Tuesday 31 July 2012

LA MOTIVAZIONE E L'ATTEGGIAMENTO


Serie di lezione tenuta al Istituto Lamrim, Roma


LA MOTIVAZIONE E L'ATTEGGIAMENTO 
E' LA CAUSA FONDAMENTALE DI QUALSIASI COSA



Geshe Gedun Tharchin

Lettura di: I tre aspetti principali del sentiero e Gli otto versi della trasformazione della mente.

La lettura e il riflettere sul contenuto di questi testi ci aiuta a mantenere sempre un atteggiamento dharmico, e ci aiuta ad equilibrare il nostro atteggiamento, perché tutte le azioni in cui siamo coinvolti durante la nostra vita quotidiana sono guidate dal nostro atteggiamento, perché se abbiamo un atteggiamento rivolto solamente ad un solo aspetto allora tutta la nostra vita sarà rivolta verso questo solo aspetto, quindi l'atteggiamento è ciòche fa la differenza nelle nostre esperienze quotidiane, e quindi la sofferenza, la gioia, la felicità, tutto questo non sono nient'altro che le nostre esperienze, e le esperienze sono il prodotto del nostro atteggiamento, e a volte delle esperienze superficiali, come ad esempio mangiare un gelato e poi sentirsi rinfrescati, queste azioni non sono guidate da un atteggiamento profondo ma solamente da condizioni immediate, perché queste esperienze sono condotte da delle condizioni molto superficiali ed immediate, allora anche queste esperienze dureranno per poco tempo, e qualsiasi esperienza, negativa o positiva, di sofferenza o di gioia che non sia prodotta da delle condizioni superficiali e immediate, ma sia guidata da un profondo atteggiamento durerà per molto tempo, e quindi qualsiasi esperienza positiva o negativa, giusta o sbagliata, di gioia o di sofferenza è guidata da un atteggiamento profondo, quindi è molto difficile analizzare dal punto di vista della loro vera realtà, ma queste cosesono determinate dal loro atteggiamento, sono difficili da determinare in maniera oggettiva, ma sono determinate dalla motivazione, dall'intenzione di queste cose, quindi la motivazionee l'atteggiamento è la causa fondamentale di qualsiasi cosa.Quindi la nostra pratica, le nostre letture servono solamente adacuire l'atteggiamento che abbiamo in tutte le cose in cui siamo coinvolti nella vita, quindi la radice di ogni fenomeno, positivo o negativo, giusto o sbagliato risiede appunto nell'atteggiamento. E'difficile analizzare se, ad esempio, questo tavolo è positivo onegativo, quindi è difficile giudicare qualcosa dal suo materiale, perché per esempio se noi prendiamo questo tavolo e colpiamo conquesto tavolo la testa di una persona e quella muore, allora poi pensiamo che è il tavolo che è negativo, mentre invece se utilizziamo questo tavolo per poggiarci sopra dei libri, allora pensiamo che ha una qualità molto positiva, che è un tavolo dharmico, religioso, ma questo è un livello di giudizio, di analisi molto superficiale. Quindi la sua qualità non è né positiva né negativa, quindi il fatto che questo tavolo sia positivo o negativo dipende dall'atteggiamento della persona che ha fatto questo tavolo, quindi l'atteggiamento di colui che ha fabbricato il tavolo, poi condurrà l'esistenza di questo tavolo.

Domanda: Anche il mio che lo uso, anche il mioatteggiamento, come uso il tavolo.

Geshe-Là: Ad esempio c'è una persona a Campo dei Fiori - Roma che è stata uccisa, è stata colpita da una statua di Buddha,[...] è molto interessante, il fatto che questa persona sia statauccisa con una statua di Buddha fatta di legno, nella società tibetana avrebbero pensato che questa persona è molto fortunata,perché è morta essendo colpita da una statua di Buddha, perchégeneralmente per benedire una persona le si posa sopra il capo una statua di Buddha, quindi morire colpiti da una statua di Buddha è una grande benedizione. E quindi è stato uno strano karma per questa persona che aveva comprato questo Buddha per decorare la sua stanza, e poi alla fine è morto per via di questo Buddha. Quindi è un karma molto strano perché magari quella persona aveva comprato il Buddhaperché fosse qualcosa di positivo, quindi se riflettiamo su come il karma funziona questo è molto interessante. In Tibet c'era un'unica grande costruzione che era la residenza del Dalai Lama, ad esempio, c'era una persona che veniva da molto lontano ed era venuta a Lhasa, appunto, per fare un pellegrinaggio, quindi era entrato in questa residenza del Dalai Lama ed era salito molto inalto, e poi aveva affacciato il volto dalle grate di una finestra, e poi era rimasto lì, intrappolato, cioè non poteva più tirare fuori la testa, però pensò che il modo in cui stava morendo fosse molto positivo perché stava morendo in questo palazzo Potala, però nonera così carino il fatto che morisse intrappolato, bloccato in quelmodo, e quindi questo viene utilizzato un po' come un gioco nella società tibetana, anche se il racconto è vero, anche se forse la persona non è morta, però è molto interessante quello che ha detto, perché appunto aveva questo atteggiamento molto interessante, quindi probabilmente se i tibetani sapessero di questa notizia penserebbero che quest'uomo che è morto colpito dalla statua di Buddha è molto fortunato, e come commentiamo questa cosa? Ad esempio, se uno muore essendo colpito da un crocifisso è fortunato o non è fortunato?

Intervento: A me la morte mi fa tristezza, è lamorte che mi colpisce, non il modo o lo strumento con cui è colpito,la morte o un omicidio mi colpisce al di là dello strumento con cuisi uccide una persona. [...].

Geshe-Là: Quindi se analizziamo ad un livello profondo questo evento, si può vedere come questa persona non avesse comprato il Buddha per, cioè l'aveva comprata per avere qualche, una decorazione piacevole nella casa, non aveva mai pensato che poi sarebbe stato l'oggetto con cui sarebbe morto.

Intervento: [...] Geshe mi chiedevo, a proposito del l'interdipendenza, tu hai detto allora il tavolo dipende dalla persona che lo ha costruito, se l'intenzione era buona o cattiva, il tavolo è arrivato a te, e tu ci metti sopra il libro perstudiare, quindi la tua motivazione è buona, ma il tavolo se la persona che l'ha costruito, l'ha fatto con una brutta intenzione, il tavolo conserva questa impressione negativa, o no? Cioè l'oggettoinanimato può conservare una motivazione sbagliata di chi lo ha costruito, e poi, passando di persona in persona, se la porta dietro,o no?

Geshe-Là: Il tavolo non assimila questo tipo dienergie, però c'è ancora la presenza dell'intenzione della persona che l'ha fatto.

