Friday 10 January 2014

La natura di Sofferenza





La natura di Sofferenza

Le Terre dei Bodhisattva di Asanga





Insegnamenti di
Lama Geshe Gedun Tharchin
Assisi, 21-23 maggio 2010













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“Conoscere la sofferenza significa conoscere profondamente l’amore e la compassione, la vastità del cuore, e questa è la gioia, la soddisfazione, il senso della vita.”
Geshe Gedun Tharchin












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La natura di Sofferenza








INDICE





I Principi del Dharma
I Quattro Pensieri Incommensurabili
Asanga – “Le Terre dei Bodhisattva”
I primi sei tipi di sofferenza descritti da Asanga
Dieci categorie di sofferenze
Conclusioni














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I principi del Dharma


Un saluto a tutti, è sempre un grande piacere ritornare in questa casa e ritrovare tanti amici che nutrono sincero interesse per la ricerca spirituale, evento che imprime autentico significato alla comunità, al Sangha.
E’ importante condividere questo valore con generosità, con altruismo in un’attitudine che potenzia il proprio sviluppo; la condivisione è il metodo con cui accrescere ogni qualità in se stessi, risponde alla natura interdipendente, alla legge di causa effetto, ma per poterlo fare è necessario innanzitutto riconoscerlo, e ciò non è affatto facile, - come individuarlo dunque? Il valore e i principi coincidono, il valore umano è la dignità, è tutti i principi di vita che costituiscono una risorsa indispensabile alla stabilità mentale e che in questo contesto sono il Dharma, parola sanscrita intraducibile; riconoscere il proprio valore è riconoscere il Dharma, non come entità esterna, ma in se stessi, un impegno veramente arduo, attuabile solo tramite la meditazione, la riflessione, la contemplazione.
Verificando il proprio cuore sarà possibile riconoscere il proprio Dharma, ma cos’è questo cuore? certamente non ci si riferisce a quello fisico, bensì all’attitudine spirituale di amore e compassione, il più elevato significato nell’esistenza umana.
Non è facile discernere in se stessi il Dharma, non si tratta di avvertire le emozioni in tutta la loro potenza, di seguire sentimenti effimeri, si tratta di amore vero, autentico, stabile, è il principio della propria vita, la dignità, e deve necessariamente essere condiviso con gli altri in ogni momento e in tutte le ordinarie attività quotidiane.
Cosa sono l’amore e la compassione universali? non certamente il sentimento che proviamo nei confronti delle persone care, vanno ben oltre, sono una realtà solida, genuina, duratura, già presente in ognuno di noi, dobbiamo soltanto discernerne i segnali e nutrirla, farla crescere.
Noi siamo costantemente turbati dalla sofferenza, dai dispiaceri, dai dubbi, dall’insoddisfazione, dal rancore, dall’attaccamento, poiché non abbiamo ancora realizzato in noi stessi l’amore universale e la generosità altruistica, dunque l’insoddisfazione incessante che ci sfinisce non è causata dalla mancanza di oggetti materiali, dalla impossibilità di realizzare i desideri mondani, bensì dall’assenza di amore e compassione.
Non pretendiamo di possedere la perfezione dell’amore di Dio o di Buddha, è sufficiente sviluppare il nostro piccolo amore umano, purché sia puro, altruistico, disinteressato, disponibile, dobbiamo abbandonare la rincorsa affannosa e quasi esclusiva verso gli oggetti mondani, poiché in questo modo incrementiamo e rafforziamo soltanto la frustrazione di desideri futili e regolarmente inappagabili.
La nostra vita è nella natura di sofferenza, e amore e compassione sono l’elemento essenziale che vi imprime un senso profondo, altrimenti tutto sarebbe davvero inutile e sprecato nell’illusione.
La sofferenza è inevitabile, ogni istante ne è impregnato, dobbiamo semplicemente imparare a vederla, a meditarla, malgrado l’attitudine mondana della società moderna suggerisca esattamente il contrario, escogiti ogni mezzo per evitarla e inventi oggetti sempre più sofisticati utili a stordirsi, ignorando che questo è il metodo sicuro per affondare sempre più nelle sabbie mobili della sofferenza stessa.
E’ invece importante esercitarsi quotidianamente ad osservare la sofferenza, a scavare in se stessi, e ogni sera fermarsi a contare, ad analizzarne la quantità, le tipologie, sapendo che questo è la difficoltà fondamentale dell’umanità.
Oggi si investiga minuziosamente nei molteplici campi della scienza, ma nessuno vuole affrontare seriamente una ricerca sull’infelicità che pure è la causa prima di ogni problema nella condizione umana, la medicina moderna ad esempio rivolge spasmodicamente ogni energia per nascondere, per negare l’esistenza del dolore, e in questo modo l’aumenta a dismisura. La malattia fa paura a tutti, ma non serve a nulla nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, dobbiamo accoglierla come parte della vita, così come la morte.
Ognuno deve compiere questa ricerca in se stesso, non è possibile meditare sulla sofferenza altrui, è necessario osservarla nella profondità del proprio essere.
Una domanda essenziale che dobbiamo porci è: “Perché l’amore e la compassione sono importanti?” - “Per darci ricchezze e beni?” - No, affatto, in quanto la vita è natura stessa di sofferenza e soltanto l’amore e la compassione sono in grado di rendere gioiosa questa innata condizione.
È sbagliato considerare la sofferenza come evento esclusivamente negativo, frutto del peccato; qualsiasi azione è permeata da insoddisfazione, da malattie sempre più misteriose e diffuse, da pene immense e dunque dobbiamo affrontare questa realtà consapevolmente, vivendo ogni istante di vita pienamente, accogliendone il senso profondo, sapendo che è preziosa occasione di crescita.
Non servono a nulla le sovrastrutture, le etichette dietro cui si barricano le confessioni religiose, l’unico messaggio autentico di Buddha, di Cristo, di Dio, è amore e compassione.
Esiste un ulteriore motivo che imprime la natura di sofferenza alla vita, ed è l’impermanenza di tutte le cose.
E’ un errore comune e grave quello di proiettare le proprie paure e i desideri su un futuro ignoto, temere l’inferno e aspirare al paradiso. L’inferno e il paradiso sono già qui, questa è la nostra opportunità per comprendere, per vivere pienamente, cosa avverrà dopo la morte nessuno lo sa e non ha importanza, ciò che conta è non sprecare la meravigliosa opportunità della vita presente e concreta.
Riconoscere la natura di impermanenza della realtà è fondamentale, tutto è impermanente, noi sprechiamo l’intera esistenza per rincorrere le ricchezze, il denaro, illudendoci che questo sia il senso della vita, ma in un solo istante tutto svanisce, il nostro stesso corpo è fragilissimo.
La principale causa di sofferenza è ritenere che ciò che appare ai nostri sensi sia permanente, mentre ogni evento si trasforma, vola via in un soffio, si è appena nati e già si comincia a morire. L’attaccamento a queste illusioni è innaturale e per questo soffriamo, la nostra vera natura è dare, condividere con compassione, con amore universale, tutti siamo allo stesso livello, non c’è ragione di alimentare emozioni distruttive quali l’invidia, la gelosia, la rabbia, l’attaccamento, ogni essere è immerso nell’identica condizione di sofferenza.
Non dobbiamo meditare per raggiungere l’illuminazione o il nirvāna il più presto possibile, ma piuttosto fermare il pensiero, giorno e notte, sulla sofferenza dell’umanità che tutto permea in assoluta equanimità e sviluppare autentici amore e compassione, così è stata la vita di Gesù Cristo, di Buddha, di San Francesco e di tanti altri. Questo significa trasformare la vita nei principi e nel valore del Dharma.
La morte e resurrezione del Cristo rappresenta la sofferenza dell’umanità, la vita è sofferenza, è chiarissimo e immenso il messaggio del crocifisso anche se purtroppo molti cristiani, chiusi in una visione fanatica, lo fraintendono non comprendendone l’essenza vasta e completa.
È fondamentale e magnifico meditare sul significato profondo della passione, crocifissione e resurrezione di Gesù Cristo, i tre elementi fondamentali del cristianesimo. La sofferenza si trasfigura nella resurrezione, nel paradiso, nella purezza, il dolore si tramuta in amore; il meccanismo è questo, non si tratta di miracoli lontani, di magia, di sublimazioni, mostra in completezza assoluta la realtà della natura di sofferenza della vita umana e si trasforma nella natura amorevole della compassione; dalla croce alla resurrezione.
E’ essenziale meditare consapevolmente e incessantemente sulla natura di sofferenza della vita e sull’impermanenza della realtà sapendo che tutto è uguale, perfettamente equanime, perché ignorare questo significa andare incontro a tragedie ben più devastanti, ad esempio i terremoti ci sono sempre stati sulla terra, ma ora a causa dell’avidità, degli interessi del mercato, quando accadono provocano un’infinità di morti. Un tempo in Tibet si viveva in una tenda con qualche yak e capra, serenamente, e quando succedeva un terremoto nessuno si faceva male, ora invece morte e distruzione sono incalcolabili, le case mal costruite crollano seppellendo tutto. Questo è soltanto un piccolo esempio, ma tutto il comportamento umano egocentrico e insensato sta provocando danni inimmaginabili.
Domanda: Hai detto una cosa importante e vorrei essere certa di non fraintendere: la sofferenza vissuta consapevolmente porta immancabilmente all’amore, quindi il risultato della sofferenza è l’amore; mentre il risultato della fuga dalla sofferenza porta alla distruzione sia delle persone che del pianeta? Soprattutto noi popoli ricchi che stiamo usurpando e consumando più risorse di quanto la terra disponga per produrre spasmodicamente tecnologie sempre più sofisticate e già obsolete dopo qualche mese, siamo responsabili di questa disintegrazione che coinvolge tutti?
Lama: Si, questa è la realtà, la legge di causa effetto. Viviamo in tempi degenerati e oscuri, nel Kali-Yuga, e più aumenta la crisi provocata dagli interessi di pochi, più cresce la sofferenza di molti, aggravata dall’incoscienza diffusa e dall’incapacità di vederla, di riconoscerla. Siamo così ciechi e ottusi che non in nessun caso ammettiamo la nostra individuale e personale responsabilità, di fronte a qualsiasi problema cerchiamo prontamente un colpevole esterno, e in questo modo creiamo le condizioni affinché nulla possa cambiare, aggraviamo la condizione interiore e nutriamo, potenziamo, la sofferenza nostra e altrui, invece è indispensabile che ognuno assuma le proprie responsabilità, soprattutto a livello spirituale.
Questi sono tempi oscuri, e ognuno deve trovare in se stesso la via per praticare il Dharma, non esiste uno schema prestabilito né rigide e immodificabili preghiere, è necessario adattare la pratica alle condizioni del mondo attuale con consapevolezza amore e compassione; Milarepa, San Francesco trovarono i giusti mezzi e praticarono secondo le esigenze e le possibilità della loro epoca.
Quando siamo colpiti dalla sofferenza, quanto più grande è tanto più dobbiamo concentrarci su di essa, sviscerarla dalla sua stessa radice, riconoscerla, vederla nella sua impermanenza, questo è l’unico modo per accrescere il nostro valore, i principi, il senso della vita.
Non serve a nulla attendere che tutto si risolva miracolosamente, magicamente, soltanto nell’amore e compassione c’è lo Spirito Santo, e unicamente nella sofferenza abbiamo l’opportunità di far emerge quell’umiltà così necessaria e indispensabile al senso stesso dell’esistenza umana.
Questa sera rimaniamo si queste riflessioni, ci ritroveremo domattina alle sette e trenta per una meditazione silenziosa e dopo colazione riprenderemo gli insegnamenti.




