Sunday 9 April 2017

LO YOGA DEL CORPO ILLUSORION





Lo Yoga del Corpo illusorio



Lama Geshe Gedun Tharchin
2 - 5 giugno 2016
Cagliari















INDICE
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Parte prima; pag. 4
Parte seconda; pag. 6
Parte terza e quarta pag. 10
Parte quinta; pag. 13
Parte sesta e settima pag. 15
Parte ottava pag. 16
Parte nona pag. 17
Parte decima pag. 20
Parte undicesima pag. 26
Parte dodicesima pag. 27




Parte prima
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Buon giorno a tutti e grazie per essere qui.
Iniziamo oggi un ritiro di quattro giorni in cui andremo oltre lo stato consueto, ordinario, per immergerci con consapevolezza, compassione, saggezza in un contesto di libertà, purezza, pace nella spiritualità e nel Dharma in pienezza di vita.
Abbandoniamo con semplicità, gentilezza e cuore aperto ogni attaccamento in unione con l’intero universo, il mondo è noi e noi siamo il mondo, l’universo è noi e noi siamo l’universo, questa è l’essenza del dimorare nella pace, nell’armonia, nell’equanimità, nel non-dualismo tra corpo, parola e mente.
Questo è il nostro compito, qui e ora, e chiedo a voi di introdurre e condividere con preghiere e le vostre personali intenzioni che segnano l’unità del Sangha.
Procediamo ora con la pratica di Avalokiteśvara o Cenresig che io guiderò in tibetano e che voi seguirete visualizzandoci nella purificazione e trasformazione.
Iniziamo con la presa di rifugio in Buddha, Dharma e Sangha e nelle divinità personali e protettori. Dedichiamo poi la pratica delle sei pāramitā a beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Con i quattro pensieri incommensurabili possano tutti gli esseri senzienti incontrare la felicità e la causa della felicità; essere separati dalla sofferenza de dalle cause della sofferenza; non essere mai separati dalla gioia e dalle cause della gioia; e possano dimorare nella pace dell’equanimità.
Visualizzando noi stessi nella forma di Avalokiteśvara trasformiamo la nostra essenza nell’essenza di tutti i fenomeni, nella vacuità, e in questo modo sorgiamo nella forma di Avalokiteśvara, il Buddha della compassione.

(segue guida meditativa con preghiere di offerte, visualizzazioni e contemplazione)

Ora dissolviamo tutte le visualizzazioni in noi stessi e rientriamo nello stato ordinario mantenendo intatta la gioia, la felicità sperimentata.
Questa breve pratica dello yoga della divinità ha un grande valore e oggi l’abbiamo concentrata sul Avalokiteśvara, il Buddha della compassione.
La capacità di visualizzare e trasformare la propria condizione usuale nello stato della divinità è praticabile con qualsiasi essere illuminato, sia nel Buddha Śākyamuni, che in Mañjuśrī, in Tārā, in Avalokiteśvara e in tanti altri, la modalità è la stessa, ciò che cambia, che ne è radicalmente trasformato è il nostro livello di esistenza.
Nella pratica della divinità sono impartanti tre cose:
Tutto ciò che percepiamo deve essere osservato nella sua natura ultima di vacuità, non soffermarsi dunque alla prima apparenza, ma saper andare oltre;
Tutto ciò che è osservato nella sua vacuità si presenta dunque in noi nella visione pura di beatitudine sottile, interiore;
L’unione tra beatitudine e vacuità si trasforma in natura di divinità, che non è una persona, ma il risultato della completa purificazione di corpo, parola e mente.
Queste sono le tre fasi del passaggio spirituale che trasformano la realtà ordinaria in straordinaria, e questo è ciò che dovremo fare insieme in questi quattro giorni.
Lo yoga della divinità passa dunque attraverso lo yoga del corpo illusorio che produce nei tre passaggi la trasformazione del corpo concreto di carne e ossa in corpo intangibile.
È un compito forte, difficile, lungo, impegnativo, ma non impossibile, perché abbiamo tutte le capacità per realizzarlo così da imprimere utilità nella nostra esistenza, dobbiamo solo imparare a riconoscere la realtà ultima.
Questa condizione pura ci libera completamente dalle illusioni, dalle false costruzioni dell’ego, è lo strumento potente che ci permette di vivere pienamente nel samsāra, perché questa è la situazione ottimale in cui ora possiamo muoverci, nessun altra, senza però essere del samsāra. Saper godere di ogni istante con flessibilità, apertura di mente e cuore così da vivere pienamente la propria libertà che si trasforma naturalmente in libertà per gli altri.
La natura divina non è prerogativa di templi, monasteri, paradisi, è nell’essenza di tutto, terra, fuoco, acqua, aria e spazio e chi dimora in questa realtà realizza la Mahāmudrā, il grande gesto, qui sulla terra, ora, e non in un ipotetico futuro in cielo.
Intervento: Purtroppo noi percepiamo erroneamente la realtà illusoria come reale in quanto ci fermiamo a ciò che appare senza entrare nel profondo e osservarne la vera essenza, il vuoto. Questo grave errore scaturisce dalla nostra attitudine dicotomica che separa ogni cosa in soggetto - oggetto rendendo così impossibile la chiara visione della perfezione del Mahāmudrā.
Lama: Sono davvero contento di condividere con voi questo seminario che tratta di un argomento così profondo.