Intervento: allora l'intenzione è di chi uccide, non tanto di chi ha comprato o di chi usa il crocifisso, è dell'assassino che sceglie un crocifisso o un Buddha per uccidere. Forse in questo caso tre persone, chi ha costruito il Buddha, chi hacomprato il Buddha e lo tiene in casa, e la persona che è andato incasa e lo ha preso come oggetto per ferire. Anch'io ho fatto una riflessione su questa persona che aveva ucciso con il Buddha, ma non tanto per chi è morto, per chi ha ucciso, non è un caso che abbia scelto quell'oggetto per uccidere. [...] Io penso cioè ha sceltodi uccidere, la cosa come mezzo non mi sembra così importante, forse sbaglio, cioè l'omicida la scelta che ha fatto è di uccidere, poiche fosse la statua del Buddha secondo me, potrebbe avere un significato relativo, non so, o invece anche questo ha un...

Geshe-Là: Per Geshe-là è una cosa molto interessante perché non aveva mai sentito prima una persona che era morta dopo essere stata colpita con una statua di Buddha, perché le persone vengono uccise con dei sassi, con le pallottole delle pistole, ma ancora nonaveva mai sentito appunto che una persona fosse morta uccisa con una statua di Buddha, quindi questo evento è molto interessante,soprattutto è molto interessante il fatto che non si conosce bene quale azione karmica abbia portato a questo evento.

Intervento: Ovviamente c'era una relazione forse passata fra queste due persone che il Buddha in qualche maniera [...],è possibile?

Geshe-Là: Non so

Intervento : Però, scusami Geshe, mi sembra però, rispetto a quello che dicevi tu, di quanto è importante l'intenzione, che quello che è accaduto dimostri come un oggetto,come la statua del Buddha, che viene fatta con un'intenzione positiva, possa diventare, cambiando l'intenzione, uno strumento dimorte, invece, cioè come cambiando l'intenzione, l'oggetto, che può essere stato creato con un obiettivo positivo, se cambia l'intenzione può diventare un strumento invece completamente negativo.

Geshe-Là: [...] Quindi la persona che ha comprato il Buddha e che poi è morta colpita dal Buddha è la stessa, quindiforse morire in questo modo non è tanto negativo, non ènecessariamente negativo. Quindi un oggetto non è di per sé népositivo né negativo, ma è l'intenzione di colui che ha prodotto quell'oggetto che influenza poi l'esistenza dell'oggetto,quindi è anche difficile giudicare se questa statua del Buddha fosse positiva o negativa, perché magari quando è stata fatta eraqualcosa di positivo, quando poi è stata utilizzata per uccidere qualcuno è divenuta qualcosa di negativo, e quindi il fatto che lacosa sia positiva e negativa è determinato dall'atteggiamento, dall'intenzione e non dall'oggetto stesso. Quindi se l'intenzioneè pura, allora anche tutte le azioni che vengono condotte da questa intenzione sono pure anche loro, e quindi queste azioni pure produrranno ugualmente dei risultati positivi, puri, buoni. Le azioniche sono condotte da questa intenzione positiva porteranno anche loro dei risultati positivi. Quindi questo è il modo in cui funziona il livello dinamico dell'attività umana.

Intervento: Quindi l'oggetto conserva un'improntadell'intenzione?

Geshe-Là: No, [...] L'intenzione influenza l'oggetto che è stato prodotto con quell'intenzione.

Intervento: Mi chiedevo questo Buddha che è servito per uccidere adesso, non serve a niente, è puro, è pulito?

Geshe-là: [...] L'oggetto è neutro quindi, il Buddha di per sé è neutro, poi se viene usato in maniera negativa diventa negativo, altrimenti se viene usato in maniera positiva èpositivo, però di per sé è neutro.

Intervento: c'è una frase molto bella, non mi ricordo come si chiama, un commento di Aryadeva che diceva che la pura acqua per gli esseri infernali è vero sangue, per gli dei è puro nettare, per cui dipende dalla percezione e dalla motivazione che ha chi beve, anche se l'acqua è acqua, può essere bevuta come qualcosa di diverso, questo mi sembra una bella descrizione.

Sai perché mi viene da chiedere questa cosa? Perchéio, lo sai, mi piacciono i mercatini dell'usato, tante volte compro degli oggetti usati, e tante volte non li prendo, [...] perché houna sensazione strana, magari un oggetto di per sé, però non loposso prendere, sento che c'è qualcosa che non va, poi non me lochiedo che cosa, però con le cose usate spesso mi succede di avere un rifiuto, o di avere...

Geshe-Là: Quindi dipende da te stessa, perché latua intenzione può cambiare anche questi oggetti, comunque se si hanno dei dubbi è meglio non prendere quegli oggetti, perché comunque dei dubbi creano sempre degli ostacoli nella creazione dell'intenzione pura.

Intervento: Allora io ti devo far vedere una cosa Geshe, quando vieni a casa mia, io ho preso, perché dovevo prenderlo, non lo volevo prendere, sono tornata indietro, in una missione di preti che lavorano in Africa, ho preso una testa di legno africana, abbastanza brutta, molto vecchia, però brutta, con deichiodi così, vendevano per la missione, per i soldi, quindi volevocomprare qualcosa, lasciare un po' di soldi, pochissimi, l'ho vista mi ha colpito la mente, però, non la volevo assolutamente, anche perché non voglio figure umane, o animali di legno, [...] sono dovuta tornare indietro perché dovevo prendere questa testa, sentivo che non potevo lasciarla lì, l'ho presa, come l'ho portata acasa mi faceva un po' paura, allora gli ho messo due tre collanine, l'ho appoggiata nella libreria, ogni tanto la spolvero, però, mi fa un'impressione strana, ormai l'ho presa, allora mi chiedevol'oggetto conserva qualcosa, oppure stimola la mia immaginazione, quindi io non lo so..

Geshe-Là: Il dubbio è un grande ostacolo nelcreare un'intenzione pura.

Intervento: Ma stavo pensando, cioè, seun'intenzione pura, positiva, come dicevi te, dovrebbe sempre dare risultati positivi, invece, [...] io adesso parlo qualcosa forse dimolto concreto, banale, ma spesso nella vita quotidiana questo nonsuccede, allora mi chiedo, forse la nostra intenzione non è cosìpura, e bisogna lavorare più sull'intenzione, o comunque, ci sono degli ostacoli che non dipendono da noi anche.

Geshe-Là: Quindi l'intenzione pura è qualcosa dimolto difficile da sviluppare, non è facile, a volte incontriamodelle difficoltà, degli ostacoli nelle azioni che facciamo proprioperché non riusciamo a sviluppare questa intenzione pura, perché anche se vogliamo sviluppare un'intenzione pura poi incontriamo dei dubbi, o comunque qualcosa che ostacola lo sviluppo di questa intenzione pura. Quindi purificare la mente significa proprio purificare l'intenzione.

