I DODICI ANELLI dell’ORIGINE INTERDIPENDENTE
Geshe Gedun Tharchin
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Importanza
della Solitudine
La
verità delle Due Verità
L’Io
e il Mio
Natura
dell’Origine Interdipendente
I
Dodici Anelli dell’Origine Interdipendente
Non-dualismo
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Importanza della Solitudine
Sono
veramente lieto di essere con voi per condurre nel weekend un corso
di Dharma; è bello ritrovare ancora una volta gli amici con cui
lavorare sul Dharma cercando di focalizzarne l’essenza profonda.
Milarepa
era un grandissimo meditatore, pienamente concentrato sull’essenza
della pratica non si perdeva in futilità, e così deve essere la
pratica del Dharma, particolarmente oggi in cui pare non esserci mai
tempo per nulla. E’ necessario non disperdersi in inutili
sovrastrutture ed avere un approccio diretto, centrato. Per
realizzare questo obiettivo Milarepa aveva scelto di isolarsi dal
contesto sociale, dalle distrazioni, da ogni attività non
necessaria, dalla fama e dagli onori, lasciando tutto alle spalle per
perseguire la pura essenza; ecco il punto focale della pratica del
Dharma: isolarsi da ciò che non è necessario dedicandosi
all’essenziale, vivere la solitudine. In occidente il concetto di
solitudine è associato ad un senso di abbandono, fisico e morale, di
triste indifferenza, ma nel contesto del Dharma la solitudine è una
condizione indispensabile per raggiungere una reale crescita e
realizzazione umana.
Le
due interpretazioni del concetto di solitudine sono profondamente
differenti; nel contesto sociale ordinario, la solitudine è
realmente uno stato di abbandono, di isolamento, mentre nel Dharma
significa che mente e corpo hanno la capacità di esistere in
solitudine, la necessità di essere soli per raggiungere la
realizzazione. L’isolamento fisico diviene sostegno all’isolamento
mentale. Spesso nei testi buddhisti troviamo questa raccomandazione:
“Quando
hai compreso i principi degli insegnamenti devi cercare rifugio e
sostegno nella solitudine e nell’isolamento fisico e mentale in
modo da poterli realizzare”.
L’isolamento è la condizione che intensifica la pratica
spirituale, la pratica del Dharma .
Secondo la visione
buddhista, lo stare in solitudine è essere nella condizione ottimale
che dà forza e potere alla pratica. L’individuo che si trova in
solitudine scopre i propri limiti, li vede con chiarezza. Ognuno di
noi può misurare la propria debolezza, o la propria forza,
confrontando il bisogno di essere con gli altri, di condividerne la
vita e la necessità di rimanere in solitudine. Stare soli è molto
più difficile e raro di quanto si pensi, se anche apparentemente lo
siamo perché non c’è nessun altro nella stanza, non riusciamo a
spegnere il cellulare, a staccare il computer, a non accendere il
televisore, opponiamo a un vero isolamento dal mondo una forte
resistenza, ciò dimostra quanto dipendiamo dagli altri. Quando il
cellulare non funzione o non riusciamo a collegarci con internet ed
aprire l’e-mail siamo sopraffatti da un senso di smarrimento, ci
sentiamo completamente perduti; questa è la misura della nostra
debolezza.
Ai
tempi di Milarepa, non esistevano né il cellulare né internet e,
abbandonato il villaggio, ci si ritrovava fisicamente nell’assoluta
solitudine delle montagne, un ottimo sostegno per la solitudine
mentale. Oggi, però non esiste luogo al mondo in cui ritrovare
l’isolamento fisico, Anche nel più sperduto angolo del pianeta ci
seguiranno telefono, radio, computer, quindi la nostra solitudine è
solo un’illusione. La solitudine è più difficilmente realizzabile
per un praticante moderno che deve perseguire lo spirito con cui i
mistici del passato la vivevano, ma non deve imitarne pedestremente
le modalità.
Oggi si deve trovare la
solitudine ovunque, anche nella propria stanza, è sufficiente non
accendere il televisore, spegnere il cellulare, non connettersi con
internet. In un ambiente silenzioso e confortevole è possibile
rilassarsi e serenamente addentrarsi nella meditazione in vera
solitudine.
All’inizio questo
tipo di isolamento può apparire difficile e duro, ma poco alla volta
si scopre la gradevolezza, il piacere e la gioia della solitudine.
Allo stesso modo quando si riprende il contatto con il mondo esterno
si gusta con letizia la compagnia degli altri, l’essere insieme in
cammino sullo stesso sentiero. L’essenza del Dharma è ovunque, si
tratta semplicemente di imparare a coglierla.
Con
il termine “meditazione”, “mente solitaria” definiamo la
“mente che medita”, che si isola dai pensieri, dalle parole,
dalle attività inutili. L’ isolamento del corpo, l’abbandono
delle attività inutili, la ricerca della mente solitaria, non sono
in contraddizione con la vita, con la tecnologia moderna, ma al
contrario ne favoriscono l’ottimale utilizzazione, si impara a
utilizzare il necessario e nulla più. Il corretto uso di quanto
offre il mondo valorizza la complementarietà naturalmente esistente
tra le qualità spirituali e materiali, non esiste conflitto tra i
due aspetti, è la “via di mezzo”, la linea sottile della non
contraddizione.
Nirvana
e Samsara, due fenomeni, apparentemente contradditori, incontrano il
loro punto di coesione, di non contraddizione nella linea sottile
della via di mezzo. Anche tra la tecnologia più recente e l’antica
saggezza esiste questa connessione, la non contraddizione, si tratta
di trovare il punto di equilibrio, di incontro. La via di mezzo
permette di vedere con chiarezza in ogni fenomeno la connessione,
l’interdipendenza, la realtà interdipendente. Tutto esiste in
maniera interdipendente. La realtà dell’interdipendenza indica la
via di mezzo.
Per comprendere
profondamente la realtà dell’interdipendenza di tutti i fenomeni è
necessario avere la visione corretta della connessione esistente tra
loro. La nostra stessa esistenza è dipendente da un’infinita
quantità di fattori che a loro volta dipendono da altri. Tutti
questi fattori possono essere buoni, cattivi o neutrali,
indifferenti, ma sono tutti ugualmente necessari all’esistenza
della vita, e se non sappiamo accoglierli con armonia, trovando il
giusto equilibrio tra loro, saremo oppressi da pesante disagio e
sofferenza.
La chiave per
rapportarsi ad essi in armonia è la via di mezzo, la vera sorgente
della pace e della felicità. La realizzazione della realtà
dell’interdipendenza di tutti i fenomeni è chiamata “Dharma”.
Non esistono fenomeni che non dipendano da altri, è impossibile
trovare fenomeni indipendenti, e questa realtà è detta “via di
mezzo”, o “verità assoluta”, “verità ultima”.
La verità delle due Verità
Comprendendo che tutte
le cose sono interdipendenti, che non vi è nulla di autonomo e
indipendente osserviamo la verità relativa dei fenomeni per giungere
visione della non esistenza intrinseca di nessun fenomeno, la verità
ultima. Questo è ciò che nel Dharma è definito “la verità delle
due verità”.
Il
Buddha ha detto che coloro che vedono l’interdipendenza di tutte le
cose vedono il Dharma, e coloro che vedono il Dharma vedono il
Buddha. Coloro che vedono come tutto sia dipendente da altro,
osservano la verità relativa giungendo al Dharma ultimo che osserva
che nulla esiste in modo indipendente, che tutto manca di esistenza
propria, sostanziale intrinseca, osserva la verità ultima, la
Vacuità.
La
comprensione della verità convenzionale, o verità relativa, è la
via che conduce alla comprensione della verità ultima o assoluta,
la Vacuità, e colui che vede la verità ultima vede il Buddha. Al
tempo del Buddha i suoi discepoli potevano vederlo, ascoltarlo, era
fisicamente percepibile, eppure egli non intendeva questa visione
affermando: “vedrete il Buddha”, si riferiva invece alla
possibilità di “vedere le due verità”, perché in esse ognuno
può ottenere lo stato di Buddha.
Il concetto di
interdipendenza è fondamentale e deve essere applicato a tutti gli
aspetti ella vita, da quelli più grossolani ai più sottili, fino
alla realizzazione della buddhità. La ricerca della verità ultima
produce un’importante realizzazione, perché permette di scoprire
che, se tutto è interdipendente, anche gli aspetti della vita da noi
percepiti come positivi, negativi o neutri, in realtà appartengono
alla stessa natura quindi sono uguali, li possiamo accogliere con
accettazione serena senza discriminazioni, comprendiamo finalmente
che non è possibile rifiutare uno e accettare l’altro, perché
sono interdipendenti.