Parte seconda
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Ieri abbiamo parlato dello yoga della divinità, e oggi inizieremo con la meditazione del guru yoga, tutti argomenti difficili, ma indispensabili, sono pratiche che richiedono una forte, personale motivazione altruistica, senza attaccamento, con attitudine profonda di rinuncia, bodhicitta, amore, compassione.
L’altruismo imprime grande forza e potenzialità in noi stessi e anche oltre perché in realtà non esiste un dentro e un fuori, nella consapevole pratica autentica crescono i valori spirituali che si espandono ben al di là di noi stessi.
La consapevolezza ci avvicina sempre più alla realtà nella liberazione del cuore, dello spirito e l’altruismo ne è la maggiore forza.
In genere noi ci abbandoniamo all’egoismo ritenendolo erroneamente la nostra forza, mentre è invece la nostra più potente debolezza poiché porta il suo carico di paura, di insicurezza e ci rinchiude entro angusti confini, i limiti sono ovunque, ci rende definitivamente suoi schiavi.
Attraverso la meditazione, la riflessione, la conoscenza, la consapevolezza giungiamo ad avere una visione estremamente chiara di questa condizione che possiamo neutralizzare concretamente sperimentando la forza dell’altruismo che è la nostra vera bellezza, il senso della vita, gioia, armonia, amicizia, salute fisica e mentale in cui ogni paura è vinta.
Quando riusciamo a sperimentare il valore dell’altruismo diveniamo reale risorsa per noi stessi e per tutto ciò che vive sul pianeta, per gli altri, per la pace. Questo è ciò che hanno fatto Buddha, Cristo, Gandhi e altri esseri davvero illuminati.
L’altruismo non ha nulla a che vedere con il pietismo, il buonismo, l’elemosina pelosa, ma è l’attitudine interiore profonda, completa, dell’offerta gioiosa e spontanea di sé agli altri.
L’unico modo di conquistare la propria vita è perderla completamente nel servizio degli altri.
Gandhi ha dimostrato la forza di questo amore in ogni istante della sua vita, è l’unico vero potere che ogni essere umano possiede e che può trasformare l’impossibile in possibile.
Quest’attitudine interiore è indispensabile per accostarsi e realizzare qualsiasi pratica di yoga, del guru, della divinità, del corpo illusorio, della Chiara Luce.
Al contrario, senza una profonda, forte, autentica motivazione altruistica nulla è realizzabile, l’egocentrismo e l’egoismo che riducono tutto ad uno sconsiderato attaccamento all’io e al mio, sono la negazione di ogni gioia poiché ci incatenano in schiavitù, imprigionati in un angolo angusto e oscuro, senza via d’uscita.
Però bisogna essere estremamente consapevoli in ogni pratica di Dharma di ciò che si sta facendo, poiché queste pratiche che hanno un potenziale infinito, se affrontate con superficialità, incoscienza e leggerezza possono diventare estremamente pericolose, la loro potenza è grandissima e dunque deve essere usata con estrema prudenza, conoscenza e consapevolezza.
La motivazione altruistica, fondata sull’equanimità non necessita di altro, è sufficiente non lasciare spazio nel continuum mentale all’egoismo, in questo modo la nostra vita diventa automaticamente piena, pura, bella, ricca di gioia e questa è la base per ogni pratica di yoga.
Oggi affronteremo in particolare lo yoga del corpo illusorio che si manifesta nella nostra esistenza nel corpo ordinario.
Durante il sonno vi è la possibilità della nascita del corpo del sogno nel momento in cui si esce dalla dimensione ordinaria, tanto che a volte si ha difficoltà a rientrarvi, benché questo ritorno sia comunque necessario, ineludibile, e proprio in questo assaggio di esperienza si ha la percezione dell’esistenza di un corpo sottile, invisibile, intangibile, intrinseca parte di noi, eppure separato dal corpo fisico.
Questo corpo illusorio è il risultato della pratica ed è un’esperienza durante lo yoga del sonno che ci introduce a quello che sarà lo yoga della morte.
Durante la morte entriamo nello stato intermedio con il corpo intermedio in cui, uscendo dal corpo fisico, si sviluppa quello illusorio e questo corpo intermedio rientrerà in altre rinascite.
Durante il sonno nella consapevole pratica del guru yoga si può dunque sperimentare questo corpo illusorio ed è un esercizio molto importante per prepararci a ciò che avverrà durante lo yoga della morte.
Nello yoga della divinità si applica lo yoga dei tre kāya: Dharma.kāya Sambhoga.kāya e Nirmāna-kāya. Questi tre kāya trasformano la morte rispettivamente: il primo, lo yoga della morte, come sentiero della realizzazione di Dharma-kāya; il secondo, lo yoga dello stato intermedio, come sentiero della realizzazione di Sambhoga-kāya; e il terzo, lo yoga della rinascita, come sentiero della realizzazione di Nirmāna-kāya.
Lo yoga della morte non significa che si debba concretamente morire durante questa pratica, ma ci è dato di realizzarne l’esperienza pur rimanendo vivi.
Lo yoga dello stato intermedio ne permette l’esperienza durante la vita.
Lo yoga della rinascita è un esercizio di realizzazione che ne permette l’esperienza durante la vita.
L’allenamento nei tre kāya è fondamentale per trasformare la propria esistenza e permettere nella vita una sperimentazione completa del processo della morte.
Domanda: Lo yoga della morte e dello stato intermedio fanno parte del Sambhoga-kāya?
Lama: Lo yoga della morte del Dharma-kāya, da questo si passa allo yoga dello stato intermedio, di Sambhoga-kāya, e da questo allo stato di rinascita, Nirmāna-kāya.
Definiamo questi passaggi come livelli di generazione nel senso di trasformazione e passaggio dallo stato ordinario a quello straordinario. Dallo stato ordinario della morte si genera il Dharma-kāya il corpo di verità; dallo stato ordinario intermedio il Sambhoga-kāya, il corpo di godimento; e dal Nirmāna-kāya il corpo della rinascita.
Questa trasformazione non avviene per miracolo, ma con il potere dell’immaginazione. Come affermò Einstein l’immaginazione è più potente della conoscenza poiché è illimitata e ci permette di sperimentare in vita l’intero processo di morte, nel corpo sottile, nello stato intermedio e nel corpo di Buddha.
Per questo insistiamo particolarmente sulla necessità di osservare ogni fenomeno nella sua natura di vacuità, poiché questa visione trasforma ogni fenomeno grazie all’immaginazione e da qui scaturisce la beatitudine in quanto appare la natura divina del tutto.
Questa trasformazione si realizzerà poi, ma ora la possiamo già godere a livello immaginario se ci alleniamo in tale attitudine, possiamo realmente far scomparire la nostra visione ordinaria mutandola nella realizzazione del Dharma-kāya ed è uno yoga che possiamo praticare ora.
Una sādhana di Avalokiteśvara dice che la natura della vacuità di tutti i fenomeni è ciò che io sono, non c’è separazione tra vacuità del mio io e il tutto, questa è la natura della realtà ultima. La vacuità non è il nulla, ma l’infinito.
Intervento: Sono concetti estremamente complessi e la loro comprensione richiederebbe un maggior livello di conoscenza da parte nostra, però volendo semplificare al massimo si potrebbe dire che tutto nasce dal vuoto, tutto finisce nel vuoto e tutto ha la stessa natura, vi è una realtà di consustanzialità sia all’origine che alla fine. E non si deve cadere nel comune errore occidentale di considerare il vuoto come il nulla, il vuoto è invece uno stato di infinita potenzialità da cui può nascere qualsiasi cosa sia a livello fisico che mentale.
Già Einstein aveva voluto sperimentare la possibilità di osservare con la mente ciò che non possiamo vedere con la nostra componente fisica, limitata, usando la visualizzazione dell’immaginazione. Tale immaginazione per corrispondere alla realtà deve essere preparata, costruita nella pratica, passo dopo passo, altrimenti si tratta esclusivamente di fantasticherie che tutti sappiamo fare ma che non hanno alcuna consistenza. Per questo i maestri hanno indicato la necessità dello yoga, strumento che permette il passaggio dallo stato concreto a quello più sottile dell’energia pura.
Però è necessario essere consapevoli che tutto questo deve essere fatto soltanto dopo una grande purificazione nell’assoluta motivazione altruistica, altrimenti si trasforma in qualcosa di molto pericoloso, si cade facilmente nell’inganno allucinatorio arricchito da false illusioni fondate su egocentrismo e narcisismo incontrollabili.
Lama: Grazie per questa spiegazione. La pratica dello yoga nell’unione di compassione e saggezza è fondamentale per la costruzione del nostro universo divino.
Nel buddhismo abbiamo due metodi di pratica, del Sūtra e del Vajra, entrambi perfetti per il raggiungimento dello stesso obiettivo di superamento della sofferenza, del dolore, ma ognuno con caratteristiche specifiche.
Nel Vajrā-yana l’approccio è più diretto per affrontare qualsiasi elemento, morte, malattia, attaccamento, ignoranza, rabbia… e tutto diventa un mezzo abile per trasformare l’oggetto nella forma di Buddha, per realizzare l’illuminazione, la buddhità, ma questo percorso richiede grandi capacità, preparazione, forza e purificazione.
Nel sūtra l’obiettivo e gli elementi sono identici, ma l’approccio è più graduale, lento, delicato.
In entrambi i veicoli noi meditiamo sul processo della morte perché questo trasforma nel sentiero di realizzazione del Dharma-kāya, ma si percorrono sentieri diversi. E non bisogna mai dimenticare che sono entrambi ugualmente validi, nessuno è superiore all’altro, semplicemente si tratta di scegliere il percorso più adeguato a noi, alla nostra personalità, esperienza sensibilità.
Nel Sūtra-yana ad esempio non si parla di corpo illusorio, di corpo di arcobaleno, yoga dei tre kāya, ma ciò non significa che questo lo renda meno potente del Vajrā-yana, l’obiettivo dell’illuminazione completa è identico per entrambi.
Il punto finale l’essenza di tutto è la vacuità, la natura di vacuità di tutti i fenomeni è la mia vacuità, non c’è separazione. La forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che forma, la forma non è altro che vacuità, queste quattro caratteristiche sono la realtà di ogni fenomeno, anche di me, per questo la vacuità del sé è compresa nella vacuità del tutto.
Nella morte tutto il mondo muore nella mia vacuità e inizia l’esperienza sottile della trasformazione nel Dharma-kāya.
Domanda: Puoi definire meglio il significa dei tre corpi: Dharma-kāya, Sambhoga-kāya e Nirmāna-kāya?
Lama: Dharma-kāya indica lo stato dell’illuminazione della saggezza, il Sambhoga-kāya è il sorgere dallo stato di saggezza, dello stato di beatitudine della natura dell’illuminazione e da questo sorge l’emanazione dello stato di Buddha a beneficio di tutti gli esseri ed è corpo di Nirmāna-kāya.
Possiamo dunque concludere con la preghiera di dedica, grazie.





