Le
emozioni nel buddhismo
Geshe
Lharampa Lama G. Tharchin
9
- 11 novembre 2018
Cagliari
Prima
sessione
Benvenuti
a tutti in questo bellissimo paese in cui si incontrano le grandi
energie di terra e mare, elementi in cui noi piccolissimi esseri
umani viviamo, osservando la terra dall’alto non siamo nemmeno
visibili, piccole formiche, eppure noi crediamo di essere il centro
dell’universo e ci comportiamo con noncuranza, prepotenza e
completamente dominati dalle nostre emozioni litighiamo, combattiamo,
ci agitiamo in continuazione tentando inutilmente di uscire dalla
prigione da noi stessi costruita, causa di tutta l’infelicità e
insoddisfazione di ogni nostro istante di vita. In questo
condizionamento dato dalle emozioni non viviamo consapevolmente
nessun istante del presente, ma affondiamo in ipotetiche e irreali
aspettative del futuro e nei disturbanti ricordi del passato, non
solo non vediamo il nostro presente, ma tantomeno abbiamo coscienza
di ciò che ci circonda, dell’ambiente, della società, del
pianeta.
Per
comprendere la realtà della vita e di noi stessi, dovremmo vivere
nella conoscenza della nostra interiorità e del tutto che esiste al
di fuori di noi e che è realmente parte di noi. È essenziale
vivere avendo piena consapevolezza del presente, di ogni istante, di
ogni respiro, ma per fare questo dobbiamo abbandonare le nostre
fittizie certezze, conoscenze, sicurezze che interpretiamo con
convinzione come vere, mentre sono soltanto frutto della confusione
soggettiva e limitata al nostro piccolo io e derivano dalle visioni
distorte di passato e futuro.
Noi
siamo qui e ora nel mondo, siamo parte del mondo e non è possibile
staccare il proprio io da questa condizione. Noi non siamo soltanto
il nostro corpo fisico, ma viviamo in interrelazione con l’intero
universo e, che ci piaccia o no, siamo costantemente influenzati
dalle condizioni esterne, non siamo un’isola autonoma, ogni cosa è
collegata, esistiamo nel tutto e di conseguenza ogni mutazione
esteriore provoca una reazione interiore, influenza il nostro mondo
spirituale e viceversa.
Ogni
fenomeno fisico nel mondo risuona anche nel nostro corpo, così come
qualsiasi fenomeno spirituale influenza la nostra interiorità per
questo l’emozione di ogni singolo è strettamente interconnessa e
interagente con l’emozione degli altri, la mia emozione è la tua
emozione, ne sentiamo tutti la risonanza in un condizionamento
esponenziale sia positivo che negativo, la mia rabbia, il mio odio
non restano fenomeni isolati, definiti entro confini personali, ma si
congiungono a quelli degli altri incrementandone la forza, così come
altrettanto l’amore, la compassione, il perdono. Ecco perché il
più grande inganno in cui cadiamo è quello di credere che sia
possibile il raggiungimento di una felicità personale, individuale,
uno stato di concreto benessere indipendentemente da ciò che succede
all’esterno, agli altri. Questa è l’illusione prima fonte
dell’insoddisfazione sottile che permea il nostro quotidiano, la
sofferenza dell’intero pianeta.
Il
tema che affrontiamo in questi giorni tratta delle emozioni nelle
neuroscienze, termine chiaro che definisce lo studio scientifico del
cervello in cui ogni parte è preposta a determinate funzioni e
risponde a stimoli esterni fisici, emozionali, mentali, ecc. Dunque
ogni emozione, sia positiva che negativa, attiva specifici neuroni
cerebrali che mettono in moto meccanismi molto complessi che a loro
volta influenzano l’intero stato del nostro mondo fisico, mentale e
spirituale. Il nostro cervello funziona come una complessa rete di
autostrade e se si superano i limiti di velocità si provocano
incidenti in tutti i tre livelli di esistenza, la pressione del
sangue aumenta con possibili ictus, si perde ogni controllo e si
possono compiere azioni molto gravi verso altri e se stessi, le
malattie trovano ampio spazio per svilupparsi velocemente.
La
meditazione è essenziale all’equilibrio e al benessere e non deve
essere praticata con l’illusione di raggiungere rapidamente
l’illuminazione, quello stato idilliaco di cui tutti parlano senza
avere la minima idea di cosa possa essere, si medita per conoscere se
stessi e per avere una visione chiara e consapevole di tutte le
complesse interconnessioni che incidono profondamente sia a livello
personale che globale. La strumentalizzazione ed enfasi data
all’illuminazione, non ha nulla a che fare con il buddhismo e con
il Dharma, è soltanto un pericoloso mercato, una vera droga della
spiritualità a cui non c’è antidoto.
La
meditazione invece è concreta, è come piccolo seme che accudito
cresce lentamente qui e ora e i cui frutti fioriranno a tutti i
livelli - fisico, mentale e spirituale - e il corpo rilassato potrà
affrontare tutte le emozioni che immediatamente interagiscono non
solo sul piano psicologico, ma anche chimico e biologico. Avere la
consapevolezza di questa interazione è ciò che permette di
affrontare ogni avversità e forte emotività con il dovuto
equilibrio, senza forzature o accelerazioni. È inutile voler
combattere violentemente le negatività quando mancano le condizioni
di base affinché questa corsa insensata possa avere buon esito, le
velocità devono essere adeguate alla possibilità della strada in
quel preciso momento e bisogna semplicemente fermarsi, e quando la
situazione ci domina, attivare la capacità della pazienza e dare
tutto il tempo necessario affinché la sostanza chimica dell’ampolla
si arresti naturalmente, senza fretta, senza forzature, senza
battaglie inutili e dannose, la purificazione avverrà naturalmente
da sola.
La
meditazione induce quella calma in grado di neutralizzare lo smog che
annebbia il cervello e indirizza i pensieri nella corretta corsia di
marcia seguendo un processo dinamico in continua evoluzione. Alcuni
sperimentatori americani hanno voluto dimostrare scientificamente
l’effetto della meditazione sottoponendo il meditante, posto
artificialmente in uno stato di congelamento mentale, a misurazione
tramite elettrodi messi in testa per qualche minuto così da poter
valutare le modificazioni delle onde cerebrali, al solo scopo di
pubblicare articoli e libri ad effetti speciali da commercializzare
ricavandone un lauto compenso, ma tutto ciò non è altro che uno
stato di ibernazione mentale che nulla ha a che fare con la
meditazione ed è contrario al Dharma. Soltanto singolarmente, nel
silenzio della propria interiorità, è possibile riconoscere
l’evoluzione, la trasformazione e la purificazione che la
meditazione produce nella propria mente, nessun altro può pretendere
di farlo dall’esterno.
Un
tempo la vita era più semplice e autentica, certamente priva di
tante comodità, e non induceva bisogni fittizi che oggi invece
reputiamo irrinunciabili, era cadenzata dal duro lavoro quotidiano
secondo i ritmi naturali, si coltivava la terra e si pascolavano gli
animali seguendo le stagioni e la mente poteva svilupparsi in modo
pacifico, profondo, oggi invece, distratti da tecnologie sempre più
sofisticate e in continua evoluzione, siamo costretti a
sovraccaricare il cervello di nozioni tecniche, di affari da
conquistare, da attività da svolgere in tempi sempre più veloci,
incalzanti e disumanizzanti e non c’è più né tempo né spazio
per pensare, ci stiamo autodistruggendo.
