Commentario di
Mahāmudrā Tradizione Orale di Ganden
Geshe
Gedun Tharchin Lharampa
19
- 20 ottobre 2019
Seminario
Residenziale
Cagliari
***
Prima
sessione
Siamo
ancora una volta insieme per dedicare il weekend alla pratica di
Dharma al fine di rendere il nostro tempo più significativo e ricco
nel consapevole sviluppo di moralità, concentrazione e saggezza, con
attenta presenza mentale, elemento indispensabile per una vita
autentica non dispersa in superficiali distrazioni che
vanificherebbero il senso di ogni atto fisico, verbale, mentale e
spirituale.
Oggi,
abbiamo la grande fortuna di aver potuto superare le varie
superstizioni o credenze di comodo e di poterci invece confrontare in
modo serio e costruttivo con la scienza, che non più “contro”,
ma a fianco della spiritualità, indaga, scopre, conferma ciò che la
mente aveva già trovato in sé.
Noi
viviamo in un mondo altamente tecnologico, quindi non possiamo
prescindere in nessun campo dalla conoscenza scientifica che ha una
connessione sempre più stretta con le pratiche spirituali a livello
molto elevato. L’osservazione di ogni fenomeno secondo la scienza è
fondamentale per comprendere il funzionamento del corpo e della
fisica dell’universo e ciò permette una conoscenza più profonda
dei propri meccanismi materiali, mentali, spirituali e un approccio
più consapevole e profondo nel cammino interiore.
La
caratteristica fondamentale nel percorso spirituale è la Bodhicitta,
in cui troviamo misericordia, compassione, pazienza. La Bodhicitta è
il sole che disintegra automaticamente il profondo buco nero dell’ego
che è l’esatto contrario dell’amore, dell’altruismo, della
compassione e ci fa crescere spiritualmente, ma soprattutto
umanamente perché dilata all’infinito la capacità del cuore
umano.
La
compassione non deve essere intesa nel senso pietistico che
immediatamente crea una barriera tra chi dà e chi riceve, ma è
“con-passione”,
condivisione gratuita dell’essere, vero amore. Questa preziosa
qualità non ci viene data dall’esterno, non è un dono di Buddha
né di qualsiasi altra divinità o guru, ma è un insita prerogativa
presente in tutti. Amore, Compassione, Bodhicitta è il diritto
umano, la qualità di consapevolezza che ci permette di raggiungere
l’illuminazione.
Per
praticare il Dharma è essenziale essere consapevoli di noi stessi
indagando la nostra mente, dobbiamo avere coscienza della moralità,
della compassione, della saggezza, in questo modo la vita diviene
ricca di senso, davvero piacevole, utile, soddisfacente, naturalmente
altruistica.
Il
Dharma non è un premio che ci viene dato dopo la morte, questa
ipotesi è assurda, è invece una realtà concreta, qui e ora, che
possiamo realizzare soltanto noi con la nostra consapevole attitudine
interiore vivendo le relazioni quotidiane in armonia, condivisione,
comprensione, tolleranza, pazienza, intelligenza, amore, compassione.
Le sei pāramitā comprendono totalmente questo percorso:
“Generosità,
Etica o moralità, Pazienza, Perseveranza entusiastica,
Concentrazione, Saggezza”.
La
pratica del Dharma non è seguire una facile moda, partecipare a
corsi costosi che prometto l’illuminazione veloce in un weekend
coreografico con rituali e illusioni di ogni tipo, è il lavoro
quotidiano, paziente nelle azioni comuni, nel rispetto di chi ci è
accanto in famiglia, sul lavoro, nella comunità in cui siamo e che
spesso implica molta pazienza e tolleranza, senza litigi, lotte,
affermazione arrogante di diritti presunti come esclusivamente
nostri.
In
occidente il buddhismo diventa spesso un gioco gratificante che offre
l’illusione davvero ridicola di essere giunti a una realizzazione
spirituale, eppure se ci fermiamo ad osservare la vita di coloro che
davvero hanno raggiunto l’illuminazione vediamo quanto ne siamo
lontani. Chi è stato il più grande maestro in Tibet? Milarepa, un
uomo che ha lavorato umilmente tutta la vita, trasportato pietre in
silenzio, nessuna azione eclatante nei suoi giorni, ma infinita
pazienza, consapevolezza profonda senza alcun desiderio di
affermazione, di riconoscimenti e onorificenze.
La
pratica principale di Milarepa è stata durante tutta la vita il
Mahāmudrā, una pratica essenziale, spoglia di tutti le iniziazioni,
i rituali, gli oggetti costosi, e le fantasie che ci piacciono tanto.
Mahāmudrā
è la Vacuità nel puro spazio, è una pratica elevatissima e
semplicissima, che non ha bisogno di nulla e permea il tutto, libera
in modo naturale dal samsāra, si innalza al di là di qualsiasi
ostacolo.
La
nostra vita invece è piena di ostacoli a cominciare dal corpo che
impegna pesantemente tutto il tempo, lo dobbiamo nutrire da mattina a
sera e curare con attenzione spesso maniacale, preoccupati del suo
aspetto più che di tutto il resto del mondo, il secondo ostacolo è
la nostra mente che prepotentemente esige la sua parte di gloria, e
soltanto quando riusciamo a superare entrambi gli intoppi siamo
realmente liberi come uccelli nello spazio e il Mahāmudrā è la
pratica che ci accompagna in questo cammino di liberazione dal nostro
attaccamento al sé.
Non
si tratta di combattere nulla, ma semplicemente di assumerci
consapevolmente le responsabilità di ogni azione, pensiero e parola
svincolandoci prima di tutto dalla schiavitù del corpo, ma per
poterlo fare dobbiamo conoscere sia l’anatomia del corpo grossolano
che l’essenza del corpo immateriale, sottile, del vajra.
Il
secondo passo è poi il riconoscimento e superamento dei
condizionamenti della mente che a sua volta si articolano su tre
livelli, quello grossolano determinato dall’ininterrotto lavorio
dei pensieri durante tutto il periodo di veglia, quello intermedio
-né grossolano né sottile- che si verifica nel sogno, e infine il
livello della mente sottile.
Nella
consapevolezza di questi elementi si impara a conoscere se stessi e
solo allora avremmo realmente la capacità di praticare il Mahāmudrā,
ma noi, al contrario, rivolgiamo costantemente la nostra attenzione
esclusivamente a tutto ciò che è esterno, siamo concentratissimi
nel rilevare ogni dettaglio per formulare giudizi lapidari nei
confronti delle azioni altrui a cui attribuire la colpa di tutto ciò
che non ci piace, mentre ci appropriamo orgogliosamente del merito
dei buoni risultati, siamo certi di conoscerci perfettamente, abbiamo
una spropositata opinione delle nostre presunte verità per cui la
ragione è sempre nostra e il torto totalmente altrui, pensiamo di
sapere già tutto di noi, mentre in realtà non abbiamo la più
pallida idea di chi, cosa e come siamo realmente.
Il
compito principale dunque è partire da zero, lavorando su noi stessi
a cominciare dalla conoscenza dei corpi grossolano e sottile, della
mente grossolana, intermedia e sottile, sino a giungere infine alla
conoscenza sul piano ancora più sottile nella visione della naturale
fusione di corpo e mente.
La
qualità necessaria per questo lavoro è la lucida e paziente
consapevolezza che non si può ottenere con nessuna iniziazione, né
benedizione di guru quasi fosse un lampo miracoloso in grado di
assicurare in un solo colpo, ricevuto senza sforzo né partecipazione
alcuna da parte nostra, l’illuminazione istantanea e definitiva.
Tutto questo è solo una macroscopica illusione samsarica, che
risponde più alle leggi mercantili di questo mondo che non al
principio spirituale, al contrario la lucida consapevole visione la
si ottiene unicamente con l’ininterrotta e paziente presenza
mentale da coltivare in ogni stante, costruendola momento dopo
momento, mettendo con metodo una pietra sull’altra in modo solido
così come faceva Milarepa.
Dobbiamo
dunque avere coscienza che la percezione samsarica è totalmente
fondata sull’illusione in cui siamo completamente immersi e sta a
noi, e solo a noi, la decisione di riconoscere tali inganni e di
maturare con rigoroso lavoro interiore la possibile liberazione dagli
stessi così da librarci sciolti nello spazio, nel cielo più terso
di puro amore e compassione.
Gli
scienziati hanno studiato il funzionamento del cervello umano
verificando le notevoli modificazioni prodotte nel cervello dei
meditatori, di persone dedite ad attività di umile ma autentico
altruismo, rispetto a quello delle persone immerse nelle frenetiche
attività mondane e, al termine di tale rigorosa ricerca, sono giunti
alle stesse conclusioni di quanto enunciato dal Buddha 2500 anni fa e
questa connessione tra scienza e spiritualità è davvero
importantissima.
Ora
dovremmo avere le idee chiare su ciò che implica la consapevolezza
del proprio sé e al fine di accedere allo studio del Mahāmudrā è
importante iniziare dall’analisi dell’insegnamento trasmesso
secondo la tradizione orale nel monastero di Gaden fondato da Lama Je
Tzong Khapa in Tibet, contenuta nel documento intitolato: “Il
sentiero principale dei Vittoriosi”.
Questo è il testo radice per la preziosa tradizione Gelug Kagyü del
Mahāmudrā è stato composto da Panchen Losang Chökyi Gyeltsen ed
elaborato nel periodo 1567-1662.
Il
termine Mahāmudrā, come molti altri, è intraducibile nelle lingue
occidentali e dunque è necessario andare oltre la forma strettamente
letterale, ma attenendoci alla traduzione ufficiale, si ha: “Grande
Sigillo”,
definizione che deriva dai quattro sigilli della visione del Buddha.
In realtà sigillo definisce il linguaggio dei segni, non gestuale,
ma simbolico in cui ogni movimento esprime una precisa
visualizzazione e comunicazione profonda.
L’insegnamento
venne trasmesso in forma esclusivamente orale e solo in seguito fu
raccolto nel testo che ora esamineremo premettendo che la frettolosa
traduzione in italiano molto spesso è di difficile comprensione.
Sostanzialmente presenta tre linee guida, nella prima ci sono i
preliminari,
nella seconda la pratica
effettiva,
nella terza la conclusione.
Nei
preliminari si raccomanda:
-
Per
avere una porta d’ingresso che acceda al Dharma e un pilastro
centrale per il Mahāyāna, prendi rifugio e genera bodhicitta con
sincerità, senza lasciare che rimangano mere parole sulle tue
labbra.-
I
preliminari inducono ad assumere un’attitudine rivolta al fine di
raggiungere l’illuminazione per poter essere di beneficio a tutti
gli esseri senzienti tramite l’applicazione delle sei pāramitā -
Generosità, Etica o Moralità, Pazienza, Perseveranza entusiastica,
Concentrazione, Saggezza.-
In
genere, come preliminare ad ogni istruzione profonda o a dedicarsi
alla meditazione, tutti gli esseri santi delle differenti tradizioni
del Tibet concordano nel compiere ciò che è indicato con “Le
Quattro Istruzioni Guida”:
Prendere
rifugio e generare bodhicitta.
La
meditazione di Vajrasattva.
L’offerta
del mandala.
Il
guru yoga.
