Saturday 14 July 2012

Boddhicitta e generosita’



Boddhicitta e generosita’

Serie di lezione tenuta al Istituto Lamrim, Roma



Insegnamento di Geshe Gedun Tharchin



L’argomento di oggi è la bodhicitta. Comunemente riferendosi ad essa, si intende quella convenzionale, cioè l’aspirazione ad ottenere l’illuminazione per poter aiutare tutti gli esseri senzienti a raggiungere lo stesso obiettivo.

Ma nei testi, nei sutra e nei commentari, si fa spesso riferimento a due diverse bodhicitta:

1. la bodhicitta convenzionale;

2. la bodhicitta ultima, cioè la mente dell’illuminazione che ha realizzato la comprensione della vera natura della realtà.

Un’altra definizione che viene data è:

1. il metodo, che corrisponde alla bodhicitta convenzionale;

2. la saggezza, che corrisponde alla bodhicitta ultima.

E’ dunque sempre necessario distinguere a quale delle due bodhicitta ci si riferisce.

La bodhicitta convenzionale si presenta a sua volta su due livelli:

1. Il livello dell’aspirazione;

2. livello dell’impegno.

La bodhicitta dell’aspirazione sottintende che ancora non si abbia un impegno in alcun tipo di pratica, essa rimane al momento solo su un piano ideale. Ma quando la bodhicitta penetra profondamente nel cuore si trasforma nell’impegno della pratica.

A volte leggiamo riguardo ai Bodhisattva, che c’è un’aspirazione, un sentiero del Bodhisattva e ciò corrisponde sia al livello dell’aspirazione che a quello dell’impegno. La bodhicitta dell’aspirazione si manifesta a livello mentale, mentre quella dell’impegno consiste nell’applicazione nelle sei perfezioni, o paramita.

Santideva, nel Bodhicaryavatara, chiarisce questo concetto con questo esempio: “la bodhicitta dell’aspirazione corrisponde al desidero di recarsi in un determinato luogo e la bodhicitta dell’impegno è invece l’ andare concretamente, il movimento verso quel luogo”. Onde evitare fraintendimenti e confusione è importante riconoscere, leggendo sui testi argomenti riguardanti la bodhicitta, a quale di queste suddivisioni essa appartiene.

Riassumendo: la bodhicitta è suddivisa in bodhicitta convenzionale e bodhicitta ultima.

La bodhicitta convenzionale è a sua volta suddivisa in bodhicitta dell’aspirazione e bodhicitta dell’impegno.Bodhicitta è uno dei termini più importanti della pratica mahayana, che ne comprende tutti e tre i livelli. Con la bodhicitta dell’impegno ci si riferisce all’applicazione delle sei paramita e delle dieci paramita. La pratica della bodhicitta è inclusa nelle sei paramita perché tutte le qualità del Buddha risultano dalle due accumulazioni. Le sei paramita costituiscono la completezza delle cause per realizzare le qualità del Buddha. Tutte le qualità del Buddha risultano dalle due accumulazioni e le due accumulazioni sono completate dalle sei paramita.

La pratica del Bodhisattva e la bodhicitta dell’impegno si attuano con le sei paramita. Delle sei paramita, le prime cinque: la generosità, l’etica, la pazienza, la perseveranza entusiastica e la concentrazione sono accumulazione di meriti, la sesta, la saggezza costituisce accumulazione di saggezza.

La generosità è l’offrire il proprio corpo, i propri beni e le proprie virtù a tutti gli esseri dei tre tempi, senza avere alcun attaccamento.

La generosità presenta tre livelli:

1. la generosità dei beni materiali;

2. la generosità del Dharma;

3. la generosità della protezione.

Nel testo di Geshe Potowa la generosità materiale viene spiegata con cinque esempi: Il primo è conosciuto come “la pelle del serpente”. Quando il serpente cambia pelle lascia quella vecchia dove si trova e se ne va senza alcun attaccamento. Ciò significa che quando si dona qualcosa non è bene voltarsi indietro rimpiangendo ciò che si è lasciato, ma bisogna allontanarsi, senza attaccamento, come il serpente.

Il Bodhisattva non ha attaccamento alcuno e, per quanto ci riguarda, la generosità non consiste solo nel dare oggetti ma soprattutto nel non esserne attaccati. Questa è l’essenza della generosità.

