Thursday 4 August 2016

TROVARE IL SENSO DELLA VITA




Trovare il senso della vita
e la pace interiore in un mondo stressante




Ven. Lama Gedun Tharchin
Geshe Lharampa
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28 - 29 maggio 2016
Centro Buddhista Mandala Deualing
MERANO


















INDICE



Compito di Dharma in un mondo stressante pag. 5
I tre Mondi: Esteriore, Interiore, Alternativo pag. 8
Mahāmudrā – Essere senza essere pag. 11
















Compito di Dharma in un mondo stressante

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Buona sera, iniziamo questo incontro in modo un po’ diverso, oggi Lorenz ha chiesto di prendere rifugio e quindi parteciperemo tutti a questa piccola cerimonia che simbolicamente indica l’impegno a percorrere un cammino spirituale, una scelta libera di praticare il Dharma.
Seguiremo la tradizione tibetana in cui si prende rifugio nei tre gioielli con l’assunzione di impegno alla pratica di Dharma manifestando espressa fiducia in Buddha Dharma e Sangha e divenendo in questo modo, anche formalmente, membri del Sangha dei laici. I voti dei monaci invece sono maggiori e più dettagliatamente inerenti ad un particolare tipo di vita e dunque il loro Sangha è altro.
Prendere rifugio nel Buddha è una dichiarazione di fiducia nel maestro, che non è esclusivamente il Buddha, ma può essere qualsiasi guida spirituale, Gesù Cristo ad esempio.
Prendere rifugio nel Dharma indica l’adesione al sentiero indicato dai maestri e tutte le tradizioni spirituali hanno il Dharma.
Prendere rifugio nel Sangha implica il riconoscimento degli amici con cui condividiamo passo dopo passo lo stesso cammino.
Questi tre consensi costituiscono la nostra protezione poiché sono per noi la giusta guida, il giusto percorso, i giusti compagni, da oggi fino al nostro ultimo istante su questa terra.
Alla fine dedichiamo i meriti acquisiti a beneficio di tutti gli esseri senzienti.

(segue la cerimonia, semplicissima e particolarmente toccante, con la benedizione di rifugio a Lorenz e a tutti i presenti)

