TONG LEN
Trasformare la propria vita
Discorso di Dharma Weekend
20 -21 aprile 2013
(....Non c’è riposta statica, rigida, certa, come dicevamo prima il menù fisso non esiste, tutto è impermanente, e nel mondo moderno questa impermanenza ha subito un’accelerazione eccessiva. L’aggrapparsi a false certezze, cercare risposte predefinite ugualmente adatte a tutti è pericolosissimo, il peggior inganno, per questo è importante essere flessibili, aperti, meditare con tranquillità, serenità, stabilità spirituale, dignità, ricchezza interiore così da essere pronti ad affrontare questa esperienza di vita che è la morte, un evento ineluttabile, parte di noi sin dal momento della nostra nascita.)
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INDICE
Bodhicitta ......................................................................
Tong Len .........................................................................................
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Rinuncia
Rinuncia
Buon pomeriggio a tutti e grazie di essere qui a condividere questo
tempo in un compito che non è affatto semplice, poiché la pratica del Dharma è
il lavoro più difficile e più grande che si possa affrontare nell’esistenza
umana, ne è il suo valore spirituale principale, il suo autentico senso e deve
essere affrontato in ogni istante con consapevolezza.
La consapevolezza è indispensabile per la realizzazione di una vita
soddisfacente, felice, ricca di significato.
Spesso ci sentiamo oppressi da una sottile, costante insoddisfazione,
che non dipende affatto da circostanze esterne, ma esclusivamente dalla propria
condizione di cuore e mente, ecco perché siamo qui oggi per cercare insieme il
senso, l’appagamento della nostra vita, dunque la prima domanda che dobbiamo
porre a noi stessi è: “come posso
rendere la mia vita soddisfacente” e la risposta
è teoricamente facile, infatti è sufficiente un’unica parola per definirla, ben
sapendo però che praticamente la sua applicazione è assai difficile.
La parola chiave e la risposta a questa domanda è: «RINUNCIA»,
termine che è stato interpretato in molti modi anche se non corrispondono affatto
al concetto originale espresso nella filosofia buddhista.
La rinuncia, lo spirito di rinuncia, è la sorgente stessa della
contentezza, della piena soddisfazione, è la ricchezza che dà valore alla vita.
Rinuncia non significa eliminare il superfluo, non significa donare ciò
che già possediamo, ma è piuttosto rinunciare a ciò che non abbiamo,
significa riconoscere il valore del molto che ci è dato nella vita senza
desiderare nulla di più, senza affannarsi e faticare per procurarsi quello che
non abbiamo.
Lo spirito di rinuncia consiste proprio nel riconoscere il valore della
interconnessione indispensabile e bella tra ciò che si ha e tutto ciò che non
si ha, con un’attitudine pienamente soddisfatta, gioiosa e soprattutto grata.
Per una vita piena e appagante è indispensabile la pratica della
rinuncia, non ci può essere contentezza senza rinuncia.
È importante quanto semplice questo concetto: rinuncia non significa buttar
via quanto si possiede, ma rinunciare con autentica, semplice letizia a ciò che
non si ha, questo rende ogni istante dell’esistenza ricco, pieno, gioioso,
appagato.
Spesso invece ci rattristiamo perdendoci in vani desideri, confondendo
sogni chimerici come realtà da raggiungere ad ogni costo, rincorriamo
incessantemente illusioni assurde e sprechiamo tutta la vita
nell’insoddisfazione, nell’angoscia, nell’amarezza per le costanti, quanto
inevitabili, disillusioni.
La saggezza che
produce autentica soddisfazione consiste nel rinunciare a obiettivi non
realistici, a ciò che già possediamo e a ciò che non abbiamo, senza
attaccamento di nessun tipo, senza desiderio, bramosia. È il mezzo che ci
permette di riconoscere l’autentico valore dell’esistenza, di esaltare,
costruire, nutrire le qualità già naturalmente presenti in noi, con
contentezza, soddisfazione, gioia, questo è il semplice umile ricco cammino
mostrato da san Francesco d’Assisi.
La rinuncia
buddhista potrebbe essere tradotta nelle lingue occidentali con il termine
“semplicità” e per realizzare questa condizione è indispensabile avere piena
consapevolezza di ogni atto, parola, pensiero. Senza consapevolezza è
impossibile praticare la rinuncia e dunque non può realizzarsi alcuna
semplicità, contentezza, appagamento.
Consapevolezza,
cioè con-sapere, è quella congiunzione che porta alla saggezza.
Senza
consapevolezza invece ci ritroviamo immersi nel fango della confusione, dei
conflitti, delle meschinità, delle rivalse, completamente accecati nell’inganno
di un falso senso di potere abbagliati da miraggi che ci conducono irrimediabilmente
alla frustrazione, all’infelicità, alla scontentezza cronica.
Siamo dunque sempre
e soltanto noi gli artefici della qualità della nostra vita, la scelta è nelle
nostre mani, possiamo scegliere la via della rinuncia, della saggezza che porta
alla piena soddisfazione di una vita ricca, oppure optare per la strada
costruita sull’ignoranza che si perde nei sogni, nelle illusioni, con inutili,
sconsiderati e ininterrotti attaccamenti e avversioni.
La
consapevolezza è l’elemento che definisce la qualità della propria scelta,
dimorando in essa è possibile affrontare con intelligenza, lucidità e saggezza
ogni situazione, le stesse emozioni negative vengono in essa trasformate in
preziose occasioni di crescita e maturazione, al contrario, se siamo privi di consapevolezza,
queste emozioni possono diventare distruttive, assumere il completo controllo
della nostra mente gettandoci così ancor più a fondo nella confusione e
nell’oscurità.
Noi non viviamo
nel nirvāna, apparteniamo totalmente al mondo dei desideri e dunque le emozioni
negative sono una naturale condizione di vita, non è umanamente possibile
esserne esenti, sono energia che può essere utilizzata positivamente o, al
contrario, sprecata in una inutile e paralizzante frustrazione.
Inoltre il
termine emozione negativa non è corretto, dovremmo piuttosto parlare di energia
umana, indispensabile, vitale, ciò che è veramente importante è averne una corretta
conoscenza e utilizzarla nella giusta misura, ma per mantenere questa
attitudine è indispensabile la piena presenza mentale, la lucida consapevolezza
verso qualsiasi evento.
E ora vi chiedo:
per vivere con consapevolezza cosa è necessario fare?
Risposta: Rinuncia…
Lama: Questa è una risposta e poi’? finora
abbiamo parlato in teoria, ma nella pratica che bisogna fare? Ognuno deve
assumere la responsabilità di osservare in prima persona la qualità della
propria vita, la salvezza non giunge dall’esterno, soltanto in noi stessi possiamo
trovare la giusta chiave, questa è dunque una domanda obbligatoria, dovete
rispondere tutti.
