Thursday 31 October 2013

Tong Len Meditazione













TONG LEN
Trasformare la propria vita
con il respiro





Lama Geshe Gedun Tharchin
Discorso di Dharma Weekend 20 -21 aprile 2013


                   (....Non c’è riposta statica, rigida, certa, come dicevamo prima il menù fisso non esiste, tutto è impermanente, e nel mondo moderno questa impermanenza ha subito un’accelerazione eccessiva. L’aggrapparsi a false certezze, cercare risposte predefinite ugualmente adatte a tutti è pericolosissimo, il peggior inganno, per questo è importante essere flessibili, aperti, meditare con tranquillità, serenità, stabilità spirituale, dignità, ricchezza interiore così da essere pronti ad affrontare questa esperienza di vita che è la morte, un evento ineluttabile, parte di noi sin dal momento della nostra nascita.)

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INDICE


Rinuncia ........................................................................ 
Bodhicitta ...................................................................... 
Tong Len ......................................................................................... 










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Rinuncia

Buon pomeriggio a tutti e grazie di essere qui a condividere questo tempo in un compito che non è affatto semplice, poiché la pratica del Dharma è il lavoro più difficile e più grande che si possa affrontare nell’esistenza umana, ne è il suo valore spirituale principale, il suo autentico senso e deve essere affrontato in ogni istante con consapevolezza.
La consapevolezza è indispensabile per la realizzazione di una vita soddisfacente, felice, ricca di significato.
Spesso ci sentiamo oppressi da una sottile, costante insoddisfazione, che non dipende affatto da circostanze esterne, ma esclusivamente dalla propria condizione di cuore e mente, ecco perché siamo qui oggi per cercare insieme il senso, l’appagamento della nostra vita, dunque la prima domanda che dobbiamo porre a noi stessi è: “come posso rendere la mia vita soddisfacente” e la risposta è teoricamente facile, infatti è sufficiente un’unica parola per definirla, ben sapendo però che praticamente la sua applicazione è assai difficile.
La parola chiave e la risposta a questa domanda è: «RINUNCIA», termine che è stato interpretato in molti modi anche se non corrispondono affatto al concetto originale espresso nella filosofia buddhista.
La rinuncia, lo spirito di rinuncia, è la sorgente stessa della contentezza, della piena soddisfazione, è la ricchezza che dà valore alla vita.
Rinuncia non significa eliminare il superfluo, non significa donare ciò che già possediamo, ma è piuttosto rinunciare a ciò che non abbiamo, significa riconoscere il valore del molto che ci è dato nella vita senza desiderare nulla di più, senza affannarsi e faticare per procurarsi quello che non abbiamo.
Lo spirito di rinuncia consiste proprio nel riconoscere il valore della interconnessione indispensabile e bella tra ciò che si ha e tutto ciò che non si ha, con un’attitudine pienamente soddisfatta, gioiosa e soprattutto grata.
Per una vita piena e appagante è indispensabile la pratica della rinuncia, non ci può essere contentezza senza rinuncia.
È importante quanto semplice questo concetto: rinuncia non significa buttar via quanto si possiede, ma rinunciare con autentica, semplice letizia a ciò che non si ha, questo rende ogni istante dell’esistenza ricco, pieno, gioioso, appagato.
Spesso invece ci rattristiamo perdendoci in vani desideri, confondendo sogni chimerici come realtà da raggiungere ad ogni costo, rincorriamo incessantemente illusioni assurde e sprechiamo tutta la vita nell’insoddisfazione, nell’angoscia, nell’amarezza per le costanti, quanto inevitabili, disillusioni.
La saggezza che produce autentica soddisfazione consiste nel rinunciare a obiettivi non realistici, a ciò che già possediamo e a ciò che non abbiamo, senza attaccamento di nessun tipo, senza desiderio, bramosia. È il mezzo che ci permette di riconoscere l’autentico valore dell’esistenza, di esaltare, costruire, nutrire le qualità già naturalmente presenti in noi, con contentezza, soddisfazione, gioia, questo è il semplice umile ricco cammino mostrato da san Francesco d’Assisi.
La rinuncia buddhista potrebbe essere tradotta nelle lingue occidentali con il termine “semplicità” e per realizzare questa condizione è indispensabile avere piena consapevolezza di ogni atto, parola, pensiero. Senza consapevolezza è impossibile praticare la rinuncia e dunque non può realizzarsi alcuna semplicità, contentezza, appagamento.
Consapevolezza, cioè con-sapere, è quella congiunzione che porta alla saggezza.
Senza consapevolezza invece ci ritroviamo immersi nel fango della confusione, dei conflitti, delle meschinità, delle rivalse, completamente accecati nell’inganno di un falso senso di potere abbagliati da miraggi che ci conducono irrimediabilmente alla frustrazione, all’infelicità, alla scontentezza cronica.
Siamo dunque sempre e soltanto noi gli artefici della qualità della nostra vita, la scelta è nelle nostre mani, possiamo scegliere la via della rinuncia, della saggezza che porta alla piena soddisfazione di una vita ricca, oppure optare per la strada costruita sull’ignoranza che si perde nei sogni, nelle illusioni, con inutili, sconsiderati e ininterrotti attaccamenti e avversioni.
La consapevolezza è l’elemento che definisce la qualità della propria scelta, dimorando in essa è possibile affrontare con intelligenza, lucidità e saggezza ogni situazione, le stesse emozioni negative vengono in essa trasformate in preziose occasioni di crescita e maturazione, al contrario, se siamo privi di consapevolezza, queste emozioni possono diventare distruttive, assumere il completo controllo della nostra mente gettandoci così ancor più a fondo nella confusione e nell’oscurità.
Noi non viviamo nel nirvāna, apparteniamo totalmente al mondo dei desideri e dunque le emozioni negative sono una naturale condizione di vita, non è umanamente possibile esserne esenti, sono energia che può essere utilizzata positivamente o, al contrario, sprecata in una inutile e paralizzante frustrazione.
Inoltre il termine emozione negativa non è corretto, dovremmo piuttosto parlare di energia umana, indispensabile, vitale, ciò che è veramente importante è averne una corretta conoscenza e utilizzarla nella giusta misura, ma per mantenere questa attitudine è indispensabile la piena presenza mentale, la lucida consapevolezza verso qualsiasi evento.
E ora vi chiedo: per vivere con consapevolezza cosa è necessario fare?
Risposta:    Rinuncia…
Lama:          Questa è una risposta e poi’? finora abbiamo parlato in teoria, ma nella pratica che bisogna fare? Ognuno deve assumere la responsabilità di osservare in prima persona la qualità della propria vita, la salvezza non giunge dall’esterno, soltanto in noi stessi possiamo trovare la giusta chiave, questa è dunque una domanda obbligatoria, dovete rispondere tutti.
Risposte:     Cercare di capire e distinguere ciò che è davvero importante, essenziale, da ciò che non lo è…; - Diventare più saggi…; - Non perdere tempo in arrabbiature, desideri irrealizzabili…; - Cercare di non identificarsi con le emozioni…; - Io rispondo con la metafora del Buddha: se tiri troppo la corda del liuto si spezza, se la lasci troppo morbida non suona…; - Combattere l’egocentrismo…; - Lasciar perdere le emozioni negative, trovare il bene in ogni circostanza…; - Rimanere costantemente fermi nella presenza mentale…; - Essere nel qui e ora, non pensare né al passato né al futuro…; - Eliminare l’ego…; - Fare pratica, e quando sorgono le emozioni sapersi fermare al momento giusto cercando solo ciò che ci fa sentire bene…; - Raggiungere un equilibrio personale interiore…; - Osservare le emozioni e lasciarle andare…; - Analizzare le motivazioni che fanno sorgere le emozioni…; - Cercare di mantenere il respiro e creare uno spazio…; - Apprezzare il momento di condivisione e le persone con cui si condivide…; - Comunicare maggiormente con se stessi…; - Non identificarsi con se stessi…; - Non aver paura di fare esperienze…

