Lo Yoga Tibetano del Sonno e del Sogno I
Una Via di trasformazione
Ven. Lama Gedun Tharchin
Geshe
Lharampa
***
12 - 13 dicembre 2015
Cagliari
*****
INDICE
Parte
prima: - Lo yoga del sonno e del sogno. - La ricerca della
felicità pag. 4
Parte
seconda: - Coraggio, Conoscenza, Prudenza pag. 8
Parte
terza: - La ricerca interiore - Sūtrapitaka - Abhidharmapitaka -
Vinayapitaka pag. 13
Parte
quarta: - Le domande fondamentali dell’esistenza pag. 17
Parte
quinta: - La motivazione, fondamento di ogni pratica pag. 22
Parte
sesta: - La mente di Chiara Luce pag. 26
Parte
settima: - Il potere dell’energia dell’insieme pag. 30
Parte
ottava: - La funzione dei Preliminari pag. 35
***
Parte prima
Lo
yoga del sonno e del sogno - La ricerca della felicità
Presentazione:
È
per me un grande piacere e onore presentare il monaco tibetano Gedun
Tharchin, nato in Nepal ma con studi presso l’università monastica
Gaden in India dove ha ottenuto il massimo grado della scuola
Gelugpa, di Geshe Lharampa. Persona pienamente convinta del valore di
ogni espressione spirituale ha approfondito la conoscenza non solo
del buddhismo, ma anche del cristianesimo e di altre religioni con
grande rispetto e apertura mentale. Vive a Roma, ed è possibile
trovare molti suoi insegnamenti nel suo blog. Ora gli cedo la parola
con grande piacere.
**********
Buon
giorno a tutti e un particolare ringraziamento agli organizzatori che
hanno lavorato per permetterci di essere insieme in questo magnifico
luogo per approfondire la conoscenza della nostra mente nel rispetto
delle tradizioni, nella meditazione, nel Dharma. È prezioso
l’incontro di due culture così antiche, la tibetana e la sarda, un
arricchimento dei reciproci valori.
La
prima domanda è: “qual è la nostra aspettativa oggi?”
Risposte: Imparare...;
-conoscere…; -sapere…; -crescere…; -accogliere…;-elevarsi…;
-stare nel momento…; -creare armonia…; -migliorare noi stessi…;
-non avere aspettative…
Molto
bene! tutti noi, indistintamente desideriamo un’unica cosa: “la
felicità”, la ricerchiamo ininterrottamente e questo è il
compito, la sfida della vita umana, malgrado non se ne conosca la
vera natura. Questo anelito è un istinto radicato nella mente e che
non ci abbandona mai, né nella veglia, né nel sonno.
La
prima meditazione in cui calarci concerne il nostro desiderio
costante di felicità poiché questo ci pone nella ininterrotta
ricerca di una risposta sulla natura della felicità, su cosa in
realtà essa sia e anche se mentalmente riteniamo di poter elaborare
una risposta corretta, perfetta, ugualmente la nostra domanda rimane
irrisolta, poiché studiare, cercare, trovare corrispondenze
accettabili non è la soluzione, la soluzione dunque non è la giusta
risposta, bensì la giusta domanda.
È
facile rispondere a “cos’è la felicità?” su google troviamo
infinite e complesse definizioni, ma nessuna di queste è
autenticamente soddisfacente, l’unico mezzo che introduce a tale
conoscenza è la nostra esperienza, vissuta concretamente,
profondamente, personalmente.
La
giusta domanda deve essere rivolta unicamente a noi stessi, solo noi
possiamo coltivare ininterrottamente l’esperienza della felicità
che sentiamo viva e vera nel nostro cuore, nella nostra anima, nel
nostro spirito, in ogni essenza che ci circonda, nell’aria,
nell’acqua, in ogni atto quotidiano, questa è la beatitudine
onnipresente in tutte le cose, è nel Dharma, nello Spirito Santo e
saper accogliere una simile realtà è il valore che dilata il cuore
nella felicità, un’inscindibile emozione che accompagna ogni
istante dell’esistenza.
Quando
si raggiunge questo godimento ininterrotto nella beatitudine
interiore e universale, abbiamo forse trovato la risposta a: - che
cos’è la felicità?-
La
meditazione su tale domanda diventa automaticamente un sistema di
ricerca della felicità, non occorre null’altro, è già la
risposta vera, concreta nel nostro cuore, senza bisogno di complessi
studi e di infinite inutili parole esterne. La risposta può essere
coltivata unicamente nella meditazione profonda della domanda giusta:
- che cos’è la felicità? - rivolta a noi stessi.
Tutto
il resto distrae dalla ricerca dell’autentica felicità, chiedere
dove essa sia è sbagliato, così non la si troverà da nessuna
parte, nessuno dall’esterno potrà darci una vera risposta, gli
unici preposti a questo compito siamo noi, si tratta di
sperimentarla, di conoscerla, è già insita nella natura umana,
dobbiamo solo scoprirla, farla emergere, risvegliarla.
Il
termine Buddha significa Risvegliato, cioè il saper vedere con
chiarezza la felicità nel nostro cuore. In genere noi siamo molto
attenti e vigili nel sentire la sofferenza, non passa inosservata,
non è mai dormiente, ma sempre attiva, e altrettanto dobbiamo fare
con la felicità, anzi dobbiamo permettete alla sofferenza di dormire
un po’ così da lasciar emergere viva e vigile la felicità.
Essere
Buddha non è fare miracoli eclatanti, superare tutte le difficoltà,
magicamente volare nel cielo staccati da tutto, no, il Buddha era un
essere umano esattamente come noi, ma risvegliato completamente,
senza più zone oscure e addormentate nel proprio cuore. La
differenza tra noi e il Buddha è solo questa, noi facciamo tutto con
sofferenza, il Buddha invece compiva le stesse azioni quotidiane, ma
sempre nello spirito della felicità.
Per
noi ogni occasione, anche una bella vacanza, diventa motivo di
sofferenza, sottolineaiamo tutto quello che non va secondo i nostri
piani fasulli e unicamente esteriori, e così ci stanchiamo al punto
che dopo una vacanza abbiamo bisogno di riposare per superare la
stanchezza della vacanza stessa.
Dobbiamo
abbandonare la nostra abituale pigrizia, non rimandare, ma
risvegliare istantaneamente la nostra felicità tramite la
meditazione consapevole e costante sulla domanda “che cos’è la
felicità?” La meditazione è consapevolezza e la consapevolezza è
assolutamente essenziale, basilare nella nostra vita.
Questa
premessa sull’importanza della consapevolezza della meditazione che
ci porta all’esperienza in noi stessi della felicità è
indispensabile per addentrarci nell’argomento di oggi, lo yoga del
sogno, una scelta non così usuale, che mi ha colpito perché sorge
da una domanda attenta, specifica, non è curiosità o fantasia, ma
precisa ricerca nella visione chiara e concreta di una realtà
pratica, consistente.
È
un momento particolare quello in cui ci si addormenta, ci si
abbandona al sonno e solo in questo stato giunge il sogno in cui è
presente e si manifesta la mente sottile e che non è istantaneamente
attiva in superficie, ma opera silenziosamente a un livello molto
profondo in cui vi è realmente una consapevolezza tridimensionale:
mente del sonno, mente del sogno, mente ancora attiva nella coscienza
generale.
Questi
sono i tre livelli dello yoga del sonno. Il termine sanscrito yoga
significa unione, non separazione, riunificazione, dunque anche in
occidente dobbiamo accogliere questa concezione conoscendo che la
meditazione fonda sull’unità inscindibile della mente con il
cuore.
In
generale invece i nostri problemi nascono proprio dall’incapacità
di accordare questa unificazione, la mente in una direzione e il
cuore da quella opposta e così ci ritroviamo perpetuamente spossati,
frustrati, consumati da questa inutile e insensata lotta.
Al
contrario, perché durante la meditazione tutti ci ritroviamo con
stupore rilassati, in pace, sereni? Esattamente perché c’è
armonia tra cuore e mente e quando, avendo introiettato e praticato
questa consapevole meditazione entriamo nello stato del sonno,
giungiamo naturalmente allo yoga del sogno.
Questa
è una breve introduzione a livello generale su ciò che significa
meditazione dello yoga del sonno e dello yoga del sogno.
Domanda: Scusa,
prima di affrontare questo tema vorrei tonare al primo argomento
sulla felicità perché continuo a chiedermi: - ma di cosa ho
veramente bisogno per essere felice?-
Lama: Questa
è la seconda domanda, ma prima devi conoscere cos’è la vera
felicità altrimenti non puoi trovare nessuna risposta perché è un
quesito che non ha reale fondamento. Tu non hai bisogno di nulla al
di fuori di te, la felicità non la si trova in qualche cosa o in
qualche luogo, non è una condizione materiale è un fatto
spirituale, illimitato, profondo del cuore che emerge in te evidente
e chiaro solo tramite la tua esperienza, il tuo sentire, è il saper
riconoscere tuo valore umano, infinito. È necessario andare oltre il
limite materiale, non siamo solo corpo fisico, dobbiamo sentire,
godere, aprire le porte all’immensità illimitata del cuore.
La
felicità non significa essere sempre sorridenti, non trovarsi mai di
fronte alla sofferenza, ma essere illuminati è semplicemente avere
la forza di riconoscere in sé questa capacità spirituale illimitata
che ci permette di scegliere: se vogliamo essere risvegliati lo
siamo, se preferiamo dormire e oscurare le nostre potenzialità, lo
possiamo fare, se volgiamo essere felici lo siamo e se preferiamo
crogiolarci nella sofferenza, altrettanto. La libertà è unicamente
nostra, questa è la saggezza, la flessibilità dell’amore.
Il
Buddha non ha avuto una vita tranquilla, serafica, senza difficoltà,
il suo corpo era esattamente come il nostro, soggetto a decadimento e
malattie e allora non c’erano né pronto soccorso, né terapie
intensive e nei sei anni di ritiro è quasi morto, ma non ha mai
perso la felicità del cuore ed è rimasto stabile nel suo intento:
-“fino
a che non comprendo, fino a che non trovo la risposta non mi muovo
dalla posizione meditativa.”
Questi
anni di sacrificio sono stati necessari alla sua completa
illuminazione, la sofferenza dunque è utile, essenziale nella nostra
vita, come lo è la felicità e, purché siano entrambe vissute con
consapevolezza, ci accompagnano fino al risveglio della vera natura
della mente. Soltanto in questo equilibrio, nella via di mezzo,
cresciamo nella nostra umanità completa, ci risvegliamo nella
completezza.
L’illuminazione
consiste proprio in questa flessibilità e capacità di integrare
l’essenza profonda della sofferenza con quella della felicità, la
forza di un equilibrio che ci apre alla comprensione dell’immenso
valore umano.
Non
esistono circostanze discriminabili - la felicità si, la sofferenza
no - ogni condizione è uguale, l’equanime apertura alla vita nella
via di mezzo, in un perfetto equilibrio di armonia, è la nostra
grande possibilità di illuminazione.
Con
questa flessibilità di fronte agli eventi che di volta in volta
classifichiamo e valutiamo attribuendovi consistenza, ma che in
realtà sono soltanto etichette discriminatorie: sofferenza o
felicità, cattivo o buono, giusto o ingiusto, piacevole o
spiacevole, manteniamo inalterato l’equilibrio nella profonda
essenza della nostra umanità, nella meditazione in cui non esiste
più alcuna differenza, non c’è più divisione, ma solo la
perfetta piena armonia, pace, illuminazione, realizzazione di ogni
desiderio.
Intervento: Nella
nostra cultura questo passaggio che hai spiegato molto
esaurientemente, potrebbe essere espresso con due parole:
adattabilità e flessibilità, i due atteggiamenti mentali che
possono determinare un cambiamento profondo interiore.
Lama: Infatti,
quello che a me preme ribadire è che essere illuminati non significa
essere perennemente giocondi e sorridenti, ma è mantenere inalterata
la propria capacità di flessibilità, presente intrinsecamente nella
natura umana. Oggi abbiamo soltanto accennato all’argomento con una
sintetica introduzione, abbiamo aperto un laboratorio in cui
approfondire, scoprire, osservare ciò che nascerà dal lavoro in
questi due giorni è la naturale aspettativa prova di attaccamento.