I Quattro Pensieri Incommensurabili


Dopo la bella meditazione di questa mattina proseguiamo nell’esame del significato della sofferenza.
Conoscere la vita è fondamentale per poter imparare a spendere ogni istante nel Dharma, sia che camminiamo, meditiamo o lavoriamo; il tempo a disposizione si riduce in un continuo movimento, giorno dopo giorno ci si avvicina alla fine dell’esistenza. Non sappiamo da dove veniamo né dove andremo, si fanno infinite ipotesi, spesso contraddittorie, ma in realtà nessuno ha esperienza diretta di Dio, di Cristo, di Buddha, l’unica conoscenza possibile riguarda il presente, di come si è ora, ecco perché ognuno è il primo ed essenziale maestro di se stesso, è evidente, non servono oracoli, né divinazioni, né astrologi che, anzi, incrementano all’infinito la confusione.
Dobbiamo invece vivere nella purezza, nella luce, nel sole, evitando di rinchiuderci in un angolo angusto ed oscuro in attesa di qualcosa di magico, di miracoloso, di misterioso, non è bene confondere le antiche leggende con la realtà odierna. Un tempo si tramandavano verbalmente racconti fantastici senza differenziare il vero dall’immaginario, oggi la distinzione è chiara, nelle librerie i settori sono ben divisi con scaffali colmi di testi: letteratura classica, fantasia, narrativa, saggistica, psicologia, sociologia, matematica, filosofia e ogni disciplina conosciuta, ma anticamente non era così, la trasmissione delle informazioni era limitata e avveniva oralmente, così di bocca in bocca si arricchiva di aneddoti coloriti e affascinanti, per cui credere oggi a queste narrazioni epiche è davvero un errore che ci porta soltanto nella densa oscurità.
L’unica cosa davvero chiara, la storia della nostra vita, è la sofferenza che tutto permea naturalmente, nel sogno come nella veglia, senza sosta. I pensieri negativi, fastidiosi affollano la mente, mentre sono assenti la rinuncia, il distacco, l’altruismo che, seppur richiamati, non compaiono e ciò significa che il nostro cuore è inquinato dai condizionamenti mondani.
Ogni istante è subordinato alle emozioni distruttive, ma come possiamo invertire questo processo?
Non dobbiamo opporre una resistenza armata, arrabbiarci, lottare per eliminarle, è un metodo che non funziona perché più le vogliamo annientare con la forza e più acquistano potenza, dobbiamo semplicemente prenderne atto, fermarci, osservarle e contarle.
Questo metodo ha un significato preciso, perché siamo incessantemente accompagnati dal dolore anche se non abbiamo consapevolezza della sua natura e quantità e dunque non sappiamo come affrontarlo; l’unico modo per vincerlo consiste nella capacità di guardarlo tranquillamente, di riconoscerlo e analizzarlo sia a livello convenzionale che ultimo, sino a giungere al centro della sua natura di vacuità.
Questa è la risposta equanime alla sofferenza; l’analisi equanime della propria pena permette di conoscere se stessi, il proprio cuore, di sviluppare l’innata natura di amore e compassione.
Conoscere la sofferenza significa conoscere profondamente l’amore e la compassione, la vastità del cuore, e questa è la gioia, la soddisfazione, il senso della vita.
Al contrario, l’insoddisfazione è frutto della mancanza di amore e compassione, di un cuore arido, chiuso, inconsapevole.
La vita autentica è permeata dalla sofferenza che procede di pari passo con l’amore e la compassione che non avrebbero invece alcuna possibilità di svilupparsi al di fuori dell’esperienza consapevole del dolore.
Ieri abbiamo ricordato che Gesù Cristo ha parlato poco, solo tre anni e senza utilizzare nessun mezzo pubblicitario, conferenze, seminari, camminava infaticabilmente come un senza tetto, ma ogni sua parola era essenziale, così come lo è stata la sua morte. Con umiltà e semplicità ha offerto l’insegnamento del significato della vita umana nella sua natura di sofferenza sino alla morte di croce, manifestando nella resurrezione l’infinita potenza dell’amore e della compassione.
Il crocifisso rappresenta sia il dolore della vita che l’amore e compassione, inseparabili, senza l’uno non potrebbe esserci l’altro, la salvezza dalla sofferenza sono l’amore e la compassione, e la causa dell’amore e della compassione è la sofferenza intrinseca alla vita.
Volendo combattere forzatamente, cancellare, ignorare i problemi che affollano le nostre giornate ci contrapponiamo ostinatamente alla natura della realtà ed è una lotta persa in partenza, nessuno è mai riuscito in questo intento, è importante esserne coscienti e per questo è bene riflettere sui quattro aspetti dell’amore universale conosciuti come i Quattro Pensieri Incommensurabili”:
  1. Equanimità illimitata;
  2. Gioia compartecipe illimitata;
  3. Compassione illimitata;
  4. Amore e benevolenza illimitata.
L’aggettivo “illimitato” indica che sono aspetti non circoscritti al mondo conosciuto, alla famiglia, agli amici, alle persone incontrate, vanno ben oltre, si trasformano in un amore sconfinato, universale.
Il primo pensiero, l’equanimità, è assolutamente fondamentale perché è l’unico mezzo che permette di sperimentare questa universalità; sono annullate tutte le differenze, alti e bassi, esplosioni di felicità o di disperazione, ogni evento è presente nella sua eguaglianza, nell’equilibrio dei suoi valori. Le percezioni discriminatorie che ci condizionano in modo devastante sono causate dalla nostra visione illusoria, dai giudizi, dalle aspettative errate, nella realtà invece tutto è uguale, la vita condivisa da ogni essere non ha differenze: quando osserviamo un elefante che porta grandi tronchi e una formica che trascina un minuscola briciola di pane, automaticamente giudichiamo il peso dell’elefante superiore a quello della formica, ma non è così, sul dorso di entrambi pesano esattamente allo stesso modo. Lo stesso vale per gli esseri umani, sia l’uomo più potente che il meno importante hanno nella loro mente uguale carico di sofferenze, insoddisfazione, problemi.
Ognuno dei quattro pensieri è strettamente interconnesso agli altri nell’assoluta equanimità, e allo stesso modo i momenti di gioia, di serenità, devono essere pienamente goduti nella condivisione, senza esaltazioni o discriminazioni.
La gentilezza amorevole è gioiosa, serena, non separa, unisce, e porta spontaneamente a rivolgere amore e compassione a tutti gli esseri affinché possano essere liberati dalla sofferenza.
I quattro pensieri incommensurabili sono oggetto della meditazione sull’amore universale, leggiamone il testo:
  1. Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero equanimi, senza attaccamento né ostilità, non vicini a qualcuno e distanti da altri.
Possano dimorare nell’equanimità.
Io farò in modo che vi dimorino.
Vi prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.

  1. Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti avessero la felicità e le sue cause.
Possano essi averla.
Io farò in modo che la posseggano.
Vi prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.

  1. Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero liberati dalla sofferenza e dalle sue cause.
Possano esserne liberati.
Io farò in modo che ne siano liberati.
Vi prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.

  1. Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti non fossero privi della gioia delle rinascite elevate o della liberazione completa.
Possano non esserne mai privi.
Io farò in modo che essi non ne siano separati.
Vi prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.”