Molto bene, grazie, è importante guardare in se stessi esprimere e confrontare con gli altri ciò che emerge, ricordo che nel nostro monastero si consideravano estremamente importanti , queste interazioni e dibattiti, infatti erano obbligatori, considerati necessario strumento pedagogico così come lo era la memorizzazione, anche se parziale, dei testi. Tutti gli studenti, in base alle loro capacità, vi partecipavano attivamente per l’intero percorso di studio, fino all’esame finale, che comunque non comportava né promozione né bocciatura.
L’importanza attribuita a questa partecipazione era determinata dal riconoscimento del fondamentale principio di equanimità secondo cui tutti gli esseri umani posseggono le stesse qualità che esprimono secondo le proprie potenzialità.
Il ciclo didattico sulla Mādhyamika, la via di mezzo, si protraeva per dieci anni, poi gli studi proseguivano senza limiti di tempo, né esame finale, l’abate valutava il grado di istruzione raggiunto da ogni studente e stabiliva ciò che per lui era bene, cosa avrebbe potuto fare e quale qualificazione ottenere.
Ritornando alla nostra domanda, la risposta è semplice: per realizzare nel concreto la consapevolezza abbiamo uno strumento fondamentale e imprescindibile, dobbiamo praticare la MEDITAZIONE; è il mezzo che imprime chiarezza alla nostra esistenza, che ci rende vivi nella consapevolezza, è la pratica che rende proficua la nostra esistenza.
Ora meditiamo dunque insieme, semplicemente, senza complicazioni, sistemiamoci comodamente, naturalmente rilassati e respiriamo con calma. Concentriamoci sul cuore lasciando la mente libera da ogni pensiero.

(segue meditazione)