Lavoreremo sul nostro sogno di risvegliare la felicità.
Domanda: L’introduzione
sulla felicità è stata per me inaspettata e mi ha commosso
profondamente, perché mi ha messo di fronte alla sterilità di un
atteggiamento di autocompatimento in cui ogni condizione diventa
motivo di lamentela e piagnisteo e ho capito la necessità di
cambiare completante modo di osservare e vivere la realtà.
Lama: Qualsiasi
cosa faccia risvegliare la consapevolezza è utile.
Domanda: Che
cos’è sognare?
Lama: A
questa domanda ci sono diversi gradi di risposta perché ci sono vari
livelli di sogni. Il nostro primo e più grande sogno è risvegliare
la felicità, l’obiettivo della pratica spirituale, però a livello
ordinario il sogno è l’immagine che giunge alla mente durante il
sonno, un’esperienza che è parte della vita, quindi altrettanto
valida e proficua allo sviluppo spirituale.
Domanda: È
vero che a un certo punto non si sogna più?
Lama: È
possibile, ma è difficile generalizzare, sono condizioni
individuali.
Intervento: Credo
ci siano piani diversi di osservazione di questo argomento perché
l’attività onirica è fisiologicamente necessaria e naturale, ma
ciò che approfondiremo con il maestro è la capacità del buddhismo
tibetano di trasformarla in un percorso spirituale, in un’attività
di consapevolezza e di presenza continua.
***
Parte seconda
Coraggio,
Conoscenza, Prudenza
Siamo
qui insieme a gustare il dono della condivisione nella pratica
naturale intrinseca della natura umana della spiritualità, un
immenso valore che in realtà non necessità di alcuna attività
esteriore, è pratica senza praticare, condivisione senza
condividere, azione senza azione, è lo yoga, cioè l’armonia,
l’unione, la non discriminazione o esclusione, praticare senza
praticare, vi è un’unità inscindibile.
Domanda: Che
vuol dire praticare senza praticare?
Lama: E’
un concetto difficile ma concreto ed essenziale, non c’è
divisione, noi creiamo i confini: - adesso pratichiamo per un
determinato tempo… poi faremo altro… poi praticheremo ancora…-,
tutto ciò è inesistente, falso. Lo yoga è unità inscindibile,
dunque è praticare senza praticare perché non esiste alcuna
separazione, alcuno sforzo, emerge con naturalezza.
I
valori umani sono già tutti presenti in noi, soltanto sono nascosti,
non ne siamo consapevoli, per questo è così importante
risvegliarli, averne coscienza, dobbiamo ridestare il nostro cuore,
la nostra felicità, la nostra gioia e anche la nostra sofferenza
perché quando lo si fa questa non è più sofferenza, ne siamo
liberi, tutto diviene unità in noi stessi e ogni ostacolo scompare,
questo è il vero valore umano, lo yoga spirituale, nel linguaggio
religioso è l’amore universale, senza limiti.
Nella
naturale, umana condivisione siamo tutti insieme Sangha e,
concretamente, questo amore infinito è la nostra felicità, non c’è
null’altro da cercare altrove, è semplicissimo, una realizzazione
istantanea.
Proviamo
ora a meditare completamente rilassati, senza confini, senza
contrasti in pace. La prima attenzione è rivolta alla postura che
deve essere confortevole, confacente al proprio benessere, il secondo
passo, centrale di tutta la pratica, è l’armonizzazione della
regolarità del respiro, lasciando andare tutti i pensieri e
rimanendo semplicemente stabili nella serena concordanza di mente e
cuore.
Meditando
sul significato degli “Otto Versi di Trasformazione della Mente”
cercando di sentire nel nostro continuum mentale la beatitudine
dell’amore e della compassione.
OTTO
VERSI DELLA TRASFORMAZIONE DELLA MENTE
Considerando
tutti gli esseri senzienti
superiori
alla gemma che esaudisce i desideri
per
realizzare il fine supremo
possa
io costantemente prenderli a cuore.
Quando
sarò con gli altri,
riterrò
me stesso come il meno importante,
e
mi prenderò cura di loro fin nel profondo del cuore
come
se ognuno fosse il più elevato degli esseri.
Vigile,
ogni volta che sorge un’emozione negativa
che
possa nuocere me o gli altri,
l’affronterò
e l’eliminerò
senza
indugio.
Vedendo
esseri in preda alla malvagità
Intenti
a violente azioni negative, sopraffatti da sofferenze,
avrò
sempre cura di tali creature così rare,
come
se avessi trovato un tesoro prezioso.
Quando
altri, per invidia, mi maltratteranno,
mi
insulteranno o faranno cose simili,
accetterò
la sconfitta e offrirò la vittoria.
Quando
qualcuno a cui ho fatto del bene
e
in cui ho riposto grandi speranze
mi
infligge un danno terribile,
lo
considererò il mio santo amico spirituale.
(ripetere
3 volte) In
breve, direttamente e indirettamente, offro
ogni
beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri;
possa
io segretamente prendere su di me
tutte
le loro azioni negative e sofferenze.
Possa
la pratica non essere mai contaminata dalle idee causate
dalle
otto preoccupazioni mondane
e,
consapevole che tutte le cose sono illusorie,
possa
io, privo di attaccamento, essere libero dal samsara
(segue
meditazione)
Domanda: Io
non ho capito il passaggio in cui si dice “possa
io segretamente prendere su di me tutte le azioni negative e
sofferenze degli altri esseri”.
Come posso farlo? Forse questo è già naturalmente in me, ma non ne
capisco il senso?
Lama: “In
breve, direttamente e indirettamente, offro ogni beneficio e felicità
a tutti gli esseri senzienti, mie madri;possa io segretamente
prendere su di me tutte le loro azioni negative e sofferenze”.
Questo auspicio è l’espressione della pratica tibetana del Tong
Len, del dare e avere, dare agli altri ogni beneficio e prendere su
di sé ogni loro sofferenza e negatività. In questa condivisione
nell’equanimità si mantiene il giusto equilibrio tra gioia e
dolore, perché se fossimo sempre nella felicità nutriremmo
inconsapevolmente il nostro orgoglio, l’ego. Si prende su di sé la
sofferenza altrui non per il gusto di soffrire, ma per creare armonia
nell’umiltà e condivisione della natura umana.
Questa
è la pratica della compassione, dell’amore, non è un’invenzione
fantastica, astratta, è una realtà. Prendendo la sofferenza altrui
non si elimina la sofferenza, così come donando la propria felicità
non la si diminuisce, ma si crea un equilibrio armonico, una
condivisione nella via di mezzo, senza eccessi e in questo modo si
espande all’infinito la capacità del proprio cuore.
Noi
siamo sempre attenti e concentrati sulla sofferenza, vorremmo
rifuggirla ad ogni costo, ma in questo modo la incrementiamo a
dismisura poiché la sofferenza nasce dall’ignoranza. Il saggio
Platone non a caso affermava che nell’esistenza umana occorrono tre
cose: Conoscenza, Prudenza, Coraggio.
Intervento: Certo,
perché la conoscenza porta alla felicità, rigpa,
mentre l’ignoranza, ma-rigpa,
induce una concezione erronea che è alla base della sofferenza e del
suo mantenimento.
Lama: In
tibetano ci sono parole interessanti, rigpa
significa Chiara Luce, conoscenza, sapienza, e
ma-rigpa
ignoranza, perché il suffisso ma
indica negazione. Platone, uno dei maggiori filosofi che hanno posto
i fondamenti della cultura occidentale, del cristianesimo stesso, ha
enunciato tre elementi essenziali alla crescita umana: Conoscenza,
Prudenza e Coraggio, fattori fondamentali e indispensabili per
sviluppare la saggezza, imparare a governare se stessi come si
governa la Repubblica.
Senza
coraggio non si arriva da nessuna parte, nella spiritualità è
basilare altrimenti non si può aver una reale convinzione in nulla,
credere che le realizzazioni siano possibili, avere la giusta
motivazione al fine di raggiungere la liberazione, diventare davvero
liberi.
Intervento: Inoltre
la parola coraggio ha un’origine che è proprio centrata su questo
concetto perché deriva da “cor
che emette raggi”,
la definizione del cuore di bodhicitta che emette luce.
Lama: Si,
dobbiamo quindi avere il coraggio di liberarci da cosa?
Risposte: -
Dalla sofferenza…; - dall’ignoranza…; - dall’attaccamento…
Lama: Tutte
le risposte sono perfette, ma non rispondono a nulla, l’unica
risposta concreta è trasformare se stessi vivendo, trasformando noi
stessi ci liberiamo dalla sofferenza, ma perché? cosa ci fa
soffrire? qualcuno ha detto l’attaccamento, poi?
Domanda: Perché
la sofferenza?...
Lama: E’
una domanda che è già una risposta, dipende da cos’è la
sofferenza, chi l’ha causata?
Risposte: -
Io, sono io che causo tutto sofferenza e gioia…; - l’ignoranza…
Lama: Teoricamente
avete risposto a tutto, ma praticamente a nulla. Tecnicamente diciamo
liberarci da noi stessi e la mia domanda ora è perché dobbiamo
liberarci da noi stessi? Perché ogni atto che compiamo nella vita è
volto a incatenarci, a renderci schiavi di ingannevoli illusioni di
presunta felicità e tutta questa confusione è samsāra. Noi abbiamo
paura della libertà perché non la conosciamo, siamo invece amici
inseparabili della sofferenza, dei problemi. Questo è il nostro
grande errore spontaneo, quasi automatico. Rincorrere il nirvāna
significa semplicemente incatenarsi sempre di più all’inganno
della confusione e affondare nel samsāra più completo. Per
liberarci da queste catene bisogna rischiare, abbandonare le
fantasiose sicurezze di ciò che in realtà non conosciamo affatto,
il nirvāna non l’abbiamo mai visto. È invece necessario
abbandonare la paura, avere il coraggio di conoscere noi stessi,
pienamente, con saggezza e prudenza. Soltanto nell’interazione di
conoscenza, coraggio e prudenza troviamo in noi la vera libertà, pur
vivendo pienamente tutto, anche la sofferenza.
Domanda: Se
pratico il Tong Len non significa però che, concretamente, io possa
aver dato a un’altra persona felicità sollevandola dalla sua
sofferenza, perché se questa è dovuta al suo karma io non posso
prenderlo su di me. Il pensiero è bello, ma le persone traggono
giovamento da questo?
Intervento: Non
è questo lo spirito del Tong Len, come insegnò il grande guru
indiano Śāntideva, la nostra mente in questo percorso spirituale ha
realmente un potere di trasformazione che l’altro non ha e quindi
compassionevolmente possiamo contribuire a ridurre il suo karma,
altrimenti l’interdipendenza sarebbe una parola vuota, senza
significato.
Lama: Con
il Tong Len non ci si focalizza su un singolo individuo, lo si fa nel
contesto degli Otto Versi, del Lo Jong, della trasformazione mentale
che qui diventa pratica di bodhicitta, della grande compassione,
pratica dei Bodhisattva che è indiscriminatamente rivolta a tutti
gli esseri senzienti, e non a qualcuno in particolare. Non si può
applicare la pratica di Bodhisattva con attaccamento verso qualche
singola persona, la grande compassione, l’amore pieno è rivolto
universalmente e a questo livello possono davvero succedere tante
cose, i benefici si realizzano segretamente, in modo inconsapevole,
azione senza azione, questo è il più grande aspetto della pratica
del Dharma, nascosta, segreta, ma efficace.
Quando
incontriamo qualcuno che conosciamo, che ci è caro e magari malato e
ci chiede di pregare per lui, va benissimo, accogliamo la sua
preghiera e praticando il Lo Jong, che è sempre rivolto
universalmente a tutti gli esseri, nell’atto della dedica
rivolgiamo una particolare intenzione per questa persona. In questo
modo doniamo il frutto della propria pratica di generosità anche a
una persona in particolare.
La
pratica del Tong Len invece non discrimina nessuno, tutti gli esseri
sono compresi, anche quelle persone che hanno chiesto una particolare
intenzione.
Questo
significa vivere in saggezza con la visione profonda, ampia.