La
stessa formazione dei bambini è folle, non li si educa più alla
cultura umana, ma li si costringe fin da piccolissimi a un’infinità
assurda di attività, devono essere abbigliati in un certo modo,
apparire ed essere in costante competizione con gli altri, sempre di
corsa, fare, fare senza potersi fermare mai a pensare, ad essere, a
crescere nella naturale evoluzione necessaria all’infanzia.
Se
non vogliamo trasformarci irreversibilmente in automi meccanici,
dobbiamo ridimensionare il fare e recuperare il tempo per essere,
dobbiamo eliminare tutte le elaborazioni cerebrali inutili,
superflue, che ci soffocano nel turbinio incontrollato di una enorme
quantità di energia corrosiva che distrugge il cervello e lasciare
invece lo spazio per ritrovare nella calma, nell’essenziale, la
capacità di pensare e vivere in una dimensione umana.
Lo
studio più autentico del funzionamento della neuroscienza avviene
prima di tutto attraverso l’analisi attenta e ponderata delle
proprie emozioni con la meditazione profonda che ognuno di noi
sperimenta nella propria interiorità, nella propria umanità poiché
senza questa qualità è impossibile parlare seriamente di ricerca.
La motivazione che induce a compiere questo viaggio nella studio
delle emozioni e la loro incidenza nelle neuroscienze implica in
primo luogo la necessità di meditare con tranquillità, calma,
cominciando a dimenticare il nostro piccolo io e tutto ciò che
consideriamo mio, lasciamo scorrere in noi solo i nostri pensieri
privati dall’io e dal mio e osserviamoli lentamente, con profondi
respiri che li trasformano, li purificano liberandoli dal superfluo
così da lasciar emergere la compassione, l’amore e rimaniamo
concentrati nella meditazione estendendo questa beatitudine a tutti
gli esseri e all’intero universo.
Nella
lingua tibetana il termine emozione è descritto come sensazione
forte di fronte ad un determinato evento sia esterno che interiore, è
una reazione immediata, totalmente al di fuori dello stato di calma
mentale. Non dobbiamo dunque confondere la reazione alle sensazioni
con la vera compassione, l’amore, che non sono affatto emozioni,
bensì realizzazioni autentiche della mente. Ciò che noi invece
percepiamo come sentimento di amore, di pena, di rabbia, o anche di
momentanee e apparenti realizzazioni mistiche, rispecchia soltanto le
emozioni frutto di eventi accidentali e non indica affatto una
realizzazione interiore, anzi produce effetti pesantemente negativi
sulla possibile evoluzione interiore. La nostra reazione istintiva
agli eventi della vita è emozionale e, mentre nelle situazioni
positive la sensazione svanisce in breve tempo, in quelle negative
sedimenta sviluppando e nutrendo sentimenti duraturi di rabbia, di
odio, di rancore.
Nel
nostro cammino spirituale dunque non è sufficiente conoscere il
bene, l’amore, la compassione, ma è necessario realizzarli
interiormente nella profondità della mente libera da qualsiasi
emozione fuorviante, è le realizzazione piena della conoscenza che
si radica nel continuum mentale. Realizzazione della conoscenza ed
emozione sono dunque due condizioni assolutamente differenti e
contrapposte, la capacità di distinguere tale differenza è
fondamentale, noi dobbiamo seguire e interiorizzare la vera
conoscenza e osservare le emozioni per quello che sono, nella loro
immediatezza e inconsistenza e lo strumento importantissimo che ci
permette tale visione chiara è la meditazione.
La
meditazione è totalmente avulsa dal sentire con immediatezza la
prepotente presenza dell’io e del mio che, al contrario, sono un
ostacolo alla conoscenza vera. Ogni meditazione e preghiera devono
essere liberate dal condizionamento dell’io, altrimenti diventano
controproducenti, un motivo ulteriore di potenziamento dell’ego che
non sa fare altro che chiedere, presume di pregare e meditare con
competenza e quindi vuole ottenere in cambio un beneficio, un
appagamento, un riconoscimento della sua bravura, ma ovviamente
questo è estremamente negativo, invalida ogni attitudine
autenticamente spirituale, ottenebra la mente soffocata da un
potenziamento ridicolo dell’ego, questo è un rischio molto sottile
e sempre presente di cui dobbiamo avere coscienza e attenzione poiché
è un impulso immediato, istintivo, per cui dobbiamo vigilare, saper
distinguere il falso dal reale, la gratificazione narcisistica dalla
silenziosa essenza profonda.
Tale
pericolo, ma ben più grave, lo corre chi pratica pūja dietro
compenso economico, questo crea un karma pesantemente negativo
poiché, come insegna il Buddha, tutto è soggetto alla legge di
causa effetto e tutto è caratterizzato da tre segni dell’Essere:
Dukkha
(sofferenza),
Anicca (impermanenza),
Anattā
(non-ego). L’io e il mio a cui noi riferiamo tutto è una
condizione inesistente, è illusione, quindi nella meditazione
dobbiamo liberare la mente da questa ingannevole percezione, non c’è
nulla di mio, la compassione non può essere mia proprietà,
produzione del mio io, deve essere libera da ogni condizionamento e
questo vale per tutto, anche per il dolore, per ogni aspetto della
vita.
Domanda: Forse
è più semplice comprendere questo passaggio per quanto riguarda il
dolore emotivo, ma per quello fisico è impossibile, come
liberarsene? è una presenza fortemente concreta.
Lama: Con
l’attitudine di Bodhicitta, attraverso la trasformazione della
sensazione di dolore fisico in offerta, espressione della grande
compassione, è l’attitudine dei Bodhisattva ben espressa nella
pratica di Tong Len. È indubbiamente difficile per noi attuare
questa trasformazione, ma è possibile, separiamo il dolore fisico
dal nostro autentico sé, una consapevolezza che possiamo acquisire
tramite la meditazione. Osserviamo il dolore fisico in quanto
realizzazione della nobile verità della sofferenza, una conoscenza
indispensabile nella pratica buddhista.
Il
percorso della vita non può essere condizionato dalle emozioni,
dalle attitudini impulsive, instabili, non filtrate dalla capacità
di pensiero, dall’autentica conoscenza che è esperienza che solo
la mente calma, naturale, tranquilla può riconoscere. La meditazione
porta la mente alla effettiva esperienza della realizzazione della
conoscenza che ci permette ad esempio di sperimentare direttamente
che il dolore non è io né mio.
Che
cos’è l’io? è identità del sé che non potrà mai diventare il
dolore. Il voler individuare, concretizzare in qualche cosa l’io è
assurdo, vogliamo trovare in modo tangibile ciò che non lo è
affatto e se ci ostiniamo a voler affermare e riportare tutto a
questo egocentrismo sprechiamo la vita, creiamo un ostacolo che non
ci permette di procedere perché riduce la potenzialità dei nostri
pensieri che invece avrebbero una capacità infinita verso la
libertà, il bene, ma noi preferiamo rinchiuderci nel piccolissimo
spazio di un io illusorio escludendo tutto il resto. Dobbiamo avere
invece il coraggio di lasciar andare l’ego affinché tutto ritorni
nella naturale normalità, meditare nella calma della mente
originaria, così da maturare la libertà di poter espandere la
compassione in ogni direzione.
Domanda: Accettare
il dolore vuol dire eliminarlo? subirlo? controllarlo? I pensieri si
impongono comunque.
