Sunday 1 February 2015

Māhamudhrā e Consapevolezza











Māhamudhrā e Consapevolezza






Geshe Gedun Tharchin

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Insegnamenti speciali
2007 Roma
Istituto Lamrim/Fondazione Maitreya Roma












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INDICE




Parte Prima  *gennaio - luglio 2007*

Meditazione di Māhamudhrā 
Cantico delle Quattro Consapevolezze del VII° Dalai Lama - prima parte
Cantico delle 4 consapevolezze VII° Dalai Lama - seconda parte
La Rinuncia
La realtà convenzionale, la realtà ultima, la realtà convenzionale sottile 




Parte Seconda  *settembre - dicembre 2007*

I Dodici Anelli di origine interdipendente
Il senso del mantra OM MA NI PADME HUM
La natura di Chiara Luce 
La generazione di Bodhicitta 
Le quattro condizioni della vita




Testi annessi:
Otto Versi di Trasformazione della Mente
Sūtra della Perfezione della Saggezza 
I Tre Aspetti Principali del Sentiero
Dedica e Preghiera Conclusiva
Cantico delle Quattro Consapevolezze del VII Dalai Lama
La Lampada sul Sentiero verso l’Illuminazione di Atīsa








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PRIMA   PARTE
Roma   *   gennaio - luglio 2007   *

Meditazione di Māhamudhrā


La ragione del nostro incontro è la ricerca del significato della vita, un passaggio affatto scontato e spesso problematico, in quanto tendenzialmente riteniamo obiettivi primari, da conquistare con qualsiasi mezzo, gli ottenimenti materiali e la soddisfazione dei desideri mondani.
A volte incontriamo persone a cui apparentemente non manca nulla per avere felicità, sono sani, agiati, in una condizione di benessere generale, eppure vivono in perenne stato di smarrimento e di incertezza verso un futuro che temono e preferiscono ignorare, rimuovono tutto ciò che non cade materialmente nel cerchio della loro comprensione, decidono di eliminare ogni dubbio e negano drasticamente qualsiasi possibile continuità.
Se non si muore improvvisamente a causa di un incidente, ma si sperimenta nell’agonia il processo della fine è possibile avere nell’ultimo istante la percezione della vita futura, però è ormai troppo tardi, manca il tempo per riflettere e allora si è assaliti da una disperata tristezza. Per questo è importante approfondire e analizzare oggi cosa potrebbe rimanere dopo questa forma di esistenza, anche se si tratta di fenomeni che fanno parte di una realtà oscura, non visibile direttamente, a cui ci si può avvicinare solo tramite realizzazioni superiori che però, non essendo ancora state raggiunte, sono accessibili unicamente tramite il ragionamento.
Non si tratta di un ragionamento ordinario, ma della costruzione logica di un pensiero che si fonda su percezioni limpide in quanto la logica non è esclusiva prerogativa dell’intelletto, riguarda anche la capacità di avvertire in modo esplicito e autentico gli eventi.
Le argomentazioni logiche devono basarsi sulla percezione diretta che, a sua volta, diventa la prova dell’autenticità della deduzione intellettiva.
Sono dunque tre le tappe di approccio alla conoscenza della realtà:
La conoscenza basata sulla percezione diretta;
La conoscenza basata sulla logica deduttiva, a sua volta fondata sulla percezione diretta;
La conoscenza basata sulle realizzazioni ottenute tramite la percezione diretta e la logica deduttiva.
Consideriamo ad esempio la fiducia nelle reincarnazioni, una persona che vi creda può tentare di chiarire questa idea a se stessa e agli altri, ma quali strumenti possiede per convincere che ciò corrisponda al vero? come si può dimostrare che la mente di un neonato, o di un feto ancora in formazione, sia la manifestazione di un precedente continuum mentale?
Certamente non è possibile averne con immediatezza una visione accertata, però si può procedere logicamente confrontando la propria affermazione con una realtà analoga, ad esempio osservando che la mente di questo momento è l’imprescindibile risultato della mente del momento precedente, poiché se non fosse esistita ieri non potrebbe esserci nemmeno oggi. Lo stesso procedimento vale per la mente neonata, e questa è una percezione diretta che supporta la concezione deduttiva del passaggio di vita in vita.
Ogni conoscenza nasce dal dubbio che, anche se in parte è negativo in quanto tende a negare l’esistenza di un evento, possiede un secondo aspetto positivo, seppur minimo, e affinché la positività prevalga sulla negatività è necessario applicare il ragionamento.
Analizziamo le forme presenti nella mente attuale e compariamole a quelle dello stato iniziale di questa vita, possiamo così constatare che le qualità mentali di ora sono analoghe alle precedenti e, procedendo a ritroso in questo movimento, deduciamo che lo stesso processo può essere applicato ad un continuum mentale che si trasferisce da un’esistenza all’altra.
Il dubbio ingenera il ragionamento sulla similitudine mantenuta dalla mente nelle diverse fasi della vita esistenza e da questo si desume l’esistenza di un continuum mentale che avanza di momento in momento, di vita in vita.
Domanda: Scusa Geshe, se anche comprendo che la mia mente attuale è simile a quella dell’infanzia ad esempio, come posso dedurre che ciò sia valido per vite precedenti?
Lama: Perché non ci sono differenze, la mente di oggi è il risultato di quella dell’inizio che a sua volta non può che essere il risultato di quella che l’ha preceduta; vi è una continuità ininterrotta del processo mentale con impronte che altrimenti non potrebbe potrebbero manifestarsi né prima né tantomeno oggi.
Domanda: Però è un’ipotesi, non può essere certezza…..
Lama: Con questo ragionamento intendiamo andare al di là delle certezze, dei dogmi enunciati da qualsiasi religione, applicando un procedimento logico, assolutamente libero da condizionamenti, che può portare a credere o no nell’esistenza di vite passate e future.
L’argomento di oggi sarebbe la mente primordiale, ma se non comprendiamo il continuum mentale che passa di vita in vita, come possiamo addentrarci nello stato originale della mente?
Nell’istante in cui si afferma che la mente, il continuum mentale, è senza inizio, qual è il punto in cui si colloca la mente primordiale?
Generalmente si pensa che riferendosi allo stato primordiale della mente si debba ritornare ad un’epoca lontanissima, ma in realtà non sappiamo nulla e ogni tentativo di fissare un tempo genera soltanto confusione.
La caratteristica della mente è davvero interessante, essa può coprire un ciclo infinito, come afferrare il tutto in un unico momento, l’universo intero può essere contenuto dalla mente in questo stesso istante.
La nostra mente è un fenomeno veramente inspiegabile, e non è necessario cercare miracoli all’esterno, già semplicemente osservandola possiamo assistere ad un evento veramente misterioso.
Sono molti gli oggetti di meditazione consigliati, ma il livello più elevato è relativo alla meditazione sulla natura della mente, in sanscrito: “Māhamudhrā”, tradotto nelle lingue occidentali in “Grande Sigillo”, ma nel contesto odierno è inteso come meditazione sulla vera natura della mente, la sua realtà ultima.
La meditazione di Māhamudhrā si articola in due fasi, nella prima ci rilassiamo focalizzandoci sulla natura convenzionale della mente, mentre nella seconda ci concentriamo sulla sua natura ultima.
Gli occidentali, sempre frettolosi, impazienti e perennemente agitati, si illudono di potersi appropriare facilmente di tecniche superefficienti che consentano l’immediato accesso alla meditazione sulla natura della mente, ma ciò è assolutamente impossibile, il cammino per acquisire tale capacità è lungo e necessità prima di tutto di un’adeguata e paziente preparazione della mente attraverso le pratiche preliminari atte a creare le giuste condizioni.
A questo punto, però, è necessario fare chiarezza sul significato delle “pratiche preliminari”, perché il primo fraintendimento consiste nel considerarle semplicemente una sequela di compiti da eseguire prima di affrontare la pratica vera e propria, persuasi che soltanto dopo aver completato la recitazione di un prestabilito numero di mantra, o la quantità di prosternazioni prescritte, o altro ancora, si sia autorizzati a procedere.
È una concezione tradizionale, in sé positiva, a patto però che non sia limitata a un computo aritmetico e meccanicistico di tipo quantitativo e nemmeno si devono considerare queste pratiche come fenomeno preventivo definito entro un arco temporale, al contrario sono sempre presenti, costantemente mantenute in concomitanza con qualsiasi altra pratica. Dunque, quali sono le pratiche preliminari?
La pratica preliminare fondamentale è la grande compassione, ogni nostra preghiera, azione, intenzione, ne deve essere permeata. La grande compassione rientra nell’ambito dell’etica che fa parte dei tre addestramenti superiori: della moralità, della concentrazione e della saggezza.
L’addestramento superiore della moralità si fonda sulla compassione universale;
L’addestramento superiore della concentrazione si colloca al primo livello del Māhamudhrā, ovvero la concentrazione sulla mente;
L’addestramento superiore della saggezza appartiene al secondo livello del Māhamudhrā e consiste nella contemplazione della realtà ultima della mente.
La grande compassione è l’indicazione primaria enfatizzata da tutte le tradizioni religiose, buddhista, cristiana, islamica, ebraica…. ed è una norma applicata anche da coloro che non sono affatto religiosi, anzi spesso i non credenti sono i più generosi nell’applicazione di questa qualità umana.
La grande compassione è sconfinata, non ha limite, non soggiace all’autorità di nulla e di nessuno, è un infinito dono della natura stessa, ed è fondamentale perché fino a quando la mente-cuore non è completamente aperta è impossibile accogliervi il Māhamudhrā.
Aprire la mente-cuore è l’azione più importante della nostra vita, è l’attività della grande compassione, la prima pratica preliminare.
Oggi stiamo affrontando semplicemente il significato sostanziale delle pratiche preliminari senza addentrarci nel complesso labirinto delle tradizioni che prescrivono precise modalità e rituali; recitare il mantra o la preghiera del Padre nostro ha esattamente lo stesso valore.
Pensare che le pratiche preliminari presuppongano la necessità di imitare i tibetani nel modo di vestire, nella recitazione dei mantra, nei loro atteggiamenti esteriori è proprio sciocco e suscita immancabile ilarità in oriente perché è evidentemente qualcosa di assolutamente estraneo alla cultura occidentale. Ognuno deve praticare secondo le proprie tradizioni.
L’attitudine non discriminate, la capacità di vedere l’autenticità della pratica in ogni religione e cultura appartiene al vero Māhamudhrā.
Le pratiche preliminari sono dunque fondamentali per poter sviluppare la concentrazione sulla mente e realizzarne la natura e consistono nella compassione, nell’amore e nella forza che vi applichiamo.
Il secondo livello del Māhamudhrā è particolarmente bello, finalmente non rivolgiamo più l’attenzione all’esterno, distratti dai giudizi su qualcuno o qualcosa, ma restiamo concentrati in noi stessi, nella natura della mente. La difficoltà di questa pratica consiste proprio nell’osservazione della mente da parte della mente stessa. Generalmente attiviamo due fattori: soggetto e oggetto, la mente, il soggetto, medita su un oggetto esterno; invece nel secondo livello di Māhamudhrā il fenomeno è unico perché la mente è contemporaneamente soggetto e oggetto e contempla se stessa.
Questo è il miglior metodo di conoscenza perché nel momento in cui la mente si concentra su se stessa non è più distratta da passato o futuro, decadono naturalmente valutazioni, giudizi, aspettative o paure, è completamente libera da ogni preoccupazione.
Malgrado ciò i pensieri continuano ad affacciarsi alla mente nel tentativo di distrarla e la migliore risposta è la non risposta, così come ha dimostrato inconfutabilmente il Mahātmā Gandhi che in ogni circostanza, anche la più dura, ha mantenuto inalterata l’attitudine equanime e pacifica della non violenza.
Se vogliamo trovare ad ogni costo una risposta agli infiniti pensieri che affollano la mente sprechiamo una quantità enorme di energie e di tempo senza ottenere altro che un peggioramento dell’agitazione e confusione mentale. Non bisogna rispondere, ma neppure ignorare, semplicemente si deve osservare il fenomeno con un equilibrato distacco. Nelle tradizioni Theravāda o Zen si insiste particolarmente sulla obbligatorietà di lasciar andare, di permettere che gli eventi siano nel modo in cui sono senza forzare, senza contrapporsi, è la stessa pratica contemplata nello Dzogchen, nel Māhamudhrā, cambiano le terminologie, ma la sostanza è la stessa, non si risponde né si ignora, si osserva rispettosamente.
Cosa succede nel momento in cui non opponiamo resistenza e ci limitiamo a scrutare e con rispetto i nostri pensieri? Ci accorgiamo che sono come bolle di sapone che non appena formate svaniscono, scoppiano da sole. In questo modo si autoeliminano sia passato che futuro e resta soltanto la vacuità del momento presente, che non significa mancanza di coscienza come se stessimo dormendo, al contrario la nostra mente è particolarmente lucida, chiara come il sole che risplende nel cielo, malgrado le nuvole che lo offuscano momentaneamente.
La mente è anche simile ad un fiume che scorre regolarmente, nemmeno smosso dagli uccelli che si tuffano, dai pesci che nuotano o dalle pietre lanciate nell’acqua, rimane ferma, per nulla turbata dai molti pensieri, raggiunge la calma, la pace.
Un ulteriore passo nel Māhamudhrā è dato dalla ricerca della mente, dov’è? Pare naturale che sia qui, ma se la cerchiamo non la troviamo. Questa investigazione appartiene al Lhagtong, ovvero alla visione del livello superiore della mente, una pratica preceduta da quella di Shine, o calmo dimorare, che porta alla sua pacificazione.
Per poterci dedicare a queste due pratiche dobbiamo preventivamente aver predisposto la mente con i preliminari dell’amore, della compassione e della rinuncia. 
Questo argomento meriterebbe una lunga riflessione, ma per ora è bene fermarsi, chiarire e approfondire quanto detto, dunque risponderò alle vostre domande, poi mediteremo insieme.
Domanda: Le sofferenze o disabilità fisiche possono interferire o addirittura impedire la capacità di osservazione della mente?
Lama: No, le condizioni del corpo in questo caso sono assolutamente ininfluenti, siamo ad un livello che travalica i limiti fisici.
Domanda: Le emozioni molto forti, sia positive che negative, possono essere un ostacolo?
Lama: Tutte le emozioni appartengono alla categoria dei pensieri che emergono ininterrottamente durante la pratica e dunque dobbiamo imparare ad osservarle con rispetto nella compassione maturata nella pratica preliminare, senza indugiarvi e mantenendo il dovuto distacco.
Ricordate i tre livelli della pratica:
Preliminari di amore e compassione;
Calmo dimorare della mente;
La realizzazione dell’osservazione e la ricerca della mente.
Queste tre tappe sono fondamentali, prima di tutto dobbiamo sviluppare e aprire il cuore alla grande compassione, capaci di concentrarci sulla mente mantenendola in uno stato di calma serena e profonda ed essere così pronti ad impegnarci a cercarla, una pratica che corrisponde all’osservazione della sua realtà ultima.
Prima di disporci a qualsiasi pratica dobbiamo compiere un atto di fiducia e prendere rifugio nei tre gioielli, Buddha, Dharma e Sangha, che per i cristiani potrebbero corrispondere alla Trinità o in altre tradizioni ad Esseri superiori. E’ un attitudine fondamentale che implica la disponibilità incondizionata ad affidarci alla guida che ci accompagnerà per tutto il percorso.
Per aiutarci ad espandere la grande compassione leggeremo insieme gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” (V: testi annessi pag. I), poi mediteremo per sviluppare la calma mentale e infine leggeremo il “Sūtra della Perfezione della Saggezza” conosciuto come Sūtra del Cuore” (V. testi annessi pag. II) che appartiene alla terza fase della pratica.

Seguono letture e meditazione

Leggiamo ancora i “Tre Aspetti principali del Sentiero” (V: testi annessi pag. IV).

La prima pratica preliminare al Māhamudhrā è dunque la gentilezza amorevole, la grande compassione, la seconda la calma dimorante, la terza la realizzazione della mente, e tutte e tre sono contenute e descritte nel Sūtra del Cuore che è l’essenza di tutti i Prajñāpāramitāsūtra, basilare insegnamento Māhamudhrā.
Non cercate in testi rari e complessi il significato del Māhamudhrā, il Sūtra del Cuore contiene ed esprime tutto ciò che esiste da tempo senza inizio, non necessita di altra spiegazione, è completo e a disposizione di chiunque. Non esistono nel buddhismo insegnamenti segreti gestiti da pochi eletti, questo è un ulteriore inganno, una grande illusione, la pratica del Dharma è accessibile a tutti in modo assolutamente equanime, la sua realizzazione dipende unicamente dalla personale capacità e impegno. Il Dharma non è qualcosa che cala dall’alto, né una benedizione del maestro, né un vassoio di dolci, è una preziosa potenzialità posseduta in eguale misura da ogni essere vivente.
Il Māhamudhrā appartiene ai fenomeni dell’universo, è l’essenza stessa di tutto ciò che vi è contenuto, dunque la nostra mente è in questa essenza. Il Māhamudhrā semplifica la realtà, non la complica, e noi in questa pratica diveniamo persone più semplici, umili, gioiose, perché la nostra vita è lineare, priva di sovrastrutture complicate e disturbanti. Nel momento in cui meditiamo sulla mente stiamo meditando sul tutto e questo è magnifico. Domare la mente è domare ogni cosa.
Questa è stata una breve ma essenziale introduzione alla pratica di Māhamudhrā che è bene non scordare e applicare in qualsiasi circostanza, da soli, con amici, così da passare dalla fase del dubbio a quella della convinzione e da questa alla realizzazione.
Ora dedichiamo i meriti accumulati in questa giornata di Dharma a beneficio di tutti gli esseri senzienti e affinché la pace si diffonda sul pianeta, leggiamo la preghiera del Lam Rim (V: testi annessi pag. VII) 








Cantico delle Quattro Consapevolezzedel VII° Dalai Lama


prima parte

Grazie a tutti voi, amici nuovi e vecchi, per essere qui e condividere il compito odierno che consiste nell’imparare a non avere alcuna aspettativa. Ogni desiderio umano genera ininterrottamente emozioni, distrazioni, ma per calmare ed equilibrare la mente è necessario rinunciare a qualsiasi attesa, aspirazione mondana e attaccamento.
Il Buddha Sākyamuni disse che tutti i fenomeni contaminati generano sofferenza e dunque ogni pensiero prodotto dall’attaccamento, dalle aspettative o dal desidero, è causa di incessante sofferenza.
L’unico modo per stabilizzare la mente nella pace e nella tranquillità è praticare la rinuncia come fecero in passato Buddha Sākyamuni, Gesù Cristo, san Francesco, Milarepa e tanti altri maestri, riconosciuti e non.
Se invece rincorriamo instancabilmente progetti, desideri e sensazioni, non avremo mai un solo momento di riposo. La pratica del Dharma non è finalizzata all’acquisizione di fenomeni mondani straordinari, al contrario è rivolta alla loro eliminazione nella rinuncia.
La rinuncia è una pratica fondamentale della spiritualità, non si realizza semplicemente con l’eliminazione dei beni materiali, è un atteggiamento interiore globale che spoglia questi stessi beni vanificandone l’attesa e l’attaccamento.
Per praticare la rinuncia non è necessario costringere se stessi ad una condizione di assoluta povertà, bensì utilizzare con equilibrio, moderazione e distacco gli oggetti necessari per il salutare e normale svolgimento della vita.
Più restiamo ancorati ai desideri mondani, più questi si radicano in noi creando confusione e insoddisfazione e rendendoci completamente schiavi.
Non aver programmi è il miglior programma, dunque non avere aspettative è la migliore aspettativa, e oggi parleremo proprio di questo.
Apparentemente questa frase sembra contraddittoria e fintanto la considereremo tale le nostre attese non saranno mai appagate, potremo soddisfarle soltanto quando saremo in grado di unire l’aspettativa con la non-aspettativa e comprenderemo che la realtà ultima dell’aspettativa è la non aspettativa. Non desiderare è il miglior desiderio.
A noi pare strano affermare: “il mio desiderio è non desiderare”, eppure corrisponde al vero e la meditazione è l’applicazione di consapevolezza e presenza mentale a questa verità.
Generalmente si usano tre pratiche per realizzare le aspettative e i desideri ultimi: 
la prima è la moralità strettamente connessa alla rinuncia, l’attitudine etica a non danneggiare né fisicamente, né verbalmente, né mentalmente gli altri;
la seconda è la concentrazione che comprende anche la consapevolezza, senza questi due fattori fondamentali non è possibile mantenersi stabili nell’etica;
la terza è la saggezza che, con la concentrazione e l’etica, elimina in noi ignoranza ed errori.