Risulta
evidente come non si possano eliminare le negatività dalla vita
volendo contemporaneamente salvarne gli aspetti positivi, è
impossibile perché entrambi i fenomeni sono reciprocamente
interdipendenti, dobbiamo invece ricercare nella vita ordinaria e
quotidiana il loro punto di coesione, l’equilibrio che diviene la
vera sconfitta di tutte le negatività dell’esistenza. Questo è il
potere mistico della verità della Vacuità.
Attraverso
l’analisi della realtà interdipendente si scoprono moltissime
possibilità di soluzioni ai problemi quotidiani. Credo che questa
sia l’indicazione fondamentale, il vero consiglio che il Buddha ha
cercato di trasmettere al mondo, ecco perché è così importante
imparare a vivere la solitudine sapendo vivere nella società.
Entrambi gli aspetti sono necessari all’esistenza, devono essere
vissuti con consapevolezza e ciascuno di essi apporterà serenità e
gioia.
E’ necessario trovare
la connessione, la complementarietà tra questi due aspetti,
apparentemente contradditori, analizzarne l’interdipendenza,
trovare il punto d’incontro, l’equilibrio. Dobbiamo sempre essere
vigili nella consapevolezza che ogni fenomeno dipende da altri
fenomeni, dunque tutti i fenomeni sono interdipendenti e nessun
fenomeno ha un’esistenza intrinseca, nulla esiste da sé in modo
indipendente da altri fenomeni.
Se
due automobilisti si scontrano, o due passanti battono la testa uno
contro l’altro, chi ha battuto chi? Entrambi si sono fatti male
allo stesso modo, chi ha scontrato è stato scontrato e viceversa;
una realtà dipende dall’altra. Questo principio deve essere
applicato ad ogni fenomeno, ad ogni esperienza, sia di dolore o di
gioia, sino all’esperienza stessa dell’io, del sé, della propria
persona. Un esempio: dov’è la felicità? in questo luogo? in
quest’altro? Dove?
In
questi giorni a Roma, sentivo molto caldo, e mi sono posto la
domanda: dov’è il caldo? Sulla pelle? Allora se tolgo la pelle
sentirò meno caldo? Dov’è? Il caldo c’è, ma se vado a cercarlo
non lo trovo da nessuna parte, posso sentirlo, ma non lo vedo, non
lo tocco, non lo identifico con nulla di concreto, constato
semplicemente che è il risultato dell’interdipendenza di infiniti
fenomeni. Io sento caldo, ma un'altra persona lo può percepire in
modo assolutamente diverso, anche contrario, perché i fattori si
intersecano differenziandosi, quindi, il caldo è vacuo.
Ecco le due verità
“relativa” e “assoluta”, l’interdipendenza e la mancanza di
indipendenza. Il caldo c’è in quanto condizionato da altro, ma il
caldo non condizionato da altro non esiste. Il caldo non ha una
realtà propria, perché se così fosse potrei individuarlo,
prenderlo e toglierlo di mezzo. La verità relativa è la dipendenza
di tutti i fenomeni e la verità assoluta è la non-esistenza di
nessun fenomeno in modo indipendente.
Domanda:
Quando
io soffro, soffro a causa della realtà relativa, non di quella
assoluta, quindi, anche se scopro che il caldo è una realtà
relativa, non me ne importa nulla, lo soffro ugualmente!
Lama:
Certamente,
io sono come te e soffro il caldo ugualmente, ma quello che è
importante comprendere è la natura del fenomeno, questo è il primo
fondamentale passo verso la liberazione dalla sofferenza. Il fenomeno
sofferenza non esiste intrinsecamente, è un’illusione. Possiamo
quindi scegliere se sperimentare la sofferenza, dukkha, o realizzare
la realtà della sofferenza, sono due cose diverse. In entrambi i
casi l’esperienza della sofferenza permane, quindi si soffre e in
questo non vi è nulla di negativo perché l’esperienza della
sofferenza è la condizione della nostra vita, è la condizione
dell’esistenza samsarica. Ma osservare consapevolmente la realtà
della sofferenza è la realizzazione della sofferenza.
A causa dell’ignoranza,
dell’illusione, dell’attaccamento sperimentiamo la sofferenza
come sofferenza, ma se la osservassimo senza ignoranza, illusione e
attaccamento, l’esperienza della sofferenza non sarebbe sofferenza.
Nella sua natura dukka,
la sofferenza, è sofferenza, ma realizzandola con consapevolezza non
si trova sofferenza. L’errore è dire “io soffro”, ma se il mio
atteggiamento mentale è: “sperimento la sofferenza” o “c’è
esperienza della sofferenza”, realizzo la verità della sofferenza.
Domanda:
Non so se ho capito, ma a me sembra che spesso ci facciamo
condizionare da idee preconcette, culturali e per questo soffriamo di
più, è così?
Lama:
“io
soffro” “sto soffrendo” è la creazione della nostra illusione
mentale. Il diverso modo di sperimentare la sofferenza dipende dal
livello di realizzazione di ciascuno. Questo è facilmente
osservabile nelle persone gravemente ammalate, la loro reazione alla
malattia può essere davvero molto diversa in coloro che subiscono
l’esperienza della sofferenza e coloro che osservano la realtà
della sofferenza. Ripeto, non c’è nulla di sbagliato
nell’esistenza della sofferenza, è naturale che essa esista, il
punto sostanziale è come la si accoglie.
Per comprendere meglio
quanto detto sinora leggiamo alcuni versi tratti al XXIV capitolo
della Madhyamakamulakarika di Nagarjuna - “Le Quattro Nobili
verità”:
versetto 8°
“L’
insegnamento, o Dharma, di Buddha giace su due verità,
la
verità convenzionale o relativa e la verità assoluta o realtà
ultima”
versetto 9°
“Coloro che non
comprendono la distinzione tra queste due verità
allora
non comprendono l’essenza profonda del Dharma”
versetto 10°
“Non comprendendo
la realtà relativa
non
si può comprendere la realtà ultima
e
non comprendendo la realtà ultima
non
si può realizzare il Nirvana”
In
altre parole, la comprensione della realtà o verità ultima dipende
dalla comprensione della realtà convenzionale o relativa, quindi non
c’è modo di comprendere la verità ultima se non passando
attraverso la verità convenzionale o relativa. La comprensione della
realtà ultima o Vacuità non è facile e per questo è necessaria
una grande attenzione e prudenza perché vi è il rischio di
interpretarla in modo errato con conseguenti gravi problemi, in
tibetano si dice “è come cacciare il serpente prendendolo per la
coda”.
La realtà
convenzionale e la realtà ultima sono complementari, non
contraddittorie, e la comprensione dell’una facilita la
comprensione dell’altra. Mantenendo questa visione mutuale si
giunge alla comprensione del loro reale significato.
Esistenza della
sofferenza o non esistenza della sofferenza: a livello relativo la
sofferenza esiste, ma a livello ultimo la sofferenza non esiste,
perché quando si va a cercare un oggetto che abbia tutte le
caratteristiche della sofferenza non si trova nulla.
versetto 11°
“Il
fraintendimento della Vacuità
distrugge
le persone di poca intelligenza
è
come afferrare un serpente per la coda
è
come pronunciare una formula magica in modo errato”
versetto 12°
“conoscendo quanto
sia difficile per il debole comprendere il Dharma
il
Buddha nel suo cuore esitò nell’insegnare il Dharma”
La
Vacuità è l’essenza del Dharma e proprio per questo è rischioso
insegnarla, la sua comprensione può essere davvero difficile. La
Vacuità non può essere spiegata soltanto con l’insegnamento e
l’esemplificazione letterale, ma è necessario averne una
percezione diretta, sperimentarla.
versetto 13°
“Vacuità
è la realtà ultima
o
il modo ultimo di esistenza delle cose.
Se
un fenomeno non fosse vacuo non potrebbe esistere”
L’
esistenza del fenomeno dipende dalla Vacuità, dal modo di essere che
è Vacuità, ovvero dalla mancanza di sostanzialità, così quando
cacciamo un serpente dobbiamo stare molto attenti a non afferrarlo
per la coda.
versetto 14°
“Per
coloro per i quali la Vacuità è possibile
tutto
è possibile
per
coloro per i quali la Vacuità non è possibile
nulla
è possibile”
Chi
sostiene che le cose esistono, ma non sono vacue, fa un’affermazione
errata.
versetto 15°
“Voi imputate i
vostri errori a me
mentre
siete voi in errore
siete
come un cavaliere
che
dimentica il cavallo che sta cavalcando”
Quindi
se noi attestiamo che le cose esistono ma non sono vacue siamo come
quel cavaliere, o come un automobilista che mentre guida afferma che
l’auto non c’è perché ha scordato di essere sulla macchina che
sta guidando.