Lama: Non
si deve né accettare, né negare il dolore, lo si deve lasciare lì
dov’è senza cercare di possederlo, semplicemente prenderne atto
con il giusto distacco, osservarlo senza introiettarlo, senza doverlo
necessariamente pensare. La compassione non ha bisogno di essere
pensata per esistere, ha la propria natura ed è completamente avulsa
da ogni io e mio, così dobbiamo sviluppare lo stesso atteggiamento
distaccato da questo falso idolo che chiamiamo io e nei confronti del
dolore comprendere e sperimentare la nobile verità della sofferenza
nella pace della mente.
Domanda: Ma
di fronte alle emozioni distruttive cosa dobbiamo fare?
Lama: Nella
filosofia tibetana non esistono emozioni distruttive, così come non
esistono pensieri né positivi né negativi, ma soltanto pensieri
virtuosi o non virtuosi. La definizione “emozioni negative” è
frutto di grossolani errori di traduzione che fuorviano dalla reale
comprensione. Esistono oscuramenti momentanei, rallentamenti che però
devono essere osservati sempre come altro da sé, non sono noi e in
questo la meditazione che accompagna la profondità della mente è
fondamentale, porta naturalmente chiarezza e luce. Persino qualsiasi
pensiero non virtuoso, rabbia, attaccamento, avversione, ecc…, può
essere occasione di evoluzione, di crescita, tutto ha senso se lo si
vive nella consapevolezza della mente. Se non si sperimenta la rabbia
non si può conoscere la sua stessa vacuità. La realtà della
vacuità e dell’origine interdipendente di tutti i fenomeni sono
essenziali alla conoscenza, perché dimostrano l’inconsistenza e
l’illusione dell’io e del mio.
Seconda
sessione
Iniziamo
questa seconda giornata consapevoli di avere il grande compito di
cambiare lo stato di essere sapendo che tutto ciò che facciamo è
preziosa esperienza e conoscenza a cui possiamo accedere con forte
motivazione, concentrazione, tranquillità mentale e saggezza. Il
punto di partenza fondamentale è la motivazione che nasce dal centro
del cuore, ma non dall’io, è la volontà autonoma e libera di
cambiare lo stato dell’essere indipendentemente dai capricci di
quel primo attore narcisistico e incombente - l’ego - è la
determinazione, la decisione, l’intenzione risvegliata nel nostro
cuore per trasformare lo stato dell’essere da ciò che era ieri a
ciò che dovrà essere domani, e tra i due aspetti c’è uno spazio
vuoto, l’oggi, un ponte, unico spazio completamente a nostra
disposizione, privo di attaccamento per il passato e di aspettative
per il futuro, questo è l’autentico Bar-do, lo stato intermedio.
Si
pensa sempre che per sperimentare il Bar-do sia necessario morire, ma
non è così, il Bar-do è qui e ora, è lo stato libero dalle
emozioni. Per scegliere un cambiamento nel futuro è prima necessario
abbandonare il passato e il passaggio essenziale è vivere il
presente, compiere il cammino necessario ad attraversare quel ponte
che unisce un passato che ormai non esiste più ad un futuro che
ancora non c’è. Il cambiamento non può avvenire in un istante,
non si passa dal nero al bianco in un'unica sequenza, ma è
necessario attraversare tutti i colori dell’arcobaleno e se non si
vive autenticamente il presente, se non lo si trasforma con
consapevolezza liberandolo dalle emozioni, anche passato e futuro
sono privi di senso, tutta l’esistenza è priva di senso. Nello
spazio del Bar-do viviamo il presente nella consapevolezza di essere
nella natura di vacuità.
Per
comprendere questo concetto meditiamo insieme la stupenda visione del
sūtra del cuore:
Il
Cuore della Perfezione della Saggezza
Il
titolo sanscrito è
: Bhagavati Prajna Paramita Hrdaya
Rendo
omaggio ai Tre gioielli
Così
una volta udii:
Il
Bhagavan dimorava a Rajagrha, presso il Picco dell’Avvoltoio, con
un gran numero di Arhat e un gran numero di Bodhisattva e a quel
tempo il Bhagavan era entrato nell’assorbimento meditativo sulla
varietà dei fenomeni chiamato “percezione profonda”. In quello
stesso tempo, l’arya Avalokiteśvara, il Bodhisattva mahasattva,
era assorto nella stessa pratica della profonda perfezione della
saggezza e vide che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura
intrinseca.
Quindi,
tramite l’ispirazione del Buddha, il venerabile bikshu Śāripūtra
si rivolse all’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva e gli
disse: “come deve addestrarsi un figlio o figlia del lignaggio dei
Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda
perfezione della saggezza?
Quando
fu detto questo, l’arya Avalokiteśvara, il Bodhisattva mahasattva,
rispose al venerabile bikshu Śāripūtra e disse: “Śāripūtra,
ogni figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri
impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza,
dovrebbe vedere chiaramente nel seguente modo: dovrebbe vedere
distintamente che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura
intrinseca.
La
forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che
forma, la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono
vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la
coscienza. Quindi, Śāripūtra, tutti i fenomeni sono vacuità; essi
sono privi di caratteristiche peculiari; non sono nati, non cessano;
non sono contaminati, non sono incontaminati; non sono incompleti e
non sono completi.
Quindi,
Śāripūtra, nella vacuità non c’è forma, né sensazioni, né
percezioni, né formazioni mentali, né coscienza. Non c’è occhio,
né orecchio, né naso, né lingua, né corpo, né mente. Non c’è
forma, né suono, né odore, né gusto, né oggetti concreti, né
oggetti mentali. Non c’è nessun elemento visivo, così fino a
nessun elemento mentale fino a includere nessun elemento della
coscienza mentale. Non c’è ignoranza, non c’è estinzione
dell’ignoranza, e così fino a nessun invecchiamento e morte, e
nessuna estinzione dell’invecchiamento e della morte. Allo stesso
modo, non c’è sofferenza, origine, cessazione o sentiero; non c’è
saggezza, né ottenimento e neppure mancanza di ottenimento.
Quindi,
Śāripūtra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti, si basano
e dimorano nella perfezione della saggezza. Non avendo oscuramenti
nelle loro menti, essi non hanno paura, ed essendo andati totalmente
oltre l’errore, essi raggiungono la meta finale: il nirvana. Tutti
i Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto il pieno risveglio
dell’insuperabile, perfetta illuminazione, basandosi su questa
profonda perfezione della saggezza.
Quindi,
si dovrebbe sapere che il mantra della perfezione della saggezza –
il mantra della grande conoscenza, il mantra supremo, il mantra
uguale a ciò che non ha uguale, il mantra che fa tacere tutte le
sofferenze – è vero perché non è ingannevole. Si proclama il
mantra della perfezione della saggezza:
TADYATHA
GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
Śāripūtra,
così i Bodhisattva mahasattva dovrebbero addestrarsi alla profonda
perfezione della saggezza.
Quindi,
il Bhagavan si svegliò dal suo assorbimento meditativo e lodò
l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, dicendo che era
eccellente.
Eccellente!
Eccellente! Figlio del lignaggio dei Bodhisattva, è proprio così;
dovrebbe essere così. Bisogna praticare la profonda perfezione della
saggezza proprio così come hai rivelato. Perciò anche i Tathagata
se ne rallegreranno.
Come
il Bhagavan pronunciò queste parole, il venerabile bikshu Śāripūtra,
l’arya Avalokiteśvara, il Bodhisattva mahasattva, insieme
all’intera assemblea, inclusi i mondi degli dei, degli umani, degli
asura e dei gandharva, tutti gioirono e lodarono ciò che il Bhagavan
aveva detto.