La pratica del Dharma si basa sulla rinuncia applicata nei confronti di ciò che non si ha, coscienti di ciò che si ha, un processo che deve avvenire nella piena consapevolezza, qualità ottenibile soltanto nella meditazione.
La pratica del Dharma si fonda sulla consapevolezza, nulla può essere realmente vissuto al di fuori di essa, le stesse emozioni devono essere esperite con la piena consapevolezza del loro valore positivo in quanto sono un carburante per noi, fonte indispensabile di energia.
Siamo umani, radicati nel samsāra e, senza attaccamenti, desideri, ignoranza, sofferenza, dolore, malattie, gelosia, rabbia, angoscia, la nostra esistenza sarebbe statica, amorfa, morta, al contrario la vita deve essere significativa, dinamica, produttiva. La differenza sostanziale in grado di trasformare le emozioni positivamente è determinata dal nostro essere autenticamente vitali, dal modo di affrontarle con piena presenza mentale.
Le emozioni conflittuali sono dunque utilissime, ma affinché siano proficue è indispensabile la consapevolezza, soltanto in questo modo è possibile praticare il Dharma.
La meditazione che induce consapevolezza libera la mente dalle preoccupazioni, tanto pesanti quanto inutili. Le preoccupazioni, soprattutto quelle nascoste, non evidenti, annidate nel subconscio, sono devastanti, logorano e consumano lo spirito e soltanto la meditazione consapevole è in grado di stanarle, di farle emergere così da vanificarne ogni potere distruttivo.
Lo spirito è reso più forte, ricco, dalla consapevolezza frutto della meditazione, una condizione più che mai necessaria in quest’epoca in cui gli esseri umani sono sempre più deboli, pusillanimi, privi di ogni coraggio.
Pare che nell’ultimo secolo, in cui si sono attuate grandi conquiste tecnologiche, quasi in contrapposizione si è andati sempre più perdendo il potere dello spirito; gli esseri del passato, coraggiosi e forti come montagne sono scomparsi, oggi ci siamo ridotti a fuscelli fragilissimi privi di radici, abbiamo perduto ogni coraggio, sicurezza, dignità, fiducia.
Nel mondo moderno il subconscio ha aperto le porte a troppi letali virus mentali e l’unica medicina a nostra disposizione è ritrovare in sé la forza dello spirito, approfondendo e vivendo nell’essenza più vera ogni istante, ogni evento con consapevolezza, non abbiamo altri strumenti, dobbiamo riappropriarci della capacità di conoscere, sondare il nostro cuore, la nostra mente.
Tutti i marchingegni che apparentemente hanno reso le nostre giornate più comode e facili in realtà hanno velocizzato e automatizzato al massimo la nostra esistenza insegnandoci ad osservare solo la superficie delle cose e la loro concreta utilizzazione immediata, ne è esempio l’uso scriteriato di internet, di cui ormai pare non si possa più fare a meno.
Una visione così superficiale, virtuale e apparente della realtà, ha annientato, indebolito lo spirito umano, ci ha resi inadatti alla vita autentica in quanto sprechiamo tutto il tempo sorvolando sulla superficie di ogni evento, senza mai approfondirne nessuno.
Se non vogliamo essere già morti pur apparentemente vivendo, dobbiamo riappropriarci della nostra umanità, e lo strumento idoneo e accessibile a tutti è la meditazione, che non è nulla di magico, di esoterico, ma semplicemente ci induce a rivolgere lo sguardo intenso e attento in noi stessi, ci fa entrare nella nostra anima favorendo il recupero della sua immensa forza.
Non si tratta di ingaggiare una battaglia contro se stessi, contro l’ego o chissà quali altri nemici, non c’è nulla da combattere, ma semplicemente ci poniamo nella condizione di saper riconoscere il valore, la potenza del nostro spirito, abbandonando in questo modo ogni insicurezza, ogni paura, ogni debolezza.
Nella meditazione non esistono scontri, le guerre sono il sintomo più evidente, della debolezza, delle insicurezze, delle paure, delle preoccupazioni volte esclusivamente a tutelare i propri interessi superficiali e ingannevoli. Chi è forte, non teme nulla, non ha bisogno di aggredire nessuno, è fermo e stabile nella ricchezza del proprio essere.
La pratica del Dharma è proprio finalizzata a rendere lo spirito forte, libero, indipendente, soddisfatto, felice, aperto, fraternamente e gioiosamente disponibile alle necessità altrui, entusiasta delle opportunità che la vita offre. Questo forte spirito diventa una risorsa costante non solo per sé, ma per tutti.
Al contrario la società attuale così debole, frivola, ottusa, cerca affannosamente una fonte esteriore di felicità nel vano tentativo di colmare le voragini del vuoto interiore, ma un simile atteggiamento, oltre a essere assolutamente ingannevole, è sciocco e criminale in quanto l’unico risultato che ottiene è il consumo scriteriato delle risorse planetarie che, con l’attuale accelerazione esponenziale, condurrà alla fine, alla distruzione e morte di ogni vita sul pianeta.
Malgrado questa evidenza, ormai ripetutamente denunciata da tutti gli scienziati, anche dai più ottimisti, persistiamo ottusamente e indifferentemente nell’autodistruzione accontentandoci di una immediata ed effimera soddisfazione basata elusivamente sull’apparenza superficiale, vogliamo ad ogni costo dimenticare con totale insensibilità la caducità e l’impermanenza che caratterizza ogni fenomeno, inclusi noi e, come gli struzzi, nascondiamo la testa nella negazione dell’inutilità di tanta fatica, indifferenti al vuoto interiore sempre più profondo e devastante.
Commento:  …ma in fondo l’uomo è fatto così…
Lama:          No, non è questa la natura umana, l’uomo è andato nella direzione sbagliata, sta percorrendo un cammino di distruzione e morte e non di crescita e maturazione, sta indebolendo sino a estinzione lo spirito per rincorrere facili chimere, basta un clic sul computer per acquistare ogni cosa, e poi?
Il tema di oggi, Tong Len, indica la necessità di trasformare la qualità dell’esistenza tramite il respiro, ma queste due sillabe che significano in concreto?
Tong è il dare, la generosità e Len la compassione.
Con l’attitudine del Tong si mette completamente a disposizione, senza riserve, il proprio spirito agli altri e questo rende l’anima felice, colma di gioia e Len è l’apertura del proprio cuore compassionevole, è condividere la sofferenza essere con, camminare insieme.
Per praticare il Tong Len ci si deve esercitare senza stancarsi, con costanza seguendo il ritmo del respiro; con l’espirazione visualizziamo la liberazione dal nostro ego donando agli altri tutte le qualità spirituali, e con l’inspirazione immaginiamo di prendere su di noi il carico delle sofferenze altrui, liberandoli da questo pesante fardello. Ogni respiro accresce la pace interiore, rende l’anima progressivamente più felice, ricca, soddisfatta, utile.
Però in genere noi agiamo in modo assolutamente inverso, vogliamo con ogni mezzo fuggire dalla sofferenza, ne abbiamo un terrore irrazionale e assoluto perché non ne conosciamo la profonda essenza, l’enorme potenzialità, se la conoscessimo non ne avremmo alcun timore, essa è parte integrante, fondamentale, dell’esistenza umana.
Qual è la corretta conoscenza della sofferenza?
Risposte:     Non averne paura…; - è l’esperienza della stessa sofferenza…; - consapevolezza…; averla vissuta…; - provarla…; - conoscerla…; - riuscire a sentirla perché credo possa avere intensità diverse…; - osservare la nostra reazione all’esperienza del dolore…; - accettarla…
Lama:          La corretta conoscenza della sofferenza è la realizzazione della vacuità della sofferenza, e questo vale per la conoscenza di qualsiasi fenomeno, soltanto avendo consapevolezza dell’intrinseca vacuità, realizzandola, se ne ha una giusta comprensione.
La sofferenza non è piacevole, ma è una realtà necessaria e inesorabile e rifuggirla ci rende soltanto sue vittime, completamente succubi di ciò che non comprendiamo, incatenati a una negatività da cui non riusciamo a liberarci perché inetti, privi di coraggio, di forza nel cercare il giusto rimedio, siamo completamente incapaci di vedere la grande opportunità, la miracolosa medicina che la sofferenza stessa offre: il riconoscimento della sua vacuità.