Un altro esempio che risale a tempi molto antichi, parla di due uomini in competizione tra loro per dimostrare chi dei due fosse più generoso. Entrambi offrivano tutto ciò che avevano fino a quando uno dei due, rimasto senza nulla, decise di abbandonare anche i desideri e divenne monaco. Nella rinuncia totale, senza più attaccamento alcuno, nemmeno al concetto di generosità, divenne naturalmente il vincitore.

Il secondo esempio riguarda gli animali selvatici della foresta che non hanno possedimento alcuno, costretti a vagare continuamente senza riparo; similmente, la generosità del Bodhisattva è lasciare ogni cosa, non possedere nulla, nemmeno un posto sicuro in cui poter riposare.

I terzo esempio narra di un proprietario di case, tanto ricco quanto avaro. Un giorno però qualcuno gli fece notare che la sua generosità consisteva nel dare passando le ricchezze da una mano all’altra di se stesso. Resosi conto dell’inutilità del suo agire, cambiò e divenne una persona molto generosa. Con ciò si intende che ognuno può praticare la generosità, sempre, anche cominciando con il dono di piccole cose.

Il quarto esempio riguarda un monaco avido, attaccato ai propri beni e con grandi desideri di possederne sempre di più. Un suo amico, stanco di un atteggiamento così stolto, un giorno gli disse: “io ti offro tutte le cose che ho a patto che tu non ne desideri il possesso, fino a quando però tu dici che vorresti quello o quell’altro io non ti darò nulla.” Allora il monaco, riflettendo sulle parole dell’amico, cambiò veramente atteggiamento interiore e dicendo sinceramente a se stesso “non voglio nulla, non desidero nulla”, trasformò il proprio atteggiamento mentale e divenne una persona buona e generosa. Pure questa è pratica della generosità.

La generosità dunque può nascere anche dalle parole. Un’altra storia riguarda Atisha che, essendo venerato da molti, riceva ingenti offerte. I suoi discepoli, incuriositi gli domandarono che cosa ne avrebbe fatto ed egli rispose serenamente che, per quanto lo riguardava, egli non aveva ricevuto alcuna offerta, allora ressi insistettero: “dunque a chi darai tutte queste cose?” Allora Atisha, che era particolarmente esperto nella pratica della generosità, disse: “non importa a chi si da, quello che realmente conta è il dare.”

Nell’azione della generosità ci sono tre soggetti:

1. la persona che dona, il donatore;

2. l’oggetto della donazione;

3. l’atto del donare.

Bisogna comprendere bene che tutti e tre i soggetti sono vacuità. La vacuità è la loro realtà vera. Questo è il modo di praticare la generosità dei beni materiali.

Un’altra storia riguarda un Lama in India, che riceveva molte visite di persone provenienti dai villaggi vicini, ma lui non aveva nulla di materiale da offrire, né cibo, né altro, allora dava loro insegnamenti di Dharma.

Nell’insegnare il Dharma la generosità del Dharma sorge dalla bodhicitta dell’aspirazione e, il Lama, nello stesso momento, riconosce in tutti gli esseri senzienti la natura del Buddha, consapevole che le oscurazioni mentali che essi possono mostrare sono temporanee. L’insegnamento del Dharma ha l’obiettivo di dissolvere le oscurazioni mentali temporanee delle persone che ricevono tale dono, in modo che possa essere liberata la realtà ultima, la natura di Buddha, già viva e presente in ognuno..

Questo è il modo di praticare la generosità del Dharma.

La generosità del Dharma consiste nel chiarire, nello spiegare il Dharma e vi sono tre diversi modi per farlo:

1. Dare l’aspetto terminologico, linguistico del Dharma;

2. Dare il significato del Dharma;

3. Dare i testi del Dharma.

Se si è ancora lontani da elevate realizzazioni suggerisco di non tentare di dare agli altri insegnamenti di Dharma, ma di concentrarsi nella purificazione della propria mente.

Nell’antica India c’era un monaco molto generoso, gentile e compassionevole che leggeva i testi del sutra, non per insegnarli ad altri, ma per la propria realizzazione spirituale, però mentre lui leggeva c’erano nell’aria esseri invisibili che ascoltavano, traendone grande beneficio; questo è Dharma. Quindi anche se pratichiamo il Dharma, leggiamo i sutra per il nostro avanzamento spirituale, se lo facciamo con compassione, amore e gentilezza, automaticamente esso diventa generosità del Dharma.