Poiché tutte le cose
dipendono da cause e condizioni questa stessa dipendenza è il
significato della Vacuità. Le cose esistono semplicemente a livello
di nome. Prendiamo ad esempio tutti i pezzi che compongono un tavolo,
li mettiamo insieme in un certo ordine e avremo ciò che noi
definiamo tavolo, ma se li smontiamo non avremo più nulla che
possiamo identificare come tavolo. Quindi il tavolo esiste solo a
livello di nome, non ha un’esistenza sostanziale propria, dipende
dall’assemblamento di tanti pezzi che hanno a loro volta nomi
diversi.
Tutte le cose esistono
solo a livello di denominazione che, con un termine particolare
utilizzato nel Madhyamaka, la via di mezzo, si dice “imputazione”
Questo concetto è
spiegato nel versetto 18°
“Qualunque cosa
sorga nella dipendenza
è
detta Vacuità
e
questa viene chiamata imputazione del sorgere interdipendente.
Questa
è la via di mezzo, la Madhyamaka”
Poiché
non esiste nulla che non dipenda da altro, non esiste nulla che non
sia vacuo. Le spiegazioni di questi versi sono difficili, esistono
varie interpretazioni e scuole, per cui è possibile che si possa
creare una certa confusione, ma ciò che è fondamentale comprendere
è che qualsiasi tradizione fa capo al testo radice di Nagarjuna, è
dunque consigliabile attingere sempre direttamente a questa fonte per
poter comprendere tutte le sfumature, gli insegnamenti, le
interpretazioni successive.
Il testo di Nagarjuna è
pura filosofia, privo di ogni condizionamento culturale, religioso,
di razza. E’ filosofia universale, filosofia per l’essere
umano.
Nagarjuna risponde con
i versi 14° e 15° a coloro che lo contraddicono e che, non
riconoscendo il proprio errore, lo attribuiscono allo stesso
Nagarjuna:
“Per
coloro per i quali la Vacuità è possibile, tutto è possibile, per
coloro per i quali la Vacuità non è possibile, nulla è possibile”
“Voi imputate i
vostri errori a me mentre siete voi in errore, siete come un
cavaliere che dimentica il cavallo che sta cavalcando”.
Se
percepite l’esistenza delle cose come se esse possedessero
un’essenza propria, questa percezione è errata perché non tiene
conto delle cause e delle condizioni. Secondo questa visione la causa
e l’effetto, l’agente e l’azione, le condizioni, il sorgere e
il cessare, sono impossibili. Qualunque cosa sorga
interdipendentemente è detta essere vacua, è Vacuità. L’essere
nell’imputazione interdipendente è essere nella via di mezzo.
La
via di mezzo, la Vacuità, l’interdipendenza, la mera imputazione
sono sinonimi, indicano la stessa realtà.
L’Io e il Mio
La
comprensione del concetto di interdipendenza è essenziale
all’assimilazione profonda del significato dei “Dodici anelli
dell’origine interdipendente” e ne abiamo spiegazione chiara ed
esauriente nel 26° capitolo della Madhyamaka.
Il
primo anello dell’origine interdipendente è l’IGNORANZA,
che si presenta in duplice aspetto, l’uno è la «non
conoscenza»
e
l’altro è la «conoscenza
errata».
Durante il sonno si sperimenta l «non conoscenza», non si ha alcuna
percezione della realtà quindi non si conosce.
Ma ignoranza più
pesante è data dalla «conoscenza errata», che, ad esempio, afferma
l’esistenza di un sé sostanziale e la sostanzialità dei fenomeni.
Questo tipo di ignoranza si articola in tre categorie:
1. l’ignoranza
che riguarda il Sé,
l’Io
2. l’ignoranza
che riguarda il Mio
3. l’ignoranza
che riguarda i fenomeni.
La
terza categoria in genere non ci colpisce, non ci influenza
particolarmente, ma le prime due, del sé e del mio, ci condizionano
moltissimo incatenandoci strettamente alla sofferenza. L’ignoranza
del sé è originata per prima, nel testo di Chandra Kirti
“Madhyamakavatara” che letteralmente significa “Impegnarsi
nella Via di Mezzo”,ne è descritta l’evoluzione:
- da principio si afferra ciò che chiamiamo “io”;
- poi sorge l’attrazione verso ciò che chiamiamo “mio”;
- da entrambi scaturiscono “desiderio e attaccamento” che cominciano a far girare la ruota senza fine dei tre tipi di sofferenza. Con il termine “senza fine”, non si intende l’impossibilità di cessazione, ma significa che come in un cerchio, non c’è punto né di inizio né di fine, si tratta di un moto in continua rotazione.
Avendo perduto la
libertà a causa dell’ignoranza, forzatamente si ruota
ininterrottamente nel movimento creato dall’io e dal mio. Questa è
l’ignoranza fondamentale ed è la radice del Samsara. “Oscurati
dall’ignoranza si è mossi dall’azione verso il proprio destino”,
cioè verso il circolo vizioso, senza fine, del Samsara.
Il significato del
primo anello è l’ignoranza, la percezione errata, il
fraintendimento dell’io e del mio; non si comprende che l’io, il
sé, è vacuo, è interdipendente, è mera imputazione in quanto
esiste solo in dipendenza da cause e condizioni. La natura dell’io
è pura Vacuità e comprendendo che questa è la sua vera natura si
ha la visione della via di mezzo, la visione della saggezza che si
oppone all’ignoranza fondamentale.
Domanda:
A
me sembra abbastanza facile dimostrare, logicamente, che un tavolo è
un nome, quando però si passa all’io la cosa mi pare assai più
difficile da accettare. Non ho capito in quale modo l’io possa
essere relativo, perché il mio io è l’origine stessa della mia
conoscenza. Ogni percezione che ho è il mio stesso io.
Lama:
Quando hai una qualsiasi percezione tu dici “io vado” “io
ascolto”, ma in realtà, se osservi con attenzione, l’occhio
vede, l’orecchio ascolta e né occhio né orecchio sono te, sono
una parte di te, ma senza occhi e senza orecchie tu esisti
ugualmente. L’io, la persona è composta da sei elementi, di cui
quattro comuni e due complessi: lo spazio o vuoto e la coscienza. Tu
quindi sei costituito da questi sei elementi; è facile capire che i
quattro elementi comuni non possono essere l’io, anche lo spazio
non è l’io, ma quando si arriva al sesto elemento, la coscienza,
nascono dubbi, ci si identifica totalmente con la coscienza, si dice
io sono la coscienza.
Ma cos’è la
coscienza? Non è un fenomeno unico, è una molteplicità di
fenomeni: ci sono i sensi della mente, i sensi della fisicità,
eppure in mezzo a tanta pluralità non c’è nulla che possa essere
indicato come io. La coscienza è un flusso in continuo divenire,
sono continui e distinti momenti di coscienza. Non vi è nulla di
permanente identificabile come io. Tutto è interdipendente, quindi
vacuo. La realizzazione della Vacuità, o realizzazione
dell’interdipendenza, ci libera dalla concezione errata dell’io.
La prerogativa
dell’essere umano è la coscienza, e lo sconfinato significato
della vita umana giace nella mente. Mi rendo conto di quanto sia
difficile trasmettere questi concetti: la Vacuità, la natura del
Buddha, la natura della mente, la rinascita; è più facile
avvicinarsi ad essi nella meditazione.
Domanda:
Credo che fino a quando si ha un corpo sia davvero difficile
assimilare simili nozioni, o si realizza la Vacuità o sarà sempre
impossibile coglierla profondamente.
Domanda:
E’ giusto quel che diceva il Lama, se non ci si immerge nella
meditazione, ma si pretende di raggiungere una conoscenza solo
attraverso la logica è impossibile comprendere la Vacuità.
Lama:
Allora concludiamo questa giornata con la meditazione.
Per
poter tagliare la radice del Samsara, occorre conoscere prima di
tutto come inizia e come ci si entra. Per questo è necessario
studiare i dodici anelli dell’origine interdipendente che ne
indicano con precisione l’inizio, lo sviluppo e il circolo vizioso
in cui si rimane intrappolati. Con questa consapevolezza possiamo
essere colti da un senso di tristezza e di sconforto, ma altrettanto
dovrebbe nascere e crescere in noi il desiderio di uscire da una
simile situazione, la volontà di rinuncia al permanere nel Samsara,
il desiderio di liberazione.
Riflettere sul processo
del Samsara, sulla realtà dell’esservi immersi, ce ne mostra la
radice, l’origine. Lo studio dei dodici anelli dell’origine
interdipendente indica chiaramente la genesi del Samsara la sua
evoluzione, la continua riproduzione di se stesso e le infinite
implicazioni e condizionamenti nella nostra vita, offre una visione
chiara del processo di causa-effetto prodotto in noi dalle diverse
emozioni, a volte di tristezza, a volte di gioia e altre volte
neutre.
