Visione di Māhamudhrā
Geshe Gedun Tharchin
Dobbiamo riflettere attentamente sul significato completo del Dharma. Qui in occidente è importante e radicato il concetto del monoteismo, dell’anima, e dunque non lo potete trascurare, bensì è necessario averne rispetto e seria considerazione. Tutte le discussioni, la ricerca di presunte differenze tra cristianesimo, buddhismo, induismo, anima, ātmā, anātma…. sono attività davvero futili e prive di qualsiasi senso e aumentano unicamente la confusione della mente. Lo spirito, il cuore, è assolutamente identico in ognuno e non necessita di etichette, ciò che unicamente conta è la base comune di amore universale su cui edificare la propria umanità.
Rinunciare alle
etichette discriminanti, agli impegni tanto affannosi quanto vuoti,
alle preoccupazioni inutili e aprire il cuore a gentilezza, amore,
compassione, è il miglior regalo che possiamo fare a noi stessi e,
nella gioia aprire uno spazio all’anima pura rivolta a tutti gli
esseri senzienti, trasformando così la propria vita nella
consapevolezza del Dharma, nella pienezza dello spirito. Le varie religioni,
nel Dharma, perdono ogni possibile contraddizione e, al contrario,
incrementano se stesse in un reciproco arricchimento.
Abbiamo già
accennato al silenzio del Buddha che a fronte di certe domande taceva
per non condizionare le scelte e responsabilità personali, ma
esercitava anche un secondo tipo di silenzio, quello mantenuto dopo
la sua illuminazione per quarantanove giorni nella solitudine della
foresta, libero da condizionamenti mentali e consapevole che in quel
momento il suo messaggio non sarebbe stato compreso. Soltanto
successivamente, cedendo alle richieste dei discepoli, il Buddha ha
trasmesso verbalmente gli insegnamenti meravigliosi che ancora oggi
cerchiamo di capire e applicare.
Questo silenzio del
Buddha è Māhamudhrā, termine sanscrito non da lui coniato in
quanto ogni tentativo di definizione verbale era inevitabilmente
riduttivo rispetto al suo profondissimo significato, e solo
successivamente i suoi discepoli, nel tentativo di divulgare al
meglio un insegnamento tanto prezioso, hanno sentito la necessità di
catalogare, definire ogni cosa anche ciò che in realtà non può
essere limitato dalla parola.
Māhamudhrā
è stato tradotto
nelle lingue occidentali come Grande
Sigillo, segno
impresso in perfetta equanimità a tutti i fenomeni in quanto
portatori dell’essenza del Dharma.
Il Māhamudhrā ha
due aspetti, del sūtra e tantrico, e la vacuità è trasversale ad
entrambi.
In
una citazione dell’Ornamento
della Chiara Realizzazione
di Maitreya si spiega che i Pratyekabuddha, cioè gli uditori,
utilizzano la saggezza che conosce la natura definitiva del sé in
quanto ricercatori del nirvāna e sono in una condizione che non
corrisponde ancora alla completa illuminazione.
Invece coloro che
aspirano a servire incondizionatamente gli esseri senzienti, i
Bodhisattva, vogliono a questo scopo raggiungere l’illuminazione e
la ottengono attraverso la saggezza della natura ultima del sentiero.
Infine ci sono i
Buddha, gli illuminati, che posseggono una mente onnisciente che
tutto comprende e sono dunque capaci di insegnare in qualsiasi
circostanza e maniera secondo le necessità individuali di coloro a
cui si rivolgono.
Tutti
indifferentemente, i Pratyekabuddha, i Bodhisattva e i Buddha,
provengono dalla stessa fonte, la Grande Madre, che è la
Prajñāpāramitā, la perfezione della saggezza.
Nel sūtra del cuore
si ribadisce che i Buddha dei tre tempi - passato, presente e futuro
-hanno conseguito l’illuminazione tramite la Prajñāpāramitā
che, dal punto di vista oggettivo è la natura di vacuità di tutti i
fenomeni e da quello soggettivo la realizzazione della vacuità.
Ogni fenomeno è
vacuità e questa stessa natura vacua è il grande sigillo condiviso
da tutto l’esistente.
I Pratyekabuddha per
raggiungere la liberazione personale, il nirvāna, hanno bisogno
della Prajñāpāramitā, della perfezione della saggezza che conosce
la vacuità dei fenomeni; i Bodhisattva per ottenere l’illuminazione
in modo di poter essere di beneficio agli esseri senzienti devono
avere la saggezza della conoscenza della natura di vacuità; gli
stessi Buddha, gli illuminati, al fine di poter guidare e rispondere
alle aspirazioni degli esseri fondano la loro azione sulla
realizzazione completa della Prajñāpāramitā, dunque tutti i tre
veicoli condividono il grande sigillo.