Perciò il Buddha ha consigliato di praticare questi tre addestramenti basilari al fine di ottenere l’illuminazione:
rinuncia e moralità;
concentrazione e consapevolezza;
saggezza che realizza la natura ultima dei fenomeni.
Fintano non avremo compreso la realtà ultima dei fenomeni non sarà possibile eliminare l’ignoranza che, persistendo in noi, alimenta e radica i desideri mondani e le aspettative illusorie; l’ignoranza è la radice di tutti gli errori.
Il termine buddhista che definisce l’ignoranza è comparabile a quello cristiano di peccato originale, così come amore e compassione corrispondono a misericordia e carità e la rinuncia alla povertà di spirito descritta nel Vangelo.
La filosofia buddhista e la tradizione cristiana propongono vie parallele alla vera spiritualità che ognuno sviluppa secondo le proprie inclinazioni mentali e cultura.
La spiritualità è una maturazione personale individuale e non può dipendere da esperienze altrui, ognuno deve scegliere il sentiero a lui più confacente e adattare il passo alle proprie capacità.
L’assenza di aspettative libera lo spazio interiore in cui accogliere tutto ciò che è positivo, ci migliora e arricchisce, se invece ogni angolo è già occupato dai sogni, dalle illusioni, null’altro può entrarvi ed è molto pericoloso, provoca un’inevitabile esplosione.
Per questo abbiamo bisogno della rinuncia etica, della concentrazione consapevole, dell’amore e compassione e della saggezza.
Come ricorderete alcuni giorni fa discutevamo sull’esistenza o meno dell’anima, io credo che l’anima coincida con l’amore e la compassione, perché senza queste qualità essenziali si è perduta definitivamente l’anima.
Metaforicamente è come il latte e il burro, in un secchio di latte non riusciamo a vedervi il burro che pure è compreso e affiora soltanto quando si lavora quello stesso latte, così l’anima emerge dall’amore e compassione.
Ora leggeremo insieme lentamente e a bassa voce il “Cantico sulla Visione Mādhyamika con le Quattro Consapevolezze” del VII° Dalai Lama (V: testi annessi pag. VIII)

Segue lettura

La prima riguarda il guru;
la seconda l’amore e la compassione;
la terza la divinità;
la quarta la vacuità della realtà ultima, la chiara luce.
Le quattro consapevolezze si riferiscono tutte ad un livello particolarmente elevato della pratica buddhista, però chiunque può cercare di praticarle secondo le proprie capacità spirituali.
Oggi accenneremo una spiegazione iniziando dalla seconda consapevolezza, esamineremo il senso di ogni affermazione, anche se io seguirò il testo in tibetano in cui la disposizione delle frasi non corrisponde a quello della traduzione italiana poiché l’ordine è esattamente invertito:
2. La Consapevolezza della Compassione

Nella prigione della sofferenza del samsara vagano gli esseri di sei tipi, privi di felicità.
Li vi sono i genitori che ci hanno nutrito con grande gentilezza.
Abbandonando l’attaccamento e l’avversione,
Medita con amore e compassione, 
senza lasciare che la tua mente divaghi
Mantienila salda nella compassione,
Senza dimenticarti
Mantienila salda nella compassione.
La consapevolezza della compassione non è divisa in due fenomeni distinti, bensì si fonde in un’inscindibile unità, poiché la compassione è interamente intrisa di consapevolezza.
La raccomandazione “senza dimenticarti” riguarda la necessità di essere ininterrottamente vigili, all’erta, presenti, per custodire inalterata la coscienza della compassione.
La frase “senza lasciare che la tua mente divaghi, mantienila salda nella compassione” indica che si deve procedere per gradi, senza scordarsi e restando fermamente stabili nella consapevolezza in modo da potersi addentrare, non distratti, nella mente.
Come è possibile distinguere i livelli della presenza mentale, della consapevolezza della compassione e della mente? - soltanto tramite la meditazione.
Meditare non significa stare seduti con gli occhi chiusi cercando di cogliere ogni sensazione, non è sufficiente, è invece necessario lavorare sulla presenza mentale, sulla consapevolezza della rinuncia, dell’amore e della compassione in modo da trasformare la mente affinché permanga salda nella natura di amore e compassione.
Quando la mente può rilassarsi nell’amore e compassione abbiamo un assaggio del nirvāna e, finalmente liberi da tutti i concetti discorsivi, possiamo dimorare nella stabilità mentale.
Come dobbiamo meditare sulla compassione? abbandonando ogni attaccamento e avversione e rivolgendo cura e attenzione agli altri in modo assolutamente equanime, senza alcun giudizio di piacevole o spiacevole, di simpatia o antipatia, di amore o odio.
Indubbiamente è una pratica molto difficile, ma necessaria, è simile alla misericordia di Dio che ama ogni essere incondizionatamente, senza discriminazioni, dunque prendersi cura del prossimo è come prendersi cura di Dio, e l’unificazione di questa visione è essenziale per non cadere nelle pericolose trappole dell’autocompiacimento ritenendo, a torto, di essere più bravi e compassionevoli degli altri. Questa non è compassione, ma solo macroscopica illusione causa di confusione ed errore.
Meditare su Dio, sulla sofferenza, sul Buddha, sul guru deve inevitabilmente condurre all’estensione della compassione, altrimenti non è vera meditazione.
Allo stesso modo i grandi maestri di tutte le tradizioni e culture hanno sviluppato l’amore e la compassione in quanto valori fondamentali dell’essere umano, perciò è essenziale non distrarre la mente e, nella meditazione, lasciarla dimorare saldamente in uno stato consapevole di amore e compassione, questa è la nostra salvezza, il paradiso, il nirvāna.
Il verso prosegue spiegando il motivo per cui è opportuno abbandonare l’avversione e l’attaccamento e maturare il desiderio di prendendosi cura del prossimo: “Nella prigione della sofferenza del samsāra vagano gli esseri di sei tipi, privi di felicità. Lì vi sono i genitori che ci hanno nutrito con grande gentilezza.” Riflettendo sulle dolorose conseguenze di questo uguale bagaglio di dolore sviluppiamo spontaneamente compassione e amore verso tutti e diminuiamo naturalmente ogni sensazione di avversione e attaccamento, anche se non riusciamo ancora ad abbandonarli completamente.
Ridurre avversione e attaccamento è ridurre il fardello che grava sulle nostre spalle e, così alleggeriti, siamo indotti a dedicare con gioia spontanea amorevole e imparziale attenzione ad ogni essere, amico o nemico.
Prendersi cura dei nemici è inoltre il miglior metodo per neutralizzare qualsiasi loro attitudine negativa nei nostri confronti e dunque far svanire naturalmente l’avversione da entrambe le parti. In questo modo la negatività diminuisce e aumenta la positività che fa bene a tutti.
Ridurre l’attaccamento nei confronti di coloro che amiamo elimina le tensioni, le aspettative che alimentano la negatività in noi e nel prossimo, se manca flessibilità non c’è posto per l’autentico amore.
Ecco perché è necessario avere a cuore equanimemente gli amici e i nemici. Tutti siamo parte della stessa famiglia in cui nessuno è risparmiato dalla sofferenza del samsāra e con questa consapevolezza non è più possibile provare bramosia e desiderio di controllo, o avversione e rancore perché spontaneamente germogliano nel nostro cuore amore e compassione per l’umanità.
I tibetani credono che le formiche non abbiano occhi e un insigne studioso, prendendole ad esempio disse: “anche le formiche, pur essendo prive di vista, si muovono verso la felicità” e aggiunse: “i vermi della terra, pur non avendo zampe, si muovono verso la felicità”. Dunque tutti gli esseri che popolano il samsāra cercano inesorabilmente la felicità, ma la ricerca della felicità senza la saggezza è sofferenza.
Esistono vari modi per sviluppare la consapevolezza della compassione, ad esempio si può meditare sulla compassione con compassione, sulla misericordia divina dimorando nella misericordia, e anche sulla compassione verso il guru. La scelta dipende dalle proprie inclinazioni mentali a cui è essenziale accordare la meditazione.
Nella tradizione tibetana per sviluppare la compassione si consiglia di considerare tutti gli esseri come madri e padri perché si crede che, nell’innumerevole ciclo di esistenze, almeno una volta siano stati nostri genitori.
Domanda: A proposito della rinuncia ad aspettative e desideri, come è possibile conciliare questo aspetto con le necessità di migliorare la propria vita, di costruire e di aspirare a qualcosa di più per sé e per gli altri?
Lama: E’ possibile dimorando nella saggezza, le aspettative nella saggezza sono positive e costruttive, mentre quelle al di fuori restano inevitabilmente soltanto illusioni.
Ci sono altre domande? no e allora significa che avete compreso tutto perfettamente, dunque siamo pronti per la meditazione.
Domanda: Io avrei una domanda, quando riceviamo istruzioni precise come queste relative ad attaccamento e avversione, possiamo applicarle alla meditazione di mettā ad esempio o dobbiamo meditarle in modo specifico?
Lama: Nelle varie tradizioni si danno numerosissime istruzioni e ognuno deve utilizzare quelle che ritiene più confacenti, non esiste una ricetta unica valida per tutti, non si può prendere ogni cosa indiscriminatamente, è necessario scegliere quello che è più appropriato.
In via dei Condotti ci sono tanti abiti bellissimi, ma non si possono indossare tutti, si scelgono quelli che meglio si adattano al proprio fisico e alle possibilità economiche. Altrettanto si fa con le istruzioni, ne esistono lunghe, brevi, complesse, semplici, e dobbiamo valutare quali siano più adatte alle nostre attuali inclinazioni mentali.
Ora meditiamo sulla compassione, sediamo in posizione confortevole badando a mantenere la schiena dritta, respiriamo tranquillamente perfettamente rilassati, cerchiamo di abbandonare i pensieri discorsivi, di pulire la mente dagli inquinamenti e applichiamoci a espandere la consapevolezza al centro di noi stessi così come lo è la colonna vertebrale rispetto al corpo.
Procediamo dedicandoci allo sviluppo dell’amore e della compassione seguendo le istruzioni che appaiono a noi conformi e integriamo queste qualità fondamentali nella consapevolezza che non dovremo mai scordare e mantenere costante e salda.
Ci rilassiamo completamente nell’amore e nella compassione con il corpo e lo spirito e immaginiamo che corpo, parola e mente siano inscindibili dalla consapevolezza della compassione.

Segue meditazione

Lo scopo della pratica non è quello di trasformarci in santi, l’annuario ne è già saturo, bensì di farci diventare semplici e giusti esseri umani. Ho letto la vita di alcuni santi e sto scoprendo tradizioni cristiane molto belle, ciò dimostra che tutti gli esseri umani sono dotati della stessa natura.
Procediamo analizzando la consapevolezza della vacuità, trattata nel quarto verso, che presenta due aspetti, il primo deve essere praticato durante la sessione meditativa e l’altro nella fase successiva.
4. La Consapevolezza della Visione della Vacuità

Il mandala di tutti gli oggetti della conoscenza
Che vengono percepiti o che esistono
E’ pervaso dalla chiara luce, 
Che è la realtà ultima.
Un inesprimibile, reale modo d’esistenza
E’ li presente.
Abbandona le elaborazioni concettuali,
Osserva la natura della Vacuità.
Senza lasciare la tua mente divagare,
Ponila in ciò che è,
Senza distrarti,
Mantienila in ciò che è.
Questa prima parte del verso descrive la consapevolezza della vacuità che deve essere applicata nella sessione meditativa ed è definita “la meditazione sulla vacuità come lo spazio”, infatti lo spazio è illimitato e vuoto. E’ una meditazione pervasa dallo spazio, non ordinario, della chiara luce, della realtà ultima.
Se osserviamo i fenomeni rimanendo in superficie, senza analisi, ne contiamo molti e diversi, ma se li indaghiamo analiticamente cercando la loro realtà ultima vediamo che sono indistintamente parte della stessa natura, tutto è perfettamente uguale, e questa è la chiara luce, una realtà ultima indescrivibile che non può essere espressa in alcun modo, è al di là della nostra attuale capacità cognitiva.
Da qui sorgono le inquietanti domande: Cos’è Dio? Cos’è la Vacuità? Cos’è la Chiara Luce? Cos’è il Buddha?..... Non c’è risposta che possiamo comprendere, si tratta di Essenze assolutamente inesprimibili, anche se noi caparbiamente tentiamo continuamente di costringerli entro gli angusti confini del nostro povero linguaggio, ma in realtà è impossibile.
Noi tendiamo ininterrottamente a costruire Dio secondo una forma nota, volendo definirlo ad ogni costo non avremmo altra possibilità, ma questo è assurdo creiamo un’ulteriore enorme illusione.
Dio è senza forma, è la realtà ultima, Buddha è la realtà ultima, la Vacuità è la realtà ultima che pervade lo spazio nella Chiara Luce.
Noi pensiamo che Dio sia una persona, Buddha un’altra persona, la Vacuità un oggetto custodito da qualche parte, la Bodhicitta altro ancora, ma si tratta di un gigantesco fraintendimento, la realtà ultima è inesprimibile, tutto deve essere osservato dal punto vista della vacuità abbandonando ogni fuorviante e falsa costruzione mentale.
Le fabbricazioni mentali sono il maggiore ostacolo che si frappone alla contemplazione della realtà ultima, di Dio, del Buddha ed è dunque necessario abbandonarle completamente e osservare i fenomeni nella loro natura di vacuità.
Se lasciamo divagare la mente le nuvole offuscheranno la visione della vacuità, la nasconderanno completamente con le immagini mentali che oscureranno e impediranno la visione della realtà.
Se invece nella consapevolezza della vacuità della realtà ultima si sarà attenti a non edificare castelli mentali non si formeranno nemmeno le immagini illusorie e questo permetterà di diminuire progressivamente le visioni errate e di avvicinarsi sempre più alla realtà ultima.
Questo è l’aspetto della saggezza, nel cristianesimo corrisponde a conoscere Dio, nel buddhismo a conoscere la realtà ultima.
Che differenza c’è tra la realtà ultima e Dio? Nessuna, su questo punto convergono tutte le grandi tradizioni.
Fino a quando nel mondo moderno continueremo ad erigere presunte differenze che separano le religioni non avremo mai pace e cresceranno esclusivamente i fanatismi e i fondamentalismi, islamici, o cristiani, o buddhisti, nessuno è esente da questo grave errore che rappresenta un autentico pericolo per le future generazioni, sono attitudini che generano le guerre e mai la pace.
Le guerre sono parte della storia umana, ma anche i grandi maestri come Gesù, Buddha, Gandhi appartengono alla storia dell’umanità e sono l’esempio da seguire per mantenere inalterato di fronte ad ogni evento il proprio equilibrio interiore.
Oggi abbiamo affrontato la vacuità, ma poiché è una realtà inesprimibile non servirebbe a nulla parlarne ancora, dobbiamo semplicemente riflettervi, meditarla, approfondirla interiormente partendo dalla consapevolezza dell’amore e compassione.
Così come nel cristianesimo si è devoti a Dio, ugualmente nel buddhismo si è devoti alla vacuità, alla Chiara Luce, che è l’oggetto della saggezza necessaria per pulire la mente, per eliminare gli inquinamenti mentali, per fare spazio e renderci più flessibili.
Leggiamo la seconda parte del quarto verso:
Nel congiungimento delle molteplici apparenze
Delle sei coscienze,
Si vede la confusione dell’apparenza dualistica di fenomeni insostanziali, senza base,
Là inganno e magia.
Senza concepirla come vera
Osserva la natura della Vacuità.
Senza che la tua mente divaghi,
Ponila nell’apparenza e Vacuità.
Senza distrarti,
Mantienila nell’apparenza e Vacuità.
Nella fase post meditativa è necessario essere in grado di vedere tutti i fenomeni nella loro illusorietà, non sono falsi, sono veri, però illusori, perché nel momento in cui vengono i contatto con i sensi costruiscono automaticamente inconsistenti fabbricazioni mentali che impediscono la visione della realtà ultima.
Riconoscere lo stato illusorio dei fenomeni è corretto, ma è imprescindibile superare tale oscuramento per poterli guardare attentamente nella loro autentica natura. L’errore consiste invece nella nostra incapacità di andare al di là, rimanendo impantanati nello strato più superficiale.
Oggi abbiamo avuto la magnifica opportunità di condividere una brevissima introduzione a queste due consapevolezze che è necessario approfondire praticando con fede, amore e compassione e avremo la verifica della pratica riscontrando evidenti e notevoli cambiamenti nella nostra vita.
Non sarebbe corretto pensare che siano obiettivi realizzabili in un’ora, un giorno, o un anno, richiedono lo sforzo incessante di tutta la vita; così come per mantenere il corpo sano dobbiamo nutrirci quotidianamente con equilibrio e regolarità, allo stesso modo dobbiamo praticare il Dharma, senza mai stancarci, non esistono scorciatoie o avvenimenti eclatanti in grado di portarci magicamente e istantaneamente all’illuminazione, queste sono fantasie, è necessario un instancabile ed entusiastico impegno quotidiano, perché vivere nel samsāra è meglio che vivere nel nirvāna, questo è il desiderio di tutti i Bodhisattva che rinunciano al nirvāna desiderando incondizionatamente rimanere nella condizione samsarica per aiutare e servire tutti gli esseri senzienti e liberarli dalla sofferenza.
Nella pratica del Dharma è bello vivere nel samsāra, che altrimenti sarebbe un vero inferno. Il Dharma trasforma l’inferno in paradiso senza necessità di dover cambiare nessuna condizione fisica.
Vi ringrazio e concludiamo l’incontro recitando ancora una volta i versi del Cantico delle Quattro Consapevolezze che riguardano la consapevolezza della compassione e la consapevolezza della vacuità, (V: testi annessi pag. VIII).







Cantico delle Quattro Consapevolezze del VII° Dalai Lama


seconda parte

Buon giorno a tutti, oggi è una giornata importante per il buddhismo, è il Wesak che essendo festeggiato in varie parti del mondo genera una buona energia, particolarmente indicata per meditare e altrettanto proficua per gli occidentali poiché la domenica è il giorno dedicato alla preghiera, alla spiritualità.
Ieri all’università di Roma ho tenuto un discorso in italiano, peccato che nessuno abbia capito niente, solo a me sembrava di parlare abbastanza bene, meglio continuare con l’inglese usufruendo dell’ausilio dei traduttori!....
Concludiamo l’analisi del cantico del VII° Dalai Lama sulle quattro consapevolezze, la volta scorsa abbiamo analizzato la seconda e la quarta e oggi completeremo esaminando la prima e la terza, anche se l’argomento trattato è veramente complesso e richiederebbe maggior tempo.
Leggerò lentamente il testo in tibetano, e poi in italiano (V: testi annessi pag. VIII), voi ascoltate in silenzio e meditate la grande compassione.

Segue lettura meditazione

Leggiamo ora gli Otto Versi di Trasformazione della Mente (V: testi annessi pag. I)

Segue lettura

Questo è il momento di restare fermi e riflettere raccolti nello spirito del Dharma, che è l’ambito migliore in cui custodire l’anima, la mente, perché se ne perdiamo la prospettiva la nostra anima, la nostra mente, sono perdute.
La pratica della meditazione e del Dharma sono inscindibili da <spirito - mente - anima>.
Il praticante è la mente, e il luogo di pratica il Dharma, perciò la mente non può che permanere salda nel Dharma, la meditazione consiste nel porre la mente all’interno del Dharma e l’elemento chiave della meditazione è la presenza mentale, perché senza di essa non sarebbe possibile mantenere la mente ferma e pacifica nel Dharma.
La pratica delle Quattro Consapevolezze è molto importante, ma la pratica della presenza mentale in generale è basilare.
In questo testo si spiega che la consapevolezza ha due caratteristiche, la prima consiste nel non doverla dimenticare, e la seconda nella capacità di richiamarla alla mente.
La prima caratteristica, del non dimenticare, significa mantenere la consapevolezza costantemente viva e presente, mentre la seconda riguarda la facoltà di riportarla continuamente alla mente, entrambe sono sostanziali.
La consapevolezza, la presenza mentale di cui trattiamo non è quella consueta, ma è relativa al Dharma e, nello specifico di questa pratica, è rivolta al non-dualismo, un aspetto primario in quanto anche se viviamo ad un livello ordinario, convenzionale, non tutto è soltanto confusione, in ogni fenomeno è compresa una realtà essenziale che dobbiamo continuamente richiamare alla mente con consapevolezza.
In questo ambito si esprime la prima consapevolezza, del guru, che non indica affatto la necessità di diventare fanatici e acritici fondamentalisti nei confronti di maestri certificati, convenzionalmente riconosciuti, soggetti a regole, norme e rituali e, benché si avverta che mancando loro di particolare rispetto si precipiti negli inferi più profondi, si tratta semplicemente di un inganno, una trappola micidiale in cui cadono moltissime persone fraintendendo completamente il significato del primo verso:
La Consapevolezza del Guru, del vero Maestro spirituale

Sull’immutabile sede
Dell’unione di Metodo e Saggezza,
Siede il Maestro gentile,
L’Incarnazione di tutti i rifugi,
Un Buddha che ha completato l’abbandono e la realizzazione.
Avendo abbandonato ogni concezione errata verso Lui,
Pregalo con concezione pura.
Non lasciando divagare la tua mente poni in Lui fede e rispetto,
Con Consapevolezza.

Questa consapevolezza è strettamente connessa al sesto versetto degli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” in cui si descrive il maestro assoluto:
Quando qualcuno a cui ho fatto del bene
e in cui ho riposto grandi speranze
mi infligge un danno terribile,
lo considererò il mio santo amico spirituale.