Studiare
con attenzione i dodici anelli dell’origine interdipendente
favorisce lo sviluppo della saggezza, unico efficace strumento per
sconfiggere il primo e importante anello: l’ignoranza. Riflettendo
sulla catena dei dodici anelli, si analizzano tutte le implicazioni
che controllano la nostra vita, che ci imprigionano nel circolo
vizioso di sofferenza che crea altra sofferenza. Questa presa di
coscienza è positiva perché evidenzia la situazione in cui siamo
immersi, la natura della nostra sofferenza, indicandoci nel contempo
la via della saggezza.
La
consapevolezza della natura della sofferenza ha inoltre l’effetto
positivo di indurre il forte desiderio, la volontà, di liberazione
dal pesante giogo. Il riconoscimento della dinamica di nascita e
crescita della sofferenza conduce all’approfondimento del
funzionamento dei dodici anelli, offrendo così una visione
estremamente chiara della natura e delle conseguenze dell’
ignoranza in un processo cognitivo che condurrà alla conoscenza
della Vacuità. Per questo si dice che:
“la
saggezza della Vacuità taglia le radici dell’ignoranza”.
Lo
studio e la meditazione di questo testo è fondamentale, è la strada
che porta alla liberazione.
Natura dell’Origine Interdipendente
Nel testo si parla di
“coproduzione condizionata”significato del processo di causa
effetto, sintetizzato in tre punti:
- “se c’è questo, c’è quello”;
- “dalla nascita di questo, nasce quello”;
- “condizionati dalla nescienza (ignoranza) si riproducono i coefficienti (karma)”.
Questi tre fattori
compongono e completano le condizioni determinanti il risultato e
dimostrano esaurientemente la natura dell’interdipendenza.
Esaminiamoli uno alla volta:
- Il primo, “Se c’è questo, c’è quello”, indica che se non c’è una causa nemmeno ci sarà un risultato. Al contrario, con cause e condizioni si avrà un risultato, senza cause e condizioni no, quindi nessun risultato può prodursi in mancanza di cause e condizioni, nulla esiste in assenza di cause e condizioni.
- Il secondo, “dalla nascita di questo, nasce quello”, significa che ciò che è entrato in esistenza lo ha fatto in virtù di una causa e che questa causa non può essere permanente. Non è possibile che qualche cosa venga in esistenza senza causa e questa causa è impermanente perché una causa permanente non può dare alcun risultato. Nessun risultato può essere prodotto da una causa permanente.
- Il terzo, “condizionati dalla nescienza (ignoranza) si riproducono i coefficienti (karma)”, indica che ciascun risultato deriva da una causa che gli corrisponde; tra risultato e causa deve esserci corrispondenza che definisce la formazione karmica, è l’impulso karmico. L’ignoranza (causa) e la formazione karmica (risultato) si connettono tra loro, il loro legame rientra nel processo di Dukkha, di formazione della sofferenza.
Così, come il seme di
riso non può che far gerrmogliare la piantina di riso e il seme di
mais la piantina di mais, ogni risultato corrisponde alla causa che
lo ha determinato. Soffermandoci sull’esempio della piantina di
riso sappiamo che essa non può essere prodotta senza causa, non può
essere prodotta da una causa permanente, e non può essere prodotta
da una causa diversa, come un seme di mais. Se la piantina di riso
potesse svilupparsi senza causa, non sarebbe necessario piantare il
seme di riso, il riso sarebbe eternamente presente, senza bisogno di
alcun intervento.
I tre elementi della
relazione di “causa - effetto”, o, “causa - risultato”, sono
essenziali alla comprensione di ogni tipo di fenomeno. Le emozioni,
felicità, infelicità e atteggiamento neutrale, rientrano nella
relazione di causa - effetto, in tutti e tre gli aspetti.
La
percezione di una sensazione di felicità è il risultato di una
causa che non può che essere impermanente. Quindi la sensazione di
felicità è un effetto che corrisponde alla sua causa, ovviamente
positiva, perché se fosse negativa l’effetto generato sarebbe da
noi percepito come infelicità. Comprendendo questo meccanismo di
causa - effetto siamo in grado di capire il processo dell’origine
dipendente, o del sorgere interdipendente detto anche “originazione”
interdipendente.
L’origine
dipendente indica ciò che si determina in dipendenza da altro, è il
risultato, l’effetto di una causa. Si inizia così un processo a
catena, per cui una causa produce un effetto che a sua volta diviene
causa per un altro effetto e così via. La sequenza senza fine ha
avuto inizio. Con il prodursi dell’effetto, la causa che lo ha
determinato cessa, non è più causa, quindi la causa è sempre e
solo impermanente.
Il processo di causa
effetto può essere generato in due modi, il primo è detto
“susseguente” e il secondo “di contemporaneità”. Il processo
appena descritto è susseguente, ma è possibile che un effetto
avvenga solo per l’insieme di cause che debbono sussistere
contemporaneamente, si ha così un fenomeno di “contemporaneità”.
(Per chiarire il concetto il Lama percuote con il batacchio la
campana che immediatamente emette un prolungato e profondo suono) Noi
abbiamo udito l’effetto suono, che però è stato determinato da
un’insieme di cause concomitanti: la campana, il batacchio, la mano
che lo ha preso e l’incontro di questo con il bordo della campana.
Senza l’esistenza della contemporaneità di tutte queste cause non
si sarebbe potuto generare il suono, nessuna causa singola sarebbe in
grado di ottenere il risultato voluto.
Se
riflettiamo sull’origine interdipendente, riconosciamo che tutto
accade per una causa impermanente che ne ha determinato l’effetto
il quale, a sua volta, è causa impermanente di altro effetto, e così
via. C’è sempre corrispondenza tra causa - effetto, causa -
risultato. Comprendere questo meccanismo significa avere una chiara
visione, una realizzazione, dell’esperienza che si sta vivendo,
momento per momento.
In
questo modo portiamo l’esperienza nel palmo della mano, ne abbiamo
consapevole osservazione che diventa chiave del cambiamento. Volendo
cambiare l’esperienza sappiamo di avere gli strumenti per farlo,
come farlo, se invece non desideriamo cambiare possiamo permanervi,
senza modificare nulla. Se voglio essere felice so cosa devo fare, se
desidero rimanere nell’infelicità sono altrettanto libero. E’ un
aspetto interessante del Buddhismo, il Buddha non ha mai detto: “devi
essere felice, devi stare bene”,
ma: “puoi
essere felice, puoi stare bene, se tu lo vuoi. Per stare bene la via
è questa, per rimanere nell’infelicità è quest’altra”.
Ognuno sceglie il proprio sentiero. Quindi se anche le nostre scelte
sono sbagliate, possiamo osservare l’errore con pace, cambiare le
cause e quindi modificarne gli effetti, ciò evita il prodursi di
sterili quanto dannosi sensi di colpa che non farebbero che causare
altri effetti negativi.
Per
godere di questa libertà è però necessario penetrare profondamente
nel reale significato dell’origine interdipendente.
Nel testo della
Madhiamikamulakarika, “Lode a Manjusrhi l’eternamente giovane”
si cita:
“La coproduzione
condizionata,
pacificazione
di ogni spiegamento del pensiero discorsivo,
benigna,
senza arresto, senza nascita, senza annientamento, senza eternità,
senza unità,
senza
molteplicità, senza venuta, senza andata.
Colui
che svegliato, l’ha insegnata,
io
lo saluto,
Lui,
il migliore dei parlatori”
Le
prime righe “La coproduzione condizionata, pacificazione di ogni
spiegamento del pensiero discorsivo” illustrano la cultura tibetana
in cui la conoscenza dell’origine interdipendente diviene
pacificazione di ogni realtà, perdono senso concetti dualistici e
fuorvianti quali: “buono - cattivo”, “bello - brutto”,
“andare - venire”, “piacevole - spiacevole” e nel testo sono
descritte le otto qualità della pacificazione: “benigna, senza
arresto, senza nascita, senza annientamento, senza eternità, senza
unità, senza molteplicità, senza venuta, senza andata.
La comprensione
dell’interdipendenza porta alla pacificazione di tutte le
sovrastrutture mentali che creano divisione e con mente non
dualistica si è in grado giungere alla vera libertà.
In questo verso è
praticamente sintetizzato il senso dell’intero testo ed è
basilare.
Generalmente
nell’editoria moderna il sommario è stampato in coda al libro
invece nel passato era d’obbligo presentare prima la sintesi
dell’argomento da trattare.