***
Questo
testo è una delle più raffinate forme di meditazione, è completo e
rappresenta perfettamente lo stato dell’essere qui e ora nella
realtà meditativa, consapevole, libera da emozione, illusione,
delusione, confusione. È rappresentato in un radicale dialogo
mentale tra tre persone: il Buddha, il Bodhisattva Avalokiteśvara e
l’Arhat Śāripūtra. Tre persone con differenti realizzazioni: il
Buddha ha raggiunto l’illuminazione, Avalokiteśvara lo stato di
Bodhicitta e Śāripūtra un livello di nirvāna di liberazione da
ogni illusione, e tutti tre, indistintamente, dimorano nella piena
consapevolezza della visione della vacuità.
Noi
oggi dobbiamo dunque permanere in questo stato mentale di
introspezione in consapevolezza come il Buddha e Avalokiteśvara e
come Śāripūtra che pone domande nella profonda meditazione e
concentrazione in questo fondamentale dialogo nella vacuità, che non
significa affatto vuoto, nulla, perché al contrario lì c’è
tutto, non manca niente, non c’è solo ciò che è inutile, mentre
noi siamo così abituati a riempire la mente con tutto ciò che non
serve che non ci rendiamo conto che manchiamo di tutto quello che
realmente serve e questa è la causa di confusione e annebbiamento
mentale, della pesantezza che ci ricaccia nella palude nebbiosa e
oscura della mancanza di senso.
Per
attuare il vero cambiamento che libera la mente dobbiamo avere forte
motivazione con grande concentrazione e saggezza, queste sono le tre
fondamentali qualità in cui essere qui oggi: il Buddha come
motivazione, Avalokiteśvara come concentrazione e Śāripūtra come
saggezza. È importante avere quest’attitudine mentale per
meditare un tema così complesso come quello di questo seminario, le
emozioni nel buddhismo e nella neuroscienza e per farlo dobbiamo
anche conoscere la struttura, le reazioni biochimiche del nostro
corpo e tutte le connessioni e interrelazioni con gli elementi
esterni, con ciò che mangiamo, facciamo, pensiamo e diciamo.
È
difficile parlare di emozioni a causa dei limiti linguistici perché,
come abbiamo già detto, questo termine non esiste in tibetano,
almeno non nell’accezione data nei paesi occidentali di derivazione
anglofona, mentre il significato è ben più complesso, non è solo
sensazione, è più simile all’impulso che deriva dal profondo, una
risposta ad un accadimento, però non è nemmeno solo questo poiché
coinvolge tutti i cinque aggregati. Spesso parliamo di emozioni
distruttive, concetto che non esiste nella cultura tibetana, così
non essendoci traduzione davvero corrispondente potremmo indicare il
concetto di emozione come forte impulso di breve durata in risposta
ad un incidente esterno che può essere a volte positivo e a volte
negativo, ma in ogni caso si tratta di una sensazione inconsistente,
non autentica.
A
volte proviamo sensazioni interiori forti, ci pare di aver realizzato
l’impermanenza ad esempio, ma non si tratta affatto di autentiche
realizzazioni spirituali, sono solo illusioni momentanee, fugaci e
false prodotte da fattori esterni che ci portano ad una reazione
immediata e non sono reale conoscenza. La conoscenza autentica,
genuina, vera, duratura deve provenire da un fondamento di calma
mentale stabile, tranquilla, pacifica, radicata nella saggezza e mai
soggetta a momentanei sbalzi emotivi, per questo il primo
fondamentale passo nella meditazione è volto allo sviluppo della
calma mentale, lo stato di Shiné.
Per
avere la vera conoscenza bisogna riconoscere la natura effimera delle
emozioni e per conoscere le emozioni bisogna liberarsi dalle
emozioni. Dobbiamo imparare a individuare con chiarezza ciò che noi
usualmente siamo abituati a definire emozioni, sia positive che
negative, le positive sono quelle che ci procurano allegria, gioia,
mentre quelle negative ci portano tristezza, confusione, malumore, ma
entrambe, senza alcuna distinzione, sono effimere, momentanee,
inaffidabili e non hanno alcuna consistenza in grado di interferire
con l’autentica conoscenza.
Il
sūtra del cuore esprime al massimo livello l’esperienza di
purificazione della mente che taglia alla radice ogni illusione, e
qual è questa radice che genera tutti i problemi dell’esistenza?
La traduzione ufficiale la enuncia come ignoranza fondamentale che
pervade il mondo, ma-rigpa,
la non conoscenza o incoscienza, il limite del samsāra in cui noi
vediamo ogni elemento come separato, indipendente, e Il Buddha
spiegando questa condizione ci ha invece mostrato la realtà
dell’originazione interdipendente di ogni cosa.
Per
superare l’ignoranza fondamentale è necessario conoscere la realtà
dell’originazione interdipendente di tutti i fenomeni, e quando
abbiamo consapevole conoscenza di questa condizione, la radice di
tutti i problemi, la confusione, è annullata, svanisce e giungiamo
naturalmente alla chiara visione, alla conoscenza della vacuità dei
fenomeni che hanno originazione interdipendente: Vacuità e
originazione interdipendente sono due facce della stessa medaglia. La
vacuità non è vuoto, non è nulla, ma è la pienezza della Luce, è
l’infinita possibilità del tutto, ma solo attraverso la conoscenza
dell’originazione interdipendente di fenomeni possiamo giungere
alla chiara visione della vacuità. Il sūtra del cuore esprime
perfettamente questo concetto
“La forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro
che forma, la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono
vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la
coscienza”,
ogni singolo fenomeno ha questi quattro aspetti nella propria natura
dell’origine interdipendente, la vacuità della pienezza del tutto
e questa consapevolezza ci permette di cambiare il nostro stesso
stato di esistenza.
Noi
siamo formati dai cinque aggregati: - forma, sensazione, percezione,
formazione mentale, coscienza - e allora la domanda che dobbiamo
porci è questa: - “i cinque aggregati sono noi, o siamo noi i
cinque aggregati?” - È importante avere conoscenza di questo
aspetto altrimenti ogni nostra azione, la meditazione, la
compassione, l’amore non solo vengono vanificati, ma possono essere
controproducenti in quanto diventano basse strumentalizzazioni atte a
nutrire e sviluppare unicamente il nostro ego e la possessività nei
suoi riguardi.
Ecco
perché è necessario meditare per conoscere prima di tutto il
proprio stato di esistenza, - come sono formato? cosa sono
esattamente i cinque aggregati che mi permeano? - allora tutto
diviene più chiaro e la natura di qualsiasi problema è
ridimensionata automaticamente sino a dissolversi. Dobbiamo
apprendere la vera conoscenza attraverso la consapevolezza che inizia
dalla giusta domanda: - Come si è formato ciò che chiamo io e mio?
Come si sono formate le mie sensazioni, percezioni, formazioni
mentali, coscienza e la mia stessa forma? - La consapevolezza non è
automaticamente attiva, implica un intenso lavoro, deve addentrarsi
nella profondità del proprio stato di esistenza in modo tale da
indurci a decidere fermamente di voler cambiare la motivazione con un
processo che implica la meditazione analitica.
Nel
buddhismo tibetano vi sono due forme di meditazione: la prima è
detta meditazione concentrata sul singolo punto ed è volta a
riportare la mente nel suo naturale stato di pace, di calma, di
concentrazione, e la seconda è la metilazione analitica che taglia
alla radice l’ignoranza, l’illusione, l’emozione, la confusione
e ci porta alla conoscenza vera di noi stessi, del nostro corpo e
della nostra mente di tutto il nostro stato di esistenza.
