Saturday 14 March 2020

LA PRATICA DELLO DZOGCHEN 2°






LA PRATICA
DELLO DZOGCHEN


Geshe Lharampa Gedun Tharchin
Sassari
17,18,19 gennaio 2020

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Oggi cercheremo insieme il nuovo modo significativo, gioioso, di vivere, di essere, di relazionarci qui e ora, imparando ad elevarci nella libertà ad uno stato che va al di là dei condizionamenti, della sofferenza, delle illusioni del mondo dualistico. Dobbiamo imparare a non farci ingannare da una concezione di tempo che è intrinsecamente inesistente e che invece rincorriamo ininterrottamente sprecando la vita perché non sappiamo mai riconoscere l’essenza e il valore incommensurabile e infinito del presente, di ciò che stiamo vivendo qui e ora.
Se comprendiamo l’essenza reale del tempo comprendiamo il valore della nostra vita, indipendentemente da quella assurda misurazione di cui siamo schiavi e non importa che a noi appaia lunga o corta, ciò che è infinito è il presente, questa è la vera libertà dall’ignoranza che produce sofferenza e la mente umana che riesce a percepire correttamente il tempo, possiede tutta la potenzialità per trasformare la realtà.
Nessuno può decidere a priori ciò che è vero e ciò che non lo è, non esiste una percezione oggettiva della realtà perché questa può essere solo soggettiva. Lo stesso fenomeno è percepito in modo differente da diversi soggetti e questa è la condizione che la filosofia buddhista definisce realtà convenzionale, relativa, e che dipende esclusivamente dalla interiorità personale. Ma proprio avendo coscienza di questa potenzialità infinita della nostra mente siamo in grado di trasformare la realtà convenzionale e di saper osservare e comprendere la realtà assoluta, ultima, la vacuità.
Sono due i modi osservazione della realtà, il primo è la nostra stessa mente che è paragonabile all’occhio che vede, mentre il secondo è riconoscere che tutte le facoltà mentali che scaturiscono da questa mente sono come gli occhiali che, in base alle diverse colorazioni e tipologia delle lenti, riflettono le qualità mentali maturate e che proprio grazie a queste lenti noi possiamo trasformare.
La mente osserva la realtà convenzionale, mentre le qualità mentali sono le potenzialità che ci mettono nella condizione di trasformare quella stessa realtà secondo una visione più chiara che ci permette di distinguere, di scegliere, di non prendere tutto, ma di selezionare e raccogliere solo ciò che ci fa bene neutralizzando tutte le inutili emozioni distruttive, la confusione, che ci fa immergere nell’illusione di una visione distorta.
Ad esempio noi aspiriamo alla compassione, ma sarebbe uno spreco di energia davvero sciocco pensare di poter maturare in un poderoso sforzo di volontà la compassione del Buddha, mentre con i giusti occhiali, con le lenti adeguate alla nostra vista, possiamo realizzare il livello di compassione a noi possibile, tramite la meditazione, la conoscenza della nostra mente.
Solo con la meditazione noi possiamo trasformare la realtà, perché ci liberiamo dai condizionamenti delle emozioni che ci bloccano, e siamo così in grado di osservare nella pace profonda, averne la giusta intuizione, questa è la grande capacità della mente umana che, come ci ha ricordato mirabilmente Buddha Skyamuni e Je Tsongkhapa, è ciò che permette di superare la radice di tutta la sofferenza del mondo, l’ignoranza fondamentale, i fraintendimenti sorti dalla mancanza di consapevolezza, dall’incapacità di vedere oltre l’illusione e di comprendere.
Nella trasformazione della mente otteniamo la corretta visione dei fenomeni, non più osservati isolatamente come entità totalmente autonome, ma riconoscendoli nella loro vera natura di interdipendenza. Non esiste alcun fenomeno nell’universo che possa esistere in modo indipendente, ma ogni elemento è collegato al tutto, è interconnesso, interdipendente, e in questa consapevolezza ci appare con evidenza e chiarezza la non rigidità dei fenomeni e le infinite possibili sfaccettature, questo significa conoscere la propria mente libera dall’ignoranza, è lo Dzogchen, la semplice contemplazione naturale, la grande perfezione. La mente è già perfetta in sé, soltanto è necessario liberarla da tutte le illusioni fuorvianti proposte dall’esterno, da tutte le illusioni di rituali, coreografie fantasiose e bizzarre, promesse di facile e veloce illuminazione acquisita quasi per magia.