Il primo essenziale pensiero della meditazione, l’equanimità illimitata, ci libera da ogni avversione, odio, rabbia verso coloro che consideriamo i nemici, e altrettanto dall’attaccamento nei confronti delle persone che amiamo, degli amici, poiché nella realtà amici e nemici sono assolutamente uguali, dov’è la differenza? Tutti, noi, i nostri amici e i nostri nemici, soffriamo esattamente allo stesso modo.
E’ inutile, fastidioso e dannoso porre continuativamente il nostro ego al centro dell’universo, ipernutrendolo con le emozioni estreme di avversione, di attaccamento e dell’indifferenza che ci rende impermeabili alla sofferenza altrui. Quest’attitudine consueta rende la vita davvero pesante e ogni cosa diventa un problema, insopportabile, doloroso.
L’atteggiamento opposto che genera gioia, gentilezza, equilibrio, serenità, è l’equanimità incommensurabile in quanto ci trasforma in esseri completi, sani, maturi, liberi dai limiti dell’attaccamento, dell’avversione e dell’ignoranza indifferente; questa è meditazione.
Meditazione significa conoscere, approfondire e vivere la realtà nel quotidiano in modo da diminuire giorno dopo giorno l’ignoranza, l’attaccamento, l’odio e soprattutto la centralità del sé e, al contrario, insegna ad osservare con occhi puri la perfetta equanimità di ogni fenomeno.
L’equanimità è il principio fondamentale dell’esistenza umana, eppure la società moderna lo valuta negativamente e lo combatte strenuamente nel tentativo di ignorarlo, di annientarlo definitivamente, non accorgendosi che proprio a causa di questa cecità incrementa la crisi mondiale e l’infelicità diffusa.
Avvertiamo in noi un deserto arido, siamo assetati di gioia, di felicità, di tranquillità, siamo perennemente insoddisfatti, ma per poter riempire questo immenso vuoto interiore non abbiamo altra possibilità che riflettere sulla sofferenza, sul dolore intrinseco all’esistenza e diffuso in modo assolutamente uguale, dobbiamo superare le false visioni dell’ignoranza che nell’egocentrismo megapresente generano attaccamento e avversione.
I pensieri incommensurabili di equanimità, e gioia duraturi, illimitati, una volta riconosciuti, devono essere preservati, mantenuti, e in questo consiste la seconda parte della pratica; come inizia il secondo verso?
Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti avessero la felicità e le sue cause.”
Che cos’è la felicità? - un dolce? il cioccolato? ovviamente no, ma la domanda è importante, cos’è la felicità? - la felicità è nel pensiero incommensurabile dell’equanimità.
Se accettiamo di conoscere e riflettere profondamente sulla nostra sofferenza, sul dolore naturale intrinseco all’esistenza, sorge spontaneamente nel nostro cuore l’equanimità che, radicandosi, permette di diminuire progressivamente l’attaccamento, l’avversione e l’ignoranza, divenendo così essa stessa felicità.
La felicità autentica è il pensiero equanime ed è indispensabile svilupparlo in se stessi tramite l’osservazione del dolore, perché la natura dell’esistenza può manifestare la felicità solo laddove riconosca la sua stessa essenza di sofferenza; come diceva San Francesco non c’è luce senza tenebra, se non ci fosse il buio la fiamma della candela non illuminerebbe nulla.
La natura della felicità è imprescindibile dalla natura della sofferenza e deve essere coltivata con intelligenza nella riflessione profonda e nella conoscenza dell’essenza umana, perché questa è la peculiare caratteristica degli esseri umani.
Praticare il Dharma, il valore spirituale, non è un compito semplice da assumere con superficialità, deve essere assimilato nella sua completezza e posto al centro del cuore, altrimenti la confusione prodotta dalla suo fraintendimento può produrre danni immensi.
Il Dharma non consiste in divinazioni, benedizioni, iniziazioni, danze, predizioni astrologiche, attività di possibile supporto nel cammino verso la conoscenza, ma che isolate dal contesto della trasformazione del sé non raggiungono alcun obiettivo e possono, in una visione fanatica, diventare un ostacolo serio.
Nella meditazione sulla propria condizione si acquisisce la consapevolezza che gioia e sofferenza sono elementi propri dell’esistenza umana, ugualmente e incessantemente presenti, e si è così pronti a compiere il terzo passo compassionevole, l’attenzione non è più rivolta solo a sé stessi, ma a tutti gli esseri; in questo modo si impacchetta e spedisce lontano l’ignoranza, l’attaccamento, l’avversione e la centralità dell’ego, sviluppando l’autentica gioia della gentilezza amorevole.
Nel quarto pensiero incommensurabile si completa la purificazione della propria mente, si rafforza la presenza della gioia, mentre si indebolisce quella della sofferenza e a questo punto l’amore illimitato scaturisce spontaneamente.
I quattro pensieri incommensurabili sono la purificazione, non i cerimoniali formali o i lavacri nell’acqua inquinata del Gange, la purificazione è trasformazione profonda del cuore e queste indicazioni sono ribadite in tutte le religioni del mondo.
Oggi più che mai è necessario purificare la propria anima, perché stiamo vivendo in tempi degenerati, nel Kali-Yuga, non ha alcun senso spendere ogni energia nel vano tentativo di rendere perfetto il corpo, un’impresa impossibile in quanto per sua natura la materia è corruttibile.
Dobbiamo purificare la mente per vivere pienamente con gioia e chiarezza, finalmente liberati dalla visione ingannevole che ci mostra la felicita laddove sussistono soltanto le cause di infelicità e di insoddisfazione, e ci fa considerare permanente ciò che è impermanente, mentre non esiste realtà che non cambi, è un processo inevitabile e universale.
Se ci ostiniamo a imporre cocciutamente al centro dell’universo il nostro abnorme ego che così strutturato è altrettanto inesistente, tutto ciò che è impuro ci appare come puro, la nostra visone è completamente errata in quanto non conosciamo la vera natura delle cose, siamo annebbiati dai fumi dell’ignoranza.
La più grande illusione e ignoranza è proprio quella di considerare come unicamente importante io, io, io” e immediatamente conseguente “mio, mio, mio”, e ciò è chiaramente evidente nel nostro linguaggio, provate ad esaminare le espressioni ricorrenti con cui vogliamo entrare in comunicazione con il prossimo e vedrete che sono improntate e partono tutte dal presupposto di io e di mio.
La pratica consapevole e costante dei cinque pensieri incommensurabili immette nel percorso di gioia, felicità, compassione ed equanimità, che conduce alla coscienza del vero senso all’esistenza umana.



Asanga – “Le Terre dei Bodhisattva”1


Il testo tibetano che sto consultando “Bodhisattvabhūmi2” è stato rivelato da Asanga, grande maestro del IV secolo d.C. nello Yogācārabhūmisāstra e affronta minuziosamente, articolandola in tre livelli, la meditazione sui quattro pensieri incommensurabili:
  1. il primo livello riguarda gli esseri senzienti;
  2. il secondo analizza la natura impermanente dei fenomeni;
  3. il terzo è rivolto alla natura della vacuità, la realtà ultima.
Gli esseri senzienti sono a loro volta suddivisi in tre gruppi:
    1. coloro che vivono nella felicità;
    2. coloro che vivono nella sofferenza;
    3. coloro che vivono in modo equilibrato con sofferenza e felicità e senza sofferenza e felicità.
L’unico mezzo per ottenere l’autentica felicità è permanere nell’incommensurabile equanimità, senza desiderare la felicità, perché ciò sarebbe già sofferenza, e senza contrastare inutilmente la sofferenza.
Asanga spiega che tutti gli esseri desiderano la felicità, ma questo auspicio deve diventare impegno effettivo tramite la pura intenzione che supera lo stadio della stessa aspirazione affermandosi nella concreta realizzazione.
Pura intenzione significa azione diretta, responsabilità personale e, se sul piano pratico ciò è impossibile in quanto la materia ha precisi limiti, è invece fattibile a livello mentale che è infinito.
Leggiamo il terzo pensiero:
Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero liberati dalla sofferenza e dalle sue cause.”
In questa prima frase è espressa l’intenzione, la compassione che induce a voler liberare gli esseri dalla sofferenza, attuabile grazie alla pura intenzione:
Io farò in modo che ne siano liberati.”
Io, in prima persona, devo agire affinché siano liberati, non attendere che avvenga miracolosamente, che cada dall’alto, il mio diretto impegno deve essere totale, effettivo, puro, incommensurabile.
Nel primo livello di compassione, rivolto ai tre gruppi degli esseri senzienti, si genera la pura intenzione.
Nel secondo livello si riflette e analizza in profondità la natura impermanente di ogni fenomeno, la natura di sofferenza che ne deriva, sino a giungere alla comprensione autentica dell’assenza del sé; questa è purificazione.
La purificazione non è subordinata a cerimonie e rituali, non si trova nell’acqua più o meno pulita del Gange perché il corpo è in sé impuro e non può essere in alcun modo reso puro, non sarebbe più corpo, la vera purificazione avviene nella trasformazione della mente che comprende l’impermanenza dei fenomeni ed è introdotta naturalmente nell’autentica compassione.
In questo modo si giunge alla comprensione del livello ultimo, la natura di vacuità, lo spazio infinito, noi siamo spazio, affatto concreti duri e rigidi come invece ci percepiamo a causa dell’ignoranza egocentrica che ci domina e che è riassunta nei quattro concetti errati:
  1. considerare puro ciò che è impuro;
  2. ritenere permanente l’impermanente;
  3. percepire come felicità ciò che è sofferenza;
  4. avere un’errata nozione del sé.
Soltanto nella pratica dell’equanimità possiamo superare queste visioni deformate ed ottenere la felicità che nasce dalla riflessione sulla stessa felicità e sulla sofferenza, entrambe ugualmente presenti in noi e negli altri, dobbiamo raggiungere la consapevolezza dell’inesistenza di oggetti, inventati, fabbricati dall’io illusorio, su cui riversare odio, attaccamento o indifferenza. Tutto è impermanente, tutto è spazio, siamo venuti dal vuoto e finiamo nel vuoto, siamo venuti dallo spazio e finiamo nello spazio, questa visione profonda è saggezza.
Come meditare sulla sofferenza degli esseri senzienti? Con la compassione permeata dalla pura intenzione di voler eliminare la sofferenza di tutti gli esseri, indistintamente.
Come meditare sulla compassione? Il testo dice che i Bodhisattva meditano con infinita compassione le mille sofferenze degli esseri senzienti e, anche se il numero è metaforico, indica l’impegno assoluto dell’intera esistenza.
Meditare anche su una sola sofferenza degli esseri senza discriminare è già sufficiente per far sorgere spontaneamente la pura compassione, che non è dolore e che nell’equanimità diviene autentica gioia, amore profondo.
Avendo maturato questa compassione pura si può meditare su due fondamentali sofferenze degli esseri senzienti:
La prima, detta sofferenza della sofferenza, è relativa al dolore fisico, quando lo avvertiamo diciamo: “io soffro”, ma in realtà non è l’io che soffre, si tratta di un disordine in qualche parte del corpo, che comunque non è “io”, e che noi, altrettanto erroneamente, consideriamo “mio”, patendo così doppiamente, nel fisico e nell’anima.
La seconda è detta sofferenza del cambiamento, in quanto ciò che in un primo momento appariva fonte di felicità in effetti manifesta prontamente tutto il suo peso di dolore, l’aspettativa di un risultato gioioso si è rivelata vana, è stata cambiata. Ugualmente considerando qualsiasi fenomeno come permanente proviamo dolore quando esso mostra inevitabilmente la sua impermanenza.
Oggi esistono laboratori scientifici altamente sofisticati e prestigiose università, ma nessuno ha mai affrontato, come invece ha fatto Asanga nel quarto secolo, una seria ricerca sulla sofferenza degli esseri senzienti.
Eppure questa indagine è il metodo, la via che dobbiamo percorrere, è necessario purificare i concetti errati che ci confondono e abbandonare l’illusione di poterci facilmente purificare con acqua, fuoco, aria e terra, gesti esteriori che non hanno alcun valore se avulsi dalla vera purificazione interiore perché se così fosse il Tibet e l’India sarebbero i luoghi più puliti al mondo, invece l’India è soffocata dall’immondizia e il Tibet è stato cancellato, non esiste più.
Dobbiamo stare attenti a non cadere in fuorvianti superstizioni, il Dharma è il più grande fenomeno, ma comporta altrettanti rischi, maggiori sono i benefici maggiori sono i pericoli.
Dopo aver riflettuto sulle prime due sofferenze, della sofferenza e del cambiamento, meditiamo sulla terza, la sofferenza della condizione, o onnipervasiva.
La sofferenza della sofferenza è la più grossolana, tangibile, palese; la sofferenza del cambiamento è già più sottile, meno immediatamente evidente, e la sofferenza della condizione è la più sottile, appartiene alla vita stessa, non sempre automaticamente visibile, ma inesorabilmente presente in ogni essere nella condizione samsarica e l’unica via di liberazione da questo tormento è l’amore.
I grandi maestri di tutte le religioni hanno insegnato questo percorso fondamentale, null’altro, le sovrastrutture e i dogmi costruiti a posteriori sono finalizzati unicamente a consolidare il potere temporale delle istituzioni, non hanno alcun significato intrinseco e annientano la spiritualità autentica.
L’incomparabile significato della vita è l’amore universale che supera ed elimina la sofferenza della condizione, questo è il messaggio basilare che dobbiamo assimilare e, portare nella quotidianità dell’esistenza.
Non avrebbe alcun senso restare immobili aspettando il giudizio universale, immaginare un futuro paradiso raggiungibile soltanto dopo la morte, o sperare in infinite rinascite, migliori forse, ma sempre nel samsāra, per ottenere infine un’illuminazione di cui ancora non si ha alcuna conoscenza; è un modo davvero terribile di sprecare l’insostituibile opportunità offerta da questa esistenza umana, dobbiamo scuoterci da un simile torpore e agire, vivere pienamente ogni istante, nella meditazione, nella contemplazione che è felicità, illuminazione, paradiso, qui e ora.
Tutte le fantasie costruite sulle antiche narrazioni tramandate dalle varie tradizioni che descrivono ipotetici paradisi o terre pure dopo la morte incrementano la pigrizia, gli errori, la confusione e vanificano i veri messaggi dei grandi maestri. Gandhi ha così faticato per salvare l’India, eppure a causa dell’indolenza, dell’ignavia, dell’ottusità e della chiusura del cuore di chi aspetta apaticamente non si sa cosa, dopo sessantanni nulla è cambiato nella situazione dolorosa degli indiani.
L’unica vera possibilità di trasformare la condizione degli esseri senzienti si concretizza nella purificazione del cuore, nella ferma intenzione di volere la felicità, abbandonando ogni falsa illusione di poter raggiungere questi obiettivi restando legati alle apparenze, alle cerimonie, vestendosi o mangiando come i tibetani, copiando come fantocci comportamenti altrui, recitando preghiere incomprensibili in lingue assolutamente sconosciute, tutto questo è una insensata follia. In occidente, forse per assecondare le leggi di mercato, si pubblicizzano i centri di Dharma nelle palestre, nei centri benessere, gli insegnamenti sono redatti come menù di ristoranti, è davvero un’aberrante perdita di valori e di tempo.
Ci sono domande?
Domanda: Quanto dobbiamo ancora soffrire?
Lama: Questo dipende unicamente da te, ognuno ha tutte le possibilità nelle proprie mani. Si deve essere coraggiosi, determinati, senza debolezza o titubanza. Puoi scegliere di rimanere nella sofferenza, ma se decidi di vivere la gioia devi applicare i quattro pensieri incommensurabili e purificare i concetti errati.
Domanda: Se ho ben compreso la natura umana è sofferenza, ma contemporaneamente c’è felicità, frutto dell’equanimità che ci permette di vivere attivamente ogni avvenimento con gioia e amore, senza aspettare passivamente gli avvenimenti…
Domanda: Il non far coincidere il dolore fisico con il proprio atteggiamento interiore non è separazione tra materia e spirito?
Lama: Non si tratta di separare spirito e materia, tra i due aspetti vi è inscindibile interdipendenza, ma non si deve cadere nel concetto errato di “io” e “mio” perché questa visione potenzia il peso della sofferenza in quanto si riferisce a un immaginario sé che in realtà non si conosce, di cui si ha falsa visione, e di conseguenza ad un altrettanto illusoria immagine di “mio”, per questo è importante riflettere attentamente sui quattro concetti errati.
Qualsiasi fenomeno derivante dal karma e dall’illusione mentale è oggetto di sofferenza e dolore.
Qualsiasi fenomeno derivante da cause è soggetto a impermanenza.
Tutti i fenomeni hanno natura di vacuità, sono spazio, non esistono in modo indipendente, in lingua pali i tre segni dell’essere sono così indicati: Dukkha, Anicca, Anattā (Sofferenza, Impermanenza, Inesistenza del sé), questo è il cuore del Dharma, una conoscenza imprescindibile senza la quale tutto sarebbe inutilmente vanificato, perduto.
Meditare con semplicità su questi elementi essenziali è efficace e fondamentale, lasciamo dunque perdere complessi sistemi intellettuali che forse gratificano il nostro ego, ma rendono la meditazione davvero povera e sterile.