Risposte: Cercare di capire e distinguere ciò che è davvero importante, essenziale,
da ciò che non lo è…; - Diventare più saggi…; - Non perdere tempo in arrabbiature,
desideri irrealizzabili…; - Cercare di non identificarsi con le emozioni…; - Io
rispondo con la metafora del Buddha: se tiri troppo la corda del liuto si
spezza, se la lasci troppo morbida non suona…; - Combattere l’egocentrismo…; -
Lasciar perdere le emozioni negative, trovare il bene in ogni circostanza…; -
Rimanere costantemente fermi nella presenza mentale…; - Essere nel qui e ora,
non pensare né al passato né al futuro…; - Eliminare l’ego…; - Fare pratica, e
quando sorgono le emozioni sapersi fermare al momento giusto cercando solo ciò
che ci fa sentire bene…; - Raggiungere un equilibrio personale interiore…; -
Osservare le emozioni e lasciarle andare…; - Analizzare le motivazioni che
fanno sorgere le emozioni…; - Cercare di mantenere il respiro e creare uno
spazio…; - Apprezzare il momento di condivisione e le persone con cui si
condivide…; - Comunicare maggiormente con se stessi…; - Non identificarsi con
se stessi…; - Non aver paura di fare esperienze…
Molto
bene, grazie, è importante guardare in se stessi esprimere e confrontare con
gli altri ciò che emerge, ricordo che nel nostro monastero si consideravano
estremamente importanti , queste interazioni e dibattiti, infatti erano
obbligatori, considerati necessario strumento pedagogico così come lo era la
memorizzazione, anche se parziale, dei testi. Tutti gli studenti, in base alle
loro capacità, vi partecipavano attivamente per l’intero percorso di studio, fino
all’esame finale, che comunque non comportava né promozione né bocciatura.
L’importanza
attribuita a questa partecipazione era determinata dal riconoscimento del
fondamentale principio di equanimità secondo cui tutti gli esseri umani posseggono
le stesse qualità che esprimono secondo le proprie potenzialità.
Il
ciclo didattico sulla Mādhyamika, la via di mezzo, si protraeva per dieci anni,
poi gli studi proseguivano senza limiti di tempo, né esame finale, l’abate
valutava il grado di istruzione raggiunto da ogni studente e stabiliva ciò che
per lui era bene, cosa avrebbe potuto fare e quale qualificazione ottenere.
Ritornando
alla nostra domanda, la risposta è semplice: per realizzare nel concreto la
consapevolezza abbiamo uno strumento fondamentale e imprescindibile, dobbiamo praticare
la MEDITAZIONE; è il mezzo che imprime chiarezza alla nostra esistenza,
che ci rende vivi nella consapevolezza, è la pratica che rende proficua la
nostra esistenza.
Ora
meditiamo dunque insieme, semplicemente, senza complicazioni, sistemiamoci
comodamente, naturalmente rilassati e respiriamo con calma. Concentriamoci sul
cuore lasciando la mente libera da ogni pensiero.
(segue meditazione)
La
pratica del Dharma si basa sulla rinuncia applicata nei confronti di ciò che
non si ha, coscienti di ciò che si ha, un processo che deve avvenire nella
piena consapevolezza, qualità ottenibile soltanto nella meditazione.
La
pratica del Dharma si fonda sulla consapevolezza, nulla può essere realmente
vissuto al di fuori di essa, le stesse emozioni devono essere esperite con la
piena consapevolezza del loro valore positivo in quanto sono un carburante per
noi, fonte indispensabile di energia.
Siamo
umani, radicati nel samsāra e, senza attaccamenti, desideri, ignoranza, sofferenza,
dolore, malattie, gelosia, rabbia, angoscia, la nostra esistenza sarebbe
statica, amorfa, morta, al contrario la vita deve essere significativa, dinamica,
produttiva. La differenza sostanziale in grado di trasformare le emozioni positivamente
è determinata dal nostro essere autenticamente vitali, dal modo di affrontarle
con piena presenza mentale.
Le
emozioni conflittuali sono dunque utilissime, ma affinché siano proficue è
indispensabile la consapevolezza, soltanto in questo modo è possibile praticare
il Dharma.
La
meditazione che induce consapevolezza libera la mente dalle preoccupazioni,
tanto pesanti quanto inutili. Le preoccupazioni, soprattutto quelle nascoste,
non evidenti, annidate nel subconscio, sono devastanti, logorano e consumano lo
spirito e soltanto la meditazione consapevole è in grado di stanarle, di farle
emergere così da vanificarne ogni potere distruttivo.
Lo
spirito è reso più forte, ricco, dalla consapevolezza frutto della meditazione,
una condizione più che mai necessaria in quest’epoca in cui gli esseri umani
sono sempre più deboli, pusillanimi, privi di ogni coraggio.
Pare
che nell’ultimo secolo, in cui si sono attuate grandi conquiste tecnologiche,
quasi in contrapposizione si è andati sempre più perdendo il potere dello
spirito; gli esseri del passato, coraggiosi e forti come montagne sono scomparsi,
oggi ci siamo ridotti a fuscelli fragilissimi privi di radici, abbiamo perduto
ogni coraggio, sicurezza, dignità, fiducia.
Nel
mondo moderno il subconscio ha aperto le porte a troppi letali virus mentali e
l’unica medicina a nostra disposizione è ritrovare in sé la forza dello
spirito, approfondendo e vivendo nell’essenza più vera ogni istante, ogni
evento con consapevolezza, non abbiamo altri strumenti, dobbiamo riappropriarci
della capacità di conoscere, sondare il nostro cuore, la nostra mente.
Tutti
i marchingegni che apparentemente hanno reso le nostre giornate più comode e
facili in realtà hanno velocizzato e automatizzato al massimo la nostra
esistenza insegnandoci ad osservare solo la superficie delle cose e la loro
concreta utilizzazione immediata, ne è esempio l’uso scriteriato di internet,
di cui ormai pare non si possa più fare a meno.
Una
visione così superficiale, virtuale e apparente della realtà, ha annientato,
indebolito lo spirito umano, ci ha resi inadatti alla vita autentica in quanto sprechiamo
tutto il tempo sorvolando sulla superficie di ogni evento, senza mai
approfondirne nessuno.
Se
non vogliamo essere già morti pur apparentemente vivendo, dobbiamo
riappropriarci della nostra umanità, e lo strumento idoneo e accessibile a
tutti è la meditazione, che non è nulla di magico, di esoterico, ma
semplicemente ci induce a rivolgere lo sguardo intenso e attento in noi stessi,
ci fa entrare nella nostra anima favorendo il recupero della sua immensa forza.
Non
si tratta di ingaggiare una battaglia contro se stessi, contro l’ego o chissà
quali altri nemici, non c’è nulla da combattere, ma semplicemente ci poniamo
nella condizione di saper riconoscere il valore, la potenza del nostro spirito,
abbandonando in questo modo ogni insicurezza, ogni paura, ogni debolezza.
Nella
meditazione non esistono scontri, le guerre sono il sintomo più evidente, della
debolezza, delle insicurezze, delle paure, delle preoccupazioni volte
esclusivamente a tutelare i propri interessi superficiali e ingannevoli. Chi è
forte, non teme nulla, non ha bisogno di aggredire nessuno, è fermo e stabile
nella ricchezza del proprio essere.
La
pratica del Dharma è proprio finalizzata a rendere lo spirito forte, libero,
indipendente, soddisfatto, felice, aperto, fraternamente e gioiosamente
disponibile alle necessità altrui, entusiasta delle opportunità che la vita
offre. Questo forte spirito diventa una risorsa costante non solo per sé, ma
per tutti.
Al
contrario la società attuale così debole, frivola, ottusa, cerca affannosamente
una fonte esteriore di felicità nel vano tentativo di colmare le voragini del vuoto
interiore, ma un simile atteggiamento, oltre a essere assolutamente ingannevole,
è sciocco e criminale in quanto l’unico risultato che ottiene è il consumo scriteriato
delle risorse planetarie che, con l’attuale accelerazione esponenziale, condurrà
alla fine, alla distruzione e morte di ogni vita sul pianeta.