Domanda: Io
ho due domande, come possiamo prendere la sofferenza altrui su di
noi? e cosa significa la gemma di cui parla la preghiera?
Lama: Questa
è tipica espressione della cultura tibetana, la gemma rappresenta il
tesoro più prezioso e puro che io posso offrire con generosità e
compassione. Per quanto riguarda il prendere la sofferenza, voi cosa
dite?
Risposte: -
Ognuno deve liberare prima di tutto se stesso dal karma, perché se
fosse possibile altrimenti il Buddha lo avrebbe fatto, ci avrebbe
liberati tutti…; - se il Buddha liberasse tutti non ci sarebbe
alcun merito, mancherebbe completamente il lavoro personale…;
Intervento: Quando
si parla del Buddha che ci libera, non si parla di una entità aliena
che, con potere sovrannaturale, arriva dall’esterno cancellando
ogni nostra colpa, lo stesso peccato originale, no, semplicemente il
Buddha ci indica la corretta via per raggiungere l’illuminazione,
ci dona gli strumenti utili per liberare noi stessi dalla sofferenza,
per conoscerne l’origine e dunque sapere come superarla, non ha mai
pensato di intervenire direttamente in modo miracoloso, magico.
Lama: Comunque
tutto il lavoro di questa mattina è stato concentrato solo su una
domanda fondamentale: “che cos’è la felicità”. L’impegno è
nostro, ogni aiuto esterno può essere utile, ma nessun altro può
fare il lavoro al posto nostro.
Intervento: Vorrei
solo aggiungere una cosa importante, dal punto di vista delle
neuroscienze, la felicità coincide con libertà, l’etimologia è
la stessa, ma deve essere una libertà consapevole perché, se
inconsapevole, è soltanto apparente superficiale euforia.
Lama: Certo,
la consapevolezza è strettamente interconnessa con la felicità.
Domanda: La
felicità che sperimentiamo qui è permanente o impermanente?
Lama: L’unica
cosa permanente è l’impermanenza.
Grazie
a tutti, riprenderemo il lavoro nel pomeriggio.
***
Parte terza
La
ricerca interiore
Sūtrapitaka
- Abhidharmapitaka - Vinayapitaka
Ritorniamo
questo pomeriggio alle nostre riflessioni essendo ben rilassati,
carichi di energia che nutre il corpo e l’anima poiché nella
meditazione ogni cura fisica diventa anche beneficio spirituale.
È
fondamentale saper cogliere il valore di ogni istante, di ogni
piccola cosa, per rendere la vita reale possibilità di crescita
umana. Il più grande valore della vita risiede in noi, nel cuore e
nella mente e ogni attenzione al corpo, alla mente, allo spirito, è
nutrimento che ne riconosce l’essenzialità e l’inscindibile
interconnessione.
Per
questo nella meditazione si pone tanta attenzione al respiro, un
movimento fisico che armonizza e sostiene le tre unità inscindibili.
Non posso curare il corpo se trascuro mente e spirito e viceversa,
curando uno curo gli altri due, poiché in realtà non sono affatto
separati, sono semplicemente tre aspetti di una sola realtà che è
il nostro essere persona, un essere che ha maturato uno spirito
libero, autonomo, non dipendente da fattori materiali, meccanici.
Ogni
persona ha un suo preciso percorso e prendere esempio dagli altri non
significa copiarne come fotocopie le modalità, bensì introiettare
in sé gli aspetti che possono essere proficui alla cura del proprio
corpo, della propria mente, del proprio spirito, acquisirli come
nutrimento personale.
Non
c’è nulla da creare, dobbiamo semplicemente scoprire il tesoro che
c’è in noi, il nostro umanesimo,vivendolo con gioia, con serena
consapevolezza.
Ricordiamo
che lo yoga del sogno non è fine a se stesso, è un metodo che
consente di giungere alla realizzazione di una determinata
condizione.
La
pratica dello yoga del sogno può essere applicata in qualsiasi
contesto: cristiano, buddhista, religioso o ateo, però seguendo il
titolo del seminario approfondiremo particolarmente il punto di vista
della tradizione tibetana e questo forse mi rende il compito un po’
più difficile perché dobbiamo tornare a tempi molto antichi,
introdurci in qualche museo… ovviamente sto scherzando.
Nella
tradizione tibetana il punto di partenza è sempre profondamente
spirituale, a cominciare dall’antica religione Bön per passare poi
alle numerose scuole del buddhismo, tutto si articola e scende in
dettagli sempre più sottili, in quello che conosciamo genericamente
come buddhismo tibetano.
Ma
a noi non servirebbe analizzare specificamente ogni disquisizione
filosofica esposta dalle diverse scuole per cui affrontiamo il punto
centrale, come praticare lo yoga del sogno in generale.
Tutti
gli insegnamenti del Buddha sono classificati in tre gruppi, e anche
le pratiche dello yoga del sogno sono così impostate.
Il
primo gruppo degli insegnamenti del Buddha è il Sūtrapitaka, il
secondo l’Abhidharmapitaka e il terzo è il Vinayapitaka.
Il
Sūtrapitaka,
che letteralmente significa filo del discorso, raccoglie la parola
stessa del Buddha e qui ci soffermeremo in particolare sulla parte
relativa alla meditazione e concentrazione;
l’Abhidharmapitaka
può essere tradotto in italiano come insieme di metafisica,
psicologia, filosofia, fenomenologia, raccoglie gli insegnamenti
sulla saggezza;
Il
Vinayapitaka
accorpa tutti gli addestramenti sulla moralità.
Il
Buddha ha affrontato la realtà umana in modo completo, totale, ma
semplice e comprensibile, non occorrono studi, né volumi pesanti e
complessi per assimilare il suo insegnamento, i suoi discorsi sono
lineari, non permettono scappatoie e in questi tre gruppi è compreso
tutto.
L’insegnamento
su meditazione e concentrazione, il Sūtrapitaka, ci accompagna nella
meditazione sempre più raccolta nella concentrazione, così da
indurci a una vita consapevole, stabile.
Il
secondo insegnamento, che non può assolutamente prescindere dal
primo, perché senza meditazione e concentrazione non si ottiene
nulla, approfondisce gli aspetti metafisici, fenomenologici,
psicologici e matura saggezza, l’Abhidharmapitaka, ci permette di
conoscere la realtà del mondo prima a livello immediato,
superficiale e poi sempre più sottile fino a comprendere ciò che
c’è al di là di quanto appare. Siamo così in grado di conoscere,
capire, vedere, senza bisogno di particolare telescopio. Il mondo
interiore è infinitamente più grande di quello esterno.
Meditazione, concentrazione saggezza e compassione ci danno l’immensa
visione di questo mondo. La spiritualità è saper riconoscere lo
spazio infinito dentro di sé.
E
non si possono applicare questi insegnamenti senza il terzo, il
Vinayapitaka, che ci indica l’etica, l’indispensabile moralità
di ogni comportamento, il buon senso e il rispetto reciproco per il
convivere umano, la compassione, la giustizia, l’amore.
Nell’applicazione
di questi tre imprescindibili e completi insegnamenti dunque dobbiamo
applicarci nel nostro compito umano, la ricerca nell’infinito
spazio interiore.
In
questo contesto il buddhismo nella meditazione dello yoga del sogno
scopre che in generale deve essere un sogno compassionevole,
amorevole, generoso, un sogno che ha conoscenza e saggezza, con una
mente stabile, chiara.
Ora
però è legittimo chiederci come, concretamente, possiamo realizzare
un sogno che abbia tutte queste caratteristiche, questa è la
domanda, ma la risposta?… - non può esserci…-
La
nostra ricerca è la domanda, non la risposta, e la filosofia
buddhista ci indica una prima fondamentale pietra miliare, base
essenziale di ogni pratica: - la motivazione, o intenzione.
L’intenzione
è il motore che innesca qualsiasi movimento e ciò vale anche per il
sonno. Primo aspetto che il buddhismo ha osservato è l’importanza
di assumere una confortevole posizione del corpo al fine di creare
una connessione armonica naturale, ovviamente ognuno deve trovare
quella a lui più confacente, ma come esempio ottimale i maestri
buddhisti suggeriscono quella del Buddha dormiente con il capo
rivolto a nord, disteso sul fianco destro con la mano appoggiata
sotto il capo, così come mostrano tante statue, postura che ha
mantenuto anche nella morte.
Il
secondo passaggio tratta la modalità con cui entrare nel sonno. È
essenziale in questa delicata fase mantenere la motivazione di
moralità, fresca, con rispetto, onestà, giustizia, compassione,
amore, pazienza nei confronti di tutti gli esseri. L’attitudine
della moralità non è prerogativa buddhista, è umana, e ogni
religione o filosofia ne indica lo stesso percorso.
Per
addormentarsi con la giusta motivazione si possono mentalmente
recitare, preghiere o mantra, oppure meditare, questi metodi
favoriscono lo scivolamento nel sonno mantenendo la consapevolezza di
moralità, concentrazione e saggezza.
La
saggezza è indispensabile per la corretta motivazione, poiché se
anche avessimo tanta compassione, ma senza saggezza, essa sarebbe
vanificata e anzi potrebbe diventare molto pericolosa.
Una
moralità senza saggezza, poi sarebbe veramente grave, come è
ampiamente dimostrato in tante parti del mondo quando ciò che viene
interpretato come imperativo etico è in realtà espressione di
mostruosa ignoranza.
E
non bisogna neppure prescindere dalla concentrazione perché senza di
essa si resta in superficie, non si approfondisce nulla e si
interpreta ciò che appare come unica possibile realtà, restando
così nell’ignoranza più ingannevole.
Quindi,
moralità, concentrazione e saggezza sono interconnesse in modo
assoluto, nessuna può essere applicata singolarmente senza la
presenza delle altre due, perché in tal caso si cadrebbe
inevitabilmente in macroscopici errori, non sarebbe possibile trovare
il giusto sentiero.
Quindi
quando ci si addormenta è bene meditare sulla compassione così da
risvegliare con mente chiara la propria felicità, compassione,
gioia, concentrazione, saggezza.
Se
si riuscisse a fare ogni sera questa pratica sarebbe davvero un
grande passo. Se ci addormentiamo in questo stato mentale il nostro
sonno sarà positivo, se invece lo facciamo con la mente piena di
pensieri confusi anche il nostro sonno sarà negativo con i
corrispondenti sogni, positivi, o negativi, uno schema che si
ripresenterà identico nel risveglio.
La
motivazione del cuore prima di addormentarci è dunque fondamentale
per gli esiti del nostro sonno e relativi sogni.
Quando
dormiamo i nostri sensi non sono più attivi, malgrado nel profondo
la mente sia sempre presente, benché oscurata e il cui nome è:
“sonno”. La mancanza di chiarezza , di consapevolezza fa si che
ogni giorno dormiamo molte ore e alla fine non ricordiamo nulla, né
sonno né sogni. Dormiamo molto, ma ancora non abbiamo capito cos’è
il sonno.
Domanda: Anche
questo è un sogno?
Lama: Può
essere, stiamo sognando o siamo svegli? Non possiamo avere certezza
di niente. Il sonno è un fattore mentale oscuro. Se non conosciamo
il sonno, non possiamo far nulla con il sogno.
La
mente oscura è neutra, non ha facoltà di scegliere decidere, ma
questo lo può fare il continuum mentale che procede dallo stato
mentale precedente ed è qui il ruolo fondamentale della motivazione
prima di cadere nel tunnel del sonno buio.
Questa
è la visione buddhista, io non voglio addentrarmi in approfondimenti
della neuroscienza o altro. Vi do gli strumenti affinché ognuno
possa valutare, confrontare tutti questi passaggi al fine di
comprendere come dorme e possa applicare al meglio lo yoga del sonno
e del sogno.
La
maggior parte del nostro sonno non è profondo, di totale blackout, e
quando risale a un livello più leggero spiragli di luce penetrano la
mente, soltanto a questo punto si presentano i sogni, ed è qui la
possibilità di creare sogni positivi. La motivazione determina il
sogno che potrà trasformarsi davvero in realtà, in qualsiasi campo,
sociale, umano, e credo che l’esempio lo abbiamo nella la stupenda
frase di Martin Luther King: “I
have a dream”
- Io ho un sogno - Lui era determinato nella sua profonda motivazione
che ha così indotto nel sonno il sogno che poi è stato tradotto a
livello vigile, di veglia.
