Tuesday 19 April 2016

YOGA DEL SOGNO E SONNO






Yoga del Sogno e del Sonno
Una Via di trasformazione






Ven. Lama Gedun Tharchin
Geshe Lharampa

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12 - 13 dicembre 2015
Cagliari








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INDICE


Parte prima: - Lo yoga del sonno e del sogno. - La ricerca della felicità pag. 4
Parte seconda: - Coraggio, Conoscenza, Prudenza pag. 8
Parte terza: - La ricerca interiore - Sūtrapitaka - Abhidharmapitaka - Vinayapitaka pag. 13
Parte quarta: - Le domande fondamentali dell’esistenza pag. 17
Parte quinta: - La motivazione, fondamento di ogni pratica pag. 22
Parte sesta: - La mente di Chiara Luce pag. 26
Parte settima: - Il potere dell’energia dell’insieme pag. 30
Parte ottava: - La funzione dei Preliminari pag. 35











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Parte prima
Lo yoga del sonno e del sogno - La ricerca della felicità

Presentazione:
È per me un grande piacere e onore presentare il monaco tibetano Gedun Tharchin, nato in Nepal ma con studi presso l’università monastica Gaden in India dove ha ottenuto il massimo grado della scuola Gelugpa, di Geshe Lharampa. Persona pienamente convinta del valore di ogni espressione spirituale ha approfondito la conoscenza non solo del buddhismo, ma anche del cristianesimo e di altre religioni con grande rispetto e apertura mentale. Vive a Roma, ed è possibile trovare molti suoi insegnamenti nel suo blog. Ora gli cedo la parola con grande piacere.

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Buon giorno a tutti e un particolare ringraziamento agli organizzatori che hanno lavorato per permetterci di essere insieme in questo magnifico luogo per approfondire la conoscenza della nostra mente nel rispetto delle tradizioni, nella meditazione, nel Dharma. È prezioso l’incontro di due culture così antiche, la tibetana e la sarda, un arricchimento dei reciproci valori.
La prima domanda è: “qual è la nostra aspettativa oggi?”
Risposte: Imparare...; -conoscere…; -sapere…; -crescere…; -accogliere…;-elevarsi…; -stare nel momento…; -creare armonia…; -migliorare noi stessi…; -non avere aspettative…
Molto bene! tutti noi, indistintamente desideriamo un’unica cosa: “la felicità”, la ricerchiamo ininterrottamente e questo è il compito, la sfida della vita umana, malgrado non se ne conosca la vera natura. Questo anelito è un istinto radicato nella mente e che non ci abbandona mai, né nella veglia, né nel sonno.
La prima meditazione in cui calarci concerne il nostro desiderio costante di felicità poiché questo ci pone nella ininterrotta ricerca di una risposta sulla natura della felicità, su cosa in realtà essa sia e anche se mentalmente riteniamo di poter elaborare una risposta corretta, perfetta, ugualmente la nostra domanda rimane irrisolta, poiché studiare, cercare, trovare corrispondenze accettabili non è la soluzione, la soluzione dunque non è la giusta risposta, bensì la giusta domanda.
È facile rispondere a “cos’è la felicità?” su google troviamo infinite e complesse definizioni, ma nessuna di queste è autenticamente soddisfacente, l’unico mezzo che introduce a tale conoscenza è la nostra esperienza, vissuta concretamente, profondamente, personalmente.
La giusta domanda deve essere rivolta unicamente a noi stessi, solo noi possiamo coltivare ininterrottamente l’esperienza della felicità che sentiamo viva e vera nel nostro cuore, nella nostra anima, nel nostro spirito, in ogni essenza che ci circonda, nell’aria, nell’acqua, in ogni atto quotidiano, questa è la beatitudine onnipresente in tutte le cose, è nel Dharma, nello Spirito Santo e saper accogliere una simile realtà è il valore che dilata il cuore nella felicità, un’inscindibile emozione che accompagna ogni istante dell’esistenza.
Quando si raggiunge questo godimento ininterrotto nella beatitudine interiore e universale, abbiamo forse trovato la risposta a: - che cos’è la felicità?-
La meditazione su tale domanda diventa automaticamente un sistema di ricerca della felicità, non occorre null’altro, è già la risposta vera, concreta nel nostro cuore, senza bisogno di complessi studi e di infinite inutili parole esterne. La risposta può essere coltivata unicamente nella meditazione profonda della domanda giusta: - che cos’è la felicità? - rivolta a noi stessi.
Tutto il resto distrae dalla ricerca dell’autentica felicità, chiedere dove essa sia è sbagliato, così non la si troverà da nessuna parte, nessuno dall’esterno potrà darci una vera risposta, gli unici preposti a questo compito siamo noi, si tratta di sperimentarla, di conoscerla, è già insita nella natura umana, dobbiamo solo scoprirla, farla emergere, risvegliarla.
Il termine Buddha significa Risvegliato, cioè il saper vedere con chiarezza la felicità nel nostro cuore. In genere noi siamo molto attenti e vigili nel sentire la sofferenza, non passa inosservata, non è mai dormiente, ma sempre attiva, e altrettanto dobbiamo fare con la felicità, anzi dobbiamo permettete alla sofferenza di dormire un po’ così da lasciar emergere viva e vigile la felicità.
Essere Buddha non è fare miracoli eclatanti, superare tutte le difficoltà, magicamente volare nel cielo staccati da tutto, no, il Buddha era un essere umano esattamente come noi, ma risvegliato completamente, senza più zone oscure e addormentate nel proprio cuore. La differenza tra noi e il Buddha è solo questa, noi facciamo tutto con sofferenza, il Buddha invece compiva le stesse azioni quotidiane, ma sempre nello spirito della felicità.
Per noi ogni occasione, anche una bella vacanza, diventa motivo di sofferenza, sottolineaiamo tutto quello che non va secondo i nostri piani fasulli e unicamente esteriori, e così ci stanchiamo al punto che dopo una vacanza abbiamo bisogno di riposare per superare la stanchezza della vacanza stessa.
Dobbiamo abbandonare la nostra abituale pigrizia, non rimandare, ma risvegliare istantaneamente la nostra felicità tramite la meditazione consapevole e costante sulla domanda “che cos’è la felicità?” La meditazione è consapevolezza e la consapevolezza è assolutamente essenziale, basilare nella nostra vita.
Questa premessa sull’importanza della consapevolezza della meditazione che ci porta all’esperienza in noi stessi della felicità è indispensabile per addentrarci nell’argomento di oggi, lo yoga del sogno, una scelta non così usuale, che mi ha colpito perché sorge da una domanda attenta, specifica, non è curiosità o fantasia, ma precisa ricerca nella visione chiara e concreta di una realtà pratica, consistente.
È un momento particolare quello in cui ci si addormenta, ci si abbandona al sonno e solo in questo stato giunge il sogno in cui è presente e si manifesta la mente sottile e che non è istantaneamente attiva in superficie, ma opera silenziosamente a un livello molto profondo in cui vi è realmente una consapevolezza tridimensionale: mente del sonno, mente del sogno, mente ancora attiva nella coscienza generale.
Questi sono i tre livelli dello yoga del sonno. Il termine sanscrito yoga significa unione, non separazione, riunificazione, dunque anche in occidente dobbiamo accogliere questa concezione conoscendo che la meditazione fonda sull’unità inscindibile della mente con il cuore.
In generale invece i nostri problemi nascono proprio dall’incapacità di accordare questa unificazione, la mente in una direzione e il cuore da quella opposta e così ci ritroviamo perpetuamente spossati, frustrati, consumati da questa inutile e insensata lotta.
Al contrario, perché durante la meditazione tutti ci ritroviamo con stupore rilassati, in pace, sereni? Esattamente perché c’è armonia tra cuore e mente e quando, avendo introiettato e praticato questa consapevole meditazione entriamo nello stato del sonno, giungiamo naturalmente allo yoga del sogno.
Questa è una breve introduzione a livello generale su ciò che significa meditazione dello yoga del sonno e dello yoga del sogno.
Domanda: Scusa, prima di affrontare questo tema vorrei tonare al primo argomento sulla felicità perché continuo a chiedermi: - ma di cosa ho veramente bisogno per essere felice?-
Lama: Questa è la seconda domanda, ma prima devi conoscere cos’è la vera felicità altrimenti non puoi trovare nessuna risposta perché è un quesito che non ha reale fondamento. Tu non hai bisogno di nulla al di fuori di te, la felicità non la si trova in qualche cosa o in qualche luogo, non è una condizione materiale è un fatto spirituale, illimitato, profondo del cuore che emerge in te evidente e chiaro solo tramite la tua esperienza, il tuo sentire, è il saper riconoscere tuo valore umano, infinito. È necessario andare oltre il limite materiale, non siamo solo corpo fisico, dobbiamo sentire, godere, aprire le porte all’immensità illimitata del cuore.
La felicità non significa essere sempre sorridenti, non trovarsi mai di fronte alla sofferenza, ma essere illuminati è semplicemente avere la forza di riconoscere in sé questa capacità spirituale illimitata che ci permette di scegliere: se vogliamo essere risvegliati lo siamo, se preferiamo dormire e oscurare le nostre potenzialità, lo possiamo fare, se volgiamo essere felici lo siamo e se preferiamo crogiolarci nella sofferenza, altrettanto. La libertà è unicamente nostra, questa è la saggezza, la flessibilità dell’amore.
Il Buddha non ha avuto una vita tranquilla, serafica, senza difficoltà, il suo corpo era esattamente come il nostro, soggetto a decadimento e malattie e allora non c’erano né pronto soccorso, né terapie intensive e nei sei anni di ritiro è quasi morto, ma non ha mai perso la felicità del cuore ed è rimasto stabile nel suo intento: -“fino a che non comprendo, fino a che non trovo la risposta non mi muovo dalla posizione meditativa.
Questi anni di sacrificio sono stati necessari alla sua completa illuminazione, la sofferenza dunque è utile, essenziale nella nostra vita, come lo è la felicità e, purché siano entrambe vissute con consapevolezza, ci accompagnano fino al risveglio della vera natura della mente. Soltanto in questo equilibrio, nella via di mezzo, cresciamo nella nostra umanità completa, ci risvegliamo nella completezza.
L’illuminazione consiste proprio in questa flessibilità e capacità di integrare l’essenza profonda della sofferenza con quella della felicità, la forza di un equilibrio che ci apre alla comprensione dell’immenso valore umano.
Non esistono circostanze discriminabili - la felicità si, la sofferenza no - ogni condizione è uguale, l’equanime apertura alla vita nella via di mezzo, in un perfetto equilibrio di armonia, è la nostra grande possibilità di illuminazione.
Con questa flessibilità di fronte agli eventi che di volta in volta classifichiamo e valutiamo attribuendovi consistenza, ma che in realtà sono soltanto etichette discriminatorie: sofferenza o felicità, cattivo o buono, giusto o ingiusto, piacevole o spiacevole, manteniamo inalterato l’equilibrio nella profonda essenza della nostra umanità, nella meditazione in cui non esiste più alcuna differenza, non c’è più divisione, ma solo la perfetta piena armonia, pace, illuminazione, realizzazione di ogni desiderio.
Intervento: Nella nostra cultura questo passaggio che hai spiegato molto esaurientemente, potrebbe essere espresso con due parole: adattabilità e flessibilità, i due atteggiamenti mentali che possono determinare un cambiamento profondo interiore.
Lama: Infatti, quello che a me preme ribadire è che essere illuminati non significa essere perennemente giocondi e sorridenti, ma è mantenere inalterata la propria capacità di flessibilità, presente intrinsecamente nella natura umana. Oggi abbiamo soltanto accennato all’argomento con una sintetica introduzione, abbiamo aperto un laboratorio in cui approfondire, scoprire, osservare ciò che nascerà dal lavoro in questi due giorni è la naturale aspettativa prova di attaccamento. Lavoreremo sul nostro sogno di risvegliare la felicità.
Domanda: L’introduzione sulla felicità è stata per me inaspettata e mi ha commosso profondamente, perché mi ha messo di fronte alla sterilità di un atteggiamento di autocompatimento in cui ogni condizione diventa motivo di lamentela e piagnisteo e ho capito la necessità di cambiare completante modo di osservare e vivere la realtà.
Lama: Qualsiasi cosa faccia risvegliare la consapevolezza è utile.
Domanda: Che cos’è sognare?
Lama: A questa domanda ci sono diversi gradi di risposta perché ci sono vari livelli di sogni. Il nostro primo e più grande sogno è risvegliare la felicità, l’obiettivo della pratica spirituale, però a livello ordinario il sogno è l’immagine che giunge alla mente durante il sonno, un’esperienza che è parte della vita, quindi altrettanto valida e proficua allo sviluppo spirituale.
Domanda: È vero che a un certo punto non si sogna più?
Lama: È possibile, ma è difficile generalizzare, sono condizioni individuali.
Intervento: Credo ci siano piani diversi di osservazione di questo argomento perché l’attività onirica è fisiologicamente necessaria e naturale, ma ciò che approfondiremo con il maestro è la capacità del buddhismo tibetano di trasformarla in un percorso spirituale, in un’attività di consapevolezza e di presenza continua.