Siamo tutti benedetti!... e come Sangha oggi siamo qui per condividere il Dharma che ci condurrà allo stato di Buddha, che non è qualcosa di miracoloso o di magico, ma semplicemente è ciò che ci fa essere stabili in uno stato mentale privo di conflitti e pervaso di pace, di armonia.
Raggiungere lo stato della mente di Buddha, di illuminazione, non significa essere ormai definitivamente illuminati, in una condizione di beatitudine perenne, questa è soltanto l’ingannevole illusione dell’illuminazione, noi vorremmo essere permanentemente felici, non più toccati da sofferenze e tensioni, sempre sorridenti e beotamente allegri, ma non può essere, non è realistico e nemmeno opportuno per la nostra umanità ed è proprio questo abbaglio la causa prima della nostra insoddisfazione e scontentezza.
Dobbiamo essere lucidi anche nella formulazione dei nostri desideri, ciò che vogliamo è un po’ di serenità, un po’ di felicità, imparando ad apprezzare ciò che ci è necessario e che abbiamo, nulla di più.
La sofferenza della fame è data dalla mancanza di cibo e così la sofferenza della vita è data dalla non conoscenza e mancanza dell’intrinseco valore della vita stessa. Quando ci perdiamo nelle fantasie e non sappiamo vedere ciò che è evidentissimo davanti a noi, il senso della vita, siamo insoddisfatti, perduti nell’ingannevole stato che ci rende sempre più affamati e limitati.
È importante riconoscere ciò che desideriamo realmente, la stessa aspirazione a raggiungere l’illuminazione può essere fonte di fraintendimenti e di inganni ancora più grandi, non si tratta di diventare super eroi, Buddha non era un superman, questa visione è orribile, Buddha era un essere umano esattamente come noi e raggiungere la buddhità significa semplicemente vivere pienamente e consapevolmente il valore dell’esistenza.
Lo stato di Buddha, illuminato, come quello di non-Buddha, ordinario, sono tra loro interdipendenti, parte della stessa natura, l’uno esiste grazie all’esistenza dell’altro, e questo vale in ogni condizione. Se non si prova la sofferenza non si potrà nemmeno gustare la felicità, la gioia.
La sofferenza dunque non è intrinsecamente negativa, è un fenomeno naturale che non si può ignorare o eliminare, bensì lo si deve accogliere come parte dell’esistenza autentica e trasformarlo in positivo.
Noi soffriamo non a motivo del fenomeno della sofferenza, ma a causa dell’insufficienza del valore interiore della serenità profonda capace di vedere la realtà nella sua interezza e immensità. Ci armiamo fino ai denti con la volontà di combattere contro tutto ciò che nell’immediato percepiamo spiacevole e in questo modo alimentiamo a dismisura la sensazione di sofferenza e insoddisfazione.
Pensare che lo stato di Buddha sia essere sempre felici è davvero una catastrofica illusione, è impossibile, e non sarebbe nemmeno positivo, per questo è necessario avere la visione chiara di ciò che significa trovare lo stato di Buddha nella profondità di noi stessi.
Dunque avere lo stato di Buddha che significa?
Risposte: Avere la mente calma; essere senza conflitti; essere in pace;
Lama: Raggiungere lo stato di Buddha significa osservare, riconoscere il proprio sé più profondo, autentico, sottile, ultimo. Unicamente questa coscienza è felicità reale, profonda, stabile anche nella sofferenza, è una condizione ricca di conoscenza, di possibilità.
La pratica del Dharma, la meditazione, è arricchimento della potenzialità umana che ci permette di superare positivamente, costruttivamente, tutte le difficoltà che inevitabilmente incontriamo nel corso dell’esistenza e che anzi rendono proficue e attive le nostre capacità umane.
La pace, la serenità, non sono il risultato della mancanza di difficoltà e di problemi, questi ci saranno sempre, bensì dall’assenza della paura della sofferenza.
Il coraggio del Buddha è proprio la liberazione da ogni timore, l’accoglimento consapevole degli eventi dell’esistenza così come sono, senza volerli negare, rifiutare, allontanare.
La nostra paura ha due origini fondamentali, una è l’incapacità ad affrontare le difficoltà e l’altra è la non conoscenza, l’ignoranza della loro natura.
Con la conoscenza e la capacità tutto è possibile, la paura è naturalmente dissolta e in questo coraggio si trova armonia, gioia, stabilità, soddisfazione, felicità in qualsiasi circostanza della vita.
Lo stato di Buddha dunque non è nulla di miracoloso, di magico, di trascendentale, è semplicemente la coscienza della capacità interiore di superare qualsiasi ostacolo, di conoscere e sviluppare le proprie potenzialità umane.
Questa è la risposta all’argomento di oggi “Come trovare la pace interiore in un mondo stressante”. Non serve sforzarsi di cercare la pace quando già siamo tranquilli, allegri, quando le circostanze sono perfettamente felici, ma è necessario conoscere sviluppare le capacità di superare le difficoltà proprio quando queste si presentano, quando c’è lo stress, ma come si conquista questa pace?
Risposte: Con la meditazione…;
calmando la mente…;
non creando conflitti interiori e accentando la situazione…;
trovando la serenità nell’affrontare i problemi di tutti i giorni…;
non lasciandosi influenzare…;
sapersi fermare per osservare se stessi…;
conoscere la realtà delle cose…; accentando il presente…;
azzerando tutto…;
saper riconoscere il valore della vita nel momento presente, del qui e ora, indipendentemente dalla circostanza esteriore, felice o dolorosa e questo è possibile sono nella relazione con l’altro…;
accettare le difficoltà…;
non scagliare la seconda freccia…;
cercare di star bene con se stessi senza creare conflitti…;
fermarsi e rientrare in se stessi indirizzando le positività all’esterno, verso gli altri…
Lama: Tutto vero.