E’ sempre facile godere e apprezzare ciò che è piacevole, gratificante e amichevole, ma è assai più difficile mantenere un cuore altrettanto accogliente e puro nei confronti dei presunti nemici.
Perché la prima consapevolezza, del Guru, è strettamente connessa alla sesta strofa degli Otto Versi di Trasformazione della Mente? Come può essere il nostro peggior nemico in realtà il miglior amico, il vero maestro spirituale?
La risposta è evidente se sappiamo osservare la realtà in modo non-dualistico: colui che consideriamo nostro maestro e colui che riteniamo nostro nemico ci offrono in perfetto equilibrio opportunità e insegnamenti preziosi e pertanto sono senza alcun dubbio uguali. Fino a quando non avremo maturato questa equanimità interiore la devozione al maestro non sarà mai espressione di un cuore puro, ma soltanto mero attaccamento, e allo stesso modo di fronte al nemico non saremo rattristati, come invece dovremmo, dal suo comportamento, ma soltanto pieni di odio e di rancore.
Sia l’attaccamento al maestro e a coloro che amiamo, che l’avversione ai nemici sono emozioni ugualmente negative e dannose, entrambe radicate nell’ignoranza alimentata dalla visione dualistica.
Il cuore puro è il risultato dell’osservazione limpida che sorge dall’applicazione di metodo e saggezza. Se pratichiamo il Dharma soltanto per paura degli inferi non avanzeremo di un passo né otterremo alcun beneficio spirituale, anche perché il vero praticante non dovrebbe temere l’inferno, anzi dovrebbe apprezzare la possibilità di finirvi per il bene degli esseri.
Non è una questione di inferno o di paradiso, è una questione di dignità, di forza interiore. La paura della punizione, dell’inferno, indica soltanto una mente estremamente fragile e ristretta che non corrisponde assolutamente all’attitudine autenticamente dharmica.
Il non-dualismo afferma che samsāra e nirvāna sono uno, e anche inferno e paradiso sono un’unica realtà e tutto ciò che contribuisce a purificare la mente-cuore è nostro maestro.
Nel testo non si enunciano rigidi precetti, norme inderogabili, semplicemente si offrono suggerimenti, e se in questo momento non siamo in grado di seguirli alla perfezione, non succede nulla, non significa che stiamo commettendo chissà quale peccato, la pratica del Dharma dipende dalle capacità individuali, non può mai essere generalizzata. L’elefante e la formica portano in egual misura un peso molto grande, non c’è differenza, dunque dobbiamo praticare secondo le possibilità personali, senza pensare di doverlo fare sulla base di inflessibili schemi predefiniti e coercitivi.
L’inferno usato come arma per costringere le coscienze è un grave errore perpetrato, soprattutto nel passato, dalle varie religioni e ha incrementato a dismisura confusione e superstizioni.
Il Dharma è invece assolutamente libero da qualsiasi condizionamento, è patrimonio della spiritualità di tutte le fedi ed è presente nell’essenza di ogni nostra azione se riusciamo a mantenere un approccio non-dualistico. La prima consapevolezza mostra che non esiste alcuna dicotomia tra l’apparenza ordinaria di una persona e la sua vera essenza.
Ogni difficoltà, problema, complicazione ha in sé qualcosa di bello e l’aspetto disastroso che unicamente cogliamo non è altro che la copertura esterna della sua profonda essenza, come dimostra la scoperta misteriosa della bellezza nell’evento più drammatico, la morte, evidenziata magistralmente nella morte e resurrezione del Cristo, una realtà incredibilmente drammatica, immensa e magnifica. Il non dualismo è il cuscino dell’unione di metodo e saggezza, perfettamente rappresentato dalla croce.
La terminologia filosofica buddhista parla di non-dualismo, che nella visione cristiana si potrebbe raffigurare nell’unione con il Padre, perché lo spirito di Dio è presente in ogni cosa, malgrado siamo incapaci di coglierlo, anche nella sofferenza di cui noi percepiamo solo l’aspetto materiale doloroso.
La necessità di avere una visione non dualistica, che i buddhisti chiamano Dharma, è comune a tutte le tradizione religiose.
In ogni tempo si sono cercate ed erette, con affermazioni inesatte e parziali, tutte le possibili differenze e la conseguente supremazia di una religione sull’altra, ad esempio oriente e occidente si arroccano rispettivamente su presunte fondamentali divergenze, che in realtà non sono tali, la fede nel Karma non esclude Dio e la fede in Dio non esclude il karma. Ultimamente mi è capitata tra le mani una lettera scritta nel diciottesimo secolo da un importante capo spirituale tibetano ad un missionario cristiano in Tibet affinché la recapitasse al papa, è un documento curioso, ma nel suo genere interessante, val la pena di leggerla:
«Onore al maestro, ascoltateci bene e mettetevi in mente le nostre parole, noi vi toglieremo ogni dubbio.
Se tutto è stato creato da Dio, se tutte le infelicità e le strutture del corpo umano quali sarebbero per gli uomini l’esser cieco, sordo, zoppo, non aver da mangiare, il gioco delle varie specie di malattie, i re che l’un l’atro si combattono, eccetera e tutti gli innumerevoli dolori che ci sono tra gli animali, quali l’uccisione dei piccoli da parte dei più forti eccetera, se i molto dolori tra i preta (gli spiriti affamati) quali l’esser senza cibo eccetera, se gli innumerevoli dolori che ci sono tra gli abitatori degli inferni, quali lo stare dentro il fuoco eccetera, se tutti questi dolori ed altri ancora sono stati creati da Dio, Dio è assolutamente senza compassione.
Siccome è un essere parziale che dà ad alcuni il male ed altri  rende felici, non è degno di essere adorato da tutti gli uomini, inoltre, siccome secondo voi tutti gli uomini che muoiono sono uccisi da Dio, che menzogna più grande di questa poteva dire il vostro maestro?
Qui tutti i mali provengono dal peccato, inoltre se gli uomini commettono gravi peccati gli uomini rinascono in forme di animali, di asini, capre, cani, eccetera. Anche gli animali rinascono come gli uomini, l’affermazione del vostro maestro che ciò non sia così è una menzogna.
I mantra segreti il vostro maestro non li conosceva, in quelle statue in cui la divinità appare in copulazione con una donna, la donna non è una cosa reale, questo voi non lo sapevate, secondo la nostra dottrina come non vi è limite nel cielo così non vi è limite nell’universo, in tutti i paesi dell’universo, che sono innumerevoli, esiste la nostra religione, non c’è motivo di meravigliarsi molto se anche il vostro sistema religioso esiste anche in alcune regioni dei quattro continenti.
Del fatto che i poteri della vostra religione siano cose quali la facoltà di resuscitare i morti a me non suscita alcuna fede in essa, anche i demoni malesi possono resuscitare i morti, anche tra le proprietà delle medicine vi è quella di resuscitare i morti, perciò, senza con ciò dire ingiuria contro Dio, tutti i dolori sorgono dal peccato, tutte le felicità sorgono dal compiere azioni meritorie, ciò che produce tutte le felicità ed i dolori è la mente di ciascuno, bisogna sempre far sì che la propria mente sia buona, tutte le creature non possono non divenire alte e basse, tutti i Dharma sorgono in concatenazione.
Mandate questa mia lettera al Lama nel vostro paese e se c’è motivo a rispondere risponda egli senz’altro, lo prego di darmi la sua benedizione e di far preghiera per me.
In questo (..?giampombipa?..) vi sono trecentosessanta religioni differenti, in generale sono religioni eterodosse, nei tre tempi: passato, presente e futuro, non ho mai udito che vi fosse qualcosa di meglio della nostra religione, il vostro udire solo il nome della nostra religione costituisce già un grande merito, possano tutti gli eterodossi venir condotti alla retta religione!»
Questo documento esprime perfettamente il diffuso fraintendimento che si ha nell’approccio con l’altro, la non conoscenza della sua vera espressione, l’assoluta incapacità di comunicazione umana, a noi oggi può apparire anche ridicolo, ma su queste basi si scatenano le guerre di religione.
Chiaramente questa lettera si riferisce al passato, eppure tuttoggi molti ricadono nello stesso errore ed è veramente triste, il non-dualismo nelle religioni e fondamentale, irrinunciabile!
Ho letto la citazione di un cardinale, o vescovo che affermava che il sistema tibetano della reincarnazione è stato ideato dal demonio il quale, benedicendo il Dalai Lama e tutti i capi spirituali, ha fatto in modo che la popolazione potesse essere ingannata da questa religione falsa. Probabilmente è una ideologia del passato, ma ne sono rimasto ugualmente scioccato!...
Intervento: questo prelato non ricordava che i primi cristiani credevano nella reincarnazione...
Dall’enunciazione errata di queste due interpretazioni, una buddista e l’altra cattolica, emerge chiaramente la necessità di avere una visione religiosa non-dualistica, che vada al di là dell’apparenza ordinaria e superficiale e sappia invece cogliere l’essenza spirituale perfettamente uguale, indipendentemente dalla denominazione che le si attribuisca.
La consapevolezza e la presenza mentale del non dualismo è il primo fondamentale obiettivo e persino queste due ultime situazioni hanno in sé qualcosa di buono, ad esempio il complicato vecchio sistema di reincarnazione tibetano può confondere le coscienze moderne invece di aiutarle, e dunque non è sbagliato discutere e approfondire con rispetto reciproco di qualsiasi argomento.
Rileggiamo la seconda consapevolezza, già vista nello scorso incontro:

La Consapevolezza della Compassione

Nella prigione della sofferenza del samsara vagano gli esseri di sei tipi, privi di felicità.
Li vi sono i genitori che ci hanno nutrito con grande gentilezza.
Abbandonando l’attaccamento e l’avversione,
Medita con amore e compassione, 
senza lasciare che la tua mente divaghi
Mantienila salda nella compassione,
Senza dimenticarti
Mantienila salda nella compassione.

Nella condizione di sofferenza troviamo le persone a noi più care, come i genitori, e bisognerebbe meditare sulla compassione avendo gran cura di loro, liberi da attaccamento e avversione, cercando di tranquillizzare la mente immergendola nella compassione, senza mai abbandonare la consapevolezza della natura di sofferenza che permea la vita. Ma come eliminare questa sofferenza?
L’unico modo per vincere la sofferenza è lasciar andare con attitudine non dualistica qualsiasi attaccamento e avversione, osservando la condizione di ogni essere come se tutti fossero nostri genitori e sviluppare di conseguenza equanime compassione nei loro confronti.
È evidente che non siamo in grado di annullare in un istante la sofferenza del prossimo, ma possiamo alleviarla, purché impariamo a non farci travolgere inconsapevolmente dalle stesse sensazioni di pena, perché in tal caso invece di lenire il dolore altrui lo alimenteremmo con il nostro, la compassione è altra cosa, scava alla radice e porta gioia, mai sofferenza. Dobbiamo mantenere inalterata la consapevolezza che ognuno è il maestro, il protettore di se stesso.
Come vincere la sofferenza dunque? Sviluppando una compassione equanime per tutti gli esseri senzienti.
Qui oggi è difficile meditare sulla sofferenza perché siamo nella gioiosa condizione di praticare insieme, per venire a contatto con la sofferenza dobbiamo uscire e osservare ogni persona, solo allora saremmo in grado di vedere tutti i tipi di tribolazione samsarici.
Le forme di tormento sono diverse, ma la sofferenza in sé è uguale per tutti, e questa constatazione ci aiuta a superare l’attaccamento e l’avversione nei confronti del prossimo. Più siamo capaci di vedere gli esseri in una visione non dualistica, più sarà facile sviluppare, rafforzare la compassione e, nel contempo, diminuire l’afflizione. La compassione è il mezzo che vince il dolore. Leggiamo la terza consapevolezza:
3. La Consapevolezza della Divinità

Nel Divino Palazzo della grande beatitudine
Piacevole a provarsi,
Risiede il corpo della divinità:
Il corpo di se stessi
Con aggregati ed elementi puri.
Una divinità personale inseparabile
Dai tre corpi vi si trova.
Senza concepirli come ordinari,
Coltiva l’identità e il sembiante divini.
Senza lasciare che la tua mente divaghi,
Ponila nel profondo e luminoso
Senza scordarti
Mantienila nel profondo e luminoso.

La divinità a cui si riferisce il verso non è esterna, oggettiva, è il nostro stesso essere, corpo, parola e mente resi divini. Meditiamo su noi stessi non nella forma illusoria, perché al di là del corpo, parola e mente ordinari, vi sono corpo, parola e mente divini, che generalmente non consideriamo affatto, mentre in realtà sono il vero oggetto della meditazione che ne fa emergere l’aspetto assoluto; è la stessa purezza del nostro corpo, parola e mente, in quanto la nostra peculiarità consiste proprio in questa capacità di purificazione.
Dobbiamo dunque saper scrutare il livello ultimo, assoluto, di corpo, parola e mente mantenendone consapevolezza, perché senza di essa li potremmo vedere sempre soltanto in modo ordinario.
La natura divina di corpo parola e mente è in noi e sarà realizzata nel futuro, quando abbandoneremo la consueta modalità, pur rimanendo saldi nel non-dualismo, perché entrambe le condizioni, ordinaria e ultima, non possono essere separate, sono un’unità.
Il concetto di non-dualismo è difficile da comprendere e facile da dire, dovremmo trasformarlo in un mantra la cui ripetizione favorisce la riflessione che lentamente conduce alla sua attuazione, infatti in questo consiste la meditazione, è il metodo per giungere alle realizzazioni.
La reiterazione del mantra che focalizza l’attenzione su un punto è una forma di meditazione poiché richiama ininterrottamente alla mente l’oggetto di riflessione che sarà così concretizzato.
Il non-dualismo è il metodo che ci permette di non essere parziali, limitati, tanto che, anche di fronte alla sofferenza, saremo in grado di vederne gli aspetti positivi; ad esempio nella pena possiamo sviluppare la compassione, e ravvisare che persino il samsāra così carico di confusione e dolore è la condizione che permette di approdare al nirvāna; soltanto attraverso la morte si ha la resurrezione. La resurrezione è un termine tipicamente cristiano, ma nella filosofia buddhista esiste qualcosa di simile, poiché si muore nella meditazione, si passa agli stadi intermedi nella meditazione e si rinasce nella meditazione.
La meditazione più forte è la Grande Compassione e raccoglie in sé tutti i tipi di meditazione; non richiede alcuna postura specifica, la si può praticare in ogni momento, circostanza e condizione. Vi è chiaro il concetto di non-dualismo? La visione dualistica della realtà è causa di molti problemi individuali e sociali.
Non scordiamo mai di mantenere la mente nella consapevolezza la quale, per essere ricordata, necessità di un’altra piccola consapevolezza che ci rammenti di non dimenticarla, si tratta dunque di un fenomeno complesso, risultato di più fattori concatenati.
Spesso, soprattutto le persone che per la prima volta si avvicinano alla meditazione, mi chiedono quali tecniche adottare, e io rispondo senza eccezione che la migliore tecnica è nessuna tecnica; la meditazione è una condizione naturale, spontaneamente facilitata da alcuni accorgimenti quali la postura comoda e l’attenzione alle caratteristiche assolutamente personali della propria mente che ognuno saprà come domare per ottenerne la pacificazione. Il metodo, le tecniche di meditazione, sono soggettive, in armonia con le proprie caratteristiche, senza necessità di complicazioni di sovrastrutture esterne, l’importante è mantenere la consapevolezza nel non-dualismo.
Concludiamo l’insegnamento di oggi con una breve meditazione.







La Rinuncia


Inizia l’incontro con una sessione di meditazione.

Le tecniche di meditazione sono infinite ed è indispensabile che ognuno le adatti alle proprie inclinazioni.
Anche la compassione, la rinuncia e la bodhicitta devono essere commisurate a colui che le applica in quanto ogni soggetto possiede determinate capacità e non altre. L’elefante porta grandi pesi, ma la formica, anche se non sembra, ne porta altrettanti in proporzione alle sue dimensioni, la distinzione in piccolo e grande carico è unicamente imputabile alla nostra visione sbagliata, distorta.
Soltanto nella via di mezzo acquisiamo tutti gli elementi per riconoscere l’assoluta equanimità che pervade ogni condizione, ed è l’unica via che conduce alla perfezione.
Noi invece siamo abituati a discriminare, dividere e giudicare, eppure il Buddha ha sempre raccomandato di concentrarsi semplicemente sul cammino di perfezione perché solo in questo modo sarà possibile osservare correttamente la realtà e offrire agli altri la propria esperienza che diverrà autentico insegnamento. E’ un impegno gravoso ed estremamente serio e il Buddha stesso esitò lungamente prima di cedere alle pressioni e condividere con gli amici la conoscenza maturata.
L’unica possibilità di offrire insegnamenti ad altri è data dalla pura bodhicitta, eppure oggi ce ne siamo completamente scordati, stiamo vivendo nel tempo delle cinque degenerazioni.
L’insegnamento sgorga spontaneo nel giusto momento, ogni forzatura rovina il Dharma. Se osserviamo le vite dei maestri del passato vediamo che loro parole erano l’espressione del loro livello di realizzazione, nulla dipendeva dal ruolo che ricoprivano, tutto scaturiva naturalmente dalla loro stessa natura.
Quando siamo pronti a ricevere un determinato grado di istruzioni questo matura spontaneamente in noi, ed è importante non scordare che il nostro fondamentale maestro è la conoscenza della realtà di natura interdipendente.
Qualsiasi luogo può essere adatto alla meditazione, qualsiasi fenomeno può diventare maestro, tutto dipende dalla nostra capacità, dall’entusiasmo gioioso, dall’accumulazione di meriti.
Viceversa, nell’assurda concezione ordinaria dei tempi moderni, si misura la grandezza del maestro in base al costo dei suoi seminari!....
L’istruzione fondamentale e completa del Buddha è stata quello delle “Quattro Nobili Verità”, eppure oggi, con estrema superficiale ignoranza si tende a relegarle a livello elementare, quasi banale, questo è un segno dei tempi degenerati in cui è veramente ardua la manifestazione del Dharma.
Dobbiamo essere sempre consapevoli che qualsiasi evento della vita è nostro maestro e deve diventare azione di Bodhisattva.
I Bodhisattva possono manifestarsi in ogni fenomeno, in ogni persona incontrata, in ogni oggetto, e pertanto non abbiamo nessun elemento per distinguerli, per riconoscerli dalla loro apparenza esteriore.
La preghiera del Bodhisattva è perfettamente espressa nel decimo capitolo del Bodhicaryāvatāra di Sāntideva, “La Dedica”: “se non c’è ponte che io possa divenire ponte, se manca cibo che io possa essere cibo…” E’ la stessa attitudine della mente cuore di Gesù Cristo, lo scopo della vita del Bodhisattva, è servire gli altri, portare pace.
Non esiste la benché minima differenza tra l’atteggiamento del Bodhisattva descritto nella filosofia buddhista e il messaggio di Cristo, cambia la cultura, la lingua, ma il concetto è identico.
Soltanto tramite la conoscenza della natura interdipendente dei fenomeni possiamo avere coscienza della vacuità, di Dio, altrimenti tutto rimane illusione, ignoranza, che inevitabilmente si traduce in sofferenza; solo colui che ha realizzato la natura della realtà non è più soggetto a sofferenza.
La realizzazione della realtà nella sua vera essenza, non la si ottiene in un attimo, ma gradualmente, mantenendo inalterata la presenza del Dharma nel proprio cuore e tramite la consapevolezza costante che è la luce in grado di annullare la tenebra dell’ignoranza.
Leggiamo ora i “Tre Aspetti principali del Sentiero” (V: testi annessi pag. IV).
I versi dal terzo al quinto descrivono la pratica della rinuncia, nel terzo si spiega il motivo per cui è necessario applicarla, nel quarto come svilupparla, e nel quinto si ha la misura della sua realizzazione.
Rinuncia è un termine che può essere interpretato in vari modi, dunque è necessario in questo contesto comprenderne il significato dharmico: rinuncia è il desiderio autentico, l’intenzione genuina di raggiungere l’illuminazione.
Restando focalizzati su questo obiettivo automaticamente perdiamo ogni attrazione per il samsāra, non inseguiamo più gli effimeri e ingannevoli piaceri mondani che ci incatenano ai tormenti.
La rinuncia pura riguarda il livello assoluto.
Nel vortice del samsāra siamo così occupati a rincorrere la mondanità che scordiamo completamente il nirvāna, l’illuminazione, non siamo più consapevoli di nulla.
La rinuncia si realizza su due livelli, il primo riguarda i piaceri mondani di questa esistenza, e il secondo quelli delle esistenze future.
La durata della vita è un soffio, brevissima, che senso ha sprecarla in illusioni effimere? Dobbiamo invece saper mantenere in noi l’ininterrotta consapevolezza della sua natura interdipendente.
L’unica azione che imprime significato alla vita è la condotta altruistica.
Il concetto di rinuncia, perfetta espressione della presa di rifugio nei tre gioielli, è spiegato chiaramente nell’interpretazione della “Bhagavad Gita” di Gandhi che la articola su tre piani:
Il primo riguarda l’azione disinteressata, cioè il compimento di qualsiasi atto, dal più banale al più complesso, senza subordinarlo al proprio interesse;
Il secondo consiste nel dedicare a Dio il frutto dell’azione disinteressata;
Infine, il terzo, è l’offerta dei meriti accumulati nell’azione disinteressata per il bene di tutti gli esseri senzienti.
Nel testo dei “Tre Aspetti Principali del Sentiero” si sottolinea il carattere prettamente spirituale della rinuncia pura, completamente avulsa da ogni attaccamento, potere, riconoscimento mondano.
La rinuncia si basa sulla vera conoscenza dell’immenso, autentico valore della vita umana e della sua impermanenza, su questo dobbiamo meditare. Così il Buddha recita nel sūtra:

“Come una stella, un miraggio, una lampada, illusioni, gocce di rugiada, sogni, lampi e nuvole, Guarda in questo modo tutti i fenomeni”

Se invece noi confondiamo l’apparenza con la sostanza creiamo attaccamento.
Riflettendo sul karma e sui suoi inevitabili effetti maturiamo la consapevolezza dell’inutilità di qualsiasi insensato attaccamento verso l’apparenza di questa vita e ancor di più verso l’apparenza delle vite future.
Concludiamo questo incontro con la preghiera di dedica (V. testi annessi pag. VII)






La realtà convenzionale, la realtà ultima, la realtà convenzionale sottile


Questo incontro ci offre una magnifica opportunità per riflettere sulla bodhicitta che è il cuore del Dharma e il Dharma è il cuore dell’umanità. La parola sanscrita Dharma può essere tradotta in diversi modi, ciò che conta è la sua essenza e in qualsiasi lingua lo si definisca le persone che lo sperimentano vivono indistintamente le stesse esperienze.
Parlando di bodhicitta non ci riferiamo a una specifica religione o categoria filosofica o classe sociale, perché si tratta di un bene universale, fonte di gioia per l’umanità intera, ed è magnifico potervi riflettere tutti insieme.
L’essenza della bodhicitta è la grande compassione che sgorga dalla compassione generale che, a sua volta, deriva dalla nostra stessa natura.
La natura umana non è qualcosa di diverso da bodhicitta e compassione, è destinata ad esse, èd è importante esserne consapevoli, il cuore di bodhicitta vi è intimamente connesso.
L’amore umano porta impressi nel cuore i segni della compassione, della grande compassione, della bodhicitta. Amore umano, natura di Buddha, semi di illuminazione esprimono lo stesso concetto.
I semi di illuminazione mostrano due aspetti, uno è la purezza della mente e l’altro è la capacità di purificare la mente, da cui si formano i due sentieri di metodo e saggezza.
Solo nell’applicazione dei due sentieri potremo spezzare la catena di nascita e morte, che non è al di fuori, estranea, bensì in noi fortemente agganciata. Nessuno è in grado di definire esattamente cosa siano nascita e morte, non le si possono comprendere relegandole al solo livello materiale.
La sofferenza nella vita è ininterrotta e pesantissima se la si vive solo sul piano convenzionale, è necessario andare oltre, senza negazioni o contrapposizioni, è indispensabile vivere consapevolmente e pienamente nella verità convenzionale parallelamente al cammino spirituale, entrambi gli aspetti sono inscindibili e non si deve negare quello che il mondo convenzionale accetta, questo concetto è un’asserzione unica della scuola prāsangika Mādhyamika che riguarda la visione ultima del Buddha.
Il Buddha ha insegnato per gradi e raccomandato di seguirli con consequenzialità, passo dopo passo, prima di tutto è necessario accedere al piano inferiore e mettersi comodamente a proprio agio, sarà così naturale la salita al secondo piano, e così via sino all’ ultimo piano in cui risiede la prāsangika Mādhyamika che possiede l’eccellente capacità di osservare tutti i fenomeni nella loro globalità, da un lato ne evidenzia l’esistenza puramente nominale, mentre dall’altro ne riconosce la correlazione con il mondo convenzionale, senza contrapposizione.
Questa è la realtà convenzionale sottile e la si può capire profondamente solo dopo aver compreso la realtà ultima e, allo stesso modo, la realtà convenzionale è un mezzo per comprendere la realtà ultima.
Parlando delle due verità, la realtà convenzionale deve essere considerata il metodo, mentre la realtà ultima il risultato, e l’unione delle due è detta la realtà convenzionale sottile che, una volta assimilata, dimostra come le due realtà, convenzionale e ultima, non siano mai tra loro contrastanti né possano essere separate.
Realizzando questa verità viviamo al di là della condizione ordinaria, quotidiana, e allo stesso tempo siamo perfettamente inseriti al suo interno, questa è la via di mezzo, il livello più sottile.
Le sofferenze del mondo sono infinite, sia per i singoli che per la comunità umana in generale, se però siamo in grado di praticare con consapevolezza possiamo ridurne l’entità, non la potremo eliminare completamente, ma avremo la libertà di non lasciarcene condizionare né paralizzare.
La pratica del Dharma è inoltre una perfetta forma di autodifesa, ad esempio madre Teresa di Calcutta era assiduamente a contatto con gli ammalati più gravi, come i lebbrosi, eppure non ne è mai stata contagiata perché, pur vivendo pienamente e concretamente la quotidianità, la sua mente sapeva trascendere il mondo ordinario; questo è il potere della compassione.
Allo stesso modo San Francesco e i Geshe Kadampa del passato sono vissuti immersi nella più miserabile e dolorosa condizione umana, a fianco dei malati più contagiosi, evitati da tutti, tuttavia erano protetti dal loro stesso amore infinito, dalla sconfinata compassione da cui deriva l’accumulazione di meriti che permette di vivere pienamente nel mondo essendone contemporaneamente al di là, immersi in una totale spiritualità.
Oggi ricordiamo il compleanno del XIV° Dalai Lama, una figura fondamentale nella mia vita, da lui ho imparato a conoscere il buddhismo classico e puro, ma integrato nel mondo contemporaneo, libero da ogni integralismo e bigottismo, pericolo presente in tutte le religioni. 
Il Dalai Lama con il suo esempio ci mostra quotidianamente il valore delle Prajñāpāramitā.
Il termine Prajñāpāramitā è tradotto in inglese con saggezza, ma letteralmente significa “la saggezza che è andata oltre” ed è la saggezza della realtà convenzionale sottile, cioè l’unione della realtà convenzionale con la realtà ultima.
La saggezza è il soggetto e i fenomeni sono l’oggetto ed entrambi sono inscindibili così come lo sono colui che conosce e ciò che è conosciuto.
A livello ultimo c’è unione tra soggetto e oggetto, tra vacuità e saggezza, tra realtà convenzionale e realtà ultima e nel momento in cui realizziamo la realtà ultima, la saggezza stessa, non c’è più distinzione tra soggetto e oggetto.
La chiarezza induce la vacuità; la chiarezza è la mente e la vacuità è la realtà ultima, la natura ultima dei fenomeni, quindi a livello ultimo la nostra pratica dovrebbe consistere nell’osservare il nostro sé, la nostra mente.
E’ una investigazione difficile, perché siamo immersi nel buio, non vediamo noi stessi e ciò che stiamo cercando, siamo circondati dalle tenebre dell’ignoranza, ma senza scoraggiarci dovremmo persistere nella ricerca.
Il ricercatore è il sé e il ricercato è la mente, e qui sorge il problema, la causa stessa per cui non riconosciamo nemmeno il nostro sé, il problema consiste nell’incapacità di trovare la nostra mente, così è il samsāra.
Ognuno di noi potrebbe scrivere interi volumi sulle difficoltà della propria mente, un detto tibetano enuncia: “Se vuoi vedere degli spettacoli non devi andare lontano, guarda la tua mente.”
Almeno dovremmo cominciare a comprendere che stiamo soffrendo, siamo nelle tenebre perché non sappiamo cosa e come cercare, dovremmo avere la consapevolezza che si tratta di un compito che richiede un notevole sforzo, tanta pazienza, calma e acutezza mentale, e deve costantemente essere alimentato da compassione, amore universale e saggezza.
In questo consiste la meditazione e la pratica del Dharma, il mezzo che ci permette di realizzare il senso della vita.
Il testo tibetano che sto consultando prosegue nell’analisi dell’attaccamento, sia rivolto agli esseri senzienti in generale che riferito a qualcuno in particolare.
L’amore e la compassione estesi a tutti non negano l’amore e la compassione verso un soggetto singolo, non sono tra loro antitetici, la gentilezza amorevole  non discrimina né divide.
Asanga ad esempio ha sviluppato completamente la compassione nel momento in cui ha soccorso un animale sofferente, partendo dalla compassione generale l’ha tradotta concretamente nell’aiuto individuale e in questo modo ha realizzato la grande compassione.
Così come esiste un doppio attaccamento esiste una doppia capacità di compassione.
Noi ci troviamo in una situazione particolare perché da un lato siamo condizionati dalla negatività di vivere in un’era di degenerazione del Dharma, ma dall’altro siamo positivamente stimolati dalle numerose sfide che il Dharma propone, ed è necessario fronteggiarle con coraggio e renderle proficue.
Dobbiamo credere nel karma e praticare il Dharma, con questo proposito concludiamo questa giornata.
Grazie a tutti per aver partecipato agli incontri e aver dedicato tempo alla pratica e alla meditazione. Auspichiamo dunque che tutto ciò divenga causa e condizione per raggiungere, privi di qualsiasi aspettativa di tornaconto personale, l’illuminazione per il bene di tutti gli esseri senzienti.