Quando si legge il Dharma con lo spirito della generosità del Dharma, automaticamente, gli esseri invisibili, i naga, che ascoltano ne sono felici e ci aiuteranno.

La terza generosità è la generosità della protezione. Se una persona con importanti realizzazioni protegge gli altri e opera per il loro benessere, conforta e rende naturalmente felici tutti coloro che hanno la fortuna di incontrarla. Mettendo in atto la generosità della protezione verso animali, persone, o chiunque sia meno capace di noi, rendiamo automaticamente felici tutti questi esseri con la sola nostra presenza. La generosità della protezione è offrirla chi è meno capace, meno potente, e infonde a tutti gioia eliminando ogni paura. Questo è il saper dare la generosità della protezione.

Un esempio evidenzia questo concetto: Se ci trovassimo soli, in una regione deserta, sconosciuta, nota per la presenza di banditi e rapinatori, e vedessimo in lontananza avvicinarsi una persona sconosciuta avremmo una immediata reazione di paura, ma quando, nell’avvicinarsi, riconoscessimo in essa un monaco o un prete ci sentiremmo subito rassicurati. Poter trasmettere questa sensazione ad altri è la generosità della protezione.

Geshe Kadampa Potowa era molto abile nel trasmettere il Dharma usando una gran quantità di chiarissimi esempi. Tutto il Lamrim e il Lojong viene così insegnato in questo testo.

Abbiamo presentato la generosità dei bei materiali, del Dharma e della protezione attraverso esempi semplici e chiari e questo è un metodo molto originale ma efficace di spiegare il Dharma. Alcuni esempi sono strettamente connessi alla cultura tibetana e forse non è sempre facile darne una spiegazione esauriente, in ogni caso sono importanti, non dimentichiamoli.

Lama: Qual’era il primo esempio?

gruppo: la pelle del serpente..

Lama: Si, i primi cinque esempi appartengono alla generosità dei beni materiali, poi ne abbiamo due per la generosità del Dharma e altri due per la generosità della protezione. Il secondo esempio?…. Il primo esempio era la pelle del serpente, il secondo gli animali selvatici che non posseggono alcun rifugio, il terzo è il proprietario di case, il quarto il monaco con tantissimi desideri, c’è poi l’esempio di Atisha che insegna con grande abilità l’importanza del dare indipendentemente dagli esseri a cui si da, e, infine, l’esempio delle persone in competizione per il primato di generosità finché uno dei due, divenendo monaco, risulta essere il vincitore.

Il titolo dell’interessante testo di Geshe Potowa potrebbe essere così tradotto: “L’unione dei gioielli degli esempi del Dharma”, è l’unico insegnamento dato esclusivamente con esempi.

Un esempio si chiama “Ama nga yin” che significa, “Madre, sono io” e narra la storia di una pigra ragazza che, sposandosi, era andata a vivere nella casa del marito, ma un giorno, afflitta, torna a casa dalla madre e dice “mamma io ho molti problemi”. Ciò significa che, se entrando nel Dharma incontriamo troppe difficoltà, è un segno che non abbiamo sufficiente accumulazione di meriti.

Un giorno un giovane monaco giovane andò da Geshe Potowa e gli chiese come riuscisse a trovare esempi tanto semplici quanto chiari e comprensibili nel suo insegnamento e lui rispose tranquillamente: “io ricevo questi esempi dal maestro Prajna”. Ma, ci domandiamo, chi è il maestro Prajna? Infatti egli non esiste nel mondo fisico, con questa risposta Geshe Potowa si riferiva alla propria conoscenza personale, al maestro interiore.

Ciò significa che se noi sappiamo avere consapevolezza della realtà esterna appariamo agli altri come maestri e questo è un segno di avere una buona comprensione del Dharma.

Gli esempi raccolti nel libro di Geshe Potowa sono scaturiti direttamente dalla sua coscienza e io sono assolutamente affascinato da questo metodo di insegnamento; è divertente usarlo nel contesto tibetano, ma trasporlo nella realtà occidentale può essere davvero complicato, chissà, forse un giorno riusciremo a trovare esempi italiani altrettanto incisivi e diventare come Geshe Potowa!….

Grazie.