In
particolare, rispetto al meditare dapprima sulla gentilezza
amorevole, la compassione, bodhicitta, la rinuncia, il karma, la
morte e l’impermanenza, il supremo discepolo del più alto
yogatantra, il signore degli yogi, Milarepa,
diede dei consigli dicendo:
-Spaventato
dagli otto stati di non-libertà, ho meditato l’impermanenza e gli
svantaggi del samsara, seguito accuratamente i principi del karma, la
legge di causa ed effetto e affidato costantemente me stesso ai tre
gioielli del rifugio.
Avendo
esercitato il mio continuum mentale nel metodo di bodhicitta, ho
dissecato il flusso delle oscurazioni latenti e realizzato che tutte
le apparenze sono come illusioni.
Adesso
non ho nessuna paura dei tre reami inferiori.-
In
modo analogo, come ha detto il grande detentore del vajra Dragpa
Gyeltsen nell’insegnamento “Separarsi
dai Quattro Attaccamenti”:
-Se
sei attaccato a questa vita, non sei un vero praticante spirituale.
Se
sei attaccato al samsara, non hai la rinuncia.
Se
sei attaccato ai tuoi interessi personali, non hai bodhicitta.
Se
c’è afferrarsi, non hai la visione corretta.-
Poi
prosegue:
-
Inoltre, dato che la natura ultima della mente dipende dall’aver
accumulato le raccolte e purificato le oscurazioni, recita il mantra
delle cento sillabe di Vajrasattva almeno centomila volte e in più,
come pratica essenziale,
confessa
intensamente le azioni negative e prometti di astenerti dal compierle
ancora, completando i quattro poteri opponenti con pratiche come
compiere possibilmente centinaia di prostrazioni mentre reciti
l’ammissione delle cadute. Poi, dal profondo del cuore, fai
ripetute richieste al tuo guru radice, inseparabile da tutti i Buddha
dei tre tempi.-
Anche
se esistono più modalità di approccio al Mahāmudrā, ma
essenzialmente possiamo classificarne due complessivamente basilari:
1)
Mahāmudrā dei Sutra.
2)
Mahāmudrā dei Tantra.
Le
pratiche preliminari si articolano in due aspetti, del sūtra e del
tantra.
I
preliminari del sūtra
consistono
nei tre aspetti principali del sentiero di Lama Je Tzong Khapa:
Rinuncia, Bodhicitta e realizzazione della realtà ultima, della
Vacuità.
I
preliminari del tantra
si articolano in quattro aspetti e prevedono la ripetizione di ogni
pratica almeno centomila volte:
1)
Lo
sviluppo della Bodhicitta con
la formula della presa di rifugio e le prosternazioni;
2)
La purificazione con la recitazione del mantra di Vajrasattva;
3)
La costruzione del Mandala;
4)
La pratica di Guru yoga.
Questa
enfatizzazione sulle quantità di esecuzione è la sola presentazione
dell’immagine formale di cui prendiamo atto pur senza approfondirla
ulteriormente perché a noi interessa l’aspetto sostanziale che non
riguarda affatto la contabilità delle pratiche fatte, ma l’essenza
contenuta in ognuna di esse. La forma indica soltanto la modalità di
esecuzione che però, se rimane a questo livello, è totalmente
inutile e anzi se fatta senza consapevolezza e intelligenza, diventa
negativa e fuorviante, incatena lo spirito invece di liberarlo, ciò
che vale non è il numero, la quantità, ma il senso, la qualità
intrinseca che deve essere sviluppata.
La
pratica deve condurre alla coscienza di sé, di ciò che siamo,
facciamo e pensiamo e al conseguente riconoscimento dell’inesistenza
dell’io e completo spogliamento di sé nella consapevolezza di non
possedere assolutamente nulla, nemmeno il corpo.
Non
occorrono coreografie complicate per realizzare questi quattro
aspetti, al contrario, nella semplice meditazione silenziosa si
realizza la presa di rifugio nei tre Gioielli con tutto il senso
profondissimo che comporta, l’altruismo e la Bodhicitta, così come
nel mandala con un semplice gesto si offre il dono incondizionato di
sé, di tutto ciò che siamo, anima e corpo.
In
genere invece noi, sopratutto nelle pratiche spirituali, siamo
immersi nell’enfatizzazione del nostro ego, lo teniamo ben stretto
e sprechiamo l’esistenza seguendo la consueta logica del mondo, è
più rilassante affidarsi a chissà quali poteri miracolosi di una
contabilità che ci fa sentire molto piu
perché abbiamo recitato centomila mantra, fatte altrettante
prosternazioni e altro ancora, ma se non trasformiamo il nostro
cuore-mente questa esteriorità non serve a nulla e anzi ci fa
regredire in una immaturità spirituale veramente deleteria che ci
affonda sempre più nel nostro miserevole, gretto ego, ci induce ad
attribuire con ignoranza arrogante tutte le responsabilità dei
nostri sbagli esclusivamente agli altri e in questa illusione
pseudo spirituale restiamo completamente accecati e incapaci
di vedere con chiarezza, tutti i nostri errori.
È
fondamentale riconoscere e osservare con attenzione tutti i nostri
sbagli e cadute, ma senza inutili ed altrettanto egocentrici sensi di
colpa, questi non sono affatto necessari, semplicemente dobbiamo
assumerci con sincerità e consapevolezza le nostre responsabilità
lavorando per correggerci e migliorarci nel cammino spirituale.
Questo è il senso del Mahāmudrā, non la coreografia da cui molti
si sentono gratificati, ma che diventa, se fine a se stessa, inutile
e dannosa.
E
infine c’è la pratica del Guru yoga, dell’umiltà. Non importa
chi sia il tuo guru, può essere anche il tuo animale domestico, o
qualsiasi persona, invece noi, con il nostro ego perennemente
affamato di gloria, ci gettiamo a capofitto nella ricerca del Guru
più famoso, ci poniamo in costante competizione con altri, “…il
mio maestro è migliore del tuo…” e altre stupidaggini del
genere. Eppure ciò che conta unicamente è il Dharma, l’apertura
del cuore che ci rende umili e ci fa riconoscere con stupore e
gratitudine che ogni altro essere che incontriamo nel cammino ci è
realmente maestro.
Abbiamo
visto che i quattro preliminari iniziano con la prima pratica, la
presa
di rifugio
in
Buddha, Dharma, Sangha
e ciò significa porsi coscientemente l’obiettivo di raggiungere
l’illuminazione per essere di beneficio a tutti gli esseri, come il
Buddha,
e ciò può realizzarsi solo praticando il Dharma,
il sentiero necessario da percorrere con i nostri compagni di
viaggio, il Sangha,
e tale rifugio è reale soltanto nello sviluppo della Bodhicitta.
La
seconda pratica preliminare è la purificazione
in cui riconosciamo gli errori del passato, nella consapevolezza del
presente per essere migliori nel futuro, pulire il karma passato,
presente e futuro.
La
terza pratica è l’offerta
del mandala,
cioè di tutto ciò che abbiamo e riteniamo nostro, ogni proprietà,
il nostro stesso corpo e la virtù, offerta della condivisione perché
nulla ci appartiene e sviluppiamo la consapevolezza che tutto è di
tutti.
Infine
la quarta pratica è quella del Guru
yoga,
è la presa di coscienza nell’umiltà.
Seconda
sessione
Questa
mattina abbiamo esaminato i preliminari, ora seguiamo il testo
analizzando la seconda linea guida, la pratica effettiva.
Abbiamo
visto che il Mahāmudrā sostanzialmente è classificato secondo due
modalità di approccio:
1)
Mahāmudrā dei Sutra.
2)
Mahāmudrā dei Tantra.
Il
Mahāmudrā dei tantra riguarda la mente di luce chiara [o chiara
luce] che è la saggezza suprema di grande beatitudine (mahasukha)
co-emergente sorta dall’ingresso, dimora e dissoluzione dei venti
nel canale centrale in conseguenza all’applicazione dei metodi
abili come la penetrazione del soffio nei punti vitali del corpo
sottile, di vajra. Ciò è ottenibile grazie al lavoro con cui si
sono ottenute le quattro iniziazioni pure, mantenuto gli impegni
(samaya)
e i voti (samvara)
in modo appropriato e dall’essersi familiarizzati con lo stadio di
generazione.
Questo
è il Mahāmudrā accettato dai santi Saraha, Nagarjuna, Nāropa e
Maitripa. È l’essenza più profonda della classe dei tantra
anuttarayoga ed è il principale argomento insegnato nel testo radice
Mahāmudrā tantra
“Le
Sette Sezioni del Completamento”
e nei “Tre
Cicli di Doha”
elaborati
dal
maestro indiano Saraha.
Qui
è compreso l’intero insegnamento del Mahāmudrā tantra che
consiste nel conoscere e liberare il nostro sé dagli ostacoli
fisici, relativi al corpo grossolano, e mentali, relativi al corpo
sottile di vajra che nella pratica di Mahāmudrā dei tantra non
dipende più dai ritmi delle fasi di esistenza e dai condizionamenti
del corpo grossolano. In questo modo l’energia può scorrere
liberamente nel corpo di vajra attraverso tre fenomeni: i canali,
il vento,
i bindhu
o
gocce vitali.
Quando
non abbiamo ancora raggiunto la conoscenza del corpo sottile possiamo
agire solo sul corpo grossolano iniziando con la visualizzazione dei
tre canali che lo attraversano: il primo è quello centrale che è
affiancato da altri due canali, uno a sinistra e l’altro a destra.
In tutti e tre scorrono il vento e i bindhu, però a questo primo
livello di pratica la respirazione può passare unicamente attraverso
i due canali laterali poiché quello centrale è ancora chiuso, siamo
tuttora preda delle emozioni che non riusciamo a controllare.
Soltanto
quando, dopo aver realizzato questa prima fase cominciamo a conoscere
e vivere nel corpo sottile possiamo davvero liberarci dalla
dipendenza degli ostacoli del corpo grossolano.
Il
corpo sottile non è tangibile, lo si visualizza con l’immaginazione
tramite lo scorrere del respiro nei tre canali, iniziando con
l’attenta osservazione del ritmo vitale di ogni respiro nei due
canali laterali, visualizzando l’ingresso o inspirazione in un
canale e l’uscita o espirazione dall’altro. Il respiro o vento è
la vita e tocca sia il corpo grossolano che il corpo sottile.
In
questo modo ogni istante di vita nel respiro è pratica, anche se è
un ritmo incosciente, e dunque il nostro compito consiste proprio nel
riconoscere l’essenza profondissima del respiro con attenta
presenza mentale in piena consapevolezza sia del corpo grossolano che
del corpo sottile, perché l’immaginazione crea la realtà.
Ci
sono due livelli di pratica, il primo è detto della generazione
e il secondo del completamento.
La
pratica della generazione consiste nello sviluppo della
concentrazione univoca dello yoga della divinità, Śamatha
del tantra,
e su questa base si manifesta il corpo sottile.
Il
Śamatha
del sūtra
può essere applicato a qualsiasi oggetto nello sviluppo della calma
dimorante, shiné, sino a giungere al vipaśyanā sūtra.
La
pratica del completamento è la visione del proprio corpo attraverso
i canali come corpo di vajra nella realizzazione di Chiara Luce.
Per
prima cosa dunque dobbiamo avere un approccio al nostro corpo sottile
attraverso l’immaginazione, la visualizzazione, la concentrazione,
con consapevolezza del respiro che passando nei due canali laterali
mostra tutti i pensieri ingannevoli che ci distraggono dalla nostra
reale essenza, dobbiamo dunque con questo ritmo calmo purificare
l’energia in modo da chiudere lentamente i due canali laterali e
aprire il canale centrale così che il prāna possa scorrere come
limpida acqua di un ruscello di montagna liberandoci da tutti i
pensieri concettuali, le illusioni, le preoccupazioni. Un metodo per
attivare questa circolazione del prāna è la pratica dei nove
respiri.