La scienza della mente ci mostra che essa è già perfetta in sé, la dobbiamo solo scoprire, conoscere, così da poter trasformare la realtà, questa è l’illuminazione, capire che abbiamo tutte le potenzialità nelle nostre mani.
La perfezione non è qualcosa che può pioverci addosso dall’esterno, qualcosa di oggettivo immobile, no, la perfezione è solo interiore, della mente consapevole che conosce se stessa ed è in continua evoluzione, mai ferma su rigide posizione statiche.
La trasformazione della visione ordinaria in visione straordinaria, superiore, non dipende certamente dall’organo della vista, ma dalle illimitate facoltà della mente che osserva la realtà nella sua vera essenza e non della apparenza immediatamente, ordinariamente e superficialmente percepita.
Per trasformare la realtà che non è mai ferma, ma è in costante cambiamento, evoluzione, dobbiamo maturare una visione intelligente, flessibile, consapevole, frutto della conoscenza della nostra mente primordiale, non inquinata, la mente di Dzogchen, la mente di grande perfezione, non giudicante, ma chiara, luminosa, aperta e su questa visione fondare la nostra esistenza poiché nulla, nemmeno il più infinitesimo organismo cellulare è isolato, fermo, ma tutto è interdipendente, interconnesso in un movimento infinito da cui sorge la stessa vita. Questa è la visione profonda che nella concentrazione penetra l’essenza di ogni realtà, di ogni fenomeno. Quando noi osserviamo un fiume lo vediamo sempre allo stesso modo, ma in realtà l’acqua che scorre non è mai la stessa e ad ogni istante muta costantemente da milioni di anni e questa è la realtà dei fenomeni. Vivere nella visione profonda del sé, nella purezza della mente, è essere nel samādhi e l’unico potente mezzo per addentrarci in essa è la meditazione sul respiro, il ritmo che scandisce la vita stessa.
La nostra mente è pura da tempo senza inizio e noi dobbiamo solo saper riconoscere la sua grande perfezione che nei bambini avviene in modo naturale, poi man mano cresciamo e accumuliamo conoscenze ed esperienze noi la inquiniamo con false protezioni rimanendo così sempre più soffocati sotto strati e strati di coperte pesanti che impediscono ogni vera visione pura.
Un secondo aspetto della mente primordiale è la capacità di realizzare i propri obiettivi, il percorso della vita, in modo spontaneo, il che non significa soddisfare qualsiasi desiderio passi per la testa, ma soltanto quelli proficui alla propria crescita umana.
Una terza caratteristica è la naturale gentilezza, l’amore, la compassione che la mente pura riflette come specchio offrendo nella riflessione la giusta risposta ad ogni domanda che la vita propone, il vero percorso da affrontare nel preciso momento in cui si presenta. Scoprire la perfezione in ogni cosa realizzando così la perfezione nell’imperfezione del mondo, in totale armonia.
Questo è il più grande dono dell’umanità, la grande perfezione della mente pura primordiale che viene denominata in vari modi, a seconda delle diverse scuole del buddismo tibetano, è detta Dzogchen, Mahāmudrā, Rigpa e altro ancora, tutte terminologie che definiscono la stessa unica realtà e il nostro lavoro dunque deve essere sopratutto indirizzato allo sviluppo della conoscenza autentica della nostra mente.
Lo Dzogchen in generale si basa sull’Atiyoga che è l’ultimo dei nove yoga, o yāna o sentieri e indica il veicolo supremo, più diretto, però ciò non significa che sia superiore ad altri, l’obiettivo è uno solo, il punto di arrivo che però si può raggiungere su strade e con mezzi diversi, l’importante è sapere qual è il veicolo a noi più confacente in base a come siamo, all’attitudine profonda, alla nostra capacità, personalità, maturazione, preparazione, dobbiamo scegliere il mezzo più idoneo che può essere la bicicletta, l’auto, il treno regionale per assaporare il paesaggio o quello ad alta velocità e infine il mezzo ancor più rapido, l’aereo. Non esiste un veicolo migliore dell’altro, tutti si equivalgono in quanto abili a raggiungere la stessa meta, ciò che conta è conoscere se stessi e scegliere quello a noi più consono e adeguato.