Malgrado
questa evidenza, ormai ripetutamente denunciata da tutti gli scienziati, anche
dai più ottimisti, persistiamo ottusamente e indifferentemente nell’autodistruzione
accontentandoci di una immediata ed effimera soddisfazione basata elusivamente
sull’apparenza superficiale, vogliamo ad ogni costo dimenticare con totale insensibilità
la caducità e l’impermanenza che caratterizza ogni fenomeno, inclusi noi e,
come gli struzzi, nascondiamo la testa nella negazione dell’inutilità di tanta
fatica, indifferenti al vuoto interiore sempre più profondo e devastante.
Commento: …ma in fondo l’uomo è fatto così…
Lama: No, non è questa la natura umana,
l’uomo è andato nella direzione sbagliata, sta percorrendo un cammino di
distruzione e morte e non di crescita e maturazione, sta indebolendo sino a
estinzione lo spirito per rincorrere facili chimere, basta un clic sul computer
per acquistare ogni cosa, e poi?
Il
tema di oggi, Tong Len, indica la necessità di trasformare la qualità
dell’esistenza tramite il respiro, ma queste due sillabe che significano in concreto?
Tong
è il dare, la generosità e Len la compassione.
Con
l’attitudine del Tong si mette completamente a disposizione, senza riserve, il
proprio spirito agli altri e questo rende l’anima felice, colma di gioia e Len è
l’apertura del proprio cuore compassionevole, è condividere la sofferenza
essere con, camminare insieme.
Per
praticare il Tong Len ci si deve esercitare senza stancarsi, con costanza
seguendo il ritmo del respiro; con l’espirazione visualizziamo la liberazione dal
nostro ego donando agli altri tutte le qualità spirituali, e con l’inspirazione
immaginiamo di prendere su di noi il carico delle sofferenze altrui,
liberandoli da questo pesante fardello. Ogni respiro accresce la pace interiore,
rende l’anima progressivamente più felice, ricca, soddisfatta, utile.
Però
in genere noi agiamo in modo assolutamente inverso, vogliamo con ogni mezzo
fuggire dalla sofferenza, ne abbiamo un terrore irrazionale e assoluto perché
non ne conosciamo la profonda essenza, l’enorme potenzialità, se la
conoscessimo non ne avremmo alcun timore, essa è parte integrante, fondamentale,
dell’esistenza umana.
Qual
è la corretta conoscenza della sofferenza?
Risposte: Non averne paura…; - è l’esperienza della stessa
sofferenza…; - consapevolezza…; averla vissuta…; - provarla…; - conoscerla…; - riuscire
a sentirla perché credo possa avere intensità diverse…; - osservare la nostra
reazione all’esperienza del dolore…; - accettarla…
Lama: La corretta conoscenza della
sofferenza è la realizzazione della vacuità della sofferenza, e questo vale per
la conoscenza di qualsiasi fenomeno, soltanto avendo consapevolezza dell’intrinseca
vacuità, realizzandola, se ne ha una giusta comprensione.
La
sofferenza non è piacevole, ma è una realtà necessaria e inesorabile e
rifuggirla ci rende soltanto sue vittime, completamente succubi di ciò che non
comprendiamo, incatenati a una negatività da cui non riusciamo a liberarci
perché inetti, privi di coraggio, di forza nel cercare il giusto rimedio, siamo
completamente incapaci di vedere la grande opportunità, la miracolosa medicina
che la sofferenza stessa offre: il riconoscimento della sua vacuità.
Se
invece il nostro cuore fosse coraggioso e aperto sapremmo che, in modo
inversamente proporzionale, quanto maggiore è la conoscenza della vacuità della
sofferenza, tanto minore sarà la nostra sofferenza. Naturalmente non parliamo
della pena prodotta da un banale malanno risolvibile con qualche pillola e un
buon riposo, siamo su un altro piano in cui abbiamo concretamente a
disposizione un infallibile rimedio: la meditazione.
Per
conoscere la sofferenza, proprio nel momento in cui la sperimentiamo, sentiamone
la forza nel corpo e nello spirito, è necessario meditare sulla sua
impermanenza e vacuità. Il Dharma è questo, il fenomeno più raffinato che
esista nell’universo.
Tutti
soffriamo, nessuno ne è esente, e alla domanda sul perché questo avvenga
possiamo rispondere che ciò è determinato dalla condivisione della medesima
condizione umana che ci pone tutti a remare nella stessa barca. Il samsāra è la
nostra unica e comune barca in cui non è possibile isolarsi, considerarsi unità
indipendente, tutto è interdipendente e di questa scialuppa condividiamo
ugualmente ogni aspetto.
Il
Tong Len è proprio questa condivisione, la capacità di comprendere la
sofferenza profondamente, sia la nostra che quella altrui. Condividere nella
compassione, nella spirito, nell’amore è ciò che imprime valore e ricchezza alla
vita umana, noi non siamo dei robot, i nostri valori si esprimono nella
condivisione in famiglia, con gli amici e anche con i nemici, è un comune
banchetto a cui tutti insieme accediamo con gioia, gratitudine, crescita umana.
Riconoscere
la vacuità della sofferenza è Dharma, Spirito santo nel cristianesimo e nell’induismo
Bhagavadgītā, e ciò che emerge alla fine è la consapevolezza della profonda
qualità di tutto, non vi sfugge nulla, niente va perduto, non c’è più
discriminazione alcuna, né giusto né ingiusto, né bello né brutto, ogni evento
ha il suo valore, è l’alchimia dello spirito che trasforma il samsāra in
paradiso, in nirvāna.
Quando
osserviamo la sofferenza con la consapevole conoscenza della sua vacuità, ne
abbiamo trasformata radicalmente la natura, non ne siamo più feriti, schiavi,
impotenti, in quanto ne vediamo con chiarezza il valore reale, la potenza e la
forza della sua vacuità e ogni timore, fuga, paura scompaiono definitivamente.
Conoscere
la sofferenza non è facile, è la grande realizzazione del Dharma, eppure noi
siamo così sciocchi che creiamo artificiosi meccanismi di meditazione, ci
illudiamo di raggiungere chissà quali vette mistiche meditando sul Buddha,
sull’arcobaleno, sull’Himalaya…, ma è tutta fatica sprecata, dobbiamo invece
meditare sulla sofferenza, imparare a guardarla, ad accoglierla, senza paura.
Non
a caso nel suo primo insegnamento il Buddha ha affrontato il punto fondamentale
della nostra umanità: le quattro nobili verità della sofferenza. Noi invece
applichiamo ogni giorno un’attitudine esattamente opposta, non vogliamo nemmeno
sentir nominare la parola sofferenza, preferiamo stordirci con tutto ciò che ci
capita a tiro pur di non accorgerci della sua esistenza, la consideriamo il
peggior male e preferiamo lasciarci prendere in giro dalla finzione chiassosa e
luccicante di ogni inganno a cui ci sottopone con un ininterrotto lavaggio del
cervello la società dei consumi.
Al
contrario, l’unica via per trasformare veramente la nostra vita è quella che ci
fa rimanere saldamente ancorati alla realtà, che non ci fa dimenticare la
nostra umanità, il compito della nostra esistenza a cominciare dagli atti più
essenziali come respirare con consapevolezza.
La
consapevolezza genericamente considerata in una concezione astratta, non ha particolare
senso, è semplicemente uno sterile dogma che produce chiusura e ristrettezza
mentale. Altrettanto la meditazione, isolata, avulsa dalla realtà, è sterile
esercizio meccanico, mentre diventa fondamentale fonte di realizzazione nella
sua applicazione con consapevolezza.
Con
la consapevolezza tutto si trasforma in meditazione.
È
importante sottolineare il valore di questo “con”, ogni evento deve
essere osservato, vissuto, realizzato “con-consapevolezza” in questo doppio “con”.