I primi sei tipi di sofferenza descritti nel testo di Asanga


Sediamoci nella posizione più confortevole, rilassata.
Gli occidentali nei confronti delle discipline orientali devono necessariamente superare alcuni ostacoli, il primo è la posizione, il secondo l’attitudine, il terzo la cultura, il quarto la visione settaria della religione, il quinto il materialismo, il sesto la troppa intelligenza, e tanti altri ancora che costituiscono una vera barriera da oltrepassare prima di poter giungere all’autentico valore spirituale. Si tratta di un vero lavoro, però facilitato dalla sincera ricerca di integrazione, come stiamo tentando di fare qui tutti insieme.
L’integrazione degli aspetti culturali, spirituali, umani, religiosi, senza contraddizioni, è essenziale soprattutto oggi in un mondo diventato davvero piccolo e in cui gli scambi interculturali sono la norma, non l’eccezione, questa è la civiltà del ventunesimo secolo e richiede un nuovo approccio.
Dobbiamo dunque rilassare il corpo e di conseguenza la mente poiché l’interrelazione tra i due contenitori è continua, permette l’attuazione dei valori spirituali che imprimono senso all’esistenza, e tra questi la compassione, la concentrazione, la saggezza.
Non è stato scelto uno specifico argomento per questo seminario e il tema della compassione e dell’amore è scaturito spontaneamente dalle condizioni create dall’assemblea.
Il nostro cuore costantemente vuoto, affamato, insoddisfatto, produce ininterrottamente disagi e problemi che nell’aridità della mancanza di amore e compassione si radicano sempre più profondamente in un dolore inestinguibile dell’anima. Attenzione però, amore e compassione non purificati da attaccamento possono creare altrettante difficoltà.
Come possiamo liberarci dall’attaccamento e riempire il cuore vuoto, indurito, con compassione e amore puri? E’ necessario addentrarsi in un’attenta analisi della sofferenza, perché l’amore può nascere soltanto quando realizziamo pienamente la natura della sofferenza intrinseca all’esistenza umana, in caso contrario non saremo mai in grado di costruire nulla di autentico, di vero.
E’ dunque fondamentale procedere con un atto molto semplice e remissivo, dobbiamo ogni sera osservare e contare le sofferenze che hanno condizionato la giornata: i problemi, le debolezze, i conflitti, la litigiosità, la competitività, le difficoltà. Grazie a questo tipo di contabilità cominciamo ad avere maggiore consapevolezza della natura dell’esistenza umana, diventiamo più umili e spontaneamente crescono in noi amore e compassione, unico certo nutrimento del cuore.
Il nettare in grado di eliminare l’aridità e la sete inestinguibile del cuore non cade dal cielo come manna miracolosa, non possiamo esigerlo direttamente da Dio o dal Buddha, dobbiamo coltivare i semi già piantati in noi affrontando senza paura e contando ogni giorno le sofferenze, senza cercare scappatoie (e gli italiani in questo sono esperti), ma non serve fuggire, ignorare la realtà della condizione umana, anche perché non c’è altro modo per sviluppare amore e compassione e dunque la gioia.
È importantissimo imparare a vedere con chiarezza e contare le sofferenze. giorno dopo giorno, molto più utile che tenere la contabilità di mantra, di mandala e delle preghiere alle divinità, poiché con questa meditazione giungiamo alla conoscenza del sé.
Soffermiamoci ad esaminare le quattro sofferenze di base, comuni a tutti gli esseri e che quotidianamente si presentano: la perdita, la separazione da ciò che amiamo; l’interruzione, il termine, la fine di condizioni agevoli credute acquisite e stabili e invece assolutamente caduche e fragili; la nascita che sin dal primo istante è sofferenza; la morte di cui si ha terrore e che si affronta in totale dolorosa solitudine.
Riflettendo su queste quattro condizioni umane sviluppiamo naturalmente amore e compassione perché ci liberiamo dall’attaccamento, dalla rabbia, dall’ignoranza, dall’ego, i veleni che costituiscono il problema fondamentale della vita, l’origine stessa della sofferenza di cui verifichiamo l’inconsistenza, poiché soltanto quando ne siamo pienamente consapevoli possiamo vedere nitidamente l’assoluta equanimità della condizione umana e a questo punto emerge quasi automaticamente in noi l’attitudine a diminuire ogni ingiustificato egoismo ed egocentrismo, ecco perché l’amore è il messaggio fondamentale degli esseri realizzati di tutte le religioni, Cristo, Buddha, Gandhi, San Francesco, Santa Teresa d’Avila e tanti altri che hanno predicato questa legge naturale già presente nel cuore di ognuno, dobbiamo solo scoprirla e farla germogliare.
Senza l’amore sono assolutamente inutili le sfarzose cerimonie religiose, le pūja ripetute automaticamente, le benedizioni, le iniziazioni, i rituali che né Cristo né Buddha hanno mai praticato e che soltanto in seguito sono state elaborate dalle istituzioni diventando un ostacolo alla crescita degli individui.
La pratica principale del Cristo e del Buddha era la semplicità, l’umiltà, la povertà che è rinuncia, invece oggi cosa stanno facendo le religioni? – rischiano fortemente di annientare la ogni spiritualità, di svuotarne tutti i contenuti mostrando esclusivamente le copertine, le etichette che discriminano e segnano i confini di potere delle istituzioni, difendono bellicosamente la propria presunta unica verità, per questo l’umanità sta soffrendo così tanto.
Queste sono le prime quattro sofferenze, la quinta è direttamente collegata alle emozioni negative frutto dei desideri mondani tendenti a soddisfare i propri sensi, a vendicarsi e voler danneggiare altri, a rimanere nell’ignoranza che rende ottusi nel torpore sonnolento o nell’eccitazione iperattiva, a farsi dominare dai rimpianti e dal dubbio.
Domanda: Scusa, dubitare è negativo?
Lama: I dubbi non sono in sé negativi, ma causano molte sofferenze perché ristagnano nella mente ottusa, allo stesso modo il rimpianto, il torpore sonnolento e l’eccitazione sono neutri, ma la loro natura è di sofferenza, la vita stessa non è né negativa né positiva, ma natura di sofferenza.
Il sesto tipo di sofferenza riguarda la sofferenza di causa, la ricerca del risultato, della ricchezza e del suo mantenimento con la preoccupazione e il timore di perderla, la perenne insoddisfazione, e infine la perdita dei beni materiali.
L’analisi di ognuna di queste categorie offre una visione completa dei tormenti che condizionano l’esistenza. Se ci domandassero a bruciapelo “cos’è la vita?” non sapremmo rispondere, perché non ci siamo mai soffermati ad analizzarla dettagliatamente nella sua stessa natura di sofferenza samsarica.
L’insoddisfazione, il volere sempre qualcosa di più, la paura di perdere ciò che si ha, dominano ogni istante, ma imparare a riconoscere la fonte del tormento, a contarla è utilissimo per colpire il nostro ego, per vanificare ogni rabbia, odio, attaccamento e ignoranza, è l’unico mezzo che ci pone di fronte alla nostra debolezza, condivisa in modo assolutamente uguale con tutti gli altri.
Nell’umiltà, nella semplicità, la mente è sana, la vita più gioiosa, sorge una ricerca interiore concreta, necessaria, che non ha nulla a che fare con le inutili manifestazioni esteriori elaborate nei secoli dalle istituzioni, ma mai insegnate dai maestri.
Il Buddha non ha tentato di ingannarci con false consolazioni suggerendo parole dolci, gratificanti, ha per prima cosa illustrato l’impermanenza della realtà, ha detto che tutti, indiscriminatamente, siamo soggetti a nascita, malattia, vecchiaia e morte, così come Gesù è stato altrettanto chiaro e determinato nell’indicare la porta stretta, la difficile, dura via, spogliata da ogni esteriorità e ricchezza e da inutili fantasie.
Buddha non si è mai soffermato a spiegare cerimoniali tantrici, non ha mai detto: “devi recitare centomila mantra di questo e di quello e raggiungerai meravigliose terre pure, paradisi di beatitudine assoluta”, ha detto invece: “tu sei il maestro di te stesso, la condizione umana è sofferenza e la via per superarla è questa, solo tu puoi scegliere se percorrerla o meno”.
Da queste meditazioni nasce la rinuncia e la gioia. La nostra vita è natura di sofferenza, è assodato, però non significa che il dolore sia in sé negativo, è anzi un inestimabile valore da cui nascono amore e compassione, la sofferenza è la possibilità terrena di sviluppare i preziosi tesori che portano, nell’equanimità, alla vera felicità.
Nell’equanimità si attenuano fino a scomparire attaccamento, rabbia, ignoranza, egocentrismo, e ciò significa raggiungere l’autentica la gioia che affonda le sue radici nei quattro pensieri incommensurabili.
Se non comprendiamo intimamente la natura dell’infelicità, non potremo nemmeno capire quella della felicità, per questo Asanga, uno dei maggiori maestri buddhisti, con infinita pazienza ha analizzato dettagliatamente le sofferenze degli esseri senzienti, è stato un concreto ricercatore dello spirito come Leonardo da Vinci lo è stato della scienza.
Sofferenza e amore e compassione sono le due facce della stessa medaglia, l’unica differenza consiste nella natura implicita dell’infelicità e nella natura potenziale che deve essere coltivata e sviluppata, della felicità, dei pensieri positivi.
Potete fare un esperimento semplicissimo: immergetevi per cinque minuti in pensieri positivi e analizzate come vi sentite in questa condizione, poi fate altrettanto con pensieri negativi, il risultato è evidente, non necessita altro commento, l’indicazione della via verso la felicità è chiarissima.