Tutti
preliminari e le pratiche sono essenziali per liberarci dalla visione
ordinaria, superficiale indotta dai pensieri concettuali, ingannevoli
e illusori che impediscono la visione pura della realtà ultima dei
fenomeni, la realtà della vacuità. Un’esperienza che ognuno può
fare solo in se stesso e che in nessun caso può venire dall’esterno,
essere data da altri.
Il
passo fondamentale è dunque l’apertura al prāna che entra con il
respiro nel canale centrale e il secondo la sua diffusione e
dissoluzione in tutti i chakra e l’incontro indistruttibile di
mente e cuore e dissoluzione nel chakra del cuore.
Infine
l’ultimo passaggio è il
Mahāmudrā tantra di
cui abbiamo detto all’inizio di questa seconda sessione è la mente
di luce chiara e viene insegnata usando termini quali “il
significato definitivo di AH
breve”, “la goccia indistruttibile”, “la mente spontanea”,
“la mente ordinaria” e “la mente primordiale”.
In
quanto alla generazione di questo Mahāmudrā, se i venti entrano,
dimorano e si dissolvono nel canale centrale, essendosi esercitati
nei sentieri preparatori nelle vite passate o nella prima parte di
questa vita, allora questa persona è in grado di realizzare la luce
chiara del Mahāmudrā osservando ogni oggetto idoneo o restando in
una mente non concettuale. I maestri Kagyü del passato, della
tradizione di trasmissione orale, hanno definito questa persona ‘la
simultanea’.
Per
tutti gli altri praticanti che vogliano realizzare il Mahāmudrā in
questo sentiero è assolutamente necessario meditare sul
tummo
e così via e una tale persona è chiamata “la
seriale”.
Milarepa,
forse il più grande mistico tibetano realizzò il Mahāmudrā
meditando sopratutto e prima di qualsiasi altra pratica i sei yoga di
Nāropa, secondo la tradizione di Nāropa e di Marpa.
Il
testo che stiamo analizzando procede in approfondimenti sempre più
sottili, però oggi ci limitiamo alle linee sostanziali del Mahāmudrā
tantra della chiara luce ultima nel nostro corpo vajra, realizzabili
con il metodo dei tre passaggi di prāna.
Abbiamo
anche accennato ad un altro metodo molto particolare e profondo,
quello del tummo
(l’accensione della fiamma del fuoco interno) che è la pratica
principale dei sei yoga di Nāropa che comprendono sei istruzioni
pratiche per l’adempimento della perfezione e in cui si impara a
conoscere tutti i punti in cui far entrare, restare e infine
dissolvere i venti sottili del canale centrale.
Dopo
aver praticato tutti preliminari si può accedere alle tre pratiche
essenziali del tummo che, con l’applicazione di particolari
movimenti di respirazione, producono l’accensione del potente fuoco
interiore, o violento avvampare, del corpo illusorio e della Chiara
Luce.
Abbiamo
visto come nella pratica yoga del corpo illusorio sia fondamentale
riconoscere il riflesso, l’illusione di una realtà che è solo
apparenza impura, per cui è necessario praticare con costanza nella
meditazione fino a rendere reale e limpida, nella purificazione di
ogni contaminazione, la visualizzazione del corpo illusorio puro che
qui può essere identificato con la vacuità e dissolversi in essa.
Nell’unione
tra corpo e mente si crea la magia del tummo.
Terza
sessione
Continuando
ad analizzare il testo troviamo la descrizione dell’essenza della
pratica dell’Anuttarayogatantra, l’alto livello delle quattro
pratiche di tantra, la via più rapida che permette di raggiungere
l’illuminazione in una sola vita. Il terreno in cui si applica è
il corpo fisico e la pratica entra in simbiosi con la fisiologia.
Attenzione
però, non cadete in trappole illusorie, non si deve avere mai fretta
di raggiungere l’illuminazione, questo sarebbe il primo grande
ostacolo che ne impedirebbe la realizzazione, soltanto chi non
afferra saldamente il miraggio dell’illuminazione, chi non ha alcun
attaccamento ad essa, la ottiene in modo naturale, spontaneo e senza
alcun impiego di volontà propria.
Il
Mahāmudrā dei tantra riguarda la mente di luce chiara [o chiara
luce] che è la saggezza suprema di grande beatitudine (mahasukha)
co-emergente sorta dall’entrare, dimorare e dissolversi dei venti
nel canale centrale a causa di metodi abili come la penetrazione
degli stessi nei punti vitali del corpo di vajra sottile.”
Ed ciò che abbiamo trattato ieri.
Ritornando
dunque all’Anuttarayogatantra sia chiaro che la realizzazione della
sua essenza non la si ottiene esclusivamente con la pratica di tummo,
vi sono anche altre vie, l’importante è seguire i tre passi, far
entrare il prāna nel canale centrale, farlo permanere nel chakra
centrale e infine dissolverlo nel bindhu della mente primordiale in
cui sorge la realizzazione della Chiara Luce.
Nella
realizzazione dell’Anuttarayogatantra si eliminano tutti gli
ostacoli fisici e mentali dei canali laterali che chiudendosi
permettono l’apertura del canale centrale in cui si eliminano
automaticamente tutte le emozioni negative diventando così la via
più rapida per raggiungere l’illuminazione in una sola vita. La
tradizione però dice anche che tramite il Mahāmudrā dei sūtra per
raggiungere l’illuminazione è necessario praticare per tre
illimitati eoni e questa è la differenza tra i due sentieri.
Le
quattro classi di tantra dei sei yoga di Nāropa appartengono alla
tradizione indiana mahāsiddha importata in Tibet da Atīśa e Marpa
e trasmessa a Tilopa, un pescatore, maestro di Nāropa. Leggere la
vita di questi mahāsiddha Tilopa, Nāropa, Marpa, Milarepa è molto
interessante e aiuta a comprendere la trasmissione di questo
lignaggio che, tramite Atīśa, è passato ai successivi e numerosi
yogi tibetani. Questo Linaggio
Orale di Tradizione Gaden anche dariva derettamente dal Manjushri a
Lama Je Tsongkhapa.
Per
praticare la via di questi mahāsiddha è necessaria una grande forza
d’animo poiché innanzitutto è essenziale applicare totalmente
l’attitudine di grande rinuncia, amore, compassione, fede,
realizzazione della vacuità della natura ultima dei fenomeni nello
spazio infinito in cui entriamo liberamente e incondizionatamente e
in cui tutto è possibile e visibile nella chiarezza dell’infinita
capacità della nostra saggezza.
Per
questo è davvero di primaria rilevanza la conoscenza di questi
maestri nella loro quotidianità e normalità delle azioni,
apparentemente ordinarie, ma cariche di valori e significato immensi.
Senza questo approccio è difficile cogliere il senso autentico e
profondo di mahāsiddha ecco perché è così importante la pratica
del guru yoga, dell’umiltà che trova l’espressione massima nella
vacuità e l’esempio più chiaro ci è offerto da Milarepa che è
riuscito a vedere il suo maestro, Marpa, (da cui era trattato
malissimo volutamente e per la sua purificazione), come la sua
divinità personale, e lo stesso accadde, risalendo, a Marpa, Nāropa,
Tilopa, nel mandala della divinità che è la forma del nostro corpo
sottile nella natura che va al di là del tangibile, del corpo
grossolano.
Quando
si raggiunge questo livello di comunicazione tra maestro e discepolo
la percezione del corpo sottile è reale, la realizzazione spirituale
del Kālacakra è frutto di grande lavoro di pulizia dello specchio
che può così riflettere chiaramente l’immagine del corpo sottile,
manifestando la visione pura della divinità.
Questa
è la tradizione trasmessa dagli ottanta mahāsiddha, un’elaborazione
successiva al messaggio originario, fondamentale, radice, del Buddha.
Riassumendo:
nella pratica del tantra è importante partire dalla conoscenza della
fisiologia del proprio corpo, i punti energetici, chakra, i canali in
cui passano i prāna o venti, i bindhu o gocce sorgenti di vita,
giungendo in questa conoscenza alla visione pura del corpo sottile
tramite l’esercizio yoga del respiro che trasforma i venti impuri
delle illusioni e della confusione nei canali laterali, alla chiusura
degli stessi si ha l’apertura del canale centrale in qui
entra il vento puro che porta alla realizzazione dei vari livelli di
beatitudine sperimentati nell’entrata, dimora e dissoluzione del
vento primordiale.
Si
realizza in questa pratica l’apertura alla saggezza della mente
primordiale, alla Chiara Luce per giungere infine all’illuminazione
completa. Si abbandona il corpo materiale risorgendo nel corpo
illusorio che è il continuum del vento sottile, si realizza il corpo
di saggezza, Dharmakāya, e il corpo di beatitudine, Sambhogakāya.
Noi
siamo unici e quindi per poter comprendere il senso profondo di ogni
sentiero è necessario farne esperienza, perché quella dell’uno
non può mai essere uguale a quella dell’altro, né può essere
trasmesso un concetto astratto, sperimentare è la chiave necessaria
per aprire la porta del sentiero adatto a sé.
Per
chiarire questo concetto in Tibet si narra che gli ottanta mahāsiddha
hanno praticato singolarmente e realizzato una sola divinità, mentre
al contrario i tibetani ne praticano cento senza realizzarne nessuna.
Quindi non serve davvero a nulla ricevere mille iniziazioni, mille
pratiche rivolte a divinità diverse, mille sādhana.
È
essenziale sperimentare direttamente rispondendo alla propria
personalità, modo di essere vita, per rendere davvero efficace
qualsiasi pratica si intraprenda e non solo bearsi in una bella
teoria considerandola efficacissima purché sia un perfetta fotocopia
delle pratiche altrui, frutto di altre culture e tradizioni, questo
vanifica ogni cosa, ognuno deve costruire responsabilmente la prassi
nella propria quotidianità, nel proprio modo di essere, deve farne
concreta esperienza.
Secondo
la tradizione orale del monastero di Gaden fondato da lama Je Tzong
Khapa è dettagliato il sistema dell’Anuttarayogatantra che pratica
il Mahāmudrātantra seguendo i sei sentieri descritti nei testi di
Kālacakratantra e Cakrasamvaratantra. I sei sentieri devono passare
attraverso la penetrazione dei punti vitali del corpo e sono:
distacco del corpo; delle parole; della mente; realizzazione della
Chiara Luce; del corpo illusorio; dell’unione o stato di
illuminazione.
Quest’anno
i tibetani festeggiano con pūja l’anniversario del passaggio di
Lama Tzong Khapa nel Parinirvāna avvenuto 600 anni fa.
Qui
si apre un discorso interessante, generalmente si dice che si possa
raggiungere l’illuminazione nel Bar-do, ma altri sostengono che sia
invece possibile raggiungerla già in questa vita tramite la
applicazione di tutti i metodi abili, e uno di questi è costituito
dai mudrā, sia il Mahāmudrā a livello mentale che il Kamamudrā
che comprende l’unione fisica tra maschile e femminile.
Lama
JeTzong Khapa, in quanto monaco ordinato, non ha praticato il
kamamudrā, e quindi alcuni sostengono che per questo motivo abbia
potuto raggiungere l’illuminazione solo nel corpo illusorio, nella
realizzazione completa di Chiara Luce nello stato del Bar-do.