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Parte seconda
Coraggio, Conoscenza, Prudenza

Siamo qui insieme a gustare il dono della condivisione nella pratica naturale intrinseca della natura umana della spiritualità, un immenso valore che in realtà non necessità di alcuna attività esteriore, è pratica senza praticare, condivisione senza condividere, azione senza azione, è lo yoga, cioè l’armonia, l’unione, la non discriminazione o esclusione, praticare senza praticare, vi è un’unità inscindibile.
Domanda: Che vuol dire praticare senza praticare?
Lama: E’ un concetto difficile ma concreto ed essenziale, non c’è divisione, noi creiamo i confini: - adesso pratichiamo per un determinato tempo… poi faremo altro… poi praticheremo ancora…-, tutto ciò è inesistente, falso. Lo yoga è unità inscindibile, dunque è praticare senza praticare perché non esiste alcuna separazione, alcuno sforzo, emerge con naturalezza.
I valori umani sono già tutti presenti in noi, soltanto sono nascosti, non ne siamo consapevoli, per questo è così importante risvegliarli, averne coscienza, dobbiamo ridestare il nostro cuore, la nostra felicità, la nostra gioia e anche la nostra sofferenza perché quando lo si fa questa non è più sofferenza, ne siamo liberi, tutto diviene unità in noi stessi e ogni ostacolo scompare, questo è il vero valore umano, lo yoga spirituale, nel linguaggio religioso è l’amore universale, senza limiti.
Nella naturale, umana condivisione siamo tutti insieme Sangha e, concretamente, questo amore infinito è la nostra felicità, non c’è null’altro da cercare altrove, è semplicissimo, una realizzazione istantanea.
Proviamo ora a meditare completamente rilassati, senza confini, senza contrasti in pace. La prima attenzione è rivolta alla postura che deve essere confortevole, confacente al proprio benessere, il secondo passo, centrale di tutta la pratica, è l’armonizzazione della regolarità del respiro, lasciando andare tutti i pensieri e rimanendo semplicemente stabili nella serena concordanza di mente e cuore.
Meditando sul significato degli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” cercando di sentire nel nostro continuum mentale la beatitudine dell’amore e della compassione.


OTTO VERSI DELLA TRASFORMAZIONE DELLA MENTE
Considerando tutti gli esseri senzienti
superiori alla gemma che esaudisce i desideri
per realizzare il fine supremo
possa io costantemente prenderli a cuore.

Quando sarò con gli altri,
riterrò me stesso come il meno importante,
e mi prenderò cura di loro fin nel profondo del cuore
come se ognuno fosse il più elevato degli esseri.

Vigile, ogni volta che sorge un’emozione negativa
che possa nuocere me o gli altri,
l’affronterò e l’eliminerò
senza indugio.

Vedendo esseri in preda alla malvagità
Intenti a violente azioni negative, sopraffatti da sofferenze,
avrò sempre cura di tali creature così rare,
come se avessi trovato un tesoro prezioso.

Quando altri, per invidia, mi maltratteranno,
mi insulteranno o faranno cose simili,
accetterò la sconfitta e offrirò la vittoria.

Quando qualcuno a cui ho fatto del bene
e in cui ho riposto grandi speranze
mi infligge un danno terribile,
lo considererò il mio santo amico spirituale.

(ripetere 3 volte) In breve, direttamente e indirettamente, offro
ogni beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri;
possa io segretamente prendere su di me
tutte le loro azioni negative e sofferenze.

Possa la pratica non essere mai contaminata dalle idee causate
dalle otto preoccupazioni mondane
e, consapevole che tutte le cose sono illusorie,
possa io, privo di attaccamento, essere libero dal samsara

(segue meditazione)

Domanda: Io non ho capito il passaggio in cui si dice “possa io segretamente prendere su di me tutte le azioni negative e sofferenze degli altri esseri”. Come posso farlo? Forse questo è già naturalmente in me, ma non ne capisco il senso?
Lama: “In breve, direttamente e indirettamente, offro ogni beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri;possa io segretamente prendere su di me tutte le loro azioni negative e sofferenze”. Questo auspicio è l’espressione della pratica tibetana del Tong Len, del dare e avere, dare agli altri ogni beneficio e prendere su di sé ogni loro sofferenza e negatività. In questa condivisione nell’equanimità si mantiene il giusto equilibrio tra gioia e dolore, perché se fossimo sempre nella felicità nutriremmo inconsapevolmente il nostro orgoglio, l’ego. Si prende su di sé la sofferenza altrui non per il gusto di soffrire, ma per creare armonia nell’umiltà e condivisione della natura umana.
Questa è la pratica della compassione, dell’amore, non è un’invenzione fantastica, astratta, è una realtà. Prendendo la sofferenza altrui non si elimina la sofferenza, così come donando la propria felicità non la si diminuisce, ma si crea un equilibrio armonico, una condivisione nella via di mezzo, senza eccessi e in questo modo si espande all’infinito la capacità del proprio cuore.
Noi siamo sempre attenti e concentrati sulla sofferenza, vorremmo rifuggirla ad ogni costo, ma in questo modo la incrementiamo a dismisura poiché la sofferenza nasce dall’ignoranza. Il saggio Platone non a caso affermava che nell’esistenza umana occorrono tre cose: Conoscenza, Prudenza, Coraggio.
Intervento: Certo, perché la conoscenza porta alla felicità, rigpa, mentre l’ignoranza, ma-rigpa, induce una concezione erronea che è alla base della sofferenza e del suo mantenimento.
Lama: In tibetano ci sono parole interessanti, rigpa significa Chiara Luce, conoscenza, sapienza, e ma-rigpa ignoranza, perché il suffisso ma indica negazione. Platone, uno dei maggiori filosofi che hanno posto i fondamenti della cultura occidentale, del cristianesimo stesso, ha enunciato tre elementi essenziali alla crescita umana: Conoscenza, Prudenza e Coraggio, fattori fondamentali e indispensabili per sviluppare la saggezza, imparare a governare se stessi come si governa la Repubblica.
Senza coraggio non si arriva da nessuna parte, nella spiritualità è basilare altrimenti non si può aver una reale convinzione in nulla, credere che le realizzazioni siano possibili, avere la giusta motivazione al fine di raggiungere la liberazione, diventare davvero liberi.
Intervento: Inoltre la parola coraggio ha un’origine che è proprio centrata su questo concetto perché deriva da “cor che emette raggi”, la definizione del cuore di bodhicitta che emette luce.
Lama: Si, dobbiamo quindi avere il coraggio di liberarci da cosa?
Risposte: - Dalla sofferenza…; - dall’ignoranza…; - dall’attaccamento…
Lama: Tutte le risposte sono perfette, ma non rispondono a nulla, l’unica risposta concreta è trasformare se stessi vivendo, trasformando noi stessi ci liberiamo dalla sofferenza, ma perché? cosa ci fa soffrire? qualcuno ha detto l’attaccamento, poi?
Domanda: Perché la sofferenza?...
Lama: E’ una domanda che è già una risposta, dipende da cos’è la sofferenza, chi l’ha causata?
Risposte: - Io, sono io che causo tutto sofferenza e gioia…; - l’ignoranza…
Lama: Teoricamente avete risposto a tutto, ma praticamente a nulla. Tecnicamente diciamo liberarci da noi stessi e la mia domanda ora è perché dobbiamo liberarci da noi stessi? Perché ogni atto che compiamo nella vita è volto a incatenarci, a renderci schiavi di ingannevoli illusioni di presunta felicità e tutta questa confusione è samsāra. Noi abbiamo paura della libertà perché non la conosciamo, siamo invece amici inseparabili della sofferenza, dei problemi. Questo è il nostro grande errore spontaneo, quasi automatico. Rincorrere il nirvāna significa semplicemente incatenarsi sempre di più all’inganno della confusione e affondare nel samsāra più completo. Per liberarci da queste catene bisogna rischiare, abbandonare le fantasiose sicurezze di ciò che in realtà non conosciamo affatto, il nirvāna non l’abbiamo mai visto. È invece necessario abbandonare la paura, avere il coraggio di conoscere noi stessi, pienamente, con saggezza e prudenza. Soltanto nell’interazione di conoscenza, coraggio e prudenza troviamo in noi la vera libertà, pur vivendo pienamente tutto, anche la sofferenza.
Domanda: Se pratico il Tong Len non significa però che, concretamente, io possa aver dato a un’altra persona felicità sollevandola dalla sua sofferenza, perché se questa è dovuta al suo karma io non posso prenderlo su di me. Il pensiero è bello, ma le persone traggono giovamento da questo?
Intervento: Non è questo lo spirito del Tong Len, come insegnò il grande guru indiano Śāntideva, la nostra mente in questo percorso spirituale ha realmente un potere di trasformazione che l’altro non ha e quindi compassionevolmente possiamo contribuire a ridurre il suo karma, altrimenti l’interdipendenza sarebbe una parola vuota, senza significato.
Lama: Con il Tong Len non ci si focalizza su un singolo individuo, lo si fa nel contesto degli Otto Versi, del Lo Jong, della trasformazione mentale che qui diventa pratica di bodhicitta, della grande compassione, pratica dei Bodhisattva che è indiscriminatamente rivolta a tutti gli esseri senzienti, e non a qualcuno in particolare. Non si può applicare la pratica di Bodhisattva con attaccamento verso qualche singola persona, la grande compassione, l’amore pieno è rivolto universalmente e a questo livello possono davvero succedere tante cose, i benefici si realizzano segretamente, in modo inconsapevole, azione senza azione, questo è il più grande aspetto della pratica del Dharma, nascosta, segreta, ma efficace.
Quando incontriamo qualcuno che conosciamo, che ci è caro e magari malato e ci chiede di pregare per lui, va benissimo, accogliamo la sua preghiera e praticando il Lo Jong, che è sempre rivolto universalmente a tutti gli esseri, nell’atto della dedica rivolgiamo una particolare intenzione per questa persona. In questo modo doniamo il frutto della propria pratica di generosità anche a una persona in particolare.
La pratica del Tong Len invece non discrimina nessuno, tutti gli esseri sono compresi, anche quelle persone che hanno chiesto una particolare intenzione.
Questo significa vivere in saggezza con la visione profonda, ampia.
Domanda: Io ho due domande, come possiamo prendere la sofferenza altrui su di noi? e cosa significa la gemma di cui parla la preghiera?
Lama: Questa è tipica espressione della cultura tibetana, la gemma rappresenta il tesoro più prezioso e puro che io posso offrire con generosità e compassione. Per quanto riguarda il prendere la sofferenza, voi cosa dite?
Risposte: - Ognuno deve liberare prima di tutto se stesso dal karma, perché se fosse possibile altrimenti il Buddha lo avrebbe fatto, ci avrebbe liberati tutti…; - se il Buddha liberasse tutti non ci sarebbe alcun merito, mancherebbe completamente il lavoro personale…;
Intervento: Quando si parla del Buddha che ci libera, non si parla di una entità aliena che, con potere sovrannaturale, arriva dall’esterno cancellando ogni nostra colpa, lo stesso peccato originale, no, semplicemente il Buddha ci indica la corretta via per raggiungere l’illuminazione, ci dona gli strumenti utili per liberare noi stessi dalla sofferenza, per conoscerne l’origine e dunque sapere come superarla, non ha mai pensato di intervenire direttamente in modo miracoloso, magico.
Lama: Comunque tutto il lavoro di questa mattina è stato concentrato solo su una domanda fondamentale: “che cos’è la felicità”. L’impegno è nostro, ogni aiuto esterno può essere utile, ma nessun altro può fare il lavoro al posto nostro.
Intervento: Vorrei solo aggiungere una cosa importante, dal punto di vista delle neuroscienze, la felicità coincide con libertà, l’etimologia è la stessa, ma deve essere una libertà consapevole perché, se inconsapevole, è soltanto apparente superficiale euforia.
Lama: Certo, la consapevolezza è strettamente interconnessa con la felicità.
Domanda: La felicità che sperimentiamo qui è permanente o impermanente?
Lama: L’unica cosa permanente è l’impermanenza.