Tutti
possediamo la stessa capacità, non si pratica lo yoga del sogno solo
per raggiungere l’illuminazione, ma per realizzare qualsiasi cosa
buona nella vita e dobbiamo avere soltanto forte motivazione,
determinazione e coraggio, sarà così possibile creare l’intenzione
nel sogno, che verrà poi tradotta in azione nello stato di veglia. I
sogni non sono un’illusione, ma effettivi.
Lo
stato di veglia e quello del sonno sono due realtà vitali, parte di
noi, sono distinte, ma collegate da un filo sottile, possono
influenzarsi a vicenda, ma non trasformarsi una nell’altra.
Il
sogno si verifica a metà strada, tra il blackout totale e il
risveglio, la motivazione maturata nel momento antecedente
l’addormentamento e subito penetrata nel sonno più profondo,
emerge in questo stato più leggero e determina nel sogno la visione
di situazioni di vita reale, benché non materialmente concrete.
Dunque
è nelle nostre mani la possibilità di trasformare il nostro sonno e
sogno, relativamente alla motivazione, in positivo, negativo, o
neutro.
La
mente del sonno profondo emerge lentamente nella mente del sogno e
infine nella mente del risveglio, che sarà gioioso, triste, neutro,
così come sarà stato il sonno e il sogno, non potrebbe mai essere
diverso da loro.
Quindi
la pratica durante il sonno può migliorare la pratica durante la
veglia, e viceversa, sono entrambe complementari, speculari, ed è
necessario applicarle con costanza, ogni giorno, con gratitudine,
gioia, conoscenza, consapevolezza, sapendo che migliorano la nostra
vita, la nostra salute, la nostra anima.
Questo
è il percorso di superamento della sofferenza samsarica di nascita,
malattia e morte, ed è il nostro scopo concreto su questa terra, qui
e ora, è la realizzazione completa della nostra umanità.
È
la via del Buddha che ha meditato sei anni per comprendere come
superare la sofferenza del mondo, un cammino che ognuno può e deve
compiere in se stesso, nessun altro può farlo al posto suo, ogni
problema è superato tramite la realizzazione della luce interiore,
questo è il nostro compito, la nostra missione, il valore
spirituale, il Dharma, la cultura.
***
Parte quarta
Le
domande fondamentali dell’esistenza
Proseguiamo
il nostro incontro iniziando con una meditazione molto forte.
Disponiamoci nel completo rilassamento, e applichiamo tutti gli
strumenti che già conosciamo lasciando andare ogni tensione, fisica
e mentale:
(Segue
meditazione guidata per approfondire la bodhicitta con la rilettura
degli Otto Versi di Trasformazione della Mente)
Immaginiamo
di introiettare nel nostro continuum mentale questa trasformazione,
attraverso la visualizzazione di simboli e mantra, concentriamoci sui
canali energetici del corpo, sulla mente e sui fattori mentali. Nella
luce di questa realizzazione divina sul proprio corpo e mente e
parola si purifica tutto l’universo che si trasforma nella purezza
completa della natura ultima, nella terra pura.
Ora
riportiamo la nostra mente al suo stato ordinario e ritorniamo nello
status umano consueto. Riapriamo lentamente gli occhi e sentiamo nel
corpo i benefici acquisiti.
Grazie.
Il
risultato del nostro lavoro di oggi è stato davvero importante,
ottimo e se ogni giorno producessimo questi frutti, la nostra vita
sarebbe immediatamente più piena, la prova della nostra capacità.
Nelle
giuste circostanze, ambienti, condizioni siamo naturalmente
inarrestabili nel cammino verso l’illuminazione, questo è la
bellezza, il senso della vita e il Dharma vi è già insito.
Gli
ostacoli che incontriamo non sono mancanza di Dharma, ma non
applicazione della pratica del Dharma, non vi è mancanza del Buddha,
ma assenza della realizzazione del Buddha.
Il
Dharma, il Buddha, lo Spirito Santo, il Sangha sono sempre presenti,
non mancano mai, siamo noi che non ne vogliamo accogliere l’immensità
infinita perché non abbiamo fede, fiducia, saggezza, conoscenza,
volontà, impegno, pratica costante.
È
più comodo mantenersi nell’attitudine irresponsabile e incolpare
la latitanza nella nostra esistenza del Buddha, dello Spirito Santo,
del Dharma, ma non è così, gli unici assenti siamo noi. Questa è
la nostra grande ignoranza.
Oggi
abbiamo dimostrato come risvegliare in noi la felicità, la
potenzialità di Buddhità. Non si tratta di essere sempre felici, ma
di riconoscere questa capacita interiore di sviluppare la felicità.
Sofferenza
e felicità non sono due opposti, anzi sono i due aspetti
inscindibili della stessa realtà, sono una risorsa necessaria,
autentico beneficio del Dharma. Il Tong Len ne è una chiara
manifestazione.
Noi
sprechiamo spesso la vita intera lottando contro i mulini a vento,
vogliamo solo la luce e quindi dichiariamo un’insensata guerra al
buio, ma possiamo combattere anche tutta la notte, il buio della
stessa sparirà soltanto all’alba, ogni nostro tentativo è inutile
perdita di tempo e di energie. Per godere della luce è necessario il
buio. La nostra discriminazione artificiosa tra felicità e
sofferenza, tra luce e buio è soltanto il risultato dell’ignoranza
che rende il samsāra così pesante, stancante.
Come
ha detto un filosofo del mondo antico: “per
sviluppare la saggezza bisogna filosofare”.
I filosofi, di qualsiasi formazione, non temono la morte, ne abbiamo
documentazione in tutte le tradizioni spirituali, nello yoga, nel
taoismo, nel buddhismo, nella filosofia degli antichi latini e greci,
come in quella moderna.
L’obiettivo
comune è superare i limiti del samsāra, la sofferenza di nascita,
malattia, vecchiaia, morte e per andare oltre queste barriere non
occorre un grande sforzo, è semplicemente necessario filosofare,
cioè non delegare ad altri i propri compiti, ma pensare
autonomamente in modo logico per scoprire la verità interiore, la
verità di sé stessi: “chi
sono io”
è una domanda fondamentale. Qual è nel buddhismo la domanda
basilare?
Risposte: -
essere o non essere…; - come risvegliare la buddhità dentro di
sé…; - chi sono io…-
Lama: Tutto
è valido, non c’è risposta, ciò che conta è la domanda che è
in sé già illuminante.
Nel
buddhismo la domanda fondamentale è “Dov’è la mente?” questa
stessa domanda è in sé la risposta a ogni forma di ignoranza,
elimina molti dubbi.
Noi
vogliamo sempre incasellare ogni cosa, cerchiamo certezze in schemi
concreti e di fronte a questi interrogativi il nostro castello di
carta crolla miseramente, dobbiamo lasciare uno spazio vuoto, libero
da ogni modello precostituito, la mente esiste e al contempo non
esiste, senza alcuna contraddizione.
Questa
mente esistente e non esistente, assolutamente libera nello spazio
infinito, funziona, lavora alacremente, è una realtà misteriosa,
miracolosa, ma il miracolo dov’è? Proprio li al suo interno, non
serve cercare chissà cosa, chissà dove. La domanda stessa è
illuminazione, deve essere sempre aperta e la sua riflessione è già
la risposta, null’altro serve, è la scoperta della verità, della
gioia.
Questo
è la pratica per diventare yogi, cioè realizzati nella beatitudine,
completamente liberi senza alcun condizionamento di sofferenza o di
felicità.
In
Tibet la tradizione dello yoga del sogno è molto diffusa, oggi
abbiamo parlato in generale su come trasformare il sogno in pratica
dharmica, ma nella tradizione degli yogi vi è un ulteriore
approfondimento e arricchimento delle modalità da porre in atto.
Ora
la parola a voi, per domande, suggerimenti, riflessioni, proposte per
il lavoro di domani.
Risposta: Domani
faremo le pratiche per lo yoga del sogno.
Lama: Si,
potete già cominciare questa sera ad esercitarvi secondo le
indicazioni che abbiamo visto insieme questa mattina. Cercate di
addormentarvi con la motivazione piena, completa, di risvegliare la
felicità, così potete trasformare il sonno, il sogno e il risveglio
in positivi. Ci sono vari tipi di positività e ognuno deve farne
esperienza direttamente, personalmente.
Domanda: Alcune
persone avevano chiesto di avere un’istruzione pratica sul
movimento dei venti karmici, dei run a livello dei canali energetici,
se possibile domani potremmo affrontare questo?
Domanda: E
la meditazione?
Lama: Quella
sempre. Domani scenderemo più in particolare nella pratica della
tradizione yogi, il tema è complesso, ma provare è sempre bene.
Domanda: Nessuno
però ha risposto alla domanda del maestro: - dov’è la mente?
Risposte: -
La risposta è nella domanda stessa...; - la mente è qui…; - come
dice il sūtra del cuore, la forma è vuota, la vacuità è forma e
la forma non è altro che vacuità…; - ma il fatto che la mente
coincida con il vuoto non vuol dire che non esista, perché il vuoto
non è non esistente…; - bisogna soltanto portarla a casa…; - già
ma questo implica la necessità di dare una risposta in quanto la
mente esiste in se stessa…; - io volevo ringraziare il maestro
perché ha creato un bellissimo clima di gioia tra noi e penso anche
che sarebbe utile spiegare ulteriormente il passaggio in cui afferma
che la mente in contemporaneità esiste e non esiste…; - io vorrei
chiedere se domani si parlerà di come modificare il sogno durante il
sonno... - vuoi telecomandare il sogno, si può fare, ma come?..
Lama: Meditando
gli Otto Versi di Trasformazione della Mente. Alla domanda dov’è
la mente dicevate che contemporaneamente esiste e non esiste, questo
è il non dualismo. La mente è definita come Chiara Luce e in questo
esiste e non esiste, la luce riflette come uno specchio e il chiaro è
lo spazio infinito. La mente nello spazio infinito è ovunque e non
può essere limitata in alcun modo, incasellata. La mente lavora e
tutto riflette, ogni nostro atto, visione è ciò che appare nello
specchio della mente, esiste e non esiste, è vuoto e pieno. Perciò
nel buddhismo conoscere la propria mente è il punto centrale della
pratica della meditazione, riflettere sulla domanda che non può
essere delimitata in una risposta è conoscenza del sé e della
propria mente.
Intervento: Quindi
conoscere la mente è facile e difficile nello stesso momento, è
difficile perché è troppo vicina a noi per poter essere osservata,
è come cercare di vedere il proprio naso, lo si può fare solo
attraverso uno specchio, ma nel contempo è anche facile perché la
mente ha un potere di visualizzazione di sé legato alla sua natura
luminosa per cui è parte essa stessa della Chiara Luce, di
conseguenza possiede la capacità di conoscenza infinita di
comprendere se stessa e l’universo intero.
Domanda: Quindi
la mente che osserva la mente è come uno specchio, vede le cose come
se vi si fossero riflesse. La mente infinita come lo spazio è la
mente assoluta, è la mente che non esiste intrinsecamente, è così?
Lama: Intrinsecamente
non c’è esistenza.
Intervento: Nella
dottrina della mente come in tutto buddhismo tibetano bisogna evitare
due errori fondamentali: il nichilismo e l’eternalismo, non ci si
può muovere se non al di fuori di questi due estremi.
Lama: Avere
le domande fondamentali è la nostra grande fortuna.
Domanda: Quindi
la mente è un conoscitore e deve cercare se stessa, trovare quella
Chiara Luce che invece è oscurata da tutti i fattori esterni del
quotidiano, deve dunque fare un lavoro di autoconoscenza, di
introspezione per potersi trovare?
Lama: La
mente è autoconoscenza, questa è la sua natura, il nostro lavoro è
risvegliarci, solo questo, non c’è nulla da cercare, c’è già
tutto, dobbiamo solo risvegliare la mente dal suo torpore. La sua
capacità è quella dello specchio, riflette in modo naturale, senza
sforzo alcuno.
Domanda: La
frase che dice: “la
mente mente”
che vuol dire? Significa che la mente ci può ingannare, dire bugie,
farci credere cose inesatte?