Parte terza e quarta
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Intervento: “La dottrina antica era basata sulla visione dell’universo percettivo empirico la cui consistenza non era altro che semplice illusione e quindi tutto dovesse nascere e finire nel vuoto, ma era necessario avere simboli che rendessero comprensibile questo universo così difficilmente interpretabile.
Questo universo è ipotizzato composto da cinque elementi, a cui si attribuiscono significati metaforici che vanno al di là della sostanzialità visibile, ad esempio nella dottrina tibetana le penne del pavone sono simbolo di trasformazione in quanto questo uccello elabora i veleni di cui si nutre convertendoli in colori lucenti.
Così devono essere osservati gli elementi o movimenti che compongono l’universo in una costante interdipendenza, uno genera l’altro con il potere di mantenere la vita e anche essere distrutti nel processo della morte.
Gli elementi fondamentali sono la terra, il fuoco, l’acqua, l’etere o spazio e il vento a cui vengono date definizioni diverse come legno, aria, ma indicano la stessa cosa.
La vita e la morte sono due facce della stessa medaglia poiché una genera l’altra e ciò avviene ininterrottamente tutti i giorni, noi generiamo morte per nutrirci, il seme ha prodotto la pianta che noi mangiamo e che genera vita ad esempio.
In un sistema equilibrato ogni elemento imprime forza all’altro e ne viene a sua volta condizionato e in questo equilibrio si genera una vita salubre e ricca di qualità.
Prendendo ad esempio l’elemento terra, con cui ci identifichiamo poiché ci sentiamo suoi figli, mentre in realtà siamo figli dell’acqua, quando siamo concepiti la nostra consistenza è uguale a quella dell’acqua degli oceani e lentamente iniziamo il viaggio dall’acqua alla terra e quando moriamo la nostra composizione è simile alla terra umida. Questo viaggio avviene tra due momenti quello della nascita e quello della morte, entrambi di sofferenza.
L’attitudine mentale che ci accompagna in questo percorso è dunque fondamentale nel renderlo percorso sereno e ricco oppure carico di tensioni, insoddisfazioni e sofferenza.
La terra generatrice è umida al punto giusto, né troppo secca né trasformata in pantano, e altrettanto deve essere il nostro atteggiamento mentale, se è troppo umido si sprofonda nel fango e se è deserto, sabbioso tutto inaridisce sterilmente.
Per questo è così importante sviluppare la capacità di riflessione, saper usare la mente di saggezza così da affrontare le grandi sfide dell’esistenza, altrimenti se l’humus è preponderante sorgono i due maggiori nemici, le preoccupazioni e le rimuginazioni.
Il processo della morte che ci accompagna giorno dopo giorno, le nostre cellule muoiono continuamente, si presenta in modo evidente, non nell’istante della morte, ma quando insorge una malattia.
Nella morte si ha la dissoluzione dei vari componenti che fonda su vari fattori, interni ed esterni di natura fisica e mentale e che determina l’apparire di visioni importanti dovute alla dissolvenza consecutiva degli elementi. L’elemento terra si dissolve nell’elemento acqua che è preponderante ed è il più condizionante, data la sua instabilità naturale, e nell’acqua il fattore più evidente è la paura di essere soli, abbandonati.
Nella dissoluzione della morte è distrutta in primo luogo la volontà di sopravvivere e in questa debolezza sorgono le infinite manifestazioni della paura con conseguenti reazioni fisiche, e comunque siamo soli, ecco perché è importanti addestrarsi prima.
Poi l’acqua si dissolve nel fuoco che è il calore che ci mantiene in vita. Il fuoco oltre ad essere fisico e presentarsi perfino in forme negative, tipo febbre, infiammazioni, è anche mentale e, se sfugge al controllo dell’acqua, sale verso l’alto provocando rabbia, allucinazioni, stati alterati.
Il fuoco si dissolve quindi nel vento, o aria, in cui si perde l’elemento concreto della fisicità, uno dei fattori che ci costituiscono, e in questa dissoluzione si perde il coraggio e nel contempo insorgono pensieri ossessivi, movimenti incontrollati.
Infine si ha l’ultima dissoluzione nell’etere in cui il corpo grossolano che portiamo e che dobbiamo abbandonare, da questo momento non ci appartiene più in quanto passiamo ad una dimensione diversa.
Queste dimensioni sono diversi aspetti della stessa unica realtà, anche se vengono percepiti come estremamente differenti.
La dissoluzione nello spazio ci porta ad essere ciò che siamo sempre stati, ma che non possiamo né vedere né ipotizzare se non abbiamo mai praticato le tecniche di visualizzazione tantrica, nella conoscenza del corpo sottile composto da canali, chakra, gocce essenziali, puramente energetico che sostiene il corpo fisico.”

Ci sono domande?
Domanda: Si, nella spiegazione sei partito dai cinque elementi per arrivare alla dissoluzione del corpo, Puoi spiegare meglio?
Risposta: Secondo la dottrina noi siamo composti da questi elementi o movimenti, che ovviamente non rappresentano letteralmente la loro denominazione, ma sono simbolici e compresivi di numerose qualità che ci costituiscono. Nel loro equilibrio si determina lo stato di salute e quando questo viene alterato, se portato a casi estremi, può portare alla loro dissoluzione con la sequenza precisa delle corrispondenti fasi. Tale dissoluzione inizia dall’elemento terra, della riflessione, che si dissolve nell’elemento acqua, della volontà, che si dissolve nell’elemento fuoco, poi nell’elemento aria e, infine, tutti insieme si dissolvono nell’elemento spazio. Nella dissoluzione finale l’energia grossolana del corpo non è più dinamica, è conclusa, ciò che resta è l’energia del corpo sottile, che abbiamo sempre avuto, ma mascherata dal corpo grossolano. Questa energia permette la conclusione del processo nell’evoluzione del continuum mentale.
Domanda: Questo processo avviene anche quando la morte è improvvisa, ad esempio in un incidente?
Risposta: No, questo è un problema che è tuttora oggetto di complesse discussioni filosofiche. Per questo però è molto importante la preparazione alla morte, affinché il processo mentale possa avvenire senza paura. Questa preparazione ci aiuta soprattutto a vivere meglio.
Domanda: A me è sempre rimasto un dubbio: avevo due zie una profondamente e gioiosamente religiosa, l’altra soltanto con una religiosità formale, al momento della morte la prima se ne è andata con gioia, ansiosa di incontrare il Cristo, la seconda con terrore. L’aderenza religiosa è dunque determinante nel processo della morte?
Risposta: Chiaramente la religione è nata in funzione della necessità di gestire l’autocontrollo mentale delle emozioni e la preghiera, la meditazione, attuano un cambiamento strutturale delle aree del cervello che controllano questi stati mentali. Certamente il pensare ad una vita oltre la vita, sminuisce la paura della morte, e non solo, rende la vita stessa più serena.