Grazie a tutti, riprenderemo il lavoro nel pomeriggio.









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Parte terza
La ricerca interiore
Sūtrapitaka - Abhidharmapitaka -Vinayapitaka

Ritorniamo questo pomeriggio alle nostre riflessioni essendo ben rilassati, carichi di energia che nutre il corpo e l’anima poiché nella meditazione ogni cura fisica diventa anche beneficio spirituale.
È fondamentale saper cogliere il valore di ogni istante, di ogni piccola cosa, per rendere la vita reale possibilità di crescita umana. Il più grande valore della vita risiede in noi, nel cuore e nella mente e ogni attenzione al corpo, alla mente, allo spirito, è nutrimento che ne riconosce l’essenzialità e l’inscindibile interconnessione.
Per questo nella meditazione si pone tanta attenzione al respiro, un movimento fisico che armonizza e sostiene le tre unità inscindibili. Non posso curare il corpo se trascuro mente e spirito e viceversa, curando uno curo gli altri due, poiché in realtà non sono affatto separati, sono semplicemente tre aspetti di una sola realtà che è il nostro essere persona, un essere che ha maturato uno spirito libero, autonomo, non dipendente da fattori materiali, meccanici.
Ogni persona ha un suo preciso percorso e prendere esempio dagli altri non significa copiarne come fotocopie le modalità, bensì introiettare in sé gli aspetti che possono essere proficui alla cura del proprio corpo, della propria mente, del proprio spirito, acquisirli come nutrimento personale.
Non c’è nulla da creare, dobbiamo semplicemente scoprire il tesoro che c’è in noi, il nostro umanesimo,vivendolo con gioia, con serena consapevolezza.
Ricordiamo che lo yoga del sogno non è fine a se stesso, è un metodo che consente di giungere alla realizzazione di una determinata condizione.
La pratica dello yoga del sogno può essere applicata in qualsiasi contesto: cristiano, buddhista, religioso o ateo, però seguendo il titolo del seminario approfondiremo particolarmente il punto di vista della tradizione tibetana e questo forse mi rende il compito un po’ più difficile perché dobbiamo tornare a tempi molto antichi, introdurci in qualche museo… ovviamente sto scherzando.
Nella tradizione tibetana il punto di partenza è sempre profondamente spirituale, a cominciare dall’antica religione Bön per passare poi alle numerose scuole del buddhismo, tutto si articola e scende in dettagli sempre più sottili, in quello che conosciamo genericamente come buddhismo tibetano.
Ma a noi non servirebbe analizzare specificamente ogni disquisizione filosofica esposta dalle diverse scuole per cui affrontiamo il punto centrale, come praticare lo yoga del sogno in generale.
Tutti gli insegnamenti del Buddha sono classificati in tre gruppi, e anche le pratiche dello yoga del sogno sono così impostate.
Il primo gruppo degli insegnamenti del Buddha è il Sūtrapitaka, il secondo l’Abhidharmapitaka e il terzo è il Vinayapitaka.
Il Sūtrapitaka, che letteralmente significa filo del discorso, raccoglie la parola stessa del Buddha e qui ci soffermeremo in particolare sulla parte relativa alla meditazione e concentrazione;
l’Abhidharmapitaka può essere tradotto in italiano come insieme di metafisica, psicologia, filosofia, fenomenologia, raccoglie gli insegnamenti sulla saggezza;
Il Vinayapitaka accorpa tutti gli addestramenti sulla moralità.
Il Buddha ha affrontato la realtà umana in modo completo, totale, ma semplice e comprensibile, non occorrono studi, né volumi pesanti e complessi per assimilare il suo insegnamento, i suoi discorsi sono lineari, non permettono scappatoie e in questi tre gruppi è compreso tutto.
L’insegnamento su meditazione e concentrazione, il Sūtrapitaka, ci accompagna nella meditazione sempre più raccolta nella concentrazione, così da indurci a una vita consapevole, stabile.
Il secondo insegnamento, che non può assolutamente prescindere dal primo, perché senza meditazione e concentrazione non si ottiene nulla, approfondisce gli aspetti metafisici, fenomenologici, psicologici e matura saggezza, l’Abhidharmapitaka, ci permette di conoscere la realtà del mondo prima a livello immediato, superficiale e poi sempre più sottile fino a comprendere ciò che c’è al di là di quanto appare. Siamo così in grado di conoscere, capire, vedere, senza bisogno di particolare telescopio. Il mondo interiore è infinitamente più grande di quello esterno. Meditazione, concentrazione saggezza e compassione ci danno l’immensa visione di questo mondo. La spiritualità è saper riconoscere lo spazio infinito dentro di sé.
E non si possono applicare questi insegnamenti senza il terzo, il Vinayapitaka, che ci indica l’etica, l’indispensabile moralità di ogni comportamento, il buon senso e il rispetto reciproco per il convivere umano, la compassione, la giustizia, l’amore.
Nell’applicazione di questi tre imprescindibili e completi insegnamenti dunque dobbiamo applicarci nel nostro compito umano, la ricerca nell’infinito spazio interiore.
In questo contesto il buddhismo nella meditazione dello yoga del sogno scopre che in generale deve essere un sogno compassionevole, amorevole, generoso, un sogno che ha conoscenza e saggezza, con una mente stabile, chiara.
Ora però è legittimo chiederci come, concretamente, possiamo realizzare un sogno che abbia tutte queste caratteristiche, questa è la domanda, ma la risposta?… - non può esserci…-
La nostra ricerca è la domanda, non la risposta, e la filosofia buddhista ci indica una prima fondamentale pietra miliare, base essenziale di ogni pratica: - la motivazione, o intenzione.
L’intenzione è il motore che innesca qualsiasi movimento e ciò vale anche per il sonno. Primo aspetto che il buddhismo ha osservato è l’importanza di assumere una confortevole posizione del corpo al fine di creare una connessione armonica naturale, ovviamente ognuno deve trovare quella a lui più confacente, ma come esempio ottimale i maestri buddhisti suggeriscono quella del Buddha dormiente con il capo rivolto a nord, disteso sul fianco destro con la mano appoggiata sotto il capo, così come mostrano tante statue, postura che ha mantenuto anche nella morte.
Il secondo passaggio tratta la modalità con cui entrare nel sonno. È essenziale in questa delicata fase mantenere la motivazione di moralità, fresca, con rispetto, onestà, giustizia, compassione, amore, pazienza nei confronti di tutti gli esseri. L’attitudine della moralità non è prerogativa buddhista, è umana, e ogni religione o filosofia ne indica lo stesso percorso.
Per addormentarsi con la giusta motivazione si possono mentalmente recitare, preghiere o mantra, oppure meditare, questi metodi favoriscono lo scivolamento nel sonno mantenendo la consapevolezza di moralità, concentrazione e saggezza.
La saggezza è indispensabile per la corretta motivazione, poiché se anche avessimo tanta compassione, ma senza saggezza, essa sarebbe vanificata e anzi potrebbe diventare molto pericolosa.
Una moralità senza saggezza, poi sarebbe veramente grave, come è ampiamente dimostrato in tante parti del mondo quando ciò che viene interpretato come imperativo etico è in realtà espressione di mostruosa ignoranza.
E non bisogna neppure prescindere dalla concentrazione perché senza di essa si resta in superficie, non si approfondisce nulla e si interpreta ciò che appare come unica possibile realtà, restando così nell’ignoranza più ingannevole.
Quindi, moralità, concentrazione e saggezza sono interconnesse in modo assoluto, nessuna può essere applicata singolarmente senza la presenza delle altre due, perché in tal caso si cadrebbe inevitabilmente in macroscopici errori, non sarebbe possibile trovare il giusto sentiero.
Quindi quando ci si addormenta è bene meditare sulla compassione così da risvegliare con mente chiara la propria felicità, compassione, gioia, concentrazione, saggezza.
Se si riuscisse a fare ogni sera questa pratica sarebbe davvero un grande passo. Se ci addormentiamo in questo stato mentale il nostro sonno sarà positivo, se invece lo facciamo con la mente piena di pensieri confusi anche il nostro sonno sarà negativo con i corrispondenti sogni, positivi, o negativi, uno schema che si ripresenterà identico nel risveglio.
La motivazione del cuore prima di addormentarci è dunque fondamentale per gli esiti del nostro sonno e relativi sogni.
Quando dormiamo i nostri sensi non sono più attivi, malgrado nel profondo la mente sia sempre presente, benché oscurata e il cui nome è: “sonno”. La mancanza di chiarezza , di consapevolezza fa si che ogni giorno dormiamo molte ore e alla fine non ricordiamo nulla, né sonno né sogni. Dormiamo molto, ma ancora non abbiamo capito cos’è il sonno.
Domanda: Anche questo è un sogno?
Lama: Può essere, stiamo sognando o siamo svegli? Non possiamo avere certezza di niente. Il sonno è un fattore mentale oscuro. Se non conosciamo il sonno, non possiamo far nulla con il sogno.
La mente oscura è neutra, non ha facoltà di scegliere decidere, ma questo lo può fare il continuum mentale che procede dallo stato mentale precedente ed è qui il ruolo fondamentale della motivazione prima di cadere nel tunnel del sonno buio.
Questa è la visione buddhista, io non voglio addentrarmi in approfondimenti della neuroscienza o altro. Vi do gli strumenti affinché ognuno possa valutare, confrontare tutti questi passaggi al fine di comprendere come dorme e possa applicare al meglio lo yoga del sonno e del sogno.
La maggior parte del nostro sonno non è profondo, di totale blackout, e quando risale a un livello più leggero spiragli di luce penetrano la mente, soltanto a questo punto si presentano i sogni, ed è qui la possibilità di creare sogni positivi. La motivazione determina il sogno che potrà trasformarsi davvero in realtà, in qualsiasi campo, sociale, umano, e credo che l’esempio lo abbiamo nella la stupenda frase di Martin Luther King: “I have a dream” - Io ho un sogno - Lui era determinato nella sua profonda motivazione che ha così indotto nel sonno il sogno che poi è stato tradotto a livello vigile, di veglia.
Tutti possediamo la stessa capacità, non si pratica lo yoga del sogno solo per raggiungere l’illuminazione, ma per realizzare qualsiasi cosa buona nella vita e dobbiamo avere soltanto forte motivazione, determinazione e coraggio, sarà così possibile creare l’intenzione nel sogno, che verrà poi tradotta in azione nello stato di veglia. I sogni non sono un’illusione, ma effettivi.
Lo stato di veglia e quello del sonno sono due realtà vitali, parte di noi, sono distinte, ma collegate da un filo sottile, possono influenzarsi a vicenda, ma non trasformarsi una nell’altra.
Il sogno si verifica a metà strada, tra il blackout totale e il risveglio, la motivazione maturata nel momento antecedente l’addormentamento e subito penetrata nel sonno più profondo, emerge in questo stato più leggero e determina nel sogno la visione di situazioni di vita reale, benché non materialmente concrete.
Dunque è nelle nostre mani la possibilità di trasformare il nostro sonno e sogno, relativamente alla motivazione, in positivo, negativo, o neutro.
La mente del sonno profondo emerge lentamente nella mente del sogno e infine nella mente del risveglio, che sarà gioioso, triste, neutro, così come sarà stato il sonno e il sogno, non potrebbe mai essere diverso da loro.
Quindi la pratica durante il sonno può migliorare la pratica durante la veglia, e viceversa, sono entrambe complementari, speculari, ed è necessario applicarle con costanza, ogni giorno, con gratitudine, gioia, conoscenza, consapevolezza, sapendo che migliorano la nostra vita, la nostra salute, la nostra anima.
Questo è il percorso di superamento della sofferenza samsarica di nascita, malattia e morte, ed è il nostro scopo concreto su questa terra, qui e ora, è la realizzazione completa della nostra umanità.
È la via del Buddha che ha meditato sei anni per comprendere come superare la sofferenza del mondo, un cammino che ognuno può e deve compiere in se stesso, nessun altro può farlo al posto suo, ogni problema è superato tramite la realizzazione della luce interiore, questo è il nostro compito, la nostra missione, il valore spirituale, il Dharma, la cultura.