Thursday 12 July 2012

I principi della Dharma


Serie di lezione tenuta al Istituto Lamrim, Roma


I principi del Dharma 




Geshe Gedun Tharchin


"..è importante condividere questo valore con generosita', con altruismo in un’attitudine che potenzia il proprio sviluppo; la condivisione e' il metodo con cui accrescere ogni qualita' in se stessi, risponde alla natura interdipendente, alla legge di causa effetto, ma per poterlo fare e' necessario innanzitutto riconoscerlo, e cio' non e' affatto facile, - come individuarlo dunque' Il valore e i principi coincidono, il valore umano e' la dignita', e' tutti i principi di vita che costituiscono una risorsa indispensabile alla stabilita' mentale e che in questo contesto sono il Dharma, parola sanscrita intraducibile; riconoscere il proprio valore e' riconoscere il Dharma, non come entita' esterna, ma in se stessi, un impegno veramente arduo, attuabile solo tramite la meditazione, la riflessione, la contemplazione. 


Verificando il proprio cuore sara' possibile riconoscere il proprio Dharma, ma cos’e' questo cuore' certamente non ci si riferisce a quello fisico, bensì' all’attitudine spirituale di amore e compassione, il più' elevato significato nell’esistenza umana.Non e' facile discernere in se stessi il Dharma, non si tratta di avvertire le emozioni in tutta la loro potenza, di seguire sentimenti effimeri, si tratta di amore vero, autentico, stabile, e' il principio della propria vita, la dignità', e deve necessariamente essere condiviso con gli altri in ogni momento e in tutte le ordinarie attività' quotidiane.Cosa sono l’amore e la compassione universali' non certamente il sentimento che proviamo nei confronti delle persone care, vanno ben oltre, sono una realtà' solida, genuina, duratura, gia' presente in ognuno di noi, dobbiamo soltanto discernerne i segnali e nutrirla, farla crescere.

Noi siamo costantemente turbati dalla sofferenza, dai dispiaceri, dai dubbi, dall'insoddisfazione, dal rancore, dall'attaccamento, poiche' non abbiamo ancora realizzato in noi stessi l’amore universale e la generosità' altruistica, dunque l’insoddisfazione incessante che ci sfinisce non e' causata dalla mancanza di oggetti materiali, dalla impossibilita' di realizzare i desideri mondani, bensi' dall’assenza di amore e compassione.Non pretendiamo di possedere la perfezione dell’amore di Dio o di Buddha, e' sufficiente sviluppare il nostro piccolo amore umano, purché' sia puro, altruistico, disinteressato, disponibile, dobbiamo abbandonare la rincorsa affannosa e quasi esclusiva verso gli oggetti mondani, poiche' in questo modo incrementiamo e rafforziamo soltanto la frustrazione di desideri futili e regolarmente inappagabili.La nostra vita e' nella natura di sofferenza, e amore e compassione sono l’elemento essenziale che vi imprime un senso profondo, altrimenti tutto sarebbe davvero inutile e sprecato nell'illusione.

La sofferenza e' inevitabile, ogni istante ne e' impregnato, dobbiamo semplicemente imparare a vederla, a meditarla, malgrado l’attitudine mondana della società' moderna suggerisca esattamente il contrario, escogiti ogni mezzo per evitarla e inventi oggetti sempre piu' sofisticati utili a stordirsi, ignorando che questo e' il metodo sicuro per affondare sempre più' nelle sabbie mobili della sofferenza stessa.E’ invece importante esercitarsi quotidianamente ad osservare la sofferenza, a scavare in se stessi, e ogni sera fermarsi a contare, ad analizzarne la quantità', le tipologie, sapendo che questo e' la difficolta' fondamentale dell’umanita'.Oggi si investiga minuziosamente nei molteplici campi della scienza, ma nessuno vuole affrontare seriamente una ricerca sull’infelicita' che pure e' la causa prima di ogni problema nella condizione umana, la medicina moderna ad esempio rivolge spasmodicamente ogni energia per nascondere, per negare l’esistenza del dolore, e in questo modo l’aumenta a dismisura. 