Parte quinta
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La domanda che risiede permanentemente nella profondità della nostra coscienza è come rendere significativo e produttivo ogni istante della nostra esistenza e come renderlo gioioso, completo.
Come dare un senso alla propria vita non è un percorso facile, prestabilito, uguale per tutti, ognuno deve trovare in sé la risposta, nella conoscenza di se stessi, della propria mente sottile, innata.
Soltanto nella conoscenza profonda autentica di sé siamo in grado di trasformare ogni instante in gioia per noi e per gli altri, altrimenti resta solo l’insoddisfazione e la sofferenza per noi e dunque per gli altri.
Per questo è così importante questa domanda, perché solo trovando il senso, la soddisfazione, il valore dell’esistenza possiamo trasmettere la stessa gioia agli altri, la risposta ci è data nella pratica della meditazione, del Dharma, che indica la via giusta più adatta ad ognuno di noi.
Dunque cosa vogliamo noi per essere contenti e soddisfatti della nostra vita?
Risposte: Dobbiamo essere sempre consapevoli e presenti a noi stessi qualsiasi cosa si stia facendo…; - Eliminare la sofferenza…; - Vivere il presente…; - Pace…; - Trovare equilibrio e armonia tra cuore e mente…; Gioia…; - Eliminare quello che ci fa star male…; Eliminare la dualità tra esterno e interno…; - Conoscere se stessi…; - - Accettare il presente e condividerlo…; - Vivere la vita come un bagliore di luce…; - Capire l’impermanenza vivendo qui e ora…; - Scoprire il divino che è in noi….; - Avere conoscenza e consapevolezza di corpo, parola e mente sempre…; - Accettare la sofferenza quando è inevitabile e saper godere di ogni istante delle gioie possibili…; -Imparare a riconoscere la sofferenza perché il più delle volte la subiamo inconsapevolmente…; - Bisogna non stancarsi mai in questo profondo lavoro di ricerca, ma viverlo con instancabile entusiasmo nella giusta motivazione…
Lama: Molto bene, ciò che dobbiamo fare è imparare, praticare e soprattutto vivere nello spirito di consapevolezza, conoscenza, armonia, pace, contentezza, equanimità, saggezza e così ogni momento diventa maestro. Dunque, per la ricerca della felicità non può esistere un’unica risposta che vada bene per tutti, ognuno deve conoscere se stesso, la propria cultura e trovare in ciò che è la miglior espressione fisica e mentale.
Dal punto di vista del Vajrāyana sono essenziali tre fattori:
1) tutto ciò che vediamo deve essere compreso nella sua realtà ultima, la vacuità;
2) la capacità di comprendere profondamente tutti i fenomeni nella loro realtà ultima porta autentica gioia in cui non c’è più spazio per altro;
3) quando si è in questa gioia tutto appare nella forma della divinità, si palesa la natura divina nella purezza dell’universo.
Purificazione non significa andare a pulire qualcosa di esterno, ma purificare la propria visione mentale così da avere la pura visione dei fenomeni, e come già dicevamo ieri questo è il modo di trasformare la nostra esperienza di morte in sentiero per realizzare il Dharmakāya, il corpo della saggezza di Buddha; lo stadio intermedio diventa il sentiero per trasformare il corpo di godimento di Buddha, Sambhogakāya; l’esperienza di rinascita diventa il sentiero per trasformare il sentiero per realizzare la manifestazione del Nirmānakāya.
In questa pratica di purificazione la morte diventa una pratica di Dharma, un’esperienza di Buddha, non è una finzione, ma reale trasformazione attraverso il potere della mente, ed è quello che definiamo nirvāna, buddhità, tutto appare senza ostacoli nella natura divina.
Per questo si parla di veicolo veloce, rapido, perché non si tratta di andare da nessuna parte, tutto è qui, tutto è esperienza di Buddha. Il Vajrāyana è un sentiero potente in cui l’esperienza ordinaria si trasforma in esperienza divina.
Le esperienze negative, sono frutto di un karma negativo, l’esperienza divina invece frutto di karma positivo, e nella coesistenza non contraddittoria del corpo illusorio con il corpo karmico non vi è più alcun ostacolo, lo stesso karma negativo viene purificato nella bodhicitta che è la mente più potente in grado di bruciare ogni karma negativo.
Domanda: Ma qual è la vera gioia, cosa dobbiamo cercare? Si tratta di estraniarci dal mondo osservandolo come fenomeno esterno, così come si sperimenta nella meditazione, o altro?
Lama: Non dobbiamo cercare una risposta teorica, ma concreta in cui sono comprese tutte le nostre pratiche, le infinite forme di meditazione, ognuno deve trovare ciò che è a lui più consono. La grandezza del Dharma permette di scoprire le possibilità presenti in ogni aspetto samsārico. Soltanto nel samsāra si può praticare il Dharma e quindi tutte le potenzialità sono presenti qui e ora, ogni problema trova la soluzione, realizza la soddisfazione con energie infinite. Tutte le esperienze si trasformano nel corpo della saggezza. L’impossibile diventa possibile e, come diceva Einstein, tutto è miracolo e nulla è miracolo, allo stesso tempo; bisogna imparare a conoscere se stessi, questa è la sottigliezza della natura del sé.
Domanda: Hai detto che la mente di bodhicitta è fondamentale, ma io non riesco a concentrarmi in pratiche con recitazione di tanti mantra, cosa devo fare per sviluppare questo aspetto?
Lama: La mente di bodhicitta non dipende dalla quantità di recitazione di mantra, non esiste nessun libro contabile, dipende esclusivamente dal proprio coraggio, quando riesci a eliminare l’attitudine dell’attaccamento al sé significa che hai superato il vero ostacolo allo sviluppo della bodhicitta. La mente di bodhicitta è l’offerta di se stessi in rinuncia, saggezza e compassione in modo incondizionato, gioioso e illimitato agli altri, null’altro.





Parte sesta e settima
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Oggi commemoreremo insieme il Wesak e, dopo tre giorni di studi e meditazione, ci concentreremo sulla pratica, una grande esperienza per dare consistenza a quanto fatto sino ad ora in questo seminario.
Il Wesak è l’anniversario della nascita del Buddha, della sua illuminazione e del suo passaggio nel nirvāna, quindi nello stesso giorno si celebrano in tutto il mondo questi tre eventi fondamentali.
Tutti nascono e tutti muoiono, ma pochi si illuminano, questa è la differenza tra gli esseri ordinari e gli illuminati e dunque il significato profondo che dovrebbe guidare ogni atto della vita umana è la ricerca della realizzazione dell’illuminazione in ogni istante del breve lasso temporale che intercorre tra nascita e morte.
L’illuminazione è un diritto offerto a tutti, è il nostro autentico destino, questo il senso della nostra esistenza, è luce non solo per se stessi, ma per l’intero universo, questo è il messaggio che ci ha lasciato il Buddha storico, adesso tocca a noi vivere pienamente questa condizione samsarica andando oltre il corpo materiale, grossolano e scoprire il nostro corpo sottile, innato, e sempre vivendo pienamente nel samsāra.
Come già ricordato più volte ci sono tre mondi, tre corpi, tre kāya, e in questa dimensione noi siamo, tutti contengono i valori non del singolo ego, ma dell’intera umanità. La motivazione compassionevole, altruistica è la condizione indispensabile per realizzare questi valori umani, l’illuminazione perseguita solo per sé stessi non avrebbe alcun significato, sarebbe ennesimo inganno e illusione.
Celebriamo dunque il Wesak, io leggerò le preghiere in tibetano e voi seguirete meditando con l’immaginazione di cui abbiamo parlato questa mattina.
La prima pratica è l’autentica intenzione di purificare il nostro ambiente straordinario visualizzato come terra pura di natura divina.
La seconda pratica consiste nell’immaginare di porgere infinite offerte visibili e invisibili che riempiono l’intero universo.
Poi procediamo passo a passo sino alla generazione del cuore di bodhicitta, l’elemento fondamentale.