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Parte quarta
Le domande fondamentali dell’esistenza

Proseguiamo il nostro incontro iniziando con una meditazione molto forte. Disponiamoci nel completo rilassamento, e applichiamo tutti gli strumenti che già conosciamo lasciando andare ogni tensione, fisica e mentale:

(Segue meditazione guidata per approfondire la bodhicitta con la rilettura degli Otto Versi di Trasformazione della Mente)
Immaginiamo di introiettare nel nostro continuum mentale questa trasformazione, attraverso la visualizzazione di simboli e mantra, concentriamoci sui canali energetici del corpo, sulla mente e sui fattori mentali. Nella luce di questa realizzazione divina sul proprio corpo e mente e parola si purifica tutto l’universo che si trasforma nella purezza completa della natura ultima, nella terra pura.
Ora riportiamo la nostra mente al suo stato ordinario e ritorniamo nello status umano consueto. Riapriamo lentamente gli occhi e sentiamo nel corpo i benefici acquisiti.
Grazie.

Il risultato del nostro lavoro di oggi è stato davvero importante, ottimo e se ogni giorno producessimo questi frutti, la nostra vita sarebbe immediatamente più piena, la prova della nostra capacità.
Nelle giuste circostanze, ambienti, condizioni siamo naturalmente inarrestabili nel cammino verso l’illuminazione, questo è la bellezza, il senso della vita e il Dharma vi è già insito.
Gli ostacoli che incontriamo non sono mancanza di Dharma, ma non applicazione della pratica del Dharma, non vi è mancanza del Buddha, ma assenza della realizzazione del Buddha.
Il Dharma, il Buddha, lo Spirito Santo, il Sangha sono sempre presenti, non mancano mai, siamo noi che non ne vogliamo accogliere l’immensità infinita perché non abbiamo fede, fiducia, saggezza, conoscenza, volontà, impegno, pratica costante.
È più comodo mantenersi nell’attitudine irresponsabile e incolpare la latitanza nella nostra esistenza del Buddha, dello Spirito Santo, del Dharma, ma non è così, gli unici assenti siamo noi. Questa è la nostra grande ignoranza.
Oggi abbiamo dimostrato come risvegliare in noi la felicità, la potenzialità di Buddhità. Non si tratta di essere sempre felici, ma di riconoscere questa capacita interiore di sviluppare la felicità.
Sofferenza e felicità non sono due opposti, anzi sono i due aspetti inscindibili della stessa realtà, sono una risorsa necessaria, autentico beneficio del Dharma. Il Tong Len ne è una chiara manifestazione.
Noi sprechiamo spesso la vita intera lottando contro i mulini a vento, vogliamo solo la luce e quindi dichiariamo un’insensata guerra al buio, ma possiamo combattere anche tutta la notte, il buio della stessa sparirà soltanto all’alba, ogni nostro tentativo è inutile perdita di tempo e di energie. Per godere della luce è necessario il buio. La nostra discriminazione artificiosa tra felicità e sofferenza, tra luce e buio è soltanto il risultato dell’ignoranza che rende il samsāra così pesante, stancante.
Come ha detto un filosofo del mondo antico: “per sviluppare la saggezza bisogna filosofare”. I filosofi, di qualsiasi formazione, non temono la morte, ne abbiamo documentazione in tutte le tradizioni spirituali, nello yoga, nel taoismo, nel buddhismo, nella filosofia degli antichi latini e greci, come in quella moderna.
L’obiettivo comune è superare i limiti del samsāra, la sofferenza di nascita, malattia, vecchiaia, morte e per andare oltre queste barriere non occorre un grande sforzo, è semplicemente necessario filosofare, cioè non delegare ad altri i propri compiti, ma pensare autonomamente in modo logico per scoprire la verità interiore, la verità di sé stessi: “chi sono io” è una domanda fondamentale. Qual è nel buddhismo la domanda basilare?
Risposte: - essere o non essere…; - come risvegliare la buddhità dentro di sé…; - chi sono io…-
Lama: Tutto è valido, non c’è risposta, ciò che conta è la domanda che è in sé già illuminante.
Nel buddhismo la domanda fondamentale è “Dov’è la mente?” questa stessa domanda è in sé la risposta a ogni forma di ignoranza, elimina molti dubbi.
Noi vogliamo sempre incasellare ogni cosa, cerchiamo certezze in schemi concreti e di fronte a questi interrogativi il nostro castello di carta crolla miseramente, dobbiamo lasciare uno spazio vuoto, libero da ogni modello precostituito, la mente esiste e al contempo non esiste, senza alcuna contraddizione.
Questa mente esistente e non esistente, assolutamente libera nello spazio infinito, funziona, lavora alacremente, è una realtà misteriosa, miracolosa, ma il miracolo dov’è? Proprio li al suo interno, non serve cercare chissà cosa, chissà dove. La domanda stessa è illuminazione, deve essere sempre aperta e la sua riflessione è già la risposta, null’altro serve, è la scoperta della verità, della gioia.
Questo è la pratica per diventare yogi, cioè realizzati nella beatitudine, completamente liberi senza alcun condizionamento di sofferenza o di felicità.
In Tibet la tradizione dello yoga del sogno è molto diffusa, oggi abbiamo parlato in generale su come trasformare il sogno in pratica dharmica, ma nella tradizione degli yogi vi è un ulteriore approfondimento e arricchimento delle modalità da porre in atto.
Ora la parola a voi, per domande, suggerimenti, riflessioni, proposte per il lavoro di domani.
Risposta: Domani faremo le pratiche per lo yoga del sogno.
Lama: Si, potete già cominciare questa sera ad esercitarvi secondo le indicazioni che abbiamo visto insieme questa mattina. Cercate di addormentarvi con la motivazione piena, completa, di risvegliare la felicità, così potete trasformare il sonno, il sogno e il risveglio in positivi. Ci sono vari tipi di positività e ognuno deve farne esperienza direttamente, personalmente.
Domanda: Alcune persone avevano chiesto di avere un’istruzione pratica sul movimento dei venti karmici, dei run a livello dei canali energetici, se possibile domani potremmo affrontare questo?
Domanda: E la meditazione?
Lama: Quella sempre. Domani scenderemo più in particolare nella pratica della tradizione yogi, il tema è complesso, ma provare è sempre bene.
Domanda: Nessuno però ha risposto alla domanda del maestro: - dov’è la mente?
Risposte: - La risposta è nella domanda stessa...; - la mente è qui…; - come dice il sūtra del cuore, la forma è vuota, la vacuità è forma e la forma non è altro che vacuità…; - ma il fatto che la mente coincida con il vuoto non vuol dire che non esista, perché il vuoto non è non esistente…; - bisogna soltanto portarla a casa…; - già ma questo implica la necessità di dare una risposta in quanto la mente esiste in se stessa…; - io volevo ringraziare il maestro perché ha creato un bellissimo clima di gioia tra noi e penso anche che sarebbe utile spiegare ulteriormente il passaggio in cui afferma che la mente in contemporaneità esiste e non esiste…; - io vorrei chiedere se domani si parlerà di come modificare il sogno durante il sonno... - vuoi telecomandare il sogno, si può fare, ma come?..
Lama: Meditando gli Otto Versi di Trasformazione della Mente. Alla domanda dov’è la mente dicevate che contemporaneamente esiste e non esiste, questo è il non dualismo. La mente è definita come Chiara Luce e in questo esiste e non esiste, la luce riflette come uno specchio e il chiaro è lo spazio infinito. La mente nello spazio infinito è ovunque e non può essere limitata in alcun modo, incasellata. La mente lavora e tutto riflette, ogni nostro atto, visione è ciò che appare nello specchio della mente, esiste e non esiste, è vuoto e pieno. Perciò nel buddhismo conoscere la propria mente è il punto centrale della pratica della meditazione, riflettere sulla domanda che non può essere delimitata in una risposta è conoscenza del sé e della propria mente.
Intervento: Quindi conoscere la mente è facile e difficile nello stesso momento, è difficile perché è troppo vicina a noi per poter essere osservata, è come cercare di vedere il proprio naso, lo si può fare solo attraverso uno specchio, ma nel contempo è anche facile perché la mente ha un potere di visualizzazione di sé legato alla sua natura luminosa per cui è parte essa stessa della Chiara Luce, di conseguenza possiede la capacità di conoscenza infinita di comprendere se stessa e l’universo intero.
Domanda: Quindi la mente che osserva la mente è come uno specchio, vede le cose come se vi si fossero riflesse. La mente infinita come lo spazio è la mente assoluta, è la mente che non esiste intrinsecamente, è così?
Lama: Intrinsecamente non c’è esistenza.
Intervento: Nella dottrina della mente come in tutto buddhismo tibetano bisogna evitare due errori fondamentali: il nichilismo e l’eternalismo, non ci si può muovere se non al di fuori di questi due estremi.
Lama: Avere le domande fondamentali è la nostra grande fortuna.
Domanda: Quindi la mente è un conoscitore e deve cercare se stessa, trovare quella Chiara Luce che invece è oscurata da tutti i fattori esterni del quotidiano, deve dunque fare un lavoro di autoconoscenza, di introspezione per potersi trovare?
Lama: La mente è autoconoscenza, questa è la sua natura, il nostro lavoro è risvegliarci, solo questo, non c’è nulla da cercare, c’è già tutto, dobbiamo solo risvegliare la mente dal suo torpore. La sua capacità è quella dello specchio, riflette in modo naturale, senza sforzo alcuno.
Domanda: La frase che dice: “la mente mente” che vuol dire? Significa che la mente ci può ingannare, dire bugie, farci credere cose inesatte?
Lama: Certo, questo inganno è in realtà il frutto della nostra elaborazione mentale fondata su falsi preconcetti. Questa non è la mente vera, reale, si tratta soltanto delle consuete costruzioni mentali pregiudiziali e temporanee a cui siamo tanto attaccati a causa della nostra ignoranza, pigrizia, ottusità.
Domanda: Quindi quando il maestro diceva, manteniamo la nostra esistenza semplicemente come una presenza libera dal proprio sé, potremmo anche pensare che la mente sia intrinsecamente libera, ma non libera dal proprio sé, in quanto esiste e non esiste un sé oggettivo o relativo…
Intervento: Il problema è che la dottrina tibetana della mente è un argomento estremamente difficile e complesso, ci sono molteplici aspetti che dovrebbero essere approfonditi per poter sviscerare questo argomento.
Lama: Si, soffermiamoci dunque alla domanda sul sé, sulla relazione tra ego e mente. Ci può essere semplicemente la presenza dell’io senza la propria mente, quella convenzionale in questo caso, ed è una situazione possibile.
Quando invece a livello spirituale si matura la consapevolezza della propria esistenza, ma nella libertà dalla propria mente, dal proprio corpo, dal proprio respiro, si determina, non una separazione tra corpo e mente, tra io e mente, tra io e respiro, bensì una reale armonia priva di qualsiasi conflitto, tutto, ogni entità, benché chiaramente definita autonomamente dalle proprie specificità, è connessa e collaborativa in totale consonanza.
Come diceva Platone è inscindibile la capacità di governare se stessi per governare lo stato, il modello è uguale. Così nella pratica del buddhismo, del Dharma, della compassione, della saggezza, è imprescindibile il principio dell’armonia tra tutto ciò che compone la nostra esistenza, nell’unicità e indipendenza di ogni elemento e, contemporaneamente, nella connessione collaborativa tra tutto.
Dunque, cos’è e dov’è l’io? Non è persona distinta, né nostra mente, né nostro corpo, né nostro cervello, né nostro respiro, ma andando oltre a tutte queste distinzioni, almeno a livello teorico percettivo, vediamo che questo io esiste e non esiste, esiste perché parlo, comunico, tocco, vivo, e non esiste perché non è da nessuna parte, non sappiamo dove cercarlo né trovarlo.
Nella realtà, nella legge naturale dell’interdipendenza dell’universo tutto esiste e parallelamente nulla esiste.
Questo è il principio della filosofia della Mādhyamika, la via di mezzo di Nāgārjuna, essenza dell’Abhidharma. La via di mezzo non è un compromesso, bensì la via della totale armonia, equilibrio, equanimità.
Intervento: Malgrado la materia sia estremamente articolata e complessa alla fine risulta semplice da capire, tutto ciò che vediamo in modo convenzionale, illusorio è espressione di punti distinti e connessi che si uniscono e disuniscono in tempi infinitesimali dando un’immagine illusoriamente solida e ingannevolmente reale di questo mondo, poi però, separandosi, non esistono concretamente, ma solo in maniera virtuale, per cui il mondo esiste e simultaneamente non esiste.
Lama: Questo è il miracolo della legge della natura dell’interdipendenza.
Per oggi concludiamo con la preghiera di dedica del nostro lavoro e delle riflessioni a beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Liberiamo noi stessi dal desiderio inarrestabile di accontentare il nostro ego, che rimane comunque sempre insoddisfatto, e portiamo pace al nostro cuore, alle persone care, ai famigliari, agli amici, soffermiamoci soprattutto sulla necessità di pacificazione di un mondo così devastato da guerre, carico di odio oscuro, auspicando l’unione e l’armonia in una vita serena, piena di luce e pace, armoniosa per tutti.