Lama: Certo,
questo inganno è in realtà il frutto della nostra elaborazione
mentale fondata su falsi preconcetti. Questa non è la mente vera,
reale, si tratta soltanto delle consuete costruzioni mentali
pregiudiziali e temporanee a cui siamo tanto attaccati a causa della
nostra ignoranza, pigrizia, ottusità.
Domanda: Quindi
quando il maestro diceva, manteniamo la nostra esistenza
semplicemente come una presenza libera dal proprio sé, potremmo
anche pensare che la mente sia intrinsecamente libera, ma non libera
dal proprio sé, in quanto esiste e non esiste un sé oggettivo o
relativo…
Intervento: Il
problema è che la dottrina tibetana della mente è un argomento
estremamente difficile e complesso, ci sono molteplici aspetti che
dovrebbero essere approfonditi per poter sviscerare questo argomento.
Lama: Si,
soffermiamoci dunque alla domanda sul sé, sulla relazione tra ego e
mente. Ci può essere semplicemente la presenza dell’io senza la
propria mente, quella convenzionale in questo caso, ed è una
situazione possibile.
Quando
invece a livello spirituale si matura la consapevolezza della propria
esistenza, ma nella libertà dalla propria mente, dal proprio corpo,
dal proprio respiro, si determina, non una separazione tra corpo e
mente, tra io e mente, tra io e respiro, bensì una reale armonia
priva di qualsiasi conflitto, tutto, ogni entità, benché
chiaramente definita autonomamente dalle proprie specificità, è
connessa e collaborativa in totale consonanza.
Come
diceva Platone è inscindibile la capacità di governare se stessi
per governare lo stato, il modello è uguale. Così nella pratica del
buddhismo, del Dharma, della compassione, della saggezza, è
imprescindibile il principio dell’armonia tra tutto ciò che
compone la nostra esistenza, nell’unicità e indipendenza di ogni
elemento e, contemporaneamente, nella connessione collaborativa tra
tutto.
Dunque,
cos’è e dov’è l’io? Non è persona distinta, né nostra
mente, né nostro corpo, né nostro cervello, né nostro respiro, ma
andando oltre a tutte queste distinzioni, almeno a livello teorico
percettivo, vediamo che questo io esiste e non esiste, esiste perché
parlo, comunico, tocco, vivo, e non esiste perché non è da nessuna
parte, non sappiamo dove cercarlo né trovarlo.
Nella
realtà, nella legge naturale dell’interdipendenza dell’universo
tutto esiste e parallelamente nulla esiste.
Questo
è il principio della filosofia della Mādhyamika, la via di mezzo di
Nāgārjuna, essenza dell’Abhidharma. La via di mezzo non è un
compromesso, bensì la via della totale armonia, equilibrio,
equanimità.
Intervento:
Malgrado la materia sia estremamente articolata e complessa alla fine
risulta semplice da capire, tutto ciò che vediamo in modo
convenzionale, illusorio è espressione di punti distinti e connessi
che si uniscono e disuniscono in tempi infinitesimali dando
un’immagine illusoriamente solida e ingannevolmente reale di questo
mondo, poi però, separandosi, non esistono concretamente, ma solo in
maniera virtuale, per cui il mondo esiste e simultaneamente non
esiste.
Lama: Questo
è il miracolo della legge della natura dell’interdipendenza.
Per
oggi concludiamo con la preghiera di dedica del nostro lavoro e delle
riflessioni a beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Liberiamo
noi stessi dal desiderio inarrestabile di accontentare il nostro ego,
che rimane comunque sempre insoddisfatto, e portiamo pace al nostro
cuore, alle persone care, ai famigliari, agli amici, soffermiamoci
soprattutto sulla necessità di pacificazione di un mondo così
devastato da guerre, carico di odio oscuro, auspicando l’unione e
l’armonia in una vita serena, piena di luce e pace, armoniosa per
tutti.
(segue
recitazione in tibetano della preghiera di dedica)
***
Parte quinta
La
motivazione, fondamento di ogni pratica
Iniziamo
la giornata con la disposizione mentale nel Lo Jong e leggiamo
insieme, con concentrazione, la preghiera degli Otto Versi della
Trasformazione della Mente per sviluppare la motivazione ad avere un
cuore di Bodhisattva, per renderlo incondizionatamente libero e
aperto ad abbracciare l’universo intero. Meditiamo con l’intenzione
di acquisire un cuore di bodhicitta.
(Segue
lettura e meditazione)
Meditando
sviluppiamo la determinazione all’apertura infinita del cuore di
bodhisattva al fine di essere liberi, schiusi a tutto l’universo.
Concentrati sul ritmo del respiro lasciamo che la mente trasformi il
cuore nella bodhicitta, mentre inspiriamo ed espiriamo pratichiamo il
Tong Len che consiste nell’offrire amore e compassione sotto forma
di nettare bianco, e ricevere invece la sofferenza che visualizziamo
come denso fumo nero.
Immaginiamo
di inspirare il fumo della natura della stessa sofferenza dell’ego
nel nostro cuore e di espirare emettendo il soffio bianco di ogni
gioia e delle qualità spirituali che nel dono a tutti gli esseri si
trasformano in profonda pace universale e felicità.
Assumiamo
la sofferenza del nostro ego del passato, del presente e del futuro,
distruggendolo, annullandolo, purificandolo, per donare bianca luce
splendente di felicita e gioia a tutti gli esseri. Immaginiamo la
sofferenza di passato, presente e futuro dissolta e purificata, così
come il nostro ego, serenamente contenti che non ci possa più essere
di ostacolo.
Il
secondo passo consiste nella pratica Tong Len - di dare e prendere -
in modo incondizionato per il beneficio degli altri. Ispirando
accogliamo nel nostro cuore come denso fumo nero la sofferenza di
tutti gli esseri che è medicina in grado di guarire l’ego,
espirando immagino che dal nostro cuore scaturisca il fumo candido
della nostra gioia, purezza e bontà e che tutti esseri siano
contenti e soddisfatti di ricevere questo dono spirituale,
realizzando un cuore pieno di infinita pace e felicità. Inspiriamo
prendendo nel nostro cuore tutte le sofferenze altrui ed espiriamo
donando loro tutte le qualità e gioie.
Alla
fine immaginiamo che noi stessi abbiamo raggiunto lo stato di
felicità e gioia, liberati dai condizionamenti samsarici e
auspichiamo che questa pratica sia propedeutica all’ottenimento
della mente di Chiara Luce nello yoga del sogno.
Grazie.
Siete
seduti in modo stabile, comodi? rilassati? Questa è una condizione
importante per praticare lo yoga del sogno, altrimenti se vi
addormentate cadete...
La
meditazione appena conclusa è la pratica della motivazione,
fondamentale, alla base di ogni approccio spirituale, senza la
corretta motivazione la pratica del Dharma diventa veleno.
Con
l’appropriata motivazione invece anche l’errore si trasforma in
positivo poiché è l’intenzione che determina la natura di ogni
azione o karma che può essere positivo, negativo o neutro e per
questo il buddhismo ne ha enfatizzato al massimo l’importanza.
Se
l’intenzione è giusta qualsiasi piccola cosa diventa potente, al
contrario se è sbagliata anche l’azione più grande diventa
negativa.
La
motivazione si sviluppa su due livelli, quello di base e quello
contemporaneo.
La
motivazione di base è antecedente all’azione, è il principio che
ne determina l’attuazione. La motivazione contemporanea avanza
insieme all’azione, si mantiene e sviluppa parallelamente al
procedere dell’azione.
Tra
questi due aspetti quello di base è prioritario, fondamentale e, se
corretto, ogni eventuale errore commesso durante la successiva azione
può comunque diventare positivo, se invece alla base l’intenzione
è sbagliata, qualsiasi cambiamento si voglia introdurre a posteriori
è inutile, infatti è molto difficile cambiare direzione quando si è
imboccata la strada sbagliata dall’inizio.
La
corretta intenzione è in grado di trasformare tutto, in ogni
circostanza, ecco perché è tanto importante addormentarsi con la
giusta motivazione di base, con tale attitudine durante il sonno e
nell’emergere del sogno, avanza e si afferma la sua attuazione.
La
motivazione più importante è quella di base, la prima, poiché essa
stessa induce lo sviluppo della seconda, determina la tipologia del
sogno, è la forza che lo rende positivo, negativo o neutro.
Dunque
l’intenzione che poniamo nella pratica quotidiana, durante la
veglia, è la motrice della lucidità e chiarezza che avremo nel
sonno e nel sogno.
È
più facile per noi osservare la mente del sogno poiché ne abbiamo
memoria, mentre la mente del sonno è nascosta, per questo lo yoga
del sonno è più difficile da attuare, non ne abbiamo
consapevolezza, eppure proprio nel sonno sorge la pratica di Chiara
Luce; perché? come si presenta?
Risposte: -
Con la motivazione…; - con la consapevolezza del sogno, per il
resto è blackout completo….
Lama: Riprendiamo
quanto accennato ieri.
Abbiamo
considerato quali tecniche applicare nel buddhismo per esaminare il
sonno e trasformare il sogno, positivo o negativo che sia, senza però
addentrarci nell’esame dei livelli sottili.
Nel
passaggio dallo stato di veglia a quello del sonno la mente diventa
sempre più oscura e quando raggiunge il buio completo si trova nel
sonno profondo e soltanto dopo questo stato inizia ad emergere la
luce della chiarezza che determina l’insorgere del sogno, ma tra la
condizione di blackout totale e il sogno vi è nel mezzo uno spazio
ed è questo il momento in cui si manifesta la mente di Chiara Luce
del sonno.
Intervento: Anche
dal punto di vista delle ultime ricerche scientifiche è stato
affrontato questo aspetto. Siamo tutti consapevoli che il sonno sia
una condizione vitale per il corpo e per la mente e si presenta, sul
piano fisiologico, alternato in quattro differenti fasi benché, per
consuetudine non corretta, si tenda a ridurle a due, una più
superficiale detta REM, quella in cui il movimento degli occhi fa
capire all’osservatore che stiamo sognando e l’altra, più
profonda, NON-REM in cui è assente il sogno. Però è dimostrato
che, come già scoperto nel buddhismo tibetano, nel momento del
passaggio tra lo stato di veglia e quello del sonno si è in una
condizione profonda e inizia un processo in cui alcune strutture
cerebrali ne attivano altre in cui è preponderante la consapevolezza
mentale che si manifesterà durante il sogno. Si tratta dell’aspetto
fisiologico di quella che è la Chiara Luce del sogno, come se si
accendesse un faro nel cervello. Ed è questo il momento di
insorgenza della fase rem in cui compaiono i sogni, per poi tornare
ad un livello più profondo e così via, e nella notte questa
alternanza è costante. Durante la fase rem il sonno è detto leggero
più vigile e attivo ed per questo che ci svegliamo ricordando i
sogni. Se invece dovessimo destarci improvvisamente durante la fase
profonda non ricorderemmo nulla e capita allora di chiedersi ancora
assonnati “dove sono?” “che giorno è?” e così via, però
una mente consapevole potrebbe comunque ricordare i sogni anche in
tali condizioni.
Lama: Molto
bene, è importante avere una conoscenza degli studi e dei risultati
ottenuti dalla neuroscienza.
La
mente di Chiara Luce nel sonno dov’è? Nel sogno sappiamo
individuarla, però anche nel sonno è presente, ma dove? possiamo
affrontare questo aspetto in unico modo, con lo yoga, cioè
permanendo nello stato meditativo in unione di mente e cuore perché
soltanto a questo livello siamo in grado di catturare la mente di
Chiara Luce durante tutte le fasi, del sonno, del sogno e del
risveglio e alla fine durante la morte, e questo è il principale
obiettivo poiché ci permette di superare ogni barriera, abbiamo
realmente conquistato l’universo.
La
presenza della Chiara Luce ci fa vincere la morte stessa.
Nell’alternarsi
delle due fasi di chiaro e scuro nelle ventiquattro ore abbiamo nel
giorno una visione evidente delle cose, mentre nella notte non le
vediamo affatto, eppure sono sempre li, allo stesso modo la nostra
mente di Chiara Luce, sia che appaia o non si manifesti, è comunque
sempre presente, anche quando non ne siamo consapevoli.