Recitiamo insieme la preghiera di dedica. (V. testi annessi pag. VII)



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SECONDA   PARTE
Roma   *   settembre - dicembre 2007   *


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I Dodici Anelli di Origine Interdipendente


Oggi parleremo di un basilare insegnamento del Buddha, i “Dodici Anelli dell’Origine Interdipendente”.
Il primo anello è costituito dall’ignoranza fondamentale (tibetano: ma-rig-pa) che, a prescindere dalle conoscenze ideologie o filosofie, è intrinseca alla natura umana, è patrimonio comune di tutti gli esseri samsarici, è il risultato immediato dell’afferrarsi all’io, attaccamento che parte da presupposti completamente errati in quanto si fonda sulla visione dualistica e falsa di quel sé che invece sarebbe doveroso esaminare e analizzare con curata introspezione e consapevolezza, unico modo per diminuire e demolire un poco alla volta l’ignoranza devastante da cui discendono tutti i successivi errori.
Il secondo riguarda le formazioni karmiche (tibetano:’du-byed). Dall’ignoranza fondamentale sorge il karma determinato dall’incapacità a riconoscere la legge naturale di causa effetto che, a sua volta, provoca la non conoscenza del livello ultimo dei fenomeni creando altro karma.
Il karma è l’azione, qualsiasi movimento fisico, verbale e mentale.
La legge di causa effetto definisce che ogni causa positiva produrrà un effetto positivo, ogni causa negativa il corrispondente effetto negativo e ogni causa neutra l’effetto neutro.
Noi apparentemente desideriamo tutto ciò che è positivo, ma, a motivo della non conoscenza della realtà illusoria intrinseca ad ogni fenomeno, poniamo in atto con corpo, parola e mente azioni negative il cui effetto è l’accumulazione di karma negativo. Vorremmo la pace e pensiamo di ottenerla facendo la guerra, un’attitudine davvero insensata, frutto dell’ignoranza fondamentale della legge di causa effetto e del livello ultimo, cioè della natura interdipendente e della vacuità.
La non conoscenza della vacuità produce un risultato neutro, non necessariamente negativo, anzi potrebbe anche essere positivo poiché già con la sola conoscenza della legge di causa effetto si possono fare azioni buone; l’ignoranza della vacuità non è dunque così grave, invece l’ignoranza della legge di causa effetto è assolutamente pericolosa e produce esiti pesantemente negativi.
Il terzo è la coscienza (tibetano: rnam-shes), è il fattore mentale centrale, qualsiasi azione, positiva, negativa o neutra, fisica, verbale e mentale vi imprime un’impronta indelebile.
I primi tre anelli costituiscono le basi della nostra attuale esistenza, possono manifestarsi in contemporaneità e sono inscindibilmente interconnessi.
Dai primi tre sorge il quarto, nome e forma (tibetano: ming-gzugs), che tratta dell’insieme dei cinque aggregati, condizione indispensabile alla formazione della nuova esistenza che si manifesta ad ogni rinascita. La coscienza è il seme della rinascita che si deve esprimere fisicamente nella forma che individualmente è definita nel nome.
Il quinto riguarda le sei sorgenti dei sensi (tibetano: skye-mched), è relativo alla composizione dei sei sensi: vista, udito, olfatto, gusto, tatto e intelletto.
Dalla maturazione dei sei sensi sorge il sesto anello, il contatto (tibetano: reg-pa), che indica la capacità dell’organo del senso di connettersi con l’oggetto, ad esempio l’occhio vede il fiore.
Dal contatto scaturisce il settimo anello, la sensazione (tibetano: tsor-ba), che ci permette di sperimentare piacere, ripugnanza o indifferenza verso l’oggetto dei sensi.
L’ottavo è importantissimo, è la sete o desiderio avido, (tibetano: sred-pa), deriva direttamente dalla coscienza ben impregnata dalle infinite impronte karmiche che influenzano la sensazione che determina la sete, la volontà di ritornare continuamente alle condizioni positive, rifiutando quelle negative in un’altalena incessante.
Dalla sete sorge il nono anello, l’appropriarsi o attaccamento (tibetano: len-pa), e consiste nell’impadronirsi dell’oggetto desiderato, ci fa afferrare saldamente al presente.
Il decimo è il divenire (tibetano: srid-pa), è il prolungamento dell’anello precedente, si presenta nell’ultimo istante dell’esistenza e predispone, completandole, le condizioni della prossima vita.
L’undicesimo è la rinascita (tibetano: skye-ba), interamente condizionata dal karma accumulato nelle precedenti esistenze.
Infine il dodicesimo è la vecchiaia e morte, o decadimento e cessazione, (tibetano: rga-shi). La cessazione è certa, non la vecchiaia perché si può morire nell’istante immediatamente successivo alla nascita. La morte non è in sé una fine, potrebbe essere un passaggio nella libertà, ma poiché tutto è determinato da cause e condizioni se si rimane nell’ignoranza producendo ulteriori impronte karmiche negative la ruota del divenire nei dodici anelli continuerà a girare ininterrottamente.
La catena dei dodici anelli dell’origine interdipendente è suddivisa in quattro segmenti:
Nel segmento iniziale sono raggruppati i primi tre anelli che costituiscono la base della nostra attuale esistenza, noi non sappiamo quando siano stati formati, se in una vita precedente o in esistenze lontanissime.
Nel secondo segmento i quattro anelli successivi rappresentano i fattori proiettanti di questa esistenza e ne foggiano le condizioni.
Il terzo segmento comprende gli anelli dall’ottavo al decimo che, strettamente legati ai primi tre, costituiscono le cause e pongono ora le basi della nostra futura esistenza, ecco perché è fondamentale praticare, purificare, aprire il cuore, perché solo in questo modo possiamo costruire karma positivo.
Infine il quarto segmento riguarda i due ultimi anelli conosciuti come fattori prodotti e interessano la vita futura, in quanto il karma maturato nel presente, unito alle impronte karmiche precedenti, determina le condizioni per la prossima esistenza.
Il Buddha ha detto che chi comprende i dodici anelli dell’origine interdipendente conosce il suo insegnamento, il sentiero verso l’illuminazione e il Buddha stesso, è dunque necessario meditare su ognuno di essi, passaggio dopo passaggio: dall’ignoranza si configura il karma, da cui nasce la coscienza; da questi tre sorgono i prossimi quattro, nome e forma, sorgente dei sensi, contatto, sensazioni; si creano così le condizioni per gli altri tre, sete, attaccamento e divenire; e infine gli ultimi due rinascita, decadimento e morte. L’oggetto della meditazione deve cominciare da se stessi e automaticamente essere esteso a tutti gli esseri samsarici, da questo metodo di riflessione fluisce naturalmente la bodhicitta, la compassione.
Il nostro pensiero istintivo si plasma automaticamente sull’“io” per trasferirsi quasi istantaneamente sul “mio”, e ciò è dovuto all’ignoranza fondamentale che innesca il meccanismo di rotazione senza fine degli esseri samsarici. Avendo consapevolezza di questa comune condizione siamo in grado di sviluppare l’equanimità, la bodhicitta, la grande compassione, la saggezza.
Senza la meditazione sui dodici anelli è impossibile bloccare l’ignoranza le cui conseguenze ci mantengono incatenati al ciclo incessante del samsāra, di rinascita in rinascita, di morte in morte.
La liberazione dall’ignoranza, è liberazione da tutti gli anelli successivi, persino la morte è vinta, l’essere illuminato non muore, non ha sofferenza, è libero, vive gioiosamente una trasformazione, un passaggio.
Ci sono due modi per meditare sui dodici anelli dell’origine interdipendente, il primo esamina, passo dopo passo, le cause che producono il risultato dell’esistenza samsarica, il secondo capovolge l’analisi, risale a ritroso dagli effetti alle cause e dimostra in questo modo la possibilità concreta di uscire, di liberasi definitivamente dal samsāra.
Oggi abbiamo affrontato un argomento fondamentale, non so quanto possa essere stata chiara la spiegazione e certamente non è possibile raggiungere la liberazione, distruggere completamente il samsāra in due giorni, ma l’importante è averne preso coscienza, conoscerlo, ed inoltre è estremamente positivo accogliere il dubbio, la curiosità sulla vacuità, sulla natura interdipendente, sulla legge di causa effetto, è un modo per incrinare il samsāra.
L’ignoranza, la conoscenza errata è così pericolosa perché non lascia spazio a nulla, nemmeno ai dubbi.
Noi abbiamo la grande fortuna di condividere queste conoscenze, di iniziare a riflettere umilmente, piano piano nella pace, mai per contrapporsi o sentirsi superiori agli altri, qui insieme nella meditazione e riflessione tutto pare facile, semplice, ma non c’è nulla a cui attaccarsi, ora ci sentiamo sangha, però non appena rientriamo nella quotidianità tutto si complica nella difficoltà del samsāra, eppure proprio la natura impermanente, la natura interdipendente, la natura di vacuità, offrono grande libertà, questo è Dharma, è lo spirito dell’umanità.
Dedichiamo ogni merito acquisito in questa domenica a beneficio di tutti gli esseri senzienti, in particolare ai più deboli e sofferenti e recitiamo la preghiera di dedica del Lam Rim (V. testi annessi pag. VII)





Il significato del mantra «OM MA NI PADME HUM»


Questo mantra è presente nella società tibetana quasi naturalmente, non sono mai state date complesse interpretazioni che i tibetani, quasi completamente analfabeti, non avrebbero potuto capire, si è semplicemente spiegato che recitandolo si rammenta a se stessi la necessità di essere compassionevoli, di buon cuore, e ciò è stato sufficiente perché, grazie all’incondizionata fede nel Buddha della compassione, Avalokiteśvara in sanscrito o Chenrezig in tibetano, è diventato un elemento connaturato, parte del loro patrimonio genetico, ciò che potremmo definire cultura umana.
I tibetani, pur costretti ad uccidere per nutrirsi, recitano il mantra di Avalokitésvara con gratitudine e compassione amorevole e spesso sulle montagne si trovano scheletri di animali con inciso sulla fronte o sulle corna OM MA NI PADME HUM.
E’ una caratteristica di questo popolo, malgrado i grandi errori commessi, di essere gioioso e compassionevole. La mente compassionevole è strettamente interconnessa alla mente gioiosa, senza una non può esservi l’altra.
La compassione genera gioia e la gioia infonde a tutti i nostri atti la perseveranza entusiastica che li rende dharmici, per questo nelle scritture buddiste si afferma che la gentilezza amorevole e la mente compassionevole sono le radici di tutte le azioni positive.
Cos’è l’azione positiva? È quella compiuta con perseveranza entusiastica, che non viene da sé, ma come frutto della gioia che scaturisce dalla compassione.
Vi è dunque differenza tra le azioni dharmiche e non dharmiche, anche se esteriormente potrebbero apparire simili, l’azione dharmica è compiuta con perseveranza entusiastica, condizione completamente assente in quella non dharmica, per trasformare le azioni ordinarie in dharmiche dobbiamo prima di tutto essere motivati dalla retta intenzione costituita dalla compassione e dalla gentilezza amorevole, che potremmo unificare nel concetto di “atteggiamento altruistico”.
Altruismo significa agire senza anteporre l’interesse egoistico.
L’ego è i presunto «amico» costantemente presente, sempre pronto a giustificarci, a stare dalla nostra parte confondendoci, dunque dovremmo imparare a riconoscerne l’inganno, ad allontanarlo e ad agire liberamente senza il suo pesante condizionamento.
Noi viviamo in simbiosi con l’ego, come se vi fosse un’unica identità, mentre dovremmo separare la nostra reale natura, il vero sé, dall’ego. E’ una distinzione essenziale che impedisce di cadere in facili inganni, ad esempio spesso accade che anche quando pensiamo di agire con altruismo, in realtà la nostra attitudine è intrisa unicamente di ego, di autocompiacimento.
Il vero sé è naturalmente altruistico, è ciò che definiamo natura umana di base, caratteristica naturale della mente. La mente innocente è altruistica in quanto mancante di ego.
Trasformare le azioni ordinarie in dharmiche non è affatto facile, ma è ciò che stiamo tentando di fare insieme, non mossi da motivazioni egoistiche ed egocentriche, bensì altruistiche.
La compassione è un’attitudine altruistica caratterizzata dall’assenza di ego.
Le nostre facoltà sensoriali sono presenti a livello fisico, biologico, ma le attitudini interiori, dove sono? Nel corpo?.. Fuori?... Dove?...
È importante indagare attentamente su questi interrogativi, così come è opportuno analizzare il concetto di vacuità, altrimenti si può incappare in illusioni e fraintendimenti, una trappola pericolosa poiché ci induce a trovare con qualsiasi mezzo fantasiose concretizzazioni.
La mente non è afferrabile, non la si può toccare, la sua esistenza è libera da ogni condizionamento sostanziale e non soggetta ad essere presa, mentre noi tendiamo ininterrottamente ad incasellare come esistente ogni fenomeno secondo una modalità esclusivamente materiale e nota, liquidando invece frettolosamente come non esistente tutto ciò che sfugge alla nostra concreta capacità di comprensione.
Diciamo continuamente “io…mio…per me…”, ma non ci soffermiamo mai ad analizzarne seriamente la natura, non crediamo realmente in Dio o nel Buddha ma soprattutto abbiamo fede cieca in questo io a cui ci aggrappiamo pur non conoscendolo affatto.
Identico meccanismo si ripete con il fenomeno della mente, siamo attaccatissimi ai nostri pensieri, però non investighiamo mai su cosa siano, sulle loro caratteristiche, mentre sarebbe necessario iniziare proprio da questo, cercando le risposte in noi stessi e non all’esterno, ecco perché la filosofia buddista è imperniata sulla meditazione.
All’inizio della ricerca dell’io, siamo sconcertati, abbiamo timore di porci domande, di osservare i pensieri che sono per noi la realtà più pericolosa, anche se potenzialmente la più positiva, siamo spaventati da un attaccamento così schiavizzante a questo io che non riusciamo a trovare in nessuna forma da noi prefabbricata, malgrado tanti inutili sforzi.
L’altruismo e la compassione cresciuti nella meditazione sono fondamentali per il mantenimento del sé in buona salute e il primo passo necessario è la capacità di comprendere questo processo a livello teorico, intellettivo, in modo da poterlo in un secondo momento attuare correttamente.
Nel buddhismo si propongono tre livelli di comprensione:
comprendere attraverso l’apprendimento;
comprendere attraverso l’analisi, la riflessione;
comprendere attraverso la meditazione che ci accompagnerà verso la realizzazione, accessibile soltanto dopo aver realizzato i primi due.
Oggi in Italia è relativamente facile applicare questa metodologia, ma nell’antico Tibet per le persone quasi completamente analfabete era più semplice ascoltare, memorizzare un mantra di poche sillabe da ripetere con devozione, mia madre ad esempio, dal momento in cui apre gli occhi sino a sera, qualsiasi attività stia svolgendo, lo recita con cuore sincero ed è così una pratica molto positiva perché, pur non conoscendo affatto il significato di ogni sillaba, ha fede profondamente radicata nella possibilità di nutrire la mente compassionevole.
Leggiamo ora e meditiamo sugli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” che descrivono esaurientemente la mente compassionevole, ci aiutano a mantenere viva l’attitudine altruistica e ad accantonare un po’ di questo ego tanto invadente da essere percepito come reale, concretamente e autonomamente esistente.
Sediamo in modo confortevole e rilassato, risvegliamo la consapevolezza, esaminiamo il nostro vero sé individuando la fonte delle nostre sofferenze, da cui sorgerà spontanea, identica analisi delle pene altrui e la conseguente naturale compassione verso tutti gli esseri senzienti.
Sviluppiamo la compassione così come descritta nell’introduzione alla Via di Mezzo di Candrakīrti che si prostra alla compassione verso gli esseri senzienti imprigionati nel cerchio della sofferenza a causa dell’attaccamento all’io e al mio:
“Gli esseri pensano io e si attaccano al sé, pensano mio e si attaccano alle cose
e in questo modo girano inermi come le pale di un mulino ad acqua
e alla compassione verso questi esseri io mi prostro.”
Segue lettura meditata degli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” (V. testi annessi pag I)