I nove veicoli sono suddivisi il tre categorie, la prima è relativa alla pratica comune ed è adatta a tutti i praticanti e in questa il primo sentiero è quello del gruppo degli Śravakayāna, gli Uditori, cioè di coloro che insieme si accostano alla pratica e necessitano di un maestro, di una guida da ascoltare, da seguire; il secondo passaggio è quello della meditazione concentrata sul singolo punto per approfondire la ricerca della visione profonda dei cinque aggregati del sé: «forma, sensazione, percezione, formazioni mentali, coscienza», che sono importantissimi perché includono tutti i fenomeni. Il terzo sentiero è la meditazione sulle quattro nobili verità, il primo e fondamentale insegnamento del Buddha trasmesso oralmente e direttamente e l’unico di cui siamo sicuri perché mai soggetto a differenti interpretazioni nelle varie scuole sorte successivamente sia in Tibet che negli altri paesi in cui si è diffuso il buddismo, questo insegnamento è rimasto immutato per tutti.
La prima nobile verità, della sofferenza, è una realtà onnipresente, da mattina a sera non manca mai, ed è dunque necessario averne coscienza, osservarla e conoscerla, senza sprecare energie in sciocchi e inutili tentativi di combatterla, di respingerla, perché questo è impossibile e ne aumenta il peso. È necessario avere consapevolezza che tutto, anche ogni godimento, è intriso di sofferenza, noi infatti gustiamo con gratitudine un buon cibo perché siamo ben consapevoli della sofferenza della fame, della sete. La prima importante meditazione che dobbiamo fare è sulla sofferenza, dukkha in sanscrito, che non può essere evitata rinnegata come se non esistesse perché è sempre presente in ogni fenomeno e quindi dobbiamo essere capaci di accoglierla, osservarla, conoscerla, comprendere la sua realtà ultima.
Qual è la realtà ultima della sofferenza? e perché è indispensabile conoscerla? La verità della sofferenza non è il dolore in sé, ma la sua realtà ultima è lo stato di non-sofferenza che possiamo scoprire solo meditando sulla sofferenza, una condizione per noi concretamente reale. Non serve infatti meditare su entità astratte o lontane che in realtà non conosciamo davvero, è inutile meditare sul Buddha o su Dio, mentre il dolore è in noi, lo dobbiamo conoscere, questa è la meditazione davvero efficace. La conoscenza profonda della sofferenza è il vero rimedio.
La seconda nobile verità, meno immediatamente riconoscibile, è quella delle cause della sofferenza. La dottrina individua una prima origine nel karma, un argomento che già di per sé richiederebbe analisi infinita, un secondo motivo è costituito dai cosiddetti assistenti del karma, i difetti mentali, l’oscurazione determinata dalla pigrizia che scaturisce direttamente dall’ignoranza. Noi soffriamo realmente soltanto se gestiamo male la sofferenza, perché altrimenti la sofferenza stessa può divenire risorsa. Se conosciamo le condizioni che ogni giorno la vita ci presenta, i problemi da affrontare, uno dopo l’altro, con ordine, calma, intelligenza, non soffriamo in modo caotico e confuso il dolore, ma conoscendo la sua causa possediamo le giuste indispensabili premesse per trasformarlo realmente in risorsa e per fare questo è fondamentale superare l’ignoranza e non crogiolarsi nella consueta pigrizia mentale, è infatti facile e allettante affidarsi a un maestro, ad un insegnamento esterno senza mai analizzare realmente la veridicità di quanto detto e sognare, standosene comodamente nel nostro soffice divano, il nirvāna ottenuto magicamente grazie alla benedizione di chissà quale grande guru o tramite complessi quanto incomprensibili rituali che si vogliono credere in nome di una fede sonnacchiosa senza nemmeno tentare di capire se hanno davvero senso o no, ma i difetti mentali possono e devono essere superati soltanto tramite la volontà di conoscere la sofferenza di cui essi stessi sono intrisi.
La terza nobile verità è la verità della cessazione della sofferenza già insita nella potenzialità della sofferenza stessa, che può superare se stessa unicamente nella conoscenza della sofferenza e delle sue cause e nella realizzazione della sua realtà ultima.
La quarta nobile verità è la verità del sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza, e cos’è questo sentiero? è la sofferenza stessa da cui è impossibile fuggire, è inutile e deleterio negarla, la si deve invece guardare in faccia senza paura, viverla, meditarla e conoscerla. Questo è il sentiero che parte dalla sofferenza e porta alla verità della sofferenza.
Noi viviamo nel samsāra e dunque non esiste nulla che non sia impregnato di sofferenza, dukkha, che possiede in sé la causa della sofferenza, la sua cessazione e il sentiero che porta alla sua stessa cessazione.