La
mente di Chiara Luce è fondamento sempre presente nel continuum
mentale, il nostro problema è che non sappiamo trovarla, dove
cercarla. Non c’è una risposta preconfezionata a questa domanda
che però ci indica l’unica via percorribile per la ricerca: la
meditazione sulla domanda stessa, che deve essere mantenuta per tutta
la vita, nella veglia come nel sonno.
Ma,
tecnicamente, come catturare la mente di Chiara Luce nelle varie fasi
di risveglio, sonno e sogno?
Nel
risveglio dobbiamo avere consapevolezza immediata dello stesso e
catturarne l’immagine. Questa è la pratica di Vajrāyana, o del
diamante, che deve essere introiettato e divenire corpo sottile,
Chiara Luce. Il nostro corpo non è solo carne, ossa e sangue, la sua
vera essenza è la purezza del diamante.
Il
Buddha tramite la meditazione ne ha sperimentato concretamente
l’illuminazione, non si è limitato a immaginarla, ha potuto
pienamente contemplarla in se stesso, trovando alla fine il corpo di
diamante indistruttibile.
Lo
yoga della mente della Chiara Luce dal punto di vista della
meditazione Vajrāyana, tantrica, ha la funzione di tirar fuori
l’essenza della mente, l’umanità concreta di cui siamo fatti,
indistruttibile, è l’ultimo valore, il diamante che ci fa
diventare vajradhara.
La
meditazione, lo yoga, sono i mezzi abili che ci permettono di
raggiungere il nostro obiettivo, di realizzare in noi la mente di
Chiara Luce.
Non
dobbiamo attendere la morte per ottenere questo risultato, non
funziona così, è già concretamente qui e ora, dobbiamo
semplicemente mantenere ininterrotta consapevolezza dell’inscindibile
unione di mente e cuore nel silenzio della meditazione, senza
disperdere l’attenzione in chiacchiere inutili, ma restare raccolti
in noi stessi.
Con
la meditazione, la visualizzazione dei canali, dei chakra, con la
conoscenza indispensabile dell’anatomia del corpo sottile, dobbiamo
scendere sempre più in profondità nella spiritualità interiore,
nella mente naturale che restando ferma lascia cadere le impurità e
appare in tutta la sua limpidezza e purezza, altrettanto la mente
grossolana, liberata da tutti gli orpelli che la distolgono da se
stessa e la rendono confusa, torbida, ritrovando la propria purezza
emerge in mente sottile, luminosa, chiara.
Intervento: Sua
Santità il Dalai Lama dice che all’inizio della meditazione si
potrebbe pensare che mente di saggezza e mente del cuore siano due
cose diverse, ma in realtà, nella loro unione profonda sono
esattamente la stessa cosa. I mezzi abili di cui parla il maestro
sono indubbiamente l’elemento fondamentale del nostro percorso, ma
bisogna essere coscienti che, come in ogni cammino c’è sempre
qualcosa da cedere e da ricevere, si prende, ma si deve lasciar
andare qualcosa di noi, bisogna fare un cambiamento radicale
iniziando proprio dalla conoscenza dell’anatomia del corpo sottile.
Noi abbiamo un corpo apparente, grossolano, composto dagli elementi
naturali di terra, aria, acqua, fuoco che diamo per scontato in
quanto ci conviviamo sin dalla prima percezione, e che si dissolverà
nella morte, ma non è l’unico, c’è un corpo più sottile
formato da migliaia di canali anche se li riduciamo a tre, quello
principale, centrale, e due laterali, tutti trasportano i venti
vitali e poiché operano in stretta connessione con la mente devono
essere costantemente puliti, completamente aperti, purificati.
Lama: Grazie,
ora una breve pausa.
***
Parte sesta
La
mente di Chiara Luce
Molti
di voi sono da tempo praticanti di yoga per cui termini come chakra,
prana, mantra, venti sottili, e tutte le forme di meditazione sono
già familiari, inoltre come sapete nulla di ciò è diverso nelle
molteplici tradizioni, non esiste diritto di proprietà di alcuno, in
quanto tutti questi elementi sono parte della comune filosofia di
vita, sono i costituenti naturali alla base di ogni pratica
spirituale, della realizzazione della mente.
Lo
yoga della mente fa scoprire la mente più sottile e dunque tutte le
pratiche applicate ai vari livelli del corpo fisico, grossolano,
sottile e ancora più sottile, su canali, chakra, venti, prana, rende
possibile la realizzazione dello scopo comune nella mente di Chiara
Luce.
La
mente di Chiara Luce nel Buddhismo tibetano, in particolare nella
tradizione Mahāmudrā e Dzogchen, si raggiunge solo tramite più
passaggi nella meditazione, e il primo si sperimenta durante il
risveglio. Le pratiche necessarie per rendere la nostra mente sempre
più sottile sono dunque, meditazione, concentrazione,
consapevolezza, yoga della mente.
La
mente deve rimanere profondamente concentrata su se stessa al fine di
giungere al riconoscimento della stessa propria mente, non di quella
altrui.
Riconoscere
la propria mente è avere la mente di Chiara Luce e per farlo occorre
maturare la consapevolezza sottile che è imprescindibile
dall’assoluta concentrazione sulla mente sottile.
Un
oggetto sottile può essere osservato soltanto da un soggetto
altrettanto sottile, e quando la nostra consapevolezza sulla mente
diventa più sottile fa si che la mente grossolana si dissolva in
essa e ci permetta di scendere, gradino dopo gradino, ad un livello
ancora più sottile sino a giungere alla mente di Chiara Luce.
Non
esiste un menù fisso per meditare, ognuno, individualmente, deve con
concentrazione e consapevolezza osservare la propria mente, scendere,
passo dopo passo a livelli sempre più sottili sino ad incontrare la
propria realtà ultima.
La
meditazione di Mahāmudrā o Dzogchen, non importa come la si
etichetti, è la meditazione ultima, appropriata per se stessi. È
dunque necessario praticare con pazienza e determinazione ogni
passaggio, far assorbire la mente grossolana che si impone con
prepotenza, nella mente sempre più sottile, scendendo lentamente
gradino dopo gradino, non c’è altra via.
Ma
non finisce qui il nostro compito, c’è ancora un problema da
affrontare, quale? Quando parliamo di Chiara Luce dobbiamo sempre
tener presente che presenta due aspetti, uno oggettivo e uno
soggettivo.
Con
il primo passo noi cerchiamo la Chiara Luce soggettiva, più limitata
indubbiamente, ma indispensabile per potersi addentrare nei livelli
più sottili sino a giungere alla visione della Chiara Luce
oggettiva, cioè la mente di Chiara Luce che osserva la natura di
vacuità della stessa mente di Chiara Luce, l’assenza
dell’esistenza intrinseca.
Quando
si giunge a questo punto vi è veramente una grande festa perché si
assiste all’unione della Chiara Luce soggettiva con la Chiara Luce
oggettiva. Non è un facile cammino che può procedere soltanto con
gradualità consequenziale e non è concesso di saltare alcun
passaggio.
È
necessario concentrarsi, meditare con consapevolezza, conoscere prima
di tutto la Chiara Luce soggettiva, per poi giungere a una visione
completamente nuova di tutta la realtà, nella libertà della vita
spirituale, nella luce oggettiva, e quando la Chiara Luce soggettiva
e oggettiva si incontrano andiamo ancora oltre, un ulteriore passo
nella conoscenza, siamo davvero giunti ad un livello di vita segreto.
Questo
“matrimonio” di luce fa si che ne possiamo sperimentarne la
visione durante il sogno. In questo stato di sonno, nel linguaggio
del praticante yogi: “I have a dream” - Io ho un sogno -
significa la celebrazione dell’unione tra la Chiara Luce
soggettiva con la Chiara Luce oggettiva.
Questa
pratica spirituale fa superare il limite della mortalità, libera
dalla visione oppressiva e definitiva della morte, poiché il
passaggio avviene in modo naturale senza blocchi, senza schiavitù.
Prima
di sperimentare lo yoga del sogno è però necessario avere
esperienza dello yoga del sonno, mantenere nel sonno la
consapevolezza che sa riconoscere la Chiara Luce oggettiva.
Poi,
durante il risveglio, bisogna mantenere la consapevolezza normale, la
conoscenza della mente di Chiara Luce oggettiva e soggettiva, poiché
questa è la sorgente dell’universo sperimentato da ognuno.
La
sorgente del nostro universo è il punto di incontro tra la Chiara
Luce oggettiva e la Chiara Luce soggettiva, il nostro compito è
esattamente il saperla riconoscere nella sua unità e fino a quando
non compiamo tale missione siamo senza radici, vagabondi nel samsāra.
La
prima motivazione dunque è avere la consapevolezza della Chiara Luce
oggettiva e soggettiva, un valore interiore di cui avere costante
cura tramite la preziosa inscindibile unione tra cuore e mente, in
assoluta sintonia e armonia.
La
bellezza, il mistero, della nostra mente nasce dall’unione tra luce
soggettiva e oggettiva, e quando riusciamo a vivere questa realtà
siamo nella purezza della mente, nella purezza della natura che nella
tradizione Vajrāyana è sperimentare il Mahāyāna nella pratica
Mahāmudrā o Dzogchen, la Grande Completezza, ciò significa essere
nella sorgente originale, non dualistica, della Chiara Luce.
Nel
cristianesimo come si descrive questo fenomeno?
Risposta: Credo
nell’unità di Padre, Figlio e Spirito Santo…
Lama: Lo
Spirito Santo è lo spazio dell’infinita beatitudine, entrambe le
visioni esprimono lo stesso concetto, cambia solo il linguaggio.
Esiste un’unica natura del cuore umano, ogni descrizione,
filosofia, spiritualità, le proprie tradizioni e modalità culturali
sono visione dell’unico oggetto, comune a tutti. Adesso però la
parola a voi per domande o riflessioni.
Domanda: Quando
un individuo è concentrato su se stesso, la mente osserva la mente,
e si ritrova in uno stato profondo in cui scompaiono tutti gli
oggetti grossolani, propri ed esterni, c’è solo luce in cui tutto,
e la persona stessa, vi si dissolve e allora non si vorrebbe più
riemergere. Io faccio molta fatica a risalire al livello più
grossolano, ordinario, vorrei sempre rimanere in questo stato, ma che
devo fare?
Lama: Anche
il ritorno al caos, alla materialità, è una capacità, fino a
quando non riesci a stare nella quotidianità materiale con grande
naturalezza e beatitudine, significa che la tua missione non è
completata, non hai ancora realizzato la tua potenzialità interiore.
Il valore della Chiara Luce deve essere visibile, riconosciuto
ovunque in qualsiasi circostanza, ininterrottamente, anche nel caos.
La tua esperienza è molto bella, un passaggio importante, che però
deve essere vissuto senza attaccamento, quando riuscirai a staccarti
da questa beatitudine interiore non avrai più alcuna resistenza nel
rientrare nel caos totale.
Domanda: Posso
cambiare il sogno? decidere cosa e come sognare? a me questo è
successo in passato, dunque non è in sé indicativo perché ne
scelgo io trama, oppure è profetico e indica in qualche modo eventi
futuri? I due aspetti possono essere integrati o no?
Lama: Il
sogno ha molteplici forme e può essere osservato da più punti di
vista, interpretato secondo le diverse tradizioni, mistiche e
culturali che in alcuni casi vi attribuiscono proiezioni nel futuro,
oppure è focalizzato sullo stato mentale scientifico del soggetto.
L’osservazione del fenomeno può prevedere infinite possibilità,
ma ciò che conta davvero è non incrementare nessun tipo di
attaccamento, questo è il vero pericolo. Centrare l’attenzione sui
sogni attribuendovi valori mistici, profetici, o psicoanalitici,
facilmente genera un’ossessione, una pericolosa bramosia che induce
solo rischiosa confusione. Anche nel sogno si devono applicare i
principi di Platone: Coraggio, Conoscenza e Prudenza.
Domanda: Noi
per esistere veramente dobbiamo comunque andare in questo spazio di
non esistenza, ma fa paura entrare in questo vuoto, quindi come si
può fare?