(segue recitazione in tibetano della preghiera di dedica)







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Parte quinta
La motivazione, fondamento di ogni pratica

Iniziamo la giornata con la disposizione mentale nel Lo Jong e leggiamo insieme, con concentrazione, la preghiera degli Otto Versi della Trasformazione della Mente per sviluppare la motivazione ad avere un cuore di Bodhisattva, per renderlo incondizionatamente libero e aperto ad abbracciare l’universo intero. Meditiamo con l’intenzione di acquisire un cuore di bodhicitta.
(Segue lettura e meditazione)

Meditando sviluppiamo la determinazione all’apertura infinita del cuore di bodhisattva al fine di essere liberi, schiusi a tutto l’universo. Concentrati sul ritmo del respiro lasciamo che la mente trasformi il cuore nella bodhicitta, mentre inspiriamo ed espiriamo pratichiamo il Tong Len che consiste nell’offrire amore e compassione sotto forma di nettare bianco, e ricevere invece la sofferenza che visualizziamo come denso fumo nero.
Immaginiamo di inspirare il fumo della natura della stessa sofferenza dell’ego nel nostro cuore e di espirare emettendo il soffio bianco di ogni gioia e delle qualità spirituali che nel dono a tutti gli esseri si trasformano in profonda pace universale e felicità.
Assumiamo la sofferenza del nostro ego del passato, del presente e del futuro, distruggendolo, annullandolo, purificandolo, per donare bianca luce splendente di felicita e gioia a tutti gli esseri. Immaginiamo la sofferenza di passato, presente e futuro dissolta e purificata, così come il nostro ego, serenamente contenti che non ci possa più essere di ostacolo.
Il secondo passo consiste nella pratica Tong Len - di dare e prendere - in modo incondizionato per il beneficio degli altri. Ispirando accogliamo nel nostro cuore come denso fumo nero la sofferenza di tutti gli esseri che è medicina in grado di guarire l’ego, espirando immagino che dal nostro cuore scaturisca il fumo candido della nostra gioia, purezza e bontà e che tutti esseri siano contenti e soddisfatti di ricevere questo dono spirituale, realizzando un cuore pieno di infinita pace e felicità. Inspiriamo prendendo nel nostro cuore tutte le sofferenze altrui ed espiriamo donando loro tutte le qualità e gioie.
Alla fine immaginiamo che noi stessi abbiamo raggiunto lo stato di felicità e gioia, liberati dai condizionamenti samsarici e auspichiamo che questa pratica sia propedeutica all’ottenimento della mente di Chiara Luce nello yoga del sogno.
Grazie.

Siete seduti in modo stabile, comodi? rilassati? Questa è una condizione importante per praticare lo yoga del sogno, altrimenti se vi addormentate cadete...
La meditazione appena conclusa è la pratica della motivazione, fondamentale, alla base di ogni approccio spirituale, senza la corretta motivazione la pratica del Dharma diventa veleno.
Con l’appropriata motivazione invece anche l’errore si trasforma in positivo poiché è l’intenzione che determina la natura di ogni azione o karma che può essere positivo, negativo o neutro e per questo il buddhismo ne ha enfatizzato al massimo l’importanza.
Se l’intenzione è giusta qualsiasi piccola cosa diventa potente, al contrario se è sbagliata anche l’azione più grande diventa negativa.
La motivazione si sviluppa su due livelli, quello di base e quello contemporaneo.
La motivazione di base è antecedente all’azione, è il principio che ne determina l’attuazione. La motivazione contemporanea avanza insieme all’azione, si mantiene e sviluppa parallelamente al procedere dell’azione.
Tra questi due aspetti quello di base è prioritario, fondamentale e, se corretto, ogni eventuale errore commesso durante la successiva azione può comunque diventare positivo, se invece alla base l’intenzione è sbagliata, qualsiasi cambiamento si voglia introdurre a posteriori è inutile, infatti è molto difficile cambiare direzione quando si è imboccata la strada sbagliata dall’inizio.
La corretta intenzione è in grado di trasformare tutto, in ogni circostanza, ecco perché è tanto importante addormentarsi con la giusta motivazione di base, con tale attitudine durante il sonno e nell’emergere del sogno, avanza e si afferma la sua attuazione.
La motivazione più importante è quella di base, la prima, poiché essa stessa induce lo sviluppo della seconda, determina la tipologia del sogno, è la forza che lo rende positivo, negativo o neutro.
Dunque l’intenzione che poniamo nella pratica quotidiana, durante la veglia, è la motrice della lucidità e chiarezza che avremo nel sonno e nel sogno.
È più facile per noi osservare la mente del sogno poiché ne abbiamo memoria, mentre la mente del sonno è nascosta, per questo lo yoga del sonno è più difficile da attuare, non ne abbiamo consapevolezza, eppure proprio nel sonno sorge la pratica di Chiara Luce; perché? come si presenta?
Risposte: - Con la motivazione…; - con la consapevolezza del sogno, per il resto è blackout completo….
Lama: Riprendiamo quanto accennato ieri.
Abbiamo considerato quali tecniche applicare nel buddhismo per esaminare il sonno e trasformare il sogno, positivo o negativo che sia, senza però addentrarci nell’esame dei livelli sottili.
Nel passaggio dallo stato di veglia a quello del sonno la mente diventa sempre più oscura e quando raggiunge il buio completo si trova nel sonno profondo e soltanto dopo questo stato inizia ad emergere la luce della chiarezza che determina l’insorgere del sogno, ma tra la condizione di blackout totale e il sogno vi è nel mezzo uno spazio ed è questo il momento in cui si manifesta la mente di Chiara Luce del sonno.
Intervento: Anche dal punto di vista delle ultime ricerche scientifiche è stato affrontato questo aspetto. Siamo tutti consapevoli che il sonno sia una condizione vitale per il corpo e per la mente e si presenta, sul piano fisiologico, alternato in quattro differenti fasi benché, per consuetudine non corretta, si tenda a ridurle a due, una più superficiale detta REM, quella in cui il movimento degli occhi fa capire all’osservatore che stiamo sognando e l’altra, più profonda, NON-REM in cui è assente il sogno. Però è dimostrato che, come già scoperto nel buddhismo tibetano, nel momento del passaggio tra lo stato di veglia e quello del sonno si è in una condizione profonda e inizia un processo in cui alcune strutture cerebrali ne attivano altre in cui è preponderante la consapevolezza mentale che si manifesterà durante il sogno. Si tratta dell’aspetto fisiologico di quella che è la Chiara Luce del sogno, come se si accendesse un faro nel cervello. Ed è questo il momento di insorgenza della fase rem in cui compaiono i sogni, per poi tornare ad un livello più profondo e così via, e nella notte questa alternanza è costante. Durante la fase rem il sonno è detto leggero più vigile e attivo ed per questo che ci svegliamo ricordando i sogni. Se invece dovessimo destarci improvvisamente durante la fase profonda non ricorderemmo nulla e capita allora di chiedersi ancora assonnati “dove sono?” “che giorno è?” e così via, però una mente consapevole potrebbe comunque ricordare i sogni anche in tali condizioni.
Lama: Molto bene, è importante avere una conoscenza degli studi e dei risultati ottenuti dalla neuroscienza.
La mente di Chiara Luce nel sonno dov’è? Nel sogno sappiamo individuarla, però anche nel sonno è presente, ma dove? possiamo affrontare questo aspetto in unico modo, con lo yoga, cioè permanendo nello stato meditativo in unione di mente e cuore perché soltanto a questo livello siamo in grado di catturare la mente di Chiara Luce durante tutte le fasi, del sonno, del sogno e del risveglio e alla fine durante la morte, e questo è il principale obiettivo poiché ci permette di superare ogni barriera, abbiamo realmente conquistato l’universo.
La presenza della Chiara Luce ci fa vincere la morte stessa.
Nell’alternarsi delle due fasi di chiaro e scuro nelle ventiquattro ore abbiamo nel giorno una visione evidente delle cose, mentre nella notte non le vediamo affatto, eppure sono sempre li, allo stesso modo la nostra mente di Chiara Luce, sia che appaia o non si manifesti, è comunque sempre presente, anche quando non ne siamo consapevoli.
La mente di Chiara Luce è fondamento sempre presente nel continuum mentale, il nostro problema è che non sappiamo trovarla, dove cercarla. Non c’è una risposta preconfezionata a questa domanda che però ci indica l’unica via percorribile per la ricerca: la meditazione sulla domanda stessa, che deve essere mantenuta per tutta la vita, nella veglia come nel sonno.
Ma, tecnicamente, come catturare la mente di Chiara Luce nelle varie fasi di risveglio, sonno e sogno?
Nel risveglio dobbiamo avere consapevolezza immediata dello stesso e catturarne l’immagine. Questa è la pratica di Vajrāyana, o del diamante, che deve essere introiettato e divenire corpo sottile, Chiara Luce. Il nostro corpo non è solo carne, ossa e sangue, la sua vera essenza è la purezza del diamante.
Il Buddha tramite la meditazione ne ha sperimentato concretamente l’illuminazione, non si è limitato a immaginarla, ha potuto pienamente contemplarla in se stesso, trovando alla fine il corpo di diamante indistruttibile.
Lo yoga della mente della Chiara Luce dal punto di vista della meditazione Vajrāyana, tantrica, ha la funzione di tirar fuori l’essenza della mente, l’umanità concreta di cui siamo fatti, indistruttibile, è l’ultimo valore, il diamante che ci fa diventare vajradhara.
La meditazione, lo yoga, sono i mezzi abili che ci permettono di raggiungere il nostro obiettivo, di realizzare in noi la mente di Chiara Luce.
Non dobbiamo attendere la morte per ottenere questo risultato, non funziona così, è già concretamente qui e ora, dobbiamo semplicemente mantenere ininterrotta consapevolezza dell’inscindibile unione di mente e cuore nel silenzio della meditazione, senza disperdere l’attenzione in chiacchiere inutili, ma restare raccolti in noi stessi.
Con la meditazione, la visualizzazione dei canali, dei chakra, con la conoscenza indispensabile dell’anatomia del corpo sottile, dobbiamo scendere sempre più in profondità nella spiritualità interiore, nella mente naturale che restando ferma lascia cadere le impurità e appare in tutta la sua limpidezza e purezza, altrettanto la mente grossolana, liberata da tutti gli orpelli che la distolgono da se stessa e la rendono confusa, torbida, ritrovando la propria purezza emerge in mente sottile, luminosa, chiara.
Intervento: Sua Santità il Dalai Lama dice che all’inizio della meditazione si potrebbe pensare che mente di saggezza e mente del cuore siano due cose diverse, ma in realtà, nella loro unione profonda sono esattamente la stessa cosa. I mezzi abili di cui parla il maestro sono indubbiamente l’elemento fondamentale del nostro percorso, ma bisogna essere coscienti che, come in ogni cammino c’è sempre qualcosa da cedere e da ricevere, si prende, ma si deve lasciar andare qualcosa di noi, bisogna fare un cambiamento radicale iniziando proprio dalla conoscenza dell’anatomia del corpo sottile. Noi abbiamo un corpo apparente, grossolano, composto dagli elementi naturali di terra, aria, acqua, fuoco che diamo per scontato in quanto ci conviviamo sin dalla prima percezione, e che si dissolverà nella morte, ma non è l’unico, c’è un corpo più sottile formato da migliaia di canali anche se li riduciamo a tre, quello principale, centrale, e due laterali, tutti trasportano i venti vitali e poiché operano in stretta connessione con la mente devono essere costantemente puliti, completamente aperti, purificati.
Lama: Grazie, ora una breve pausa.