Questa è la pratica adatta a tutti, principianti e meditatori avanzati ed è certamente la più indicata e sufficiente per gli uditori, è assolutamente completa in sé ed è la base necessaria per raggiungere qualsiasi livello di profondità fino al nirvāna, lo stato di cessazione della sofferenza.
Altra pratica molto importante è la semplicità, nella via di mezzo, evitando gli estremi, mai troppa abbondanza e nemmeno stato di miseria, ma una vita armoniosa con il necessario. Alla fine, meditando con concentrazione. diminuiscono i difetti mentali, e nella conoscenza delle quattro nobili verità si giunge al nirvāna, lo stato di cessazione della sofferenza e questo è il primo dei nove veicoli, la pratica adatta, perfetta per tutti noi. Il nirvāna è lo stato di illuminazione che produce felicità cioè la cassazione della sofferenza nella sua natura ultima.
Abbiamo analizzato il primo veicolo, quello degli uditori, che necessitano di una guida e di un gruppo e la cui pratica principale è quella delle quattro nobili verità praticando il percorso dei dodici anelli per giungere al nirvāna che non è altro che la verità ultima della sofferenza, la sua cessazione.
Ora possiamo avanzare di un gradino ed entrare nel secondo veicolo, quello dei praticanti solitari, Pratyekabuddhayāna, più forti, intelligenti e autonomi e che non hanno bisogno di nessuna guida, ma ascoltano il maestro interiore. Questi praticanti approfondiscono la meditazione sulla vacuità del sé. Ogni problema nasce dalla ingannevole presenza di questo onnipresente io, tutto vi ruota intorno, tutto è io e mio impedendo in questo modo ogni possibilità di procedere verso l’illuminazione. Conoscere l’io significa maturare con saggezza la conoscenza della vacuità sé. Il lavoro di ricerca dell’io è fondamentale perché più lo si rincorrere e più ci si accorge che è introvabile, che non esiste da nessuna parte, è solo una prepotente ingannevole fantasia.
Noi siamo inevitabilmente soggetti a tutti condizionamenti del samsāra, ma questo non deve assolutamente essere considerato un fatto negativo, è la nostra stessa esistenza. Samsāra e nirvāna non sono due entità distinte, ma aspetti della stessa realtà così come vita e morte, il nirvāna è già qui nel samsāra e dipende solo da noi, dal lavoro interiore, dalle scelte, dalla consapevolezza, la nostra capacità di riconoscere questa realtà accoglierla gioiosamente nella sua interezza. Nessuno ci salverà magicamente dall’esterno, nemmeno il Buddha o il più grande miracolo, soltanto noi possediamo già tutte le potenzialità per realizzare samsāra e nirvāna dalla nascita alla morte, non serve null’altro e dunque l’insegnamento necessario è il silenzio. Per conoscere il sé che vive pienamente samsāra e nirvāna ci si deve semplicemente allontanare da ogni distrazione, da tutto, e raccogliersi nella meditazione silenziosa.
Il terzo veicolo è quello dei Bodhisattvayana, l’attitudine mentale che va oltre la naturale e necessaria compassione e amore che tutti i praticanti devono porre al primo posto, è il desiderio illimitato di offrire completamente agli altri se stessi, la propria vita, senza trattenere nulla, prendendo su di se il dolore del mondo e offrendo in cambio a tutti la propria gioia, il proprio benessere. Abbiamo esempi evidenti di Bodhisattva, Gesù, Buddha, Gandhi è moltissimi altri in ogni ambito non solo religioso, anche sociale, umano e nelle stesse famiglie ci sono mamme autentiche Bodhisattva. I Bodhisattva dedicano completamente la vita e se stessi per portare tutti gli esseri senzienti nello stato di illuminazione e sono consapevoli che per poter raggiungere questo obiettivo devono prima di tutto realizzare loro stessi l’illuminazione.
È un lavoro immenso, ma ciò che conta è l’attitudine mentale, la volontà e la concentrazione poste in ogni atto compiuto a questo scopo. La loro meditazione comprende quelle già viste nei primi due livelli, le quattro nobili verità e la ricerca del sé così da dimostrare inequivocabilmente la prova della sua non esistenza e, infine lo sviluppo della Grande Compassione.
Per comprendere meglio quanto detto finora leggiamo insieme l’importantissimo insegnamento tibetano dato dall’erudito monaco Lobsang Tsong Khapa a Tsa Kho Vonpo Ngawang Drakpa:
I tre Aspetti Principali del Sentiero

