Wednesday 24 October 2012

Pratica di Dharma e decostruzione

Pratica di Dharma e decostruzione

Geshe Gedun Tharchin

Siamo qui per praticare un po’ di Dharma.

Se si riesce a praticare in modo puro e serio, una o due ore al giorno di buona pratica di Dharma dovrebbero essere sufficienti per affrontare piuttosto bene le cose del quotidiano.

Come nel caso del cibo, che se si assimila piano piano, questo ci riesce a sostenere con un’energia che dura a lungo, similmente un’ora di buona pratica di Dharma genererà un’energia spirituale che potrà durare a lungo nel tempo e ci permetterà di poter affrontare meglio le difficoltà quotidiane.

E’ un punto centrale della nostra pratica quello di influenzare le attività pratiche con qualcosa che abbia qualità spirituali, in modo tale che la nostra pratica possa influire nella nostra vita giorno per giorno, e che giorno per giorno la nostra vita ne venga influenzata in modo tale che tale influsso duri di vita in vita.

Si parla spesso delle vite future e sono questi dei bei discorsi che però rimangono parole se non si riesce a trasformare immediatamente il momento presente in modo tale da poi potersi ritrovare in grado di trasformare le vite future.

Il nostro intendimento non è quello di stressarci in questa vita per poter godere poi nelle prossime, sarebbe in questo caso una teoria e una pratica assai contraddittoria, la nostra pratica consiste nel trovare della pace, della tranquillità, del rilassamento, della gioia adesso, in modo tale che possa di conseguenza durare domani, dopodomani e così via fino alle vite future.

Il suo scopo è quello di influenzare attraverso il presente anche il domani fino alle vite future in modo tale che ci sia una qualità spirituale una qualità migliore.

Il concetto del sacrificio personale esagerato per ottenere Paradisi o Terra Pura oltre la morte, che può in alcuni casi portare i credenti fino al suicidio, è comune in molte religioni ma dal nostro punto di vista è soltanto una grande illusione che non segue minimamente un’etica corretta.

Bisogna aver chiaro lo scopo della pratica, nella nostra pratica il nostro scopo non è quello di metterci un gradino sopra tutti gli altri, al contrario è quello di porci un gradino inferiore agli altri è quello di metterci a servizio e a disposizione degli altri, ed è questa è una posizione in cui si può davvero trovare la pace, la tranquillità ed il rilassamento.

L’idea comune che ci sia qualcosa da scalare o una scala da salire non è un’idea corretta, lo scopo della nostra pratica è invece quello di scendere, di andare verso livelli più bassi in modo scelto e deliberato, il nostro scopo è quello di raggiungere un’illuminazione analfabeta.

Al contrario di quello che si pensa di solito infatti, lo scopo non è quello di ottenere una illuminazione attraverso una cultura di letture o strutture con programmi organizzati, la nostra illuminazione è un’illuminazione che si avvicina alla Vacuità, una illuminazione analfabeta.
E’ analfabeta perché appunto l’illuminazione, la gioia, la pace non dipendono da un problema di cultura ma hanno la loro base nella natura umana e proprio perché è la natura fondamentale dell’uomo, ognuno ha la propria capacità di raggiungere l’Illuminazione.

Raggiungere quindi l’Illuminazione, la gioia, la pace, la tranquillità non dipende quindi da una cultura né da una costruzione ma piuttosto dall’eliminazione di una confusione.

Nel momento in cui ci avviciniamo di solito alle pratiche di meditazione, pensiamo di dover costruire qualcosa, mentre finiamo per costruire solo della grande confusione ed è il più grande ostacolo la più grande incomprensione nei riguardi di ciò che abbiamo intrapreso.

Queste considerazioni sul raggiungimento della pace e della tranquillità derivano tutte dalle esperienze personali e da tutte le ricerche intraprese da un tempo molto lontano.

Bisognerebbe quindi avvicinarsi alla pratica del Dharma rendendosela semplice non costruendo nulla ma cercando di dare più spazio possibile alla nostra stessa natura che già possiede il Dharma.

A furia di costruire nel mondo sono state distrutte moltissime risorse naturali, lo stesso è accaduto all’interno di noi, a forza di costruire e ricostruire, tutte le nostre risorse naturali sono scomparse o quantomeno hanno un piccolissimo spazio dentro di noi.

Tra mondo esterno e mondo interiore il confronto è facile e continuo, dovremmo quindi mirare non a costruire, ma a togliere, se non vogliamo proseguire l’opera di distruzione interiore.

Leggere o studiare sperando meramente che attraverso tali attività si possa ricevere l’illuminazione o che la si possa trovare per mezzo di qualche istruzione in forma magica o misteriosa, è una totale illusione, mentre per la pratica di Dharma è molto importante conoscere la Natura della Mente.

Domande e risposte

Domanda. Cos’è il Sangha? È il gruppo di praticanti che può dare aiuto e guida?

Risposta. Come ha detto il Buddha ognuno sia maestro a se stesso e il gruppo può al massimo dare dei suggerimenti, dei consigli, ma pensare al gruppo come Sangha è sbagliato.

E’ un fraintendimento pensare che la presa di rifugio possa essere diretta ad una Sangha costituito da un gruppo di persone comuni.

Il Sangha non è costituito da molte persone, può essere costituito anche da un solo essere illuminato, un Buddha è un Sangha , un Arhat è un Sangha, un’Arya è un Sangha, mentre se mettiamo insieme centinaia di persone comuni non costituiremo mai un Sangha, perché al momento tutte queste persone sono come ceche e nessuno è in grado di dare protezione all’altro, mentre se si è un essere superiore, sia che sia da solo che con i suoi simili, allora è un Sangha in quanto dà protezione.

Il Sangha a volerne parlare approfonditamente è un argomento estremamente complesso, purtroppo se ne dà una lettura molto semplificata, nei Sutra è detto che quattro persone ordinate possono rappresentare un Buddha, Dharma, Sangha, ma non sono comunque l’autentico Sangha.

Per quanto attiene alla Presa di Rifugio nel Buddha, Dharma, Sangha, Buddha è il Maestro e non è il monaco che vi sta di fronte, il Dharma è quello che dice veramente il Maestro, ed anche qui bisogna vedere quanto sia corretta la trasmissione dell’insegnamento, ed a meno che uno di voi sia un essere illuminato anche il Sangha non è qui rappresentato… quindi noi non possiamo proteggere nessuno, mentre se fossimo Buddha, Dharma, Sangha, non avremmo nessuna necessità di praticare perché saremmo noi stessi il Rifugio… (risata).

Il fatto che le persone possano poi pensare che noi siamo Buddha, Dharma, Sangha è una cosa comunque positiva, magari non possiamo salvare gli altri ma agli occhi degli altri noi siamo già salvi… (risata)