Se invece il nostro cuore fosse coraggioso e aperto sapremmo che, in modo inversamente proporzionale, quanto maggiore è la conoscenza della vacuità della sofferenza, tanto minore sarà la nostra sofferenza. Naturalmente non parliamo della pena prodotta da un banale malanno risolvibile con qualche pillola e un buon riposo, siamo su un altro piano in cui abbiamo concretamente a disposizione un infallibile rimedio: la meditazione.
Per conoscere la sofferenza, proprio nel momento in cui la sperimentiamo, sentiamone la forza nel corpo e nello spirito, è necessario meditare sulla sua impermanenza e vacuità. Il Dharma è questo, il fenomeno più raffinato che esista nell’universo.
Tutti soffriamo, nessuno ne è esente, e alla domanda sul perché questo avvenga possiamo rispondere che ciò è determinato dalla condivisione della medesima condizione umana che ci pone tutti a remare nella stessa barca. Il samsāra è la nostra unica e comune barca in cui non è possibile isolarsi, considerarsi unità indipendente, tutto è interdipendente e di questa scialuppa condividiamo ugualmente ogni aspetto.
Il Tong Len è proprio questa condivisione, la capacità di comprendere la sofferenza profondamente, sia la nostra che quella altrui. Condividere nella compassione, nella spirito, nell’amore è ciò che imprime valore e ricchezza alla vita umana, noi non siamo dei robot, i nostri valori si esprimono nella condivisione in famiglia, con gli amici e anche con i nemici, è un comune banchetto a cui tutti insieme accediamo con gioia, gratitudine, crescita umana.
Riconoscere la vacuità della sofferenza è Dharma, Spirito santo nel cristianesimo e nell’induismo Bhagavadgītā, e ciò che emerge alla fine è la consapevolezza della profonda qualità di tutto, non vi sfugge nulla, niente va perduto, non c’è più discriminazione alcuna, né giusto né ingiusto, né bello né brutto, ogni evento ha il suo valore, è l’alchimia dello spirito che trasforma il samsāra in paradiso, in nirvāna.
Quando osserviamo la sofferenza con la consapevole conoscenza della sua vacuità, ne abbiamo trasformata radicalmente la natura, non ne siamo più feriti, schiavi, impotenti, in quanto ne vediamo con chiarezza il valore reale, la potenza e la forza della sua vacuità e ogni timore, fuga, paura scompaiono definitivamente.
Conoscere la sofferenza non è facile, è la grande realizzazione del Dharma, eppure noi siamo così sciocchi che creiamo artificiosi meccanismi di meditazione, ci illudiamo di raggiungere chissà quali vette mistiche meditando sul Buddha, sull’arcobaleno, sull’Himalaya…, ma è tutta fatica sprecata, dobbiamo invece meditare sulla sofferenza, imparare a guardarla, ad accoglierla, senza paura.
Non a caso nel suo primo insegnamento il Buddha ha affrontato il punto fondamentale della nostra umanità: le quattro nobili verità della sofferenza. Noi invece applichiamo ogni giorno un’attitudine esattamente opposta, non vogliamo nemmeno sentir nominare la parola sofferenza, preferiamo stordirci con tutto ciò che ci capita a tiro pur di non accorgerci della sua esistenza, la consideriamo il peggior male e preferiamo lasciarci prendere in giro dalla finzione chiassosa e luccicante di ogni inganno a cui ci sottopone con un ininterrotto lavaggio del cervello la società dei consumi.
Al contrario, l’unica via per trasformare veramente la nostra vita è quella che ci fa rimanere saldamente ancorati alla realtà, che non ci fa dimenticare la nostra umanità, il compito della nostra esistenza a cominciare dagli atti più essenziali come respirare con consapevolezza.
La consapevolezza genericamente considerata in una concezione astratta, non ha particolare senso, è semplicemente uno sterile dogma che produce chiusura e ristrettezza mentale. Altrettanto la meditazione, isolata, avulsa dalla realtà, è sterile esercizio meccanico, mentre diventa fondamentale fonte di realizzazione nella sua applicazione con consapevolezza.
Con la consapevolezza tutto si trasforma in meditazione.
È importante sottolineare il valore di questo “con”, ogni evento deve essere osservato, vissuto, realizzato con-consapevolezza” in questo doppio “con”.
Respirare con consapevolezza è meditazione, non costa nulla, è un atto spontaneo, vitale, sempre presente, una presenza mentale che si può applicare in qualunque condizione, si tratta semplicemente di avere costanza, di allenarsi quotidianamente, camminando, guidando, sul lavoro, a casa pulendo, cucinando…
Ogni momento è adatto alla respirazione con consapevolezza e avendo acquisito questa abitudine è semplice applicarvi la pratica del Tong Len rendendo così la compassione, l’amore parte integrante di qualsiasi istante della nostra vita e, procedendo lentamente, naturalmente, ma concretamente, ne sperimenteremo con infinita gioia gli immensi benefici.
Nulla è impossibile e, nel caso si trovasse difficoltà a iniziare la meditazione con la consapevolezza del respiro, è bene non forzare nulla, lasciando semplicemente andare i pensieri, che sono sempre pericolosi, generano sofferenza, confusione, preoccupazione, distrazione, non attaccarsi ad essi, ma osservarli scorrere via.
Domanda:  il Tong Len comprende anche il concetto di offrire la vittoria al nemico?
Lama:          Certo, va bene, purché si faccia con consapevolezza, voi che ne pensate?
Opinioni:    Se questo atteggiamento porta un beneficio a te stesso e all’altro si, è parte del Tong Len…; - se impedisce arrabbiature certo….; - si perché risolve i propri conflitti…
Lama:          Va bene, ognuno deve trovare l’applicazione corrispondente al proprio modo di essere, non esiste un metodo unico, ugualmente proficuo per tutti, la pratica del Dharma non può mai essere statica, stereotipata, sarebbe assurdo, ognuno di noi ha una propria essenza e in base ad essa deve trovare la chiave adatta ad aprire il proprio cuore, trasformare la mente. Restano saldi i principi fondamentali di amore e compassione ma il modo di svilupparli può e deve essere personale.
Domanda:  Come possiamo affrontare le preoccupazioni sottili, invisibili? La paura può essere di aiuto in questo?
Lama:          La paura in sé non è mai utile, le stesse preoccupazioni invisibili sono generate dalla paura e per scoprirle è necessario rifugiarsi nel silenzio della mente, nel suo essere rilassato, tranquillo, concentrato, soltanto in questo spazio le preoccupazioni escono allo scoperto. La meditazione è l’unica risposta per ritrovare l’autenticità della mente.
Nella quotidianità la nostra mente è occupata a livello grossolano da una miriade di pensieri, preoccupazioni frastornanti che con assoluta superficialità offuscano e nascondono la vera natura di qualsiasi cosa, soltanto nella meditazione, quando la mente diventa calma, pacifica,concentrata, è possibile riappropriarsi della vera vista, i pensieri grossolani si annullano, diventano invisibili e ciò che era invisibile appare in tutta chiarezza.
In questo modo si ha la conoscenza della vacuità della sofferenza, la conoscenza della vacuità della paura, la conoscenza della vacuità dei nostri limiti che ci inducono erroneamente a giudicare e discriminare qualsiasi cosa, compresa la compassione. Per poter praticare l’amore, la compassione e la pazienza è necessario avere la corretta visione della loro vacuità.
E per conoscere correttamente qualsiasi fenomeno, ad esempio la vacuità della compassione, la vacuità della sofferenza, come si fa? L’indicazione ci è data dalle quattro dimensioni descritte nel Sūtra del Cuore, così dobbiamo osservare ogni fenomeno:
La forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che forma, la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza. Quindi, Śāripūtra, tutti i fenomeni sono vacuità; essi sono privi di caratteristiche peculiari; non sono nati, non cessano; non sono contaminati, non sono incontaminati; non sono incompleti e non sono completi.”
Comprendere nella meditazione l’insegnamento sulla vacuità è importante perché ci aiuta ad eliminare tutte le illusioni, ci riporta all’essenza della vita nel quotidiano con tutto il suo inevitabile bagaglio di emozioni quali la rabbia, l’attaccamento, l’avversione, ma che siamo in grado di affrontare con un’ottica completamente diversa: con la consapevolezza.
Questa è la forza del Dharma, non elimina i conflitti della vita, ma ci permette di affrontarli con una conoscenza veramente trasformante.
Il Dharma è un valore universale, non esclude nulla, non è giudicante, abbraccia ogni aspetto dell’esistenza.