I filosofi greci
Aristotele e Platone hanno particolarmente affinità con concetto
Buddhista di impermanenza. La filosofia greca è interessante, non
impone conclusioni ma induce a riflettere sulle questioni, al
ragionamento, e la conclusione ognuno la deve trovare da sé.
Il
verso iniziale della Madhiamaka Mula karita è essenziale perché
indica con estrema chiarezza come la comprensione dell’origine
interdipendente conduca alla cessazione delle dualistiche costruzioni
mentali e quindi alla vera liberazione. Per questo motivo si dice che
l’insegnamento dell’origine interdipendente è il fulcro, il re,
di tutti gli insegnamenti.
I maestri tibetani
hanno analizzato e interpretato questo testo, sviscerandone ogni
possibile sfumatura, da cui sono nati i numerosi “sottotesti”; ma
a coloro che non appartengono a questa cultura io consiglio vivamente
di riferirsi sempre direttamente al testo originale di Nagarjuna,
perché è l’unica garanzia per evitare grossolani fraintendimenti
atti ad aumentare la confusione.
E’ importante avere
molta cura nella scelta dei testi di Dharma, alcuni originali scritti
da illustri maestri sono certamente più difficili, altri invece più
facili, quasi fossero libri per bambini, si limitano spesso ad
un’infarinatura superficiale ed è pericoloso abituarsi a questo
tipo di approccio perché diventa sempre più arduo addentrarsi con
mente recettiva nel cuore dei testi più complessi ma più
esaurienti. Il testo radice, originale, privo delle interpretazioni
delle differenti scuole formate in momenti successivi, in un solo
verso può contenere il significato più profondo e completo.
In
Tibet lo studio del Buddhismo è cresciuto in un processo di logica
sempre più raffinata, ogni parola analizzata sottilmente permette
un’elaborazione analitica, dettagliata, specifica e profonda di
ogni argomento. Ma questa dialettica risulta di difficilissima
comprensione per coloro che non vivono nel contesto culturale delle
università monastiche tibetane.
In India
nell’Università di Nalanda ai tempi di Nagarjuna questa modalità
di analisi non esisteva, si preferiva un sistema di logica più
diretto e accessibile a tutti. In considerazione di questo molti
studiosi buddhisti hanno abbandonato i testi tibetani riferendosi
unicamente a testi indiani che, oggi, sono sicuramente più adeguati
al contesto culturale e al tipo di logica degli studiosi occidentali.
Domanda:
Nessuna
causa
può essere permanente, quindi anche l’effetto è impermanente,
però la mente è eterna, quindi permanente, e genera un effetto
permanente che sono i fenomeni, allora è impermanente solo il modo
di percepire i fenomeni?
Lama:
La mente non è affatto permanente, è totalmente impermanente, tu
pensi che la mente non cambi?
Domanda:
Ma
la mente esiste eternamente nella sua capacità di creare ed è ciò
che crea che, divenendo ciclicamente causa effetto, è
impermanente...
Domanda:
Vorrei
aggiungere qualcosa a questa domanda; noi occidentali siamo forse
fuorviati dal concetto di un’anima individuale e immortale, così
come il fenomeno delle consapevoli rinascite dei Bodhisattva, e
allora è veramente difficile comprendere l’impermanenza della
mente
Lama:
Nel tantra chiamato “il Nome di Manjushri” si legge:
“Il Buddha non ha
inizio e non ha fine.
Il
primo Buddha non ha causa”
Il
Buddha non ha inizio e non ha fine significa che la mente non ha
inizio e non ha fine. Il Buddha non ha causa significa che la natura
del Buddha non è causata, è nella natura della mente essere Buddha.
Però ciò non vuol dire che la mente sia permanente. Il flusso
continuo della mente viene da tempo senza inizio, ma la mente di
adesso non c’era ieri e non ci sarà domani. La mente di adesso
finisce qui, è effetto della mente di ieri e causa della mente di
domani. E’ sempre la propria mente, ma non è la stessa di prima e
non può essere la stessa che verrà dopo.
La mente di adesso è
venuta in esistenza a causa di fattori impermanenti precedenti con i
quali vi è corrispondenza. Un libro non può diventare mente perché
non vi è alcuna corrispondenza tra causa - effetto, non c’è
relazione corrispondente.
Così i Bodhisattva
rinascono continuamente, ma non sono mai la stessa persona.
Bodhisattva è ciò che definisce la qualità della mente, non
identifica l’individuo.
Osserviamo
la vita umana: si va a scuola, si lavora e poi si va in pensione. Ma
il bambino non è il pensionato, l’impiegato non è il pensionato.
A livello convenzionale sono la stessa persona perché hanno lo
stesso nome, ma in realtà questo avviene solo a livello
convenzionale e di nome. Le persone che entrano in relazione con noi
ci identificano in base a quel nome, ma noi mutiamo, non siamo la
persona di ieri e nemmeno quella di domani, anche se causa - effetto
determinano una continua correlazione tra loro.
I Dodici Anelli dell’Origine Interdipendente
Il
capitolo 26° del testo Mula karika della Madyamaka di Nagarjuna,
analizza i dodici anelli dell’origine interdipendente e inizia
affermando che nell’ignoranza si formano i tre tipi di karma
responsabili del passaggio degli esseri nelle vite future.
Ricorderete che esiste l’ignoranza che determina il karma, legge di
causa effetto, e l’ignoranza rivolta alla realtà ultima.
L’ignoranza di causa effetto impedisce di vedere che ogni azione -
mentale, verbale, o fisica - produce il relativo effetto e, dunque,
l’accumulo di più azioni negative potrà determinare la rinascita
in esistenze inferiori.
L’ignoranza
della realtà ultima si presenta in due aspetti:
1. Nel primo la
persona ignora la realtà ultima, ma conosce la legge di causa
effetto, e quindi attua azioni virtuose che determinano una rinascita
nel reame umano;
2. Nel secondo la
persona ignora la realtà ultima, conosce la legge di causa effetto,
ma attua azioni neutre, dovute alla dimensione della concentrazione
mentale e questo determina la rinascita nei reami dei Deva,
teoricamente più alti ma che in realtà non sono affatto più
elevati rispetto all’esperienza umana. I tre reami:
- reame basso
- reame umano
- reame dei Deva
secondo
un tipo di rappresentazione sarebbero ubicati in un luogo ideale,
però, tra le moltissime interpretazioni, probabilmente la più vera
li colloca a livello dell’esperienza che ognuno vive.
I tre tipi di karma,
positivo, negativo e neutro, sono creati da corpo, parola e mente,
quindi il termine “tre” ricorrente nel testo, è riferito sia ai
tre tipi di karma che ai tre modi di produzione di karma. L’ignoranza
determina karma negativo, positivo o neutro. Ogni azione genera il
karma attraverso il corpo, la parola, la mente e diviene impronta
mentale. Tra questi il modo più potente nella strutturazione del
Karma avviene attraverso la mente, ma cos’è l’azione mentale? il
karma prodotto dalla mente? E’ l’attitudine mentale, ogni
pensiero che sorge ne è accompagnato e, in dipendenza da essa, può
essere positivo, negativo o neutro. Se l’attitudine è positiva lo
sarà anche il pensiero e produrrà karma positivo. E’ l’attitudine
che dirige il destino del pensiero, non è tanto importante ciò che
facciamo, diciamo o pensiamo, quanto l’attitudine che accompagna
tutte queste azioni.
La
pratica del Dharma comporta dunque la consapevolezza dell’inevitabile
necessità di cambiare attitudine, di assumere sempre un’attitudine
corretta, è ciò a cui ci si riferisce parlando di addestramento
mentale. La psicologia buddhista ribadisce che ogni pensiero è
accompagnato da cinque fattori onnipresenti:
1. sensazione;
2. discriminazione, o,
mente discriminante;
3. attitudine;
4. contatto con
l’oggetto;
5. riflessione,
ragionamento, osservazione.
Tra essi il fattore
determinante nella produzione del karma mentale, positivo, negativo o
neutro, è l’attitudine, elemento decisivo allo sviluppo delle
rinascite future.
L’attitudine ha il
potere di influenzare le azioni mentali, fisiche e verbali.
Le azioni mentali,
fisiche e verbali lasciano impronte nella mente, la influenzano,
determinando le predisposizioni karmiche. Questo è il secondo anello
dell’interdipendenza.
Il terzo anello è
quello della coscienza, già impregnata dalle impronte karmiche, le
predisposizioni.
Dall’ignoranza
scaturisce il karma; quindi si formano le tre azioni - mentali,
fisiche e verbali - che lasciano un’impronta nella coscienza
principale (terzo anello). L’impronta impressa nella coscienza
dalle azioni è come un seme che ha il potere di far germogliare la
rinascita.