Intervento: Ed è un lavoro molto accurato, quello di riconoscere se la nostra intenzione è un'intenzione positiva, perché noi possiamo pensare che è un istinto positivo, un'intenzione positiva poi magari invece è un'intenzione tuttadi un ego molto forte, che vuole dei risultati immediati e positivi.L'intenzione non è un istinto, un impulso. [...] Oggi ci sonodelle azioni che partono da intenzioni nobilissime, poi diventano invece qualcosa di brutto, di negativo ma perché [...] per poi diventare positive.

Geshe-Là: È molto difficile giudicare ciò che è positivo e ciò che è negativo. [...] Quindi il fatto che noi crediamo che qualcosa sia positivo o negativo, non significa che veramente quel qualcosa sia positivo o negativo, cioè dipende molto dai nostri concetti.

Intervento: Stavo pensando alla differenza, che è sostanziale, fra un'intenzione pura e, spesso le nostre intenzionisono condizionate, condizionate da noi, e anche dalle persone, è proprio lì il lavoro.

Geshe-Là: Domande?

Intervento: Vorrei che tu approfondissi questa cosa del dubbio, Geshe che è molto interessante, perché nella pratica divita, [...] noi abbiamo tanto i dubbi, noi occidentali almeno tantissimo ed è sicuramente quello che ci impedisce di seguire in maniera molto focalizzata, perché ci disperdiamo nei dubbi, allorasiccome ce li abbiamo, perché non si può negare, nel caso di dubbio cosa si fa? E' meglio non agire, aspettare, oppure prendere una decisione, scegliere? Che cosa? Scegliere con il cuore e non con latesta. [...] Perché noi siamo invasi dai dubbi noi occidentali, siamo in un momento di passaggio della società, noi della nostra età, dai quaranta ai cinquanta, veramente è un passaggio grande.

Geshe-Là: Il dubbio è qualcosa di causato dalla paura, segno di debolezza che dovrebbe essere abbandonato. Quindi deve essere abbandonato è inutile stare ad aspettare. Aspettare èun dubbio.

Intervento: E certo, certo, lo so, però quando deviscegliere, come fai? Si decide, così, ok, provo così?

Geshe-Là: Con intenzione pura.
E questo è il modo in cui ci incontriamo e condividiamo questa sincerità, questa purezza del cuore, e questo è quello che chiamiamo incontro di Dharma, e quindi incontro di Dharma significa appunto parlare di Dharma, cioè di cose positive, utili, equesto nel modo in cui si può recare beneficio ed aiutare gli altri.Quindi è molto diverso dagli incontri di business, quindi quando sifanno incontri di business, di lavoro bisogna stare a controllare il profitto e cose simili, mentre qui, agli incontri di Dharma, dobbiamo stare liberi, semplici, puri. E questo è un modo per produrre uncomune karma positivo. Quindi noi non stiamo aspettando dei risultatima stiamo semplicemente accumulando un karma positivo. E crearesempre più karma positivo, aiuterà ad avere sempre più gioia, felicità, comunque cose positive, e cambia la qualità stessa dellavita, non produce del denaro, però la qualità della vita cambia, equesto è qualcosa che non può essere comprato con i soldi, perchéè un valore spirituale. Gli esseri umani hanno proprio in maniera innata la capacità di produrre questi tipi di valori, e questo valore è quello che qui chiamiamo Dharma, quindi qui stiamo qui aparlare, a riflettere, a meditare proprio per produrre questo valore,e questo valore è molto speciale, non c'è bisogno di tenerlo, dimetterlo dentro una borsa perché nessuno lo può rubare, è qualcosa di molto interessante.

Adesso leggeremo la preghiera del Lam Rim e poifiniamo.

Grazie

Verità e Amore




LA VERITÀ' E L'AMORE


Geshe Gedun Tharchin



Gli esseri umani possono differire nelle dimensioni, nei colori e nelle qualità, nei beni materiali, nei talenti e nelle disposizioni, tuttavia l’anima nascosta dietro la crosta terrena è una ed è identica per tutti gli uomini e le donne. È come un grande albero che possiede innumerevoli foglie e rami attraverso ognuno dei quali pulsa la medesima vita. Nonostante, quindi, l’universo sia pieno di infinita varietà, vi è una fondamentale unità che abbraccia ogni cosa, sottostante la diversità esterna. Dal momento che sia gli esseri umani sia gli esseri non umani appartengono ad una comune discendenza, penso che sia bene realizzare la fraternità o identità non solo tra gli esseri detti umani, ma con tutte le forme della vita. Tutta la vita è essenzialmente una e nessun essere può essere sfruttato dall’uomo per i suoi interessi.

Tutti crediamo nella Verità e quella che esiste veramente è fonte unica, spirituale, primordiale dello stesso universo. Non si tratta di un’unità che distrugge la diversità, ma di un’unità che pervade la diversità. È l’immutabile sostrato di tutti i cambiamenti. È una realtà che permea tutto, in cui ogni cosa vive, un potere misterioso dietro la molteplicità e le mutazioni nell’universo. Questo potere è la base di tutte le cose esistenti.

C’è una legge che governa e dimora in ogni cosa dell’universo. Questa legge particolare governa le diverse sfere dell’universo, che sono i differenti modi d’azione di quest’unica Legge. Questa Legge è la Verità o Dio stesso. La legge di Dio e Dio non sono cose differenti e il Dio senza forma assume forma per il suo devoto. L’uomo tenta di comprendere Dio, che trascende la parola e la ragione, dandogli nomi e forme. Vi sono tanti nomi di Dio quanti sono coloro che parlano di Dio. “Se fosse possibile per la lingua umana dare la definizione più completa di Dio, arriverei alla conclusione che per me Dio è Verità”, dice Gandhi. Lui identificava la Realtà con Dio e Dio con la Verità. Verità è il nome più adatto a Dio per lui.

Vi è un livello di conoscenza superiore dove conoscere è diventare e l’esistenza e la verità sono la stessa cosa. La Verità coincide con la Realtà e si riferisce al principio primo d’essere in tutte le cose. Niente è o esiste nella realtà eccetto la Verità. Questo è forse il motivo per cui Verità è per Gandhi il nome più importante di Dio. La Verità è sempre Soggetto e mai oggetto, cioè qualcosa di opposto e di diverso da ciò che conosce. Quindi la Verità deve essere realizzata più che conosciuta. Nel suo senso più profondo la Verità è uno stato d’essere.

La Verità assoluta non ha bisogno di prove. Essa trascende il tempo e la storia ed è al di là della percezione e della descrizione. Come il sole risplende della sua propria luce, così la Verità Assoluta risplende della sua propria luce ed è la prova di se stessa. È presupposta da tutte le realtà relative, temporali e percepibili. È alla luce della Verità ultima che verità minori possono essere comprese.