Bodhicitta

E’ sempre una rinnovata gioia incontrare i vecchi e i nuovi amici in questo centro di Dharma che ha il grande e raro pregio di essere autentico, semplice e aperto a tutti, qualità davvero importanti, perché la conoscenza del Dharma in questa società è più che mai necessaria per arricchire il proprio patrimonio culturale e non certamente per indurre la gente a convertirsi.
Questa deve essere la motivazione, l’intenzione della diffusione del Dharma, è magnifico poter approfondire e conoscere il sapere buddhista così come quello di qualsiasi altro pensiero proveniente da culture diverse, tutto ciò che ci è offerto dall’esterno è un arricchimento non un’alternativa da contrapporre al proprio patrimonio religioso o filosofico.
Così come gli immigrati sono una risorsa per questo paese, altrettanto la conoscenza di culture differenti è una ulteriore fonte di ricchezza nell’armonia della conoscenza reciproca, e questa armonia è una pratica di bodhicitta, il cuore stesso del Dharma.
Bodhicitta è una parola sanscrita, bodhi indica il cuore universale, completamente altruistico e citta la connessione aperta e senza riserve del proprio cuore con il cuore di bodhi.
Il cuore universale è il cuore di Buddha, degli Esseri risvegliati, illuminati, ecco perché la congiunzione del nostro cuore con quello universale si chiama bodhicitta, senza più separazione, distinzione, dualismo.
In questa unione osservando con consapevolezza il ritmo del respiro applichiamo il Tong Len, quando espiriamo pratichiamo la generosità e l’amore che dona e condivide le proprie qualità spirituali e materiali con tutti gli altri esseri senzienti e quando inspiriamo prendiamo nel nostro cuore tutte le sofferenze, i problemi, le angosce degli altri.
Ora, meditate respirando nella visualizzazione del Tong Len mentre io vi leggerò due testi buddhisti essenziali a questa pratica: gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” e il “Sūtra del Cuore.”
(segue meditazione)
Otto versi di Trasformazione della Mente
Considerando tutti gli esseri senzienti
superiori alla gemma che esaudisce i desideri
per realizzare il fine supremo
possa io costantemente prenderli a cuore.

Quando sarò con gli altri,
riterrò me stesso come il meno importante,
e mi prenderò cura di loro fin nel profondo del cuore
come se ognuno fosse il più elevato degli esseri.

Vigile, ogni volta che sorge un’emozione negativa
Che possa nuocere me o gli altri,
l’affronterò e l’eliminerò
senza indugio.

Vedendo esseri in preda alla malvagità
Intenti a violente azioni negative, sopraffatti da sofferenze,
avrò sempre cura di tali creature così rare,
come se avessi trovato un tesoro prezioso.

Quando altri, per invidia, mi maltratteranno,
mi insulteranno o faranno cose simili,
accetterò la sconfitta e offrirò la vittoria.

Quando qualcuno a cui ho fatto del bene
e in cui ho riposto grandi speranze
mi infligge un danno terribile,
lo considererò il mio santo amico spirituale.

                                   In breve, direttamente e indirettamente, offro
ogni beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri;
possa io segretamente prendere su di me
tutte le loro azioni negative e sofferenze.

Possa la pratica non essere mai contaminata dalle idee causate
dalle otto preoccupazioni mondane,
e, consapevole che tutte le cose sono illusorie,
possa io, privo di attaccamento, essere libero dal samsara.