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Parte sesta
La mente di Chiara Luce

Molti di voi sono da tempo praticanti di yoga per cui termini come chakra, prana, mantra, venti sottili, e tutte le forme di meditazione sono già familiari, inoltre come sapete nulla di ciò è diverso nelle molteplici tradizioni, non esiste diritto di proprietà di alcuno, in quanto tutti questi elementi sono parte della comune filosofia di vita, sono i costituenti naturali alla base di ogni pratica spirituale, della realizzazione della mente.
Lo yoga della mente fa scoprire la mente più sottile e dunque tutte le pratiche applicate ai vari livelli del corpo fisico, grossolano, sottile e ancora più sottile, su canali, chakra, venti, prana, rende possibile la realizzazione dello scopo comune nella mente di Chiara Luce.
La mente di Chiara Luce nel Buddhismo tibetano, in particolare nella tradizione Mahāmudrā e Dzogchen, si raggiunge solo tramite più passaggi nella meditazione, e il primo si sperimenta durante il risveglio. Le pratiche necessarie per rendere la nostra mente sempre più sottile sono dunque, meditazione, concentrazione, consapevolezza, yoga della mente.
La mente deve rimanere profondamente concentrata su se stessa al fine di giungere al riconoscimento della stessa propria mente, non di quella altrui.
Riconoscere la propria mente è avere la mente di Chiara Luce e per farlo occorre maturare la consapevolezza sottile che è imprescindibile dall’assoluta concentrazione sulla mente sottile.
Un oggetto sottile può essere osservato soltanto da un soggetto altrettanto sottile, e quando la nostra consapevolezza sulla mente diventa più sottile fa si che la mente grossolana si dissolva in essa e ci permetta di scendere, gradino dopo gradino, ad un livello ancora più sottile sino a giungere alla mente di Chiara Luce.
Non esiste un menù fisso per meditare, ognuno, individualmente, deve con concentrazione e consapevolezza osservare la propria mente, scendere, passo dopo passo a livelli sempre più sottili sino ad incontrare la propria realtà ultima.
La meditazione di Mahāmudrā o Dzogchen, non importa come la si etichetti, è la meditazione ultima, appropriata per se stessi. È dunque necessario praticare con pazienza e determinazione ogni passaggio, far assorbire la mente grossolana che si impone con prepotenza, nella mente sempre più sottile, scendendo lentamente gradino dopo gradino, non c’è altra via.
Ma non finisce qui il nostro compito, c’è ancora un problema da affrontare, quale? Quando parliamo di Chiara Luce dobbiamo sempre tener presente che presenta due aspetti, uno oggettivo e uno soggettivo.
Con il primo passo noi cerchiamo la Chiara Luce soggettiva, più limitata indubbiamente, ma indispensabile per potersi addentrare nei livelli più sottili sino a giungere alla visione della Chiara Luce oggettiva, cioè la mente di Chiara Luce che osserva la natura di vacuità della stessa mente di Chiara Luce, l’assenza dell’esistenza intrinseca.
Quando si giunge a questo punto vi è veramente una grande festa perché si assiste all’unione della Chiara Luce soggettiva con la Chiara Luce oggettiva. Non è un facile cammino che può procedere soltanto con gradualità consequenziale e non è concesso di saltare alcun passaggio.
È necessario concentrarsi, meditare con consapevolezza, conoscere prima di tutto la Chiara Luce soggettiva, per poi giungere a una visione completamente nuova di tutta la realtà, nella libertà della vita spirituale, nella luce oggettiva, e quando la Chiara Luce soggettiva e oggettiva si incontrano andiamo ancora oltre, un ulteriore passo nella conoscenza, siamo davvero giunti ad un livello di vita segreto.
Questo “matrimonio” di luce fa si che ne possiamo sperimentarne la visione durante il sogno. In questo stato di sonno, nel linguaggio del praticante yogi: “I have a dream” - Io ho un sogno - significa la celebrazione dell’unione tra la Chiara Luce soggettiva con la Chiara Luce oggettiva.
Questa pratica spirituale fa superare il limite della mortalità, libera dalla visione oppressiva e definitiva della morte, poiché il passaggio avviene in modo naturale senza blocchi, senza schiavitù.
Prima di sperimentare lo yoga del sogno è però necessario avere esperienza dello yoga del sonno, mantenere nel sonno la consapevolezza che sa riconoscere la Chiara Luce oggettiva.
Poi, durante il risveglio, bisogna mantenere la consapevolezza normale, la conoscenza della mente di Chiara Luce oggettiva e soggettiva, poiché questa è la sorgente dell’universo sperimentato da ognuno.
La sorgente del nostro universo è il punto di incontro tra la Chiara Luce oggettiva e la Chiara Luce soggettiva, il nostro compito è esattamente il saperla riconoscere nella sua unità e fino a quando non compiamo tale missione siamo senza radici, vagabondi nel samsāra.
La prima motivazione dunque è avere la consapevolezza della Chiara Luce oggettiva e soggettiva, un valore interiore di cui avere costante cura tramite la preziosa inscindibile unione tra cuore e mente, in assoluta sintonia e armonia.
La bellezza, il mistero, della nostra mente nasce dall’unione tra luce soggettiva e oggettiva, e quando riusciamo a vivere questa realtà siamo nella purezza della mente, nella purezza della natura che nella tradizione Vajrāyana è sperimentare il Mahāyāna nella pratica Mahāmudrā o Dzogchen, la Grande Completezza, ciò significa essere nella sorgente originale, non dualistica, della Chiara Luce.
Nel cristianesimo come si descrive questo fenomeno?
Risposta: Credo nell’unità di Padre, Figlio e Spirito Santo…
Lama: Lo Spirito Santo è lo spazio dell’infinita beatitudine, entrambe le visioni esprimono lo stesso concetto, cambia solo il linguaggio. Esiste un’unica natura del cuore umano, ogni descrizione, filosofia, spiritualità, le proprie tradizioni e modalità culturali sono visione dell’unico oggetto, comune a tutti. Adesso però la parola a voi per domande o riflessioni.
Domanda: Quando un individuo è concentrato su se stesso, la mente osserva la mente, e si ritrova in uno stato profondo in cui scompaiono tutti gli oggetti grossolani, propri ed esterni, c’è solo luce in cui tutto, e la persona stessa, vi si dissolve e allora non si vorrebbe più riemergere. Io faccio molta fatica a risalire al livello più grossolano, ordinario, vorrei sempre rimanere in questo stato, ma che devo fare?
Lama: Anche il ritorno al caos, alla materialità, è una capacità, fino a quando non riesci a stare nella quotidianità materiale con grande naturalezza e beatitudine, significa che la tua missione non è completata, non hai ancora realizzato la tua potenzialità interiore. Il valore della Chiara Luce deve essere visibile, riconosciuto ovunque in qualsiasi circostanza, ininterrottamente, anche nel caos. La tua esperienza è molto bella, un passaggio importante, che però deve essere vissuto senza attaccamento, quando riuscirai a staccarti da questa beatitudine interiore non avrai più alcuna resistenza nel rientrare nel caos totale.
Domanda: Posso cambiare il sogno? decidere cosa e come sognare? a me questo è successo in passato, dunque non è in sé indicativo perché ne scelgo io trama, oppure è profetico e indica in qualche modo eventi futuri? I due aspetti possono essere integrati o no?
Lama: Il sogno ha molteplici forme e può essere osservato da più punti di vista, interpretato secondo le diverse tradizioni, mistiche e culturali che in alcuni casi vi attribuiscono proiezioni nel futuro, oppure è focalizzato sullo stato mentale scientifico del soggetto. L’osservazione del fenomeno può prevedere infinite possibilità, ma ciò che conta davvero è non incrementare nessun tipo di attaccamento, questo è il vero pericolo. Centrare l’attenzione sui sogni attribuendovi valori mistici, profetici, o psicoanalitici, facilmente genera un’ossessione, una pericolosa bramosia che induce solo rischiosa confusione. Anche nel sogno si devono applicare i principi di Platone: Coraggio, Conoscenza e Prudenza.
Domanda: Noi per esistere veramente dobbiamo comunque andare in questo spazio di non esistenza, ma fa paura entrare in questo vuoto, quindi come si può fare?
Lama: Nel samsāra non è mai tutto lineare, senza scontri e la natura umana non può prescindere da essi, la nostra esistenza vi è pienamente immersa e proprio nei conflitti dobbiamo trovare la giusta via di mezzo, creare armonia, stabilità, pace. Questa sfida è inevitabile, è parte della nostra esistenza, non si può avere sempre il sereno e il sole, come dice il mahatma Gandhi l’importante è imparare a ballare anche sotto la pioggia.
Domanda: Ieri hai detto che il sonno è un fattore mentale oscurato, ma può essere definito anche un fattore mentale mutevole condizionato dalla motivazione in cui tu puoi decidere nel momento di addormentarti se sarà positivo, negativo o neutro?
Lama: Certamente, la motivazione è determinante.
Domanda: Quante vite occorrono per raggiungere l’obiettivo?
Lama: Prima di tutto dobbiamo comprendere che cos’è il tempo, perché noi vogliamo misurare ciò che alla fine non esiste e dunque non è quantificabile. Un secondo o un milione di anni sono la stessa cosa, questo è il grande segreto dell’universo. Noi definiamo il tempo secondo la condizione illusoria in cui ci muoviamo. La nostra mente confusa crea fenomeni inesistenti confondendoli con il reale. Nell’esistenza il tempo non c’è, un secondo è lo stesso di un milione d’anni, dunque non esiste la contabilità di quante vite siano necessarie, una vita, milioni di vite, questo è un grande inganno, un macroscopico errore contro l’umanità. Anche Einstein nella sua ricerca scientifica ha affermato che il tempo non esiste. Non ha senso dunque domandarsi quante vite occorreranno, l’illuminazione è qui e ora.
Intervento: Il tempo è percepito soltanto nel mondo convenzionale, illusorio. Il tempo non solo non esiste, ma è comunque sempre correlato allo spazio ed è costantemente soggetto alle variazioni della luce.
Lama: Nel buddhismo qualcuno afferma che l’illuminazione è immediata, avviene in un unico istante, altri invece sostengono che occorrono almeno tre eoni, eppure le diverse visioni non sono affatto contraddittorie, perché il tempo è identico, tre eoni o un istante sono esattamente la stessa cosa. Questo coincide con il concetto, fondamentale dell’impermanenza, tutti i fenomeni sono impermanenti, istantanei, senza tempo.
Intervento: Praticamente c’è solo il presente che è un istante, e noi cogliamo questo insieme di punti istantanei come realtà permanente, continua, concreta. Il Buddha aveva già scoperto quello che oggi è ribadito dalla scienza della fisica quantistica. La nostra visione dell’universo è pura illusione.
Domanda: La consapevolezza del sonno e del sogno va di pari passo con quella dello stato di veglia in cui è fondamentale la meditazione. Nel sonno e nel sogno è sufficiente la motivazione oppure è necessario qualcosa di più?
Lama: Tutto ciò che facciamo durante il giorno può essere approfondito nel sonno.