Il sūtra del cuore
anche se riporta un dialogo mentale tra Avalokiteśvara e Sāripūtra
è un insegnamento diretto e autentico del Buddha che, presso il
picco dell’avvoltoio, con il Sangha di monaci e l’assemblea dei
Bodhisattva, era entrato nel profondo assorbimento meditativo sulla
natura di tutti i fenomeni, cioè sulla Māhamudhrā, il grande
sigillo. I Buddha nel
Māhamudhrā manifestano la qualità di saper dare ad ognuno,
singolarmente, gli insegnamenti a lui proporzionati.
Il sūtra del cuore
è unanimemente riconosciuto come benedetto in quanto scaturito
direttamente dalla benedizione del Buddha ed espresso dal Bodhisattva
Avalokiteśvara che, immerso nella medesima meditazione profonda
sulla saggezza, possiede uguali qualità e la stessa natura del
Buddha. Ciò corrisponde all’indicazione del verso in cui si
afferma che i Bodhisattva, coloro che vogliono raggiungere
l’illuminazione per essere di beneficio a tutti gli esseri
senzienti, sono in grado di realizzare il loro intento poiché
fondano ogni azione sulla Prajñāpāramitā, ecco perché
Avalokiteśvara qui si mostra come Bodhisattva e non come Buddha
completamente realizzato, infatti non si presenta nella forma di
divinità con quattro braccia mille occhi…, ma come essere umano.
Sāripūtra, che in
questo contesto rappresenta il praticante solitario dell’Hinayāna
alla ricerca di risposte concrete, pone la questione fondamentale ad
Avalokiteśvara su come ci si debba impegnare nella perfezione della
saggezza.
Tutti i praticanti,
sia dell’Hinayāna che del Mahāyāna e gli stessi Buddha
condividono indistintamente la profonda perfezione della saggezza,
dunque il grande sigillo è ciò che unisce, non discrimina e
permette ad ognuno di realizzare il proprio desiderio. Una citazione
tibetana afferma che esternamente si deve apparire come un praticante
Hinayāna, ma internamente si debbono possedere le realizzazioni
Mahāyāna della Bodhicitta e della Māhamudhrā, in quanto la
combinazione dei due aspetti corrisponde all’armonia
dell’insegnamento del Buddha.
Da ciò è evidente
che tutte le divisioni costruite a posteriori, la presunzione di
possedere la verità unica a scapito di ipotetici errori altrui, è
un atteggiamento davvero assurdo e pone al di fuori da ogni
spiritualità autentica e dal buddhismo sicuramente dato che
l’insegnamento del Buddha è pura armonia ed equanimità.
Il Māhamudhrā è
veramente il Dharma universale, perché è al di sopra di ogni
discriminazione, dimora in ognuno di noi, le diversità dipendono
unicamente dalle caratteristiche, dalle inclinazioni mentali del
singolo individuo, ma lo scopo è per tutti lo stesso.
Nel
Vinayapitaka,
il “canestro della disciplina monastica” si narra di un re che
ebbe dieci sogni particolari e in uno di questi apparivano monaci che
combattevano tra loro finendo per strappare una tonaca in diciotto
pezzi; il re, scosso dalla visione, ne chiese spiegazione e gli fu
risposto che questi sogni erano segni premonitori di accadimenti
posteriori al passaggio terreno del Buddha Sākyamuni, i diciotto
lembi di stoffa corrispondevano alle diciotto correnti in cui si
sarebbe diviso il Sangha monastico, ma questo non doveva essere
interpretato in modo negativo, perché tutte, indistintamente, erano
parte dell’insegnamento del Buddha.
Il Sangha si è
frazionato in quattro gruppi principali a loro volta suddivisi in
diciotto sottogruppi. Il Buddha ha dato un insegnamento orale che poi
è stato tramandato e trascritto in molti paesi in cui l’applicazione
esteriore della pratica, le regole, hanno assunto connotati consoni
alle esigenze del luogo, la sostanza però è assolutamente identica,
e dunque è necessario avere uguale rispetto per tutte le scuole
senza reputarne una superiore o migliore dell’altra, lo stesso vale
per le varie religioni e qualsiasi discriminazione, o pretesa di
superiorità, è una vera sciocchezza, un’illusione che deve essere
sradicata tramite visione equanime della stessa natura di tutte le
cose.
Il grande sigillo è
ugualmente presente in ogni espressione spirituale e oggi abbiamo
sfiorato argomenti così difficili non pensando di ottenere in questo
modo l’illuminazione, ma almeno per ricevere qualche buona
impronta.
Il nostro impegno,
l’accumulazione di meriti, consiste prima di tutto nell’imparare
a proteggere la mente nell’introspezione e nella consapevolezza,
individuando e controllando il nemico numero uno, l’ego. Da qui
nasce l’amore e la compassione, fondamento universale del Dharma,
il sigillo della nostra esistenza.