***

Il Cuore della Perfezione della Saggezza”
Il titolo sanscrito è : Bhagavati  Prajña Paramita Hrdaya
Così una volta udii:
            Il Bhagavan dimorava a Rajagrha, presso il Picco dell’Avvoltoio, con un gran numero di Arhat e un gran numero di Bodhisattva e a quel tempo il Bhagavan era entrato nell’assorbimento meditativo sulla varietà dei fenomeni chiamato “percezione profonda”. In quello stesso tempo, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, era assorto nella stessa pratica della profonda perfezione della saggezza e vide che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca.
            Quindi, tramite l’ispirazione del Buddha, il venerabile bikshu Śāripūtra si rivolse all’arya Avalokiteshvara, il Bodhisattva mahasattva e gli disse: “come deve addestrarsi un figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza?”
            Quando fu detto questo, l’arya Avalokiteśvara, il Bodhisattva mahasattva, rispose al venerabile bikshu Śāripūtra e disse: “Śāripūtra, ogni figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza, dovrebbe vedere chiaramente nel seguente modo: dovrebbe vedere distintamente che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca”.
            “La forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che forma, la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza. Quindi, Śāripūtra, tutti i fenomeni sono vacuità; essi sono privi di caratteristiche peculiari; non sono nati, non cessano; non sono contaminati, non sono incontaminati; non sono incompleti e non sono completi.”
            “Quindi, Śāripūtra, nella vacuità non c’è forma, né sensazioni, né percezioni, né formazioni mentali, né coscienza. Non c’è occhio, né orecchio, né naso, né lingua, né corpo, né mente. Non c’è forma, né suono, né odore, né gusto, né oggetti concreti, né oggetti mentali. Non c’è nessun elemento visivo, così fino a nessun elemento mentale fino a includere nessun elemento della coscienza mentale. Non c’è ignoranza, non c’è estinzione dell’ignoranza, e così fino a nessun invecchiamento e morte, e nessuna estinzione dell’invecchiamento e della morte. Allo stesso modo, non c’è sofferenza, origine, cessazione o sentiero; non c’è saggezza, né ottenimento e neppure mancanza di ottenimento.”
            “Quindi, Śāripūtra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti, si basano e dimorano nella perfezione della saggezza. Non avendo oscuramenti nelle loro menti, essi non hanno paura, ed essendo andati totalmente oltre l’errore, essi raggiungono la meta finale: il nirvana. Tutti i Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto il pieno risveglio dell’insuperabile, perfetta illuminazione, basandosi su questa profonda perfezione della saggezza”.
            “Quindi, si dovrebbe sapere che il mantra della perfezione della saggezza – il mantra della grande conoscenza, il mantra supremo, il mantra uguale a ciò che non ha uguale, il mantra che fa tacere tutte le sofferenze – è vero perché non è ingannevole. Si proclama il mantra della perfezione della saggezza:
TADYATHA GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
            Śāripūtra, così i Bodhisattva mahasattva dovrebbero addestrarsi alla profonda perfezione della saggezza”.
            Quindi, il Bhagavan si svegliò dal suo assorbimento meditativo e lodò l’arya Avalokiteshvara, il Bodhisattva mahasattva, dicendo che era eccellente.
            “Eccellente! Eccellente! Figlio del lignaggio dei Bodhisattva, è proprio così; dovrebbe essere così. Bisogna praticare la profonda perfezione della saggezza proprio così come hai rivelato. Perciò anche i Tathagata se ne rallegreranno”.
            Come il Bhagavan pronunciò queste parole, il venerabile bikshu Śāripūtra, l’arya Avalokiteshvara, il Bodhisattva mahasattva, insieme all’intera assemblea, inclusi i mondi degli dei, degli umani, degli asura e dei gandharva, tutti gioirono e lodarono ciò che il Bhagavan aveva detto.
***

Come vi sentite? Siete tutti illuminati? ovviamente no…
Si racconta che quando il Buddha insegnò il Sūtra del Cuore molti discepoli ascoltandolo furono immediatamente risvegliati e ottennero realizzazioni diverse, ma noi siamo come un sasso su cui viene buttata dell’acqua che vi scorre velocemente lasciando inalterata la pietra, per nulla modificata.
Purtroppo questa è una condizione pesante che, come suggerisce una preghiera tibetana, è dovuta all’essere nati in tempi residui, kāliyuga.
Si parla di tempi residui volendo indicare con questo termine che tutto è stato in precedenza tentato per la nostra liberazione dagli infiniti Buddha del passato, ma la nostra durezza non si è lasciata scalfire e ciò che è rimasto è il nostro cuore è di marmo che soltanto la punta di un diamante sarà in grado di scolpire.
Dunque giacché la nostra insensibilità, durezza e ignoranza ha impedito ai Buddha di liberarci, l’unico strumento a nostra disposizione è la bodhicitta, il diamante di amore e compassione che, così come Michelangelo faceva con il suo scalpello, deve essere utilizzato nel modo adeguato ad ogni circostanza per forgiare il nostro cuore, per eliminare il marmo che lo avvolge.
Certamente non è un compito facile ma deve essere compiuto nell’armonia consapevole dell’interdipendenza di tutti i fenomeni, nell’attenzione in grado di valutare correttamente ogni evento, ben sapendo che nulla avviene in modo casuale e tutte le giuste condizioni si presentano nel giusto momento.
Solo in questo modo il nostro marmo potrà essere trasformato in opera d’arte, la citta tramutarsi in bodhi.
Per realizzare la bodhicitta lo scalpello nelle nostre mani è il Lo Jong, l’addestramento della mente altruistica e il Tong Len la pratica del dare e avere utilizzando l’alternanza del respiro.
La bodhicitta ha due livelli di realizzazione: uno relativo e l’altro ultimo.
La bodhicitta relativa, convenzionale, è la mente altruistica completa, così come descritta negli Otto Versi di Trasformazione della Mente.
La bodhicitta ultima, assoluta, è quella descritta nel Sūtra del Cuore, è la realizzazione della vacuità della bodhicitta relativa.
La pratica del Lo Jong - Tong Len è in grado di trasformare radicalmente e concretamente la propria esistenza, non è necessario altro, inutile andare a cercare chissà quali complessi studi o rituali, tutto ci è già stato insegnato, quanto occorre è a completa disposizione, lo strumento utile e davvero efficace e già nella nostra mano oggi, in questo tempo di kāliyuga, ed è lo sviluppo della bodhicitta, tutto il resto è troppo debole, fragile, aleatorio, e rischia di diventare ennesimo inganno.
La bodhicitta invece, qualsiasi cosa stiamo facendo, è già pienamente disponibile, qui e ora, dobbiamo solo applicarla, consapevoli di ogni respiro, atto naturale e vitale sempre presente, non c’è altro da cercare.
Nulla ci è imposto, la scelta è esclusivamente nostra, possiamo prediligere una vita che sviluppi nella quotidianità la bodhicitta oppure, al contrario, abbandonarci all’apparente facile tirannia dell’ego, rimanendo impantanati nelle sue sabbie mobili.
Purtroppo quasi immancabilmente scegliamo la seconda possibilità, sottoscrivendo in questo modo la nostra infelicità, scontentezza, noia, insoddisfazione, mentre avremmo a disposizione, naturalmente senza costi, senza fatica, l’esatto contrario.
Viviamo come ciechi incapaci di vedere la ricchezza a nostra disposizione e ci crogioliamo nella totale confusione, nell’inganno dei miraggi, voi che ne pensate?
Opinioni:    Io credo che la maggior parte di questa confusione sia determinata dai desideri, che riempiono di continuo i nostri pensieri, ed è difficile distinguere quali desideri possono essere proficui e quali invece produttori di ulteriore caos mentale…; - è la mente stessa che si impantana nel voler e dover fare tante cose…; - quindi è solo una questione di imparare a controllare la mente…; - ma io penso che i desideri siano nutriti dall’ininterrotto movimento del cercare qualcosa, se riuscissimo a calmare la mente, a non cercare più, tutto sarebbe più tranquillo…; - io ho visto che quando mi sforzo di meditare, avere pensieri belli, sto bene, mi sento in pace, ma poi arriva nuovamente l’agitazione e in quest’alternanza ho potuto verificare la contraddizione tra i due atteggiamenti…; - sono davvero convinto che abbiamo una testa di marmo, come tu dici, abbiamo costruito un sistema capitalistico assolutamente fallimentare, la cosiddetta globalizzazione non ha affatto portato maggior benessere, continuiamo a credere che la soluzione sia il materialismo malgrado il suo evidente tracollo…; - credo che siamo ormai tutti convinti della positività di un’attitudine altruistica e non egoica, ma non è così automatica la sua realizzazione, dobbiamo lasciare che il tempo, lentamente permetta questa trasformazione…; - il mio problema è l’incapacità di avere un controllo sulle sensazioni e sono queste che sconvolgono…; - forse basterebbe dedicare maggior tempo e attenzione agli altri, invece siamo così presi dal lavoro, dall’organizzazione delle nostre giornate che resta davvero poco spazio per aprirsi all’autenticità della vita, ai rapporti umani…; - secondo me non esiste la felicità o l’infelicità, sono solo concetti da cui non riusciamo a sganciarci e che ci condizionano…; - quello che aiuta me è il contatto con la natura…; - io spesso cerco la confusione, perché nella tranquillità mi pare che la vita scorra senza che me ne accorga, e penso che comunque se si vuole cambiare qualcosa, prima di giudicare i comportamenti altrui, sia necessario cominciare da se stessi…; - io insisto ancora sulla crisi economica che ha anche un aspetto positivo poiché nella constatazione del fallimento di questo sistema la gente sta cercando altrove le risposte, comincia a rivolgere l’attenzione ad aspetti che prima non avrebbe mai considerato, come la spiritualità, e vedo anche nell’arrivo di questo papa, così radicalmente diverso dai suoi predecessori, un segno positivo di radicale mutamento.
Lama:          E’ molto importante questa condivisione in cui ognuno esprime le proprie opinioni, i dubbi, confrontando la propria esperienza con quella altrui.
La vita non è uguale per tutti, i condizionamenti dell’esistenza si trasformano continuamente e allo stesso modo la vita cambia; i condizionamenti della società mutano e la società muta, lo stesso vale per la sofferenza, ciò che noi subiamo oggi non è lo stesso di quello subito dai primi uomini su questa terra.
Ogni giorno dobbiamo affrontare nuovi attacchi al nostro benessere mentale, tutto sta mutando molto più velocemente che in passato e le condizioni di nuova sofferenza si accavallano continuamente le une alle altre. La sofferenza è impermanente e ogni giorno ne dobbiamo affrontare i nuovi aspetti.
A questo punto però è bene fermarsi a riflettere, cos’è la sofferenza di cui parliamo?
È l’insoddisfazione che appesantisce la psiche, non proviene dal cuore, il cuore umano, come la bodhicitta, resta uguale a se stesso, non è alterato da fattori esterni, il cuore è il centro dell’essere.
Se abbiamo mal di testa, la testa soffre, mal di schiena la schiena soffre, male a un piede il piede soffre, ma non l’essere. Noi siamo essenzialmente l’essere metafisico, non quello fisico né psicologico.
Una domanda filosofica fondamentale, parte dell’Abhidharma, è: “chi sono io?” e riflettere, meditare su di essa è essenziale per comprendere il sé, l’autentico io, malgrado sia impossibile trovare risposta poiché per certe domande non esiste un responso e non trovare risposta è di per sé la risposta. Di fronte a questa domanda, come a molte altre, il Buddha saggiamente è rimasto in silenzio, dando così la sola risposta utile.
Oggi invece pretendiamo di sapere tutto, di definire e incasellare ogni cosa, nulla deve sfuggire a questo controllo, ci riteniamo onniscienti e con arroganza e sicumera replichiamo a tutto con un atteggiamento che dimostra solo la nostra miopia, la limitatezza di una visione frutto della nostra testa di marmo.
La vera risposta alla domanda “chi sono io?” è la non riposta e se qualcuno pensa di averla trovata ne possiede una falsa, irreale, però, malgrado ciò, è ugualmente e assolutamente importante continuare a cercare questo sé, chiedersi incessantemente “chi sono io?” poiché esiste una differenza sostanziale tra chi non ha risposta, ma continua a cercare, e chi invece non affronta affatto la questione crogiolandosi in una beata ignoranza.
I desideri, la confusione, la scontentezza, derivano dalla percezione illusoria e falsa di un io su cui irresponsabilmente fondiamo tutto, malgrado non esista affatto e sia soltanto un ingannevole miraggio.
Domanda:  E la paura?
Lama:          La paura è senza base, completamente, parte dall’io, “io ho paura” ma quale io? Senza l’uno non può esservi nemmeno l’altro.
Prima qualcuno ha accennato ai condizionamenti del karma, altro fenomeno metafisico estremamente importante e strettamente correlato al sé e la necessaria armonia tra questi due fenomeni metafisici è un compito tanto essenziale quanto irrealizzabile se tentassimo di elaborarlo soltanto sul piano intellettuale, sulla mera conoscenza speculativa, è invece necessario calarlo nel profondo di se stessi per trasformare il proprio essere a livello sottile, metafisico.
La trasformazione del cuore dunque non ha nulla a che vedere con la tecnologia, con le conquiste della scienza medica in cui la sostituzione di organi vitali è già di routine, ma noi non siamo le diverse parti del corpo fisico, e nemmeno i pensieri che ci scorrono nella mente, il nostro essere è metafisico.
Questa è la vera libertà umana che ci permette di essere nella beatitudine della vacuità, di dimorare nella stabilità del nostro sé equanime, libero, non attaccabile da nessuna interferenza esterna.
La bodhicitta è il mezzo per ottenere questa conoscenza, questa gioia, che non è utopia, non è né paradiso né nirvāna, chi desidera affannosamente il nirvāna e vuole lasciare il samsāra non conosce la bodhicitta, qualità del Bodhisattva.
Bodhisattva non è un titolo, un riconoscimento esteriore, è lo status dell’anima, dello spirito, di cuore e mente, è l’attitudine altruistica che non pone mai il sé al primo posto, bensì all’ultimo, dietro a tutti gli altri esseri.
Questo è il nostro compito, nella bodhicitta realizziamo la nostra umanità.