A
causa di queste varie interpretazioni sono state formulate varie
ipotesi, ma nel nostro studio è semplicemente fondamentale avere
coscienza che l’approfondimento del Mahāmudrā tantra è
personale, nessuno può avere certezza di nulla, ma ognuno trova in
se stesso, tramite la continua ricerca che diviene esperienza, la
giusta via.
Ora
esaminiamo il Mahāmudrā sūtra come presentato in questo il
testo.
Il
Mahāmudrā dei sūtra si riferisce ai modi di meditare sulla vacuità
(shuıyata)
così come direttamente indicati nei “Sutra
della Perfezione della Saggezza”
e che possono essere studiati su tre livelli: - estesi,
intermedi
e brevi.
L’oggetto
del nostro studio non è però collocabile ancora in nessuno di
questi tre livelli, ci focalizziamo invece sull’importantissimo e
completo “Sūtra
del cuore”
che
ancora può essere sintetizzato nel suo mantra:
-
TADYATHA GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
-
Gatè
può essere tradotto con entrate nel sentiero verso l’illuminazione,
ed è il succo delle Prajñāpāramitā, il sūtra della perfezione
della saggezza.
Il
supremo Arya Nāgārjuna
disse:
-Non
esiste altro sentiero verso la liberazione oltre la realizzazione
della vacuità-,
che non è prerogativa esclusiva della filosofia buddhista, ma è
realizzabile da tutti gli esseri umani che ne sappiano e vogliano
cogliere il senso profondo. Realizzare non significa avere cieca fede
in Dio o in qualsiasi fenomeno divino, bensì comprendere,
sperimentare l’energia primordiale, la fonte dell’esistenza che
ci trasforma nella stessa essenza di Dio, ne siamo parte, così come
diventiamo noi stessi vacuità. Tutte le religioni convergono sulla
stessa via.
Il
testo segue: -
Qui darò le istruzioni sul Mahāmudrā secondo il suo insegnamento e
descriverò i modi di introdurre la natura della mente in accordo
alle istruzioni dei maestri del lignaggio.-
Perché
quanto è insegnato qui viene chiamato Mahāmudrā?
Come
è detto nel
“Sutra
del Re della Concentrazione”:
-
La natura di tutti i fenomeni è un sigillo.-
In
questo senso, essendo la vacuità la natura di tutti i fenomeni, è
un sigillo (mudrā)
e poiché quando è realizzato si è liberi da tutte le
degenerazioni, è riconosciuto come il “grande” o “supremo”
(mudrā).
Esistono
molti lignaggi di pratica ognuno con il suo specifico nome, per
esempio
“l’unione
co-emergente”
(Karma
Kagyu).
La
vacuità secondo le differenti scuole è definita con diversi nomi:
Il
ciondolo portafortuna
(Shangpa
Kagyu),
Le
cinque parti
(Drigung Kagyu),
I
Sei Cicli dello Stesso Sapore
(Drugpa Kagyu),
Le
Quattro Sillabe
(Maitripa),
Il
Pacificante
(Padampa Sangye),
Chod
– L’oggetto del Recidere
(Machig Labdron),
Dzogchen
– La Grande Perfezione
(Nyingma),
Istruzioni
sulla Visione
Madyamaka
(Gelug)
-
Tuttavia,
quando è investigato da yogi dotti nelle scritture del significato
definitivo, acuti nel ragionamento logico e realizzati nella
meditazione, tutti quanti convengono sullo stesso significato. Stando
così le cose, tra i due sistemi del Mahāmudrā dei sūtra è
unicamente necessario:-
dedicarsi
alla meditazione dopo aver compreso la visione corretta e
dedicarsi
alla visione corretta dopo aver meditato, io qui spiegherò in
accordo al secondo sistema.
Ora,
è vero che vi sono due sistemi differenti, tuttavia il sistema di
dedicarsi alla visione corretta dopo aver meditato è in accordo con
quanto è stato detto dal Protettore Śāntideva: -Vipashyana
dotata di shamatha distrugge completamente le afflizioni.
Sapendo
questo, prima cerca shamatha.-
Ed
è anche detto nel “Sutra
del Cumulo di Gioielli”:
- Dimorando
nell’etica, si ottiene la concentrazione.
Ottenuta
la concentrazione coltiva la saggezza.-
Poiché
è così, qual è il metodo per coltivare inizialmente shamatha? A
tale riguardo vi sono due linee guida:
preparazione
pratica
effettiva
Preparazione:
Come
è stato affermato nell’“Ornamento
per i Sutra Mahāyāna”
del venerabile Maitreya: -Il
luogo dove pratica l’intelligente
è
un luogo dall’accesso facile, un luogo sicuro, con un buon
ambiente, amici buoni e i requisiti per una pratica yogica.-
E’
spiegato, inoltre, che restando in un tale luogo è necessario
praticare i prerequisiti di shamatha vivendo
in un’etica pura, con pochi desideri, accontentandosi e così via,
ed è del tutto necessario effettuare le sei pratiche preparatorie:
-Sopra
un sedile che sia confortevole per coltivare la concentrazione
(samadhi) assumi la postura fisica in sette punti e con l’esercizio
del respiro in nove cicli chiarifica le energie sottili stagnanti.
Dopo aver completamente separato le impurità dalla pura
consapevolezza, allora con una mente pura e virtuosa inizia col
prendere rifugio e generare bodhicitta. Medita sul profondo sentiero
del guru yoga e poi, dopo aver effettuato centinaia di ferventi
richieste, dissolvi il guru dentro di te.-
Passiamo
ora alla pratica effettiva:
Pratica
effettiva
-
Entro questo stato di fuggevoli apparenze, non alterare nulla con
pensieri discorsivi come le aspettative
pensando
di raggiungere certi obiettivi,
o
le paure riguardo all’eventualità che certi eventi spiacevoli
accadano o meno. Senza fluttuare, cioè senza soffermarsi nel
passato, senza anticipare il futuro e senza vagare nel presente,
rimani per un breve tempo nell’equilibrio meditativo (samahita).-
Questa
è la meditazione sulla mente convenzionale, che è quella piena di
informazioni, di concetti, di elaborazione del pensiero e che noi
dobbiamo imparare a riconoscere, controllare e dominare, mentre in
genere avviene l’esatto contrario, noi siamo schiavi dei nostri
pensieri. La mente convenzionale correttamente guidata e allenata
impara a permanere stabile nella contemplazione della mente, senza
aspettative, felice nel presente in consapevolezza.
Come
anche Einstein comprese è una perdita di tempo e di energie
preoccuparsi per il futuro e ognuno singolarmente è il laboratorio
di se stesso perché solo nell’esperienza autentica, unica e
personale si penetra nel proprio gesto, il Mahāmudrā sūtra, e non
è una condizione definitiva necessariamente protratta lungamente, è
sufficiente sperimentarla anche per un solo istante, ma con piena
consapevolezza, e poi si ripeterà sempre più spesso e lungamente.
-
Quando
pacifichi la mente in questo stato non abbandonare l’attenzione,
come quando stai per svenire o per addormentarti. Invece, attiva la
vigilanza della consapevolezza (smrti) non distratta in modo che la
mente, che è risolutamente ferma, non diventi distratta.-
In
questo modo l’oggetto osservato è trattenuto dal laccio della
consapevolezza. Se tuttavia la consapevolezza degenera, vi sarà il
grande pericolo della proliferazione del pensieri che agiterà la
mente. È quindi necessario applicare l’introspezione
(samprajaıya)
come un osservatore, per essere consapevole se la mente sta
muovendosi o no altrove a causa della minor forza della
consapevolezza.
Come
è detto ne
“Il
Cuore della Via di Mezzo”
di
Bhavaviveka:
-
L’elefante della mente fuori controllo
deve
essere legato con sicurezza dalla corda della consapevolezza
al
saldo palo dell’oggetto osservato
e
gradualmente portato sotto controllo dal gancio dell’introspezione.-
-
In breve,
compiendo una stabilizzazione meditativa impeccabile, non andare
oltre il
modo
di mantenere consapevolezza e introspezione. Per di più, la
consapevolezza è la principale e se è presente, allora
l’introspezione, che si dice sia il risultato della consapevolezza,
si manifesta naturalmente.-
-
Focalizza accuratamente la consapevolezza sulla natura di chiarezza e
presenza consapevole della mente ed osservala in concentrazione
univoca e in modo nudo e puro. Quando stai osservando in questo modo
qualsiasi pensiero si affacci, riconoscilo e basta. Una tale tecnica
riguarda l’introspezione. Oppure, come il duello dello spadaccino
con l’arciere, narrato nelle scritture del Vinaya, avendo generato
consapevolezza e introspezione forti, non appena sorge un pensiero,
taglialo via completamente, impedendogli di continuare-.
-
Quando finalmente il proliferare dei pensieri è stato interrotto e
la mente è calma, allora senza perdere la consapevolezza o
l’introspezione, allenta subito la tua concentrazione e rimani in
uno stato di equilibrio meditativo. -
Come
ha detto Machig Labdron: - Focalizza
attentamente e rilassati allentando. È qui che può essere
stabilizzata la mente.-
E
come ha detto Saraha: - Se
rilassi una mente legata dalla rigidità,
indubbiamente
diventerà libera. Perciò rilassati senza diventare distratto.
Quarta
sessione
Questa
mattina abbiamo analizzato la meditazione sulla natura convenzionale
della mente, e ora procediamo nell’esame del testo:
-Quando
osservi la natura di ciascun pensiero che sorge, questi si
dissolvono, e si manifesta una chiara vacuità. In modo simile, se
investighi quando la mente è calma, c’è una vacuità
non-oscurata, chiara e una vivida limpidezza. Vedere che non c’è
differenza tra il primo e il secondo stato è noto ai meditatori come
“la
combinazione di movimento e quiete”.-
Questo
è il successivo progresso della meditazione che inizia con la
capacità di restare stabilmente immobili nella mente, anche se solo
per pochi istanti, in questo modo si una visione più chiara della
propria mente e si giunge così passo dopo passo in piena
consapevolezza a comprendere la vacuità della natura della mente. La
nostra mente diventa conduttrice della mente stessa, controlla e
domina con saggezza.
Per
questo è necessario cominciare a conoscere la mente convenzionale,
quella con cui conviviamo quotidianamente e che si rivela in ogni
gesto, pensiero, parola, in modo da poterla osservare, domare,
allenare, condurre con consapevolezza, senza sforzo, naturalmente.
-
Qualsiasi pensiero sorga, sia di rabbia, attaccamento o pensieri
strani, semplicemente osserva, non fermarlo, questo è il Mahāmudrā
il grande gesto. Individua con pazienza e compassione da dove
proviene e dove sta andando. Facendo così, osserva e rimani nella
natura di questi pensieri. Dimorando in questo modo il movimento alla
fine cesserà e la mente diverrà calma. È analogo a liberare un
uccello che è stato trattenuto a lungo su una nave in mezzo al
grande oceano.-
Mantieni
questo stato in accordo a quanto è detto nel “Canto
della Realizzazione”
di Saraha:
-
È analogo a un corvo che, liberato dalla sua nave,
vola
in tutte le direzioni per poi tornare a fermarsi là dove era
partito.-
La
metafora del corvo indica la facoltà degli uccelli che sempre volano
in totale libertà per poi tornare alla loro dimora abituale in cui
sanno di trovare il cibo necessario e il riposo, e noi altrettanto
dobbiamo fare con i nostri pensieri, lasciarli andare liberamente,
senza tentare di fermarli o limitarli, ma semplicemente osservarli.