Lama: Nel
samsāra non è mai tutto lineare, senza scontri e la natura umana
non può prescindere da essi, la nostra esistenza vi è pienamente
immersa e proprio nei conflitti dobbiamo trovare la giusta via di
mezzo, creare armonia, stabilità, pace. Questa sfida è inevitabile,
è parte della nostra esistenza, non si può avere sempre il sereno e
il sole, come dice il mahatma Gandhi l’importante è imparare a
ballare anche sotto la pioggia.
Domanda: Ieri
hai detto che il sonno è un fattore mentale oscurato, ma può essere
definito anche un fattore mentale mutevole condizionato dalla
motivazione in cui tu puoi decidere nel momento di addormentarti se
sarà positivo, negativo o neutro?
Lama: Certamente,
la motivazione è determinante.
Domanda: Quante
vite occorrono per raggiungere l’obiettivo?
Lama: Prima
di tutto dobbiamo comprendere che cos’è il tempo, perché noi
vogliamo misurare ciò che alla fine non esiste e dunque non è
quantificabile. Un secondo o un milione di anni sono la stessa cosa,
questo è il grande segreto dell’universo. Noi definiamo il tempo
secondo la condizione illusoria in cui ci muoviamo. La nostra mente
confusa crea fenomeni inesistenti confondendoli con il reale.
Nell’esistenza il tempo non c’è, un secondo è lo stesso di un
milione d’anni, dunque non esiste la contabilità di quante vite
siano necessarie, una vita, milioni di vite, questo è un grande
inganno, un macroscopico errore contro l’umanità. Anche Einstein
nella sua ricerca scientifica ha affermato che il tempo non esiste.
Non ha senso dunque domandarsi quante vite occorreranno,
l’illuminazione è qui e ora.
Intervento: Il
tempo è percepito soltanto nel mondo convenzionale, illusorio. Il
tempo non solo non esiste, ma è comunque sempre correlato allo
spazio ed è costantemente soggetto alle variazioni della luce.
Lama: Nel
buddhismo qualcuno afferma che l’illuminazione è immediata,
avviene in un unico istante, altri invece sostengono che occorrono
almeno tre eoni, eppure le diverse visioni non sono affatto
contraddittorie, perché il tempo è identico, tre eoni o un istante
sono esattamente la stessa cosa. Questo coincide con il concetto,
fondamentale dell’impermanenza, tutti i fenomeni sono impermanenti,
istantanei, senza tempo.
Intervento: Praticamente
c’è solo il presente che è un istante, e noi cogliamo questo
insieme di punti istantanei come realtà permanente, continua,
concreta. Il Buddha aveva già scoperto quello che oggi è ribadito
dalla scienza della fisica quantistica. La nostra visione
dell’universo è pura illusione.
Domanda: La
consapevolezza del sonno e del sogno va di pari passo con quella
dello stato di veglia in cui è fondamentale la meditazione. Nel
sonno e nel sogno è sufficiente la motivazione oppure è necessario
qualcosa di più?
Lama: Tutto
ciò che facciamo durante il giorno può essere approfondito nel
sonno.
***
Parte settima
Il
potere dell’energia dell’insieme
Iniziamo
la sessione, consapevoli che tutti sulla stessa barca stiamo
attraversando un fiume con una precisa missione da compiere insieme,
poiché la forza del gruppo, della comunità, degli amici, del Sangha
è fondamentale.
L’unione
dell’energia condivisa nella sua natura interdipendente e nata
dall’insieme dei praticanti è davvero inesauribile forza, ma
scompare altrettanto facilmente se c’è divisione tra gli
individui.
Quando
siamo riuniti con consapevole concentrazione e con un obiettivo
comune questa energia sorge, si sviluppa in modo esponenziale e tutti
ne godiamo i benefici che arricchiscono e potenziano il nostro
valore, nell’armoniosa dignità, nello yoga dell’umanità.
Lo
stare insieme è già in sé yoga che è consonanza e pratica a
beneficio individuale e di gruppo e in tale interdipendenza armonica
la vacuità della natura acquisisce un immenso valore e spazio, da
una minima azione si possono ottenere enormi risultati e meriti e
scaturisce in modo naturale l’ammirazione, l’apprezzamento
gioioso per le azioni buone, positive, compiute da noi stessi e dagli
altri.
In
questo modo è possibile vivere realmente con pace e serenità e
abbandonare il vecchio fardello di tristezza, angoscia,
competitività, invidia, che ci rende costantemente insoddisfatti e
infelici.
La
consapevolezza permette di dimenticare gli inutili intralci da noi
costruiti nel passato e ricordare soltanto ciò che è utile oggi e
che ci fa rimanere nell’armonia stabile equilibrata e gioiosa. È
importante avere la capacità, in totale consapevolezza, di saper
dimenticare e ricordare.
La
pratica di gioire, ammirare, apprezzare, ricordare il passato
positivo ci consente di accrescere in noi i valori positivi e, al
contempo, quella di dimenticare, di lasciar andare tutto ciò che
invece è stato un impedimento assolutamente inutile, è un modo per
purificare il karma negativo.
Ieri
parlavamo dello yoga, che significa meditazione, e la meditazione è
semplicemente l’unione consapevole e armoniosa tra mente e cuore.
Lo
yoga produce felicità e per mantenerlo costante nella nostra vita è
necessario porsi incessantemente la domanda: “che cos’è la
felicità?”, poiché questa stessa domanda è il motore di ricerca
della felicità.
Nel
buddhismo tutto è compreso, così come indicato nell’indirizzo
delle sei pāramitā - generosità,
compassione, amore - etica, moralità - pazienza - perseveranza
entusiastica, meditazione - concentrazione, saggezza,
conoscenza della realtà ultima.
Con
etica, meditazione, concentrazione e saggezza, si creano i
presupposti per una vita sana, il cammino spirituale proficuo
indicato dal Buddha e contenuto nei tre gruppi di insegnamenti:
Abhidharmapitaka, Sūtrapitaka e Vinayapitaka.
Facile
no? Nel buddhismo non c’è nulla di segreto, tutto è semplice e
chiaro, accessibile a chiunque.
La
motivazione è il motore che attiva lo yoga del sonno e determina
sogni significativi, salutari, tranquilli. Che cos’è, come deve
essere, la più grande motivazione?
Risposta: L’amore…
Lama: Perfetto,
l’amore universale, la grande compassione, la bodhicitta, la
rinuncia, la conoscenza, la saggezza, tutto insieme crea una
motivazione incrollabile che imprime una grandissima potenza al
nostro cammino nello yoga e nella meditazione, per questo lo yoga del
sogno si basa si di essa.
L’obiettivo
dello yoga del sogno è realizzare la mente di Chiara Luce e la
domanda a questo punto è: - dove cercarla? - non può esserci
risposta al di fuori della stessa consapevolezza della mente della
Chiara Luce.
La
mente della Chiara Luce è già in ognuno di noi, ciò che fa la
differenza è averne consapevolezza o meno, e qui si comprende
l’importanza dello yoga che in totale armonico accordo accompagna
all’unificazione dell’essenza della mente di Chiara Luce con la
consapevolezza della stessa.
Il
nostro compito dunque è aprire il collegamento tra la consapevolezza
della mente di Chiara Luce e la sua essenza, una ricerca che parte
dalla nostra fisicità, iniziando dal livello più grossolano per
raggiungere quelli sempre più sottili, aprire i chakra, lasciar
scorrere i venti. Nel Vajrāyana tutto questo è raccolto
nell’essenza dell’indistruttibile corpo, indistruttibile mente,
indistruttibile spirito, diventando così il prezioso limpido, puro
diamante.
Addentrandosi
nella mente sempre più sottile si giunge alla mente più segreta,
ultima, un percorso che dissolve uno dopo l’altro i livelli
grossolani, palesi e in unione con la consapevolezza scopre la mente
di Chiara Luce soggettiva.
Avendo
realizzato il primo obiettivo tramite questo percorso laborioso e
lento in cui nessuna tappa può essere saltata si passa ad un altro
gradino di yoga, l’unione tra la mente di Chiara Luce soggettiva e
quella oggettiva. La mente di Chiara Luce oggettiva è la vacuità
della mente di Chiara Luce perfettamente pulita, limpida,
trasparente, flessibile, libera, priva di caratteristiche, di
costruzioni esterne e la sua azione consiste nel riflettere la realtà
ultima della sua natura che è la vacuità della mente di Chiara
Luce.
Per
ottenere l’unione tra le due essenze della mente di Chiara Luce,
quella soggettiva deve realizzare, diventare, la vacuità di quella
oggettiva.
La
mente di Chiara Luce è unica, ma presentata in queste due essenze
può essere penetrata, compresa nella sua completezza e
inscindibilità tramite la conoscenza più profonda, familiare della
sua realtà ultima, la vacuità.
Sinora
abbiamo cercato la mente, trovandola infine nella Chiara Luce, e il
passaggio immediatamente successivo pone un’altra inevitabile
domanda: “qual è la sua natura ultima?” - È la sua stessa
vacuità - la conoscenza della propria natura ultima.
Non
è facile comprendere questa realtà, ma il nostro compito oggi è
proprio quello di unire le nostre energie con la conoscenza comune
grossolana cercando di renderla sempre più sottile e riflettere,
meditare insieme sulla vacuità, sulla domanda: “che cos’è la
realtà ultima della nostra mente? dove si trova?”.
Per
disporci correttamente a questa meditazione dobbiamo iniziare con la
lettura concentrata del sūtra del cuore, Prajñāpāramitā. Poi
ripeteremo il mantra alcune volte e infine meditiamo nel silenzio.
Intervento: Alla
fine l’obiettivo ultimo è sempre quello di unificare nell’Uno e
il tutto, per cui esiste un momento finale in cui contemporaneamente
la mente, la Chiara Luce e il vuoto sono la stessa cosa e in
quell’istante sorge spontaneamente la compassione.
Lama: Bene,
ascoltiamo il sūtra del cuore e meditiamo.
Il
Cuore del Cuore - della Perfezione della Saggezza
Il
titolo sanscrito è
: Bhagavati Prajna Paramita Hrdaya
La
traduzione italiana di questo testo, con le note, è stata redatta
dall’ Istituto Lam Rim di Roma dal testo originale in tibetano e
con l’ausilio delle traduzioni inglesi.
Così
una volta udii:
Il
Bhagavan dimorava a Rajagrha, presso il Picco dell’Avvoltoio, con
un gran numero di Arhat e un gran numero di Bodhisattva e a quel
tempo il Bhagavan era entrato nell’assorbimento meditativo sulla
varietà dei fenomeni chiamato “percezione profonda”. In quello
stesso tempo, l’arya Avalokiteśvara, il Bodhisattva mahasattva,
era assorto nella stessa pratica della profonda perfezione della
saggezza e vide che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura
intrinseca.
Quindi,
tramite l’ispirazione del Buddha, il venerabile bikshu Śāripūtra
si rivolse all’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva e gli
disse: “come deve addestrarsi un figlio o figlia del lignaggio dei
Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda
perfezione della saggezza?”
Quando
fu detto questo, l’arya Avalokiteśvara, il Bodhisattva mahasattva,
rispose al venerabile bikshu Śāripūtra e disse: “Śāripūtra,
ogni figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri
impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza,
dovrebbe vedere chiaramente nel seguente modo: dovrebbe vedere
distintamente che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura
intrinseca”.
“La
forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che
forma, la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono
vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la
coscienza. Quindi, Śāripūtra, tutti i fenomeni sono vacuità; essi
sono privi di caratteristiche peculiari; non sono nati, non cessano;
non sono contaminati, non sono incontaminati; non sono incompleti e
non sono completi.”
“Quindi,
Śāripūtra, nella vacuità non c’è forma, né sensazioni, né
percezioni, né formazioni mentali, né coscienza. Non c’è occhio,
né orecchio, né naso, né lingua, né corpo, né mente. Non c’è
forma, né suono, né odore, né gusto, né oggetti concreti, né
oggetti mentali. Non c’è nessun elemento visivo, così fino a
nessun elemento mentale fino a includere nessun elemento della
coscienza mentale. Non c’è ignoranza, non c’è estinzione
dell’ignoranza, e così fino a nessun invecchiamento e morte, e
nessuna estinzione dell’invecchiamento e della morte. Allo stesso
modo, non c’è sofferenza, origine, cessazione o sentiero; non c’è
saggezza, né ottenimento e neppure mancanza di ottenimento.”