I
cinque aggregati ci formano e dunque dobbiamo analizzarli uno per
uno, ad ogni livello, fisico, biologico, chimico, neurale, psichico,
emotivo e solo in questo modo alla fine troveremo la natura dell’io,
tutto ciò che costituisce la nostra forma. Non c’è alcuna
separazione tra io e mio e quando noi definiamo uno di questi
aggregati come “mio” - mia sensazione, mia conoscenza, mia
realizzazione…- siamo fuori strada, non esiste mio separato da io.
L’analisi
di ogni aggregato è un viaggio affascinante, non si devono avere
preconcetti, bensì curiosità, passione, consapevolezza,
concentrazione, solo in questo modo scopriremo la bellezza della vera
natura dell’io, il primo passo verso la conoscenza della vacuità
del sé. Il nostro ego così prepotentemente presente e che noi
viviamo giorno e notte come realtà tangibile e indipendente, è la
più grande illusione su cui fondiamo l’intera esistenza, lo
riteniamo tangibile, centro della nostra esistenza, ma quando
cerchiamo di definire l’io non riusciamo a trovarlo da nessuna
parte e allora sorge il dubbio, c’è o non c’è? e questa
incertezza è il primo importante passo nella giusta direzione perché
ci porta a dubitare dell’esistenza di un io indipendente e a
distruggere in noi le false convinzioni.
In
questo crollo di sicurezza sorgono immediatamente due dubbi: nel
primo ipotizziamo di non essere capaci di trovare l’io che però
esiste da qualche parte, nel secondo invece compiamo un salto di
qualità e dubitiamo della sua esistenza e proprio da questa
incertezza nasce la necessità di meditare, di conoscere e alla fine,
dopo lunga d estenuante ricerca, non trovandolo giungiamo alla
constatazione che questo famoso io non c’è.
Tale
procedimento è la prima pietra della trasformazione mentale, è lo
stesso continuum mentale che passa dall’ignoranza alla conoscenza
in modo naturale, passaggio dopo passaggio, dubbio dopo dubbio e
questo è il più importante compito che dobbiamo svolgere nel tempo
della nostra vita perché è ciò che imprime il vero valore ad ogni
azione, pensiero, parola che compiamo quotidianamente, senza dover
difendere nulla e quindi senza alcuna paura di perdere ciò che non
si può perdere perché non è, eppure la paura è l’emozione più
presente e condizionante nella nostra vita in quanto scaturisce
direttamente dall’illusione dell’esistenza dell’io.
Dobbiamo
imparare prima di tutto a indagare e osservare la nostra paura sino a
scoprirne la vacuità e ugualmente quest’attitudine vale per tutte
le altre emozioni, attaccamento, odio, rabbia, sino ad averne totale
consapevolezza. Ovviamente data la confusione in siamo costantemente
immersi non è facile ad esempio mantenere la consapevolezza della
rabbia nel momento in cui questa si manifesta togliendoci ogni
razionale capacità di pensiero, tanto che persino la psicoanalisi
affronta questo problema e spiega come gestirlo, ma con un approccio
diverso da quello buddhista che invece si focalizza, non sulla
manifestazione in sé, quanto sul condizionamento centrale: “l’io”
poiché è proprio questo il momento migliore per annullarlo, per
scoprirne l’inconsistenza tramite la consapevolezza della rabbia e
dell’io illusorio, e nel contempo indica come unica possibilità di
uscita tramite la meditazione, la saggezza.
Fermiamoci
per qualche istante nella meditazione.
(segue
breve meditazione)
Le
emozioni sono una sensazione impulsiva provocata da eventi
imprevisti, risultato della legge di causa effetto, quindi nulla di
realmente consistente, anche se possono provocare problemi spesso
molto pesanti e dunque è necessario esaminare come affrontare queste
emozioni nel quotidiano poiché il loro effetto, siano piccole o
grandi, condiziona la nostra vita, eppure noi generalmente vi ci
contrapponiamo frettolosamente, con superficialità, senza mai
cercare di capire di conoscere, perdendo ogni consapevolezza del
livello profondo in cui dovremmo invece essere, ecco perché è
fondamentale la meditazione, la consapevolezza, la conoscenza, la
motivazione.
Così
il Buddha nello stato meditativo di samādhi, della visione profonda,
ispirò il dialogo meditativo con Avalokiteśvara e Śāripūtra, per
attivare la motivazione, la conoscenza. Meditazione concentrata e
meditazione analitica si completano, senza contraddizione alcuna, e
ci accompagnano nella infinita potenzialità della mente offrendoci
tutti gli strumenti per superare qualsiasi difficoltà, sofferenza,
ostacolo, facendoci riconoscere il loro intrinseco valore. La nostra
mente non è solo il nostro cervello, è ben più articolata, tra
cervello e spirito, ha un’infinita potenza ed è questa che
dobbiamo imparare a conoscere.
Comprendo
bene come non siano concetti facili da assimilare, ma proprio per
questo è fondamentale la meditazione analitica che, passo dopo
passo, ci porta con concentrazione consapevole nella profondità di
noi stessi, è la motivazione che ci fa ricercare senza preconcetti
la nostra mente così da poter giungere infine alla conoscenza della
realtà della originazione interdipendente, unica condizione in cui
possiamo considerare l’io, la mente e qualsiasi fenomeno.
Nulla
esiste al di fuori dell’originazione interdipendente, della vacuità
dei fenomeni, questo è lo stato dell’esistenza, e se riflettete
ricorderete che già Platone ne aveva avuto intuizione. Ciò che
importa è la domanda, non la risposta, la ricerca nel dubbio, questo
è il segreto della saggezza e dunque concludiamo questa mattina
rimanendo concentrati sulla domanda.
Grazie
a tutti.
Terza
sessione
Iniziamo
oggi con la lettura del:
Cantico
Sulla Visione Mādhyamika Con Le Quattro Consapevolezze
Per
Ricevere La Pioggia Di Siddhi Del Settimo Dalai Lama
Questa
speciale istruzione venne data direttamente da Mañjusrī al maestro
Tsong-Khapa.
Il
cantico spirituale su come mantenere le quattro consapevolezze, unito
ad un’istruzione sulla meditazione sulla visione della vacuità, è
stato composto dal monaco buddhista Kelsang Gyatso per creare la
predisposizione alla corretta visione in sé e negli altri. Versione
italiana a cura dell’Istituto Lamrim, Roma
La
Consapevolezza del Guru, del vero Maestro spirituale
Sull’immutabile
sede
Dell’unione
di Metodo e Saggezza,
Siede
il Maestro gentile,
L’Incarnazione
di tutti i rifugi,
Un
Buddha che ha completato l’abbandono e la realizzazione.
Avendo
abbandonato ogni concezione errata verso Lui,
Pregalo
con concezione pura.
Non
lasciando divagare la tua mente poni in Lui fede e rispetto,
Con
Consapevolezza.
La
Consapevolezza della Compassione
Nella
prigione della sofferenza del samsara vagano gli esseri di sei tipi,
privi di felicità.
Li
vi sono i genitori che ci hanno nutrito con grande gentilezza.
Abbandonando
l’attaccamento e l’avversione,
Medita
con amore e compassione,
senza
lasciare che la tua mente divaghi
Mantienila
salda nella compassione,
Senza
dimenticarti
Mantienila
salda nella compassione.
3.