Il
Mahāmudrā non è una pratica qualsiasi, è la gestione dei propri
pensieri con il gesto nobile, elegante, di valore, è la
consapevolezza della mente convenzionale che poi diverrà
consapevolezza della mente ultima, della vacuità.
Come
ha detto Yang Gonpa:
-Non
considerare i pensieri discorsivi come errori
e
non coltivare intenzionalmente la non-concettualità.
Rilassa
la mente nel suo stato naturale e mantieni un’osservazione
distaccata e la meditazione arriverà a shamatha.-
Inoltre,
se i praticanti attuali mantengono questo stato tramite i sei metodi
di tenere la mente distesa, diventeranno i re di questa istruzione,
ma quali sono i sei metodi?
Così,
come è stato detto:
-
Resta semplicemente come il sole libero da nuvole.
Resta
semplicemente come un’aquila che si libra nel cielo, senza ostacoli
di alcun tipo
.
Resta
semplicemente come una nave d’alto mare, che non affonda ma resta a
galla sul mare.
Resta
semplicemente come un bambino che guarda dentro un tempio, lui non
vede la sacralità del luogo, ma ne ammira e gode la bellezza, i
colori dei dipinti, l’architettura possente, senza giudizio.
Resta
semplicemente come la traccia di un volo d’uccello.
Resta
semplicemente come una lana pettinata.
Con
questi metodi di mantenere la mente così libera la pratica diventerà
significativa.-
Così
come una lana grezza, una volta cardata e pettinata diventa morbida e
flessibile, in modo analogo quando la mente rimane equanime è libera
dal contatto grossolano dei tre veleni manifesti e da torpore ed
eccitazione.
Mantenendo
un tale stato come riconoscere quali tipi di segni di realizzazione
si manifesteranno?
-
La natura dell’equilibrio meditativo sarà lucida ed estremamente
chiara, completamente non oscurata. E poiché in nessun modo è
stabilita come entità fisica è una vacuità chiara come lo spazio.
Inoltre,
qualunque oggetto dei cinque sensi appaia, buono o cattivo, sorge
alla mente in modo vivido
come
un’immagine riflessa in un limpido specchio e l’esperienza che ne
scaturisce è al di là della possibilità di essere identificata
come “questo” o “quello”.
Questa
concentrazione, per quanto stabile possa essere, se non è intrisa
dalla beatitudine della flessibilità fisica e mentale, è una mera
mente in concentrazione univoca del reame del desiderio, mentre una
concentrazione intrisa in quel modo è chiamata la mente di Śamatha.
Una simile mente è la fonte di molte qualità eccellenti, come le
percezioni extrasensoriali e le facoltà paranormali; in particolare
i tre sentieri Ārya dei tre veicoli sono ottenuti tramite quella.
-
La
pratica di Śamatha è
la concentrazione univoca sulla mente convenzionale ed è l’ultimo
livello della Mahāmudrā, è la gestione nobile dei pensieri che ci
accompagnano quotidianamente, è la possibilità di sviluppare
l’attenzione sul singolo punto, univoco, sulla natura della mente
luminosa, ma sempre a livello convenzionale, non si tratta ancora di
vacuità. La mente chiara riflette semplicemente qualsiasi oggetto,
non dà giudizi di valore, questi appartengono alle facoltà mentali
e le due facoltà sono distinte, non devono in alcun modo essere
confuse e ogni essere personalmente elabora in modo unico le proprie
facoltà mentali, vede la propria luce.
La
consapevole visione di Mahāmudrā non riguarda solo emozioni quali
la rabbia, l’attaccamento o altro, ma altrettanto la compassione,
la generosità, perché non vi alcun dualismo nella visione che non è
mai totalmente negativa o positiva, la consapevolezza rende luminosa
chiara la visione della mente, è il nobile gesto che osserva il volo
libero nel tutto.
Concludiamo
l’analisi di Mahāmudrā della mente convenzionale con:
-
Così la natura della mente può essere vista veramente in modo
chiaro e diretto, e tuttavia non può essere afferrata o indicata
dicendo E’ questa! Dimora così, con naturalezza, senza aggrapparti
a qualsiasi cosa appaia alla mente.
I
meditatori oggi in Tibet sono per lo più concordi nel sostenere che
queste sono istruzioni orali per additare il Buddha sul palmo della
mano. Tuttavia io, Chökyi Gyeltsen, dico che questo approccio è un
metodo meraviglioso e abile per i principianti che vogliono ottenere
la stabilizzazione della mente e un metodo per presentare la natura
convenzionale della mente.
Adesso
descriverò come introdurre la natura ultima della mente sulla base
delle istruzioni orali del mio guru-radice Sangye Yeshe che,
nell’aspetto di un monaco vestito di zafferano, ha eliminato il
buio che oscurava la mia mente.-
Riguardo
a questo argomento si devono fare due suddivisioni:
1)
presentazione generale dei differenti modi di introdurre la natura
ultima della mente;
2)
presentazione avendo estratto l’essenza di queste istruzioni.
Per
quanto riguarda la presentazione generale dei differenti modi di
introdurre la natura ultima della mente il Maestro ha detto: - Quando
si realizza la mente, lì c’è l’illuminazione.-
Dunque,
non cercare altrove l’illuminazione, anche Saraha ha detto:
-
La mente è l’unico seme di tutto.
È
ciò che costruisce samsara e nirvana.
Mi
prostro alla mente che è come un gioiello che esaudisce tutti i
desideri.
È
lei che concede ogni risultato desiderato.-
In
questo modo vi è il grande stato avverso del samsara e il grande
premio del nirvana, a seconda che non si realizzi o si realizzi la
realtà della nostra mente tale quale è. Tutti i sacri sūtra e
tantra concordano completamente su questo punto.
La
mente convenzionale è la mente quotidiana, generale, mentre la mente
ultima è la vacuità della mente.
Prima
abbiamo visto come sviluppare il Śamatha nella consapevolezza della
mente convenzionale, ora facciamo un ulteriore passo approfondiamo la
meditazione della vacuità personale rimanendo
- Nello
stato di equilibrio meditativo di Śamatha, come un pesciolino che
nuota in un laghetto, usa la consapevolezza sottile per investigare
intelligentemente la natura della persona che medita.-
Quindi
passiamo dalla meditazione generale a quella specifica della persona.
Come
ha detto il Protettore Arya Nagarjuna:
-
La persona non è terra, né acqua, né fuoco, né vento, né spazio,
né coscienza.
E
nemmeno la persona è l’insieme di tutti questi.
Altro
da questi, quale persona c’è?
Proprio
come la persona non è una realtà ultima [paramartha]
essendo
una raccolta dei sei costituenti, in modo analogo, ognuno di questi
costituenti non è una realtà ultima dal momento che anch’essi
sono raccolte.
Quando continui a indagare in questo modo non troverai il minimo
atomo di equilibrio meditativo, di meditatore e così via.-
Questa
è la meditazione vipaśyanā, che procede un passo dopo l’altro
per giungere in primo luogo all’approfondimento della conoscenza
del vuoto che genera immediatamente il dubbio: -ciò
che cerchiamo c’è o non c’è?-
altaleniamo tra due estremi, se ci afferriamo al “c’è”
cadiamo nell’ipotesi dell’eternalismo, oppure al “non
c’è”
e allora in quella del nichilismo.
Ma
dov’è il vero? In realtà le due posizioni non sono opposte e
contrarie, sono anzi due facce della stessa medaglia, contengono
entrambe gli stessi elementi di unità che sono comprensibili solo
nella visione dell’esistenza nel vuoto alla cui conoscenza si
giunge realizzando il cammino non dualistico della Via di mezzo, la
Mādhyamika, e ciò può essere solo sperimentato personalmente,
meditato, in nessun caso ci può essere data dall’esterno.
-
Oppure, durante lo stato di equilibrio meditativo di shamatha, quando
la mente, che non è costituita in nessun modo come entità avente
una forma, essendo chiara vacuità, e che opera continuamente con
differenti pensieri che sorgono alla mente e proliferano in un
incessante continuum di chiarezza e consapevolezza, viene indagata,
allora alla consapevolezza che conosce la mente l’oggetto concepito
appare non-dipendente da nient’altro, ed è in questo modo che
viene conosciuto. E questa è la meditazione sulla vacuità della
mente, non più sulla vacuità della persona.
-
Come
ha detto il maestro Shantideva:
-
Queste
cose che sono chiamate continuum o raccolta
sono
falsità, proprio come un rosario, un esercito e così via.
Usando
queste scritture e il ragionamento, porta la mente in concentrazione
univoca equilibrata in uno stato in cui verifichi che la mente non è
stabilita nel modo in cui appare.
In
breve, come ha detto personalmente il mio virtuoso amico spirituale,
l’onnisciente Sangye Yeshe:
-
Quando sei completamente consapevole che qualsiasi cosa sorga alla
mente è conosciuta da un pensiero concettuale, la sfera ultima dei
fenomeni sorge alla mente senza dipendere da altro. Lascia la tua
consapevolezza nello stato del sorgere alla mente e poni la mente
nell’equilibrio meditativo. E MA HO! (Che meraviglia!).-
Quando
si è consapevoli dei propri pensieri concettuali automaticamente
appare la vacuità della mente e quando la mente osserva se stessa
vede che la realtà non è quella che il nostro quotidiano ci mostra
o, meglio come noi la percepiamo, ma comprende che non c’è nulla
di concreto.
Questa
visione globale in grado di vedere il particolare nell’universale è
raggiungibile solo tramite la pratica concentrata della meditazione
di Vipaśyanā e Śamatha, in questo modo i pensieri sono così
trasparenti nella tridimensionalità che è possibile vederli nella
loro natura convenzionale e ultima. Infine il nostro obiettivo è
svincolarci dai condizionamenti del corpo e della mente samsarici
tramite la pratica meditativa che ci permetta di volare completamente
liberi nello spazio. Riassumendo, nel Mahāmudrā della mente ultima
ci sono due livelli, il primo consiste nella meditazione della
vacuità della persona o di sé, il secondo riguarda invece la
vacuità della mente.
In
modo analogo, come ha detto Padampa Sangye:
-
O gente di Dingri! Nello stato della vacuità ruota la lancia della
consapevolezza. Niente può ostacolare la visione.
Ogni
analoga affermazione ha lo stesso significato.-
Siamo
così giunti alla conclusione, purtroppo però la traduzione dal
tibetano all’inglese e poi all’italiano spesso risulta
incomprensibile in quanto è pedestremente letterale, ma ciò rende
impossibile cogliere il significato più vero dei termini tibetani,
probabilmente intraducibili nelle lingue occidentali, frutto di altra
storia e tradizioni. Comunque questo è il testo a nostra
disposizione e così continua:
-
Dedica qualsiasi virtù sorta dall’aver meditato sul Mahāmudrā,
insieme alla tua oceanica raccolta di virtù dei tre tempi,
all’insuperabile grande illuminazione.
Dopo
esserti familiarizzato in tal modo nell’equilibrio meditativo,
allora, durante l’ottenimento susseguente investiga nei dettagli il
modo in cui si mostrano le apparenze che sorgono alla mente come
oggetti delle sei coscienze. Il modo in cui esistono si rivelerà
allora in modo nudo e splendente
come
un sorgere dipendente onirico. In tal modo aumenterà il tuo
accertamento della natura ultima dei fenomeni.-
Poco
comprensibile vero? Il senso dovrebbe essere che qualsiasi cosa
appaia nella mente deve essere osservata profondamente e non solo a
livello superficiale poiché in questo modo tutto si armonizza nella
vacuità della mente di chiara luce nello spazio infinito, così ad
esempio due elementi che appaiono contrapposti, attaccamento e
compassione, osservati nell’unificazione si completano assumendo
una luminosità armonica.