Gli esseri si attaccano al pensando io, lo stesso il modo di esprimersi parte sempre da un ripetitivo e centrale: “io… io… io…”, quasi fosse un mantra utile però solo ad accumulare tensione, al contrario di “Om Ma Ni Padme Hum” che invece aiuta ad accrescere la compassione e automaticamente calma la mente.
Immediatamente dopo l’attaccamento al sorge l’attaccamento al mio. Ogni cosa diventa oggetto di possesso, il mio cellulare, la mia casa, la mia famiglia, il mio lavoro, i miei desideri, “mio… mio… mio…”, questo è il modo con cui si rimane intrappolati nel cerchio della sofferenza senza fine.
Per comprendere l’origine della sofferenza ed estendere all’umanità intera la sincera e profonda compassione dovremmo procedere in primo luogo all’analisi interiore dell’io e del mio e poi considerare l’identica condizione in cui giacciono gli esseri, siamo tutti prigionieri allo stesso modo, questa è l’equanimità della condizione umana, sia nel dolore che nella gioia.
La compassione non è la pietà, è l’amore universale, l’amore di Dio, la Grande Compassione che va al di là della pietà, della carità, della generosità, in quanto è fondata sull’assoluta equanimità.
Il giogo del mio ci mantiene incatenati alla colonna dell’io e così il nostro puro sé non è più libero, una tragedia che può essere contrastata soltanto con la pratica del Dharma, per cui è necessario mantenere viva e costante la giusta motivazione perché, se anche non riusciamo a trovare con esattezza la nostra mente, possiamo comunque svilupparla, sentirla, trasformarla.
Questo è il mistero della mente che ne rende così difficile la comprensione, è il fenomeno più potente dell’universo.
La recitazione del mantra Om Ma Ni Padme Hum è utile alla trasformazione di questa mente così misteriosa, oggi invece si vorrebbe ottenere lo stesso risultato tramite l’alcool, le droghe, ma il loro effetto, assolutamente effimero e illusorio, è unicamente il potenziamento dei problemi.
E’ difficile spiegare l’origine del mantra Om Ma Ni Padme Hum perché non esiste documentazione storica, ma soltanto una trasmissione verbale e leggendaria, tuttavia la reiterazione con devozione di questo suono produce grandi benefici; oggi però non ci addentreremo oltre su questi concetti che riprenderemo più avanti.
Nelle scritture si dice che la recitazione del mantra aiuti ad avvicinarsi al nirvāna, liberi dalla sofferenza della morte e della separazione delle persone care, così in occidente molti pensano di fare azione doverosa e meritoria insistendo particolarmente affinché gli altri si dedichino a questa pratica con solerzia. I testi dottrinali però devono sempre essere letti e interpretati con intelligenza e apertura mentale secondo le condizioni culturali e temporali.
Il Buddha ha ampiamente illustrato la via di mezzo che deve essere applicata in ogni circostanza e sarebbe davvero un grave errore prendere alla lettera le antiche scritture rispondenti a parametri socioculturali dell’epoca, è invece necessario saper riconoscere i segni dei tempi.
Occorre essere molto cauti in occidente nell’affrontare la modalità tibetana di trasmissione delle pratiche, con eccessiva superficialità e incoscienza in molti centri si distribuiscono iniziazioni e autorizzazioni, anche se non sono comprese da nessuno. Purtroppo già in Tibet si era diffuso questo sistema, unicamente funzionale alla gestione del potere e all’accumulo di denaro.
Il Dharma è un fenomeno naturale, la propria mente è il Dharma, la pratica della compassione è l’autentica trasmissione del mantra Om Ma Ni Padme Hum ed è ciò che intendiamo fare qui all’istituto Lam Rim, senza cercare ulteriori inutili e incomprensibili complicazioni che si riducono a corografiche cerimonie prive di senso per gli occidentali, perché affidarsi con fede al Dharma nei tre gioielli significa unicamente attuare la rinuncia, la bodhicitta e la vacuità.
Nel sūtra del Buddha si dice che mantenendo questo mantra di sei sillabe si accumuleranno molti meriti. Il nostro cuore compassionevole è la trasmissione del mantra Om Ma Ni Padme Hum e questa è l’unica vera autorizzazione a pronunciarlo, perché senza compassione non avrebbe nessun senso né ripeterlo né trasmetterlo ad altri.
La formulazione di questo mantra, che significa cuore compassionevole, comporta automaticamente la pratica delle sei pāramitā poiché soltanto chi possiede un cuore compassionevole potrà risiedere nelle sei perfezioni e accumulare meriti, non si tratta dunque soltanto di una mera ripetizione verbale, il suo significato profondo va oltre.
Nei disegni che vi sto mostrando sono raffigurate le lettere del mantra, e dopo cento recitazioni si aggiunge la lettera HRI, che nella mala (rosario) è indicata dal grano ultimo più grosso.
Si visualizza il mantra al centro del chakra del cuore che si presenta come disco di luna su cui appaiono le lettere nella forma di fiore di loto e ruotano in senso orario, alla fine con la pronuncia della sillaba HRI le lettere tornano al centro del cuore e vi si dissolvono.
HRI riproduce lo stato primordiale della mente; le tre sillabe che costituiscono OM rappresentano la parola, le azioni e i pensieri del Buddha; MA NI significa il gioiello del cuore compassionevole; PADME è il fiore di Loto della saggezza; HUM raffigura l’unione della beatitudine e della vacuità che sono la saggezza del Buddha e il nostro scopo ultimo. La sillaba HRI, attraverso la pratica della compassione e della saggezza, si trasforma nell’unione di vacuità e beatitudine e suggerisce il metodo per cambiare la nostra mente primordiale nella mente di illuminazione.
Così sono delineate le nostre parole, azioni e mente, prima a livello di base, poi dell’addestramento e infine dell’illuminazione.
OM rappresenta le azioni le parole la mente di Buddha, ma anche le nostre, è riferito al nostro stato di partenza, di base, come la sillaba HRI richiama quello primordiale della mente; il primo stato si trasforma nell’addestramento costituito dalle sillabe MA NI e PADME che sono il gioiello e il fiore di loto cioè la compassione e la saggezza; attraverso questo stadio si giunge a HUM, cioè all’unione della beatitudine e della vacuità, il cuore dell’illuminazione, il cuore di Buddha.
Articolando questo mantra dovremmo riflettere seriamente sugli stadi di base, dell’addestramento e del risultato, mentre con la sillaba HRI stiamo meditando sul livello primordiale della mente che non ha inizio né fine, questa è la sua caratteristica.
Per trovare la mente primordiale non è necessario ritornare ad un ipotetico inizio risalente a milioni di anni, in quanto essa era - è - e sarà senza interruzione, malgrado non sia affatto facile dimorare stabilmente nella consapevolezza di questa presenza.
I binomi <Beatitudine - Vacuità> e <Compassione - Vacuità> si fondono nello stato della mente di Buddha e sono a livello base della mente primordiale, mentre nel passaggio successivo, dell’addestramento, le due combinazioni procedono parallelamente ma ben distinte e si riuniranno nuovamente nello stato ultimo, del risultato.
I livelli della pratica sono tre: di base, dell’addestramento e dei risultato; nel livello di base è necessario cercare la natura primordiale della mente, benché non sia affatto semplice, nel secondo livello, dell’addestramento, invece si deve praticare la compassione e la saggezza, infine nel terzo livello, del risultato, si raggiunge l’unione della beatitudine e della vacuità, e con la recitazione del mantra Om Ma Ni Padme Hum si attuano tutti i tre livelli.
Questo è il mantra del Buddha della compassione, Avalokiteśvara, raffigurato con undici teste, mille occhi e mille braccia anche se simbolicamente sono generalmente riprodotte solo le quattro principali: due mani unite reggono il gioiello MA NI, una mano a sinistra regge il fiore di loto, PADME, che descrive la saggezza, mentre con la mano destra sgrana la mala e conta gli esseri senzienti che libera dal samsāra con compassione incondizionata, attiva, non ordinaria, conferendo in questo modo al rosario la rappresentazione del livello straordinario di compassione, ecco il motivo per cui questo oggetto è utilizzato indistintamente dai monaci e dai buddhisti di tutte le tradizioni, tibetana, birmana, theravāda, zen…
Avalokiteśvara, rappresenta il cuore compassionevole di tutti i Buddha, la sua mala è il segno della compassione sublime che nel suono diviene il mantra Om Ma Ni Padme Hum e nell’immagine assume la forma appena descritta e raffigurata nelle varie tanke. Il mantra così completo si trasforma nella vera compassione che tutti dovremmo praticare senza indugio.
Nella recitazione e meditazione del mantra possiamo visualizzare l’immagine di Avalokiteśvara, sentirne il suono, sperimentare il cuore compassionevole di tutti i Buddha, sviluppare autentica compassione.
Per proferire consapevolmente il mantra Om Ma Ni Padme Hum è indispensabile conoscere e praticare le sei perfezioni: Generosità, Moralità, Pazienza, Perseveranza entusiastica, Concentrazione e Saggezza, in quanto ognuna corrisponde a una sua sillaba.
Questo mantra non serve per chiedere ricchezze, benedizioni, energia, denaro, siddhi, ma soltanto per maturare la compassione, per trasformare il proprio cuore nel cuore compassionevole, per generare l’altruismo.
Io non credo nella necessità di ricevere trasmissioni, autorizzazioni particolari, sono invece assolutamente convinto che ogni essere abbia il pieno diritto e il compito umano di recitare il mantra e di praticare la compassione nella completa libertà. Fintanto dimoriamo nella mente primordiale possiamo praticare qualsiasi Dharma.
Accade che molti fraintendendo completamente il senso delle scritture tengano addirittura un elenco delle trasmissioni ricevute e di quelle ancora mancanti, quasi fosse una lista della spesa, ma né Buddha né Gesù hanno mai asserito un simile precetto, al contrario hanno insegnato il Dharma spontaneamente, liberamente, senza nessun timbro di import - export, né tramite internet come alcuni fanno oggi incrementando la decadenza di questa epoca degenerata.
Domanda: Puoi riassumere per favore come è raffigurato il mantra di Avalokiteśvara?
Lama: Om rappresenta corpo, parola e mente, Ma Ni il gioiello, Padme il loto e Hum il suo cuore, l’essenza del suo sé.
Concludiamo con la preghiera di dedica del Lam Rim dedicando i meriti per il benessere di tutti gli esseri senzienti. (V. testi annessi pag. VII)






La Natura di Chiara Luce


E’ veramente bello poterci ritrovare qui per aiutarci vicendevolmente nella ricerca del valore spirituale, questa intenzione positiva crea l’atmosfera calorosa che ci fa sentire nel profondo del cuore lo spirito del Dharma, sollevati dalla confusione mentale che domina costantemente il piccolo spazio della nostra testa, mentre il contenuto del cuore, che è spazio infinito, è svincolato da confini così angusti e opprimenti.
La meditazione del Dharma penetra e germoglia nel cuore non nella testa, questa è la differenza fondamentale che contraddistingue questa pratica dalle occupazioni ordinarie, dunque iniziamo il nostro incontro concentrandoci nelle letture che sono profonda espressione del Dharma che nasce dal cuore, “I Tre Principali Aspetti del Sentiero”, “Il Sūtra del Cuore”, “Gli Otto Versi di Trasformazione della Mente” (Vedi testi annessi).

Segue lettura

Nel primo testo “I tre Principali Aspetti del Sentiero” si insegna come costruire e mantenere la rinuncia, la bodhicitta e la saggezza, il “Sūtra del Cuore” ci conduce all’essenza della vacuità e ci fa riflettere sul livello ultimo del sentiero, senza negare o contrapporre nulla e predispone le condizioni idonee alla realizzazione della bodhicitta, la massima mente altruistica, come spiegato, passo dopo passo, negli“Otto Versi di Trasformazione della Mente”. Questi sono tre diversi modi, perfettamente integrati e interconnessi, di esprimere il valore spirituale, è un’opera ininterrotta di costruzione, demolizione e ricostruzione che ci permette di progredire piano piano, ma solidamente.
La pratica del Dharma non è di facile approccio, non la si trova esposta in un  supermercato, è una realtà estremamente sottile, di incommensurabile valore che deve essere assimilata nella riflessione e meditazione profonda, lentamente, con tranquillità e custodita con cura, non è può essere trasformata in spettacolo esteriore che esibisce miracoli o fantasie perché in questo caso lo Spirito Santo, secondo la terminologia cristiana, o il Dharma, secondo quella buddhista, sarebbe già fuggito.
Ogni religione, con la diversità linguistica di appartenenza, esprime la stessa essenza dell’universo. Ciò che i buddhisti definiscono Grande Vacuità per gli induisti è Brahman, per i cristiani Spirito Santo, tutte le fedi hanno compiuto questa investigazione nel passato e il nostro compito oggi consiste nel percepire ed esprimere la sua immensa realtà, è il percorso per raggiungere la liberazione, il nirvāna.
La Grande Vacuità è la Chiara Luce, una realtà così incommensurabile che spesso nelle scritture si suggerisce di non parlarne a persone che non siano adeguatamente preparate ad accoglierla perché potrebbero mal comprenderla e cadere facilmente in errore.
Ora vi do un accenno, una riflessione, sulla vacuità, ma in realtà non si tratta della vacuità ultima, perché io stesso, non avendola realizzata, non so come trasmetterne ad altri l’essenza  profonda e la conoscenza, dunque insieme, come amici spirituali, discuteremo e indagheremo il concetto della Vacuità, della Chiara Luce, della realizzazione della Grande Vacuità.
“I tre Principali Aspetti del Sentiero” illustrano dettagliatamente l’indispensabile percorso, mentre il “Sūtra del Cuore” entra direttamente nel concetto della Grande Vacuità, ed è prioritaria la riflessione quotidiana su questi due insegnamenti per poter addestrare la mente e avvicinarsi sempre di più alla loro realizzazione.
La rinuncia, la bodhicitta, la saggezza che realizza la vacuità - la realtà ultima dei fenomeni - sono l’essenza fondamentale di tutti gli stadi del sentiero che conduce all’illuminazione e devono essere mantenuti dall’inizio alla fine. 
Il livello dei nostri progressi si vede da quanto questi tre aspetti sono radicati nel nostro cuore, essi rappresentano le fondamentali qualità spirituali dei praticanti di Dharma che li devono sentire costantemente ed esprimere in ogni attività quotidiana, nel pensiero, nelle parole e nelle azioni, la loro presenza influisce positivamente sia nell’attuale esistenza che in quelle che verranno.
I benefici in questa vita sono tangibili immediatamente, siamo pervasi da un sentimento stabile di serenità, gioia, soddisfazione e pace assolutamente indipendente da agenti esterni, ma generato esclusivamente dallo sviluppo delle qualità spirituali.
Generalmente si classifica il buddhismo secondo tre grandi strumenti: Hinayāna, Mahāyāna e Vajrayāna, che essenzialmente sono il riflesso della espansione dei tre aspetti principali del sentiero. All’inizio del nostro percorso spirituale dobbiamo applicare la rinuncia e siamo nell’Hinayāna, avanzando allo stato intermedio di sviluppo della compassione, della bodhicitta, siamo nel Mahāyāna, e quando raggiungiamo il livello superiore della comprensione della vacuità siamo nel Vajrayāna, dunque questi tre veicoli non sono altro che stadi consequenziali e indivisibili della pratica.
Al principio, a livello dell’Hinayāna, dobbiamo, purificare, liberare prima di tutto noi stessi e metterci nella condizione di poter in futuro essere di aiuto agli altri. Procedendo, il nostro cuore si apre sempre più all’attitudine compassionevole, al bodhicitta e ci troviamo nel Mahāyāna. Avendo realizzato questi due fondamentali passaggi entriamo in contatto con la mente sottile, che ci mostra in profondità l’essenza dei tre aspetti del sentiero, che altrimenti non sapremmo cogliere, e siamo così nel Vajrayāna dove la mente sottile ci introduce nella visione della mente di Chiara Luce.
Comunque, non allarmatevi se faticate a comprendere i tre yāna, non importa, si tratta di termini tibetani che in altre lingue possono creare confusione e fraintendimenti, non sono codificazioni imposte dal Buddha, ma introdotti solo successivamente a causa delle dispute e divisioni tra le varie scuole, dunque sarebbe meglio evitare di utilizzarli, anche se dobbiamo conoscerli in quanto sono riportati nei testi.
I Tre Aspetti Principali del Sentiero sono invece l’essenza stessa, il cuore di ogni pratica, al di fuori della loro realizzazione non esiste nessuna possibilità di raggiungere qualità e realizzazioni superiori né il nirvāna.
Molti persone, soprattutto in occidente, ritengono la pratica dei Tre Aspetti Principali del Sentiero troppo ardua, impraticabile e cercano ad ogni costo scorciatoie, vie facili e veloci, ma ciò è assolutamente impossibile, il Dharma è la realtà e come tale non può in alcun modo essere corrotto.
Il primo aspetto, la rinuncia, consiste essenzialmente nel non attaccamento a qualsiasi condizione samsarica e nemmeno al desiderio del nirvāna; per praticare questa qualità è necessario riflettere e meditare costantemente sulle Quattro Nobili Verità e sui Dodici Anelli dell’Origine Interdipendente. La rinuncia è il primo passo, è la porta del Dharma.
Il secondo aspetto è la bodhicitta, la mente altruistica, l’aspirazione a praticare il Dharma, a raggiungere la liberazione, l’illuminazione e non per se stessi, non per piacere egoistico, ma per il bene di tutti gli esseri senzienti. Quest’attitudine stabilmente mantenuta nella mente e impressa nelle azioni ordinarie ha grande valore e regala autentica pace e gioia.
Noi al contrario ci sentiamo sempre agitati, scontenti e oppressi dal lavoro quotidiano poiché lo stiamo facendo solo per noi stessi, per ottenere un risultato a nostro unico beneficio e malgrado i nostri uffici siano in genere confortevoli, dotati di tutti gli strumenti necessari, computer, condizionatori, termosifoni, aree attrezzate per il caffè, siamo infelici, ma il problema non è nel lavoro, bensì nella mente; se invertissimo il punto di vista e considerassimo che questo lavoro arrecherà beneficio a qualcuno il nostro atteggiamento interiore muterebbe drasticamente e il senso di frustrazione sarebbe sostituito da quello di soddisfazione. Il nostro campo visivo è così ristretto che riusciamo a concepire ogni atto soltanto come funzionale a noi stessi e questa è la causa della pesantezza che sovraccarica la quotidianità. Solo riflettendo su quanto ogni nostra azione sia in grado di incidere positivamente sugli altri potremmo trasformare completamente la prospettiva della vita e lo stato della mente.
Il Dharma è la realtà, non esiste separazione, è dunque fondamentale viverlo nel suo senso più vero, nell’altruismo e nella bodhicitta.
Il terzo aspetto del sentiero, la visione della vacuità, deve crescere sulla base dei due precedenti, rinuncia e bodhicitta, a cui è inseparabilmente legata ed altrettanto indispensabile, perché se manca la saggezza possono sorgere serie difficoltà, irrigidimenti, fraintendimenti, fondamentalismi ideologici e religiosi che portano le persone al fanatismo ottuso che, malgrado riconosca la necessità di rinuncia, bodhicitta e saggezza, non ne coglie il legame inscindibile nella vacuità.
Coloro che sono attaccati ad un’ideologia chiudono la mente, la circoscrivono a visioni ristrette e ogni eventuale positività è inibita e corrotta da questa inflessibilità, invece per poter addestrare la mente con apertura, accoglienza ed elasticità è necessaria la consapevolezza della vacuità, ecco perché i Tre Aspetti Principali del Sentiero sono la nostra salvezza, senza di essi né Dio né Buddha né nessun altro potrebbero salvarci.
Molti credono che per i buddhisti il Buddha sia un’entità intoccabile, superiore, ma è un essere umano che ha raggiunto quella stessa illuminazione a cui noi aspiriamo e che potremmo ottenere, ma non senza il personale impegno nella pratica dei Tre Principali Aspetti del Sentiero e, altrettanto, Dio non ci può portare in paradiso senza la nostra volontà, senza la pratica nello Spirito Santo. La vita, la salvezza è nelle mani di ognuno, il karma è responsabilità soggettiva, chi accetta il Buddha accetta il karma e chi accetta Dio accetta lo Spirito Santo che è la realtà ultima di tutti i fenomeni, l’amore di Dio è lo spirito dello Spirito Santo.
E’ davvero interessante l’analogia tra le tre figure fondamentali <Buddha, Dharma e Sangha> nel buddismo e <Padre, Figlio e Spirito Santo> nel cristianesimo. Il Buddha potrebbe essere comparato a Dio, il Dharma allo Spirito Santo e il Sangha al Figlio. Il Padre genera il Figlio tramite lo Spirito Santo, il Buddha genera il Sangha tramite il Dharma, differenti linguaggi, ma stesso significato.
Se la mente non è flessibile, aperta, è difficile accettare questo concetto e il risultato è divisione e contrasto, i buddhisti nei confronti di coloro che pregano in una chiesa, e i cristiani nei confronti di coloro che meditano in un tempio, entrambi giudicano rispettivamente queste azioni come fortemente negative, un peccato, e pietrificano ancor di più il loro cuore nella rigidità delle proprie convinzioni, mentre è necessario avere una mente accogliente, aperta, in grado di arricchirsi nella conoscenza delle tradizioni altrui.
Invece le divisioni sussistono persino all’interno della stessa fede, ad esempio nel buddhismo gli appartenenti ad una determinata scuola guardano con sospetto e discriminano quelli di altre correnti, se i praticanti Vajrayāna praticano il Theravāda si presume che la loro mente sia contaminata, ridotta, e lo stesso vale per questi ultimi se si accostano al buddhismo tibetano con i suoi rituali, e tutti questi fraintendimenti sono il risultato della mancata realizzazione della vacuità, della grande vacuità.
La mente di chiara luce è la mente che ha realizzato la vacuità, la realtà ultima dei fenomeni, e solo così la mente ordinaria potrà essere liberata dalla mente stessa tramite la mente, si tratta di un processo totalmente autonomo e strettamente interconnesso alla nostra autentica realtà.
La mente di chiara luce è costantemente vigile, nella veglia, nel sonno, nella morte. Quando siamo svegli è fondamentale meditare sulla vacuità, sul sūtra del cuore, in modo da potenziare in noi l’unione della mente con l’essenza di vacuità, percepire la presenza costante di questa unità perché solo così potremo giungere al momento della morte avendone consolidato la consapevolezza, non ci si arriva in un istante, ma nella sua pratica continua.
La meditazione sulla vacuità ci pone in contatto con l’aspetto più sottile della mente, con il nostro subconscio.
Cos’è la mente? la mente possiede già la natura di vacuità, è come lo spazio e la meditazione su questo aspetto non ha limite, può scendere sempre più nel profondo, occorre soffermarsi sulla vacuità della mente, sulla mente stessa, sulle sue caratteristiche più sottili che sono appunto la mente della chiara luce.
La mente di chiara luce non si rivela solamente in particolari ottenimenti, ci sono anche determinati momenti in cui la chiara luce appare, ma in questo caso non si tratta della sua realizzazione, è la manifestazione della chiara luce già presente nelle profondità della nostra essenza, come negli abissi dell’oceano, poiché soltanto dopo aver ripulito tutte le forme più grossolane che galleggiano in superficie è possibile intravvedere ciò che sta sotto, ma in ogni caso non le si deve attribuire eccessiva importanza, ciò che davvero è sostanziale è la realizzazione della vacuità tramite i Tre Aspetti Principali del Sentiero.
La chiara luce si suddivide in due forme, una chiara luce madre e una chiara luce figlia, e fino a quando questi due aspetti non si incontreranno e riconosceranno non sarà possibile raggiungere l’illuminazione.
La chiara luce figlia è la mente che otteniamo tramite la pratica della rinuncia, della compassione e della saggezza, le tre realizzazioni della mente sottile che si sviluppa nella meditazione e nello yoga.
Durante la meditazione si possono assorbire tutti i venti, i soffi, all’interno del chakra centrale e in quel momento può manifestarsi la mente sottile, la mente di chiara luce innata in grado di comunicare con le realizzazioni della vacuità del livello grossolano della mente; in questo modo la vacuità diventa l’oggetto diretto della mente sottile che è continua e si mantiene di vita in vita.
Questa mente può purificare tutte le illusioni mentali ed è il continuum della chiara luce figlia che nel momento della morte incontra la chiara luce madre che appare naturalmente, ma per un istante così fulmineo che le due non riescono a riconoscersi e questo determina il passaggio alla vita successiva nel cerchio ininterrotto del samsāra, se invece le due forme di chiara luce si riconoscessero l’unione tra le due sarebbe duratura e visibile negli esseri illuminati.
La mente è indistruttibile così come alcuni venti ed entrambi passano di vita in vita. Dal punto di vista Vajrayāna l’illuminazione si ottiene quando la mente sottile di chiara luce incontra la Chiara Luce madre permanendovi da quel momento per un tempo infinito.
La mente di Chiara Luce si esprime con tre sole parole, ma può avere moltissimi significati a seconda dei contesti, delle condizioni, non può dunque essere inquadrata in un'unica definizione.
Domanda: Puoi dare una definizione più precisa di vacuità?
Lama: Vacuità significa lo spirito di tutta l’esistenza; senza la realtà della vacuità nulla potrebbe esistere, è il fattore inseparabile di ogni fenomeno, e proprio perché le cose esistono hanno natura vacua. La vacuità è una qualità insita in tutte le cose esistenti, ma è al contempo molto lontana dai nostri occhi e dal nostro pensiero a causa dell’ignoranza che non è null’altro che la distanza che separa le nostre percezioni dalla natura di vacuità, quindi più ci avviciniamo alla vacuità più comprendiamo chiaramente noi stessi e i fenomeni, liberandoci dalle nebbie della confusione.
Domanda: Tutte le religioni agiscono sull’individuo, anche il buddismo, però la via verso la liberazione si può ottenere non solo operando su se stessi, ma anche su ciò che è all’esterno, sull’ambiente, sul samsāra?
Lama: l’individuo non è fuori dal samsāra, non esiste un unico modo di procedere, né separazione, la risposta agli eventi della vita quotidiana dipende dal livello personale della pratica, se pratichiamo la rinuncia stiamo privilegiando questo mezzo, se la bodhicitta un altro e se la saggezza un’altro ancora, ognuno individualmente deve agire secondo le proprie risorse spirituali. Se non si sono maturate le qualità del Bodhisattva e del Buddha è inutile pretendere di agire al loro livello, è necessario avere consapevolezza delle proprie possibilità e commisurare ad esse l’azione, solo così si potrà concretamente incidere nel mondo esterno, in ogni caso non si può generalizzare.
Domanda: A proposito della rinuncia, tutte le religioni promettono una vita futura migliore, soprattutto a coloro che si trovano in condizioni particolarmente miserevoli, ma io rifiuto questo concetto che presuppone un atteggiamento passivo anche rispetto ai propri diritti, c’è rinuncia e rinuncia e a volte mi pare proprio sbagliato rinunciare, ma che significa esattamente?
Lama: In qualsiasi circostanza non bisogna mai perdere la consapevolezza della via di mezzo, la rinuncia presuppone una mente capace di accontentarsi di ciò che ha, cosciente del proprio karma, delle proprie possibilità. Il karma non è definito da altri, dipende esclusivamente da noi stessi, una parte è già scritta e ne dobbiamo prendere atto, ma il restante cinquanta percento può essere modificato, tutto è nelle nostre mani. Se non siamo in grado di essere consapevolmente contenti di quanto abbiamo non potremo mai essere davvero soddisfatti e felici.
Domanda: A noi occidentali il termine “accontentarsi” piace poco, forse è fuorviante, non sarebbe meglio riferire la rinuncia non a qualcosa di definito, di materiale come un oggetto o un’idea, ma all’attaccamento in sé, cioè io posso possedere, ma senza avere attaccamento, l’accontentarsi presuppone un atteggiamento passivo o no?
Lama: Ci sono varie sfumature nella rinuncia, sicuramente non avere attaccamento è sostanziale, e ugualmente il sapersi accontentare, la mente di non attaccamento porta all’altra.
Domanda: Quando parli del cuore a quale manifestazione della mente o della coscienza o di che altro ti riferisci?
Lama: Cuore è il centro del tuo sentire puro, non condizionato. La coscienza sensoriale dipende dai sensi fisici, mentre la coscienza mentale ne è indipendente. La coscienza sensoriale deriva da tre fattori distinti: l’oggetto percepito, l’organo che percepisce, la consapevolezza della percezione, ad esempio l’occhio che vede un fiore e la consapevolezza dell’occhio danno luogo alla visione. Anche la coscienza mentale è caratterizzata da tre fattori che però sono meno palesi. L’oggetto della coscienza mentale non è fisico e la causa immediata della coscienza mentale è la coscienza mentale immediatamente precedente a quella attuale. Quando riusciamo a staccarci dalla coscienza sensoriale la coscienza mentale è più stabile ed evidente.
La coscienza mentale si manifesta a tre livelli, che non sono tra loro separati, bensì interconnessi: il livello grossolano determinato dai pensieri quotidiani; quello sottile che è simile al sonno, al sogno, anche se non è esattamente la stessa cosa e si manifesta nella pratica dello yoga, della meditazione o durante il processo di decadimento del corpo nel periodo che precede la morte poiché le percezioni sensoriali diminuiscono; e infine il livello molto sottile che è quello della chiara luce.