La parola Dio è stata compresa in modi diversi da persone con diversi retroterra e numerosi crimini sono stati commessi nel nome di Dio. Quindi i cosiddetti non credenti ed atei sono convinti che l’idea tradizionale di Dio è qualcosa di cui dubitare. Ma anche coloro che negano l’esistenza di Dio non negano la necessità e il potere della verità. Per rispettare questo fatto possiamo dire che la Verità è Dio, che abbraccia tutti, compresi gli atei che cercano e seguono la verità, non importa in che forma la percepiscono.

La Verità assoluta è al di là della parola e della ragione. La purezza del cuore è essenziale per la percezione della Verità. Solo un uomo che è “più umile della polvere” può vedere la Verità. Quindi la purezza di vita è essenziale per l’intuizione della Verità. La chiarezza dell’intuizione si basa sulla purezza del cuore. L’etica e la metafisica sono intimamente collegate. L’una implica e sostiene l’altra. La vita e la forma del pensiero sono una sola cosa. Questa è l’essenza della filosofia di vita e uno deve dimostrarla attraverso la propria vita.

La Verità e l’Amore sono inseparabili e si presuppongono reciprocamente. L’Amore è l’espressione della Verità nel mondo dei fenomeni. La Verità assoluta che è la somma totale di tutte le verità relative è la Realtà Ultima. Essa è una ed è al di là della comprensione umana. Tuttavia non è totalmente inconoscibile. Si rivela nella natura e nell’uomo come la legge dell’amore. Così la legge dell’amore è l’espressione mondana della Legge Suprema, la Verità. L’amore che abbraccia ogni cosa è l’espressione terrena della Realtà Ultima, l’“Unità di tutta la vita”. Amare è vivere la verità. Quindi l’amore possiede uno status metafisico che è uguale a quello della verità.

In breve, la realtà ontologica ultima: la Verità è Dio e rivela se stessa nel mondo fenomenico come la legge dell’Amore, della Pace, che diviene la legge della filosofia di vita. La Pace può essere vissuta solo dal coraggioso e da colui che non ha paura. La Verità si rivela nell’uomo come la “voce interiore”, che deve essere luce al suo cammino e guida alla sua vita. La voce della coscienza è infallibile solo quando è il risultato di una vita pura e disciplinata. Così, la verità metafisica non può essere separata dalla verità morale. Solo un cercatore onesto con un cuore puro può avere la visione della Verità. Per lui o lei Verità è Dio. La Verità è Amore e Coscienza. La Verità è etica e moralità; la Verità è mancanza di paura. La Verità è la Luce e la Vita. La Verità è Dio, Allah, Iswara, Buddha, ecc…Penso che un Buddista puro possa essere allo stesso tempo un Cristiano puro, un Musulmano puro, un Induista puro, ecc…

 Di conseguenza, per rendere la religione un efficace sistema nella nostra vita, vi è la necessità di modifiche tempestive nelle sue interpretazioni, che dovrebbero essere appropriate al mondo contemporaneo e alla società.







Pratica dei sette rami


Pratica dei sette rami
(sutra della regina della preghiere)


Oh leoni fra gli uomini, Buddha passati, presenti e futuri,
a quanti di voi esistono nelle dieci direzioni,
mi prostro con corpo, parola e mente.

Sulle onde della potenza di questa regina delle preghiere,
per i metodi supremi e sublimi
con corpi numerosi come gli atomi del mondo,
mi prostro ai Buddha che pervadono lo spazio.

In ogni atomo si trova un Buddha
che siede tra gli innumerevoli Boddhisattva;
con sguardo fiducioso mi rivolgo ai Vittoriosi
che riempiono l’intero Dharmadhātu.

A coloro che hanno infiniti oceani di eccellenza,
con un oceano di prodigiosa parola
canto lodi alla grandezza di tutti i Buddha:
un elogio a coloro che sono andati nella beatitudine.

Offro loro ghirlande di fiori, parasoli decorati,
musiche piacevoli e profumi eccelsi;
offro a tutti i Vittoriosi lampade al burro e sacro incenso purissimo.
Cibo eccellente, fragranze supreme

e un cumulo di sostanze mistiche alto come il monte Meru
dispongo in un ordine speciale
e offro a coloro che hanno conquistato se stessi.

Elevo tutte le offerte impareggiabili con ammirazione per coloro
che sono andati nella beatitudine con la forza della fede nei metodi sublimi,
mi prostro e faccio offerte ai Conquistatori.

Da lungo tempo, sopraffatto da attaccamento, odio e ignoranza,
con il corpo, la parola e la mente ho compiuto innumerevoli azioni negative.
Ora le confesso tutte senza omissioni.

Nelle perfezioni dei Buddha, Bodhisattva, Arhat,
sul sentiero e nella potenziale bontà di tutti gli esseri viventi,
elevo il mio cuore e gioisco.

Oh luci dell’universo,
Buddha che otteneste lo stato dell’illuminazione incontaminato,
a tutti voi rivolgo questa richiesta:
fate girare l’incomparabile “ruota del Dharma”.

Oh maestri che volete mostrare il Parinirvāna,
vi prego di restare con noi
e insegnare per tanti eoni quanti sono i granelli di polvere,
per portare gioia e virtù a tutti gli esseri.

Possa qualunque merito accumulato
tramite queste prostrazioni, offerte, purificazioni, 
rallegrandomi e chiedendo ai Buddha di rimanere e insegnare il Dharma,
essere dedicato all’illuminazione suprema e perfetta,
affinché, al più presto,
io liberi dalla sofferenza tutti gli esseri

(Traduzione a cura del Geshe Tharchin G.)