-
Riconoscere qualsiasi cosa sorge è il punto essenziale della
visione.
In
breve, non afferrarti a nessuna cosa che appare, nemmeno alla tua
stessa mente. Mantieni la tua pratica costante alternando
l’equilibrio meditativo come lo spazio, che accerta il modo in cui
esistono, con l’ottenimento susseguente dell’incontrovertibile
sorgere dipendente di agenti e azioni.-
Per
poter mantenere in questo modo l’equilibrio meditativo e
l’ottenimento susseguente, è necessario familiarizzarsi con
l’equilibrio meditativo stesso che applica la singola natura ultima
a tutti i fenomeni del samsāra e del nirvāna e giungere
all’ottenimento susseguente che applica a tutti i fenomeni la
natura convenzionale nel suo essere mere apparenze, simili a
illusioni. Come ha anche detto Aryadeva:
-
Si dice che chiunque sia il veggente di una cosa costui è veggente
di tutto. Qualunque sia la vacuità di una cosa,
questa
è la vacuità di tutto.-
In
tal modo, è vero che secondo la prospettiva di un corretto
equilibrio meditativo sulla natura ultima vi è libertà
dall’elaborazione degli estremi di esistenza e non-esistenza e così
via, riguardo samsāra e nirvāna. Tuttavia dopo essere usciti da
questo equilibrio meditativo, durante l’investigazione, è
innegabile che agenti e azioni sono in relazione di dipendenza, che
esistono come mere designazioni di nomi e che sorgono naturalmente
alla mente come un sogno, come un miraggio, come il riflesso della
luna nell’acqua, come un’illusione.
Quando
la vacuità non è oscurata dalle apparenze e quando le apparenze non
sono bloccate dalla vacuità, a quel punto appare direttamente chiaro
che l’eccellente sentiero della vacuità e del sorgere dipendente
sono equivalenti, la realtà convenzionale e verità ultima, senza
contraddizione alcuna.
Vi
ringrazio per questi giorni trascorsi insieme in una ricerca così
importante e a conclusione recitiamo insieme la preghiera di dedica:
“Per
la virtù di avere studiato questo testo – io
(Losang
Chökyi Gyeltsen) un
rinunciante che ha ascoltato molti insegnamenti - possano tutti i
trasmigratori ottenere rapidamente la vittoria sulle due oscurazioni
grazie a questo sentiero, non essendoci un altra seconda porta
d’accesso allo stato della pace.”
Testo
radice di maestro Lobsang Choekyi Gyaltsen
དགེ་ལྡན་བཀའ་བརྒྱུད་རིན་པོ་ཆེའི་ཕྱག་ཆེན་རྩ་བ་རྒྱལ་བའི་གཞུང་ལམ་ཞེས་བྱ་བ་བཞུགས་སོ།
།
ན་མོ་མ་ཧཱ་མུ་དྲཱ་ཡ།
།ཀུན་ཁྱབ་ཀུན་གྱི་རང་བཞིན་ཕྱག་རྒྱ་ཆེ།
།དབྱེར་མེད་བརྗོད་བྲལ་སེམས་ཀྱི་རྡོ་རྗེའི་དབྱིངས།
།རྗེན་པར་སྟོན་མཛད་ཁྱབ་བདག་གྲུབ་པའི་རྗེ།
།ཟླ་མེད་བླ་མའི་ཞབས་ལ་གུས་པས་འདུད།
།མདོ་རྒྱུད་མན་ངག་རྒྱ་མཚོའ་བཅུད་བསྡུས་ནས།
།ལེགས་པར་འདོམ་མཛད་དགེ་ལྡན་བཀའ་བརྒྱུད་པ།
།གྲུབ་མཆོག་དྷརྨ་བཛྲ་ཡབ་སྲས་ཀྱི།
།བཀའ་སྲོལ་ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོའ་གདམས་པ་བྲི།
།
འདི་ལ་སྦྱོར་དངོས་མཇུག་གསུམ་ལས།
།དང་པོ་བསྟན་དང་ཐེག་ཆེན་ལ།
།འཇུག་པའི་སྒོ་དང་གཞུང་ཤིང་ཕྱིར།
།ཁ་ཙམ་ཚིག་ཙམ་མ་ཡིན་པའི།
།སྐྱབས་འགྲོ་སེམས་བསྐྱེད་ནན་ཏན་བྱ།
།སེམས་ཀྱི་ཆོས་ཉིད་མཐོང་བ་ཡང་།
།ཚོགས་བསགས་སྒྲིབ་སྦྱང་ལ་བལྟོས་པས།
།ཡིག་བརྒྱ་འབུམ་ཙམ་ལྟུང་བཤགས་ནི།
།བརྒྱ་ཕྱག་གང་མང་སྔོན་བཏང་ནས།
།དུས་གསུམ་སངས་རྒྱས་ཐམས་ཅད་དང་།
།དབྱེར་མེད་རྩ་བའི་བླ་མ་ལ།
།སྙིང་ནས་གསོལ་འདེབས་ཡང་ཡང་བྱ།
།
དངོས་གཞི་ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོ་ལ།
།བཞེད་ཚུལ་མང་དུ་འདུག་ན་ཡང་།
།མདོ་སྔགས་དབྱེ་བས་གཉིས་སུ་ཡོད།
།ཕྱི་མ་རྡོ་རྗེའི་ལུས་ཉིད་ལ།
།གནད་དུ་བསྣུན་སོགས་ཐབས་མཁས་ལས།
།བྱུང་བའི་བདེ་ཆེན་འོད་གསལ་ཏེ།
།ས་ར་ཧ་དང་ཀླུ་སྒྲུབ་ཞབས།
།ན་རོ་མེ་ཏྲིའི་ཕྱག་ཆེན་ཏེ།
།གྲུབ་སྙིང་སྐོར་ནས་བསྟན་པ་ཡི།
།བླ་མེད་རྒྱུད་སྡེའི་ཡང་སྙིང་ཡིན།
།སྔོན་མ་རྒྱས་འབྲིང་བསྡུས་གསུམ་གྱིས།
།དངོས་བསྟན་སྟོང་ཉིད་བསྒོམ་ཚུལ་ཏེ།
།འདི་ལས་གཞན་པའི་ཐར་པའི་ལམ།
།མེད་ཅེས་འཕགས་མཆོག་ཀླུ་སྒྲུབ་གསུང་།
།
འདིར་ནི་དེ་ཡི་དགོངས་པ་བཞིན།
།ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོའ་ཁྲིད་ཕོག་སྟེ།
།སེམས་ཀྱི་ངོ་སྤྲོད་བྱེད་པའི་ཚུལ།
།རྒྱུད་ལྡན་བླ་མའི་གསུང་བཞིན་བརྗོད།
།ལྷན་ཅིག་སྐྱེས་སྦྱོར་གའུ་མ།
།ལྔ་ལྡན་རོ་སྙོམས་ཡི་གེ་བཞི།
།ཞི་བྱེད་གཅོད་ཡུལ་རྫོགས་ཆེན་དང་།
།དབུ་མའི་ལྟ་ཁྲིད་ལ་སོགས་པ།
།སོ་སོར་མིང་འདོགས་མང་ན་ཡང་།
།ངེས་དོན་ལུང་རིགས་ལ་མཁས་ཤིང་།
།ཉམས་མྱོང་ཅན་གྱི་རྣལ་འབྱོར་པས།
།དཔྱད་ན་དགོངས་པ་གཅིག་ཏུ་འབབ།
།
དེས་ན་འདི་ལ་ལྟ་ཐོག་ནས།
།སྒོམ་པ་འཚོལ་དང་སྒོམ་ཐོག་ནས།
།ལྟ་བ་འཚོལ་བའི་ལུགས་གཉིས་ལས།
།འདིར་ནི་ཕྱི་མའི་ལུགས་བཞིན་ཡིན།
།
བསམ་གཏན་བདེ་བའི་སྟེགས་བུ་ལ།
།ལུས་གནད་བདུན་དང་ལྡན་བྱས་ལ།
།རླུང་རོ་དགུ་ཕྲུགས་དག་ཏུ་བསལ།
།རིག་པ་དྭངས་སྙིགས་ལེགས་པར་ཕྱེ།
།རྣམ་དག་དགེ་བའི་སེམས་ལྡན་པས།
།སྐྱབས་འགྲོ་སེམས་བསྐྱེད་སྔོན་དུ་བཏང་།
།ཟབ་ལམ་བླ་མའི་རྣལ་འབྱོར་བསྒོམ།