I tre Mondi
Esteriore, Interiore, Alternativo

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Quando oggi parliamo di mondo stressante non intendiamo una condizione esteriore, ambientale, concreta, ma soprattutto ci riferiamo alla nostra psiche che è estremamente stressata, assai più di quella dei popoli antichi.
A questo punto è necessario aver ben presente che noi apparteniamo a tre mondi.
La nostra esistenza si sviluppa in un mondo interiore, che riguarda la nostra psiche, e in un mondo esteriore che comprende tutto il contesto di vita, lo stesso ambiente in cui agiamo quotidianamente e che stiamo distruggendo ignorando gli appelli sempre più pressanti degli ecologisti, a cui peraltro si contrappongono anche alcuni settori scientifici e soprattutto gli economisti che, in nome della perversa legge di mercato, procedono con assoluta indifferenza e incoscienza.
Il mondo esteriore crea confusione che penetra nella nostra mente, nel mondo interiore ed entrambi fisicamente producono tanto stress da cui ci volgiamo liberare, ma la possibilità ci è data unicamente dal terzo mondo, quello alternativo.
Non possiamo illuderci di modificare le situazioni esteriori che producono incessantemente stress e confusione a livello interiore senza peraltro offrirci alcun reale strumento d’azione e dunque il nostro laboratorio è sul piano alternativo in cui far crescere la saggezza con la meditazione, la concentrazione, la capacità, il valore spirituale.
Non si rinnega nulla, né si combatte contro qualcosa, tutto è parte dell’esistenza e come tale deve essere pienamente vissuto, ma solo sul piano alternativo troviamo la giusta attitudine rispetto agli eventi proposti dagli altri due livelli, esteriore ed interiore.
Il mondo esteriore è quello in cui viviamo, ma non è nostro, non ci appartiene, siamo nel mondo, ma non del mondo, non ne siamo suoi schiavi, ma lo diventiamo e ne siamo totalmente stressati nella misura in cui lo percepiamo come nostra proprietà.
La liberazione da questo tipo di attaccamento cresciuto nei mondi esterno ed interno ci permette di essere nello stato di Buddha, nel mondo alternativo in cui esistiamo in modo autentico, senza condizionamenti della mente discorsiva e non assoggettati alle circostanze ambientali e in cui costruiamo la vera pace interiore liberata da ogni stress.
Domanda: Non è una fuga? Non è scappare dai problemi cercando rifugio in una realtà alternativa?
Lama: Il mondo alternativo è la condizione in cui affrontare tutti i problemi nella loro completezza, è esattamente il contrario della fuga.
Domanda: Forse non è chiarissimo il concetto di mondo alternativo, perché credo che per noi questa parola abbia un significato diverso.
Lama: Sostanzialmente il mondo alternativo è la visione della meditazione.
Intervento: La visione della meditazione che porta alla conoscenza del sé autentico e che ci permette di vivere nel mondo senza esserne schiavi.
Intervento: La via di mezzo…
Lama: La via di mezzo è una soluzione per diminuire i problemi che però possono essere superati soltanto sul piano alternativo, con la visione della realtà che si sviluppa tramite la meditazione, la conoscenza, la realizzazione.
Per esempio una persona che medita sull’amore e la compassione e li realizza avrà in quel contesto una visione del mondo completamente trasformata, benché ritornando alla quotidianità carica di tutti i problemi e lo stress ritroverà la visione ordinaria.
Dunque questa persona ha avuto esperienze diverse a livelli differenti, entrambi perfetti e completi, e sta a lei scegliere in quale dei due vuole vivere.
La vita può essere vissuta nella pienezza autentica dell’essere, con la visione meditativa, oppure fermarsi alla superficie, all’apparenza recitando come un attore un ruolo imposto dal contesto ordinario.