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Parte settima
Il potere dell’energia dell’insieme

Iniziamo la sessione, consapevoli che tutti sulla stessa barca stiamo attraversando un fiume con una precisa missione da compiere insieme, poiché la forza del gruppo, della comunità, degli amici, del Sangha è fondamentale.
L’unione dell’energia condivisa nella sua natura interdipendente e nata dall’insieme dei praticanti è davvero inesauribile forza, ma scompare altrettanto facilmente se c’è divisione tra gli individui.
Quando siamo riuniti con consapevole concentrazione e con un obiettivo comune questa energia sorge, si sviluppa in modo esponenziale e tutti ne godiamo i benefici che arricchiscono e potenziano il nostro valore, nell’armoniosa dignità, nello yoga dell’umanità.
Lo stare insieme è già in sé yoga che è consonanza e pratica a beneficio individuale e di gruppo e in tale interdipendenza armonica la vacuità della natura acquisisce un immenso valore e spazio, da una minima azione si possono ottenere enormi risultati e meriti e scaturisce in modo naturale l’ammirazione, l’apprezzamento gioioso per le azioni buone, positive, compiute da noi stessi e dagli altri.
In questo modo è possibile vivere realmente con pace e serenità e abbandonare il vecchio fardello di tristezza, angoscia, competitività, invidia, che ci rende costantemente insoddisfatti e infelici.
La consapevolezza permette di dimenticare gli inutili intralci da noi costruiti nel passato e ricordare soltanto ciò che è utile oggi e che ci fa rimanere nell’armonia stabile equilibrata e gioiosa. È importante avere la capacità, in totale consapevolezza, di saper dimenticare e ricordare.
La pratica di gioire, ammirare, apprezzare, ricordare il passato positivo ci consente di accrescere in noi i valori positivi e, al contempo, quella di dimenticare, di lasciar andare tutto ciò che invece è stato un impedimento assolutamente inutile, è un modo per purificare il karma negativo.
Ieri parlavamo dello yoga, che significa meditazione, e la meditazione è semplicemente l’unione consapevole e armoniosa tra mente e cuore.
Lo yoga produce felicità e per mantenerlo costante nella nostra vita è necessario porsi incessantemente la domanda: “che cos’è la felicità?”, poiché questa stessa domanda è il motore di ricerca della felicità.
Nel buddhismo tutto è compreso, così come indicato nell’indirizzo delle sei pāramitā - generosità, compassione, amore - etica, moralità - pazienza - perseveranza entusiastica, meditazione - concentrazione, saggezza, conoscenza della realtà ultima.
Con etica, meditazione, concentrazione e saggezza, si creano i presupposti per una vita sana, il cammino spirituale proficuo indicato dal Buddha e contenuto nei tre gruppi di insegnamenti: Abhidharmapitaka, Sūtrapitaka e Vinayapitaka.
Facile no? Nel buddhismo non c’è nulla di segreto, tutto è semplice e chiaro, accessibile a chiunque.
La motivazione è il motore che attiva lo yoga del sonno e determina sogni significativi, salutari, tranquilli. Che cos’è, come deve essere, la più grande motivazione?
Risposta: L’amore…
Lama: Perfetto, l’amore universale, la grande compassione, la bodhicitta, la rinuncia, la conoscenza, la saggezza, tutto insieme crea una motivazione incrollabile che imprime una grandissima potenza al nostro cammino nello yoga e nella meditazione, per questo lo yoga del sogno si basa si di essa.
L’obiettivo dello yoga del sogno è realizzare la mente di Chiara Luce e la domanda a questo punto è: - dove cercarla? - non può esserci risposta al di fuori della stessa consapevolezza della mente della Chiara Luce.
La mente della Chiara Luce è già in ognuno di noi, ciò che fa la differenza è averne consapevolezza o meno, e qui si comprende l’importanza dello yoga che in totale armonico accordo accompagna all’unificazione dell’essenza della mente di Chiara Luce con la consapevolezza della stessa.
Il nostro compito dunque è aprire il collegamento tra la consapevolezza della mente di Chiara Luce e la sua essenza, una ricerca che parte dalla nostra fisicità, iniziando dal livello più grossolano per raggiungere quelli sempre più sottili, aprire i chakra, lasciar scorrere i venti. Nel Vajrāyana tutto questo è raccolto nell’essenza dell’indistruttibile corpo, indistruttibile mente, indistruttibile spirito, diventando così il prezioso limpido, puro diamante.
Addentrandosi nella mente sempre più sottile si giunge alla mente più segreta, ultima, un percorso che dissolve uno dopo l’altro i livelli grossolani, palesi e in unione con la consapevolezza scopre la mente di Chiara Luce soggettiva.
Avendo realizzato il primo obiettivo tramite questo percorso laborioso e lento in cui nessuna tappa può essere saltata si passa ad un altro gradino di yoga, l’unione tra la mente di Chiara Luce soggettiva e quella oggettiva. La mente di Chiara Luce oggettiva è la vacuità della mente di Chiara Luce perfettamente pulita, limpida, trasparente, flessibile, libera, priva di caratteristiche, di costruzioni esterne e la sua azione consiste nel riflettere la realtà ultima della sua natura che è la vacuità della mente di Chiara Luce.
Per ottenere l’unione tra le due essenze della mente di Chiara Luce, quella soggettiva deve realizzare, diventare, la vacuità di quella oggettiva.
La mente di Chiara Luce è unica, ma presentata in queste due essenze può essere penetrata, compresa nella sua completezza e inscindibilità tramite la conoscenza più profonda, familiare della sua realtà ultima, la vacuità.
Sinora abbiamo cercato la mente, trovandola infine nella Chiara Luce, e il passaggio immediatamente successivo pone un’altra inevitabile domanda: “qual è la sua natura ultima?” - È la sua stessa vacuità - la conoscenza della propria natura ultima.
Non è facile comprendere questa realtà, ma il nostro compito oggi è proprio quello di unire le nostre energie con la conoscenza comune grossolana cercando di renderla sempre più sottile e riflettere, meditare insieme sulla vacuità, sulla domanda: “che cos’è la realtà ultima della nostra mente? dove si trova?”.
Per disporci correttamente a questa meditazione dobbiamo iniziare con la lettura concentrata del sūtra del cuore, Prajñāpāramitā. Poi ripeteremo il mantra alcune volte e infine meditiamo nel silenzio.
Intervento: Alla fine l’obiettivo ultimo è sempre quello di unificare nell’Uno e il tutto, per cui esiste un momento finale in cui contemporaneamente la mente, la Chiara Luce e il vuoto sono la stessa cosa e in quell’istante sorge spontaneamente la compassione.
Lama: Bene, ascoltiamo il sūtra del cuore e meditiamo.



Il Cuore del Cuore - della Perfezione della Saggezza
Il titolo sanscrito è : Bhagavati Prajna Paramita Hrdaya

La traduzione italiana di questo testo, con le note, è stata redatta dall’ Istituto Lam Rim di Roma dal testo originale in tibetano e con l’ausilio delle traduzioni inglesi.

Così una volta udii:
Il Bhagavan dimorava a Rajagrha, presso il Picco dell’Avvoltoio, con un gran numero di Arhat e un gran numero di Bodhisattva e a quel tempo il Bhagavan era entrato nell’assorbimento meditativo sulla varietà dei fenomeni chiamato “percezione profonda”. In quello stesso tempo, l’arya Avalokiteśvara, il Bodhisattva mahasattva, era assorto nella stessa pratica della profonda perfezione della saggezza e vide che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca.
Quindi, tramite l’ispirazione del Buddha, il venerabile bikshu Śāripūtra si rivolse all’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva e gli disse: “come deve addestrarsi un figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza?”
Quando fu detto questo, l’arya Avalokiteśvara, il Bodhisattva mahasattva, rispose al venerabile bikshu Śāripūtra e disse: “Śāripūtra, ogni figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza, dovrebbe vedere chiaramente nel seguente modo: dovrebbe vedere distintamente che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca”.
“La forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che forma, la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza. Quindi, Śāripūtra, tutti i fenomeni sono vacuità; essi sono privi di caratteristiche peculiari; non sono nati, non cessano; non sono contaminati, non sono incontaminati; non sono incompleti e non sono completi.”
“Quindi, Śāripūtra, nella vacuità non c’è forma, né sensazioni, né percezioni, né formazioni mentali, né coscienza. Non c’è occhio, né orecchio, né naso, né lingua, né corpo, né mente. Non c’è forma, né suono, né odore, né gusto, né oggetti concreti, né oggetti mentali. Non c’è nessun elemento visivo, così fino a nessun elemento mentale fino a includere nessun elemento della coscienza mentale. Non c’è ignoranza, non c’è estinzione dell’ignoranza, e così fino a nessun invecchiamento e morte, e nessuna estinzione dell’invecchiamento e della morte. Allo stesso modo, non c’è sofferenza, origine, cessazione o sentiero; non c’è saggezza, né ottenimento e neppure mancanza di ottenimento.”
“Quindi, Śāripūtra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti, si basano e dimorano nella perfezione della saggezza. Non avendo oscuramenti nelle loro menti, essi non hanno paura, ed essendo andati totalmente oltre l’errore, essi raggiungono la meta finale: il nirvana. Tutti i Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto il pieno risveglio dell’insuperabile, perfetta illuminazione, basandosi su questa profonda perfezione della saggezza”.
“Quindi, si dovrebbe sapere che il mantra della perfezione della saggezza – il mantra della grande conoscenza, il mantra supremo, il mantra uguale a ciò che non ha uguale, il mantra che fa tacere tutte le sofferenze – è vero perché non è ingannevole. Si proclama il mantra della perfezione della saggezza:
TADYATHA GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
Śāripūtra, così i Bodhisattva mahasattva dovrebbero addestrarsi alla profonda perfezione della saggezza”.
Quindi, il Bhagavan si svegliò dal suo assorbimento meditativo e lodò l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, dicendo che era eccellente.
“Eccellente! Eccellente! Figlio del lignaggio dei Bodhisattva, è proprio così; dovrebbe essere così. Bisogna praticare la profonda perfezione della saggezza proprio così come hai rivelato. Perciò anche i Tathagata se ne rallegreranno”.
Come il Bhagavan pronunciò queste parole, il venerabile bikshu Śāripūtra, l’arya Avalokiteśvara, il Bodhisattva mahasattva, insieme all’intera assemblea, inclusi i mondi degli dei, degli umani, degli asura e dei gandharva, tutti gioirono e lodarono ciò che il Bhagavan aveva detto.
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Ripetizione del mantra:

OM GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA

Attraverso il potere della grande verità delle parole dei tre gioielli possano tutte le condizioni avverse essere superate, possano essere eliminate, possano essere pacificate.
Possano tutti i mali, come i nemici, gli ostacoli gli impedimenti e le condizioni avverse svanire.
Possano gli ottantamila tipi di ostacoli essere pacificati.
Possiamo noi essere liberati dalle condizioni avverse e nocive.
Possa essere ottenuta ogni cosa favorevole e sotto i buoni auspici possa esservi felicità eccellente qui ed ora.”

Meditiamo ora immaginando la nostra mente di Chiara Luce in unione con la vacuità della mente di Chiara Luce e trasformiamo nell’Uno, unica natura della mente nel cuore del Vajra, il cuore indistruttibile del diamante, la natura di beatitudine della vacuità, un cuore infinito di gioia, felicità per il beneficio di tutti gli esseri senzienti, nello spirito del valore degli Otto Versi di Trasformazione della Mente

(segue lettura della preghiera)

Recitiamo ora una mala con la ripetizione del mantra della compassione:

OM MA NI PADME HUM

Grazie.








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Parte ottava
La funzione dei Preliminari

Nella pratica della mente di Chiara Luce, dobbiamo sempre ricordarne le due realtà - soggettiva e oggettiva - due aspetti separati, ma inscindibilmente interconnessi, realizzando la mente di Chiara Luce soggettiva si giunge alla riunificazione di entrambe, si realizza lo yoga della mente di Chiara Luce oggettiva e soggettiva, in una unione non dualistica nella beatitudine della vacuità.
La definizione di beatitudine in questo contesto è la realtà della vacuità. Nella percezione della natura vuota di ogni fenomeno si sperimenta una beatitudine infinita ultima realizzazione della realtà della nostra essenza.
Non esistono parole adeguate per definire Dio, Buddha, Vacuità, tutti fenomeni infiniti che esulano da ogni possibile descrizione, inevitabilmente limitata, del linguaggio e della concezione della mente ordinaria, la sola possibile conoscenza è data unicamente dalla propria profonda esperienza interiore che è il valore incommensurabile dell’umana esistenza.
Non a caso nella pratica del Dharma il primo preliminare è imperniato sul significato della vita umana, tutto deve partire da questo punto poiché è l’obiettivo ultimo, la realizzazione del cammino spirituale.
I preliminari percorrono uno alla volta i passaggi necessari alla propria realizzazione, il primo è cogliere appieno la preziosità di questa esistenza, il secondo riconoscerne l’impermanenza, il terzo la consapevolezza della legge di causa effetto, cioè il karma, e il quarto la corretta visione del samsara, del mondo illusorio. Queste quattro fasi sono i passaggi obbligati per tutti i praticanti, sia per coloro che seguono il sentiero del Sūtra che per coloro che percorrono quello del Vajra.
Il sentiero del Dharma comincia dal riconoscimento della preziosità della vita umana e il fine ultimo del percorso spirituale è la realizzazione del suo valore e a tale scopo sono necessari i quattro preliminari come le altre pratiche comuni che ci accompagnano nel cammino a noi più consono, sia quello dei sūtra che quello del diamante.
Alla base del sentiero del Buddha Dharma vi è la prima pratica di base che consiste nella presa di rifugio nei tre gioielli, si procede poi nella contemplazione dei sette rami in cui tutto è contenuto, l’accumulazione dei meriti nella generosità, nel rispetto, nell’offerta di sé per generare la bodhicitta, e poi, con l’offerta del mandala, avviene la purificazione nella pratica del Vajrasattva, che ripulisce il nostro continuum mentale.
Infine la pratica del Guru Yoga, ma che significa? Lo sapete?
Risposte: - Passaggio dalle tenebre alla luce…; - questa potrebbe essere una interpretazione, ma si potrebbe intendere anche come origine della propria guarigione o come detta in sanscrito antico “pesante in-gentilezza”
Lama: Nel buddhismo vi sono otto pratiche di base, quattro preliminari generali e quattro particolari, e non hanno altro scopo che realizzare l’essenza della vita umana.
Il punto fondamentale da cui tutto sorge e dipende è il riconoscimento della preziosità della vita umana così da giungere, alla fine del viaggio, alla realizzazione della sua essenza, del suo senso autentico, del suo valore, non c’è altro.
Nella tradizione tibetana del Vajrāyana la pratica del Guru Yoga è molto importante, è centrale, la più elevata, è la pratica di Luce, di Mahāmudrā, dello Dzogchen è realizzare l’unione della propria mente con la verità ultima, la vacuità della mente di Chiara Luce.
La vacuità è sorgente del prajñāpāramitāsūtra o sūtra del cuore, radice della pratica di Mahāmudrā, del Lam Rim, dello Dzogchen.
Il sūtra del cuore è importantissimo, completo, non manca nulla, vi è un commentario esaustivo che potete consultare nel mio blog, però ora affrontiamo solo l’aspetto della vacuità della mente. Il primo pensiero del Buddha, subito dopo l’illuminazione, fu su come condividere una rivelazione così sostanziale con gli altri. Una realtà tanto profonda non era comunicabile con le parole e dunque il Buddha rimase circa sette settimane in silenzio in ricerca. Da tale meditazione emerse l’espressione profonda, pacifica, impercettibile, permeata di Chiara Luce, della vacuità di tutti i fenomeni.
La vacuità non è il vuoto, il nulla, il non esistente, la vacuità è la natura profonda pacifica, indicibile, che trasforma ogni fenomeno nella purezza, nella sua realtà ultima.
Per poter osservare la vacuità è necessario procedere con coraggio, conoscenza e prudenza, altrimenti si cade in equivoci gravi e pericolosi, soltanto purificando la nostra mente, abbiamo la possibilità di vedere la purezza dell’universo nella sua realtà ultima.
La vacuità dunque non ha nulla a che fare con vuoto o con pieno, è la natura del Buddha che tutti possediamo nella purezza del nostro cuore.
Domanda: Avrei una domanda sull’argomento precedente, a proposito delle intenzioni. Molti Santi e Buddha hanno espresso il desiderio di non andare nel nirvāna alla morte del corpo, ma di rimanere per aiutare l’umanità, e io allora chiedo, dove sono? in un luogo particolare? in una terra pura? in qualche Buddha? Come possono aiutare gli esseri?
Lama: Questo desiderio è l’ideale del Bodhisattva che ha realizzato la mente di bodhicitta, ma non ancora la realtà del nirvāna, la liberazione completa dal samsāra. I Bodhisattva hanno due possibilità: una è procedere nel cammino verso l’illuminazione senza raggiungere la liberazione individuale, oppure possono lasciare il percorso di bodhicitta, ormai realizzata e giungere direttamente alla completa liberazione individuale, ma a questo punto non è più possibile un ritorno alla condizione precedente.
Per queste diverse impostazioni i Bodhisattva vengono descritti come pastori, come capitani, o come re. Il Bodhisattva re affronta prima tutti i problemi direttamente, camminando davanti a coloro che lo seguono; il Bodhisattva pastore invece vuole mandare avanti gli altri e ottenere prima la loro liberazione, mentre lui resta ultimo; il Bodhisattva capitano procede a fianco degli altri e tutti insieme giungeranno alla liberazione.
Tutti i Bodhisattva hanno il coraggio di vivere nella piena condizione samsarica ed è difficile individuarli, non vi è alcuna tipologia di riconoscimento, né segni particolari, la differenza è racchiusa nel loro cuore, null’altro, ogni ulteriore fantasia è pura illusione. Tutti noi possiamo vivere nel samsāra e nel più elevato livello spirituale.
Intervento: Volendo dare un’interpretazione scientifica, anche se forse un po’ azzardata, della vacuità, io ho sempre pensato che il mondo convenzionale, apparente e che comunque rispetta le leggi della fisica classica in cui prevale il fenomeno di causa effetto, sia il mondo del Nirmānakāya in cui tutti siamo prigionieri di un sogno che ci presenta come concretamente reale ciò che non è. Però esiste un altro livello che con la meditazione e l’introspezione mentale permette la visione da un punto di osservazione più vasto anche se non ancora completo ed è il livello di Sambhogakāya. Ma esiste una ulteriore sottigliezza della realtà che noi sperimentiamo comunemente nella legge di causa effetto ed è quella definita campo quantico, un mondo di relazione in cui non c’è nulla che può essere misurato né definibile come vuoto o pieno. Nulla può essere osservato secondo la logica consueta, è il livello del Dharmakāya che penetra ovunque in noi assimilandoci a tutti i fenomeni in sé vacui in cui si realizza quello spazio infinito in cui tutto è possibile.
Lama: La vacuità è potente, la forza del vacuo è la più grande forza. Il nostro compito è realizzare la vacuità della mente di Chiara Luce.
Volendo dunque riassumere le nostre riflessioni in relazione allo yoga del sogno, constatiamo che queste pratiche in tutte le fasi del sonno, del sogno e del risveglio e infine della morte sono il cammino verso la Chiara Luce.
Lo yoga è ininterrotto, non ha scadenze, è la pratica del raggiungimento della beatitudine. Lo yoga del sogno continua nello yoga della morte, lo yoga della morte continua nello yoga della rinascita.
Lo yoga imprime il valore di un’esistenza vivibile in piena autonomia, nelle proprie scelte consapevoli e sagge di sofferenza e felicità, nell’unione di cuore e mente nella vacuità della mente di Chiara Luce.
Nello yoga vi è dunque continuità tra lo stato di ogni fase della nostra esistenza, di veglia, di sonno e anche di morte, è una consapevolezza ininterrotta che deve essere mantenuta in tutto.
Io concluderei qui la presentazione del nostro tema, dobbiamo solo praticare di quanto abbiamo approfondito insieme e ora lascerei a voi la parola per condividere le vostre esperienze.

Seguono dunque i ringraziamenti individuali al maestro e unanimemente è espresso l’auspicio di poter ricevere regolarmente ulteriori insegnamenti.
Il seminario è concluso.


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