།ཤུགས་དྲག་གསོལ་འདེབས་བརྒྱ་རྩ་སོགས།
།བྱས་ནས་བླ་མ་རང་ལ་བསྟིམ།
།སྣང་བ་བན་བུན་ངང་དེ་ལ།
།རེ་དོགས་ལ་སོགས་རྣམ་རྟོག་གིས།
།བཅས་བཅོས་གང་ཡང་མི་བྱེད་པ།
།གཡོ་མེད་ཅུང་ཟད་མཉམ་པར་གཞོག
།བརྒྱལ་དང་གཉིད་ལོག་ལྟ་བུ་ཡི།
།ཡིད་བྱེད་བཀག་པ་མ་ཡིན་པ།
།མ་ཡེངས་དྲན་པའི་རྒྱང་སོ་ཚུགས།
།འགྱུ་བ་རིག་པའི་ཤེས་བཞིན་སྡོགས།
།རིག་ཅིང་གསལ་བའི་ངོ་བོ་ལ།
།ཧྲིམ་གྱིས་བསྒྲིམས་ལ་གཅེར་གྱིས་ལྟོས།
།རྣམ་རྟོག་གང་དང་གར་སྐྱེས་པ།
།དེ་དང་དེ་ཉིད་ངོས་ཟིན་བྱ།
།ཡང་ན་རལ་བསྐོར་མཁན་བཞིན་དུ།
།རྣམ་རྟོག་ཅི་སྐྱེས་རྦད་རྦད་གཅོད།
།བཅད་མཐར་གནས་པ་དེ་ཡི་ཚེ།
།དྲན་པ་མ་ཤོར་ལྷོད་ཀྱིས་གློད།
།ཧྲིམ་གྱིས་བསྒྲིམས་ལ་ལྷོད་ཀྱིས་གློད།
།སེམས་ཀྱིས་འཇོག་པ་དེ་ན་གདའ།
།ཞེས་དང་གཞན་ཡང་ཇི་སྐད་དུ།
།འཇུར་བུས་བཅིངས་པའི་སེམས་ཉིད་ནི།
།གློད་ན་གྲོལ་བ་ཐེ་ཚོམ་མེད།
།ཅེས་གསུངས་པ་ལྟར་མ་ཡེངས་གློད།
།རྣམ་རྟོག་གང་སྐྱེས་ངོ་བོ་ལ།
།བལྟས་ཚེ་རང་ཡལ་སྟོང་སང་འཆར།
།དེ་བཞིན་གནས་ཚེའང་བརྟགས་པ་ན།
།མ་བསྒྲིབ་སྟོང་གསལ་ཧྲིག་གེ་བ།
།མཐོང་བ་གནས་འགྱུ་འདྲེས་པ་ཞེས།
།གྲགས་ཤིང་རྣམ་རྟོག་ཅི་སྐྱེས་ཀྱང་།
།མི་འགོག་འགྱུ་བ་ངོས་ཟིན་པར།
།བྱས་ཏེ་དེ་ཡི་ངོ་བོ་ལ།
།འཇོག་པ་རྫིངས་ཀྱི་བྱ་བརྩོན་ནི།
།འཕུར་བའི་དཔེ་དང་མཚུངས་པ་ཡིན།
།ཇི་ལྟར་གཟིངས་ནས་འཕུར་བའི་བྱ་རོག་ནི།
།ཕྱོགས་རྣམས་བསྐོར་ནས་སླར་ཡང་དེར་འབབ་བཞིན།
།ཞེས་པ་ཇི་བཞིན་བསྐྱངས་པ་ལས།
།མཉམ་གཞག་ངོ་བོ་གང་གིས་ཀྱང་།
།མ་སྒྲིབས་དྭངས་ཤིང་གསལ་བ་དང་།
།གཟུགས་ཅན་གང་དུ་མ་གྲུབ་པས།
།སྟོང་སང་ནམ་མཁའ་ལྟ་བུ་དང་།
།ཅི་ཡང་འཆར་བས་ཧྲིག་གེ་བ།
།དེ་ལྟར་སེམས་ཀྱི་ཆོས་ཉིད་ནི།
།མངོན་སུམ་ལྷག་གིས་མཐོང་མོད་ཀྱང་།
།འདི་ཞེས་གཟུང་ཞིང་བསྟན་དུ་མེད།
།གང་ཤར་འཛིན་མེད་ལྷུག་པར་འཇོག
།འདི་ནི་སངས་རྒྱས་སྦར་བཅངས་སུ།
།གཏོད་པའི་གདམས་ངག་ཡིན་ནོ་ཞེས།
།དེང་སང་གངས་རིའི་སྒོམ་ཆེན་པ།
།ཕལ་ཆེར་དགོངས་པ་གཅིག་གིས་སྒྲོག
།དེ་ལྟར་མོད་ཀྱི་ཚུལ་འདི་ནི།
།དང་པོའ་ལས་ཅན་སེམས་གནས་པ།
།བསྒྲུབ་པའི་རྨད་བྱུང་ཐབས་མཁས་དང་།
།སེམས་ཀྱི་ཀུན་རྫོབ་ངོ་སྤྲོད་ཚུལ།
།ཡིན་ཞེས་ཆོས་ཀྱི་རྒྱལ་མཚན་སྨྲ།
།
ད་ནི་སེམས་ཀྱི་ཆོས་ཉིད་ལ།
།ངོ་སྤྲོད་ཇི་ལྟར་བྱ་བའི་ཚུལ།
།སངས་རྒྱས་རྣམས་ཀྱི་ཡེ་ཤེས་ཀུན།
།ངུར་སྨྲིག་འཛིན་པའི་ཚུལ་བཟུང་དང་།
།བདག་བློ་རྨོངས་པའི་མུན་སེལ་བའི།
།རྩ་བའི་བླ་མའི་ཞལ་གདམས་འགོད།
།སྔར་གྱི་མཉམ་གཞག་ངང་ཉིད་ལས།
།མ་གཡོས་དྭངས་པའི་ཆུ་ནང་དུ།
།ཇི་ལྟར་ཉེའུ་ཆུང་འཁྱུག་པ་ལྟར།
།ཕྲ་མོའ་ཤེས་པས་སྒོམ་པ་པོའ།
།སྐྱེས་བུས་རང་བཞིན་མཛངས་པར་བརྟག
།འཕགས་པ་ཀླུ་སྒྲུབ་སྐྱོབ་ཉིད་ཀྱིས།
།སྐྱེས་བུ་ས་མིན་ཆུ་མ་ཡིན།
།མེ་མིན་རླུང་མིན་ནམ་མཁའ་མིན།
།རྣམ་ཤེས་མ་ཡིན་ཀུན་མིན་ན།
།དེ་ལས་གཞན་ན་སྐྱེས་བུ་གང་།
།སྐྱེས་བུ་ཁམས་དྲུག་འདས་པའི་ཕྱིར།
།ཡང་དག་མ་ཡིན་ཇི་ལྟ་བར།
།དེ་བཞིན་ཁམས་ནི་རེ་རེ་ཡང་།
།འདུས་ཕྱིར་ཡང་དག་ཉིད་དུ་མིན།
།གསུངས་པ་ཇི་བཞིན་བཙལ་བ་ན།
།མཉམ་བཞག་མཉམ་པར་འཇོག་མཁན་སོགས།
།རྡུལ་ཕྲན་ཙམ་ཡང་མ་རྙེད་པ།
།དེ་ཚེ་གཡེང་མེད་རྩེ་གཅིག་ཏུ།
།ནམ་མཁའ་ལྟ་བུའི་མཉམ་བཞག་སྐྱོང་།
།ཡང་ན་མཉམ་པར་བཞག་པའི་ངང་།
།གཟུགས་སུ་མ་གྲུབ་སྟོང་སང་ངེ་།
།སྒྲིབ་མེད་སྣ་ཚོགས་འཆར་ཤིང་འཕྲོ།
།འགག་མེད་གསལ་ཞིང་རིག་པའི་རྒྱུན།
།ཆད་པ་མེད་པ་འཇུག་པའི་སེམས།
།ལྟོས་མེད་སྣང་ཞིང་འཛིན་པ་ཡི།
།ཞེན་ཡུལ་མགོན་པོ་ཞི་བ་ལྷས།
།རྒྱུད་དང་ཚོགས་ཞེས་བྱ་བ་ནི།
།ཕྲེང་བ་དམག་སོགས་བཞིན་དུ་བརྫུན།
།ཞེས་གསུངས་ལུང་དང་རིག་པ་ཡིས།
།སྣང་ཚུལ་ལྟར་དུ་མ་གྲུབ་པའི།
།ངང་དུ་རྩེ་གཅིག་མཉམ་པར་གཞོག།
མདོར་ན་བདག་གི་དགེ་བའི་བཤེས།
།དོན་དང་མཐུན་པའི་ཐམས་ཅད་མཁྱེན།
།སངས་རྒྱས་ཡེ་ཤེས་ཞལ་སྔ་ནས།
།གར་ཤར་རྣམ་རྟོག་འཛིན་པར་ཡང་རིག་ན།
།དོན་དམ་ཆོས་དབྱིངས་གཞན་ལ་ལྟོས་མེད་འཆར།
།ཤར་བའི་ངང་དུ་རིག་པ་ཞུགས་པ་ལ།
།རྩེ་གཅིག་མཉམ་པར་འཇོག་པ་ཨེ་མ་ཧོ།
།ཞེས་གསུངས་དེ་བཞིན་དམ་པས་ཀྱང་།
།སྟོང་པའི་ངང་དུ་རིག་པའི་མདུང་བསྐོར་བྱ།
།ལྟ་བ་ལ་ཐོགས་ཐུག་མེད་དོ་དིང་རི་བ།
།ཞེས་སོགས་དགོང་པ་གཅིག་ཏུ་གནས།
།
རྗེས་ནི་ཕྱག་ཆེན་བསྒོམ་པ་ལས།
།བྱུང་བའི་རྣམ་དཀར་ཅི་མཆིས་པ།
།དུས་གསུམ་དགེ་ཚོགས་རྒྱ་མཚོར་བཅས།
།བླ་མེད་བྱང་ཆུབ་ཆེན་པོར་བསྔོ།
།དེ་ལྟར་གོམས་ནས་ཚོགས་དྲུག་གིས།
།ཡུལ་དུ་སྣང་བ་ཅི་ཤར་ཡང་།
།སྣང་ཚུལ་ཞིབ་མོར་རྟོག་ཤིག་དང་།
།གནས་ཚུལ་རྗེན་པར་ལྷང་གིས་འཆར།
།གང་ཤར་ངོས་འཛིན་ལྟ་བུའི་གནད།
།མདོར་ན་རང་སེམས་ལ་སོགས་པ།
།གང་གང་སྣང་བའི་དོན་དེ་ནི།
།མ་འཛིན་དེ་དེའི་གནས་ཚུལ་དེ།
།ངེས་པར་གྱིས་ལ་རྟག་ཏུ་སྐྱོང་།
།འདི་ལྟར་ཤེས་ནས་འཁོར་འདས་ཀྱི།
།ཆོས་ཀུན་རང་བཞིན་གཅིག་ཏུ་སྦྱོར།
།དེ་སྐད་དུ་ཡང་འཕགས་པ་ལྷས།
།དངོས་པོ་གཅིག་གི་ལྟ་སོ་གང་།
།དེ་ནི་ཀུན་གྱི་ལྟ་སོར་བཤད།
།གཅིག་གི་སྟོང་ཉིད་གང་ཡིན་པ།
།དེ་ནི་ཀུན་གྱི་སྟོང་ཉིད་ཡིན།
།ཅེས་གསུངས་དེ་ལྟར་ཆོས་ཉིད་ལ།
།ཚུལ་བཞིན་མཉམ་པར་བཞག་པའི་ངོར།
།ཡོད་མེད་ལ་སོགས་འཁོར་འདས་ཀྱི།
།སྤྲོས་པའི་མཐའ་དང་བྲལ་མེད་ཀྱི།
།དེ་ལས་ལངས་ནས་བརྟག་པའི་ཚེ།
།མིང་ཀྱང་བཏགས་ཡོད་ཙམ་ཞིག་གི་།བྱ་བྱེད་རྟེན་འབྲེལ་བསྙོན་མེད་པར།
།རྨི་ལམ་སྨིག་རྒྱུ་ཆུ་ཟླ་དང་།
།སྒྱུ་མར་ལྟ་བུར་ངང་གིས་འཆར།
།སྣང་བས་སྟོང་པ་མི་བསྒྲིབ་ཅིང་།
།སྟོང་པས་སྣང་བ་མི་འགོག་པ།
།སྟོང་དང་རྟེན་འབྱུང་དོན་གཅིག་པའི།
།ལམ་བཟང་དེ་ཚེ་མངོན་སུམ་འགྱུར།
།དེ་སྐད་སྨྲ་བ་མང་ཐོས་སྤོང་བ་པ།
།བློ་བཟང་ཆོས་ཀྱི་རྒྱལ་མཚན་ཞེས་བྱ་སྟེ།
།དགེ་བས་འགྲོ་ཀུན་ཞི་སྒོ་གཉིས་པ་དང་།
།བྲལ་བའི་ལམ་འདིས་མྱུར་ཏུ་རྒྱལ་གྱུར་ཅིག
།
ཅེས་ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོའ་ངོ་སྤྲོད་བྱེད་ཚུལ་འདི་ཡང་།
འདི་ནང་གི་ཆོས་བརྒྱད་སྨྱོན་པའི་ཟློས་གར་ལྟར་མཐོང་ནས།