I pensieri positivi sono raccolti in sei categorie: generosità, moralità, pazienza, perseveranza entusiastica, concentrazione e saggezza, tutti rappresentati dalle sei pāramitā (perfezioni) e manifesti nel mantra OM MA NI PAD ME HUM.
La mia mamma recita questo mantra da mattina a sera, non si ferma per indagare sull’origine di ogni sillaba, semplicemente sa che significa compassione, l’essenza di tutti i pensieri positivi, e non si stanca di ripeterlo con umile e profonda fede che diviene parte della vita, esperienza inscindibile.
Dunque la meditazione non è perdersi nelle visioni fantastiche, nei sogni, è semplicemente consapevolezza nei pensieri positivi, la presenza in se stessi delle sei pāramitā, in grado di soppiantare le sei sofferenze.
Le possibilità nella vita materiale sono limitate dalla materia stessa, ma nello spirito sono infinite perché lo spazio è illimitato.
Domanda: Cosa significa esattamente “realizzare la sofferenza”? forse bisognerebbe dire “essere consapevoli del dolore” perché in italiano con il verbo realizzare si sottintende ottenere il dolore.
Lama: Realizzare la sofferenza significa averne chiara conoscenza, in genere noi la sopportiamo senza comprenderla, non ci rendiamo nemmeno conto di subirla ininterrottamente. Soltanto se nella meditazione, nell’osservazione e conteggio delle sofferenze che ci colpiscono ne maturiamo piena consapevolezza saremo in grado di non ripetere automaticamente gli stessi errori e di modificare le premesse che ne sono causa.
Domanda: Che differenza c’è tra felicità e gioia?
Lama: La felicità è la gioia; sono la stessa cosa con sfumature leggermente diverse, la felicità è automatica contrapposizione all’infelicità, nella gioia c’è un aspetto più costante di quiete ininterrotta.
Si deve sempre mantenere l’attenzione sui quattro pensieri incommensurabili, l’equanimità è felicità, e restare stabili in questo stato di pace che non discrimina è gioia. Da questa permanenza duratura nella compassionevole equanimità sorgono l’amore e la gentilezza. Il passo immediatamente seguente è la pura aspirazione a voler eliminare per sé e per gli altri la sofferenza e quest’attitudine concreta diventa compassione incommensurabile, amore universale.
Amore e gentilezza, compassione, gioia, equanimità, sono altrettante forme di amore e tutte e quattro insieme costituiscono la completezza dell’amore, la sua universalità incommensurabile, l’unico autentico valore spirituale del cuore che è l’anima stessa, senza amore non può esserci nemmeno anima.
Domanda: Perché la morte è negativa? La morte non dovrebbe eliminare ogni sofferenza?
Lama: Bella domanda, la morte non è necessariamente negativa, per noi è sofferenza, per gli esseri realizzati non è né dolore né felicità. La morte è un’esperienza assolutamente individuale, il modo con cui è sperimentata dipende singolarmente da ogni persona. Per te cos’è la morte?
Risposta: Pace…
Lama: Un bel concetto, anche prescindendo dalle elaborazioni filosofiche. La morte ha comunque varie fasi, c’è la sofferenza che precede la morte e quella che viene dopo, non si conosce la morte e questo è terrorizzante, fa paura.
Domanda: Per la filosofia tibetana la morte non è lo specchio della vita?
Lama: I tibetani non hanno filosofia, la filosofia è stata importata dall’India, dalla Cina, l’antica filosofia tibetana è stata cancellata dai tibetani stessi, per questo non hanno alcun senso le suddivisioni in buddhismo tibetano o altro, il buddhismo è universale, esattamente come il cristianesimo, tutte le successive classificazioni sono sciocchezze.
Domanda: E’ vero che il buddhismo è una filosofia di vita piuttosto che una religione?
Lama: Dipende da come lo si interpreta, la sua definizione è un’esigenza della cultura occidentale che separa nettamente filosofia e religione, ma nel buddhismo questa distinzione non esiste, la filosofia è religione, la filosofia è un supporto logico, un ragionamento alla teologia.
Lo stesso termine “filosofia” è occidentale e non è traducibile in tibetano, così come non si può tradurre in inglese “Buddha, Dharma e Sangha”.
Tu prima ha detto che per te la morte è pace, che significa esattamente?
Risposta: Non dover più tenere la contabilità delle sofferenze….
Lama: Anche qui si ripropone lo stesso problema di linguaggio intraducibile, in sanscrito il termine è “dukkha” ed è reso parzialmente nella sua traduzione in “sofferenza” in quanto non ha una valenza solo negativa, sottintende il peso della vita, di quella valigia che necessariamente si deve con fatica portare sempre appresso perché contiene cose necessarie, e sapere cosa mettervi dentro, contarne i pezzi eliminando quelli inutili, è indispensabile per un viaggio agevole e proficuo, rende la valigia più leggera.
Questo è il significato di dukkha, nel cristianesimo si dice croce, è il senso della vita. Il simbolo della croce è molto profondo, significativo, il dolore è la vita e la salvezza è l’amore, Gesù Cristo rappresenta l’amore e la croce, vita, morte e resurrezione, il miracolo di Cristo è raccontato nel crocifisso, il messaggio è diretto chiarissimo, ma è necessario assimilare profondamente il senso della vita e della morte, conoscere ciò che portiamo nel bagaglio e decidere cosa lasciare per poter risorgere.
Domanda: Tu credi nel libero arbitrio?
Lama: Non mi è chiaro il termine “libero arbitrio”, non so esattamente cosa vuoi dire, ti posso rispondere per me stesso, io sono totalmente responsabile delle mie scelte, ma non posso imporre la mia visione ad altri, né conoscere tutto, sapere tutto, decidere tutto, queste sono preoccupazioni inutili, invenzioni del potere, ognuno può decidere solo per sé, non può in nessun modo controllare l’esistenza degli altri.
Domanda: Nella valigia c’è posto per i sogni? cioè per la speranza di essere felice, di rendere l’esistenza positiva….
Lama: Nella valigia c’è tutto, sia la sofferenza che la felicità, ogni possibilità è nelle tue mani, tu scegli cosa e come utilizzare gli strumenti a tua disposizione. Il pacchetto è completo, hai a disposizione le sei perfezioni per sviluppare le qualità positive, ma altrettanto hai la possibilità di incrementare le caratteristiche negative.
Domanda: E’ positivo sperare di morire il prima possibile?
Lama: La morte in sé non è né bene né male, è una realtà neutrale, naturale, la differenza della sua esperienza è determinata da come si vive, se in modo sano, autentico, oppure sprecando questa inestimabile opportunità; vivendo definiamo il significato dell’esistenza, non c’è fretta per morire, la morte verrà da sé molto rapidamente, senza bisogno di sollecitarla, la vita è brevissima, l’importante è viverla pienamente e in modo significativo.
Domanda: A me però sembra sbagliato desiderare di morire presto perché si hanno troppi problemi, sperando in un al di là migliore….
Lama: Cosa accade dopo la morte io non lo so, in ogni caso qualsiasi desiderio è attaccamento e deve essere lasciato andare. La vita è un caso unico e particolare per ogni essere, ognuno è personalmente responsabile di ciò che avviene qui e ora, nessuno conosce il futuro. I filosofi greci, Platone, Socrate, si sono dedicati completamente alla ricerca del senso della morte per giungere alla consapevolezza finale di non sapere nulla. Nell’ottocento Freud con la psicanalisi pensava di aver scoperto il funzionamento della mente umana, ma nel suo percorso scientifico ha dovuto continuamente cambiare le sue deduzioni e alla fine concludere di non aver capito nulla, e la vera conoscenza è proprio a questo livello, perché non c’è niente da capire, il mistero resta tale.
Domanda: Noi occidentali, siamo sempre più affascinati dai vostri insegnamenti, filosofia di vita, religione, questo può significare che abbiamo sbagliato tutto? che la nostra civiltà è completamente fuorviata e produce soltanto scompensi fisici e mentali?...
Lama: Il dilemma non è risolvibile interessandosi ad altre culture o religioni, perché il problema si trova nella non conoscenza della propria cultura, religione e spiritualità. Se si conosce bene la propria origine, ogni approccio con culture e religioni diverse non è mai un’alternativa contrapposta, al contrario può essere solo un arricchimento. Nelle differenti religioni le contraddizioni non esistono, se ci fossero ne indicherebbero la falsità, noi inventiamo tutte le possibili divisioni perché siamo profondamente ignoranti.
I cosiddetti dogmi imposti dalle varie dottrine servono solo ad affermare il copyright, una presunta quanto falsa superiorità. La conoscenza, l’apertura della mente, l’integrazione, l’arricchimento interiore portano generosità, amore, mai discriminazione, sostituzione delle proprie radici; le guerre di religione sono soltanto immondizia, assurde nel ventunesimo secolo.
Domanda: Ogni sera si deve aggiornare la contabilità delle sofferenze, ma appena svegli cosa si deve fare?
Lama: Appena svegli si deve richiamare alla mente la consapevolezza, si deve essere osservatori attenti di ogni evento, emozione, reazione, altrimenti sarà impossibile contare alla sera ciò di cui non si è avuto coscienza. Per questo è importante iniziare la giornata con la meditazione, la riflessione silenziosa che permette di liberare la mente, di predisporla all’osservazione analitica.
Domanda: Con il passare degli anni credo che non occorra nemmeno più tenere la contabilità delle sofferenze, perché se vuoi sapere sai…
Lama: Non si tratta di “voler sapere” devi realizzare la sofferenza, cioè vederla chiaramente, riconoscere la realtà di ciò che sta accadendo, questa è la differenza.