(seguono preghiere, meditazione commemorazione e pratica dello yoga della divinità






Parte ottava
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Questa mattina abbiamo cercato di praticare lo yoga della divinità, e con divinità non intendiamo personalizzare l’oggetto, riferirci ad un individuo particolare, bensì alla bellezza della natura che appare nella forma divina.
Un altro aspetto che definisce la divinità è la realtà di tutti i fenomeni quali espressioni di vita nella purezza dei cinque elementi: fuoco, terra, acqua, aria, spazio, a cui si aggiunge la coscienza e tra loro cui non esiste alcuna separazione, sono inscindibilmente interconnessi nella realtà ultima, la vacuità.
Il nostro corpo fisico è costituito da questi elementi e nella consapevolezza è evidente la vacuità.
Poi nel contesto della pratica Vajrāyana abbiamo il corpo di arcobaleno, corpo della divinità, il corpo illusorio frutto della realizzazione della mente di Chiara Luce e in alcune caratteristiche assomiglia al corpo del sogno che spazia libero dai vincoli imposti da quello fisico, ma non è altrettanto libero karmicamente in quanto deve sempre rientrare in quello solido, materiale.
Il corpo di sogno è sempre condizionato dalla vita ordinaria, invece il corpo illusorio è il frutto della realizzazione della mente di Chiara Luce, una mente intuitiva che attraverso le pratiche prajñā del corpo e della mente sottile realizza il corpo di vacuità, divino, in cui si palesa la gioia, la beatitudine.
Il corpo di Chiara Luce così costruito è indipendente dal corpo fisico e, pur rimanendo all’interno di quest’ultimo fino alla sua durata, quando questo finisce continua nella sua essenza di corpo sottile straordinario, libero dai difetti mentali e dai limiti fisici.
E dunque il nostro compito umano è proprio quello di vivere nel samsāra con il corpo fisico trasformandoci nella realizzazione del corpo illusorio, sottile.
Questa è una breve introduzione a ciò che tratteremo nei prossimi giorni, ma ora ci dedichiamo a esercizi e pratiche yoga preparatorie per meditare nell’equilibrio mentale. Poi mediteremo con particolare profondità nella pratica dei 21 respiri, dimorando nel naturale movimento che trasforma mente - cuore in attitudine incondizionata di amore e compassione. In questa pratica dovete essere concentrati nella visualizzazione e osservazione del respiro stesso, si tratta di inspirare per sette volte dalla narice sinistra espirando dalla destra, e poi per sette volte inspirando dalla destra ed espirando dalla sinistra e ancora sette volte inspirando dalla sinistra ed espirando dalla destra per un totale di ventuno inspirazioni/espirazioni.

(seguono esercizi, pratiche e meditazione guidata)






Parte nona
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Molto bene, con questi esercizi abbiamo avuto una magnifica introduzione all’esperienza della meditazione sul respiro.
La qualità della pratica non dipende dal maestro, ma personalmente da ognuno di noi, dalla nostra perseveranza, compassione, consapevolezza, generosità e il mio compito è soltanto quello di introdurvi in tale sperimentazione.
Queste pratiche sono fondamentali per il nostro benessere in corpo, mente e spirito e per l’ambiente esteriore, la comunità, tutti gli esseri, umani e animali con cui viviamo.
La vita è fondata sul respiro, quindi la sua qualità diviene determinante per ogni essere. Un respiro consapevole, con compassione, con saggezza e con comprensione della realtà ultima diviene un respiro è profondamente diverso da quello inconsapevole e automatico di inspirazione ed espirazione.
Tramite la pratica del respiro si ottengono grandi qualità e valori spirituali. È un mezzo indispensabile efficace per praticare la meditazione e sviluppare consapevolezza e salute fisica, nel respiro abbiamo la capacità di trasformare le nostre potenzialità in qualità, la nostra intera vita, condurci nelle qualità del Buddha per il bene di tutti gli esseri liberandoci dall’attitudine ordinariamente egoistica e il dualismo “io e gli altri” in questa dimensione viene annullato.
Il desiderio di raggiungere l’illuminazione soltanto per un tornaconto personale è inammissibile, contraria all’illuminazione stessa, ogni atto, ogni pensiero ogni motivazione, e così l’illuminazione stessa, sono finalizzati all’illuminazione e al benessere di tutti gli esseri, ogni respiro purifica la nostra interiorità e tutto l’ambiente esterno in questa intenzione.
È profondamente sbagliato e nocivo desiderare di diventare Buddha o Bodhisattva o Arhat per propria realizzazione, noi possiamo solo desiderare di diventare nella vacuità, essere zero che ha valore infinito. La teoria dell’infinito già rivelata in occidente da Giordano Bruno, anche se questo gli è costato il rogo a Campo dei Fiori. Ogni singola cellula ha valore infinito.
Vivere nella consapevolezza dell’infinito trasforma ogni nostra esperienza, indipendentemente dal fatto ininfluente che possa essere dolorosa o felice, ciò che conta è la sua essenza di autentica risorsa di gioia, di armonia infinita. La vita è costruzione continua nell’accoglienza di ogni singolo respiro, di ogni esperienza, con apertura di cuore attraverso il corpo, mente e spirito.
Dobbiamo essere coscienti dell’immenso valore dell’esistenza e non sprecarla nell’inutilità di tutte le cose inutili su cui è costruita la società. Passiamo l’intera vita a riempire sacchi di immondizia, mentre avremmo la possibilità di uno sviluppo infinito nell’autentica armoniosa gioia.
Questa è la vera unica libertà che possiamo realizzare soltanto in noi stessi, non ci è data dall’esterno, è il senso della vita che supera la morte. Sicuramente la morte fisica è concreta e inevitabile, ma il nostro essere può davvero essere infinito, è il corpo illusorio.
È molto difficile esprimere in parole queste concetti, che vanno ben al di là del limite del linguaggio e che sono realtà, vita vera, e questa deve essere la nostra ricerca interiore, la ricerca della verità di sé e di tutti i fenomeni.
Buddha ha fatto proprio questo, non si è dedicato a danze folcloristiche che hanno più sapore sciamanico che non di autentica spiritualità, si è seduto nel silenzio meditativo profondo per cercare la verità e ha scoperto il valore infinito delle quattro nobili verità.
Noi invece ci perdiamo nelle visioni ingannevoli di una condizione che non è reale, che crediamo concreta e permanente mentre è pura illusione e così ci facciamo intrappolare nell’ingiustificata paura di poter perdere qualcosa, mentre non c’è nulla da conquistare, né nulla da perdere, l’unica verità è la vacuità, la perfetta libertà nell’infinito.
Domanda: La mente che percepisce il corpo illusorio, che mente è? Può essere una percezione corretta o erronea, come faccio a sapere se è davvero o no la verità ultima?
Lama: La verità ultima della mente è l’oggetto della realizzazione della saggezza. Quando la nostra saggezza scopre la verità della mente nella sua natura cosciente e di forma giunge nello spazio del Dharma diventa Dharmadhātu e in questo spazio non c’è più alcuna separazione tra forma e coscienza, siamo nella forma sottile e coscienza sottile di mente e corpo innati in cui la saggezza realizza la verità ultima di Chiara Luce. Questa potenzialità della forma è il corpo illusorio, così come nel sonno nasce il corpo di sogno. Questa è la verità del continuum del corpo innato.
Domanda: Per noi, esseri normalissimi, la verità è qualcosa che cambia continuamente, perché dipende dal grado di consapevolezza che sto sviluppando, o no?
Lama: Molto bene, più l’oggetto è raffinato e più il soggetto diviene sottile, entrambe le qualità sono complementari.
Domanda: In che modo il respiro può essere veicolo di conoscenza e verità?
Lama: Il respiro è la nostra vita e la qualità della vita dipende dalla qualità del respiro. La qualità della meditazione dipende molto dalla qualità del respiro e infine la realizzazione delle pratiche dipende dalla qualità del respiro. Lo yoga del respiro è fondamentale per entrare nel nostro corpo sottile e così quando la qualità del respiro diventa più raffinata lo è altrettanto la nostra consapevolezza e in questa unità, alla fine, si ha la realizzazione della realtà ultima del sé nell’estinzione del respiro. Tutti questi passaggi portano a scoprire la verità assoluta.
Domanda: Abbiamo iniziato la meditazione con i 21 giri di respiro, ma perché quest’alternanza tra narice destra e sinistra?
Lama: Questo è un metodo semplice per portare la tua coscienza nella neutralità.
Domanda: La verità assoluta è comunque relativa perché la mia verità può essere diversa dalla tua?
Lama: No, la verità assoluta è uguale per tutti, mentre la verità relativa è personale e differente per ognuno.
Domanda: Come facciamo a sapere che quella che crediamo verità assoluta non sia invece una nostra verità relativa?
Lama: La verità assoluta è a livello ultimo, è la vacuità e vale per tutti, quella convenzionale a livello relativo, l’importante è mantenere sempre un grande rispetto per le verità altrui. La realtà ultima è difficile da comprendere, ma il nostro compito è proprio quello di scoprirla attraverso la propria ricerca interiore, nessuno può indurne la comprensione dall’esterno.
Domanda: Questa mattina hai accennato allo yoga delle divinità, puoi chiarire?
Lama: Tutti i fenomeni sono natura di vacuità, natura di beatitudine, infinita, e da questa beatitudine tutto cambia e diventa natura divina. Se non scopri la vacuità, non scopri la beatitudine, e se non scopri la beatitudine non scopri la natura divina. Queste tre trasformazioni della visione interiore sono fondamentali nello yoga della divinità.
Grazie veramente per la vostra attenzione, entusiasmo e generosità in questo lavoro e terminiamo la sessione dedicando tutti i meriti per la pace, felicità e gioia per l’universo intero e nel nostro mondo in particolare. Tutto è Dharma.