Respirare
con consapevolezza è meditazione, non costa nulla, è un atto spontaneo, vitale,
sempre presente, una presenza mentale che si può applicare in qualunque condizione,
si tratta semplicemente di avere costanza, di allenarsi quotidianamente,
camminando, guidando, sul lavoro, a casa pulendo, cucinando…
Ogni
momento è adatto alla respirazione con consapevolezza e avendo acquisito questa
abitudine è semplice applicarvi la pratica del Tong Len rendendo così la
compassione, l’amore parte integrante di qualsiasi istante della nostra vita e,
procedendo lentamente, naturalmente, ma concretamente, ne sperimenteremo con
infinita gioia gli immensi benefici.
Nulla
è impossibile e, nel caso si trovasse difficoltà a iniziare la meditazione con la
consapevolezza del respiro, è bene non forzare nulla, lasciando semplicemente
andare i pensieri, che sono sempre pericolosi, generano sofferenza, confusione,
preoccupazione, distrazione, non attaccarsi ad essi, ma osservarli scorrere
via.
Domanda: il Tong Len comprende anche il concetto di
offrire la vittoria al nemico?
Lama: Certo, va bene, purché si faccia con
consapevolezza, voi che ne pensate?
Opinioni: Se questo atteggiamento porta un beneficio a
te stesso e all’altro si, è parte del Tong Len…; - se impedisce arrabbiature
certo….; - si perché risolve i propri conflitti…
Lama: Va bene, ognuno deve trovare l’applicazione
corrispondente al proprio modo di essere, non esiste un metodo unico, ugualmente
proficuo per tutti, la pratica del Dharma non può mai essere statica,
stereotipata, sarebbe assurdo, ognuno di noi ha una propria essenza e in base ad
essa deve trovare la chiave adatta ad aprire il proprio cuore, trasformare la
mente. Restano saldi i principi fondamentali di amore e compassione ma il modo
di svilupparli può e deve essere personale.
Domanda: Come possiamo affrontare le preoccupazioni
sottili, invisibili? La paura può essere di aiuto in questo?
Lama: La paura in sé non è mai utile, le
stesse preoccupazioni invisibili sono generate dalla paura e per scoprirle è
necessario rifugiarsi nel silenzio della mente, nel suo essere rilassato,
tranquillo, concentrato, soltanto in questo spazio le preoccupazioni escono
allo scoperto. La meditazione è l’unica risposta per ritrovare l’autenticità
della mente.
Nella
quotidianità la nostra mente è occupata a livello grossolano da una miriade di
pensieri, preoccupazioni frastornanti che con assoluta superficialità offuscano
e nascondono la vera natura di qualsiasi cosa, soltanto nella meditazione,
quando la mente diventa calma, pacifica,concentrata, è possibile riappropriarsi
della vera vista, i pensieri grossolani si annullano, diventano invisibili e
ciò che era invisibile appare in tutta chiarezza.
In
questo modo si ha la conoscenza della vacuità della sofferenza, la conoscenza
della vacuità della paura, la conoscenza della vacuità dei nostri limiti che ci
inducono erroneamente a giudicare e discriminare qualsiasi cosa, compresa la
compassione. Per poter praticare l’amore, la compassione e la pazienza è
necessario avere la corretta visione della loro vacuità.
Comprendere
nella meditazione l’insegnamento sulla vacuità è importante perché ci aiuta ad
eliminare tutte le illusioni, ci riporta all’essenza della vita nel quotidiano
con tutto il suo inevitabile bagaglio di emozioni quali la rabbia,
l’attaccamento, l’avversione, ma che siamo in grado di affrontare con un’ottica
completamente diversa: con la consapevolezza.
Questa
è la forza del Dharma, non elimina i conflitti della vita, ma ci permette di
affrontarli con una conoscenza veramente trasformante.
Il
Dharma è un valore universale, non esclude nulla, non è giudicante, abbraccia
ogni aspetto dell’esistenza.
Bodhicitta
E’
sempre una rinnovata gioia incontrare i vecchi e i nuovi amici in questo centro
di Dharma che ha il grande e raro pregio di essere autentico, semplice e aperto
a tutti, qualità davvero importanti, perché la conoscenza del Dharma in questa
società è più che mai necessaria per arricchire il proprio patrimonio culturale
e non certamente per indurre la gente a convertirsi.
Questa
deve essere la motivazione, l’intenzione della diffusione del Dharma, è
magnifico poter approfondire e conoscere il sapere buddhista così come quello di
qualsiasi altro pensiero proveniente da culture diverse, tutto ciò che ci è offerto
dall’esterno è un arricchimento non un’alternativa da contrapporre al proprio patrimonio
religioso o filosofico.
Così
come gli immigrati sono una risorsa per questo paese, altrettanto la conoscenza
di culture differenti è una ulteriore fonte di ricchezza nell’armonia della
conoscenza reciproca, e questa armonia è una pratica di bodhicitta, il cuore
stesso del Dharma.
Bodhicitta
è una parola sanscrita, bodhi indica il cuore universale, completamente altruistico e citta
la connessione aperta e senza riserve del proprio cuore con il cuore di bodhi.
Il
cuore universale è il cuore di Buddha, degli Esseri risvegliati, illuminati,
ecco perché la congiunzione del nostro cuore con quello universale si chiama
bodhicitta, senza più separazione, distinzione, dualismo.
In
questa unione osservando con consapevolezza il ritmo del respiro applichiamo il
Tong Len, quando espiriamo pratichiamo la generosità e l’amore che dona e condivide
le proprie qualità spirituali e materiali con tutti gli altri esseri senzienti
e quando inspiriamo prendiamo nel nostro cuore tutte le sofferenze, i problemi,
le angosce degli altri.
Ora,
meditate respirando nella visualizzazione del Tong Len mentre io vi leggerò due
testi buddhisti essenziali a questa pratica: gli “Otto Versi di Trasformazione
della Mente” e il “Sūtra del Cuore.”
(segue meditazione)
Otto versi di Trasformazione della Mente
Considerando tutti
gli esseri senzienti
superiori alla gemma che
esaudisce i desideri
per realizzare il fine
supremo
possa io costantemente
prenderli a cuore.
Quando sarò con gli altri,
riterrò me stesso come il
meno importante,
e mi prenderò cura di loro
fin nel profondo del cuore
come se ognuno fosse il
più elevato degli esseri.
Vigile, ogni volta che
sorge un’emozione negativa
Che possa nuocere me o gli
altri,
l’affronterò e l’eliminerò
senza indugio.
Vedendo esseri in preda
alla malvagità
Intenti a violente azioni
negative, sopraffatti da sofferenze,
avrò sempre cura di tali
creature così rare,
come se avessi trovato un
tesoro prezioso.
Quando altri, per invidia,
mi maltratteranno,
mi insulteranno o faranno
cose simili,
accetterò la sconfitta e
offrirò la vittoria.
Quando qualcuno a cui ho
fatto del bene
e in cui ho riposto grandi
speranze
mi infligge un danno
terribile,
lo considererò il mio
santo amico spirituale.
In breve, direttamente e
indirettamente, offro
ogni
beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri;
possa
io segretamente prendere su di me
tutte
le loro azioni negative e sofferenze.
Possa la pratica non
essere mai contaminata dalle idee causate
dalle otto preoccupazioni
mondane,
e, consapevole che tutte
le cose sono illusorie,
possa io, privo di
attaccamento, essere libero dal samsara.