Monday 30 July 2012

USCIRE DALLA CONFUSIONE


USCIRE DALLA CONFUSIONE

 Geshe Gedun Tharchin


Portare il Dharma in un’altra nazione non è cosa facile. Anche in Tibet, territorio sconfinato, il suo avvento dall’India ha incontrato numerosi ostacoli, e le difficoltà non sono nemmeno mancate quando lo si è reintrodotto alla fonte originaria, in Nepal e in India e, ovviamente, gli impedimenti maggiori si sono presentati quando è approdato in occidente.
E’ dunque positivo e particolare che esistano luoghi in cui le persone possano incontrarsi per parlare di Dharma approfondendone la conoscenza.
In passato nel Tibet vivevano grandi Lama, che purtroppo stanno scomparendo e, quando non ne resterà in vita nessuno, si compirà la fine di un periodo fertile e si cementeranno questi tempi bui. I grandi maestri scompaiono, il mondo moderno è cambiato e la pratica del Dharma deve affrontare più impedimenti e meno agevolazioni e condizioni favorevoli; così si prospetta un periodo particolarmente arduo per l’insegnamento, per l’ascolto e per la pratica del Dharma.
Le difficoltà e gli ostacoli alla pratica del Dharma non dipendono dalla colpa di qualcuno in particolare, sono il risultato del momento storico decadente in cui, in inscindibile connessione, i tempi e la mente si deteriorano, le qualità si depotenziano e sviliscono e tutto degenera.
Se da un lato la modernità ha apportato un rinnovamento, un miglioramento delle condizioni di vita, dall’altro non vi è altrettanta corrispondenza in una crescita delle qualità umane, della mente umana.
Possiamo constatare la decadenza quotidianamente: viviamo in Italia, un paese bellissimo, con un buon clima, economicamente sviluppato, in cui usufruiamo di tutte le comodità, abbiamo ottimo cibo, case belle e confortevoli e spesso ne possediamo più di una, in città, al mare e in montagna, abbiamo un lavoro ben retribuito, una o più automobili, godiamo di periodi di vacanza da trascorrere dove e come vogliamo, seguiamo la moda cambiando frequentemente abiti e possiamo soddisfare tanti desideri.
Abbiamo tante comodità, ma cosa apportano alla nostra vita? un giorno dovremo comunque abbandonarle, e non ci accorgiamo nemmeno che questi agi in realtà ci incatenano ad un sistema consumistico, intrinsecamente insaziabile, che
incrementa ogni tipo di complicazioni e ci allontana definitivamente dalla semplicità di una vita sana e costruttiva; questa è decadenza.
La visione materialistica del pensiero moderno definisce questo fenomeno “sviluppo”, ma dal punto di vista dell’essenza della realtà è assoluta “degenerazione”.
Usufruiamo di un’efficiente assistenza medica, accessibile a tutti, ma, nel contempo la medicina è diventata troppo potente, ha travalicato i confini dell’umano e spesso condiziona tragicamente la vita delle persone rendendole assolutamente dipendenti dal rimedio adottato, quasi fossero automi condannati a vivere in uno stato di dipendenza ininterrotto.
Oggi la medicina non lascia la libertà di morire, vuole mantenere in vita ad ogni costo, non si sa bene cosa.
Nella medicina moderna l’essere umano è stato trasformato in un anonima macchina in cui si deve intervenire ad ogni costo aggiustando, sostituendo i pezzi difettosi, affinché continui a funzionare all’infinito, se malamente non importa, basta che non si fermi. In questo modo il corpo è diventato qualcosa di materiale, di meccanico, e ha perduto ogni sua qualità spirituale.
Questa è la degenerazione della medicina.
Non nego assolutamente che esista un effetto positivo e degno di tutto rispetto della medicina moderna, sono stati scoperti farmaci efficaci contro la tubercolosi, i tumori e tante malattie, ma quando si oltrepassano i limiti umani significa che si è caduti in concezioni errate, degenerate.
La stessa decadenza ha coinvolto il sistema economico mondiale; si è in fibrillazione per il crollo delle borse, un tipo di affari che non maneggia direttamente il denaro, si tratta di un gioco perverso di numeri ipotetici che appaiono convulsamente su uno schermo, tutto è virtuale completamente illusorio e le persone non sanno assolutamente cosa succeda al loro denaro, tutto può scomparire in un istante.
Questa è la degenerazione dei nostri tempi che si manifesta nel progressivo aumento della confusione generale.
Al contrario il Dharma non incrementa il disordine o l’illusione, non si ferma nemmeno al sogno delle terre pure o del paradiso, è un’essenza concreta che permette di uscire dalle nebbie del caos e percorrere la chiara via della realizzazione.
Il Dharma non pretende di allontanarci dai problemi, e non sarebbe comunque possibile perché ne siamo immersi, e il desiderio di rifuggirli non è altro che un’ulteriore illusione; ci mostra invece, nella stessa confusione, la visione corretta della realtà, ci permette di comprenderla con chiarezza e di affrontare serenamente e costruttivamente ogni ostacolo.
Un aspetto particolarmente grave della degenerazione dei tempi moderni è la corsa ad armamenti sempre più sofisticati e devastanti. In epoche antiche le armi erano limitate, si poteva uccidere in battaglia un certo numero di nemici con lance, frecce o altro, ma oggi il potenziale distruttivo è in grado di annientare tutto, di sterminare indiscriminatamente militari e civili, sino a cancellare dal pianeta intere aree geografiche.
Con la scusa della sicurezza nazionale si impegnano capitali enormi nella ricerca e fabbricazione di macchine belliche inimmaginabili, sperperando denaro pubblico che dovrebbe essere utilizzato per servizi e benefici a favore delle persone.
Come definire questo stato di cose? “sviluppo” o “degenerazione”?
Dal punto di vista del Dharma è degenerazione, decadenza, senza ombra di dubbio, e su questo dobbiamo riflettere seriamente.
La visione storica dell’universo suddivide il tempo in “eoni”, che possono essere piccoli o grandi. Pare che negli eoni più remoti la vita umana sulla terra fosse lunghissima e che si sia man mano accorciata fino ad arrivare, oggi, ad una durata massima di un centinaio di anni.
Si dice che nei lontani eoni la vita individuale durasse senza difficoltà migliaia di anni, invece in questo eone, pur caratterizzato da manifestazioni di esseri spirituali di grande levatura come il Buddha, il Cristo, Maometto sino ai più recenti Gandhi, Krishnamurti, Martin Luther King, madre Teresa di Calcutta, e tanti altri, la vita è corta, a dimostrazione che siamo in un’epoca difficile, tormentata.
Per realizzare qualcosa di significativo cento anni sono un periodo davvero troppo breve:
1. i primi vent’anni sono dedicati alla crescita;
2. i successivi venti trascorrono nelle fantasie, nel sogno di un futuro infinito;
3. dopo i quarant’anni si è più maturi ed occupatissimi, ci si affanna costruire la solidità, la stabilità, la propria sicurezza;
4. a sessant’anni si manifestano i primi acciacchi, il corpo e la mente si indeboliscono progressivamente e tante porte cominciano a chiudersi;
5. a ottant’anni si è nella vecchiaia, le forze sono definitivamente perdute e, se anche si raggiungono i cent’anni, osservando nel dettaglio ogni fase si vede che il tempo dell’esistenza umana in realtà è brevissimo. Questa è la degenerazione dell’età, del tempo di vita.
L’argomento dell’insegnamento del nostro incontro è il “Lo Jong”, la trasformazione della mente, ed è strettamente connesso al riconoscimento della degenerazione dell’attuale era.
Nella confusione quotidiana lo stato mentale è completamente occupato dalle ansie, dai timori, dalle difficoltà, dai problemi.
Il termine Lo Jong è suddiviso in due sillabe, “Lo” significa mente, ma non la mente di Buddha che è già sviluppata, liberata, si riferisce alla mente degli esseri comuni che vivono in questa epoca, e che ha bisogno di essere addestrata, educata, esercitata, come indica appunto il termine “Jong”, così che possa essere liberata dal caos.
La mente confusa non è felice, né soddisfatta, né serena, all’interno del meccanismo, “non è giusto”, “non mi piace”, “non va bene”…... si deprime e affonda nel più assoluto condizionamento. Un problema ne porta mille altri, una mente infelice ne genera infinite altre, si alimenta così una situazione progressivamente negativa.