Parte decima
*****

Ricordiamo quanto detto ieri e cercando di ritrovare quello stato di armonia e di pace e, seduti nella corretta postura, cominciamo a praticare i nove giri di respiro di purificazione, prima inspiriamo per tre volte dalla narice sinistra visualizzando l’aria che attraversa e pulisce il canale sinistro ed espiriamo visualizzando l’eliminazione di tutte le impurità attraverso il canale destro ed espellendole dalla relativa narice, poi per altre tre volte facciamo il contrario, inspirazione dalla narice destra ed espirazione dalla narice sinistra, ed infine per tre volte inspirare da entrambi i canali ed espirare dal canale centrale.
Non siamo qui per raggiungere l’illuminazione, quando verrà verrà, senza alcuna aspettativa, dobbiamo invece accogliere e godere pienamente, riconoscendone il valore intrinseco ogni singola esperienza della nostra attuale vita samsarica.
Ogni atto umano, anche minimo, ogni sensazione, pensiero, emozione, sensibilità, sono preziosissimi e insostituibili. Se non sappiamo vivere pienamente tanta ricchezza è inutile aspettare l’illuminazione, è l’ennesima fantasia ingannevole.
L’illuminazione dov’è? Dentro il samsāra, dove c’è più buio e maggiore è la possibilità di dare spazio alla luminosità, maggiori sono le difficoltà e maggiore è l’opportunità di maturare, andare oltre, vedere la propria luce interiore.
I problemi sono un altro aspetto della nostra felicità, se tutto fosse lineare senza ostacoli, senza sofferenza, non ci sarebbe sviluppo della nostra crescita umana né spazio per l’autentica gioia.
Le sensazioni profonde, la visione della bellezza sono impossibili per chi non ha esperienza della sofferenza, colui che rimane dormiente è come un motore senza carburante e ogni energia propulsiva rimane inerte.
L’illusione peggiore è pensare di dover abbandonare il samsāra istantaneamente per raggiungere la libertà, questo è impossibile.
Dobbiamo vincere, accogliendola pienamente, la sofferenza, non distruggerla, combatterla. La vittoria è su noi stessi, invece noi sprechiamo un’infinità di energie lottando continuamente contro tutto ciò che non ci piace, per questo siamo costantemente stanchi, frustrati, svuotati.
La via del Dharma è la via della pace interiore, dell’armonia, questa è la vera vittoria su sé stessi, qui e ora, non c’è nulla da aspettare, tutto è nel presente vissuto con consapevolezza in tutta la sua preziosità.
Stare nell’illusione dell’aspettativa magica di illuminazione, liberazione, senza vivere il presente è il peggior inganno in cui cadiamo, totale perdita di opportunità, energie e tempo. In questo modo neghiamo la legge naturale dell’impermanenza di tutti i fenomeni, siamo statici e vanifichiamo ogni possibilità di crescita umana.
L’impermanenza è la realtà su cui fondare ogni pratica e in questo modo tutto diviene possibilità, gioia, felicità soddisfacente. Ogni secondo vissuto nella beatitudine che supera la sofferenza vale infinitamente, è la forza dell’anima.
Questa è stata la breve introduzione alla pratica di oggi, ora preghiamo iniziando con la triplice pratica quotidiana, che è importante per costruire la motivazione della giornata:
La Triplice Pratica Quotidiana

Rendere Omaggio

Maestro, Bhagavān, Tathāgata, Buddha perfettamente e completamente risvegliato. A te, dotato di sapienza e retta condotta, che hai raggiunto la sapienza eretta condotta, che hai raggiunto la beatitudine, Conoscitore dell’Universo, Guida degli esseri ordinari che devono essere domati, Maestro di tutti gli dei e degli uomini, Bhagavān, Buddha Glorioso, vittorioso Śākyamuni, rendo omaggio, porgo offerte e in te prendo rifugio.

Quando tu, timoniere degli uomini, sei nato,
Hai fatto sette passi su questa grande terra e hai detto:
In questo mondo sono supremo”
A te, che persino allora eri saggio, rendo omaggio.

Corpo completamente puro, forma sommamente bella,
Oceano di saggezza, simile ad una montagna aurea,
Gloria che risplende nei tre mondi,
A te, Protettore Supremo, rendo Omaggio.

Caratterizzato dai segni supremi, dal volto simile alla luna candida,
Del colore dell’oro, a te rendo omaggio.
I tre mondi non sono come te, che sei immacolato.
A te, impareggiabile saggio, rendo omaggio.

Protettore ricco di grande compassione,
Maestro onnisciente, dotato di ogni realizzazione sulla conoscenza,
Campo di qualità e meriti vasti come l’oceano,
A te, Tathāgata, rendo omaggio.

Rendo omaggio al Dharma che porta pace,
Che attraverso la purezza libera l’attaccamento,
Che attraverso la virtù libera dai regni inferiori,
Che è l’unico, supremo significato ultimo.

Rendo Omaggio al Sangha,
Che dalla libertà insegna il sentiero verso la libertà,
Perseverando nelle pratiche pure,
Sacro campo dotato di qualità positive.

***

Recitazione del Sūtra

Non commettere azioni non virtuose,
Accumulare virtù e bontà,
Domare la propria mente:
Questo è l’insegnamento del Buddha.