La Consapevolezza della Divinità
Nel
Divino Palazzo della grande beatitudine
Piacevole
a provarsi,
Risiede
il corpo della divinità:
Il
corpo di se stessi
Con
aggregati ed elementi puri.
Una
divinità personale inseparabile
Dai
tre corpi vi si trova.
Senza
concepirli come ordinari,
Coltiva
l’identità e il sembiante divini.
Senza
lasciare che la tua mente divaghi,
Ponila
nel profondo e luminoso
Senza
scordarti
Mantienila
nel profondo e luminoso.
4.
La Consapevolezza della Visione della Vacuità
Il
mandala di tutti gli oggetti della conoscenza
Che
vengono percepiti o che esistono
E’
pervaso dalla chiara luce,
Che
è la realtà ultima.
Un
inesprimibile, reale modo d’esistenza
E’
li presente.
Abbandona
le elaborazioni concettuali,
Osserva
la natura della Vacuità.
Senza
lasciare la tua mente divagare,
Ponila
in ciò che è,
Senza
distrarti,
Mantienila
in ciò che è.
Nel
congiungimento delle molteplici apparenze
Delle
sei coscienze,
Si
vede la confusione dell’apparenza dualistica di fenomeni
insostanziali, senza base,
Là
inganno e magia.
Senza
concepirla come vera
Osserva
la natura della Vacuità.
Senza
che la tua mente divaghi,
Ponila
nell’apparenza e Vacuità.
Senza
distrarti,
Mantienila
nell’apparenza e Vacuità.
***
Queste
quattro consapevolezze - del Guru, della Compassione, della Divinità
e della Visione della Vacuità - ci portano al reale cambiamento del
nostro stato mentale, noi trasformiamo la percezione dei nostri
sensi, delle emozioni, tramite la consapevolezza nella conoscenza e
nella saggezza.
La
consapevolezza del guru non indica una persona in particolare che noi
riteniamo oggettivamente perfetta, è un’attitudine mentale rivolta
alla propria interiorità e a quegli esseri che dal nostro punto di
vista ci sono maestri e possono essere i genitori, i fratelli, gli
amici, ma tutto deve essere osservato nella consapevolezza della
vacuità che ha la visione pura, profonda, della realtà ultima dei
fenomeni. Noi cerchiamo spesso sicurezze, abbiamo bisogno di
rivolgerci a qualche protettore, recitiamo mantra, facciamo riti
propiziatori, mercanteggiamo preghiere, non c’è limite a queste
fantasie ingannevoli che sono completamente estranee alla filosofia
del Buddha il quale invece insegna che la nostra più grande
protezione è la visione profonda. Non è la sapienza, così come
l’intendiamo comunemente, che conta, anzi quella spesso è
fuorviante, confonde divenendo la più pesante ignoranza poiché non
c’è nulla da sapere, la più grande saggezza è non sapere, è
riconoscere la natura di vacuità del tutto. La felicità è la
consapevolezza, mentre la sua mancanza è insoddisfazione
ininterrotta, disperazione, confusione, sofferenza, soltanto la
consapevolezza è equilibrio in qualsiasi condizione, la colonna
principale che sostiene tutte le qualità mentali.
Oggi
abbiamo letto le quattro consapevolezze nella visione della
Mādhyamika, la Via di mezzo. La via di mezzo non è compromesso, ma
equilibrio del tutto, tra esistere e non esistere, tra eternalismo e
nichilismo. Non significa che ciò che non è tangibile non esista,
la vera esistenza non ricade in nessuno dei due estremi, tutto è
nell’originazione dell’interdipendenza. La Via di Mezzo è la
medaglia le cui facce sono Vacuità e Originazione interdipendente in
cui esistono tutti i fenomeni, ma per poter vedere con chiarezza
questa realtà dobbiamo essere consapevoli. Senza consapevolezza
siamo inevitabilmente immersi nella confusione, nell’illusione, nel
samsāra totale. Solo nella consapevolezza è possibile sperimentare
la vera gioia, vi è equilibrio, pura visione, base essenziale per
ogni crescita:
“Sull’immutabile
sede
Dell’unione
di Metodo e Saggezza,
Siede
il Maestro gentile,
L’Incarnazione
di tutti i rifugi,
Un
Buddha che ha completato l’abbandono e la realizzazione.
Avendo
abbandonato ogni concezione errata verso Lui,
Pregalo
con concezione pura.
Non
lasciando divagare la tua mente poni in Lui fede e rispetto,
Con
Consapevolezza.”
Con
consapevolezza purifichiamo la visione verso noi stessi e verso tutti
e tutto, siamo in grado di abbandonare schemi illusori e preconcetti,
ma per sviluppare la consapevolezza è necessario avere forte
motivazione, determinazione, conoscenza e una salda concentrazione.
Senza consapevolezza si è come in balia delle onde, privi di
tranquillità, lucidità, equilibrio. La prima consapevolezza della
visione pura è fondamentale e ci rende capaci di scoprire in tutti
la buddhità, è la trasformazione della mente che amplifica le
qualità mentali proprie e altrui.
Passiamo
ora alla seconda consapevolezza, della compassione:
“Nella
prigione della sofferenza del samsāra vagano gli esseri di sei tipi,
privi di felicità.
Li
vi sono i genitori che ci hanno nutrito con grande gentilezza.
Abbandonando
l’attaccamento e l’avversione,
Medita
con amore e compassione,
senza
lasciare che la tua mente divaghi
Mantienila
salda nella compassione,
Senza
dimenticarti
Mantienila
salda nella compassione.”
Allora
dobbiamo cominciare a chiederci: - È possibile considerare tutti gli
esseri come i nostri genitori, coloro che più amiamo? Siamo capaci
di liberarci da ogni attaccamento e avversione, sia verso le persone
più care che verso i nemici? - Tutti i giorni noi viviamo immersi
nella questa totale confusione, inconsapevoli di essere completamente
in balia delle emozioni di attaccamento e avversione, dividiamo il
mondo tra amici e nemici e ci perdiamo in un gioco perverso che ci
esaurisce completamente, ci svuota di ogni energia ed è un terribile
spreco di tempo prezioso.
In
questo quadro rientrano tutti sentimenti negativi che bruciano sotto
la cenere pronti ad esplodere: rabbia, odio, pigrizia, invidia,
gelosia, orgoglio, ecc. cioè le cosiddette “emozioni distruttive”
che il Dalai Lama ha descritto dettagliatamente in un libro con la
speranza di farci riflettere, di indurci a scegliere il cammino della
consapevolezza, unica possibilità per poter vedere con chiarezza la
realtà e neutralizzare questo cancro nefasto che ci distrugge giorno
dopo giorno privandoci delle immense opportunità di crescita perché
se sapessimo vedere con chiarezza ci accorgeremmo come anche l’odio
possa davvero trasformarsi in amore, il nemico in amico, i conflitti
in pace, la sofferenza in gioiosa serenità.
Questo
concetto è perfettamente descritto da Kadampa Geshe Langri Tangpa,
(XII° secolo)
e
fa parte degli insegnamenti Lo Jong, poema composto nel periodo in
cui in Tibet prosperava la scuola Kadam,
nel
testo degli “Otto Versi di Trasformazione della Mente”, Il primo
verso dice:
“Considerando
tutti gli esseri senzienti
superiori
alla gemma che esaudisce i desideri
per
realizzare il fine supremo
possa
io costantemente prenderli a cuore.”