***
Il Cuore della Perfezione
della Saggezza”
Come
vi sentite? Siete tutti illuminati? ovviamente no…
Si
racconta che quando il Buddha insegnò il Sūtra del Cuore molti discepoli
ascoltandolo furono immediatamente risvegliati e ottennero realizzazioni
diverse, ma noi siamo come un sasso su cui viene buttata dell’acqua che vi
scorre velocemente lasciando inalterata la pietra, per nulla modificata.
Purtroppo
questa è una condizione pesante che, come suggerisce una preghiera tibetana, è dovuta
all’essere nati in tempi residui, kāliyuga.
Si
parla di tempi residui volendo indicare con questo termine che tutto è stato in
precedenza tentato per la nostra liberazione dagli infiniti Buddha del passato,
ma la nostra durezza non si è lasciata scalfire e ciò che è rimasto è il nostro
cuore è di marmo che soltanto la punta di un diamante sarà in grado di
scolpire.
Dunque
giacché la nostra insensibilità, durezza e ignoranza ha impedito ai Buddha di
liberarci, l’unico strumento a nostra disposizione è la bodhicitta, il diamante
di amore e compassione che, così come Michelangelo faceva con il suo scalpello,
deve essere utilizzato nel modo adeguato ad ogni circostanza per forgiare il
nostro cuore, per eliminare il marmo che lo avvolge.
Certamente
non è un compito facile ma deve essere compiuto nell’armonia consapevole
dell’interdipendenza di tutti i fenomeni, nell’attenzione in grado di valutare
correttamente ogni evento, ben sapendo che nulla avviene in modo casuale e tutte
le giuste condizioni si presentano nel giusto momento.
Solo
in questo modo il nostro marmo potrà essere trasformato in opera d’arte, la
citta tramutarsi in bodhi.
Per
realizzare la bodhicitta lo scalpello nelle nostre mani è il Lo Jong,
l’addestramento della mente altruistica e il Tong Len la pratica del dare e
avere utilizzando l’alternanza del respiro.
La
bodhicitta ha due livelli di realizzazione: uno relativo e l’altro ultimo.
La
bodhicitta relativa, convenzionale, è la mente altruistica completa, così come
descritta negli Otto Versi di Trasformazione della Mente.
La
bodhicitta ultima, assoluta, è quella descritta nel Sūtra del Cuore, è la
realizzazione della vacuità della bodhicitta relativa.
La
pratica del Lo Jong - Tong Len è in grado di trasformare radicalmente e
concretamente la propria esistenza, non è necessario altro, inutile andare a
cercare chissà quali complessi studi o rituali, tutto ci è già stato insegnato,
quanto occorre è a completa disposizione, lo strumento utile e davvero efficace
e già nella nostra mano oggi, in questo tempo di kāliyuga, ed è lo sviluppo
della bodhicitta, tutto il resto è troppo debole, fragile, aleatorio, e rischia
di diventare ennesimo inganno.
La
bodhicitta invece, qualsiasi cosa stiamo facendo, è già pienamente disponibile,
qui e ora, dobbiamo solo applicarla, consapevoli di ogni respiro, atto naturale
e vitale sempre presente, non c’è altro da cercare.
Nulla
ci è imposto, la scelta è esclusivamente nostra, possiamo prediligere una vita
che sviluppi nella quotidianità la bodhicitta oppure, al contrario, abbandonarci
all’apparente facile tirannia dell’ego, rimanendo impantanati nelle sue sabbie
mobili.
Purtroppo
quasi immancabilmente scegliamo la seconda possibilità, sottoscrivendo in
questo modo la nostra infelicità, scontentezza, noia, insoddisfazione, mentre
avremmo a disposizione, naturalmente senza costi, senza fatica, l’esatto
contrario.
Viviamo
come ciechi incapaci di vedere la ricchezza a nostra disposizione e ci
crogioliamo nella totale confusione, nell’inganno dei miraggi, voi che ne
pensate?
Opinioni: Io credo che la maggior parte di questa
confusione sia determinata dai desideri, che riempiono di continuo i nostri
pensieri, ed è difficile distinguere quali desideri possono essere proficui e
quali invece produttori di ulteriore caos mentale…; - è la mente stessa che si
impantana nel voler e dover fare tante cose…; - quindi è solo una questione di
imparare a controllare la mente…; - ma io penso che i desideri siano nutriti
dall’ininterrotto movimento del cercare qualcosa, se riuscissimo a calmare la
mente, a non cercare più, tutto sarebbe più tranquillo…; - io ho visto che
quando mi sforzo di meditare, avere pensieri belli, sto bene, mi sento in pace,
ma poi arriva nuovamente l’agitazione e in quest’alternanza ho potuto
verificare la contraddizione tra i due atteggiamenti…; - sono davvero convinto
che abbiamo una testa di marmo, come tu dici, abbiamo costruito un sistema
capitalistico assolutamente fallimentare, la cosiddetta globalizzazione non ha
affatto portato maggior benessere, continuiamo a credere che la soluzione sia il
materialismo malgrado il suo evidente tracollo…; - credo che siamo ormai tutti
convinti della positività di un’attitudine altruistica e non egoica, ma non è
così automatica la sua realizzazione, dobbiamo lasciare che il tempo,
lentamente permetta questa trasformazione…; - il mio problema è l’incapacità di
avere un controllo sulle sensazioni e sono queste che sconvolgono…; - forse
basterebbe dedicare maggior tempo e attenzione agli altri, invece siamo così
presi dal lavoro, dall’organizzazione delle nostre giornate che resta davvero
poco spazio per aprirsi all’autenticità della vita, ai rapporti umani…; - secondo
me non esiste la felicità o l’infelicità, sono solo concetti da cui non
riusciamo a sganciarci e che ci condizionano…; - quello che aiuta me è il
contatto con la natura…; - io spesso cerco la confusione, perché nella
tranquillità mi pare che la vita scorra senza che me ne accorga, e penso che
comunque se si vuole cambiare qualcosa, prima di giudicare i comportamenti
altrui, sia necessario cominciare da se stessi…; - io insisto ancora sulla
crisi economica che ha anche un aspetto positivo poiché nella constatazione del
fallimento di questo sistema la gente sta cercando altrove le risposte,
comincia a rivolgere l’attenzione ad aspetti che prima non avrebbe mai
considerato, come la spiritualità, e vedo anche nell’arrivo di questo papa,
così radicalmente diverso dai suoi predecessori, un segno positivo di radicale
mutamento.
Lama: E’ molto importante questa
condivisione in cui ognuno esprime le proprie opinioni, i dubbi, confrontando
la propria esperienza con quella altrui.
La
vita non è uguale per tutti, i condizionamenti dell’esistenza si trasformano
continuamente e allo stesso modo la vita cambia; i condizionamenti della
società mutano e la società muta, lo stesso vale per la sofferenza, ciò che noi
subiamo oggi non è lo stesso di quello subito dai primi uomini su questa terra.
Ogni
giorno dobbiamo affrontare nuovi attacchi al nostro benessere mentale, tutto
sta mutando molto più velocemente che in passato e le condizioni di nuova
sofferenza si accavallano continuamente le une alle altre. La sofferenza è
impermanente e ogni giorno ne dobbiamo affrontare i nuovi aspetti.
A
questo punto però è bene fermarsi a riflettere, cos’è la sofferenza di cui
parliamo?
È
l’insoddisfazione che appesantisce la psiche, non proviene dal cuore, il cuore
umano, come la bodhicitta, resta uguale a se stesso, non è alterato da fattori
esterni, il cuore è il centro dell’essere.
Se
abbiamo mal di testa, la testa soffre, mal di schiena la schiena soffre, male a
un piede il piede soffre, ma non l’essere. Noi siamo essenzialmente l’essere
metafisico, non quello fisico né psicologico.