Come una stella, un miraggio, una lampada,
illusioni, gocce di rugiada, bolle, sogni, lampi e nuvole:
Guarda in questo modo tutti i fenomeni condizionati

***
Dedica

Avendo conseguito lo stato dell’onniscienza tramite questi meriti,
E così sottomettendo il nemico causa delle afflizioni,
Possa io liberare gli esseri migratori dall’oceano dell’esistenza,
Scossi dalle onde dell’invecchiamento, della malattia e della morte.

OM AH HUM

***
Continuiamo ora con la recitazione della preghiera di Metta Sūtra e del Fondamento di tutte le buone qualità:

METTĀ SUTTA

Questo dovrebbe fare chi pratica il bene e conosce il sentiero della pace:
essere abile e retto,
chiaro nel parlare,
gentile e non vanitoso,
contento e facilmente appagato;
non oppresso da impegni e di modi frugali,
calmo e discreto,
non altero o esigente;
incapace di fare ciò che il saggio poi disapprova.

Che tutti gli esseri vivano felici e sicuri:
tutti, chiunque essi siano,
deboli e forti,
grandi o possenti,
alti, medi o bassi,
visibili e non visibili,
vicini e lontani,
nati e non nati.

Che tutti gli esseri vivano felici!
Che nessuno inganni l'altro,
né lo disprezzi,
né con odio o ira desideri il suo male.

Come una madre protegge con la sua vita suo figlio, il suo unico figlio,
così, con cuore aperto, si abbia cura di ogni essere,
irradiando amore sull'universo intero;
in alto verso il cielo,
in basso verso gli abissi,
in ogni luogo, senza limitazioni,
liberi da odio e rancore.

Fermi o camminando,
seduti o distesi,
esenti da torpore,
sostenendo la pratica di Metta;
questa è la sublime dimora.

Il puro di cuore,
non legato ad opinioni,
dotato di chiara visione,
liberato da brame sensuali,
non tornerà a nascere in questo mondo.

***
Il Fondamento di Tutte le Buone Qualità
Di Je Tzong Khapa

I Maestri spirituali, gentili e venerabili sono il fondamento di tutte le buone qualità. Comprendendo che affidarsi a loro e la radice del sentiero, vi prego beneditemi affinché io possa seguirli con grande rispetto e sforzo intrepido.
Una vita umana dotata di agi si ottiene una sola volta. Comprendendo che ha un grande valore ed è difficile da ottenere, vi prego beneditemi perché io possa produrre incessantemente la mente conscia della sua preziosità e rarità giorno e notte.
Il nostro corpo e la nostra vita vacillano come una bolla d’acqua; ricordati della morte, perché moriamo così velocemente. Dopo la morte, gli effetti del karma nero e bianco ci seguono come un’ombra segue un corpo.
Essendo certo di ciò, vi prego beneditemi perché io possa sempre stare attento ad abbandonare anche la più piccola azione negativa e completare l’accumulazione di ogni virtù.
Non c’è soddisfazione nel godere dei piaceri mondani. Sono le porte di tutta la sofferenza. Avendo realizzato che il difetto delle perfezioni samsariche è che su di loro non si può fare affidamento, vi prego beneditemi perché io possa costantemente concentrarmi sulla beatitudine della liberazione.
Questo pensiero puro (di ottenere la liberazione) produce grande coscienza, presenza mentale e consapevolezza. Vi prego, beneditemi perché io possa intraprendere la pratica del Pratimoksa, la radice della dottrina.
Avendo visto che tutti gli esseri, mie madri, sono caduti come me nell’oceano dell’esistenza ciclica, vi prego, beneditemi perché io possa addestrarmi nella bodhicitta, assumendomi l’obbligo di liberare tutti gli esseri migratori.
Generare solo l’aspirazione, senza coltivare le tre pratiche morali, non conduce all’illuminazione. Avendo realizzato ciò, vi prego beneditemi perché io possa praticare con sforzo intenso i voti del Conquistatore e dei suoi figli spirituali.
Acquietando la distrazione rivolta agli oggetti falsi e analizzando il significato della realtà, beneditemi perché io possa velocemente generare il mio flusso mentale, il sentiero che unisce la calma dimorante alla visione speciale.
Quando, addestrato nel sentiero comune, sarò divenuto un recipiente adatto, beneditemi affinché io acceda facilmente al grande sentiero per i fortunati, il Vajrāyana, il più alto di tutti i veicoli.
La base per conseguire i due potenti Siddhi è costituita dai voti puri e dagli impegni. Scoprendolo con genuina certezza, beneditemi perché io possa mantenerli anche a costo della mia stessa vita.
Avendo realizzato il significato dei due stadi, che sono l’essenza del sentiero del mantra, vi prego, beneditemi perché io possa praticare tenacemente e senza pigrizia le quattro sessioni di Yoga, e realizzare ciò che gli Esseri nobili hanno insegnato.
Possano i Maestri Spirituali che mi guidano lungo il sacro sentiero e tutti gli amici spirituali che lo praticano avere lunga vita. Vi prego, beneditemi affinché io possa velocemente e completamente pacificare tutti gli ostacoli esterni e interni.
In tutte le mie rinascite possa io non essere mai separato dai perfetti Maestri Spirituali e gioire del magnifico Dharma. Conseguendo tutte le qualità degli stadi e dei sentieri, possa io velocemente ottenere lo stato di Vajradhara.

***

Questa è la pratica di base, comprende tutto, ogni passaggio è un imprescindibile insegnamento fondamentale che non può essere saltato.
Il buddhismo, spesso presentato come filosofia complessa, nella realtà più profonda e autentica non lo è affatto, tutto è molto semplice, basta praticare queste tre cose: primo non fare male agli altri, secondo cercare di fare del bene agli altri, terzo domare la propria mente, purificarla, perché in essa vi è la radice di felicità o di sofferenza.
Nel sūtra il Buddha ci guida a rimanere nella via di mezzo, osservare la natura interdipendente di tutti i fenomeni, la loro realtà ultima, impermanenza, vacuità.
La nostra esistenza non avrebbe alcun senso se rimanesse isolata, sterilmente autonoma, la relazione con gli altri è essenziale, al di fuori dell’interdipendenza non c’è vita, né compassione, né felicità.
Per questo alla fine dedichiamo i benefici della pratica a tutti gli esseri senzienti, senza attaccamento, perché se praticassimo solo per gratificare noi stessi ne vanificheremmo ogni frutto e la nostra esistenza intera non avrebbe alcun significato.
La vita è così breve che è proprio sciocco sprecare tutte le opportunità che ci sono offerte nel tentativo inutile di voler essere felici ad ogni costo senza condividere questo bene con gli altri. Questo non è possibile, è contrario alla legge naturale.
I tre passi della triplice pratica quotidiana sono fondamentali per poter creare la giusta motivazione.
Il secondo passaggio è la Mettā Sutta, nel linguaggio pali Mettā significa amore e gentilezza, ed è una pratica di compassione, di amore costruito nell’interdipendenza con gli altri.
Infine c’è la pratica del fondamento di tutte le buone qualità. La traduzione di questo insegnamento non è buona ed è comunque difficile da spiegare anche perché per noi oggi non ha molto significato la frase: “I Maestri spirituali, gentili e venerabili sono il fondamento di tutte le buone qualità” che vuol dire concretamente? chi sono questi maestri?
Nella tradizione tibetana si enfatizza molto la pratica del guru yoga, del guru radice entrambi inseparabili dallo yoga della divinità, ma sono concetti molto difficili da capire e ancor di più da spiegare. Chi è il guru radice per ognuno di noi? questo è il primo punto da chiarire a noi stessi.
Fondamentalmente dobbiamo sempre aver chiaro in mente il primo insegnamento del Buddha che raccomanda insistentemente di non credere incondizionatamente a tutto ciò che viene detto sia da lui che dagli altri maestri, poiché assolutamente tutto deve essere riscontrato, vissuto, interiorizzato con la propria intelligenza, conoscenza, esperienza.
Ognuno deve essere testimone della propria pratica, verificare ciò che è buono per sé, non è possibile delegare a nessun altro questa responsabilità.