Domanda: Come posso capire quando sono realmente me stessa o quando recito assumendo un ruolo, perché se questo può essere scontato durante la meditazione, nella quotidianità non lo è affatto, ad esempio quando in tribunale devo difendere una causa l’atteggiamento è assolutamente diverso, significa che qui sono un attore e mentre medito no?
Intervento: L’alternativa è non essere esclusivamente né in un modo né nell’altro perché in entrambe le situazioni si è un attore, ma l’alternativa è appunto quella di trovare la via di mezzo, la soluzione.
Lama: Il concetto è abbastanza complesso, ma è importante capire che tutti i livelli sono in sé perfetti in quanto reali, ciò che fa la differenza è che tu puoi scegliere il tuo livello di vita, dove vuoi essere, nel mondo alternativo o in quello esteriore.
Domanda: Ma io non credo che questo sia realizzabile o, se si, come?
Intervento: Il mondo reale tu lo prendi così com’è e lo vivi pienamente, fai tutto ciò che devi, però interiormente sei libera, il tuo sé è libero, non ne è schiavo, vede le cose, le valuta con il sé interiore, profondo, svincolato da tutto per cui tu sei in una condizione di mondo alternativo pur non perdendo nemmeno un istante di quello che è il mondo esteriore e questo si realizza nella relazione con gli altri, perché al di fuori di queste relazioni non si raggiunge alcuna consapevolezza del sé libero e in questo modo il problema si dissolve naturalmente da se stesso e in realtà non vi è più alcuna contraddizione nel proprio essere.
Intervento: Certo, altrimenti si vivrebbe in una condizione schizofrenica.
Intervento: E’ chiaro che io posso fare un percorso in cui cerco di portare il mio vero sé dove vorrei, però sappiamo benissimo che siamo bombardati da milioni di virus in un quotidiano molto impegnativo e soltanto una micro particella del mondo alternativo è presente in quello esteriore.
Intervento: Vero, però con la meditazione si acquisisce ogni giorno un livello maggiore di quell’equilibrio che porta a essere naturalmente e serenamente il mondo alternativo pur vivendo totalmente il mondo reale.
Domanda: Il sé non può essere libero, svincolato da tutto poiché è sempre interdipendente?
Lama: L’interdipendenza è la corretta condizione della libertà. Non esiste nessun fenomeno indipendente, quindi la libertà è il frutto dell’interdipendenza. Grazie alla natura di interdipendenza è possibile raggiungere la libertà.
Domanda: Quindi se io accetto la realtà come interdipendente realizzo la libertà?
Lama: Certo.
Domanda: Il mondo alternativo è una realtà che ognuno crea da se stesso nella propria mente meditando o riflettendo forse perché insoddisfatto dal mondo esteriore e quindi desideroso di costruirsene uno diverso, di fantasia, che magari poi aiuta a realizzare ciò che si desidera?
Lama: Il mondo alternativo non è finalizzato a ottenere realizzazioni nel mondo materiale, è una condizione che permette di superare costruttivamente le tensioni sempre presenti nel mondo esteriore, ma crea lo spazio necessario per affrontare lo stress in modo rilassato, tranquillo, aperto, vanificandone la pressione che paralizza e rende tutto arduo.
La meditazione è fondamentale per fare spazio interiore, acquisire la consapevolezza di una visione diversa della realtà, questo è il mondo alternativo.
In questa triplice dimensione, di mondo esteriore, interiore e alternativo non vi è alcuna contrapposizione in quanto noi non siamo soltanto costituiti da materia, ma altrettanto da mente e da spirito e dunque il corpo deve rispettare le leggi del mondo materiale, la mentre quelle del mondo interiore e lo spirito, o anima, o coscienza sottile, quelle spirituali del mondo alternativo e tutti e tre si completano.
Se volessimo escludere una di queste dimensioni che costituiscono la nostra essenza saremmo incompleti, condannati all’insoddisfazione e perennemente stressati, ecco perché la meditazione diventa essenziale, ci aiuta a vedere noi stessi in questa realtà tridimensionale e a vivere pienamente in equanime armonia le tre condizioni.