Il Lo Jong è il metodo che trasforma la mente sofferente e problematica in una mente capace di superare ogni tormento e difficoltà, rendendoli anzi strumento di illuminazione.
Il Lo Jong non tende a creare artificiosamente uno stato di gioia, di felicità o di allegria, ma è l’esercizio attraverso il quale la mente impara a riconoscere il reale significato della sofferenza di cui è ammantata e, in questa capacità di capire, apprende la modalità per trasformarla in sentiero verso l’illuminazione.
Praticando il Lo Jong si ha la sensazione di penetrare più profondamente nel tormento riconoscendone con maggior chiarezza l’essenza.
Se invece non si pratica il Lo Jong, ma qualche altro tipo di Dharma con lo scopo di eliminare il dolore e realizzare uno stato di felicità, il benessere apparentemente ottenuto ha una durata limitata e, nel momento immediatamente successivo, ci si ritrova immersi negli stessi problemi, nulla è effettivamente cambiato.
Nel Lo Jong, al contrario, si manifesta visibilmente di giorno in giorno l’effetto della mente che muta nella conoscenza e accoglienza di una sofferenza in grado di divenire cammino verso una stabile pace e serenità.
Il Lo Jong può sembrare difficile, incoerente, ma in realtà è meraviglioso, la sua introduzione in Tibet risale al X° - XI° secolo, era praticato dai grandi maestri Kadampa, di cui il primo è stato Atīsa.
Il Lo Jong, promosso e portato avanti in questo lignaggio, è penetrato in seguito in tutte le grandi tradizioni delle scuole tibetane e ne ha costituito di fatto il cuore, la pratica essenziale, indispensabile, la bodhicitta, la vera intenzione o motivazione che è alla base del Dharma.
Certamente non è facile modificare le situazioni problematiche, complicate e spesso estremamente dolorose, ma se si osserva l’effettiva potenzialità della mente e si inizia lentamente e sistematicamente ad addestrarla nell’intenzione altruistica, poco per volta si scoprirà che si possono affrontare condizioni pesantissime e trasformarle in via di realizzazione, in altrettante occasioni di Dharma. Si comincia piano piano, affrontando dapprima semplici circostanze, sino a giungere a quelle più complesse e difficili.
Avete capito bene il significato del Lo Jong?
“Lo” è riferito alla mente ordinaria, che affronta la vita quotidiana, e “Jong” è l’addestramento, la trasformazione della mente ordinaria.
A questo punto possiamo chiederci: “cos’è la mente ordinaria?”
La mente ordinaria è totalmente condizionata, resa confusa dagli stessi problemi dell’esistenza, una mente che non trova pace, serenità, riposo, essendo costantemente agitata, mossa dalle ansie e dalle preoccupazioni.
Lo stato ordinario della vita quotidiana è difficile da contrastare, siamo nati con questa mente e siamo abituati a pensare secondo canoni predefiniti, ma ciò che conta è essere consapevoli di questa condizione e riconoscerla, la situazione caotica in cui siamo immersi non ci deve disturbare, perchè solo così abbiamo la possibilità di imparare a confrontarci con una sofferenza che può divenire fonte di gioia e di pace.
Se la sofferenza si mantiene statica e inalterata è causa di ulteriore sofferenza e ciò indica chiaramente che non si è dato inizio al processo di trasformazione della mente, che invece è ben evidente nel momento in cui la sofferenza diventa opportunità di gioia, di pace.
Nel Lo Jong non si afferma di dover riconoscere un particolare Buddha, nel suo palazzo divino, con le sue specifiche eccelse qualità, ma si insegna semplicemente ad entrare in contatto con la situazione immediata, concreta, della propria vita, con la realtà del condizionamento e della sofferenza e a scoprirne l’essenza, così da poter trasformare il negativo in positivo, le circostanze difficili in favorevoli, il nemico in amico; questa è la pratica del Lo Jong, della trasformazione della mente.
Si soffre per gli amici, si è preoccupati, si è attaccati, possessivi, e l’amicizia è fonte di sofferenza, e poi si soffre per i nemici, si matura risentimento, offesa, avversione; in entrambi i casi si soffre.
Si soffre perchè si cercano facilitazioni nella vita e non si ottiene nulla o se ne riceve solo una parte, si soffre per la moltitudine di problemi che la quotidianità ci propone, si è insoddisfatti di ciò che si possiede e angosciati dai problemi che non si vogliono.
Il primo passo del Lo Jong consiste proprio nel comprendere che tutti gli aspetti dualistici sono fonte di sofferenza, e nel voler uscire dalla costante dicotomia di giudizio: “bianco - nero”, “buono -cattivo”, “bello brutto”.
Il Lo Jong insegna a liberarsi dal dualismo che produce ulteriore sofferenza.
Il Lo Jong è una pratica importante, e non necessita di nulla, ovunque voi siate, in qualsiasi circostanza e tempo, potete praticare.
Il Lo Jong e il Tong Len sono due pratiche interconnesse.
Si soffre perché si desidera la felicità e il benessere e si soffre perché non si vuole la sofferenza e si fugge dai problemi.
Nel Tong Len, la pratica del “dare e ricevere”, si prova l’immensa gioia di offrire agli altri le proprie virtù, qualità e meriti, e di prendere i loro problemi e negatività.
Agendo in questo modo la sofferenza che nasce dalla preoccupazione di felicità e dalla preoccupazione del dolore svanisce, c’è la gioia, nel Tong Len, di dare agli altri la felicità e accogliere la loro sofferenza.
Il desiderio di felicità e di non sofferenza è sostituito e superato dalla compassione che non teme il dolore e non desidera una felicità illusoria.
La pratica del Tong Len è semplice, consiste nel maturare l’attitudine a dare le qualità e prendere i problemi, offrire agli altri la felicità e accogliere la loro infelicità, è come trovarsi in una condizione in tutti siamo ugualmente affamati, ma noi abbiamo del pane che, con gioia, diamo agli altri, tutto qui, è semplice.
Riguardo al Tong Len ci sono interpretazioni estremamente fantasiose, qualcuno pensa che sia una pratica di guarigione “Prendo su di me la malattia dell’altro, lui si risana, e io mi posso ammalare”, ma questa è follia totale, perché si ridurrebbe la realtà profonda, universale, incommensurabile, della bodhicitta ad una piccola attività per curare il mal di testa.
Simili fraintendimenti sono quasi scontati nelle società sviluppate, è normale manipolare gli eventi secondo concetti di efficienza industriale, tanto da inquadrare anche il Tong Len in parametri pragmatici e utilitaristici, lo si pubblicizza scrivendo libri di facile lettura e di cui si vendono moltissime copie diventando anche famosi e ricchi, un ulteriore espressione del condizionamento del Dharma in un’epoca degenerata.
Per praticare il Tong Len è necessario prima comprendere il significato del Lo Jong, la trasformazione della mente, e solo sulla base di questa consapevole acquisizione è possibile attuare la pratica del “dare e ricevere”.
Il Lo Jong insegna ad addestrare la mente che soffre, e il primo risultato è perlomeno imparare a non soffrire più del necessario.
E’ necessario osservare con chiarezza alcuni interrogativi di base: “cos’è questa mente?” “cos’è questa mente sofferente?”, “cos’è questa sofferenza della mente?”
Si apprende a penetrare nel significato della sofferenza esaminandone tutti gli aspetti: è attaccamento? avversione? confusione?
Senza questa analisi si rimani bloccati nel desiderio di essere felici, senza sapere cos’è la felicità, nel desiderio di non soffrire, senza sapere cos’è la sofferenza.
Riflettere su questi aspetti induce la cognizione della sofferenza e genera l’attitudine alla trasformazione della mente: la sofferenza che non si voleva, diventa l’oggetto da ricevere, e la felicità che si è sempre cercata, diventa l’oggetto da dare. In questo modo si esce dal dualismo che impediva la corretta visione della realtà, si è liberi da ogni giudizio e pregiudizio su felicità e sofferenza.
Questa è la via di uscita e, anche se non esiste nessuna coercizione, né obbligo, né punizione in caso non la si applichi, non c’è comunque nulla da perdere, dunque perché non provarci?