La malattia fa paura a tutti, ma non serve a nulla nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, dobbiamo accoglierla come parte della vita, cosi' come la morte.Ognuno deve compiere questa ricerca in se stesso, non e' possibile meditare sulla sofferenza altrui, e' necessario osservarla nella profondità' del proprio essere.Una domanda essenziale che dobbiamo porci e': “ Perché' l’amore e la compassione sono importanti'” - “Per darci ricchezze e beni'” - No, affatto, in quanto la vita e' natura stessa di sofferenza e soltanto l’amore e la compassione sono in grado di rendere gioiosa questa innata condizione.E' sbagliato considerare la sofferenza come evento esclusivamente negativo, frutto del peccato; qualsiasi azione e' permeata da insoddisfazione, da malattie sempre più' misteriose e diffuse, da pene immense e dunque dobbiamo affrontare questa realtà  consapevolmente, vivendo ogni istante di vita pienamente, accogliendone il senso profondo, sapendo che e' preziosa occasione di crescita.

Non servono a nulla le sovrastrutture, le etichette dietro cui si barricano le confessioni religiose, l’unico messaggio autentico di Buddha, di Cristo, di Dio, e' amore e compassione. Esiste un ulteriore motivo che imprime la natura di sofferenza alla vita, ed e' l’impermanenza di tutte le cose.E’ un errore comune e grave quello di proiettare le proprie paure e i desideri su un futuro ignoto, temere l’inferno e aspirare al paradiso. L’inferno e il paradiso sono già' qui, questa e' la nostra opportunita' per comprendere, per vivere pienamente, cosa avverrà' dopo la morte nessuno lo sa e non ha importanza, cio' che conta e' non sprecare la meravigliosa opportunità' della vita presente e concreta.Riconoscere la natura di impermanenza della realta' e' fondamentale, tutto e' impermanente, noi sprechiamo l’intera esistenza per rincorrere le ricchezze, il denaro, illudendoci che questo sia il senso della vita, ma in un solo istante tutto svanisce, il nostro stesso corpo e' fragilissimo.

La principale causa di sofferenza e' ritenere che cio' che appare ai nostri sensi sia permanente, mentre ogni evento si trasforma, vola via in un soffio, si e' appena nati e gia' si comincia a morire. L’attaccamento a queste illusioni e' innaturale e per questo soffriamo, la nostra vera natura e' dare, condividere con compassione, con amore universale, tutti siamo allo stesso livello, non c’e' ragione di alimentare emozioni distruttive quali l’invidia, la gelosia, la rabbia, l’attaccamento, ogni essere e' immerso nell’identica condizione di sofferenza.

Non dobbiamo meditare per raggiungere l’illuminazione o il nirvana il piu' presto possibile, ma piuttosto fermare il pensiero, giorno e notte, sulla sofferenza dell’umanita' che tutto permea in assoluta equanimita' e sviluppare autentici amore e compassione, cosi' e' stata la vita di Gesu' Cristo, di Buddha, di San Francesco e di tanti altri. Questo significa trasformare la vita nei principi e nel valore del Dharma. La morte e resurrezione del Cristo rappresenta la sofferenza dell’umanita', la vita e' sofferenza, e' chiarissimo e immenso il messaggio del crocifisso anche se purtroppo molti cristiani, chiusi in una visione fanatica, lo fraintendono non comprendendone l’essenza vasta e completa. 

E' fondamentale e magnifico meditare sul significato profondo della passione, crocifissione e resurrezione di Gesu' Cristo, i tre elementi fondamentali del cristianesimo. La sofferenza si trasfigura nella resurrezione, nel paradiso, nella purezza, il dolore si tramuta in amore; il meccanismo e' questo, non si tratta di miracoli lontani, di magia, di sublimazioni, mostra in completezza assoluta la realta' della natura di sofferenza della vita umana e si trasforma nella natura amorevole della compassione; dalla croce alla resurrezione.

E’ essenziale meditare consapevolmente e incessantemente sulla natura di sofferenza della vita e sull’impermanenza della realta' sapendo che tutto e' uguale, perfettamente equanime, perché' ignorare questo significa andare incontro a tragedie ben più' devastanti, ad esempio i terremoti ci sono sempre stati sulla terra, ma ora a causa dell’avidita', degli interessi del mercato, quando accadono provocano un’infinita' di morti. Un tempo in Tibet si viveva in una tenda con qualche yak e capra, serenamente, e quando succedeva un terremoto nessuno si faceva male, ora invece morte e distruzione sono incalcolabili, le case mal costruite crollano seppellendo tutto. Questo e' soltanto un piccolo esempio, ma tutto il comportamento umano egocentrico e insensato sta provocando danni inimmaginabili.