Secondo
verso:
“La
coscienza, che è determinata dalle azioni karmiche,
la
coscienza che è condizionata dalle impronte karmiche,
è
lanciata verso diversi destini”
Questi
tre anelli: ignoranza, formazioni karmiche e coscienza, sono l’uno
susseguente all’altro.
Il quarto - Nome e
Forma - è costituito dai cinque aggregati e si sviluppa nel momento
in cui la coscienza entra nella vita successiva. La forma corrisponde
all’aggregato della forma e il nome agli altri quattro: delle
sensazioni, della discriminazione, della coscienza e delle azioni che
contengono tutto il resto dei fenomeni.
E’
necessario studiare i cinque aggregati secondo tutti gli aspetti
approfonditi nei trattati dell’ Abhidharma
(Dharma superiore), del Pramana
(mezzo
valido di coscienza) e della Madhyamika
(Dottrina della Via di mezzo), per ottenerne una completa
comprensione.
- Nell’ Abhidharma la spiegazione dei cinque aggregati è scientifica, approfondisce l’aspetto fisico e metafisico.
- Nel Pramana si affronta l’aspetto metafisico e psicologico.
- Nella Madyamaka prevale la spiegazione della realtà ultima dei cinque aggregati.
Il quinto anello -
“delle sorgenti sensoriali” - tratta delle sei forme che,
percepite dai sensi, diventano sensazioni:
1. colore e
forma oggetto della vista
2. suono oggetto
dell’ udito
3. odore oggetto
dell’ olfatto
4. sapore oggetto del
gusto
5. tatto oggetto del
toccare
6. coscienza oggetto
del dharma
Quando nome e forma, i
cinque aggregati, cominciano a costruirsi si presentano come oggetto
percepibile dai sensi.
Il
sesto anello è il contatto. Lo sviluppo di nome e forma crea le
sorgenti sensoriali dalla cui dipendenza nascerà il contatto. Il
contato si costituisce in dipendenza dal senso, dall’oggetto e
dalla coscienza immediatamente precedente. Queste sono le tre
condizioni che determinano il contatto.
Le
tre condizioni che permettono la funzionalità del senso della vista
ad esempio sono date dall’organo sensoriale - l’occhio,
dall’oggetto della vista - colore e forma e dalla coscienza che è
immediatamente precedente al verificarsi del contatto. Le tre
condizioni, insieme, costituiscono il contatto.
Riassumendo: Nome e
Forma sono il primo stadio della nascita, poi si sviluppa lo stadio
della percezione dei sensi e, quando i cinque aggregati sono
percepibili si è a livello delle sensazioni sensoriali (5° anello).
Dall’incontro dell’oggetto dei sensi con i sensi che lo
percepiscono, congiuntamente alla coscienza immediatamente
precedente, si ha il contatto (6° anello). Dal contatto sorge la
sensazione (7° anello), che può produrre un effetto di diverso
tipo: piacevole, spiacevole e neutro, le differenti sensazioni danno
origine ad attaccamento, avversione e stato neutrale. Una sensazione
piacevole sarà causa del sorgere di attaccamento e una sensazione
spiacevole del sorgere di avversione.
Attaccamento,
desiderio, bramosia sono fattori mentali che possono determinarsi nei
confronti di qualsiasi oggetto, è la risposta mentale alla
piacevolezza.
Dall’attaccamento
sorge la bramosia della sensazione piacevole, che si presenta in
quattro aspetti diversi:
1. la bramosia dell’
oggetto dei sensi;
2. la bramosia della
visione filosofica;
3. la bramosia della
moralità, attaccamento allo sforzo, alla sofferenza;
4. la bramosia
dell’idea del sé.
Dalla bramosia nasce e
si evolve il Samsara, si definisce l’entrare in esistenza sulla
base dei cinque aggregati.
Domanda:
Questo concetto non è chiaro, è un passaggio difficile.
Lama:
E’
vero, ritorniamo alla traduzione inglese del testo: “Abbiamo
l’ignoranza, le formazioni karmiche la coscienza, da questi tre
fattori sorge nome e forma il cui sviluppo determina il contatto.
Il contatto è quindi
frutto del concorso della triade - forma, coscienza e occhio -.
Conseguentemente al contatto entra in azione la sensazione affettiva
(piacevole, spiacevole o neutra). Condizionata dalla sensazione
affettiva si crea la sete, infatti si ha sete perché si è avidi di
sensazioni affettive.
L’assetato
si appropria dei quattro aspetti della bramosia ed essendoci
appropriazione entra in funzione, per l’appropriatore, l’esistenza.
Infatti,
se non ci fosse appropriazione ci sarebbe liberazione e non si
determinerebbe il ciclo samsarico dell’ esistenza”.
Quindi: dal contatto
sorge la sensazione e dalla sensazione nasce la sete, o desiderio. Da
questa sete nasce l’avidità ad afferrare, cioè i quattro tipi di
bramosia. E’ tutto interdipendente.
Domanda:
Non riesco a capire i quattro tipi di bramosia o appropriazione, non
ne vedo il senso “bramosia della moralità”,-“attaccamento alla
sofferenza”, ma cosa vuol dire?
Lama:
La trascrizione dal tibetano a volte è impossibile, si traducono
alcuni termini in modo approssimativo che può generare confusione e
fraintendimento, tentiamo dunque di schematizzare il processo
ripartendo dall’inizio: prima c’è l’ignoranza che determina
l’azione karmica e quindi la coscienza. L’ignoranza crea azioni
karmiche che lasciano impronte nella coscienza. Questi tre anelli
insieme dirigono il destino della persona, la sua futura rinascita.
La coscienza ha due
momenti differenti: il primo quando riceve l’impronta karmica e il
secondo quando questa matura. La sua maturazione avviene con
l’entrare della mente nella vita successiva, cioè con il sorgere
di nome e forma, con la formazione dei cinque aggregati, (quarto
anello).
Ne consegue il nascere
delle percezioni sensoriali, quindi da un livello sottile si passa ad
uno più grossolano, all’origine dei sensi, (quinto anello).
I cinque aggregati si
sviluppano ulteriormente nella percezione del mondo esterno e i
sensi, oltre a percepire l’oggetto esteriore, entrano in
connessione con la coscienza e si verifica il contatto, (sesto
anello).
Avvenuto il contatto,
sorgono le differenti sensazioni - piacevole, spiacevole e neutrale -
che intensificano progressivamente la loro potenzialità, sono come
un bambino che all’inizio risponde blandamente agli stimoli,
crescendo intensifica enormemente le reazioni emotive incrementando
progressivamente il proprio coinvolgimento. Ciò determina
inevitabilmente la discriminazione tra le sensazioni ed è questo il
terreno in cui germoglia l’attaccamento. Quindi il settimo anello è
la sensazione e l’ottavo l’attaccamento all’oggetto attraente
che dà la sensazione piacevole. L’attaccamento intensificandosi
diventa volontà ad afferrare, appropriazione, bramosia, avidità,
(nono anello).
Ogni azione è
condizionata da questa sete: si impiega la giornata in ufficio per
poter possedere ciò che piace, si passeggia per lo stesso motivo,
anche le azioni apparentemente positive sono corrotte da questo
intento. Perché si è costantemente stanchi? Perché il continuo
processo di afferrare, di appropriarsi, è inesauribile, faticoso,
richiede sempre maggiore energia.
La
bramosia è classificata in quattro tipi. Il primo è la bramosia
della visione: “afferro il mio modo di pensare di vedere perché
questo mi gratifica, è piacevole; afferro questa filosofia perché è
buona e mi procura felicità” Ma l’afferrare una visione della
vita, per quanto buona possa essere, è negativo. Anche
l’attaccamento al Buddha, al Cristo, al Dalai Lama, o allo stesso
Dio, è un afferrare e come tale negativo, si trasforma in mente
fanatica e il fanatismo è l’opposto della liberazione, non porta
al Nirvana, è causa di Samsara.
L’attaccamento alla
filosofia, all’etica, a un codice morale, allo sforzo, alla
sofferenza, all’io o sé, è un errore nella sua stessa essenza.
Non
è l’oggetto dell’attaccamento in discussione, l’oggetto può
essere il più puro e sacro, può essere buono o cattivo, questo è
assolutamente ininfluente, l’errore è nell’attaccamento in sé,
nella bramosia.
In
questa sala siamo circondati da Tanka e statue molto belle, sono
oggetti sacri ma sarebbe sbagliato esserne attaccati. A meno che non
si sia già particolarmente avanzati nel cammino di liberazione
dall’attaccamento è meglio non possedere troppi oggetti preziosi.