Lo Jong e Tong Len sono solo quattro parole, ma talmente affascinanti e misteriose per cui potremmo essere indotti a pensare che forse solo Buddha ne possedesse la piena comprensione, trasmessa direttamente ai suoi discepoli, di generazione in generazione che, di conseguenza, ne sarebbero gli unici depositari.
Ma non è così, Lo Jong e Tong Len sono una realtà che ciascun essere ha dentro di sé. I discepoli del Buddha attraverso il dono della spiegazione ci facilitano la comprensione, il riconoscimento del suo immenso valore. E’ come trovarsi di fronte ad una grande torta, tutti se ne possono servire, ma chi non ne vuole lascia liberamente la sua fetta nel piatto, ne godrà qualcun altro, non c’è coercizione, né obbligo.
Io viaggio spesso e alla stazione Termini incontro tanti barboni, ieri, alla partenza per Torino, ho visto due signore che dormivano su una panchina, probabilmente due sorelle, una accanto all’altra, con tanti sacchi di plastica intorno, la loro intera ricchezza. Anche alla stazione di Zurigo è praticamente stanziale un’anziana signora su una sedia a rotelle, e allora ho pensato che forse queste persone sono grandi praticanti, non posseggono nulla, proprio come gli yogi del passato che donavano tutto, e non ho potuto non paragonarli ai Lama di oggi, così imponenti in palazzi riccamente decorati, serviti in ogni necessità e per i loro spostamenti dispongono di automobili con tanto di seguito. Questo non è Lo Jong, non è Tong Len, anzi è esattamente l’opposto.
La pratica del Lo Jong e del Tong Len è caratterizzata dal dare e non dal preoccuparsi di ricevere, è una qualità intrinseca all’essere umano, è un Dharma naturale, è parte della natura dell’essere e nessuno può rivendicare di esserne depositario esclusivo.
L’attuale società è sopraffatta dalla confusione e proprio per questo è necessario praticare il Lo Jong, la trasformazione della mente, in modo da contrapporre al caos una poderosa accumulazione collettiva di meriti.
Riguardo all’acquisizione di meriti nel sentiero spirituale ci sono tanti modi differenti di concepirla, ordinariamente si offrono ad esempio centomila candele, centomila incensi, centomila prosternazioni, ma nel Lo Jong si esprime in modo profondamente diverso, e la stessa confusione stessa diventa fonte di merito.
Quanti più problemi, difficoltà, caos la persona abbia, attraverso la loro trasformazione, tanti più meriti realizza. Quindi la propria modalità di acquisizione di meriti esiste già di fatto, è sufficiente prendere atto dell’enorme ricchezza disponibile, costituita da disordine, problemi, difficoltà; non c’è null’altro da fare.
Probabilmente conoscete la storia di Bodhidharma, un prezioso yogi indiano che portò il buddhismo in Cina. Egli rimase per nove anni in meditazione silenziosa rivolto verso un muro.
L’imperatore cinese dell’epoca, fervente seguace del buddhismo, edificava monasteri e sosteneva numerosi monasteri con generose elargizioni; un giorno invitò Bodhidharma nel suo palazzo affinché insegnasse il Dharma e gli confidò di essere un devoto scrupoloso e generoso e di aver operato in modo da acquisire tanti meriti e,
a questo punto, desiderava conoscere dal maestro quanti ne avesse accumulati grazie a tutte queste attività.
Bodhidharma lo guardò e gli rispose: “In questo modo tu hai distrutto tutta l’accumulazione di meriti che avevi, ora hai finito i tuoi meriti, io non verrò nel tuo palazzo”.
Bodhidharma era un praticante solidissimo, come Milarepa, e molta gente gli chiedeva insegnamenti, che però non era in grado di capire, per questa ragione egli smise di insegnare e si rivolse verso il muro in meditazione silenziosa, aveva constatato che nessuno recepiva quell’insegnamento, ad eccezione di una persona che fu in grado di comprenderlo pienamente nel silenzio, senza che fosse pronunciata una sola sillaba. Il Dharma va oltre le parole.
Nel mondo moderno invece tutto deve essere catalogato, quantificato: due ore di lezione corrispondono a venti euro, tre ore trenta euro, quattro ore quaranta euro e così via; il prezzo dipende da quanto si chiacchiera, così è nella visione materialista dell’industrializzazione e commercializzazione che ha inquinato anche il Dharma e, se lo si pesa in base alla lunghezza del discorso, significa che non lo si è capito per nulla e non se ne conoscono le incommensurabili qualità.
Nel Lo Jong l’accumulazione di meriti non dipende da quante attività meritorie si sono compiute, come costruire templi, sostenere monasteri o altro, ma esclusivamente dall’effettiva trasformazione della mente.
Il sovrano cinese che si affannava a compiere tante azioni per accumulare meriti non avrebbe potuto nemmeno confrontarli con quelli ottenuti dalle anziane signore che, nella loro vita da barbone, praticano probabilmente il Tong Len in assoluto rilassamento e serenità.
Quando ieri sera arrivando in stazione ho visto queste due anziane donne serenamente addormentate una accanto all’altra, completamente serene, rilassate, mi sono fermato a contemplarle e ho paragonato la loro pace con la frenesia del mondo moderno così teso, insicuro, aggressivo, in cui ben pochi possono dormire con tanta serenità.
Questa è l’attitudine degli yogi, dei meditatori del Tong Len, pacificati, già oltre, non più soggetti ad ansie, né paure; eppure, nell’ignoranza ordinaria, la gente si allontana infastidita dai barboni, con paura, pensando a quanto sono sporchi, senza scarpe, a cosa mangiano, a come vivono, a chissà quali batteri e virus possano trasmettere…..
La società industrializzata è schiava di una mentalità ristretta, e lo yogi del Tong Len non vi corrisponde affatto, ne è l’esatto contrario, in qualsiasi circostanza è a proprio agio, ha un’accettazione serena e totale di ogni difficoltà e accumula infiniti meriti.
Il vero yogi meditatore del Tong Len non è riconosciuto come Lama, perché non si veste come un Lama, non abita in palazzi adeguati al suo rango, non esibisce le certificazioni di Lama, non sta seduto in una certa posizione davanti a testi rari, non possiede nessun oggetto prezioso che attesti la sua diretta discendenza dal Buddha nel lignaggio del Tong Len.
Ma così non è scritto da nessuna parte che così dovrebbe essere, è pura e folle fantasia, strutturata solamente a nostra gratificazione, il Buddha non ha mai sostenuto la necessità di tali credenziali.
Il praticante del Tong Len è un perfetto, inosservato, sconosciuto, come ce ne sono tanti e ovunque, camminano per le strade senza esibire segni particolari, né distintivi, né diplomi o autorizzazioni.
Ripeto, in occidente si pensa assurdamente che il Tong Len sia una pratica taumaturgica e molti fantasticano di poter diventare guaritori e di avere il potere di curare il mal di testa di qualcuno, anche se immediatamente dopo si preoccupano di doverne sperimentare personalmente il dolore. Pura follia!
Poiché questa pratica deve essere mantenuta nel segreto, le fantasie si moltiplicano illimitatamente, si vuole scoprirne il potere nascosto, e tutto questo è veramente assurdo e sciocco.
In questo modo si snatura e riduce il Tong Len ad una mera arida tecnica per togliere il mal di testa e si potenzia il proprio ego perché si pensa di avere il potere magico di guarire il prossimo.
Ma il Tong Len è ben più radicale e profondo, è una pratica meditativa semplicissima e potentissima in grado di liberare gli esseri dalla sofferenza, possiede l’attitudine di donare tutte le qualità e di sciogliere completamente dalla sofferenza universale con grande equanimità.
Il Tong Len cambia la persona ordinaria in straordinaria, non è limitato all’eliminazione dei malanni altrui, non muta le condizioni dell’altro perché ognuno ha il proprio karma e risponde personalmente di se stesso.
Il Tong Len trasforma la persona che lo pratica, mostra al meditante la via per uscire dalla sofferenza.
Se è presente qui un guaritore per favore, con tanta compassione, prenda il mio raffreddore così fastidioso!.... No, questo non è proprio possibile, quello che invece è realizzabile è la trasformazione della sofferenza in fonte di gioia, di accumulazione di infiniti meriti. Per questo bisogna essere forti come Milarepa, Bodhidharma e San Francesco.