Ora una breve pausa.














Mahāmudrā
Essere senza essere

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La sessione riprende con una breve meditazione.

(segue meditazione)

La meditazione è “essere senza essere”, semplicemente dimorare in sé naturalmente, sciolti da ogni vincolo, consapevoli che tutte le cose sono come immagini di sogno, illusioni.
Essere presenti a se stessi in ogni circostanza non significa affatto cedere all’inganno di voler fuggire dal mondo carico di stress, al contrario è accogliere la verità della visione della realtà, poiché anche tutto ciò che regola il mondo fisico è realtà e come tale non deve essere rinnegato, ma osservato nella giusta prospettiva, in quella dimensione che la meditazione mostra.
Così possiamo affrontare lo stress senza stress, perché lo stress è oggettivamente reale, ma soggettivamente lo si può evitare, tutto dipende dalla corretta visione dell’io.
Le svariate distinzioni: sofferenza e non sofferenza, felicità e non felicità, pace e non pace… sono soltanto concetti inventati artificiosamente in quanto sono espressioni della stessa realtà, dove c’è l’una coesiste l’altra, naturalmente.
Tutti le costruzioni mentali: oggi sono felice, domani soffrirò ecc… sono il risultato delle nostre illusioni e per abbandonare questo fraintendimento ingannevole non serve né felicità, né sofferenza, né nessun altra costruzione mentale.
La meditazione dunque è fondamentale e in particolare nella scuola Vajrā-yana si basa prima di tutto sulla consapevolezza della vacuità del sé e per questo ogni pratica inizia con la recita del mantra relativo di “Sunyata” (vacuità ) che si esprime con la sillaba OM.
Om significa essenza di corpo, parola e mente, la mia essenza che non è diversa da quella del Buddha, è una condizione equanimemente universale sul piano spirituale, sottile, nel mondo alternativo.
Nella formulazione del mantra si ripete spesso “io” che sottintende la natura stessa della vacuità di tutti i fenomeni privi di esistenza intrinseca.
Dicendo “io e mio” affermiamo la vacuità di ogni cosa che è la realtà ultima della nostro essere e infondiamo grandezza e importanza a questa espressione nella misura in cui siamo coscienti della realtà dell’io e mio nella sua vacuità e quindi illimitatezza. Noi imprimiamo il valore alla nostra esistenza, ne determiniamo la grandezza o la piccolezza, tutto l’universo vi può essere contenuto o dissolto nella vacuità dell’io, nell’essenza del sé.
Questo è il mondo alternativo in cui possiamo sperimentare, creare o limitare ogni essenza, la scelta è nostra ed è illimitata.
In questa consapevolezza abbiamo contatti con i mondi mentale e materiale in ogni loro espressione, ma nella realtà profonda, personale, intima dell’io viviamo nel mondo alternativo, ed è fondamentale averne costante consapevolezza in qualsiasi circostanza e se spesso si è distolti dalle varie necessarie attività quotidiane, è necessario ritrovare questa conoscenza nel silenzio della meditazione che insegna ad utilizzare interamente le proprie risorse anche quando si incontrano ostacoli e difficoltà.
Domanda: Potremmo dire che il mondo ordinario, esteriore coincide con la realtà convenzionale, mentre il mondo alternativo con la realtà ultima?
Lama: Tutto dipende dalle proprie scelte, capacità e impegno, trovare la propria essenza nel mondo alternativo non significa rinnegare o limitare il mondo esterno in cui al contrario ci si approccia completamente, i due mondi non sono contrapposti, anzi la piena consapevolezza e responsabilità nel mondo alternativo permette di muoversi correttamente nel mondo ordinario.
Il mondo alternativo è saper vedere la realtà vacua del sé e quindi poter vedere tutte lo cose del mondo esteriore con piena coscienza di osservarne l’immagine, l’illusione da noi costruita. Ordinariamente invece non ci soffermiamo mai su questo aspetto e sopravvalutiamo il nostro giudizio conferendogli una certezza inesistente e questo uno dei tanti motivi di conflitto, ognuna delle parti crede di possedere la verità ed entrambi sbagliano in un grave fraintendimento.