Grazie per la vostra presenza, concludiamo la giornata recitando la preghiera di dedica del Lam Rim e dedichiamo i meriti accumulati oggi per il benessere di tutti gli esseri senzienti. (V. testi annessi pag. VII)





La generazione di Bodhicitta


Siamo insieme anche oggi per praticare il Dharma e applicarci alla generazione di bodhicitta, lo scopo fondamentale per noi esseri ordinari, la massima intenzione di tutta la vita.
E’ indispensabile saper attuare il Dharma, la spiritualità, in base alle proprie capacità, qualità e caratteristiche. Grazie all’esperienza maturata negli anni di insegnamento vi posso assicurare che la pratica della generazione di bodhicitta è veramente efficace e i risultati concreti sono visibili e crescono di giorno in giorno, si basa sull’autentica dottrina del Buddha diffusa da Atīsa nel Lam Rim e da Sāntideva nel Bodhicaryāvatāra, il Lo Jong.
Lam Rim e Lo Jong sono il cuore, l’essenza del buddhismo tibetano introdotto per la seconda volta nel paese e che, grazie ai Geshe Kadampa che praticavano il Dharma con grande semplicità senza complicazioni burocratiche o istituzionali, ha potuto diffondersi e radicarsi con saldi valori incontrovertibili accolti da tutte le differenti scuole.
Lam Rim e Lo Jong sono la pura essenza, il centro di tutto il Dharma e la pratica di oggi, la generazione di bodhicitta, ne è la radice, il respiro, l’espressione più profonda e autentica, e dunque entriamo nell’argomento cominciando dalla lettura di alcuni versi del testo di Atīsa “La Lampada sul Sentiero verso l’Illuminazione” (V. testi annessi pag. X):
 “Mi prostro al Bodhisattva, il giovane Mañjusrī.
Rendo omaggio con grande rispetto ai Conquistatori dei tre tempi, ai loro insegnamenti e a coloro che aspirano alla virtù. Esortato dal perfetto discepolo Cianciub Ö illustrerò la lampada sul sentiero verso l’illuminazione.
I Conquistatori dei tre tempi sono i Buddha, gli esseri illuminati, coloro che hanno vinto se stessi, il primo gioiello, perché la capacità di soggiogare l’io è la più difficile sfida che ogni essere umano deve affrontare nella vita.
Il secondo gioiello, degli insegnamenti, si riferisce alla trasmissione verbale della dottrina e alla realizzazione del Dharma dei conquistatori dei tre tempi. Il Dharma esiste da sempre, non è patrimonio personale di uno specifico essere superiore, è la realtà esistente da tempo senza inizio né fine, ma deve essere introdotta, spiegata, insegnata dagli Avatāra, termine sanscrito con cui si indicano gli esseri illuminati che hanno conquistato se stessi.
Il terzo gioiello è il Sangha, l’unità di coloro che aspirano alla virtù, in tibetano si dice Gedun, Ge significa virtù e Dun aspirazione, questo è il vero significato di Sangha, tradotto in modo non corretto nelle lingue occidentali con comunità. Questo equivoco fa si che spesso si senta dire con leggerezza dai praticanti di appartenere a questo o a quel Sangha, affermazione assolutamente insensata in quanto noi, esseri ordinari, non siamo ancora l’autentico Sangha, ma poiché cerchiamo di praticare il Dharma siamo un gruppo di praticanti di buona volontà, un sangha ordinario, convenzionale.
Comprendi che ci sono tre tipi di individui poiché essi hanno capacità inferiore, media e superiore. Scriverò distinguendo chiaramente le loro caratteristiche individuali.
Sappi che coloro che ricercano per se stessi, con qualunque mezzo, nient’altro che i piaceri dell’esistenza ciclica, sono individui di capacità inferiore.
I tre tipi di individui si applicano, senza eccezione e secondo il loro grado di avanzamento, alla pratica delle sei pāramitā: generosità, moralità, pazienza, perseveranza entusiastica, concentrazione e saggezza, e l’unico elemento che li contraddistingue è la motivazione.
I praticanti di primo livello, quello più elementare, inferiore, procedono essenzialmente con l’intenzione di ottenere benefici per il samsāra delle vite future.
Coloro i quali ricercano la pace solo per se stessi, avendo voltato le spalle ai piaceri mondani e rinunciato a compiere azioni negative sono detti individui di capacità media.
La capacità media prevede la rinuncia totale al samsāra e il desiderio di raggiungere la propria personale liberazione nel nirvāna ed è un’aspirazione rivolta unicamente a se stessi.
Coloro che, attraverso la loro personale sofferenza, desiderano sinceramente far cessare tutte le sofferenze degli altri, sono persone di capacità suprema.
Il terzo livello descrive la condizione del Bodhisattva che comprende e accoglie la sofferenza altrui partendo dalla propria e sviluppa l’intenzione di bodhicitta, della grande compassione, desidera dedicare completamente se stesso per la liberazione di tutti gli esseri.
Atīsa spiega con estrema chiarezza che i diversi livelli di realizzazione della pratica non sono discriminati in base ad un giudizio di merito, né dal numero di mantra recitati o dal tipo di religione, dipendono esclusivamente dall’intenzione; questo è il Lam Rim, gli stadi del sentiero in cui secondo le personali inclinazioni e capacità mentali si formula l’adeguata motivazione e ci si impegna totalmente in essa.
Il percorso graduale è imprescindibile, per poter avanzare si deve salire la scala gradino dopo gradino raggiungendo un piano alla volta e su ognuno fermarsi per prendere fiato, riposare, pienamente consapevoli e a proprio agio; volendo accelerare l’ascesa saltando alcuni passaggi le cadute sono inevitabili e disastrose.
La precisazione di Atīsa è stata fondamentale nel buddismo tibetano perché ha interrotto le false visioni di superiorità di una pratica rispetto ad un’altra, tutte hanno uguale valore, ma per raggiungere il piano più alto, l’illuminazione, è necessario partire dal basso e progressivamente attraversare tutti gli altri.
Questo concetto di base è approfondito dagli antichi maestri Kadampa di cui leggerò ora alcuni brani in tibetano. La prima frase ribadisce che la nostra intenzione di partenza deve essere quella di praticare il Dharma non soltanto per questa vita, bensì per i benefici nelle vite future, perché se ci si limita a desiderare qualcosa per il presente non ne rimarrà nessuna traccia e tutto sarà solo fine a se stesso, mentre praticando il Dharma con lo scopo di ottenere benefici per le prossime esistenze, oltre a costruire il patrimonio di domani, i loro effetti positivi si manifesteranno già qui e ora. Maggiore è l’accoglienza generosa del proprio cuore, maggiori saranno i risultati.
La realizzazione di questa motivazione è indispensabile per poter giungere alla naturale rinuncia del samsāra, liberi da ogni attaccamento ai piaceri mondani e con la forte aspirazione al nirvāna e in questo modo godremo automaticamente, già oggi, di enormi benefici.
Solo dopo aver completato questi due livelli si può accedere al terzo, l’illuminazione, la completa buddhità, difficilmente accessibile, ma possibile, a questo punto però sorge spontanea la domanda: “perché oltre al nirvāna, alla beatitudine definitiva, devo desiderare l’illuminazione? - la risposta è semplice: perché non possiamo ignorare la sofferenza altrui, nessuno può salvare veramente soltanto se stesso nell’indifferenza per il dolore che permea gli esseri samsarici, e con quest’attitudine il cuore si dilata a dismisura nella bodhicitta, nella grande compassione, nella volontà di liberare ogni essere dalla sofferenza. L’attenzione non è più rivolta unicamente a sé stessi, alla propria realizzazione, la mente si trasforma in puro e totale altruismo.
La bodhicitta si sviluppa in due fasi, una è a livello di aspirazione e l’altra di promessa, di attuazione. Nella prima fase si desidera ardentemente di realizzare l’illuminazione per il bene di tutti gli esseri, e si è ancora in una condizione non vincolante; nella seconda invece si assume, con la consapevolezza di essere pronti ad attuarlo, l’impegno effettivo di ottenere l’obiettivo finale e questo è un voto obbligante che richiede grande cautela. Nella condizione di esseri ordinari è dunque fondamentale accettare il compito adeguato alle proprie capacità, cioè quello dell’aspirazione.
Atīsa continua spiegando come sviluppare la bodhicitta:
Per queste creature eccellenti, che aspirano alla suprema illuminazione, spiegherò i metodi perfetti tramandati dai maestri spirituali.
Di fronte a un’immagine dipinta, scolpita e così via di colui che ha raggiunto la completa illuminazione, a uno stupa e all’insegnamento eccellente, offri fiori, incenso e qualunque altro bene possiedi.
L’immagine del Buddha non raffigura in particolare la persona storica del Buddha Sākyamuni, è generale e rappresenta il corpo di colui che ha raggiunto l’illuminazione, lo stupa descrive la mente, il cuore del Buddha, e i libri l’insegnamento, le parole del Buddha. Le offerte non presuppongono affatto la necessità di avere nella propria casa un altare su cui disporle, oggi con spazi così ridotti sarebbe anacronistico, ciò che conta è l’offerta mentale, con l’immaginazione si possono presentare i doni più puri e preziosi. Le offerte sono di due tipi, convenzionale e non convenzionale, l’offerta convenzionale è quella concreta con oggetti materiali, quella non convenzionale è mentale, immaginaria; questa è la bellezza del buddhismo tibetano che lascia spazio a una grande immaginazione, il livello spirituale, mentale, è il più importante.
Con l’offerta in sette parti dalla [Preghiera della] Nobile Condotta, con il pensiero di non tornare indietro finché non raggiungi l’illuminazione ultima,
e con una forte fede nei Tre Gioielli, inchinati con un ginocchio a terra e, con le mani giunte, per prima cosa prendi rifugio tre volte.
Quindi, iniziando col generare un pensiero d’amore per tutte le creature viventi, considera gli esseri, senza nessuna esclusione, tormentati dalle tre cattive rinascite, tormentati dalla nascita, dalla morte e così via.
Allora, dal momento che desideri liberare questi esseri dalla sofferenza del dolore, dalla sofferenza e dalla causa della sofferenza, fai sorgere immutabilmente la determinazione di raggiungere l’illuminazione.
In questi versi si spiega come sviluppare la bodhicitta.
Nei versi seguenti illustra i benefici derivanti dalla bodhicitta.
Le qualità per sviluppare questo tipo di aspirazione sono completamente illustrate da Maitreya nel Sutra della sequenza dei tronchi.
Avendo appreso di tutti gli infiniti benefici che derivano dall’intenzione di raggiungere la completa illuminazione leggendo questo sutra o ascoltandolo da un maestro, falla sorgere ripetutamente per renderla stabile.
Citerò brevemente a questo punto i tre versi del Sutra richiesto da Viradatta nel quale i meriti suddetti sono pienamente illustrati.
Se i meriti di questa intenzione altruistica dovessero assumere una forma fisica riempirebbero completamente lo spazio e si espanderebbero oltre.
Se qualcuno offrisse ai protettori dell’universo gioielli in tal numero da riempire i campi puri dei Buddha pari ai granelli di sabbia del Gange,
tale offerta sarebbe inferiore al dono di congiungere le mani e disporre la propria mente verso l’illuminazione, perché tali meriti sono senza limite.
Su questo tema troviamo una ulteriore preziosa spiegazione nel Bodhicaryāvatāra di Sāntideva, un testo fondamentale per i praticanti del Lo Jong. Continuando ad analizzare l’essenza del Lam Rim leggiamo insieme I Tre Aspetti Principali del Sentiero (V. testi annessi pag. IV).

Segue lettura

Cominciando da noi stessi, dalle nostre condizioni, riflettiamo su questa vita, su quelle future, sulla rinuncia, sul nirvāna fino alla completa illuminazione, concentriamoci nella comprensione della sofferenza, nostra e di tutti gli esseri senzienti, così da permettere la naturale generazione dell’aspirazione a sviluppare la grande compassione, facciamolo ogni giorno e trasformeremo realmente la mente e le nostre qualità cresceranno visibilmente perché l’aspirazione alla bodhicitta è la pratica più completa.
Non importa quanto realizzeremo effettivamente, ciò che conta è mantenere viva in sé quest’attitudine, l’aspirazione a concretizzare un giorno il desiderio di beneficiare gli altri, senza alcun attaccamento, né per la bodhicitta né per il Dharma né per il Buddha.
L’attaccamento agli oggetti spirituali è più grave e pericoloso dell’attaccamento alle cose mondane, perché è la causa di ogni fanatismo, fondamentalismo e integralismo, è la contraddizione totale di ogni vera spiritualità. Dunque è necessario, con serena tranquillità e senza attaccamento, aspirare al Buddha, al Dharma e al Sangha.
Leggiamo insieme i Versi per Generare la Bodhicitta:

Purificazione del Luogo
“Possa la superficie della terra, in ogni direzione, essere pura, senza asperità e imperfezioni, soffice e liscia come il palmo della mano di un bambino, naturalmente levigata come i lapislazzuli.

Presentazione delle Offerte
Possano le offerte degli umani e dei deva, quelle effettivamente preparate, quelle immaginate e le nuvole delle ineguagliabili offerte di Kuntu Zangpo, pervadere la totalità dello spazio.
«OM NAMO BHAGAVATE, VAJRA SARA PRAMARDANE TATHAGATAYA, ARHATE SAMYAK SAM BUDDHAYA, TADYATHA, OM VAJRE VAJRE, MAHA VAJRE, MAHA TEJRA VAJRE, MAHA VIDYA VAJRE, MAHA BODHICITTA VAJRE, MAHA BODHI MANDOPA SAMKRAMANA VAJRE, SARVA KARMA VARANA VISCIODHANA VAJRE SOHA.»
Questo è un mantra molto importante, davvero bello e i tibetani credono che con la sua recitazione si realizzi automaticamente il livello di aspirazione, ma naturalmente tutto dipende dalla condizione individuale.

Potere della Verità:
“Per il potere della verità dei tre gioielli del rifugio, per la grande energia ispiratrice di tutti i Buddha e i Bodhisattva, per l’imponente raccolta completa di merito e di saggezza, per il potere della vacuità inconcepibile e pura, possano tutte queste offerte rivelare la loro natura.”

Pratica dei Sette Rami:
“Oh leoni fra gli uomini, Buddha passati, presenti e futuri, a quanti di voi esistono nelle dieci direzioni, mi prostro con corpo, parola e mente.
Sulle onde della potenza di questa regina delle preghiere, per i metodi supremi e sublimi con corpi numerosi come gli atomi del mondo, mi prostro ai Buddha che pervadono lo spazio.
In ogni atomo si trova un Buddha che siede tra gli innumerevoli figli di Buddha; con sguardo fiducioso mi rivolgo ai Vittoriosi che riempiono l’intero Dharmadhātu.
A coloro che hanno infiniti oceani di eccellenza, con un oceano di prodigiosa parola canto lodi alla grandezza di tutti i Buddha: un elogio a coloro che sono andati nella beatitudine.
Offro loro ghirlande di fiori, parasoli decorati, musiche piacevoli e profumi eccelsi; offro a tutti i Vittoriosi lampade al burro e sacro incenso purissimo.
Cibo eccellente, fragranze supreme e un cumulo di sostanze mistiche alto come il monte Meru dispongo in un ordine speciale e offro a coloro che hanno conquistato se stessi.
Elevo tutte le offerte impareggiabili con ammirazione per coloro che sono andati nella beatitudine con la forza della fede nei metodi sublimi, mi prostro e faccio offerte ai Conquistatori.
Da lungo tempo, sopraffatto da attaccamento, odio e ignoranza, con il corpo, la parola e la mente ho compiuto innumerevoli azioni negative. Ora le confesso tutte senza omissioni.
Nelle perfezioni dei Buddha, Bodhisattva, Arhat, sul sentiero e nella potenziale bontà di tutti gli esseri viventi, elevo il mio cuore e gioisco.
Oh luci dell’universo, Buddha che otteneste lo stato dell’illuminazione incontaminato, a tutti voi rivolgo questa richiesta: fate girare l’incomparabile “ruota del Dharma”.
Oh maestri che volete mostrare il Parinirvāna, vi prego di restare con noi e insegnare per tanti eoni quanti sono i granelli di polvere, per portare gioia e virtù a tutti gli esseri.
Possa qualunque merito accumulato tramite queste prostrazioni, offerte, purificazioni, rallegrandomi e chiedendo ai Buddha di rimanere e insegnare il Dharma, essere dedicato all’illuminazione suprema e perfetta, affinché, al più presto, io liberi dalla sofferenza tutti gli esseri.”

Offerta del Mandala:
“Con fede inamovibile nei miei guru, yidam e tre preziosi gioielli, offro il prezioso mandala ingioiellato, altre purissime offerte, ricchezze, tutte le virtù create da chiunque nel passato, nel presente e nel futuro con il corpo, la parola e la mente. Accettandole con la vostra infinita compassione, mandatemi onde di energia ispiratrice.
IDAM GURU RATNA MANDALA KAM NIRYATA YAMI”

Infine dichiariamo le nostre intenzioni per la generazione di bodhicitta, della grande compassione, da cui nasce automaticamente e istantaneamente l’aspirazione a raggiungere l’illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti, questa è la nostra precisa responsabilità personale per il bene universale, e ricordando che il nostro impegno rimane a livello di aspirazione, non è un voto, ripetiamo per tre volte i versi della 

Generazione di Bodhicitta:
“Con il desiderio di liberare tutti gli esseri,
Fino al raggiungimento dell’essenza dell’illuminazione
Prenderò sempre rifugio
Nel Buddha, nel Dharma, nel Sangha.
Con saggezza, amore e compassione
Mi sforzerò di recare beneficio agli esseri senzienti.
Stando davanti ai Buddha,
Genero la mente della completa illuminazione

Quattro Meditazioni Illimitate:
“Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero equanimi, senza attaccamento né ostilità, non vicini a qualcuno e distanti da altri. Possano dimorare nell’equanimità. Io farò in modo che vi dimorino. Vi prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.
Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti avessero la felicità e le sue cause, Possano essi averla. Io farò in modo che la posseggano. Vi prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.
Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero liberati dalla sofferenza e dalle sue cause. Possano esserne liberati. Io farò in modo che ne siano liberati. Vi prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.
Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti non fossero privi della gioia delle rinascite elevate o della liberazione completa. Possano non esserne mai privi. Io farò in modo che essi non ne siano separati. Vi prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.”

***
Fino a quando durerà lo spazio
E fino a quando esisteranno gli esseri senzienti,
Fino a quel momento io resterò
Per disperdere le sofferenze degli esseri

(Sāntideva)

Leggiamo ora dal capitolo primo del Bodhicaryāvatāra di Sāntideva, “Elogio alla mente del Risveglio” dal verso quindicesimo:
Tale mente del risveglio si dovrebbe intendere come di due tipi; in sintesi: la mente risolta al risveglio e la mente che procede verso il risveglio.
Dai savi deve essere conosciuta la distinzione fra queste due così come si riconosce la distinzione fra chi desidera andare e chi sta andando, secondo tale ordine.
Dalla mente risolta al risveglio anche in un’esistenza ciclica proviene un grande frutto, ma niente di simile al merito ininterrotto che proviene da tale risoluzione, quando messo in atto.
Qui è descritto il valore della pratica di aspirazione di cui dobbiamo senza fine avere consapevolezza, perché se anche i frutti immediati sono pochi, i benefici nel samsāra sono comunque moltissimi, e noi abbiamo bisogno di questo aiuto per procedere nel sentiero e soprattutto sono indispensabili alla preparazione, alla maturazione del successivo ed effettivo impegno nella bodhicitta.
Il Dharma può essere praticato soltanto con intelligenza, con consapevolezza delle proprie capacità individuali, non sopravvive alla superficialità, all’incoscienza o, peggio, alla presunzione arrogante, la pratica del Dharma non può essere imposta da nulla e da nessuno, non è un evento esterno, è una realtà naturale che si può comprendere solo nell’umiltà, nella semplicità dei maestri Kadampa, di san Francesco.
Procediamo nella lettura dal verso ventunesimo:
Un merito incommensurabile si impossessò della persona ben intenzionata che pensò: “Farò scomparire il mal di testa degli esseri”.
Che dire dunque di colui che desidera rimuovere l’agonia senza pari di ciascun essere, di colui che desidera rendere infinita la virtù di ciascun essere?
Quale madre o padre mai avrebbe un simile desiderio per il loro benessere, quali divinità o saggi o Brahmā l’avrebbero mai?
Quegli esseri non concepirono prima un desiderio così, neppure per se stessi, neppure in sogno. Come potrebbero concepirlo per l’altrui vantaggio?
Un tale essere, senza precedenti, un gioiello eccellente, in cui è sorto interesse per il benessere degli altri come gli altri esseri non hanno neppure per sé, come è nato costui?
Di quel gioiello, la mente, di quel seme di pura felicità nel mondo e rimedio per la sofferenza del mondo, come si potrà mai misurare il merito?
La venerazione del Buddha è unicamente superata dal desiderio per il benessere degli altri; quanto più lo sarà dall’impegno continuo per la completa felicità di ogni essere?