Una
domanda filosofica fondamentale, parte dell’Abhidharma, è: “chi sono io?”
e riflettere, meditare su di essa è essenziale per comprendere il sé, l’autentico
io, malgrado sia impossibile trovare risposta poiché per certe domande non
esiste un responso e non trovare risposta è di per sé la risposta. Di fronte a
questa domanda, come a molte altre, il Buddha saggiamente è rimasto in
silenzio, dando così la sola risposta utile.
Oggi
invece pretendiamo di sapere tutto, di definire e incasellare ogni cosa, nulla
deve sfuggire a questo controllo, ci riteniamo onniscienti e con arroganza e
sicumera replichiamo a tutto con un atteggiamento che dimostra solo la nostra
miopia, la limitatezza di una visione frutto della nostra testa di marmo.
La
vera risposta alla domanda “chi sono io?” è la non riposta e se qualcuno pensa
di averla trovata ne possiede una falsa, irreale, però, malgrado ciò, è ugualmente
e assolutamente importante continuare a cercare questo sé, chiedersi incessantemente
“chi sono io?” poiché esiste una differenza sostanziale tra chi non ha risposta,
ma continua a cercare, e chi invece non affronta affatto la questione
crogiolandosi in una beata ignoranza.
I
desideri, la confusione, la scontentezza, derivano dalla percezione illusoria e
falsa di un io su cui irresponsabilmente fondiamo tutto, malgrado non esista
affatto e sia soltanto un ingannevole miraggio.
Domanda: E la paura?
Lama: La paura è senza base, completamente,
parte dall’io, “io ho paura” ma quale io? Senza l’uno non può esservi nemmeno l’altro.
Prima
qualcuno ha accennato ai condizionamenti del karma, altro fenomeno metafisico
estremamente importante e strettamente correlato al sé e la necessaria armonia
tra questi due fenomeni metafisici è un compito tanto essenziale quanto irrealizzabile
se tentassimo di elaborarlo soltanto sul piano intellettuale, sulla mera conoscenza
speculativa, è invece necessario calarlo nel profondo di se stessi per
trasformare il proprio essere a livello sottile, metafisico.
La
trasformazione del cuore dunque non ha nulla a che vedere con la tecnologia,
con le conquiste della scienza medica in cui la sostituzione di organi vitali è
già di routine, ma noi non siamo le diverse parti del corpo fisico, e nemmeno i
pensieri che ci scorrono nella mente, il nostro essere è metafisico.
Questa
è la vera libertà umana che ci permette di essere nella beatitudine della
vacuità, di dimorare nella stabilità del nostro sé equanime, libero, non
attaccabile da nessuna interferenza esterna.
La
bodhicitta è il mezzo per ottenere questa conoscenza, questa gioia, che non è utopia,
non è né paradiso né nirvāna, chi desidera affannosamente il nirvāna e vuole
lasciare il samsāra non conosce la bodhicitta, qualità del Bodhisattva.
Bodhisattva
non è un titolo, un riconoscimento esteriore, è lo status dell’anima, dello
spirito, di cuore e mente, è l’attitudine altruistica che non pone mai il sé al
primo posto, bensì all’ultimo, dietro a tutti gli altri esseri.
Questo
è il nostro compito, nella bodhicitta realizziamo la nostra umanità.
Tong Len
Continuiamo
ad analizzare il significato del Tong Len, Tong - dare e Len - ricevere. Dare è
una pratica di rinuncia, amore e generosità
La
rinuncia è essenziale, imprescindibile e ,come abbiamo già visto ieri, è
riferita a ciò che non si ha, a ciò che non serve.
I
desideri in sé possono non essere sofferenza, ma anzi trasformarsi in sorgente
positiva di crescita; soltanto desiderare, volere, ciò che non si ha diventa
fonte di sofferenza.
La
pratica della rinuncia è offrire, dare gioiosamente quello che non ci
appartiene, ma a questo punto sorge spontanea una domanda: come è possibile
dare ciò che non si ha? Semplicemente liberandosi dall’attaccamento, dalla
bramosia di possedere che induce a discriminare in modo distorto ogni cosa:
mio, tuo..., ma nulla di tutto questo è reale, non esiste distinzione alcuna,
né mio, né tuo, siamo tutti parte della stessa famiglia, viviamo le medesime
condizioni nella nostra autentica essenza, in realtà tutti, equanimemente, non
possediamo nulla e abbiamo tutto.
Quando
ce ne andiamo da questa terra non ci portiamo dietro alcun inutile oggetto, il
concetto di proprietà è una costruzione mentale errata e ingannevole che crea
soltanto divisione, attaccamento, rabbia, odio, confusione, litigi, barriere,
confini, guerre.
L’amore
universale, la grande compassione, va oltre questi menzogneri ostacoli,
sovrastrutture culturali che dividono in proprietà, possessi, desideri,
bramosie, dunque, se sappiamo uscire da questa ingannevole concezione siamo
liberi di offrire con sincero amore l’universo intero, che non possediamo individualmente,
ma che è disponibile, condivisibile da tutti in assoluta equanimità.
Questo
è un concetto fondamentale, è la Grande Generosità.
Se
io posso donare solo ciò che ho è ben poca cosa, in effetti è un nulla, invece
desidero offrire tutto, illimitatamente, senza discriminazione alcuna, voglio
offrire l’universo intero, e questo è il modo che produce abbondanti meriti,
armonia, amore.
Le
offerte del cuore puro sono perfettamente descritte in una strofa della
“Pratica in Sette Rami”:
“Offro loro ghirlande di
fiori, parasoli decorati, musiche piacevoli e profumi eccelsi; offro a tutti i
Vittoriosi lampade al burro e sacro incenso purissimo.
Cibo eccellente,
fragranze supreme e un cumulo di sostanze mistiche alto come il monte Meru
dispongo in un ordine speciale e offro a coloro che hanno conquistato se
stessi.”
Nell’applicazione
effettiva l’offerta può essere effettuata in due modalità: comune e non comune,
quella comune riguarda ciò che materialmente è possibile dare, mentre quella non
comune avviene a livello immaginativo, ma è autentica e validissima, non si tratta
di una finzione, è la presentazione generosa di tutto ciò che non si possiede concretamente,
individualmente, ma che esiste nella realtà condivisibile da tutti.
Non
c’è limite o discriminazione all’offerta non comune, poiché siamo parte della
stessa famiglia e abbiamo tutto ugualmente a disposizione, possiamo offrirne
illimitatamente lo splendore dell’universo agli Esseri superiori con preghiera
e devozione e, con altrettanto rispetto e compassione, a tutti gli esseri
senzienti.
Quando
offro fiori o lampade non devo pensare ai fiori di questo vaso o alle lampade
della stanza, si tratta dei fiori e delle lampade di tutto il mondo,
dell’universo intero, e con questo costante esercizio spirituale di rinuncia
nel dare illimitatamente tutto ciò che materialmente e individualmente non
posseggo, giorno dopo giorno, si apre il cuore e si espande l’attitudine alla
compassione alla generosità all’amore universale.
Questa
è la pratica del Tong del dare, mentre e quella del Len è ricevere e sapete
cosa ricevere?
Risposta: I dolore e la sofferenza degli altri...
Lama:
ricevere sofferenza si, ma
dobbiamo esaminare qual è il reale significato di quest’attitudine.