Parte undicesima
*****

Siamo rimasti con la difficile domanda, essenziale nel Vajrāyana, riguardo lo yoga della Divinità, del Guru radice, eppure è fondamentale comprenderne il significato.
Il Guru radice, cioè è la radice di tutti i sentieri, il Lam Rim, la radice della propria pratica.
Troviamo la radice del sentiero Lam Rim nel testo di Atīsha “La lampada dell’Illuminazione” e nel commentario di Lama Tzong Khapa “Il Grande Lam Rim” in cui la pratica inizia nel Sūtra-yana per concludersi nel Vajrā-yana, entrambi i sentieri, si completano perfettamente e sono parte dell’intero sentiero Lam Rim.
Il Sūtra-yana è l’indispensabile passaggio preliminare per poter giungere all’approccio con il Vajrā-yana che comincia con la devozione del guru yoga, prima fondamentale pratica, molto difficile da spiegare poiché estremamente articolata e complessa.
Ne sono state date infinite spiegazioni che però, nel limite naturali delle parole, non sono affatto esaustive, anzi possono confondere e ridurre ciò che non lo è affatto, eppure questa pratica è la radice di tutte le pratiche, il fondamento di tutte le qualità, e dobbiamo comprenderne il concetto profondo, la vera essenza, ma è una ricerca che possiamo fare esclusivamente in noi stessi, non troviamo nulla all’esterno.
Dobbiamo trovare il senso, il valore della pratica per noi stessi, verificarla nella comprensione profonda del perché seguiamo quel determinato percorso, soltanto in questo modo la nostra pratica diventa facile, naturale, e dobbiamo essere pienamente coscienti che costituisce il fondamento imprescindibile su cui costruire tutto il percorso.
Il concetto è difficile tanto che, come in tutte le religioni, su queste discussioni nascono divisioni, interpretazioni diverse, spesso forti contrasti anche violenti, malgrado queste reazioni aggressive siano esattamente l’opposto dell’insegnamento del Buddha fondato sull’armonia, la pace e su un irrinunciabile base: Amore, Compassione, Bodhicitta.
Il guru è fondamentale, non possiamo prescindere da questo maestro, dobbiamo soltanto riconoscere, comprendere e accogliere sia gli insegnamenti dei guru esteriori che quelli del guru interiore, entrambi sono le guide spirituali che ci accompagnano nel nostro percorso. All’inizio, noi siamo come i bambini che necessitano di una guida esterna che ci indichi le varie possibilità, ma poi la scelta matura, umana, è esclusivamente affidata al guru interiore, il maestro più importante e a nessun altro.
I primi guru sono i propri genitori, gli insegnanti gli amici e alla fine ci accorgiamo che tutti gli esseri senzienti, anche i nostri nemici, sono realmente i guru che ci aiutano a conoscere il guru interiore, per questo la bodhicitta è il fondamento su cui tutto si costruisce.





Parte dodicesima
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Siamo giunti all’ultima sessione di questo ritiro di quattro giorni molto intensi, utilizziamo dunque questo tempo per riflettere su quanto studiato, praticato e gioirne tutti insieme consapevolmente.
Ricordare questa gioia è determinante alla crescita della pratica, per potenziarne il valore, e non solo in noi stessi, ma per tutta l’umanità. La pratica altruistica è l’essenza di questa gioia.
Saper coltivare e vedere la propria gioia e saper vedere e gioire della gioia e delle virtù altrui annienta naturalmente ogni invidia ed è fondamentale far crescere questa potente qualità poiché, al contrario, l’invidia annulla e cancella ogni valore umano, il soffio dello Spirito santo, uccide tutto.
Per questo è così importante gioire e rigioire, in pace e armonia con se stessi e con gli altri, è l’unico nostro impegno, non c’è bisogno di dogmi, di azioni miracolose, semplicemente dobbiamo gioire e rigioire delle nostre qualità, di quelle degli altri e dell’universo intero, imparare a godere e gioire della bellezza del mondo, dell’arte, dell’esistenza, di tutto.
Invece nella nostra continua, miope e affannosa ricerca della felicità limitata esclusivamente a noi stessi non vediamo nulla di questa bellezza che permea tutto, in noi e al di fuori di noi, e costruiamo mattone dopo mattone un immenso muro di infelicità, insoddisfazione, disagio.
Questo conflitto interiore, nella disarmonia tra il negativo e il positivo che c’è in noi, crea le emozioni negative. Non si tratta dunque di fare guerre, di dover combattere contro la rabbia, o altro, si tratta semplicemente di equilibrare armonicamente in noi stessi gli aspetti negativi con quelli positivi, la parola chiave è armonia.
La rabbia non è contro la pace, il problema, la sofferenza nasce dalla disarmonia tra rabbia e pazienza, quindi non si tratta di eliminare questi eventi, ma di creare armonia tra loro, perché tutto serve, nulla è vano.
Questo è stato il senso di questi quattro giorni e a conclusione dite ciò che ne pensate.
Intervento: Sono un operaio nelle vigne del Buddha e anche se spesso la vita non è stata particolarmente generosa con me, sono stato davvero fortunato poiché ho incontrato maestri qualificati e preziosi, ho potuto conoscere e praticare il Dharma e condividere con altri questo regalo. A un certo punto della mia vita pensai di diventare monaco, ma il mio maestro, che mi conosceva molto bene, mi dissuase fermamente, però mi disse anche che, malgrado il mio karma negativo, ero fortunato perché essendo medico ero agevolato nel conseguire l’illuminazione nella prossima vita. Ho premesso questo fatto perché qui ora c’è Geshe Gedun Tharchin una persona che ha una dote rara e preziosa in quanto, pur essendo uno studioso particolarmente competente e profondo, ha raggiunto il massimo grado di studi ed è Geshe Lharampa, riesce a trasmettere la dottrina estremamente complicata e difficile del Buddhadharma con grande semplicità e chiarezza, scende con naturalezza, apparentemente scherzando a volte, a livello di ognuno degli ascoltatori, al fine di rendere accessibile anche le dottrine più complesse, e di questo lo ringraziamo.
Lama: Grazie a voi, avete detto davvero parole bellissime.
Dedichiamo dunque tutti i meriti, le qualità, questa capacità di gioire, l’intenzione di generare la bodhicitta, a beneficio di tutti gli esseri senzienti e in particolare per l’armonia del Sangha che produce pace.
L’armonia del Sangha è una pratica importantissima.
Grazie a tutti per la vostra partecipazione entusiastica che sicuramente ha determinato una trasformazione in ognuno di noi e che non dobbiamo perdere, ma condividere con tutti con gli amici, in famiglia e nel lavoro.
Concludiamo pregando insieme:

PREGHIERA DI DEDICA

Possa la preziosa bodhicitta (mente dell’illuminazione) non ancora nata, sorgere.
Possa quella già nata non avere mai declino, ma aumentare sempre di più.

Tutti i Conquistatori dei tre tempi hanno lodato come suprema questa dedica impareggiabile.
Quindi dedico tutte le radici delle mie virtù
al sublime scopo di dedicarmi alla pratica del Bodhisattva.

Possano tutti gli esseri senzienti, nostre madri, avere felicità stabile.
Possano tutti i regni inferiori divenire vuoti per sempre.
E possano tutte le preghiere dei Bodhisattva,
ovunque essi risiedano, essere esaudite.


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