Spiegherò, come meglio posso,
il significato essenziale di tutte le Scritture del Buddha,
il sentiero lodato dagli eccellenti Bodhisattva,
la via d’accesso per il fortunato che anela alla liberazione.

Coloro che non sono attaccati ai piaceri dell’esistenza mondana,
coloro che si sforzano per rendere utili le circostanze favorevoli e la fortuna,
coloro che propendono per il sentiero che compiace Buddha ,
questi fortunati dovrebbero ascoltare con mente attenta.

Senza una rinuncia completamente pura,
non vi è modo di frenare l’ardente ricerca di piaceri nell’oceano dell’esistenza.
Inoltre, l’attaccamento all’esistenza ciclica imprigiona completamente gli esseri incarnati.
Quindi, sin dall’inizio, bisognerebbe cercare di realizzare la rinuncia.

Le circostanze favorevoli e la fortuna sono difficili da ottenere
e la vita non è lunga,
familiarizzando con ciò, si elimina l’attaccamento alle apparenze di questa vita.
Riflettendo costantemente sul karma e sui suoi inevitabili effetti
e sulle sofferenze del samsara,
si elimina l’attaccamento alle apparenze delle vite future.

Se, avendo meditato in tal modo, non nasce nessun desiderio
per i piaceri dell’esistenza ciclica,
e se costantemente, giorno e notte, sorge un’aspirazione alla liberazione,
allora la rinuncia è stata generata.

Tuttavia, se questa rinuncia non viene unita alla generazione
di una completa aspirazione alla più alta illuminazione,
non diverrà causa della meravigliosa beatitudine dell’insuperabile Bodhi.
Perciò il saggio dovrebbe generare il supremo Bodhicitta.

Gli esseri samsarici vengono trascinati dalla corrente dei quattro potenti fiumi,
sono legati con le strette catene del karma, difficile da eliminare,
sono entrati nella gabbia di ferro dell’attaccamento al Sé,
sono completamente oscurati dalle fitte tenebre dell’ignoranza,

nascono nell’esistenza senza limiti, e nelle loro nascite
vengono incessantemente torturati dalle tre sofferenze
Riflettendo in tal modo circa la condizione delle madri che si trovano in tale stato,
genera la suprema intenzione altruistica di divenire un Risvegliato.

Se non possiedi la saggezza che comprende la vera natura delle cose,
sebbene tu abbia sviluppato la rinuncia e il Bodhicitta,
la radice del samsara non può essere estirpata.
Quindi, impegnati intensamente per realizzare l’origine interdipendente.

Colui che vede come inevitabile la realtà di causa ed effetto di tutti i fenomeni
nel samsara e nel nirvana,
distrugge totalmente ogni percezione errata
ed è entrato nel sentiero che compiace i Buddha.

Fin quando le due realizzazioni, quella delle apparenze,
ovvero l’inevitabilità dell’origine interdipendente
e quella della Vacuità, ovvero la non-asserzione,
vengono considerate separate, non vi è ancora la realizzazione
del pensiero di Buddha Shakyamuni.