Quando ero in monastero in India preferivo adornare la stanza solo
con fotografie, era un modo per evitare questa trappola. Anni fa,
sempre in India, durante un viaggio acquistai una statua del Buddha
che, come tutte le statue tibetane, necessitava di ricevere una lunga
preparazione, doveva essere riempita, consacrata, dipinta, però non
me ne preoccupai e misi la statua sull’altare così com’era.
Tempo dopo, monaci di passaggio esperti nella preparazione delle
statue durante una cerimonia fecero tutto il lavoro. Ciò che doveva
avvenire è avvenuto nel momento giusto, naturalmente, senza
forzature e affanno. Bisogna lasciare che le cose accadano come e
quando devono, senza caricarsi di emozioni negative quali ansia e
frustrazione perché le cose non vanno come avremmo voluto.
La liberazione
dall’attaccamento comporta una grande gioia. Ora quella statua è
rimasta in quel monastero, forse nella stessa stanza e forse no, non
ha nessuna importanza, d’altronde il Buddha non è mio o tuo, è di
tutti. L’attaccamento al Buddha, al Cristo o a Dio è l’afferrare
peggiore, il più pericoloso per tutti, anche per i principianti. Non
vi sto dando delle regole ma, insieme, stiamo analizzando il testo
nel tentativo di comprenderne ogni importante aspetto.
Tutta
la nostra vita è un contatto da cui scaturiscono le sensazioni che
determinano l’attaccamento il quale, a sua volta, diviene bramosia
articolata nelle quattro tipologie che sono causa di Samsara in cui
si svolge tutta la nostra esistenza e che saranno determinanti nella
definizione della prossima rinascita, del prossimo ciclo samsarico.
Il decimo anello è il
divenire, l’esistere dovuto all’afferrare che causa i cinque
aggregati. Il divenire è il livello del karma che entra in
maturazione a causa dell’attaccamento e della bramosia.
Il secondo anello è
l’azione che pianta il seme karmico, il decimo anello è quel seme
che, fertilizzato da attaccamento e bramosia, matura in quel karma.
Quindi, l’aspetto che germoglia dal secondo anello è il divenire
(decimo anello) che porta alla rinascita, (undicesimo anello). Il
karma maturato dal quarto anello, Nome e Forma, determina il tipo di
rinascita. Poiché dalla nascita derivano necessariamente morte e
vecchiaia si ha il dodicesimo anello.
Ho
sintetizzato una possibile spiegazione, di base, della dinamica dei
dodici anelli, ma se ne possono dare altre osservate da più
angolature e approfondite.
Proseguiamo
con la lettura del testo:
“Essendoci
l’appropriazione entra in funzione per l’appropriatore
l’esistenza, infatti se fosse esente da appropriazione si
libererebbe e non ci sarebbe esistenza.
L’esistenza è
costituita dai cinque aggregati.
Dall’esistenza
procede la nascita.
Vecchiezza, morte,
dolore, tristezza, lamentazioni, afflizioni, tormenti, tutto questo
proviene dalla nascita.
In tal modo nasce
quest’unica massa di dolore.
L’ignorante
perciò, non altri, coeffettua i coefficienti, radici di
trasformazione.
L’ignorante
dunque, è l’agente,
non
il saggio che vede la realtà.
La nescienza
arrestata, più non nascono i coefficienti.
L’arresto della
nescienza si verifica grazie alla creazione mentale della
coproduzione condizionata.
L’arresto di ogni
fattore precedente impedisce che il fattore conseguente entri in
azione.
Quest’unica massa
di dolore viene così correttamente arrestata.”
E’
di immenso beneficio studiare questo argomento comparando il testo di
Nagarjuna, al 26° capitolo della “Madhiamaka Karika” con il
Sutra originale del Buddha, il “Paticcasamuppada Sutra”.
Se la radice del
samsara è nel secondo anello, delle formazioni karmiche, il saggio
non produce azioni karmiche perché ne osserva l’interdipendenza.
La distinzione tra saggio e ignorante indica proprio questa capacità
di vedere, o meno, il sorgere dipendente dei fenomeni,
l’interdipendenza.
Il saggio che ha una
chiara idea di come si costruisce il samsara attraverso i dodici
anelli, ha anche una chiara visione di come esso possa cessare,
sempre attraverso i dodici anelli, semplicemente invertendone i
fattori:
- meditare sull’interdipendenza porta alla cessazione dell’ignoranza;
- col cessare dell’ignoranza cessano le formazioni karmiche;
- col cessare delle formazioni karmiche cessa la coscienza determinata da esse;
- cessando la coscienza determinata dalle formazioni karmiche cessano nome e forma, gli aggregati;
- cessando gli aggregati cessano le percezioni basate sugli stessi;
- cessando le percezioni cessa il contatto;
- cessando il contatto cessa la sensazione;
- cessando la sensazione cessa l’attaccamento;
- cessando l’attaccamento cessa l’afferrare, la bramosia;
- cessando la bramosia cessa il divenire, il maturare delle cause irrigate da bramosia e attaccamento;
- cessando il divenire, l’entrare in esistenza sulla base del karma, cessa la rinascita;
- cessando la rinascita cessano vecchiaia e morte e quindi tutte le sofferenze del samsara.
Questi
sono i due possibili movimenti dei dodici anelli
dell’interdipendenza, quello del sorgere del Samsara e quello del
suo cessare, ed è opportuno meditare su entrambi perché seguendo
questo metodo analitico si ottiene una visione chiara del significato
di interdipendenza.
Il testo di Nagarjuna
continua:
“La formazione
karmica è l’origine del Samsara.
Vedendo questo, il
Saggio, non produce karma,
poiché
il saggio riconosce la realtà dell’origine dipendente e la realtà
della Vacuità”.
La causa della
cessazione dell’ignoranza è la comprensione dell’interdipendenza.
Con il cessare dell’ignoranza cessa la formazione karmica”.
Meditare sull’origine interdipendente causa la cessazione
dell’ignoranza. Perciò arrestato l’uno si arresta l’atro.
Gli ultimi due versi:
“La nescienza
arrestata, più non nascono i coefficienti:
L’arresto della
nescienza si verifica grazie alla creazione mentale della
coproduzione condizionata.”
Di
questi versi si hanno trascrizioni diverse tra loro, proviamo a
rileggerli dall’inizio comparando il testo tibetano con la
traduzione dal sanscrito e la trascrizione in italiano:
1) A causa
dell’oscurità dell’ignoranza, si compiono i tre tipi di azioni
che depongono le impronte karmiche nella mente che determinano le
future rinascite.
1) A causa
dell’oscurità dell’ignoranza si causano le vite future.
Attraverso il coltivare le tre differenti azioni karmiche si procede
verso il destino appropriato.
1)
In vista della rinascita, l’essere offuscato di nescienza effettua
dei coefficienti di tre specie e per mezzo di questi atti va verso il
suo destino.
2) Le impronte
karmiche determinano la trasmigrazione della coscienza che, trovata
la sua destinazione, sviluppa nome e forma.
2) La coscienza
condizionata dall’azione karmica entrerà in differenti reami.
Entrata la coscienza, si sviluppano nome e forma.
2) la coscienza
condizionata da questi coefficienti penetra in questo destino e,
penetrata la coscienza, si infonde nome e forma.
3) Quando nome e forma
si sono sviluppati emergono i sei sensi. Sulla base dei sensi avviene
il contatto.
3) Da nome e forma
vengono in esistenza le sei sorgenti dei sensi. Dalle sei sorgenti
sorge il contatto.
3) Infusi nome e forma
si producono i sei domini della coscienza. Apparsi i sei domini entra
in azione il contatto.
4) Come la vista sorge
in dipendenza dell’occhio, della forma e dell’attenzione, così
la coscienza sorge in dipendenza di nome e forma.
5) Il raggruppamento
di occhio, forma e coscienza è il contatto. Dal contatto sorge la
sensazione.
4) e 5) Il contatto
sorge da nome e forma e consapevolezza, pertanto in dipendenza da
nome e forma c’è sorgere di coscienza. Dal raggruppamento dei tre:
nome, forma e coscienza, avviene il contatto. Dal contatto viene in
esistenza la sensazione.
4) e 5) L’occhio
entra in azione condizionato da nome e forma, e, nome e forma sono
condizionati dalla coscienza. Il contatto è appunto il frutto del
concorso della triade forma - coscienza e occhio. In seguito al
contatto entra in azione la sensazione affettiva.
6) Dalla sensazione
nasce il desiderio. Dal desiderio sorge l’afferrare nei suoi
quattro aspetti: oggetti dei sensi, visione, moralità, idea del sé.
6) Condizionata dalla
sensazione affettiva, la sete; e infatti uno ha sete perché avido di
sensazioni affettive. L’assetato si appropria delle quattro
appropriazioni.