Se
non riusciamo ad avere la visione pura che trasforma un nemico in
amico, non può esservi alcuna compassione, forse non riusciamo a
realizzare pienamente questo cambiamento interiore, ma ciò che conta
è conoscere con consapevolezza questa necessità ineluttabile di
trasformazione interiore così che l’emozione distruttiva possa
scomparire.
La
compassione può avvenire solo nella totale equanimità verso ogni
essere e deve diventare intrinseca qualità della nostra mente,
libera da ogni attaccamento e avversione, coscienti che il primo
attaccamento, il più funesto e devastante, è l’attaccamento
all’io da cui consegue ogni attaccamento o avversione verso gli
altri ed è l’aspetto fondamentale di cui è indispensabile essere
pienamente consapevoli perché rappresenta il più grande inganno e
illusione, per questo non dobbiamo mai smettere di indagare, di
scegliere la via con lucida consapevolezza. Dobbiamo scegliere
onestamente cosa vogliamo coltivare: - l’egoismo egocentrico e
ottuso? o la compassione consapevole e chiara? - conoscendo però
bene le conseguenze di questa scelta, sapendo che il senso della
nostra stessa vita dipende totalmente dalla consapevolezza con cui
affrontiamo ogni istante dell’esistenza.
Domanda: Come
si può essere costantemente consapevoli?
Lama: La
consapevolezza a cui ci riferiamo è la coscienza che deriva dalla
conoscenza e dalla motivazione di mantenere inalterata e costante
quest’attitudine mentale, con attenzione all’azione che si sta
compiendo, ma con totale indipendenza dalla stessa. La consapevolezza
che deve essere sempre presente nel nostro continuum mentale è la
consapevolezza della natura di sofferenza del samsāra, della natura
di impermanenza, della non esistenza intrinseca dell’io,
dell’originazione interdipendente dei fenomeni.
Domanda: Come
provare compassione verso qualcuno che ci fa del male? Forse l’unica
possibilità è pensare che tutti siamo afflitti dalla stessa
sofferenza dell’esistenza ciclica e sapendo che tutti ricerchiamo
la felicità, anche sbagliano e quindi provare reciproca compassione.
Lama: Perfetto
ciò che conta è avere la costanza di procedere lentamente, passo
dopo passo, non si diventa Bodhisattva in un istante, non esiste un
punto di arrivo, dobbiamo solo camminare, progredire un gradino alla
volta scoprendovi continuamente nuova gioia, nuovo senso della vita,
entusiasmo nel vedere come lo sviluppo della compassione sia
infinito, lo stesso cammino è la beatitudine.
Concludiamo
la giornata con la recita degli Otto Versi.
OTTO
VERSI DELLA TRASFORMAZIONE DELLA MENTE
Considerando
tutti gli esseri senzienti
superiori
alla gemma che esaudisce i desideri
per
realizzare il fine supremo
possa
io costantemente prenderli a cuore.
Quando
sarò con gli altri,
riterrò
me stesso come il meno importante,
e
mi prenderò cura di loro fin nel profondo del cuore
come
se ognuno fosse il più elevato degli esseri.
Vigile,
ogni volta che sorge un’emozione negativa
Che
possa nuocere me o gli altri,
l’affronterò
e l’eliminerò
senza
indugio.
Vedendo
esseri in preda alla malvagità
Intenti
a violente azioni negative, sopraffatti da sofferenze,
avrò
sempre cura di tali creature così rare,
come
se avessi trovato un tesoro prezioso.
Quando
altri, per invidia, mi maltratteranno,
mi
insulteranno o faranno cose simili,
accetterò
la sconfitta e offrirò la vittoria.
Quando
qualcuno a cui ho fatto del bene
e
in cui ho riposto grandi speranze
mi
infligge un danno terribile,
lo
considererò il mio santo amico spirituale
(ripetere
3 volte) In
breve, direttamente e indirettamente, offro
ogni
beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri;
possa
io segretamente prendere su di me
tutte
le loro azioni negative e sofferenze.
Possa
la pratica non essere mai contaminata dalle idee causate
dalle
otto preoccupazioni mondane e, consapevole che tutte le cose sono
illusorie,
possa
io, privo di attaccamento, essere libero dal samsāra.
***
Quarta
sessione
Iniziamo
la giornata rileggendo gli “Otto Versi di Trasformazione della
Mente” e poi meditiamo su queste parole applicando la pratica del
Tong Len che ad ogni respiro dona amore, in questo l’io, in
perfetta comunione universale, diventa pienamente responsabile
dell’armonia e del benessere comune e non ha più bisogno di
affermare alcuna illusoria identità individuale, agisce in competa
libertà. Ogni singolo respiro ha un valore infinito di compassione,
ispirando si prende nel proprio cuore la sofferenza altrui ed
espirando si offre loro tutta la nostra gioia, felicità, benessere
in un’attitudine mentale esattamente opposta alla concezione
mondana fondata su un’economia perversa, egoista e funesta. Questa
trasformazione mentale produce naturalmente una trasformazione
fisica, è cura per il corpo e per lo spirito.
Noi
al contrario abbiamo la pessima abitudine di danneggiarci a tutti i
livelli, schiacciati dal peso della volontà perversa di possesso,
dalle preoccupazioni per difendere ciò che abbiamo, avidi e
schiacciati dalla paura perdere qualcosa quando lo diamo ad altri,
mentre il nostro benessere psicofisico dipende unicamente dall’esatto
contrario. L’attitudine fondamentale per il vero benessere
psicofisico, nostro e altrui è dare, offrire il proprio cuore,
l’amore e qui non parliamo di quantità di beni materiali, ma della
qualità dell’offerta, della generosità e della compassione pura.
(seguono
lettura e meditazione)
Continuando
nel nostro lavoro di ricerca raccogliamoci dunque nella meditazione
della compassione e cominciamo con la recitazione del mantra del
sūtra del cuore:
TADYATHA
GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
Attraverso
il potere della grande verità delle parole dei Tre Gioielli:
Possano
tutte le condizioni avverse essere superate,
Possano
essere eliminate,
Possano
essere pacificate.
Possano
tutti i mali, come i nemici, gli ostacoli, gli impedimenti e
le
condizioni avverse svanire - shanti
kuru ye svaha
-
Possano
gli ottantamila ostacoli essere pacificati,
Possiamo
noi essere liberati dalle condizioni avverse, nocive,
Possa
essere ottenuta ogni cosa favorevole,
E,
sotto buoni auspici,
Possa
esservi felicità eccellente qui e ora.
***
Ieri
abbiamo parlato delle prime due consapevolezze, del Guru e della
Compassione, con la motivazione fondamentale di poter trasformare lo
stato dell’essere da ordinario in straordinario, liberato dalle
emozioni e dalla necessità di vivere ogni istante nella
consapevolezza della compassione e della vacuità. Oggi continueremo
questo approfondimento fondamentale, infatti nel buddhismo ogni
pratica, ogni sādhana (mezzo di realizzazione, di trasformazione
dell’ordinario in straordinario) inizia sempre dalla consapevolezza
e dalla visione della vacuità. La consapevolezza della compassione
realizza la vacuità del sé e dei fenomeni ed è la motivazione
inseparabile, fondamentale della vita, è la qualità del Bodhisattva
Avalokiteśvara, la divinità, la manifestazione della Compassione.
Meditare
su Avalokiteśvara, non significa rivolgersi a un individuo
particolare con richieste di varie, ma è riconoscere, accogliere in
sé la qualità, l’essenza del Bodhisattva e meditare la realtà
della compassione, questa è la terza consapevolezza, della Divinità.