Quando le due realizzazioni esistono simultaneamente, senza alternarsi,
e la semplice percezione dell’inevitabilità dell’origine interdipendente eliminerà
la concezione di un’esistenza intrinseca,
allora l’analisi della visione è completa.

Inoltre, l’estremo dell’esistenza è eliminato dall’apparenza,
e l’estremo della non-esistenza è eliminato dalla Vacuità.
Se comprenderai che la Vacuità appare come causa ed effetto,
non sarai preda delle visioni estremiste.

Quando avrai realizzato correttamente
i punti essenziali dei tre aspetti principali del sentiero,
dimora in solitudine e genera il potere della perseveranza entusiastica.
Raggiungi presto la tua meta finale, figlio mio.

***
I tre aspetti principali del sentiero sono sostanzialmente riassumibili in Rinuncia, Bodhicitta e Saggezza che realizza la realtà ultima. Bisogna chiarire che con il termine rinuncia qui non si intende quella comunemente intesa, cioè l’abbandono, la privazione di qualcosa a cui teniamo, al contrario, è rinuncia alla sofferenza, superare il samsāra e progredire accedendo a un’attitudine mentale superiore. Noi viviamo nel samsāra, non possiamo rinnegare questa condizione, è questa stessa vita, ma possiamo trasformarla, andare oltre, proiettarci nel nirvāna, samsāra e nirvāna hanno lo stesso sapore, sono inscindibilmente legate, non si può avere l’una senza l’altra.
Abbiamo dunque visto i primi tre veicoli e noi possiamo praticarli tutti o anche uno solo di essi, non fa alcuna differenza, soltanto noi conosciamo il nostro livello interiore, la capacità di assimilare e percorrere un sentiero piuttosto che un altro e questi primi tre livelli, ricordiamo, sono quello degli, Uditori con l’approfondimento delle quattro nobili verità nell’ottuplice sentiero, dei Praticanti solitari nella meditazione sulla vacuità del sé e dei Bodhisattva con l’attitudine alla grande compassione che si realizza nella pratica delle sei pāramitā, o perfezioni: «Generosità, Etica o moralità, Pazienza, Perseveranza entusiastica, Concentrazione, Saggezza» e tra queste la virtù più difficile da praticare probabilmente è la pazienza, che deve essere applicata sempre e in tutto. Lo scopo ultimo del Bodhisattva è raggiungere l’illuminazione completa nella realizzazione della saggezza ultima con la Bodhicitta che desidera portare tutti gli esseri all’illuminazione. I veicoli nel Sūtra sono la base, le indicazioni di vita.
Sono rimasti ancora altri sei veicoli, i primi tre appartengono alla categoria dei Tantra esteriori e gli ultimi tre a quella dei Tantra interiori o Anutarayoga Tantra.
Nel mantra yana sono applicate le regole che riguardano più aspetti e i primi pratiche, la più importante per noi, è quelli esteriori. Il kiryātantra riferita particolarmente alla cura del corpo, della propria salute, dell’alimentazione, dell’ambiente, e tutto è strettamente interconnesso con il nostro fondamentale compito di sviluppare la nostra natura divina.
Il secondo veicolo è il Caryātantra che si sviluppa in perfetto equilibrio in una pratica interiore ed esteriore, per cui qualsiasi consueta azione quotidiana è svolta contemporaneamente nella meditazione. Seguono poi varie pratiche con devozioni a specifiche divinità, ma che qui non analizziamo perché per noi non così importanti, per giungere infine al terzo livello dello Yogatantra in cui si enfatizza maggiormente la pratica interiore, senza comunque mai abbandonare la pratica esteriore.
Le pratiche del Tantra interiori, Mayayoga, Anuyoga e Atiyoga sono il percorso della felicità nell’unione ultima dello stato di non-dualismo assoluto.
In questi giorni insieme abbiamo affrontato argomenti molto importanti. Siamo alla ricerca della verità, la verità del sé, la verità dell’io, la verità della mancanza del sé e la verità della mancanza dell’io. E questa la meditazione e felicita'.

Grazie.....