Tong Len

Continuiamo ad analizzare il significato del Tong Len, Tong - dare e Len - ricevere. Dare è una pratica di rinuncia, amore e generosità
La rinuncia è essenziale, imprescindibile e ,come abbiamo già visto ieri, è riferita a ciò che non si ha, a ciò che non serve.
I desideri in sé possono non essere sofferenza, ma anzi trasformarsi in sorgente positiva di crescita; soltanto desiderare, volere, ciò che non si ha diventa fonte di sofferenza.
La pratica della rinuncia è offrire, dare gioiosamente quello che non ci appartiene, ma a questo punto sorge spontanea una domanda: come è possibile dare ciò che non si ha? Semplicemente liberandosi dall’attaccamento, dalla bramosia di possedere che induce a discriminare in modo distorto ogni cosa: mio, tuo..., ma nulla di tutto questo è reale, non esiste distinzione alcuna, né mio, né tuo, siamo tutti parte della stessa famiglia, viviamo le medesime condizioni nella nostra autentica essenza, in realtà tutti, equanimemente, non possediamo nulla e abbiamo tutto.
Quando ce ne andiamo da questa terra non ci portiamo dietro alcun inutile oggetto, il concetto di proprietà è una costruzione mentale errata e ingannevole che crea soltanto divisione, attaccamento, rabbia, odio, confusione, litigi, barriere, confini, guerre.
L’amore universale, la grande compassione, va oltre questi menzogneri ostacoli, sovrastrutture culturali che dividono in proprietà, possessi, desideri, bramosie, dunque, se sappiamo uscire da questa ingannevole concezione siamo liberi di offrire con sincero amore l’universo intero, che non possediamo individualmente, ma che è disponibile, condivisibile da tutti in assoluta equanimità.
Questo è un concetto fondamentale, è la Grande Generosità.
Se io posso donare solo ciò che ho è ben poca cosa, in effetti è un nulla, invece desidero offrire tutto, illimitatamente, senza discriminazione alcuna, voglio offrire l’universo intero, e questo è il modo che produce abbondanti meriti, armonia, amore.
Le offerte del cuore puro sono perfettamente descritte in una strofa della “Pratica in Sette Rami”:
“Offro loro ghirlande di fiori, parasoli decorati, musiche piacevoli e profumi eccelsi; offro a tutti i Vittoriosi lampade al burro e sacro incenso purissimo.
Cibo eccellente, fragranze supreme e un cumulo di sostanze mistiche alto come il monte Meru dispongo in un ordine speciale e offro a coloro che hanno conquistato se stessi.”
Nell’applicazione effettiva l’offerta può essere effettuata in due modalità: comune e non comune, quella comune riguarda ciò che materialmente è possibile dare, mentre quella non comune avviene a livello immaginativo, ma è autentica e validissima, non si tratta di una finzione, è la presentazione generosa di tutto ciò che non si possiede concretamente, individualmente, ma che esiste nella realtà condivisibile da tutti.
Non c’è limite o discriminazione all’offerta non comune, poiché siamo parte della stessa famiglia e abbiamo tutto ugualmente a disposizione, possiamo offrirne illimitatamente lo splendore dell’universo agli Esseri superiori con preghiera e devozione e, con altrettanto rispetto e compassione, a tutti gli esseri senzienti.
Quando offro fiori o lampade non devo pensare ai fiori di questo vaso o alle lampade della stanza, si tratta dei fiori e delle lampade di tutto il mondo, dell’universo intero, e con questo costante esercizio spirituale di rinuncia nel dare illimitatamente tutto ciò che materialmente e individualmente non posseggo, giorno dopo giorno, si apre il cuore e si espande l’attitudine alla compassione alla generosità all’amore universale.
Questa è la pratica del Tong del dare, mentre e quella del Len è ricevere e sapete cosa ricevere?
Risposta:    I dolore e la sofferenza degli altri...
Lama:          ricevere sofferenza si, ma dobbiamo esaminare qual è il reale significato di quest’attitudine.
Generalmente noi abbiamo molta paura nell’applicare questo secondo aspetto, temiamo di dover concretamente assommare alla nostra sofferenza, che già è notevole, quella degli altri, ma in realtà ciò non avviene, non c’è un sovraccarico di pena, si tratta bensì di aprire la mente e il cuore con coraggio, incrementare la capacità di sopportare il dolore che eguaglia tutti gli esseri senzienti, acuire la sensibilità umana, condividere la comune esistenza.
Con questa visione aperta noi cerchiamo di rendere utile la nostra stessa sofferenza per alleviare, sostituire, la sofferenza di tutti gli esseri senzienti.
Ecco un minimo esempio, banale ma nella sua concretezza abbastanza chiaro: In questi giorni avevo un forte mal di denti, così mi sono fermato ad osservare la vacuità di questo dolore:
“La forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che forma, la forma non è altro che vacuità,… tutti i fenomeni sono vacuità; essi sono privi di caratteristiche peculiari…”,
un primo passo per neutralizzare, per non sentire, il dolore che è vuoto, privo di consistenza; il successivo gradino invece consiste nel rendere questo dolore utile, proficuo, così come si indica negli Otto Versi:
In breve, direttamente e indirettamente, offro ogni beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, possa io segretamente prendere su di me tutte le loro azioni negative e sofferenze”.
Il dolore e la sofferenza non deve mai essere vissuta come negativa, come punizione, al contrario, è sempre una purificazione, una positività, nella sofferenza si pulisce se stessi, si migliora, e si depura allo stesso modo il dolore altrui.
Più grande è la sofferenza e tanto più profonda è la meditazione.
Secondo l’ordinaria concezione della società dei consumi tutto questo potrebbe apparire come un enorme inganno, l’ennesima truffa mistificante per imbonire le coscienze, ma nella realtà non vi è nulla di più concreto, vero, effettivo, produttivo.
Per noi tuttavia è così difficile sganciarsi dagli schemi comuni che come un miraggio ci garantiscono una sicurezza immediatamente tangibile e cosi ci allontaniamo sempre più dalla vera ricchezza a nostra diposizione, preferiamo caricarci di tutti i problemi che derivano da questa scelta ottusa consegnando la nostra umanità a un mondo fittizio e illusorio completamente ingannevole.
Sembra più facile e allettante vivere nell’apparenza, in modo superficiale, senza porsi tante domande, eliminando tutto ciò che è intenso, autentico, profondo.
Così, non solo la nostra testa è di marmo, ma lo diventa tutto il corpo, e ogni cosa scorre su questo informe blocco senza lasciare traccia, senza che nulla possa essere scolpito e la vita passa senza essere vissuta.
Domanda:  Se tutto è vacuo, perché nel buddhismo il momento della morte è così importante? Forse perché non c’è?
Lama:          La morte, nella nostra concezione è istintivamente considerata un evento estremamente grave, provoca paura in quanto la si crede concreta, forte, statica, senza rendersi conto che, come tutto il resto, ha natura di vacuità. Il momento della morte è uguale e importante come qualsiasi fenomeno dell’esistenza.
La vacuità, non è qualcosa di astratto, avulso dai vari fenomeni, al contrario, ogni oggetto deve essere meditato nella sua natura di vacuità, così la vita e la morte, la nascita e l’impermanenza.
Non serve a nulla meditare in astratto sul concetto di impermanenza, lo si deve calare nella realtà del fenomeno osservato, devo meditare sul mio essere impermanente, il mio corpo è impermanente, la mia mente è impermanente, l’attaccamento è impermanente, i desideri sono impermanenti, la gioia è impermanente, ciò che importa è meditare queste connessioni con il nostro status di essere.
Impermanenza, vacuità, interdipendenza sono concetti fondamentale nella loro correlazione con l’oggetto osservato.
È importante meditare su qualsiasi evento, e quindi anche sulla morte, nella loro natura di vacuità, e lo si fa correlando ogni fenomeno al contesto preciso in cui questo si presenta, non serve a molto meditare sulla vacuità del mal di denti quando si sta bene, ma nel momento stesso in cui questo dolore si presenta è essenziale meditarne nel profondo la sua vacuità, per questo il momento della morte è importante, è la circostanza più autentica in cui vederne e meditarne la vacuità. Questo rende il Dharma utile ed efficace, il Dharma è sempre presente, ma deve essere utilizzato nel modo e nel momento giusto.
Domanda:  A me piace fermarmi a riflettere sulla morte, perché credo che questo pensiero possa essere uno stimolo per la società, se non la si nasconde può essere uno strumento di risveglio delle coscienze.
Lama:          E’ difficile affrontare il fenomeno della morte con una mente ordinaria, mentre con una mente preparata a convivere con questa esperienza, se ne scopre la profondità, il valore. Così come un campione olimpico che ha speso anni e anni in un continuo e instancabile addestramento quando arriva sul terreno di gioco è felice, ha la stupefacente soddisfazione di vedere la realizzazione del suo obiettivo, altrettanto succede a chi si allena senza interruzione di fronte a qualsiasi evento della vita.
La meditazione non è finalizzata a renderci straordinari, ma a farci vivere pienamente e gioiosamente ogni momento della vita, inclusa la morte.
Concentrazione, calma mentale, tranquillità, consapevolezza di mente e corpo, del respiro, tutto fa parte della pratica di meditazione sulla morte.
Domanda:  Qual è il significato del rito tibetano della morte?
Lama:          In Tibet il rito ha valore sempre nell’ottica del bene di tutti gli esseri, il corpo morto non serve più alla persona, ma diventa fonte di nutrimento per gli avvoltoi. Il rito in sé non è così importante ma, come in tutte le tradizioni, ciò che ha valore è l’accompagnamento dei propri cari in un’altra dimensione, esattamente come qui, le diversificazioni rituali sono determinate dalle diverse culture e consuetudini locali.
Se dovessi morire qui a me piacerebbe molto un funerale in chiesa, questo avrebbe senso. A volte si carica la ritualità di contenuti inesistenti, dovuti alla propria rigidità e piccolezza mentale, nella spiritualità non esiste alcuna differenza sostanziale.
L’importante è esercitarsi, meditare sulla vacuità di tutti i fenomeni, sulla vacuità della sofferenza, sulla vacuità della morte.
Domanda:  Nondimeno quando si ha un dolore fisico è difficile meditare sulla sua vacuità…
Lama:          Bisogna addestrare la mente con costanza senza pretendere risultati immediati, è bene cominciare da minimi disagi come ad esempio il digiuno, benefico sia per il corpo che per lo spirito, favorisce la meditazione e la salute fisica. Con piccoli esercizi come questo si acquisiranno capacità sempre maggiori.
Il dolore, la sofferenza, non sono eventi negativi e non devono mai essere considerati tali, posseggono un significato e una profonda positività.
Domanda:  Comunque quello che non mi è chiaro è ciò che devo fare concretamente di fronte al dolore fisico, devo entrarci dentro, accettarlo, oppure ignorarlo?
Lama:          La percezione del dolore il dolore non deve essere enfatizzata e neppure lo si deve ignorare, ma lasciarlo così com’è, lo si deve curare con i necessari medicamenti e nel contempo riflettere e meditare sulla sua vacuità, in questo modo il dolore non cresce, non occupa più l’intero spazio e non sembra più grande di quanto in realtà non sia.