Questi sono i benefici derivanti dallo sviluppo della bodhicitta, del buon cuore. Concludiamo il bellissimo incontro di oggi dedicando i meriti a tutti gli esseri senzienti, recitiamo gli Otto versi di Trasformazione della Mente (V. testi annessi pag. I) e meditiamo qualche minuto sulla bodhicitta.

(Segue lettura e meditazione)

Oggi abbiamo toccato il cuore del Lam Rim e del Lo Jong ed è ciò che dobbiamo cercare di portare avanti ogni giorno della nostra vita, grazie.






Le quattro condizioni della vita»


Buon giorno a tutti, oggi sono un po’ malato, anche se mi sento decisamente meglio rispetto ai giorni scorsi; quando non si sta bene fisicamente si usufruisce di un’ottima occasione per riposare, per riflettere sulla quantità di pensieri inutili che affollano la mente, è una bella esperienza. In tibetano c’è un detto:  “per gli esseri umani è bene ammalarsi, ma non è bene morire” infatti con la morte la vita finisce, invece la malattia è una buona lezione per gli esseri umani, è una delle basilari condizioni dell’esistenza, un’esperienza importante.
Nascita, invecchiamento, malattia e morte sono quattro condizioni inevitabili della vita. Noi non ricordiamo l’esperienza della nascita e nemmeno rammentiamo le sensazioni che avevamo nell’utero materno, forse ci sentivamo prigionieri in uno spazio angusto e venendone fuori abbiamo avuto un impatto violento con qualcosa di assolutamente sconosciuto, e tutto questo è sofferenza.
Inoltre non è necessario lasciar passare del tempo e aspettare di avere un’età avanzata per confrontarsi con l’invecchiamento che inizia esattamente nel momento successivo alla nascita, istante in cui comincia anche il nostro cammino verso la morte. Ci sono diversi modi per definire l’invecchiamento, lo si può identificare con la crescita, la maturazione, la decadenza e l’avvicinamento alla fine di questa esistenza, in ogni caso non vi è modo di fermare il viaggio, sia che dormiamo o siamo svegli, siamo felici o tristi, pratichiamo la meditazione o no, il processo procede inesorabilmente.
L’invecchiamento non significa essere anziani, è un fenomeno inesorabile, costante e nel periodo intercorrente tra la nascita e la morte si presenta la malattia, un grande problema, la temiamo e tutti, in un modo o nell’altro, ne abbiamo avuto esperienza, la salute assoluta non esiste, anche quando pensiamo di stare benissimo non siamo invulnerabili e dobbiamo regolarmente preoccuparci di nutrire questo fragile corpo, il cibo è la medicina che cura la fame, poi è necessario ripararlo dal freddo o dal caldo, farlo riposare, è veramente un fastidioso lavoro ininterrotto!... 
Non esiste momento in cui siamo completamenti affrancati dalla malattia, né momento che ci liberi dall’invecchiamento, né momento in cui non ci stiamo avvicinando alla morte, queste fasi della vita sono certe ed è dunque imprescindibile imparare a riconoscerle, a comprenderle, a familiarizzare con esse.
Qualsiasi malattia, anche l’influenza che è comunque molto leggera, è utile all’apprendimento e comprensione del suo significato, di conseguenza quando ci ammaliamo non dovremmo deprimerci, ma gioire di quest’ottima occasione per liberarci dai consueti pensieri inutili e caotici, dalle chiacchiere mentali e se sappiamo fermarci e integrare la tecnica meditativa nella riflessione sulla realtà della malattia trarremmo un grande beneficio. 
Io ho vissuto molti anni in grande monastero dove, lo dice il termine stesso, ognuno è solo, lontano dalla famiglia, e quando ci si ammala mancano tutte le attenzioni che si riceverebbero nella propria casa, il massimo che si può avere è un po’ d’acqua calda perché in Tibet si crede che questa sia la miglior medicina. Il però Buddha è stato molto attento e comprensivo nei confronti dei malati, e prescrivendo le regole monastiche ha stabilito che per tutta la durata della malattia il monaco sia sollevato dagli impegni ordinari, è sufficiente che comunichi questo suo stato al maestro di disciplina.
Questa è dunque una magnifica opportunità per dormire e riposare e certamente alcuni soggetti ne approfittano, si dichiarano perennemente malati tanto che alla fine si ammalano veramente, perché il karma può anche tornare indietro come un boomerang quasi immediatamente. Però nessuno di noi conosce realmente la condizione di queste persone, potrebbero essere solo pigri oppure yogi che meditano sulla malattia, ogni essere umano custodisce il proprio segreto nel cuore, per questo nessuno può giudicare un altro essere, una regola che in monastero si pratica comunemente e senza difficoltà perché è buona consuetudine imparare l’equanimità, nel rispetto della libertà nostra e altrui, al contrario in occidente c’è molta arroganza, si è sempre categorici, lapidari, pare proprio non esistere la minima idea della via di mezzo, tutto è giusto o sbagliato, bianco o nero…
La quarta condizione della vita riguarda la morte, non sappiamo quando verrà, anche se è un evento certo e facilmente verificabile, una persona in perfetta salute ora, può nell’istante immediatamente successivo morire per varie improvvise cause, è sufficiente che si arresti il respiro; dobbiamo dunque essere sempre pronti ad affrontare la morte, anche se non è semplice prepararsi a un evento per noi misterioso, è più semplice restare ancorati agli eventi tangibili della vita ed è ciò che facciamo ogni giorno anche se per questo non è affatto necessaria una preparazione, si vive e basta. La morte invece avverrà una sola volta e dunque non si può ignorarne il peso, la si deve accogliere con piena consapevolezza.
La nascita, l’invecchiamento, la malattia e la morte sono le quattro caratteristiche dell’esistenza e sono un buon oggetto di meditazione, così come lo è la meditazione sulla consapevolezza del corpo, delle sensazioni, della mente e dei fenomeni.
Quando guardiamo il nostro corpo ci sembra puro e pulito, ma è un’illusione, nessun parametro può definire inequivocabilmente tali caratteristiche; le sensazioni incrementano in noi attaccamento o avversione, ad esempio il piacere che afferriamo con bramosia in realtà è sofferenza; gli oggetti che vediamo assolutamente come permanenti in realtà sono impermanenti; infine c’è l’assenza di un sé, consideriamo noi stessi e i fenomeni come esistenti sostanzialmente, mentre in realtà non esistono affatto in maniera sostanziale.
Queste sono le quattro visioni errate: ritenere puro ciò che è impuro, gioia ciò che è pena, la realtà impermanente come permanente, i fenomeni inesistenti sostanzialmente come se esistessero sostanzialmente, tutto questo rappresenta un ostacolo potente che ci impedisce di comprendere il vero senso delle quattro condizioni della vita: nascita, invecchiamento, malattia, e morte.
Queste illusioni che bloccano la giusta visione della realtà sono la base su cui impostare la meditazione in modo da poter trasformare la confusione in chiarezza, comprendere il Dharma e affrontare la vita con saggezza.
E’ indispensabile meditare tutti i giorni sulle quattro condizioni della vita e sui quattro ostacoli che ne impediscono la comprensione, non dobbiamo mai dimenticarli perché questo significherebbe dimenticare, annullare se stessi.
Adesso leggeremo lentamente i Tre Aspetti Principali del Sentiero, riflettendo sul significato di ogni verso (V. testi annessi pag. IV).

Segue lettura

Leggiamo il Sūtra del Cuore (V. testi annessi pag. II).

Segue lettura e meditazione

- Pausa -
Sto seguendo, per la spiegazione, un antico testo del Geshe Kadampa Potowa, è bellissimo, ma ho qualche difficoltà a comprendere questo antico dialetto tibetano. Traduco alcuni passaggi:
La sofferenza è parte della vita, è dovuta alla natura impermanente, ed è necessario saperne cogliere la qualità, la sofferenza è la miglior medicina e abbandonando ogni desiderio, attaccamento ai piaceri mondani, se ne raggiunge la piena consapevolezza che è condizione imprescindibile per sottomettere la mente e praticare il Dharma.
Il testo continua confermando la qualità della sofferenza, medicina essenziale alla pratica del Dharma perché su di essa fondano tre basilari pratiche della pazienza:
accettare la sofferenza;
rimanere serenamente equanimi di fronte a qualsiasi tipo di problemi, difficoltà, aggressioni;
avere ininterrotta consapevolezza del Dharma, metterlo sempre al primo posto e difenderlo anche a costo della vita.
Per i maestri Kadampa la pratica del Dharma è semplicissima, essenziale, ma certamente difficile e dura per noi, implica una piena cosciente responsabilità, si deve trasformare se stessi, eliminare l’ego al punto che nemmeno i vicini di casa possano riconoscerci; occupare l’ultimo posto con sincera umiltà, indossare abiti semplici, abbandonare la propria patria, non desiderare nulla per questa vita.
San Francesco, come i maestri Kadampa, ha realizzato alla lettera queste condizioni, con estrema semplicità e grande forza si è sciolto dal samsāra e anche se per noi è arduo attuare questa completa spogliazione, è comunque doveroso lo sforzo e l’impegno in tal senso perché solamente il controllo e la gestione della propria mente permette lo stato inalterato di benessere, i fattori esterni sono assolutamente ininfluenti, la compassione, la generosità e la pazienza sono gli strumenti per conquistare la gioia, la chiarezza mentale, mentre l’attitudine a giudicare gli altri con rabbia, disprezzo e avversione è l’esatto opposto e provoca infelicità e confusione.
Non riconoscendo la natura della mente non si otterrà mai la tranquillità in quanto la mente sarà costantemente agitata e instabile.
Colui che sa riconoscere la qualità della sofferenza dimostra la validità della propria pratica.
Il non-attaccamento totale è segno di intelligenza.
La capacità di rimanere equanimi e fermi di fronte a qualsiasi ostacolo è segno di stabilità spirituale.
Questi enunciati sono il prezioso messaggio dei maestri Kadampa che hanno dedicato incondizionatamente la vita alla pratica del Dharma.
Non è facile inserire il Dharma nella quotidianità, ma è possibile, il Dharma non ha contraddizioni, valorizza gli eventi del mondo e il nostro compito consiste nel trovarne il punto di integrazione, non può esistere separazione, laddove la si veda c’è l’errore, che però si evita permanendo nella via di mezzo, nella giusta misura. Il valore del mondo è il Dharma, dobbiamo dunque vivere nel mondo con il valore del Dharma.
Concludiamo dedicando l’accumulazione dei meriti del passato, del presente e del futuro per il beneficio di tutti gli esseri senzienti, e offriamo una dedica particolare a tutti gli amici del Lam Rim che camminano con noi su questi sentieri.

Grazie a tutti!

***







TESTI   ANNESSI 


Otto Versi di Trasformazione della Mente
appartengono ad un importantissimo testo scritto da Kadampa Geshe Langri Tangpa, (XII° secolo) e fanno parte del Lo Jong, poema composto nel periodo della scuola Kadam. - La traduzione italiana è stata effettuata dall’Istituto Lam Rim di Roma.

Considerando tutti gli esseri senzienti
superiori alla gemma che esaudisce i desideri 
per realizzare il fine supremo
possa io costantemente prenderli a cuore.

Quando sarò con gli altri, 
riterrò me stesso come il meno importante,
e mi prenderò cura di loro fin nel profondo del cuore
come se ognuno fosse il più elevato degli esseri.

Vigile, ogni volta che sorge un’emozione negativa
Che possa nuocere me o gli altri,
l’affronterò e l’eliminerò
senza indugio.

Vedendo esseri in preda alla malvagità
Intenti a violente azioni negative, sopraffatti da sofferenze, 
avrò sempre cura di tali creature così rare,
come se avessi trovato un tesoro prezioso.

Quando altri, per invidia, mi maltratteranno,
mi insulteranno o faranno cose simili,
accetterò la sconfitta e offrirò la vittoria.

Quando qualcuno a cui ho fatto del bene
e in cui ho riposto grandi speranze
mi infligge un danno terribile,
lo considererò il mio santo amico spirituale.

(ripetere 3 volte) In breve, direttamente e indirettamente, offro
ogni beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri;
possa io segretamente prendere su di me
tutte le loro azioni negative e sofferenze.

Possa la pratica non essere mai contaminata dalle idee causate
dalle otto preoccupazioni mondane,
e, consapevole che tutte le cose sono illusorie,
possa io, privo di attaccamento, essere libero dal samsara.




Il Cuore della Perfezione della Saggezza”
Il titolo sanscrito è : Bhagavati  Prajna Paramita Hridaya
Così una volta udii:
Il Bhagavan dimorava a Rajagrha, presso il Picco dell’Avvoltoio, con un gran numero di Arhat e un gran numero di Bodhisattva e a quel tempo il Bhagavan era entrato nell’assorbimento meditativo sulla varietà dei fenomeni chiamato “percezione profonda”. In quello stesso tempo, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, era assorto nella stessa pratica della profonda perfezione della saggezza e vide che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca.
Quindi, tramite l’ispirazione del Buddha, il venerabile bikshu Shariputra si rivolse all’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva e gli disse: “come deve addestrarsi un figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza?”
Quando fu detto questo, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, rispose al venerabile bikshu Shariputra e disse: “Shariputra, ogni figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza, dovrebbe vedere chiaramente nel seguente modo: dovrebbe vedere distintamente che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca”.
“La forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che forma, la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza. Quindi, Shariputra, tutti i fenomeni sono vacuità; essi sono privi di caratteristiche peculiari; non sono nati, non cessano; non sono contaminati, non sono incontaminati; non sono incompleti e non sono completi.”
“Quindi, Shariputra, nella vacuità non c’è forma, né sensazioni, né percezioni, né formazioni mentali, né coscienza. Non c’è occhio, né orecchio, né naso, né lingua, né corpo, né mente. Non c’è forma, né suono, né odore, né gusto, né oggetti concreti, né oggetti mentali. Non c’è nessun elemento visivo, così fino a nessun elemento mentale fino a includere nessun elemento della coscienza mentale. Non c’è ignoranza, non c’è estinzione dell’ignoranza, e così fino a nessun invecchiamento e morte, e nessuna estinzione dell’invecchiamento e della morte. Allo stesso modo, non c’è sofferenza, origine, cessazione o sentiero; non c’è saggezza, né ottenimento e neppure mancanza di ottenimento.”
“Quindi, Shariputra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti, si basano e dimorano nella perfezione della saggezza. Non avendo oscuramenti nelle loro menti, essi non hanno paura, ed essendo andati totalmente oltre l’errore, essi raggiungono la meta finale: il nirvana. Tutti i Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto il pieno risveglio dell’insuperabile, perfetta illuminazione, basandosi su questa profonda perfezione della saggezza”.
“Quindi, si dovrebbe sapere che il mantra della perfezione della saggezza – il mantra della grande conoscenza, il mantra supremo, il mantra uguale a ciò che non ha uguale, il mantra che fa tacere tutte le sofferenze – è vero perché non è ingannevole. Si proclama il mantra della perfezione della saggezza:
TADYATHA GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
Shariputra, così i Bodhisattva mahasattva dovrebbero addestrarsi alla profonda perfezione della saggezza”.
Quindi, il Bhagavan si svegliò dal suo assorbimento meditativo e lodò l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, dicendo che era eccellente.
“Eccellente! Eccellente! Figlio del lignaggio dei Bodhisattva, è proprio così; dovrebbe essere così. Bisogna praticare la profonda perfezione della saggezza proprio così come hai rivelato. Perciò anche i Tathagata se ne rallegreranno”.
Come il Bhagavan pronunciò queste parole, il venerabile bikshu Shariputra, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, insieme all’intera assemblea, inclusi i mondi degli dei, degli umani, degli asura e dei gandharva, tutti gioirono e lodarono ciò che il Bhagavan aveva detto. 

Nota: La traduzione italiana di questo testo, con le note, è stata redatta dall’ Istituto Lam Rim di Roma dal testo originale in tibetano e con l’ausilio delle traduzioni inglesi.




I tre Aspetti Principali del Sentiero

Testo insegnato dall’erudito monaco Lobsang (Tsong Khapa ) a Tsa Kho Vonpo Ngawang Drakpa. - Traduzione e note a cura di Geshe Gedun Tharchin - La traduzione italiana è stata effettuata dall’Istituto Lam Rim di Roma.

Porgo omaggio ai venerabili Lama.

Spiegherò, come meglio posso,
il significato essenziale di tutte le Scritture del Buddha,
il sentiero lodato dagli eccellenti Bodhisattva,
la via d’accesso per il fortunato che anela alla liberazione.

Coloro che non sono attaccati ai piaceri dell’esistenza mondana,
coloro che si sforzano per rendere utili le circostanze favorevoli e la fortuna,
coloro che propendono per il sentiero che compiace Buddha ,
questi fortunati dovrebbero ascoltare con mente attenta.

Senza una rinuncia completamente pura,
non vi è modo di frenare l’ardente ricerca di piaceri nell’oceano dell’esistenza.
Inoltre, l’attaccamento all’esistenza ciclica imprigiona completamente gli esseri incarnati.
Quindi, sin dall’inizio, bisognerebbe cercare di realizzare la rinuncia.

Le circostanze favorevoli e la fortuna sono difficili da ottenere
e la vita non è lunga,
familiarizzando con ciò, si elimina l’attaccamento alle apparenze di questa vita.
Riflettendo costantemente sul karma e sui suoi inevitabili effetti
e sulle sofferenze del samsara,
si elimina l’attaccamento alle apparenze delle vite future.

Se, avendo meditato in tal modo, non nasce nessun desiderio
per i piaceri dell’esistenza ciclica,
e se costantemente, giorno e notte, sorge un’aspirazione alla liberazione, 
allora la rinuncia è stata generata.


Tuttavia, se questa rinuncia non viene unita alla generazione
di una completa aspirazione alla più alta illuminazione,
non diverrà causa della meravigliosa beatitudine dell’insuperabile Bodhi.
Perciò il saggio dovrebbe generare il supremo Bodhicitta.

Gli esseri samsarici vengono trascinati dalla corrente dei quattro potenti fiumi,
sono legati con le strette catene del karma, difficile da eliminare,
sono entrati nella gabbia di ferro dell’attaccamento al Sé,
sono completamente oscurati dalle fitte tenebre dell’ignoranza,

nascono nell’esistenza senza limiti, e nelle loro nascite
vengono incessantemente torturati dalle tre sofferenze.
Riflettendo in tal modo circa la condizione delle madri che si trovano in tale stato,
genera la suprema intenzione altruistica di divenire un Risvegliato.


Se non possiedi la saggezza che comprende la vera natura delle cose,
sebbene tu abbia sviluppato la rinuncia e il Bodhicitta,
la radice del samsara non può essere estirpata.
Quindi, impegnati intensamente per realizzare l’origine interdipendente.

Colui che vede come inevitabile la realtà di causa ed effetto di tutti i fenomeni
nel samsara e nel nirvana,
distrugge totalmente ogni percezione errata
ed è entrato nel sentiero che compiace i Buddha.

Fin quando le due realizzazioni, quella delle apparenze,
ovvero l’inevitabilità dell’origine interdipendente
e quella della Vacuità, ovvero la non-asserzione,
vengono considerate separate, non vi è ancora la realizzazione 
del pensiero di Buddha Shakyamuni.

Quando le due realizzazioni esistono simultaneamente, senza alternarsi,
e la semplice percezione dell’inevitabilità dell’origine interdipendente eliminerà
la concezione di un’esistenza intrinseca,
allora l’analisi della visione è completa.

Inoltre, l’estremo dell’esistenza è eliminato dall’apparenza,
e l’estremo della non-esistenza è eliminato dalla Vacuità.
Se comprenderai che la Vacuità appare come causa ed effetto,
non sarai preda delle visioni estremiste.

Quando avrai realizzato correttamente 
i punti essenziali dei tre aspetti principali del sentiero,
dimora in solitudine e genera il potere della perseveranza entusiastica.
Raggiungi presto la tua meta finale, figlio mio.





Dedica e preghiera conclusiva

Composta da Geshe Gedun Tharchin il 3 novembre 2000 - versione originale in tibetano



La Vittoriosa tradizione dei Buddha come fondamento di Pace e Felicità,
Medicina per illuminare le sofferenze di tutti gli esseri senzienti,
Tesoro che realizza le speranze degli esseri viventi dei tre reami,
Gioiello che soddisfa simultaneamente i desideri propri e altrui.

Dal profondo del mio cuore porgo il mio rispetto ai Maestri,
che mi hanno indicato senza errori i metodi per seguire 
il Percorso Fondamentale, come affidarmi ad una guida spirituale
fino a raggiungere, tramite la pace, la completa Illuminazione.

(x 3) Possano tutti gli esseri, e noi stessi, incontrare la felicità
Realizzando la rinuncia, la mente del non-attaccamento,
il Bodhicitta, la mente altruistica verso infiniti esseri senzienti, 
 la Vacuità, la massima visione della Chiara Luce.
CANTICO SULLA VISIONE MĀDHYAMIKA CON LE QUATTRO CONSAPEVOLEZZE PER RICEVERE LA PIOGGIA DI SIDDHI DEL SETTIMO DALAI LAMA

Questa speciale istruzione venne data direttamente da Mañjusri al maestro Tsong-Khapa.
Il cantico spirituale su come mantenere le quattro consapevolezze, unito ad un’istruzione sulla meditazione sulla visione della vacuità, è stato composto dal monaco buddhista Kelsang Gyatso per creare la predisposizione alla corretta visione in sé e negli altri. - Versione italiana a cura dell’istituto Lam Rim, Roma
***

Ge leg phel




***

1)   La Consapevolezza del Guru, del vero Maestro spirituale

Sull’immutabile sede
Dell’unione di Metodo e Saggezza,
Siede il Maestro gentile,
L’Incarnazione di tutti i rifugi,
Un Buddha che ha completato l’abbandono e la realizzazione.
Avendo abbandonato ogni concezione errata verso Lui,
Pregalo con concezione pura.
Non lasciando divagare la tua mente poni in Lui fede e rispetto,
Con Consapevolezza.


2)   La Consapevolezza della Compassione

Nella prigione della sofferenza del samsara vagano gli esseri di sei tipi, privi di felicità.
Li vi sono i genitori che ci hanno nutrito con grande gentilezza.
Abbandonando l’attaccamento e l’avversione,
Medita con amore e compassione, 
senza lasciare che la tua mente divaghi
Mantienila salda nella compassione,
Senza dimenticarti
Mantienila salda nella compassione.


3)    La Consapevolezza della Divinità

Nel Divino Palazzo della grande beatitudine
Piacevole a provarsi,
Risiede il corpo della divinità:
Il corpo di se stessi
Con aggregati ed elementi puri.
Una divinità personale inseparabile
Dai tre corpi vi si trova.
Senza concepirli come ordinari,
Coltiva l’identità e il sembiante divini.
Senza lasciare che la tua mente divaghi,
Ponila nel profondo e luminoso
Senza scordarti
Mantienila nel profondo e luminoso.


4)   La Consapevolezza della Visione della Vacuità

Il mandala di tutti gli oggetti della conoscenza
Che vengono percepiti o che esistono
E’ pervaso dalla chiara luce, 
Che è la realtà ultima.
Un inesprimibile, reale modo d’esistenza
E’ li presente.
Abbandona le elaborazioni concettuali,
Osserva la natura della Vacuità.
Senza lasciare la tua mente divagare,
Ponila in ciò che è,
Senza distrarti,
Mantienila in ciò che è.