Concludiamo meditando in silenzio nella condivisione dell’esperienza spirituale, questo è il significato del Sangha.




Dieci categorie di sofferenze


Buon giorno agli amici della casa e a chi viene da lontano, tutti condividiamo l’uguale condizione di esseri umani, abbiamo la stessa natura, la stessa fame, qui siamo insieme in allegria, senza litigi, uniti dal comune interesse per il valore spirituale.
Il valore spirituale sorge spontaneamente a causa del desiderio istintivo e impellente di placare la sete, la sensazione di vuoto che ci accompagna costantemente qualsiasi cosa stiamo facendo e che in ogni caso non è affatto negativo, è assolutamente naturale, segno di una ricchezza immensa, di uno spazio sconfinato che è impossibile riempire con la materia, è il collegamento con l’universo, è la natura ultima che possiamo soltanto intuire non avendola ancora realizzata.
Di fronte a questo vuoto ci sentiamo a disagio, ne siamo infastiditi e da mattina a sera cerchiamo di riempirlo con qualsiasi mezzo, inconsapevoli della sua potenzialità, ma non è un problema, al contrario è spazio, libertà, flessibilità, infinito valore.
La sofferenza cresce dall’insoddisfazione determinata dall’impossibilità di colmare il vuoto interiore con oggetti impropri, è causata dalla non conoscenza di se stessi, della naturalezza spontanea, dell’autenticità pura del proprio sentimento, però questa ignoranza non deve sconvolgerci ulteriormente, dobbiamo semplicemente osservare e riconoscere la realtà nella sua essenza innocente perché così è la nostra vita.
La pratica più importante è imparare a lasciar andare con naturalezza, liberamente, senza trattenere nulla, costringere, cercare di correggere, di combattere, di litigare, tutto questo è vano affanno, un’impossibile guerra che non porta affatto alla libertà, al contrario, non può in nessun caso esservi lotta per la pace, la pace si conquista con la pace, la libertà con la libertà.
Il tema di questo seminario, non studiato e deciso con anticipo, è scaturito genuinamente dalla condizione in cui ci troviamo qui, dall’atmosfera che si è creata tra noi, dalla condivisione con gli amici.
Abbiamo iniziato esaminando i quattro pensieri incommensurabili che illustrano in modo esaustivo la pratica per maturare amore e compassione, un messaggio fondamentale, condiviso dall’umanità intera che indistintamente vive il naturale stato di sofferenza.
La nostra incessante, quanto inutile, dichiarazione di guerra alla sofferenza è controproducente, infatti non c’è nulla contro cui battersi, perché la sofferenza è l’unica opportunità per allargare il cuore, è il più grande maestro, l’amico più prezioso.
La persona a noi più cara non può amarci e farci del bene quanto la sofferenza e dunque dobbiamo riconoscerne il valore infinito che è natura stessa della vita e da cui scaturiscono spontaneamente amore e compassione e, anche se per noi è difficilissimo comprendere il significato profondo di questa condizione umana, possiamo rimediare e facilitare il compito richiamando senza sosta alla mente i quattro pensieri incommensurabili.
La porta principale che apre il cuore all’amore e compassione è l’equanimità verso tutti gli esseri senzienti immersi nella stessa sofferenza samsarica.
L’insoddisfazione, il tormento, sono causati dall’ignoranza che ci confina entro pseudo-valori limitati alla materialità e ci impedisce di riconoscere la natura del vuoto interiore, dello spazio di cui abbiamo comunque percezione pur non avendolo ancora realizzato (perché in questo caso avremmo raggiunto la saggezza).
L’equanimità può sorgere esclusivamente dalla comprensione completa della natura della sofferenza quotidiana, ecco perché il dolore è un dono infinito, il maestro fondamentale che ci permette di sperimentare tutte le qualità della vita, piccole e grandi.
Senza l’esperienza della sofferenza il nostro egocentrismo si espanderebbe abnormemente, mostruosamente, invece nella pena riconosciamo i nostri limiti e nell’umiltà siamo costretti a fermarci, a riposare, troviamo la pace, la serenità, e nel profondo del cuore possiamo allontanarci da questo ego distruttivo.
Per crescere spiritualmente la sofferenza è indispensabile, se volessimo sviluppare solo il corpo non dovremmo fare altro che dedicare tempo ed energie agli esercizi fisici, alla cura estetica, ma per il cuore non esiste palestra, né ipermercato, né ospedale, né psichiatria, né chirurgia, né prestiti o depositi bancari, soltanto l’amore e la compassione garantiscono il suo benessere, e l’indispensabile terapia è la sofferenza di cui si deve quotidianamente tenere il conteggio.
Il rosario, che con nomi diversi è utilizzato da tutte le religioni, non serve soltanto per contare le preghiere o i mantra, in realtà conta le sofferenze di ogni giorno. Si deve cominciare la mattina domandandosi: “…perché sono triste? da dove viene questa angoscia? perché non possono lasciare questa preoccupazione? perché mi sento così insoddisfatto?...” e così via, è necessario analizzare e annotare mentalmente ogni particolare, questa è autentica pratica perché la sofferenza è importantissima, senza dolore non ci sarà spazio per l’umiltà, per la rinuncia, per l’aspirazione alla liberazione.
La vita senza sofferenza non avrebbe alcun senso, da un campo arato e concimato con letame nascono frutti meravigliosi e succulenti, mentre da un terreno arido non germoglia nulla.
L’unica preghiera dei Bodhisattva è l’aspirazione ad alleviare, condividere e assumere su di sé l’incessante pioggia di dolore, di sofferenza che cade su ogni essere e in questo modo nutrono la loro pratica, rafforzano la generosità, la moralità, la pazienza, la perseveranza entusiastica, la concentrazione e la saggezza.
Dobbiamo dunque comprendere molto bene il significato sia della felicità che dell’infelicità, non esiste dualismo, il che non significa che siano la stessa cosa, ma piuttosto che non c’è tra loro contraddizione alcuna.
Nella vita umana sofferenza e felicità devono coesistere, sono l’unico cammino che possiamo percorrere nell’armonia dell’equanimità, è la famosa via di mezzo, tutto il resto è illusione, confusione, una rincorsa inutile all’illuminazione che in questo modo si allontana sempre più.
Lasciamo perdere la chimera dell’illuminazione che arriverà naturalmente quando ne avremo maturato le condizioni e coltiviamo invece concretamente la felicità, perché se viviamo nel samsāra con fastidio e disagio sarà impossibile raggiungere l’illuminazione.
Per gli esseri realizzati tutto è felicità, anche la sofferenza, per noi persone comuni questo non è ancora possibile, ma dobbiamo lavorare in tal senso, indirizzare la pratica nel non dualismo, non trattenendo, lasciando andare con libertà, perché non c’è nulla da combattere, guerreggiare contro la sofferenza significa lottare inutilmente contro la vita, esaurire ogni risorsa e persino imboccare la via del suicidio.
Conoscere la sofferenza e la felicità nella loro interrelazione e non contraddizione richiede una costante pratica, gli aspetti sono molto sottili e non prontamente palesi a causa della superficialità e non conoscenza delle potenzialità di questa preziosa vita, così perdiamo opportunità magnifiche e sprechiamo tempo ed energie nel tentativo fallito in partenza di allontanarci dal dolore, di cancellare ciò che ci turba.
La vita umana non è per la lotta, ma per l’armonia, per l’equanimità.
La felicità che diminuisce la sofferenza si realizza nei quattro pensieri incommensurabili che riducono l’attaccamento verso le persone care, l’avversione e la rabbia verso i nemici, l’ignoranza nell’indifferenza verso tutti, e infine sgretolano l’ego che inganna se stesso.
In questi giorni abbiamo enfatizzato la necessità di contare le sofferenze giornaliere, un mezzo abile e magnifico perché non esistono su questo tema né corsi universitari, né programmi politici, né disposizioni dell’ONU; noi però abbiamo a disposizione il testo di Asanga, assolutamente unico, completo e raccomandato dallo stesso Sāntideva.
Nel capitolo sedicesimo sono indicate in particolare tre cose: l’offerta, il sostegno ai maestri, i quattro pensieri incommensurabili volti a far crescere concretamente in se stessi amore e compassione, non soltanto tramite la visualizzazione del Bodhisattva Avalokiteśvara o recitando il mantra OM MA NI PAD ME HUM, ma, suggerisce Asanga, osservando e contando quotidianamente le sofferenze.
Indubbiamente ogni persona segue la sua strada e può scegliere come percorrerla, ma è difficile prescindere da questo metodo, indispensabile allo sviluppo dei quattro pensieri incommensurabili e di conseguenza dell’amore universale.
In questo capitolo si analizzano dettagliatamente le categorie di sofferenze che accompagnano l’esistenza umana e su cui è necessario meditare da mattina a sera, le prime dieci sono:
  1. La prima sofferenza si presenta alla nascita, un evento in sé traumatico, e cominciano subito i tormenti del bambino che necessita di cure continue e che poi è costretto a svegliarsi presto, affrontare il freddo e lo smog per andare a scuola in cui, tra l’altro, in questo mondo consumistico e materiale non si insegna la bellezza e il valore della vita, ma piuttosto come arricchirsi, come prevaricare il prossimo, come competere per affermare se stessi a qualsiasi prezzo e dunque come costruire mattoncino su mattoncino la propria sofferenza;
  2. sin dalla nascita ha inizio la seconda sofferenza, l’invecchiamento;
  3. poi sopravviene la malattia, il dolore fisico, le limitazioni;
  4. la sofferenza della morte, evento sconosciuto e pauroso, ma certo;
  5. gli incontri indesiderati che, a qualsiasi livello, avvengono in continuazione;
  6. la perdita degli oggetti del desiderio, delle persone care;
  7. la sofferenza di non trovare ciò che per tutta la vita si cerca;
  8. la sofferenza del freddo, del caldo, della fame, della sete, della perdita di libertà, del subire violenza, dell’aver fatto male ad altri, del vivere nell’ottusità della chiusura e rigidità mentale;
  9. la perdita delle qualità, della salute, della moralità, della visione di saggezza, delle ricchezze proprie e delle persone care e sofferenza generale di questa vita e delle prossime;
  10. la mancanza di cibo, di bevande, di mezzi di trasporto, di abiti, di ornamenti, di oggetti di cucina, di incensi, di fiori, di unguenti, di musica e arte, di lenti per vedere, di oggetti funzionali al reciproco appagamento sessuale.
Asanga non ha trascurato nulla e invita ad una meditazione realistica che non comporta tristezza, al contrario è liberatoria e sviluppa in noi gentilezza, umiltà, compassione, amore, generosità, moralità, pazienza, perseveranza entusiastica, concentrazione e, infine, saggezza.
Questa è la pratica del Dharma, intangibile patrimonio umano.
Per sviluppare amore e compassione, per trovare la gioia, non è sufficiente rivolgere lo sguardo al Buddha, dobbiamo concretamente meditare le sofferenze quotidiane.
A livello ordinario affrontando la sofferenza sentiamo disagio, dolore, ma ciò indica semplicemente che abbiamo guardato male, in maniera sbagliata, se invece impariamo ad osservarla nel giusto modo troveremo la felicità, come un fiore che nasce da un terreno concimato con letame, senza il nutrimento della sofferenza non potrebbe mai sorgere la gioia, senza l’esperienza del dolore saremmo assolutamente insensibili, incapaci di riconoscere la felicità.
La situazione della nostra vita è complicatissima, la sofferenza permea ogni istante, uscirne è impossibile e ogni tentativo di contrapposizione peggiora la situazione, dunque l’unica cosa che possiamo fare è accoglierla con tranquillità, osservarla e cercarne le qualità che sono l’amore e la compassione e dunque è fondamentale per ognuno, singolarmente, praticare quotidianamente questa meditazione, sperimentare, cercare di penetrarne e assimilarne il senso profondo e trarre le proprie conclusioni, questa è la fede, la fiducia nel proprio cuore, nel suo valore.
L’amore e la compassione, essenza della nostra vita, sono l’unico strumento in grado di distruggere l’ego, così ingombrante, faticoso, arrogante.
Domanda: Qual è la cosa a cui l’uomo non deve mai rinunciare?
Lama: L’uomo deve rinunciare a tutto, senza attaccarsi a nulla, solo in questo modo libera se stesso.
Domanda: Rinunciare anche a Dio?….
Lama: Soprattutto!.. l’attaccamento a Dio, al Cristo, al Buddha è un potente ostacolo alla la spiritualità autentica che può espandersi solo nell’incondizionata rinuncia. La rinuncia non è mai riduttiva, non impoverisce, al contrario è purificazione, incommensurabile arricchimento.
Domanda: Puoi definire il concetto di paura, così ricorrente in questo elenco di sofferenze?
Lama: La paura nasce dal senso di vuoto, perché noi viviamo inconsapevolmente come se dipendessimo, per esistere, dalla sofferenza e quando questa stampella cade, quando ci stiamo liberando dal dolore, avvertiamo immediatamente insicurezza, ci sentiamo privi del sostegno e abbiamo paura.
La paura è importante, segna il passaggio verso l’indipendenza, l’autonomia.
Domanda: Quando medito sull’impermanenza mi sento molto bene, perfettamente serena, ma se poi nel quotidiano qualcuno mi pesta i piedi la reazione dell’ego è istantanea e immediatamente si ricompone il cerchio di sofferenza non minimamente scalfito, trovo che sia veramente difficile tradurre in concreto quanto ho sentito in questi giorni.
Lama: E’ difficilissimo, ma bisogna provare instancabilmente, senza scoraggiarsi e senza fretta, procedendo lentamente, tre passi avanti e due indietro, questo è il più grande impegno concreto della vita umana. Quali sono le vostre opinioni?
Opinione: Che fatica!... tre passi avanti e due indietro, continuamente, è qualcosa che mi schiaccia, mi opprime veramente, mi fa sentire incapace, anche se sono convinta che questa sia davvero l’unica via.
Opinione: Infatti è un ottimo mezzo per applicare l’umiltà, è difficilissima da praticare perché le pressioni di questo arrogante e pesantissimo ego sono ovunque e comunque.
Opinione: Quando, dopo aver fatto tre passi avanti si torna indietro di due perché qualcuno ci ha pestato i piedi, dimentichiamo che al dolore dei nostri piedi corrisponde altrettanto dolore di colui che lo ha provocato, quindi la sofferenza universale potrebbe essere un punto di partenza concreto per avvicinarsi all’altro ed accoglierlo e allora forse si riuscirà a fare due passi avanti e due indietro.
Opinione: Si può anche osservare la propria inadeguatezza, la propria fragilità, dal punto di vista della gioia e, senza scoraggiarsi, concludere serenamente che si ha ancora un lungo percorso da compiere, molte cose da imparare, un infinito da scoprire e questo è davvero bello, un obiettivo gioioso.
Domanda: Geshe, non pensi che in questa parte del sud Europa, in particolare in Italia, sia più difficile che altrove fare questi passi? faccio un esempio, mi diceva un’amica svedese che in Scandinavia i contadini ogni mattina lasciano incustoditi al mercato i cesti carichi di prodotti e tornano la sera a riprenderli con il denaro del venduto, quando lo racconto agli amici italiani rimangono a bocca aperta, increduli dicono che qui non rimarrebbero nemmeno i cesti vuoti, è una forma di rispetto degli altri inconcepibile.
Lama: E’ ugualmente difficile ovunque, nulla è facile per nessuno. Già conoscere la condizione umana è un passo avanti.
Domanda: Io ho l’impressione che oltre alla nostra volontà ci sia sempre qualcosa dietro le nostre spalle, a volte si è nel buio più pesto, eppure si avverte una forza che aiuta, non siamo soli, tu che pensi Geshe?
Lama: Questa è la forza del Dharma, il potere positivo dell’energia dell’universo è preponderante, vince sempre, se pure a livello individuale ogni caso è diverso; anche laddove le tenebre sono più dense, sempre c’è la luce che ha comunque una forza superiore per eliminare ogni oscurità, noi siamo parte di questo universo e anche quando individualmente precipitiamo nel buio questa luce arriva e ci mostra la via per uscirne, ognuno la vede e le dà un nome secondo il proprio credo, Dio, Cristo, Buddha, guru, benedizioni, grazia, questa energia positiva esiste senza interruzione in tutto e per tutti.
E’ sempre un grande piacere condividere questa ricerca spirituale, siamo umili esseri samsarici, sappiamo che il nostro cuore è amore e compassione, un valore semplice che è la nostra stessa esistenza in pace e gioia.
Invece la vita nel mondo materiale è impostata sul consumismo, sulla competitività e in ogni campo bisogna sistemarsi immancabilmente al primo posto, si vuole che tutto sia ottimale, perfetto e funzionale ai propri interessi, ma questo è impossibile, anche nelle migliori condizioni non si dovrebbe mai rispondere a chi domanda “come va?” Con “benissimo”, perché non è vero, la risposta giusta sarebbe “molto bene e poco male”.
Intervento: Ma è un modo di dire per non lamentarsi continuamente come invece siamo consueti fare…
Lama: Lamentarsi dipende dall’imputare senza eccezione agli altri la colpa del nostro disagio, piccolo o grande, noi riteniamo di non avere mai responsabilità di nulla, se ci ammaliamo e anche quando moriamo è colpa dei medici, degli infermieri, eppure non c’è bisogno di nessun intervento esterno per morire, succede comunque, arrivando in Italia sono stato veramente scioccato da questa mentalità. Sicuramente esistono colpe altrui e bisogna averne compassione, ma la maggiore responsabilità è indubbiamente nostra, non possiamo ignorare questo aspetto perché in questo caso non andremo mai avanti e aggraveremo invece il nostro bagaglio di sofferenza.
La pratica del Dharma è appunto saper sviluppare le capacità spirituali e superare questi automatismi devastanti che caratterizzano la società costruita sulla materialità.