Stiamo approfondendo il Tong Len, Dare e Ricevere, abbiamo visto come sia fondamentale sviluppare l’attitudine a dare senza l’ombra di attaccamento, se io do oggi a lui questo orologio, il mio gesto è poco significativo perché vado subito a comprarne un altro, ma assume ben diverso valore il donare tutto ciò che non posseggo e verso cui non nutro attaccamento alcuno nella consapevolezza che nulla è mio, ma tutto di tutti.
La concezione del “mio” implica l’annullamento, la vanificazione della generosità, pura, implica attaccamento.
La visualizzazione del respiro è un esercizio importantissimo, con l’espirazione offro ogni ricchezza universale a tutti gli esseri, è il dono senza attaccamento, senza io e senza mio, puro, generoso, mentre con l’inspirazione accolgo nel centro del mio cuore la sofferenza di tutti gli esseri liberandoli.
Siamo noi i fautori della qualità della nostra vita, abbiamo due possibilità di scelta di fronte alla realtà imprescindibile della sofferenza umana: possiamo aprire il cuore in un’attitudine, generosa, compassionevole, e con altruismo assoluto voler liberare tutti gli esseri da ogni sofferenza prendendola in noi stessi, oppure decidere di rinchiuderci in un blocco granitico rimanendo indifferenti, insensibili, concentrati unicamente sul nostro meschino, arido e sterile ego.
Che cosa scegliereste? Difficile scelta perché l’ego è terrorizzato da questa prospettiva, però la Grande Compassione non ha dubbi, non ha timori è completamente avulsa dall’ego, è totale, incondizionata, assoluta.
Non è certo facile applicare in un solo istante la grande compassione, anzi è impossibile, ma si può, con l’instancabile esercizio, desiderarne la realizzazione, procedendo piano piano, meditando ininterrottamente, allenando la mente giorno dopo giorno e accrescendo sempre più il desiderio e la capacità di accogliere in sé la sofferenza altrui liberandoli.
L’evento più stupefacente che si verifica quando il nostro cuore diventa così forte da voler e saper accogliere la sofferenza di tutti gli esseri è che noi stessi siamo liberati dalla sofferenza.
Il Tong Len, questa capacità del cuore di dare e ricevere, è ciò che rende gli esseri umani autentici, è il senso stesso dell’esistenza; la sua realizzazione non è facile ma nemmeno impossibile.
Sul senso della vita sono state dette e scritte un’infinità di parole, tutte assolutamente inutili, lo si può trovare soltanto in se stessi, farne esperienza nella profondità del proprio cuore, è il significato che sorge da coraggio, forza, dedizione, determinazione, è ciò che permette di trasformare l’apparente impossibile in possibile.
Senza rischiare di perderci nei meandri delle disquisizioni filosofiche sul senso dell’esistenza possiamo porci un’unica semplice domanda:
Qual è il senso del respiro? - Il senso del respiro è praticare il Tong Len;
Come si pratica il Tong Len? - Trasformando il ritmo del respiro nell’intenzione di dare e avere. Così si trasforma il proprio essere, la vita stessa.
E’ tutto molto semplice, lineare, libero da inutili sovrastrutture procedurali, nella pratica del Dharma non ci sono automatismi, menù fissi a poco prezzo, non c’è nulla di rigido, di statico, di predefinito.
Non si può pretendere di ottenere eclatanti realizzazioni in un solo istante, senza fatica, questo è proprio assurdo, l’illusione delle illusioni, tutto scaturirà naturalmente, lentamente, progressivamente, è sufficiente allenare la propria mente senza stancarsi, e un poco alla volte si giungerà all’obiettivo prefisso.
Il Dharma è la bellezza infinita, la ricerca personale della perfezione, che non è né automatica né esteriore. La spiritualità è intangibile patrimonio umano, non appartiene a nessuno è il bene dell’universo a disposizione di tutti.
Ora meditiamo insieme ascoltando il mantra di Tong Len 0M MA NI PADME HUM”.

(segue meditazione)

Conoscete tutti il significato del suono di queste sillabe?
OM è il suono che rappresenta la Purificazione del cuore in corpo parola e mente; MA NI rappresenta il gioiello della Grande Compassione che accoglie tutta la sofferenza altrui nel proprio cuore, dando in cambio ogni bene, senza attaccamento alcuno, dare e ricevere con la Saggezza che è delineata da PADME; HUM è l’autentico sé trasformato, rinato nella natura di purezza compassione e saggezza.
Ci sono domande?
Domanda:  Quando si parla di essenza del sé, cosa si intende realmente? L’essenza del cuore purificato da tutto il resto, senza la mente? La vita ha senso soltanto se vissuta con il cuore?
Lama:          Mente e cuore sono strettamente collegati, non è possibile scinderli, si deve vivere con la mente e con il cuore, la meditazione con consapevolezza può realizzarsi solo in questa unione.
Domanda:  Quando recitiamo un mantra quanto è importante la corretta pronuncia? O vale solo il significato?
Lama:          La pronuncia non è così importante, ciò che conta è l’armonia del suono, la corrispondenza con il respiro. Il mantra non è una parola a sé stante, è un suono che aiuta a sviluppare la concentrazione, la consapevolezza, la correlazione armonica. Il significato non è nelle singole sillabe quanto nell’intenzione di chi si accinge a pronunciarne il suono.
Domanda:  A me risulta molto più facile aiutare gli altri, ne provo davvero gioia, piuttosto che accettare me stessa, in questo infatti ho molte difficoltà, mi ritraggo.
Lama:          La sensibilità umana si esprime con l’attenzione indiscriminata alle varie condizioni e le difficoltà ne fanno parte integrante, devono essere affrontate naturalmente, con tranquillità e consapevolezza, senza discriminazioni e preoccupazioni, vivendo il presente.
Domanda:  Però la mia preoccupazione nei confronti della morte è diversa se io so con certezza che mi restano due anni di vita o se, come tutti, so che un giorno morirò…
Lama:          La preparazione alla morte è un valido aiuto sempre, in qualsiasi circostanza. Altra cosa è la preoccupazione nei confronti di questo evento che comunque si verificherà, sia che io ne conosca il tempo o no e in entrambi i casi non ha alcun senso preoccuparsene, è un’inutile spreco di energie e di tempo prezioso, non posso cambiare nulla, ma posso invece approfittarne per approfondirne la conoscenza nella meditazione, per annientare, passo dopo passo, ogni inutile preoccupazione. Voi che ne dite?
Risposte:     Io starei molto male se mi dicessero che non mi restano che due anni di vita, penso che non sarei più la stessa…; - secondo me se sai si spegne qualcosa prima, forse è un aiuto per prepararsi, ma è difficile parlarne in astratto, bisognerebbe trovarsi nella situazione per sapere come si reagisce…; - incontrare la morte ti fa vedere con chiarezza quanto sia bella la vita…
Lama:          Non c’è riposta statica, rigida, certa, come dicevamo prima il menù fisso non esiste, tutto è impermanente, e nel mondo moderno questa impermanenza ha subito un’accelerazione eccessiva.
L’aggrapparsi a false certezze, cercare risposte predefinite ugualmente adatte a tutti è pericolosissimo, il peggior inganno, per questo è importante essere flessibili, aperti, meditare con tranquillità, serenità, stabilità spirituale, dignità, ricchezza interiore così da essere pronti ad affrontare questa esperienza di vita che è la morte, un evento ineluttabile, parte di noi sin dal momento della nostra nascita.

Grazie a tutti.

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