དབེན་པའི་རི་སུལ་དུ་དྲང་སྲོང་གི་སྤྱོད་ཚུལ་གྱིས་འདུག་ནས།
ལམ་འདི་ལ་ཉམས་ལེན་སྙིང་པོར་བྱེད་པ་གནས་བཅུ་རབ་འབྱམས་པ་དགེ་འདུན་རྒྱལ་མཚན་དང་ཧ་མཐོང་ཀ་བཅུ་པ་ཤེས་རབ་སེང་གེ་གཉིས་ཀྱིས་སྔ་མོ་ནས་ཡང་ཡང་བསྐུལ་ཞིང་།
གཞན་ཡང་ངེས་དོན་ཕྱག་ཆེན་གྱི་ཉམས་ལེན་བྱེད་པར་འདོད་པའི་རང་གི་སློབ་མ་མང་པོས་བསྐུལ་བ་དང་།
།ཁྱད་པར་རྗེ་གྲུབ་པའི་དབང་ཕྱུག་ཐམས་ཅད་མཁྱེན་པ་རྒྱལ་བ་དབེན་ས་པ་ཆེན་པོ་དེ་ཉིད་ཀྱིས་རང་གཞན་ལ་འདོམས་པར་མཛད་པའི་ཉམས་འགུར་ཞིག་ཏུ་བཤེས་གཉེན་བསྟེན་ཚུལ་ཞི་ལྷག་གི་བར་བཀའ་གདམས་ལམ་རིམ་ལྟར་གདམས་ནས།
མཇུག་ཏུ་བཤད་མ་ཐག་པའི་ལམ་འདི་མ་ཡིན་པ།
།ད་ལྟའི་གངས་ཅན་ས་ལ་མ་གྲགས་པའི།
།ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོའ་གདམས་ངག་མཐར་ཐུག་པ།
།ད་ལྟ་ཡི་གེར་འགོད་པར་མི་ནུས་སོ།
།ཞེས་དེ་དུས་དགག་བྱའི་དབང་གིས་མི་འགོད་པ་ཕྱི་དུས་ལ་དགོངས་པ།
དཔེར་ན་དམ་ཆོས་པད་དཀར་དུ།
།སངས་རྒྱས་ཡེ་ཤེས་རབ་ཏུ་རྟོགས་བྱའི་ཕྱིར།
།ཐབས་འདི་རང་བྱུང་གིས་ནི་མཛད་གྱུར་གྱི།
།དེ་དག་རྣམས་ལ་ཁྱེད་ཅག་སངས་རྒྱས་སུ།
།འགྱུར་རོ་ཞེས་ནི་ནམ་ཡང་མི་གསུང་ངོ་།
།ཅི་ཕྱིར་ཞེ་ན་སྐྱོབ་པ་དུས་ལ་གཟིགས།
།ཞེས་གསུང་པ་དང་འདྲ་བའི་བཞེད་པ་བསྒྲུབ་པའི་ཕྱིར།
།སྟོན་པ་མཉམ་མེད་ཤཱཀྱའི་རྒྱལ་པོ་ནས་བཟུང་སྟེ།
བདག་གི་རྩ་བའི་བླ་མ་ཐམས་ཅད་མཁྱེན་ཅིང་གཟིགས་པ་སངས་རྒྱས་ཡེ་ཤེས་ཞབས་ཀྱི་ཞལ་སྔ་ནས་ཀྱི་བར།
ལམ་འདི་མངོན་སུམ་དུ་ཐུགས་ཉམས་སུ་བསྟར་བའི་བྱིན་རླབས་ཀྱི་བརྒྱུད་པ་མ་ཉམས་ཤིང་།
དམ་ཚིག་ལ་སེལ་མ་ཞུགས་པའི་རིགས་སུ་བྱུང་ཞིང་མདོ་རྒྱུད་དམ་པའི་མན་ངག་འཛིན་པའི་སྤོང་བ་པ་བློ་བཟང་ཆོས་ཀྱི་རྒྱལ་མཚན་གྱིས།
དགེ་ལྡན་རྣམ་པར་རྒྱལ་བའི་གླིང་དུ་སྦྱར་བའོ།
།
ཕྱག་ཆེན་བརྒྱུད་པའི་གསོལ་འདེབས་ནི།
།
ན་མོ་མ་ཧཱ་མུ་དྲཱ་ཡེ།
།
ལྷུན་གྲུབ་སྐུ་གསུམ་གྱི་གཞལ་ཡས་སུ།
།དཔལ་དང་པོའ་སངས་རྒྱས་རིགས་ཀུན་གཙོ།
།ཁྱབ་བདག་རྡོ་རྗེ་འཆང་ལ་གསོལ་བ་འདེབས།
།རྒྱུད་བདག་འཛིན་འཁྲི་བ་ཆོད་པ་དང་།
།བྱམས་སྙིང་རྗེ་བྱང་སེམས་འབྱོངས་པ་དང་།
།ལམ་ཟུང་འཇུག་ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོ་ཡི།
།མཆོག་མྱུར་ཏུ་ཐོབ་པར་བྱིན་གྱིས་རློབས།
།
ཞིང་རབ་འབྱམས་ཕྱོགས་བཅུའི་འཇིག་རྟེན་ན།
།དུས་གསུམ་གྱི་རྒྱལ་བ་བསྐྱེད་པའི་ཡབ།
།མཁྱེན་རབ་འཕགས་པ་འཇམ་དཔལ་ལ་གསོལ་བ་འདེབས།
།རྒྱུད་བདག་འཛིན་འཁྲི་བ་ཆོད་པ་དང་།
།བྱམས་སྙིང་རྗེ་བྱང་སེམས་འབྱོངས་པ་དང་།
།ལམ་ཟུང་འཇུག་ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོ་ཡི།
།མཆོག་མྱུར་ཏུ་ཐོབ་པར་བྱིན་གྱིས་རློབས།
།
ཡུལ་བྱང་ཕྱོགས་ཁ་བ་ཅན་ལྗོངས་འདིར།
།ཐུབ་བསྟན་ལ་ཐུབ་དབང་གཉིས་པའི་རྗེ།
།རྗེ་བཙུན་བློ་བཟང་གྲགས་པ་ལ་གསོལ་བ་འདེབས།
།རྒྱུད་བདག་འཛིན་འཁྲི་བ་ཆོད་པ་དང་།
།བྱམས་སྙིང་རྗེ་བྱང་སེམས་འབྱོངས་པ་དང་།
།ལམ་ཟུང་འཇུག་ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོ་ཡི།
།མཆོག་མྱུར་ཏུ་ཐོབ་པར་བྱིན་གྱིས་རློབས།
།
འཇམ་དབྱངས་ཀྱི་སྲས་པོ་ཙོང་ཁ་པའི།
།སྒྲུབ་བརྒྱུད་ཀྱི་བསྟན་པ་འཛིན་པའི་གཙོ།
།རྟོགས་ལྡན་འཇམ་དཔལ་རྒྱ་མཚོ་ལ་གསོལ་བ་འདེབས།
།རྒྱུད་བདག་འཛིན་འཁྲི་བ་ཆོད་པ་དང་།
།བྱམས་སྙིང་རྗེ་བྱང་སེམས་འབྱོངས་པ་དང་།
།ལམ་ཟུང་འཇུག་ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོ་ཡི།
།མཆོག་མྱུར་ཏུ་ཐོབ་པར་བྱིན་གྱིས་རློབས།
།
སྙན་བརྒྱུད་ཀྱི་གདམས་པའི་མཛོད་ཕྱེ་ནས།
།སྐལ་ལྡན་གྱི་གདུལ་བྱ་སྨིན་མཛད་པའི།
།བ་པོ་ཆོས་ཀྱི་རྒྱལ་མཚན་ལ་གསོལ་བ་འདེབས།
།རྒྱུད་བདག་འཛིན་འཁྲི་བ་ཆོད་པ་དང་།
།བྱམས་སྙིང་རྗེ་བྱང་སེམས་འབྱོངས་པ་དང་།
།ལམ་ཟུང་འཇུག་ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོ་ཡི།
།མཆོག་མྱུར་ཏུ་ཐོབ་པར་བྱིན་གྱིས་རློབས།
།
རིམ་གཉིས་ཀྱི་རྣལ་འབྱོར་མཐར་ཕྱིན་ནས།
།འཆི་མེད་ཀྱི་རིག་འཛིན་སྐུ་བརྙེས་པའི།
།གྲུབ་མཆོག་དྷརྨ་བཛྲ་ལ་གསོལ་བ་འདེབས།
།རྒྱུད་བདག་འཛིན་འཁྲི་བ་ཆོད་པ་དང་།
།བྱམས་སྙིང་རྗེ་བྱང་སེམས་འབྱོངས་པ་དང་།
།ལམ་ཟུང་འཇུག་ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོ་ཡི།
།མཆོག་མྱུར་ཏུ་ཐོབ་པར་བྱིན་གྱིས་རློབས།
།
ཆོས་བརྒྱད་ཀྱི་འཆིང་བས་མ་གོས་པར།
།ངེས་དོན་གྱི་བསྟན་པའི་རྒྱལ་མཚན་འཛིན།
།བློ་བཟང་དོན་ཡོད་གྲུབ་པ་ལ་གསོལ་བ་འདེབས།
།རྒྱུད་བདག་འཛིན་འཁྲི་བ་ཆོད་པ་དང་།
།བྱམས་སྙིང་རྗེ་བྱང་སེམས་འབྱོངས་པ་དང་།
།ལམ་ཟུང་འཇུག་ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོ་ཡི།
།མཆོག་མྱུར་ཏུ་ཐོབ་པར་བྱིན་གྱིས་རློབས།
།
སྐུ་གསུམ་གྱི་ཕོ་བྲང་ཉམས་དགའ་བར།
།ངུར་སྨྲིག་གི་གར་གྱིས་འགྲོ་ཀུན་འདྲེན།
།མཁས་གྲུབ་སངས་རྒྱས་ཡེ་ཤེས་ལ་གསོལ་བ་འདེབས།
།རྒྱུད་བདག་འཛིན་འཁྲི་བ་ཆོད་པ་དང་།
།བྱམས་སྙིང་རྗེ་བྱང་སེམས་འབྱོངས་པ་དང་།
།ལམ་ཟུང་འཇུག་ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོ་ཡི།
།མཆོག་མྱུར་ཏུ་ཐོབ་པར་བྱིན་གྱིས་རློབས།
།
རྗེ་གྲུབ་ཐོབ་གོང་མའི་གདན་ས་རུ།
།དད་ལྡན་གྱི་གདུལ་བྱའི་དཔལ་དུ་ཤར།
།དྲིན་ཅན་རྩ་བའི་བླ་མ་ལ་གསོལ་བ་འདེབས།
།རྒྱུད་བདག་འཛིན་འཁྲི་བ་ཆོད་པ་དང་།
།བྱམས་སྙིང་རྗེ་བྱང་སེམས་འབྱོངས་པ་དང་།
།ལམ་ཟུང་འཇུག་ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོ་ཡི།
།མཆོག་མྱུར་ཏུ་ཐོབ་པར་བྱིན་གྱིས་རློབས།
།
རྗེ་བླ་མ་སངས་རྒྱས་སུ་མཐོང་བ་དང་།
།གནས་འཁོར་བ་ལ་ཞེན་པ་ལོག་པ་དང་།
།མ་འགྲོ་ཀུན་སྒྲོལ་བའི་ཁུར་ཁྱེར་ནས།
།ལམ་ཐུན་མོང་དང་ཐུན་མོང་མ་ཡིན་པའི།
།དཔལ་ཟུང་འཇུག་ཕྱག་རྒྱ་ཆེན་པོ་དེ།
།དུས་མྱུར་ཏུ་ཐོབ་བར་བྱིན་གྱིས་རློབས།
།
ཞེས་པའང་དགེ་སློང་བློ་བཟང་ཆོས་ཀྱི་རྒྱལ་མཚན་གྱིས་སྨྲས་སོ།
།སརྦ་མངྒ་ལམ།། །།