Generalmente
noi abbiamo molta paura nell’applicare questo secondo aspetto, temiamo di dover
concretamente assommare alla nostra sofferenza, che già è notevole, quella
degli altri, ma in realtà ciò non avviene, non c’è un sovraccarico di pena, si
tratta bensì di aprire la mente e il cuore con coraggio, incrementare la
capacità di sopportare il dolore che eguaglia tutti gli esseri senzienti,
acuire la sensibilità umana, condividere la comune esistenza.
Con
questa visione aperta noi cerchiamo di rendere utile la nostra stessa
sofferenza per alleviare, sostituire, la sofferenza di tutti gli esseri
senzienti.
Ecco un minimo esempio, banale ma
nella sua concretezza abbastanza chiaro: In questi giorni avevo un forte mal di
denti, così mi sono fermato ad osservare la vacuità di questo dolore:
“La forma è vuota,
la vacuità è forma; la vacuità non è altro che forma, la forma non è altro che
vacuità,… tutti i fenomeni sono vacuità; essi sono privi di caratteristiche
peculiari…”,
un primo passo per neutralizzare,
per non sentire, il dolore che è vuoto, privo di consistenza; il successivo
gradino invece consiste nel rendere questo dolore utile, proficuo, così come si
indica negli Otto Versi:
“In
breve, direttamente e indirettamente, offro ogni beneficio e felicità a tutti
gli esseri senzienti, possa io segretamente prendere su di me tutte le loro
azioni negative e sofferenze”.
Il
dolore e la sofferenza non deve mai essere vissuta come negativa, come
punizione, al contrario, è sempre una purificazione, una positività, nella
sofferenza si pulisce se stessi, si migliora, e si depura allo stesso modo il
dolore altrui.
Più
grande è la sofferenza e tanto più profonda è la meditazione.
Secondo
l’ordinaria concezione della società dei consumi tutto questo potrebbe apparire
come un enorme inganno, l’ennesima truffa mistificante per imbonire le
coscienze, ma nella realtà non vi è nulla di più concreto, vero, effettivo,
produttivo.
Per
noi tuttavia è così difficile sganciarsi dagli schemi comuni che come un
miraggio ci garantiscono una sicurezza immediatamente tangibile e cosi ci
allontaniamo sempre più dalla vera ricchezza a nostra diposizione, preferiamo
caricarci di tutti i problemi che derivano da questa scelta ottusa consegnando
la nostra umanità a un mondo fittizio e illusorio completamente ingannevole.
Sembra
più facile e allettante vivere nell’apparenza, in modo superficiale, senza porsi
tante domande, eliminando tutto ciò che è intenso, autentico, profondo.
Così,
non solo la nostra testa è di marmo, ma lo diventa tutto il corpo, e ogni cosa
scorre su questo informe blocco senza lasciare traccia, senza che nulla possa
essere scolpito e la vita passa senza essere vissuta.
Domanda: Se tutto è vacuo, perché nel buddhismo il
momento della morte è così importante? Forse perché non c’è?
Lama: La morte, nella nostra concezione è
istintivamente considerata un evento estremamente grave, provoca paura in
quanto la si crede concreta, forte, statica, senza rendersi conto che, come
tutto il resto, ha natura di vacuità. Il momento della morte è uguale e
importante come qualsiasi fenomeno dell’esistenza.
La
vacuità, non è qualcosa di astratto, avulso dai vari fenomeni, al contrario,
ogni oggetto deve essere meditato nella sua natura di vacuità, così la vita e
la morte, la nascita e l’impermanenza.
Non
serve a nulla meditare in astratto sul concetto di impermanenza, lo si deve
calare nella realtà del fenomeno osservato, devo meditare sul mio essere
impermanente, il mio corpo è impermanente, la mia mente è impermanente,
l’attaccamento è impermanente, i desideri sono impermanenti, la gioia è
impermanente, ciò che importa è meditare queste connessioni con il nostro
status di essere.
Impermanenza,
vacuità, interdipendenza sono concetti fondamentale nella loro correlazione con
l’oggetto osservato.
È
importante meditare su qualsiasi evento, e quindi anche sulla morte, nella loro
natura di vacuità, e lo si fa correlando ogni fenomeno al contesto preciso in
cui questo si presenta, non serve a molto meditare sulla vacuità del mal di
denti quando si sta bene, ma nel momento stesso in cui questo dolore si
presenta è essenziale meditarne nel profondo la sua vacuità, per questo il
momento della morte è importante, è la circostanza più autentica in cui vederne
e meditarne la vacuità. Questo rende il Dharma utile ed efficace, il Dharma è
sempre presente, ma deve essere utilizzato nel modo e nel momento giusto.
Domanda: A me piace fermarmi a riflettere sulla morte,
perché credo che questo pensiero possa essere uno stimolo per la società, se non
la si nasconde può essere uno strumento di risveglio delle coscienze.
Lama: E’ difficile affrontare il fenomeno
della morte con una mente ordinaria, mentre con una mente preparata a convivere
con questa esperienza, se ne scopre la profondità, il valore. Così come un
campione olimpico che ha speso anni e anni in un continuo e instancabile
addestramento quando arriva sul terreno di gioco è felice, ha la stupefacente
soddisfazione di vedere la realizzazione del suo obiettivo, altrettanto succede
a chi si allena senza interruzione di fronte a qualsiasi evento della vita.
La
meditazione non è finalizzata a renderci straordinari, ma a farci vivere
pienamente e gioiosamente ogni momento della vita, inclusa la morte.
Concentrazione,
calma mentale, tranquillità, consapevolezza di mente e corpo, del respiro,
tutto fa parte della pratica di meditazione sulla morte.
Domanda: Qual è il significato del rito tibetano della
morte?
Lama: In Tibet il rito ha valore sempre
nell’ottica del bene di tutti gli esseri, il corpo morto non serve più alla
persona, ma diventa fonte di nutrimento per gli avvoltoi. Il rito in sé non è
così importante ma, come in tutte le tradizioni, ciò che ha valore è
l’accompagnamento dei propri cari in un’altra dimensione, esattamente come qui,
le diversificazioni rituali sono determinate dalle diverse culture e
consuetudini locali.
Se
dovessi morire qui a me piacerebbe molto un funerale in chiesa, questo avrebbe
senso. A volte si carica la ritualità di contenuti inesistenti, dovuti alla
propria rigidità e piccolezza mentale, nella spiritualità non esiste alcuna
differenza sostanziale.
L’importante è esercitarsi, meditare sulla vacuità di tutti i fenomeni,
sulla vacuità della sofferenza, sulla vacuità della morte.
Domanda: Nondimeno quando si ha un dolore fisico è
difficile meditare sulla sua vacuità…
Lama: Bisogna addestrare la mente con
costanza senza pretendere risultati immediati, è bene cominciare da minimi
disagi come ad esempio il digiuno, benefico sia per il corpo che per lo
spirito, favorisce la meditazione e la salute fisica. Con piccoli esercizi come
questo si acquisiranno capacità sempre maggiori.
Il
dolore, la sofferenza, non sono eventi negativi e non devono mai essere considerati
tali, posseggono un significato e una profonda positività.
Domanda: Comunque quello che non mi è chiaro è ciò che
devo fare concretamente di fronte al dolore fisico, devo entrarci dentro,
accettarlo, oppure ignorarlo?
Lama: La percezione del dolore il dolore non
deve essere enfatizzata e neppure lo si deve ignorare, ma lasciarlo così com’è,
lo si deve curare con i necessari medicamenti e nel contempo riflettere e
meditare sulla sua vacuità, in questo modo il dolore non cresce, non occupa più
l’intero spazio e non sembra più grande di quanto in realtà non sia.