La natura ultima dell’io, di tutti gli esseri e di tutti i fenomeni è la loro intrinseca vacuità, questa consapevolezza è ciò che permette di vivere pienamente nel mondo concreto, materiale, senza essere di quel mondo, con una conoscenza risvegliata che è la stessa del Buddha, null’altro, non c’è niente da combattere, da inibire, da negare, al contrario si tratta semplicemente di saper vedere al di là dell’apparenza illusoria, senza conferire concretezze e certezze inesistenti.
Questa è la grande liberazione dall’illusione del sé, la natura vera del nirvāna non è altro che vacuità, non si tratta di cercare null’altro, di cacciare la sofferenza, la rabbia, o quant’altro, di fare guerre contro qualcosa o qualcuno, semplicemente è comprendere l’essenza profonda della realtà, il Mahāmudrā, il grande gesto.
Domanda: La vacuità del mio io significa che devo vedere me stesso costantemente interconnesso con l’universo in continuo cambiamento e dunque privo di ogni possibilità di attaccamento a qualcosa di statico? Io ho capito così, o ci sono altre spiegazioni?
Interventi: - Il nostro piccolo sé egocentrico e ristretto si trasforma e si espande nell’inclusione degli altri, del mondo, dell’universo;
Nella realtà convenzionale questo sé è sempre presente come riferimento, mentre nel mondo alternativo è possibile essere più liberi dal suo condizionamento;
È una questione di consapevolezza, riconoscerlo per quello che è fa la differenza;
Ad esempio, la realtà è che io ho mal di pancia, è un dato di fatto, ma il fraintendimento dell’ego mi fa dire “povero me che ho mal di pancia, come sono sfortunato, di chi è la colpa…” e in questo modo aggiungo sofferenza a sofferenza a causa della visione illusoria.
Lama: La vacuità è realizzata nel Mahāmudrā, il grande gesto, che significa abbracciare tutti i fenomeni che indistintamente sono in sé misteriosi, compreso l’attaccamento, l’odio, l’ego e dunque non devono essere avversati come nemici. È assurdo voler eliminare l’ego, nel Mahāmudrā il concetto di pro e contro non esiste, ogni fenomeno si dissolve nella propria natura, si realizza e vive nella propria realtà.
Dobbiamo meditare il Mahāmudrā secondo le condizioni di questa realtà in cui viviamo oggi, non voler essere fotocopie dei guru di un tempo che in Tibet potevano vivere su una montagna senza dover far nulla poiché altri provvedevano alla loro sopravvivenza, ma nella società moderna questo non è più possibile e nemmeno sensato, non corrisponde alle esigenze attuali.
Le vecchie storie sono affascinanti, ma prenderle come modello è proprio sciocco, è totale mancanza di saggezza, noi dobbiamo vivere pienamente secondo le condizioni di questo tempo, praticare il Mahāmudrā qui e ora con consapevolezza, non con la nostalgica fantasia di poter ottenere tutto senza pensare e agire in prima persona, ma delegando ogni responsabilità a coreografi e rituali antichi quasi fossimo fotocopie dei meditanti del passato.
Buddha dice chiaramente che ognuno è unico responsabile di se stesso e delle proprie realizzazioni e indica il sentiero da seguire passo dopo passo, gradino dopo gradino, restando nella via di mezzo, senza mai abbandonare la pratica del Dharma che può essere vissuta solo nell’accoglienza delle circostanze concretamente presenti.
Dunque, come praticare il Mahāmudrā?
Bisogna cogliere le opportunità offerte da tutti i momenti non carichi di impegni e sapersi fermare a meditare, senza irrigidirsi nei legacci mentali di schematiche formalità predefinite che non hanno alcun senso.
La meditazione è aperta, libera, non necessità di alcuna formalizzazione, può avvenire in molti modi utilizzando le moltissime facoltà di cui disponiamo: la conoscenza, la cultura, la scienza, l’arte, la filosofia, la metafisica, la psicologia, l’antropologia, la musica. Abbiamo tutto a disposizione occorre solo la nostra personale adesione, impegno, ricerca, lavoro.
La meditazione di Mahāmudrā, per noi oggi, in Italia, deve dunque sorgere dalla grande cultura occidentale e non scimmiottare meccanicamente formule dell’antico Tibet, abbiamo tutto a disposizione, usiamolo.
Intervento: Mi piace molto questa impostazione viva della meditazione legata al presente, alla vita quotidiana e non come fuga dalla realtà per cercare soluzioni in situazioni illusorie e lontane.