3
- La Consapevolezza della Divinità
“Nel
Divino Palazzo della grande beatitudine
Piacevole
a provarsi,
Risiede
il corpo della divinità:
Il
corpo di se stessi
Con
aggregati ed elementi puri.
Una
divinità personale inseparabile
Dai
tre corpi vi si trova.
Senza
concepirli come ordinari,
Coltiva
l’identità e il sembiante divini.
Senza
lasciare che la tua mente divaghi,
Ponila
nel profondo e luminoso
Senza
scordarti
Mantienila
nel profondo e luminoso.”
La
meditazione di Avalokiteśvara, manifestazione della compassione,
aiuta a comprendere e ad essere sempre più coscientemente attratti
dalla bellezza dall’essenzialità e potenza della mente di
compassione che noi possiamo sviluppare e attuare. La nostra stessa
consapevolezza della compassione si trasforma nella divinità che
diviene parte inseparabile della mente nella consapevolezza della
realizzazione della vacuità, della beatitudine della compassione.
Questa divinità non è una realtà esteriore, ma è parte di noi
stessi è la fondamentale causa della nostra compassione, lo stato
ordinario si trasforma in stato divino, il nostro stesso corpo, i
cinque aggregati, acqua, aria, fuoco, terra e spazio, sono
completamente ripuliti, purificati. E’ la consapevolezza della
vacuità che trasforma la compassione in realizzazione divina, non
sono io divino, ma è la realizzazione di questo cambiamento che
tutto purifica, il mio corpo, gli elementi, la mente. Siamo così
giunti alla quarta consapevolezza:
La
Consapevolezza della Visione della Vacuità
Il
mandala di tutti gli oggetti della conoscenza
Che
vengono percepiti o che esistono
E’
pervaso dalla chiara luce,
Che
è la realtà ultima.
Un
inesprimibile, reale modo d’esistenza
Pirma
E’ li presente.
Abbandona
le elaborazioni concettuali,
Osserva
la natura della Vacuità.
Senza
lasciare la tua mente divagare,
Ponila
in ciò che è,
Senza
distrarti,
Mantienila
in ciò che è.
Nel
congiungimento delle molteplici apparenze
Delle
sei coscienze,
Si
vede la confusione dell’apparenza dualistica di fenomeni
insostanziali, senza base,
Là
inganno e magia.
Senza
concepirla come vera
Osserva
la natura della Vacuità.
Senza
che la tua mente divaghi,
Ponila
nell’apparenza e Vacuità.
Senza
distrarti,
Mantienila
nell’apparenza e Vacuità.
Questa
è la visione della Chiara Luce nella propria coscienza, che è
impossibile da spiegare poiché per riuscire a farlo è necessario
abbandonare ogni elaborazione concettuale che è costituita
esclusivamente da preconcetti illusori e dualistici. Il dualismo ci
mostra la realtà percepita tramite le sei coscienze, è distorta
dall’illusione samsarica, mentre ben diversa è la visione secondo
saggezza. La visione della vacuità è l’opposto della visione
dualistica ed è la pura consapevolezza sviluppata nella
consapevolezza del Guru, della Compassione, della Divinità e, in
particolare, nella nostra vita è fondamentale la consapevolezza
della compassione che, con il sapore della beatitudine, trasforma
istante per instante la nostra attitudine mentale, è il mandala che
realizza la sādhana.
Il
mandala non è una raffigurazione di sabbia fine a se stessa,
rappresenta il divino palazzo è la beatitudine del compimento della
propria compassione, è la gioia che inonda il nostro cuore e tutto
l’ambiente. Il mandala è la bellezza della beatitudine in cui il
corpo stesso è palazzo divino, i cinque aggregati diventano i cinque
elementi puri, la vacuità è l’alchimia che trasforma ciò che è
ordinario in straordinario.
Noi
concettualmente cerchiamo di cambiare lo stato della compassione da
ordinario a divino tramite una concezione ancora dualistica, perché
non riusciamo a percepire il suo stato straordinario che è
naturalmente già esistente, ma che noi tramite la percezione dei
cinque sensi avvertiamo solo come pesantemente ordinario,
distinguiamo e pesiamo dolore, sofferenza, confusione come entità
distinte, condizionanti e autonome, in realtà però non esiste
alcuna divisione e contraddizione perché tutti questi fenomeni non
sono altro che onnipresente illusione mentale, non conoscenza,
incapacità di vedere la purezza, siamo accecati dalla consueta
attitudine dualistica e illusoria che ci porta inesorabilmente al di
fuori di noi incapaci di sviluppare le nostre potenzialità e
soprattutto egocentricamente ottusi nel non volerci assumere alcuna
responsabilità, è infatti abitudine diffusissima quella di
incolpare sempre e soltanto gli altri per tutto ciò che non ci piace
e che consideriamo impuro e negativo. Ma soltanto quando riusciremo a
vedere tutti i fenomeni nella loro realtà ultima ogni percezione
sarà pura, nella natura di beatitudine, nella natura divina saremo
liberi da simili fraintendimenti, la strada è questa, non c’è
altra via, è l’unica grande possibilità che la nostra mente deve
sviluppare, per questo ogni sādhana conclude nella vacuità, tutto
si assorbe nella vacuità e risorge nella vacuità, questa è la
consapevolezza della divinità. La divinità non è uno stereotipo
uguale per tutti, ma corrisponde per ognuno di noi alla propria
essenza, nella consapevolezza della vacuità.
Domanda: Cosa
riguarda esattamente la consapevolezza della divinità? La nostra
potenzialità alla buddhità oppure il desiderio di acquisire la
capacità alla compassione ad esempio?
Lama: Prima
di tutto è necessario meditare per dissolvere lo stato ordinario del
sé nella vacuità, dalle quattro consapevolezze si sviluppa la
compassione e da questa la trasformazione mentale nella saggezza che
purifica la visione e realizza il cammino nella luce del proprio
corpo, mente e spirito divini nell’interdipendenza della vacuità.
Questo
è il valore, la reale trasformazione mentale che realizziamo nella
consapevolezza del Guru, nella consapevolezza della Compassione,
nella consapevolezza della Divinità, nella consapevolezza della
Visione della Vacuità.
In
questi giorni di ritiro abbiamo approfondito insieme argomenti
fondamentali per la nostra sādhana, preghiera, meditazione,
trasformazione, amore e aiuto reciproco e l’esperienza condivisa
del Dharma che non è qualcosa di astratto, di teorico, ma deve
essere concretamente vissuto, deve naturalmente cambiare la nostra
esistenza.
Grazie
a tutti e per concludere dedichiamo i meriti di questi incontri di
Dharma con la recitazione della preghiera di dedica:
La
Vittoriosa tradizione dei Buddha come fondamento di Pace e Felicità,
Medicina
per illuminare le sofferenze di tutti gli esseri senzienti,
Tesoro
che realizza le speranze
degli
esseri viventi dei tre reami,
Gioiello
che soddisfa simultaneamente i desideri propri e altrui.
Dal
profondo del mio cuore porgo il mio rispetto ai Maestri,
che
mi hanno indicato senza errori i metodi per seguire
il
Percorso Fondamentale, come affidarmi ad una guida spirituale
fino
a raggiungere, tramite la pace, la completa Illuminazione.
(x
3) Possano
tutti gli esseri, e noi stessi, incontrare la felicità
Realizzando
la rinuncia, la mente del non-attaccamento,
il
Bodhicitta, la mente altruistica verso infiniti esseri senzienti,
la
Vacuità, la massima visione della Chiara Luce.
*******