Estratto da:
n. 31 rivista "DHARMA" Aprile 2009






tavola rotonda per il dialogo interreligioso


tavola rotonda per il dialogo inter-religioso
PARROCCHIA SANTA LUCIA
Via Santa Lucia 5
00195 ROMA

31 gennaio 2010


Sono contento di essere qui oggi.
Mi è stato chiesto di prendere parte a questo dialogo interreligioso dall’Unione Buddhista Italiana (UBI). Successivamente ho avuto l'invito molto gentile da Padre Antonio.

Credo che un vero dialogo interreligioso possa dare la luce al cuore umano e che potrebbe apportare alcuni notevoli progressi nella società. Come sappiamo nella storia umana, tante guerre hanno avuto luogo a causa dell’incomprensione delle loro rispettive credenze e fedi. Ed è ancora in corso incessantemente oggi. Nella società moderna, molte persone rifiutarono di accettare la religione proprio a causa dei prodotti delle religioni legati ai conflitti umani nel passato.

Io vorrei dire alcune parole su ciò che è religione. Le religioni sono prodotti umani, in particolare prodotti della mente umana. Se non sapete ciò che è la mente, allora sarebbe giusto considerarla uguale al nostro pensiero. Nella mente i pensieri sono molto confusi e conflittuali, ma ciò non è causato dalla religione. Quando una persona vede la religione come causa dei conflitti nella società umana, significa che lui o lei abbiano frainteso ciò che è la religione.

Le religioni sono prodotti della mente umana, ma esse sono il prodotto della parte più pura della nostra mente, l'essenza stessa della natura di esseri umani. Quella mente è sana, pura ed in grado di vedere le cose così come sono, nell’unità di tutto il genere umano, l’intero mondo come uno solo e tutte le razze umane una sola natura, il tutto in uno - Dio, la verità universale. L'insegnamento fondamentale della religione è la Verità e la Verità è il centro della religione. Che la verità sia universale e che non divida la società umana, piuttosto sia il mezzo che riunisca l’umanità. La pratica della religione è l’amore e la compassione. L'amore universale e la compassione fondati sulla Verità Universale riuniscono l’umanità in un’unica famiglia.

Di conseguenza, se qualcuno sapesse veramente cosa fosse la religione allora significherebbe che è davvero possibile ottenere grandi benefici da essa, come risorsa di pace interiore e armonia con il mondo esterno.

Allora si potrebbe chiedere che cosa è il Buddismo? Il Buddismo non è nulla di differente dalle altre religioni. Come cristiani, se si è in grado di vedere che il Buddismo ha lo stesso valore del Cristianesimo, solo allora si può dire: “Hai capito il buddismo”. Essere un buddista in base alla categoria sociale, se lui o lei potessero vedere che il Cristianesimo ha gli stessi valori del Buddismo, significherebbe che il Buddista ha capito il vero Cristianesimo. Se si è capito il vero messaggio di Cristo come diverso da quello di Buddha significa dunque che non si è capito né il Buddismo né il Cristianesimo. Ecco cosa si può imparare tra le diverse religioni e cosa dovrebbe essere il prodotto di incontri tra fedi autentiche ed il dialogo interreligioso.

Per concludere, se avete compreso veramente la verità e l'amore dentro di voi, significa che avete capito la vostra religione e quel valore produrrà una beatitudine durevole lungo tutta la vita, interiormente ed esteriormente: proprio questa è la pace autentica. Questo è il modo in cui le religioni sanno essere una risorsa di pace piuttosto che di guerra.

In realtà la religione ha svolto il ruolo più potente nella società umana per portare la pace e l'armonia.

Gedun Tharchin