“Quindi,
Śāripūtra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti, si basano
e dimorano nella perfezione della saggezza. Non avendo oscuramenti
nelle loro menti, essi non hanno paura, ed essendo andati totalmente
oltre l’errore, essi raggiungono la meta finale: il nirvana. Tutti
i Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto il pieno risveglio
dell’insuperabile, perfetta illuminazione, basandosi su questa
profonda perfezione della saggezza”.
“Quindi,
si dovrebbe sapere che il mantra della perfezione della saggezza –
il mantra della grande conoscenza, il mantra supremo, il mantra
uguale a ciò che non ha uguale, il mantra che fa tacere tutte le
sofferenze – è vero perché non è ingannevole. Si proclama il
mantra della perfezione della saggezza:
TADYATHA
GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
Śāripūtra,
così i Bodhisattva mahasattva dovrebbero addestrarsi alla profonda
perfezione della saggezza”.
Quindi,
il Bhagavan si svegliò dal suo assorbimento meditativo e lodò
l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, dicendo che era
eccellente.
“Eccellente!
Eccellente! Figlio del lignaggio dei Bodhisattva, è proprio così;
dovrebbe essere così. Bisogna praticare la profonda perfezione della
saggezza proprio così come hai rivelato. Perciò anche i Tathagata
se ne rallegreranno”.
Come
il Bhagavan pronunciò queste parole, il venerabile bikshu Śāripūtra,
l’arya Avalokiteśvara, il Bodhisattva mahasattva, insieme
all’intera assemblea, inclusi i mondi degli dei, degli umani, degli
asura e dei gandharva, tutti gioirono e lodarono ciò che il Bhagavan
aveva detto.
***
Ripetizione
del mantra:
OM
GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
“Attraverso
il potere della grande verità delle parole dei tre gioielli possano
tutte le condizioni avverse essere superate, possano essere
eliminate, possano essere pacificate.
Possano
tutti i mali, come i nemici, gli ostacoli gli impedimenti e le
condizioni avverse svanire.
Possano
gli ottantamila tipi di ostacoli essere pacificati.
Possiamo
noi essere liberati dalle condizioni avverse e nocive.
Possa
essere ottenuta ogni cosa favorevole e sotto i buoni auspici possa
esservi felicità eccellente qui ed ora.”
Meditiamo
ora immaginando la nostra mente di Chiara Luce in unione con la
vacuità della mente di Chiara Luce e trasformiamo nell’Uno, unica
natura della mente nel cuore del Vajra, il cuore indistruttibile del
diamante, la natura di beatitudine della vacuità, un cuore infinito
di gioia, felicità per il beneficio di tutti gli esseri senzienti,
nello spirito del valore degli Otto Versi di Trasformazione della
Mente
(segue
lettura della preghiera)
Recitiamo
ora una mala con la ripetizione del mantra della compassione:
OM
MA NI PADME HUM
Grazie.
***
Parte ottava
La
funzione dei Preliminari
Nella
pratica della mente di Chiara Luce, dobbiamo sempre ricordarne le due
realtà - soggettiva e oggettiva - due aspetti separati, ma
inscindibilmente interconnessi, realizzando la mente di Chiara Luce
soggettiva si giunge alla riunificazione di entrambe, si realizza lo
yoga della mente di Chiara Luce oggettiva e soggettiva, in una unione
non dualistica nella beatitudine della vacuità.
La
definizione di beatitudine in questo contesto è la realtà della
vacuità. Nella percezione della natura vuota di ogni fenomeno si
sperimenta una beatitudine infinita ultima realizzazione della realtà
della nostra essenza.
Non
esistono parole adeguate per definire Dio, Buddha, Vacuità, tutti
fenomeni infiniti che esulano da ogni possibile descrizione,
inevitabilmente limitata, del linguaggio e della concezione della
mente ordinaria, la sola possibile conoscenza è data unicamente
dalla propria profonda esperienza interiore che è il valore
incommensurabile dell’umana esistenza.
Non
a caso nella pratica del Dharma il primo preliminare è imperniato
sul significato della vita umana, tutto deve partire da questo punto
poiché è l’obiettivo ultimo, la realizzazione del cammino
spirituale.
I
preliminari percorrono uno alla volta i passaggi necessari alla
propria realizzazione, il primo è cogliere appieno la preziosità di
questa esistenza, il secondo riconoscerne l’impermanenza, il terzo
la consapevolezza della legge di causa effetto, cioè il karma, e il
quarto la corretta visione del samsara, del mondo illusorio. Queste
quattro fasi sono i passaggi obbligati per tutti i praticanti, sia
per coloro che seguono il sentiero del Sūtra che per coloro che
percorrono quello del Vajra.
Il
sentiero del Dharma comincia dal riconoscimento della preziosità
della vita umana e il fine ultimo del percorso spirituale è la
realizzazione del suo valore e a tale scopo sono necessari i quattro
preliminari come le altre pratiche comuni che ci accompagnano nel
cammino a noi più consono, sia quello dei sūtra che quello del
diamante.
Alla
base del sentiero del Buddha Dharma vi è la prima pratica di base
che consiste nella presa di rifugio nei tre gioielli, si procede poi
nella contemplazione dei sette rami in cui tutto è contenuto,
l’accumulazione dei meriti nella generosità, nel rispetto,
nell’offerta di sé per generare la bodhicitta, e poi, con
l’offerta del mandala, avviene la purificazione nella pratica del
Vajrasattva, che ripulisce il nostro continuum mentale.
Infine
la pratica del Guru Yoga, ma che significa? Lo sapete?
Risposte: -
Passaggio dalle tenebre alla luce…; - questa potrebbe essere una
interpretazione, ma si potrebbe intendere anche come origine della
propria guarigione o come detta in sanscrito antico “pesante
in-gentilezza”…
Lama: Nel
buddhismo vi sono otto pratiche di base, quattro preliminari generali
e quattro particolari, e non hanno altro scopo che realizzare
l’essenza della vita umana.
Il
punto fondamentale da cui tutto sorge e dipende è il riconoscimento
della preziosità della vita umana così da giungere, alla fine del
viaggio, alla realizzazione della sua essenza, del suo senso
autentico, del suo valore, non c’è altro.
Nella
tradizione tibetana del Vajrāyana la pratica del Guru Yoga è molto
importante, è centrale, la più elevata, è la pratica di Luce, di
Mahāmudrā, dello Dzogchen è realizzare l’unione della propria
mente con la verità ultima, la vacuità della mente di Chiara Luce.
La
vacuità è sorgente del prajñāpāramitāsūtra o sūtra del cuore,
radice della pratica di Mahāmudrā, del Lam Rim, dello Dzogchen.
Il
sūtra del cuore è importantissimo, completo, non manca nulla, vi è
un commentario esaustivo che potete consultare nel mio blog, però
ora affrontiamo solo l’aspetto della vacuità della mente. Il primo
pensiero del Buddha, subito dopo l’illuminazione, fu su come
condividere una rivelazione così sostanziale con gli altri. Una
realtà tanto profonda non era comunicabile con le parole e dunque il
Buddha rimase circa sette settimane in silenzio in ricerca. Da tale
meditazione emerse l’espressione profonda, pacifica,
impercettibile, permeata di Chiara Luce, della vacuità di tutti i
fenomeni.
La
vacuità non è il vuoto, il nulla, il non esistente, la vacuità è
la natura profonda pacifica, indicibile, che trasforma ogni fenomeno
nella purezza, nella sua realtà ultima.
Per
poter osservare la vacuità è necessario procedere con coraggio,
conoscenza e prudenza, altrimenti si cade in equivoci gravi e
pericolosi, soltanto purificando la nostra mente, abbiamo la
possibilità di vedere la purezza dell’universo nella sua realtà
ultima.
La
vacuità dunque non ha nulla a che fare con vuoto o con pieno, è la
natura del Buddha che tutti possediamo nella purezza del nostro
cuore.
Domanda: Avrei
una domanda sull’argomento precedente, a proposito delle
intenzioni. Molti Santi e Buddha hanno espresso il desiderio di non
andare nel nirvāna alla morte del corpo, ma di rimanere per aiutare
l’umanità, e io allora chiedo, dove sono? in un luogo particolare?
in una terra pura? in qualche Buddha? Come possono aiutare gli
esseri?
Lama: Questo
desiderio è l’ideale del Bodhisattva che ha realizzato la mente di
bodhicitta, ma non ancora la realtà del nirvāna, la liberazione
completa dal samsāra. I Bodhisattva hanno due possibilità: una è
procedere nel cammino verso l’illuminazione senza raggiungere la
liberazione individuale, oppure possono lasciare il percorso di
bodhicitta, ormai realizzata e giungere direttamente alla completa
liberazione individuale, ma a questo punto non è più possibile un
ritorno alla condizione precedente.
Per
queste diverse impostazioni i Bodhisattva vengono descritti come
pastori, come capitani, o come re. Il Bodhisattva re affronta prima
tutti i problemi direttamente, camminando davanti a coloro che lo
seguono; il Bodhisattva pastore invece vuole mandare avanti gli altri
e ottenere prima la loro liberazione, mentre lui resta ultimo; il
Bodhisattva capitano procede a fianco degli altri e tutti insieme
giungeranno alla liberazione.
Tutti
i Bodhisattva hanno il coraggio di vivere nella piena condizione
samsarica ed è difficile individuarli, non vi è alcuna tipologia di
riconoscimento, né segni particolari, la differenza è racchiusa nel
loro cuore, null’altro, ogni ulteriore fantasia è pura illusione.
Tutti noi possiamo vivere nel samsāra e nel più elevato livello
spirituale.
Intervento: Volendo
dare un’interpretazione scientifica, anche se forse un po’
azzardata, della vacuità, io ho sempre pensato che il mondo
convenzionale, apparente e che comunque rispetta le leggi della
fisica classica in cui prevale il fenomeno di causa effetto, sia il
mondo del Nirmānakāya in cui tutti siamo prigionieri di un sogno
che ci presenta come concretamente reale ciò che non è. Però
esiste un altro livello che con la meditazione e l’introspezione
mentale permette la visione da un punto di osservazione più vasto
anche se non ancora completo ed è il livello di Sambhogakāya. Ma
esiste una ulteriore sottigliezza della realtà che noi sperimentiamo
comunemente nella legge di causa effetto ed è quella definita campo
quantico, un mondo di relazione in cui non c’è nulla che può
essere misurato né definibile come vuoto o pieno. Nulla può essere
osservato secondo la logica consueta, è il livello del Dharmakāya
che penetra ovunque in noi assimilandoci a tutti i fenomeni in sé
vacui in cui si realizza quello spazio infinito in cui tutto è
possibile.
Lama: La
vacuità è potente, la forza del vacuo è la più grande forza. Il
nostro compito è realizzare la vacuità della mente di Chiara Luce.
Volendo
dunque riassumere le nostre riflessioni in relazione allo yoga del
sogno, constatiamo che queste pratiche in tutte le fasi del sonno,
del sogno e del risveglio e infine della morte sono il cammino verso
la Chiara Luce.
Lo
yoga è ininterrotto, non ha scadenze, è la pratica del
raggiungimento della beatitudine. Lo yoga del sogno continua nello
yoga della morte, lo yoga della morte continua nello yoga della
rinascita.
Lo
yoga imprime il valore di un’esistenza vivibile in piena autonomia,
nelle proprie scelte consapevoli e sagge di sofferenza e felicità,
nell’unione di cuore e mente nella vacuità della mente di Chiara
Luce.
Nello
yoga vi è dunque continuità tra lo stato di ogni fase della nostra
esistenza, di veglia, di sonno e anche di morte, è una
consapevolezza ininterrotta che deve essere mantenuta in tutto.
Io
concluderei qui la presentazione del nostro tema, dobbiamo solo
praticare di quanto abbiamo approfondito insieme e ora lascerei a voi
la parola per condividere le vostre esperienze.
Seguono
dunque i ringraziamenti individuali al maestro e unanimemente è
espresso l’auspicio di poter ricevere regolarmente ulteriori
insegnamenti.
Il
seminario è concluso.
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