Nel congiungimento delle molteplici apparenze
Delle sei coscienze,
Si vede la confusione dell’apparenza dualistica di fenomeni insostanziali, senza base,
Là inganno e magia.
Senza concepirla come vera
Osserva la natura della Vacuità.
Senza che la tua mente divaghi,
Ponila nell’apparenza e Vacuità.
Senza distrarti,
Mantienila nell’apparenza e Vacuità.

Atīsa La Lampada sul Sentiero verso l’Illuminazione
(Trascrizione del testo: Fabio Di Donna).

Mi prostro al Bodhisattva, il giovane Mañjusrī.
Rendo omaggio con grande rispetto ai Conquistatori dei tre tempi, ai loro insegnamenti e a coloro che aspirano alla virtù. Esortato dal perfetto discepolo Cianciub Ö illustrerò la lampada sul sentiero verso l’illuminazione.
Comprendi che ci sono tre tipi di individui poiché essi hanno capacità inferiore, media e superiore. Scriverò distinguendo chiaramente le loro caratteristiche individuali.
Sappi che coloro che ricercano per se stessi, con qualunque mezzo, nient’altro che i piaceri dell’esistenza ciclica, sono individui di capacità inferiore.
Coloro i quali ricercano la pace solo per se stessi, avendo voltato le spalle ai piaceri mondani e rinunciato a compiere azioni negative sono detti individui di capacità media.
Coloro che, attraverso la loro personale sofferenza, desiderano sinceramente far cessare tutte le sofferenze degli altri, sono persone di capacità suprema.
Per queste creature eccellenti, che aspirano alla suprema illuminazione, spiegherò i metodi perfetti tramandati dai maestri spirituali.
Di fronte a un’immagine dipinta, scolpita e così via di colui che ha raggiunto la completa illuminazione, a uno stupa e all’insegnamento eccellente, offri fiori, incenso e qualunque altro bene possiedi.
Con l’offerta in sette parti dalla [Preghiera della] Nobile Condotta, con il pensiero di non tornare indietro finché non raggiungi l’illuminazione ultima,
e con una forte fede nei Tre Gioielli, inchinati con un ginocchio a terra e, con le mani giunte, per prima cosa prendi rifugio tre volte.
Quindi, iniziando col generare un pensiero d’amore per tutte le creature viventi, considera gli esseri, senza nessuna esclusione, tormentati dalle tre cattive rinascite, tormentati dalla nascita, dalla morte e così via.
Allora, dal momento che desideri liberare questi esseri dalla sofferenza del dolore, dalla sofferenza e dalla causa della sofferenza, fai sorgere immutabilmente la determinazione di raggiungere l’illuminazione.
Le qualità per sviluppare questo tipo di aspirazione sono completamente illustrate da Maitreya nel Sutra della sequenza dei tronchi.
Avendo appreso di tutti gli infiniti benefici che derivano dall’intenzione di raggiungere la completa illuminazione leggendo questo sutra o ascoltandolo da un maestro, falla sorgere ripetutamente per renderla stabile.
Citerò brevemente a questo punto i tre versi del Sutra richiesto da Viradatta nel quale i meriti suddetti sono pienamente illustrati.
Se i meriti di questa intenzione altruistica dovessero assumere una forma fisica riempirebbero completamente lo spazio e si espanderebbero oltre.
Se qualcuno offrisse ai protettori dell’universo gioielli in tal numero da riempire i campi puri dei Buddha pari ai granelli di sabbia del Gange,
tale offerta sarebbe inferiore al dono di congiungere le mani e disporre la propria mente verso l’illuminazione, perché tali meriti sono senza limite.
Avendo generato la mente che aspira all’illuminazione, costantemente con grande sforzo occorre accrescerla. Per ricordarla in questa vita e anche nelle altre, mantieni propriamente i precetti come è spiegato.
Senza prendere il voto della mente dell’impegno, la perfetta aspirazione non potrà svilupparsi. Sforzati definitivamente di prenderlo, poiché vuoi accrescere il desiderio per l’illuminazione.
Coloro che mantengono qualunque dei sette tipi di voto per la liberazione individuale, non gli altri, possiedono i [requisiti] ideali per prendere il voto del Bodhisattva.
Il Tathagata ha spiegato i sette tipi di voto della liberazione individuale. Il più elevato fra questi è la gloriosa pura condotta, che è il voto proprio della persona completamente ordinata.
In accordo al rituale descritto nel capitolo sulla disciplina nel testo Gli stadi del Bodhisattva, prendi il voto da un bravo e ben qualificato, maestro spirituale.
Comprendi che un buon maestro spirituale è esperto nella cerimonia di concedere il voto, vive nel voto e possiede la confidenza e la compassione per concederlo.
Comunque, se dopo aver cercato, non sei riuscito a trovare un tale maestro spirituale, spiegherò un’altra procedura corretta per prendere il voto.
Descriverò qui chiaramente, secondo la spiegazione del Sutra dell’ornamento della terra pura di Mañjusri, come, molto tempo fa, quando Mañjusri si chiamava Ambaraja, generò l’intenzione di raggiungere l’illuminazione.
“Di fronte ai Protettori, faccio sorgere l’intenzione di ottenere la completa illuminazione. Invito tutti gli esseri come miei ospiti e li libererò dall’esistenza ciclica.
“Da ora in poi, sino al raggiungimento dell’illuminazione non darò spazio a pensieri che danneggiano, rabbia, avarizia, invidia.
“Coltiverò una condotta pura, rinuncerò alle azioni negative e al desiderio e con gioia nel voto della disciplina mi addestrerò nel seguire i Buddha.
“Cercherò di non avere fretta nel voler velocemente raggiungere l’illuminazione, ma rimarrò indietro sino alla fine per il beneficio anche di un solo essere.
“Purificherò le inconcepibili infinite terre e sarò presente nelle dieci direzioni per tutti coloro che invocheranno il mio nome.
“Purificherò tutte le mie azioni compiute col corpo e con la parola. Purificherò anche le mie attività mentali e non farò niente che non sia virtuoso.”
Quando coloro che osservano il voto della mente dell’impegno si saranno ben addestrati nelle tre forme di disciplina, il loro rispetto verso queste crescerà, causando la purezza del corpo, della parola e della mente.
Quindi attraverso lo sforzo compiuto dal Bodhisattva di mantenere il voto per la pura e piena illuminazione, le raccolte per la completa illuminazione saranno pienamente realizzate.
Tutti i Buddha affermano che la causa per completare le raccolte, la cui natura è merito e saggezza suprema, è lo sviluppo della chiaroveggenza.
Come un uccello che non ha sviluppato le ali non può volare nel cielo, coloro senza il potere della chiaroveggenza, non possono lavorare per il bene degli esseri viventi.
I meriti ottenuti in un solo giorno da colui che possiede la chiaroveggenza, non possono essere ottenuti neanche in cento vite da colui che ne è privo.
Coloro che vogliono completare velocemente le due raccolte per la piena illuminazione otterranno la chiaroveggenza per mezzo dello sforzo, non per mezzo della pigrizia.
Senza l’ottenimento della calma dimorante non si potrà ottenere la chiaroveggenza. Quindi, compi ripetuti sforzi per conseguire la calma dimorante.
Se le condizioni per la calma dimorante sono incomplete, la stabilizzazione meditativa non sarà completata, anche se si meditasse strenuamente per migliaia di anni.
Così, mantenendo correttamente le condizioni menzionate nel Capitolo della collezione per la stabilizzazione meditativa, focalizza la mente su un qualsiasi oggetto virtuoso.
Quando il praticante ha realizzato la calma dimorante, otterrà anche la chiaroveggenza, ma senza la pratica della perfezione della saggezza le ostruzioni non avranno fine.
Perciò, per eliminare tutte le ostruzioni alla liberazione e all’onniscienza, il praticante dovrebbe continuamente coltivare la perfezione della saggezza con mezzi abili.
La saggezza senza mezzi abili e anche i mezzi abili senza saggezza sono indicati come “legami” perciò non abbandonare nessuno dei due.
Per eliminare qualsiasi dubbio su cosa sia la saggezza e cosa siano i mezzi abili, chiarirò la differenza tra mezzi abili e saggezza.
A parte la perfezione della saggezza, tutte le pratiche virtuose come la perfezione della generosità, sono descritte come mezzi abili dai vittoriosi.
Chiunque, per il potere della familiarità con i mezzi abili, coltivi la saggezza, otterrà velocemente l’illuminazione non solo meditando sulla mancanza del sé.
Comprendere la vacuità dell’esistenza intrinseca attraverso la realizzazione che gli aggregati, i costituenti e le sorgenti non sono prodotti, è spiegata come saggezza.
Un fenomeno esistente non può essere prodotto, e nemmeno qualcosa di non esistente, come un fiore nel cielo. Questi errori sono entrambi assurdi e così nessuno dei due può accadere.
Una cosa non è prodotta da se stessa, non è prodotta da altro, non è prodotta da entrambi, né senza causa, perciò non esiste intrinsecamente, per sua propria entità.
Inoltre, quando tutti i fenomeni sono esaminati in funzione dell’essere uno o molti, essi non sono visti esistere per loro propria entità, perciò sono accertati come non intrinsecamente esistenti.
La logica esposta nelle Settanta stanze sulla vacuità, Il trattato sulla via di mezzo e così via, spiega che la natura di tutte le cose è stabilita come vacuità.
Poiché vi sono veramente molti passaggi, non li ho citati qui, ma ho solamente spiegato le loro conclusioni per lo scopo della meditazione.
Allora, qualunque meditazione sulla mancanza del sé, poiché non osserva una natura intrinseca nel fenomeno, è lo sviluppo della saggezza.
Proprio come la saggezza non vede una natura intrinseca nei fenomeni, dopo aver analizzato la saggezza stessa tramite ragionamento, medita non concettualmente su di essa.
La natura di questa esistenza mondana, che sorge dalla concettualizzazione, è concettualità. Quindi l’eliminazione della concettualità è il più alto stato del nirvana.
La grande ignoranza della concettualità ci fa precipitare nell’oceano dell’esistenza ciclica. Dimorando in una stabilizzazione non concettuale, la non concettualità simile allo spazio si manifesta chiaramente.
Quando i Bodhisattva contempleranno non concettualmente questo eccellente insegnamento, trascenderanno la concettualità, così difficile da superare, e alla fine otterranno lo stato privo di concettualità.
Avendo compreso, attraverso le scritture e i ragionamenti, che i fenomeni non sono prodotti e non hanno un’esistenza a sé stante, medita senza concettualità.
Avendo meditato così sulla talità, alla fine, dopo aver ottenuto il “calore” e così via, si raggiungerà il “molto gioioso” e gli altri e, dopo breve tempo, lo stato illuminato della buddhità.
Se desideri creare facilmente le raccolte per l’illuminazione attraverso le attività di pacificazione, incremento e così via, acquisite attraverso il potere del mantra,
e anche per la forza degli otto e altri grandi ottenimenti come il “buon vaso”, se vuoi praticare il mantra segreto, come è spiegato nel tantra dell’azione e del comportamento,
allora, per ricevere l’iniziazione del maestro, devi compiacere un eccellente maestro spirituale, attraverso servizi, regali preziosi e cose simili così come l’obbedienza.
Grazie al completo conferimento dell’iniziazione del maestro, da parte di un maestro spirituale che è compiaciuto, sarai purificato da tutte le negatività e diverrai idoneo per conseguire i potenti ottenimenti.
Coloro che osservano l’austera pratica di pura condotta non devono prendere le iniziazioni segrete e della saggezza, poiché nel Grande tantra del Buddha primordiale è proibito severamente.
Se coloro che osservano l’austera pratica di pura condotta ricevono queste iniziazioni, degenerano il loro voto di austerità facendo quello che è proibito.
Questo crea trasgressioni che sono una sconfitta per coloro che osservano la disciplina. Poiché essi sono certi di cadere in una cattiva rinascita, non otterranno mai delle realizzazioni.
Tuttavia, non vi è difetto se uno ha ricevuto l’iniziazione del maestro e conoscendo la talità, ascolta o spiega i tantra, compie i rituali dell’offerta bruciante, o fa offerte di doni e così via.
Io, l’Anziano Dipamkarashri, in accordo ai stura e ad altri insegnamenti, ho scritto questa concisa spiegazione su richiesta del discepolo Cianciub Ö.

Traduzione dei testi a cura dell’Istituto Lam Rim di Roma

 Lo Jong (termine tibetano) “Lo” significa “pensiero”, “coscienza”, ma in questo contesto si riferisce piuttosto all’intenzione. “Jong” significa “trasformazione della mente”, come nel titolo del testo; “Lo Jong” è la forma breve di  “jang chub kyi sem la lo Jong wa”, significa trasformare la mente ordinaria in Bodhicitta, ossia tecnica per la pratica del Bodhicitta (il termine sanscrito “bodhicitta” designa qui una pura aspirazione a raggiungere lo stato di Buddha con lo scopo di condurre tutti gli esseri senzienti all’illuminazione completa).
 Fine supremo: lo stato di completa illuminazione, lo stato di Buddha.
 Emozione negativa: (in tibetano nyon mong) le contaminazioni mentali quali rabbia, attaccamento, ignoranza 
 Azioni negative: (in tibetano dig pa) una disposizione mentale causata da un’azione negativa commessa.
 Sofferenze: (in pali dukkha) la verità della Sofferenza, che ha tre livelli: sofferenza del dolore, sofferenza del cambiamento, sofferenza del samsara.
 Amico spirituale: (in tibetano ge wei she nyen, Geshe) colui che aiuta a fare azioni virtuose.
 Madri: - tutti gli esseri senzienti sono state nostre madri. – La persona più cara e quella più giovevole.
 Otto preoccupazioni mondane: le idee generate dal guardare attraverso gli occhi dell’attaccamento e dell’avversione, sono: piacere e dispiacere, vittoria e perdita, lode e biasimo, gloria e disgrazia.
 Samsara: (termine sanscrito, in tibetano khor wa) attaccamento bramoso alle cose mondane che fa permanere nel circolo della sofferenza e dell’insoddisfazione.
 Bhagavati: (termine sanscrito, in tibetano: gyal wai yum) Madre Buddha, si riferisce alla “Saggezza della Perfezione”, che è la madre in quanto causa fondamentale dell’illuminazione.
 Bhagavati Prajna Paramita Hridaya: (sanscrito) il cuore della Bhagavathi, la perfezione della saggezza.
 Bhagavan: (termine sanscrito, in tibetano: chom dhen de) titolo generalmente attribuito a un essere illuminato; letteralmente significa “colui che ha completamente illuminato gli ostacoli e possiede tutte le qualità”; sinonimo di “Tathagata” (sanscrito) e di “de war sheg pa” (tibetano) nel senso di “colui che ha raggiunto lo stato di piena calma e piena illuminazione”. In questo brano ci si riferisce al Buddha Shakyamuni.
 Rajagrha: (termine sanscrito, in tibetano: gyal poe khab) luogo nel quale si erge un palazzo reale.
 Picco dell’Avvoltoio: montagna con la cima a forma di avvoltoio; luogo in cui venne impartito il sutra secondo la tradizione. Viene identificato popolarmente in una collina vicino a Rajagrha, nello stato indiano del Bihar.
 Arhat: (termine sanscrito, in tibetano: dra chom pa) colui che ha raggiunto il Nirvana. Detto anche Sravaka o Pratyekabuddha. Nel testo originale tibetano il termine è Bikshu, ma si intende Arhat. 
 Bodhisattva: (termine sanscrito, in tibetano: Jang chub sem pa). Essere che possiede il Bodhicitta.
 Assorbimento meditativo: (in sanscrito: samadhi, in tibetano: ting nge zin) una forma di meditazione.
 Varietà dei fenomeni: (in tibetano: choe kyi nam drang) i 5 aggregati (forme, percezioni, formazioni mentali e della coscienza); le 12 fonti dei sensi (le sei sorgenti dei sensi e le sei facoltà); i 18 elementi ( le sei sorgenti dei sensi, le sei facoltà e le sei coscienze); i 12 anelli della catena dell’origine interdipendente (Ignoranza, Azione volontaria, Coscienza, Nome e Forma, Sorgenti dei sensi, Contatto, Sensazioni, Attaccamento, Brama, Concepimento, Nascita, Invecchiamento e Morte); le 4 Nobili Verità (la Verità della sofferenza, la Verità delle cause della sofferenza, la Verità della cessazione e la Verità del sentiero); i 5 sentieri (Accumulazione, Preparazione, Visione, Meditazione e Non-più-apprendere); le 4 fiducie; i 10 poteri di Buddha; ecc… 
 Percezione Profonda: (in tibetano: zab mo nhang wa) vedere la vera e profonda realtà ultima dei fenomeni.
 Arya: (termine sanscrito, in tibetano: Phag pei Gang zag) un Essere superiore che ha raggiunto la saggezza della diretta realizzazione della vacuità o che ha seguito il sentiero in uno dei veicoli.
 Avalokitesvara: (termine sanscrito, in tibetano: Chen re zig) conosciuto come il “Buddha della compassione”.
 Bodhisattva mahasattva: (termine sanscrito, in tibetano: jang chub sem pa sem pa chen po) Bodhisattva di ordine superiore o che ha conseguito il sentiero dei Bodhisattva o il sentiero mahayana della visione.
 La pratica della profonda perfezione della saggezza: (in tibetano: she rab kyi pha rol du chin pai zab moi chod pa).
 I cinque aggregati: (in sanscrito: skandha, in tibetano: phung po ngha) Forme, Sensazioni, Percezioni, Formazioni mentali, e della Coscienza.
 Vuoti di esistenza intrinseca: (in tibetano: ran shin gyi tong pa).
 Venerabile Bikshu: (in tibetano: thse dan dhen pa) titolo attribuito a un bikshu con mente sveglia e intelligente
 Shariputra: figlio di Sharit, conosciuto come bikshu dalla mente acuta fra i discepoli di Buddha Shakyamuni.
 Arya Avalokitesvara Bodhisattva mahasattva: (temine sanscrito, in tibetano: jang chub sem pa sem pa chen po phags pa chen re zig) si riferisce a un singolo individuo conosciuto come Bodhisattva mahasattva Avalokitesvara, diverso dal “Buddha della compassione” Avalokitesvara. Qui infatti viene identificato come un Bodhisattva sotto le sembianze  di un bikshu, Bodhisattva, mahasattva e arya.
 Figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva: (in tibetano: rigs kyi bu vam rigs kyi bumo).
 Nirvana: (termine sanscrito, in tibetano: Nyang De) essere andato oltre la sofferenza.
 Mantra: (termine sanscrito, in tibetano: yid kyob) che protegge la mente.
 Thatagata: (termine sanscrito) sinonimo di Bhagavan.
 Asura: (termine sanscrito, in tibetano: lha ma yin) semi-dei che appartengono posto tra quello degli umani e degli dei.
 Gandharva: (termine sanscrito, in tibetano: di zha) esseri senza forma, che vivono nutrendosi di odori.
 Lama: (termine tibetano, in sanscrito guru) guida o maestro spirituale. Letteralmente: “ricco di qualità spirituali”.
 Bodhisattva: (termine sanscrito) colui che possiede la Bodhicitta.
 Liberazione: (in sanscrito moksha) eliminazione di tutte le emozioni afflittive o illusioni, ottenimento dello stato di Arhat, il sentiero della fine dell’apprendimento del sarvabuddha e del pratyekabuddha
 Piaceri dell’esistenza mondana: piaceri dominati dall’attaccamento ai piaceri dei sensi.
 Circostanze favorevoli e fortuna: avere buone opportunità e condizioni per praticare il Dharma.
 Fortunati: coloro che hanno incontrato il Dharma e sono capaci di praticarlo.
 Rinuncia: autentica intenzione di abbandonare il Samsara e raggiungere il Nirvana. 
 Oceano dell’esistenza: (in sanscrito samsara, in tibetano khor wa) attaccamento alle apparenze di questa vita, interesse per gli aspetti riguardante la vita presente.
 Samsara: (termine sanscrito) gli aggregati impuri di un essere senziente, che da tempo senza inizio hanno dato luogo al ciclo di morte e rinascita a causa dell’illusione e del karma, e hanno reso gli esseri senzienti carichi delle sofferenze dei sei regni fisici/spirituali.
 Attaccamento alle apparenze delle vite future: interesse per gli aspetti riguardanti le prossime vite nel samsara.
 Aspirazione alla più alta illuminazione: (in sanscrito Bodhicitta, in tibetano jang chub kyi sem).
 Insuperabile Bodhi: lo stato di Buddha. 
 Bodhicitta: (termine sanscrito) autentica aspirazione a raggiungere la completa illuminazione allo scopo di portare tutti gli esseri  senzienti allo stato di completa illuminazione.
  Quattro potenti fiumi: rinascita, invecchiamento, malattia e morte.
 Karma: (termine sanscrito, in italiano azione, in tibetano les) una sottile impronta nel continuum mentale proveniente da esperienze precedenti, la quale da impulsi ad azioni mentali e fisiche.
 Attaccamento al Sé: (in tibetano dag zin): percezione errata che si attacca all’idea di un Sé o di un Io intrinsecamente esistente.
 Tre sofferenze: sofferenza del dolore, sofferenza del cambiamento, sofferenza della condizione.
 Madri: tutti gli esseri  senzienti, i più cari, quelli che hanno recato più benefici.
 Intenzione altruistica di divenire un Risvegliato: in questo contesto si riferisce al Bodhicitta.
 Saggezza: realizzazione della Vacuità.
 La vera natura delle cose: la realtà ultima dell’esistenza delle cose, vacue di un’esistenza intrinseca.
 Radice del Samsara: l’ignoranza, il non vedere la verità, opposta alla saggezza.
 Origine interdipendente: (in tibetano ten byung) la realtà dell’esistenza delle cose e degli eventi, che esistono in modo interdipendente. 
 Nirvana: al di là della sofferenza, cessazione della sofferenza.
 Apparenze, ovvero l’inevitabilità dell’origine interdipendente: realtà convenzionale o verità convenzionale.
 Vacuità, ovvero la non-asserzione: realtà ultima o verità ultima.
 Pensiero del Buddha Shakyamuni: la natura non duale delle due verità.
 Visione: realtà ultima.
 Estremo dell’esistenza: l’idea che le cose esistano solo in maniera intrinseca o da sé. 
 Apparenza: Visione comune.
 Estremo della non-esistenza: l’idea che le cose non esistano, se non in maniera intrinseca.
 Vacuità: la vera natura dei fenomeni, non esistenti in maniera intrinseca.
 Visioni estremiste: Nichilismo ed Eternalismo. 
 I tre aspetti principali del sentiero: Rinuncia, Bodhicitta e Saggezza.
 Perseveranza entusiastica: sforzo gioioso nella pratica del Dharma. 
 Meta finale: illuminazione completa, stato di Buddha .
 Figlio mio: in maniera diretta, si riferisce a Tsakhowa Ngawang Dakpa; in maniera indiretta a coloro che desiderano realizzare i tre aspetti principali del sentiero.