Stiamo
approfondendo il Tong Len, Dare e Ricevere, abbiamo visto come sia fondamentale
sviluppare l’attitudine a dare senza l’ombra di attaccamento, se io do oggi a
lui questo orologio, il mio gesto è poco significativo perché vado subito a
comprarne un altro, ma assume ben diverso valore il donare tutto ciò che non
posseggo e verso cui non nutro attaccamento alcuno nella consapevolezza che nulla
è mio, ma tutto di tutti.
La
concezione del “mio” implica l’annullamento, la vanificazione della generosità,
pura, implica attaccamento.
La
visualizzazione del respiro è un esercizio importantissimo, con l’espirazione offro
ogni ricchezza universale a tutti gli esseri, è il dono senza attaccamento,
senza io e senza mio, puro, generoso, mentre con l’inspirazione accolgo nel
centro del mio cuore la sofferenza di tutti gli esseri liberandoli.
Siamo
noi i fautori della qualità della nostra vita, abbiamo due possibilità di
scelta di fronte alla realtà imprescindibile della sofferenza umana: possiamo
aprire il cuore in un’attitudine, generosa, compassionevole, e con altruismo
assoluto voler liberare tutti gli esseri da ogni sofferenza prendendola in noi
stessi, oppure decidere di rinchiuderci in un blocco granitico rimanendo
indifferenti, insensibili, concentrati unicamente sul nostro meschino, arido e
sterile ego.
Che
cosa scegliereste? Difficile scelta perché l’ego è terrorizzato da questa
prospettiva, però la Grande Compassione non ha dubbi, non ha timori è completamente
avulsa dall’ego, è totale, incondizionata, assoluta.
Non
è certo facile applicare in un solo istante la grande compassione, anzi è impossibile,
ma si può, con l’instancabile esercizio, desiderarne la realizzazione,
procedendo piano piano, meditando ininterrottamente, allenando la mente giorno
dopo giorno e accrescendo sempre più il desiderio e la capacità di accogliere
in sé la sofferenza altrui liberandoli.
L’evento
più stupefacente che si verifica quando il nostro cuore diventa così forte da
voler e saper accogliere la sofferenza di tutti gli esseri è che noi stessi
siamo liberati dalla sofferenza.
Il
Tong Len, questa capacità del cuore di dare e ricevere, è ciò che rende gli
esseri umani autentici, è il senso stesso dell’esistenza; la sua realizzazione
non è facile ma nemmeno impossibile.
Sul
senso della vita sono state dette e scritte un’infinità di parole, tutte
assolutamente inutili, lo si può trovare soltanto in se stessi, farne esperienza
nella profondità del proprio cuore, è il significato che sorge da coraggio,
forza, dedizione, determinazione, è ciò che permette di trasformare l’apparente
impossibile in possibile.
Senza
rischiare di perderci nei meandri delle disquisizioni filosofiche sul senso
dell’esistenza possiamo porci un’unica semplice domanda:
Qual
è il senso del respiro? - Il senso del respiro è praticare il Tong Len;
Come
si pratica il Tong Len? - Trasformando il ritmo del respiro nell’intenzione di
dare e avere. Così si trasforma il proprio essere, la vita stessa.
E’
tutto molto semplice, lineare, libero da inutili sovrastrutture procedurali,
nella pratica del Dharma non ci sono automatismi, menù fissi a poco prezzo, non
c’è nulla di rigido, di statico, di predefinito.
Non
si può pretendere di ottenere eclatanti realizzazioni in un solo istante, senza
fatica, questo è proprio assurdo, l’illusione delle illusioni, tutto scaturirà
naturalmente, lentamente, progressivamente, è sufficiente allenare la propria
mente senza stancarsi, e un poco alla volte si giungerà all’obiettivo prefisso.
Il
Dharma è la bellezza infinita, la ricerca personale della perfezione, che non è
né automatica né esteriore. La spiritualità è intangibile patrimonio umano, non
appartiene a nessuno è il bene dell’universo a disposizione di tutti.
Ora
meditiamo insieme ascoltando il mantra di Tong Len “0M MA NI PADME HUM”.
(segue meditazione)
Conoscete
tutti il significato del suono di queste sillabe?
OM
è il suono che rappresenta la Purificazione del cuore in corpo parola e mente;
MA NI rappresenta il gioiello della Grande Compassione che accoglie tutta la
sofferenza altrui nel proprio cuore, dando in cambio ogni bene, senza
attaccamento alcuno, dare e ricevere con la Saggezza che è delineata da PADME; HUM
è l’autentico sé trasformato, rinato nella natura di purezza compassione e
saggezza.
Ci
sono domande?
Domanda: Quando si parla di essenza del sé, cosa si
intende realmente? L’essenza del cuore purificato da tutto il resto, senza la
mente? La vita ha senso soltanto se vissuta con il cuore?
Lama: Mente e cuore sono strettamente
collegati, non è possibile scinderli, si deve vivere con la mente e con il
cuore, la meditazione con consapevolezza può realizzarsi solo in questa unione.
Domanda: Quando recitiamo un mantra quanto è importante
la corretta pronuncia? O vale solo il significato?
Lama: La pronuncia non è così importante,
ciò che conta è l’armonia del suono, la corrispondenza con il respiro. Il
mantra non è una parola a sé stante, è un suono che aiuta a sviluppare la
concentrazione, la consapevolezza, la correlazione armonica. Il significato non
è nelle singole sillabe quanto nell’intenzione di chi si accinge a pronunciarne
il suono.
Domanda: A me risulta molto più facile aiutare gli
altri, ne provo davvero gioia, piuttosto che accettare me stessa, in questo
infatti ho molte difficoltà, mi ritraggo.
Lama: La sensibilità umana si esprime con
l’attenzione indiscriminata alle varie condizioni e le difficoltà ne fanno
parte integrante, devono essere affrontate naturalmente, con tranquillità e
consapevolezza, senza discriminazioni e preoccupazioni, vivendo il presente.
Domanda: Però la mia preoccupazione nei confronti della
morte è diversa se io so con certezza che mi restano due anni di vita o se,
come tutti, so che un giorno morirò…
Lama: La preparazione alla morte è un valido
aiuto sempre, in qualsiasi circostanza. Altra cosa è la preoccupazione nei
confronti di questo evento che comunque si verificherà, sia che io ne conosca
il tempo o no e in entrambi i casi non ha alcun senso preoccuparsene, è
un’inutile spreco di energie e di tempo prezioso, non posso cambiare nulla, ma
posso invece approfittarne per approfondirne la conoscenza nella meditazione,
per annientare, passo dopo passo, ogni inutile preoccupazione. Voi che ne dite?
Risposte: Io starei molto male se mi dicessero che
non mi restano che due anni di vita, penso che non sarei più la stessa…; - secondo
me se sai si spegne qualcosa prima, forse è un aiuto per prepararsi, ma è
difficile parlarne in astratto, bisognerebbe trovarsi nella situazione per
sapere come si reagisce…; - incontrare la morte ti fa vedere con chiarezza
quanto sia bella la vita…
Lama: Non c’è riposta statica, rigida,
certa, come dicevamo prima il menù fisso non esiste, tutto è impermanente, e nel
mondo moderno questa impermanenza ha subito un’accelerazione eccessiva.
L’aggrapparsi
a false certezze, cercare risposte predefinite ugualmente adatte a tutti è
pericolosissimo, il peggior inganno, per questo è importante essere flessibili,
aperti, meditare con tranquillità, serenità, stabilità spirituale, dignità,
ricchezza interiore così da essere pronti ad affrontare questa esperienza di
vita che è la morte, un evento ineluttabile, parte di noi sin dal momento della
nostra nascita.
Grazie a tutti.