Conclusioni


Riprendiamo i quattro pensieri incommensurabili: Equanimità illimitata, Gioia compartecipe illimitata, Compassione illimitata, Amore e benevolenza illimitati, queste quattro forme di pratica costituiscono il completo principio dell’Amore Universale, sono la linfa vitale della nostra esistenza.
La sofferenza è un messaggio che non possiamo accantonare o fingere di non vedere, segnala la presenza di un tesoro prezioso che noi, a causa dell’ignoranza, non sappiamo cogliere.
Il dolore non deve essere buttato, al contrario, deve essere compreso, sperimentato, utilizzato per aprire e arricchire il cuore.
L’esperienza della nostra umanità, la manifestazione degli eventi naturale, spontanea, non manipolata da informazioni errate, è assolutamente essenziale in quanto la nostra conoscenza della realtà è infinitesimale e affidarsi unicamente alla razionalità pensando di trovarvi risposte certe è autentica follia.
Il testo di Asanga è lo specchio che riflette la condizione del cuore.
I quattro pensieri incommensurabili sono il tesoro del cuore, sono gratuiti, non dobbiamo pagare nessun biglietto per un viaggio in Tibet, o in India o sull’Himalaya, abbiamo già tutto nella nostra valigetta.
L’equanimità, il primo pensiero incommensurabile è la felicità e se non sappiamo riconoscerne la sua stessa natura nella sofferenza che è essenza di vita, non la realizzeremo mai.
Per ottenere la felicità dobbiamo distruggere l’ego e ciò è possibile solo tramite la sofferenza accolta, compresa, sperimentata nell’equanimità.
La vita deve essere vissuta con coraggio, determinazione, come ha fatto San Francesco che si è spogliato degli eleganti abiti rimanendo completamente nudo, o Milarepa che scandalizzava con la sua nudità, la vita da barbone e la completa assenza di discepoli. La sorella e la sua ex fidanzata, sconcertate e impietosite da quella che ritenevano essere la sua pazzia, lo volevano aiutare portandogli cibo e di che coprirsi, rimproverandolo di non far nulla per mostrare la sua capacità di guru e indicandogli come esempio opposto lo stile di vita degli altri maestri, circondati da discepoli, accuditi e riveriti, ricchi di doni preziosi e del cibo più succulento. Ma Milarepa rispose semplicemente che la sua pratica era diversa, infatti era Dharma puro.
Certamente per noi è impossibile oggi comportarci in modo altrettanto radicale, i tempi non lo consentirebbero, dobbiamo però essere ben coscienti che non si può in nessun caso ottenere l’illuminazione impigrendo completamente inerti nella bambagia delle comodità, è evidente, eppure siamo così ottusi che preferiamo accogliere le proposte del mondo materiale e continuare a crogiolarci in un ego arrogante, pigro e ignorante che non porta a nulla di buono.
Dobbiamo coltivare l’umiltà, seguendo l’esempio di San Pietro che, condannato alla crocifissione, ha chiesto di essere capovolto per non essere crocifisso come il suo maestro, in questo ultimo atto di amore puro ha distrutto del tutto l’ego, trasformando la sofferenza in forza vitale, nell’unico valore della vita, l’amore universale. Tutto il resto, i vari menù preparati e pubblicizzati in nome delle religioni, e terribilmente distruttivi, sono spazzatura.
L’amore universale nasce dalla grandezza della sofferenza universale, anche se per noi è difficilissimo da comprendere, eppure, se non capiamo questo valore sprechiamo la vita, perdiamo tempo ed energie, dobbiamo dunque iniziare dalla sofferenza che è costante presenza e imparare ad analizzarne l’aspetto sottile.
Nella realizzazione profonda, sagace, della prima nobile verità enunciata dal Buddha, la verità della sofferenza, ci troviamo già al piano superiore degli Arhat, degli Ārya; a livello ordinario la sofferenza sembra evidente, tanto banalmente palese da non richiedere ulteriore approfondimento, ma non è affatto così, questo è solo l’aspetto più superficiale, esterno, e lo dobbiamo oltrepassare, perché la profondità sottile della sofferenza determina la profondità sottile dell’amore e compassione, questo è il segno, il grande significato del crocifisso, altrimenti sarebbe solo morte fine a se stessa.
In questa consapevolezza e conoscenza sottile della sofferenza di tutti gli esseri senzienti le sei pāramitā - generosità moralità, pazienza, perseveranza entusiastica, concentrazione e saggezza - scaturiscono automaticamente.
Il testo continua dicendo che i Bodhisattva riflettendo sull’infinito dolore degli esseri senzienti meditano sull’amore e compassione di tutti i Buddha e i Bodhisattva, cioè di Gesù Cristo, del Buddha Sākyamuni, dei santi di ogni latitudine, senza distinzione.
Questo è il Dharma, non esiste buddhismo o qualsiasi altro “ismo”, etichette imputabili a probabili errori di traduzione e i libri che le riportano sono in questo senso falsi, la verità è nel cuore accogliente, flessibile, amorevole, disponibile, sereno, verso tutti gli esseri senzienti.
Praticare il Dharma significa praticare la vita, la sofferenza, non subirla apaticamente.
Nell’amore e compassione che sorgono dalla sofferenza il nostro cuore si apre, si dilata all’infinito e la pratica della generosità scaturisce spontanea, altrimenti senza questo passaggio saremo sempre soggetti al controllo e alla devastazione delle emozioni distruttive.
Le qualità dei quattro pensieri incommensurabili sono davvero infinite.
Noi non siamo ancora Bodhisattva, ma almeno dobbiamo conoscere il significato della loro pratica, dell’amore e compassione universali, dei quattro pensieri incommensurabili. Il Bodhisattva costantemente immerso in questa pratica vive tutta la vita in suprema beatitudine, è chiaro, non si tratta di astrazione filosofica, è semplice, concreta ed evidente logica.
La nostra ignoranza è invece grande, ma praticando i quattro pensieri incommensurabili acquisiamo un’immensa accumulazione di meriti, cioè di energia, di atmosfera, di sensazioni, di gioia positive, tutto diventa più leggero e proficuo.
In occidente è difficile comprendere il significato dell’accumulazione di meriti, perché la società è impostata esclusivamente sul denaro, tutto si trasforma in una valutazione meramente economica.
Con l’accumulazione di meriti la nostra intenzione di bodhicitta, anche se superficiale, diventa più stabile, solida.
Il testo continua descrivendo l’attitudine dei Bodhisattva, (opposta alla nostra), di vivere la sofferenza di tutti gli esseri con gioia, non desiderando altro, noi invece ci sentiamo subito affaticati, stanchi, eppure la sofferenza è il migliore maestro.
IL sedicesimo capitolo di Asanga affronta tre oggetti: l’offerta, l’appoggio ai maestri e i quattro pensieri incommensurabili, noi abbiamo sfiorato solo questo ultimo aspetto e, pur non avendolo trattato esaustivamente, abbiamo comunque acquisito indicazioni di base sufficienti per praticare.
Personalmente io confido particolarmente nell’accumulazione di meriti, perché è la luce che ci permette di non cadere nelle innumerevoli trappole. Possiamo incontrare i più grandi maestri, ma loro non possono salvarci, soltanto noi possiamo, con lavoro, fatica e forza interiore, salvare noi stessi, la responsabilità è totalmente soggettiva e non volerla assumere pienamente è debolezza, pigrizia, ignavia. Solo con consapevole decisione individuale si può rinunciare all’ego, all’ignoranza, all’attaccamento, all’odio, nessun’altro può farlo al posto nostro, dobbiamo impostare la pratica con apertura, disponibilità, senza inutili protocolli.
Domanda: Che differenza c’è tra protocolli e mezzi abili?
Lama: I mezzi abili sono applicati in assoluta libertà al fine di ottenere il migliore risultato, senza alcuna coercizione, invece i protocolli sono definiti da rigide regole a cui ci si deve attenere come soldati, tutti sono costretti portare la stessa uniforme e agire in modo uguale, e questo non è bene, ognuno deve indossare l’abito che gli calza meglio, adatto alla sua persona, deve parlare e muoversi secondo le proprie qualità. I maggiori problemi nelle istituzioni religiose sono proprio dati dall’imposizione di protocolli. Cristo, Buddha, San Francesco, hanno dato insegnamenti scambiati per pazzie in quanto assolutamente liberi, aperti, perché l’amore non può mai essere soggetto a protocolli.
Domanda: A proposito della rinuncia alcuni sostengono che la vera rinuncia non consista nel rinunciare al mondo e abbandonare tutto ciò che si possiede, bensì nell’utilizzare i beni materiali nel miglior modo, a fin di bene, è così?
Lama: Rinuncia è distacco radicale, non ci sono scorciatoie, è l’attitudine a non avere nessun attaccamento verso oggetti, persone e soprattutto idee.
Domanda: Non capisco, cosa significa attaccamento alle idee?…
Lama: Attaccamento alle idee significa aggrapparsi in modo eccessivo alle proprie opinioni. Avere un pensiero su ogni realtà è giusto, ma afferrarsi ad esso e difenderlo come unica verità è attaccamento molto pericoloso, può diventare fondamentalismo.
Possiamo concludere questo seminario che si è rivelato veramente utile, almeno per me; oggi è la pentecoste e pare proprio che questo argomento sia stato ispirato dallo Spirito Santo, qualcosa è sicuramente successo tra noi e dobbiamo continuare a confidare nell’accumulazione di meriti cercando di fare sempre del nostro meglio, di pregare e meditare l’amore universale, con il cuore aperto e libero da ignoranza, attaccamento, odio e soprattutto dall’ego.
La sofferenza non deve mai indurre sconforto ma portare alla gioia nell’equanimità e dobbiamo rammentare sempre la preziosità della vita umana, apprezzare questo corpo fragile, che, pur essendo fonte di sofferenza, può essere trasformato nella grande risorsa che ci permette di sviluppare il nostro spirito.
E’ importante essere costantemente consapevoli che la rovina dell’esistenza è determinata dall’attaccamento, dall’avversione, dall’ignoranza e dalla venerazione incondizionata all’unico vero nemico, l’ego, è dunque necessario capovolgere questa triste condizione liberandoci dai quattro veleni e permanere nell’incommensurabile equanimità, nell’incommensurabile gioia, nell’incommensurabile amore e nell’incommensurabile compassione.
L’unione delle quattro qualità costituisce l’Amore Universale, la Grande Compassione, cioè la nostra stessa anima, perché al di fuori dell’amore l’anima non può essere.
Grazie per la vostra presenza, per questa casa accogliente e dedichiamo tutti i meriti per il beneficio di tutti gli esseri senzienti e per l’illuminazione, il risultato finale.

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1 Bodhisattva: Esseri che, pur avendo raggiunto l’illuminazione, rinunciano al nirvāna per aiutare con amore infinito e grande compassione tutti gli esseri che ancora sono nel samsāra.

2 Bodhisattvabhūmi: Terre dei Bodhisattva