Lama: Mahāmudrā è vedere le cose come sono nella loro profonda realtà senza fermarsi ad un giudizio superficiale e ingannevole. Mahāmudrā è il grande gesto, che però è stato tradotto in modo sbagliato con “grande sigillo”, una formula che non ha alcun significato, non c’è nulla a cui apporre un timbro, un sigillo, eppure continua ancora a essere tramandata in questo modo insensato.
C’è un aneddoto molto divertente a proposito di traduzioni sbagliate, che in genere avvengono con un duplice passaggio prima dal tibetano all’inglese e poi all’italiano, così in una di queste, relativa all’accumulazione di meriti, risulterebbe che per raggiungere l’illuminazione dovremmo accumulare meriti per tre incalcolabili eoni, ma se sono incalcolabili come possono essere tre?
Questo è solo un piccolo esempio di numerosissimi e anche gravi errori di traduzione dovuti all’ ottusità di volersi attenere rigidamente alla lettera antica senza peraltro comprendere il significato nelle varie sfumature della lingua originale. Bisogna usare l’intelligenza anche nella meditazione e interpretazione dei testi, per questo dobbiamo realizzare il Mahāmudrā con l’impegno e l’approfondimento personale utilizzando tutte le opportunità e le condizioni della società qui e ora.
Ho parlato molto e adesso ognuno di voi condivida ciò che pensa a riguardo.
Interventi: - Credo che sia davvero importante per non cadere in errori e fraintendimenti nella pratica del Dharma potersi confrontare nel Sangha;
- Si, è indispensabile imparare a meditare con intelligenza attingendo alle proprie radici e cultura, mentre tendenzialmente troviamo più comodo affidarci ad antichi rituali e schemi così da non pensare profondamente al senso stesso della meditazione;
- Io insisterei sulla necessità di approfondire e sviluppare il concetto dell’interdipendenza perché tutti i conflitti e le grandi ingiustizie sociali presenti nel mondo derivano dalla falsa visione di sé come entità isolata e autonoma. Questa errata visione produce fenomeni drammatici come la condizione dei profughi che devono abbandonare le loro terre trasformate da noi in un inferno;
- A me ha molto colpito il messaggio di dover essere elastici, aperti perché mi sento autorizzato ad ascoltare con più attenzione me stesso, ciò che nasce dal cuore, senza dover delegare a modelli esterni la pratica;
- Mi soffermo sul concetto che non può esistere la gioia senza sofferenza e viceversa poiché spesso dimentichiamo questa condizione umana, ad esempio rispetto profughi che vengono in Europa noi che ora stiamo bene abbiamo rimosso completamente le sofferenze dell’emigrazione e delle guerre che i nostri padri hanno vissuto;
- A me è piaciuta particolarmente la spiegazione del mondo alternativo, una via accessibile che ci permette di maturare umanamente e vivere in modo più autentico;
- Io ho colto la necessità di poter vivere nella semplicità sbarazzandosi di tutte le sovrastrutture inutili che il consumismo tende ad imporre con ogni mezzo senza interruzione;
- Mi ha colpito il discorso del dover uscire dagli schemi per restare nella realtà quotidiana consapevolmente così da saper riconoscere la via del mondo alternativo, che non è contradditorio ma consequenziale e saper dunque andare nella semplicità all’essenza delle cose liberati da formule e schemi preconcetti;
- Io devo dire che già dallo scorso anno, quando ti ho sentito per la prima volta, sono stata colpita da questa modalità decisamente fuori dagli schemi tradizionali e attualissima di spiegare il Dharma e apprezzo particolarmente il concetto di meditazione calata nelle condizioni attuali che diventa realtà viva e che nella sua bellezza crea uno stupore che libera davvero la mente. Questa modalità di pratica spoglia da amuleti e sicurezze fasulle è veramente un dono grandissimo e ti ringrazio.
Lama: La ricchezza della cultura risiede nella nostra anima e se vi aggiungiamo i valori del Dharma allora la nostra pratica diventa veramente meravigliosa. Abbiamo dunque la possibilità di vivere questa bellezza ogni giorno trasformando qualsiasi evento nello spirito del Dharma, nella semplicità, senza bisogno di nessun rituale né di magie.

Domani festeggeremo insieme il Vesak e oggi concludiamo con la recitazione del mantra di Vajrasattva, per purificarci dagli errori ritornando alla purezza naturale.
Grazie a tutti......