7) Dall’afferrare
sorge il divenire dell’afferrante. Senza l’afferrare non c’è
il divenire. Con la realizzazione del non afferrare si ottiene la
liberazione. Di conseguenza non c’è divenire, entrare
nell’esistenza.
7) Essendoci
l’appropriazione, entra in funzione, per l’appropriatore,
l’esistenza. Infatti, se fosse esente di appropriazione, si
libererebbe e non ci sarebbe esistenza.
8) Entrare
nell’esistenza è la formazione dei cinque aggregati. Entrare
nell’esistenza è nascere.
9) A causa della
nascita ci sono vecchiaia, morte, tormenti, lamenti e pene,
infelicità ansietà. A causa della nascita si è sempre in uno
stato di continua sofferenza.
8) - 9) L’esistenza è
costituita dai cinque aggregati. Dall’esistenza procede la nascita.
Vecchiezza, morte, dolore tristezza, lamentazioni, afflizioni,
tormenti, tutto questo proviene dalla nascita. In tal modo nasce
quest’unica massa dolore.
10) L’azione è la
radice dell’esistenza ciclica. Per questo il saggio non crea
impronte karmiche. Gli sciocchi, invece al contrario del saggio, che
vede la realtà, creano impronte karmiche.
10) L’ignorante
perciò, non altri, coeffettua i coefficienti, radici della
trasmigrazione. L’ignorante, dunque è l’agente, non il saggio,
che vede la realtà.
11) Con il cessare
dell’ignoranza anche a produzione delle impronte karmiche cessa. La
cessazione dell’ignoranza avviene per mezzo della meditazione della
saggezza.
11) La nescienza
arrestata, più non nascono i coefficienti. L’arresto della
nescienza si verifica grazie alla creazione mentale della
coproduzione condizionata.
12) Cessando il
precedente, il successivo non accade. Allo steso modo cessa tutta
la sofferenza.
12) L’arresto di
ogni fattore precedente impedisce che il fattore conseguente entri in
azione. Quest’unica massa di dolore viene così correttamente
arrestata.
Sarebbe un buon lavoro
per tutto il gruppo confrontare le diverse traduzioni e del testo di
Mulakarika, cercandone il significato profondo da esprimere in modo
comprensibile nel linguaggio più conforme all’era moderna.
Domanda:
Le impronte karmiche prodotte prima di diventare saggi, entrano
ugualmente in maturazione, oppure no?
Lama:
Il saggio è colui che ha acquisito la conoscenza dell’origine
interdipendente, ma non necessariamente è già l’Essere nobile,
l’Arya, ha solo compreso la giusta direzione.
Domanda...Quindi
le sue impronte karmiche continuano a maturare?
Lama:
Poiché il saggio non ha attaccamento e bramosia, il karma precedente
non può maturare, il processo si blocca naturalmente.
Non-Dualismo
E’ importante
ricordare che l’origine dipendente, o originazione interdipendente,
significa che le cose sorgono in virtù di cause e condizioni. Niente
sorge senza causa, niente sorge con cause permanenti, niente sorge al
di fuori della corrispondenza con la propria causa. Qualsiasi
accadimento, qualsiasi aspirazione sorge da una causa, una causa
impermanente, una causa che gli corrisponde. E’ importante studiare
analiticamente e comprendere bene l’origine interdipendente, ma non
è assolutamente sufficiente rimanere a questo livello, è necessario
che essa venga calata nel quotidiano, in ogni esperienza, in ogni
emozione.
Come nascono le
emozioni? da dove vengono? come dobbiamo affrontarle? La risposta
e la soluzione è una: conoscere l’origine interdipendente. La
conoscenza dell’interdipendenza è la liberazione, o cessazione
delle fabbricazioni mentali, il raggiungere la pace.
Realizzando
la conoscenza dell’interdipendenza si ha una chiara visione della
esistenza non dualistica, si supera ogni concetto discriminante,
bello - brutto, buono - cattivo, piacevole - spiacevole.
L’atteggiamento ignorante che induce a discriminare ogni esperienza
è causa del sorgere di attaccamento, bramosia o avversione.
Nella chiara visione
non dualistica si osservano i fenomeni nella loro natura, senza
discriminazione, a livello ultimo. Ma la visione dei fenomeni a
livello ultimo è resa possibile solo dalla piena comprensione del
loro livello relativo, l’interdipendenza. Attraverso la
comprensione dell’interdipendenza si giunge alla visione della
realtà ultima: la Vacuità. La visione della realtà ultima
conferma, o afferma, la realtà relativa. Quindi, non-dualismo
significa avere la visione delle due verità. Questa è la
quintessenza dell’insegnamento del Buddha ed è la quintessenza
dell’insegnamento del Dharma.
Con
la visione non-duale è automatico e naturale sviluppare la
compassione verso tutti gli esseri viventi. Non esistendo più una
reale differenza tra chi si tende ad amare e chi a non amare, c’è
equanimità. Dall’interdipendenza e dalla Vacuità scaturisce
naturalmente l’equanimità verso tutti gli esseri. L’equanimità
è fondamentale allo sviluppo della compassione. Non si può avere
compassione verso gli esseri se non c’è equanimità. Per questa
ragione la comprensione dell’origine interdipendente è ciò che
principalmente i praticanti Buddhisti devono realizzare.
Abbiamo visto in questi
giorni come i dodici anelli dell’origine interdipendente creino il
Samara e come dipendano uno dall’altro. Dall’ignoranza di causa
effetto, a catena, si costruisce il Samara e, in modo inverso,
dall’estinzione dell’ignoranza se ne ha la cessazione. Abbiamo
constatato come dall’ignoranza, a catena, si creino le formazioni
karmiche, che a loro volta producono la coscienza, e così via,
quindi l’ignoranza è il punto cardine di tutto il processo.
Un’altra
forma di ignoranza, descritta nell’ultimo verso, è l’ignoranza
che afferma il sé, cioè l’ignoranza riguardo l’io. L’analisi
di questi elementi è il bersaglio principale della teoria e della
pratica buddhista. Qualsiasi cosa stiamo facendo, meditando, pregando
e presentando offerte all’altare, dobbiamo sempre avere ben chiara
la visione dell’ignoranza e delle sue conseguenze; se bruciamo
incenso poniamoci l’obiettivo di bruciare l’ignoranza, se
accendiamo lumini di illuminare la saggezza eliminando l’oscurità
dell’ignoranza, se recitiamo un mantra siamo consapevoli, ad ogni
sillaba, di voler eliminare l’ignoranza che afferra il sé.
Tutte le altre forme di
devozione, pregare una particolare divinità per ottenere ricchezze,
salute, fortuna, sono secondarie, anzi possono trasformarsi in
superstizioni ed essere negative. Quando si volge la pratica per
contrastare l’ignoranza che afferra il sé, tutto il resto viene di
conseguenza, la compassione, l’equanimità, la Vacuità e ogni
evento succede perché così deve essere senza dovercene preoccupare.
Anche i Bodhisattva che hanno un forte desiderio di rinascere per il
bene di tutti gli esseri, molto difficilmente potranno realizzarlo,
perché sono privi di attaccamento, non hanno bramosia, non maturano
più le cause della creazione del Samara.
Contrastare l’ignoranza
non vuol dire sacrificarsi, martirizzarsi nella mortificazione
dell’io, sopportare a denti stretti le pene degli altri, quasi
dovessimo fare esercizi di altruismo, no, nulla di tanto eclatante, è
semplicemente lo sviluppo consapevole della saggezza del non sé.
Una persona non è uno
dei cinque elementi, non è acqua e nemmeno terra, fuoco, aria o
spazio, ma non è nemmeno coscienza, non è nessuno di questi ma
l’insieme di tutti. Cos’è l’IO? Non è gli elementi, ma non è
nemmeno separato da essi, è l’incontro di tutti gli elementi che
formano l’io, così come batacchio, campana e mano, incontrandosi
contemporaneamente producono il suono. Ciò significa che l’io è
qualcosa di diverso da ciò che noi generalmente afferriamo e
concretizziamo.
Questi
sono i diversi modi di analizzare un fenomeno: da un lato c’è
quello che noi usualmente crediamo essere l’io, e dall’altro le
diverse componenti che troviamo nell’analisi. C’è differenza.
Ciò non significa che
l’io non esista, significa piuttosto che l’io è diverso da
quello che usualmente crediamo sia, ecco un buon oggetto di
meditazione, lasciar andare, non afferrare, lasciar
andare…..riconoscere l’io vero è vedere il non-io. Quindi, non
abbandonare l’io, ma nemmeno afferrarlo. Senza abbandonare, senza
afferrare, ecco la via di mezzo. Il non-io è la verità ultima del
vero io.
Con queste riflessioni
concludiamo l’incontro, grazie.
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