idee significa aggrapparsi in modo eccessivo alle proprie
opinioni. Avere un pensiero su ogni realtà è giusto, ma afferrarsi
ad esso e difenderlo come unica verità è attaccamento molto
pericoloso, può diventare fondamentalismo.
Possiamo concludere
questo seminario che si è rivelato veramente utile, almeno per me;
oggi è la pentecoste e pare proprio che questo argomento sia stato
ispirato dallo Spirito Santo, qualcosa è sicuramente successo tra
noi e dobbiamo continuare a confidare nell’accumulazione di meriti
cercando di fare sempre del nostro meglio, di pregare e meditare
l’amore universale, con il cuore aperto e libero da ignoranza,
attaccamento, odio e soprattutto dall’ego.
La sofferenza non
deve mai indurre sconforto ma portare alla gioia nell’equanimità e
dobbiamo rammentare sempre la preziosità della vita umana,
apprezzare questo corpo fragile, che, pur essendo fonte di
sofferenza, può essere trasformato nella grande risorsa che ci
permette di sviluppare il nostro spirito.
E’ importante
essere costantemente consapevoli che la rovina dell’esistenza è
determinata dall’attaccamento, dall’avversione, dall’ignoranza
e dalla venerazione incondizionata all’unico vero nemico, l’ego,
è dunque necessario capovolgere questa triste condizione liberandoci
dai quattro veleni e permanere nell’incommensurabile equanimità,
nell’incommensurabile gioia, nell’incommensurabile amore e
nell’incommensurabile compassione.
L’unione delle
quattro qualità costituisce l’Amore Universale, la Grande
Compassione, cioè la nostra stessa anima, perché al di fuori
dell’amore l’anima non può essere.
Grazie per la vostra
presenza, per questa casa accogliente e dedichiamo tutti i meriti per
il beneficio di tutti gli esseri senzienti e per l’illuminazione,
il risultato finale.
*******
1
Bodhisattva: Esseri che, pur avendo raggiunto l’illuminazione,
rinunciano al nirvāna per aiutare con amore infinito e grande
compassione tutti gli esseri che ancora sono nel samsāra.