Ven. Geshe Gedun
Tharchin
Milano 17 - 19 giugno 2011
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INDICE
La
Consapevolezza, Osso nel cuore
Rilassarsi e
Dimorare nello stato originario della Mente - Sessione mattutina
-
Sessione pomeridiana
Amore
Universale e grande Compassione
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La Consapevolezza, Osso nel cuore
Grazie di essere
qui, in particolare a Roberto che con la sua buona traduzione mi
rende più fiducioso e sicuro in ciò che dico e al centro
Mindfulness che con il suo impegno contribuisce al beneficio di molti
esseri.
Mindfulness
significa consapevolezza, in sanscrito “sati”,
un insegnamento diretto del Buddha, il Sati-patthānasutra,
adottato dall’intero mondo buddhista in quanto rappresenta il
fondamento, l’essenza, della meditazione e tratta delle quattro
consapevolezze: la consapevolezza del corpo, la consapevolezza della
sensazione, la consapevolezza mente, la consapevolezza dei fenomeni o
Dharma.
La consapevolezza è
la radice della pratica del Dharma, la forza e l’energia vitale.
Non vi siete mai
domandati perché spesso ci sentiamo così stanchi e annoiati? Perché
manchiamo di consapevolezza. Essere consapevoli significa avere una
mente completa, fresca, carica di vitalità, se invece la
consapevolezza non è presente nella nostra esistenza ci stanchiamo
facilmente, siamo svuotati, deboli, privi di forza, poiché la nostra
mente è totalmente vuota.
La consapevolezza
non è importante soltanto nella pratica spirituale, ma investe tutti
gli aspetti della vita, permea nella quotidianità ogni azione.
Nutrirsi con
consapevolezza, camminare con consapevolezza, guidare l’automobile
con consapevolezza, applicarsi a qualsiasi attività con
consapevolezza, rende significativo ogni istante di vita, e non si
tratta di un fattore mentale acquisito con lo studio, di una mera
conoscenza teorica, è la consapevolezza dell’esperienza,
assimilata passo dopo passo, fino a che la si vive concretamente
sulla propria pelle comprendendone la profonda veridicità.
Ogni evento richiede
il necessario tempo per essere sperimentato, per ottenere quei
risultati che possono modificare l’esistenza e, se si ha
sufficiente pazienza per attuare questo graduale processo, la
trasformazione della propria vita è certa.
La consapevolezza in
sé e il suo insegnamento sono il cuore delle istruzioni del Buddha,
mai messo in discussione da nessuna scuola buddhista, bensì ritenuto
da tutti fondamentale e unanimemente accolto e praticato.
In occidente il
buddismo è stato spesso definito come un modo di vita, una
filosofia, piuttosto che una religione in quanto pone al centro del
processo di crescita spirituale la consapevolezza quale fattore
assolutamente necessario alla qualità dell’esistenza umana,
l’elemento che dà vita alla vita, che imprime senso compiuto ad
ogni atto, in ogni istante, mentre senza consapevolezza si è
non-vivi, non si ha una reale coscienza del proprio essere.
La consapevolezza è
lo spirito portante della filosofia del Buddha.
Nella dottrina
induista dei Vedānta è fondamentale la realizzazione del vero sé
ed è proprio la consapevolezza quel fattore che permette al sé di
conoscere il sé, di prendere coscienza di chi si è, e in questo
modo di realizzare il sé, altrimenti, senza consapevolezza non si ha
nessuna percezione né conoscenza del sé e quindi non sarà
possibile alcuna realizzazione.
Inoltre, senza avere
conoscenza di se stessi come si può pretendere di conoscere altro da
sé? Impossibile, invece sapere ciò che si è porta automaticamente
alla comprensione di tutto il resto.
Il sé di cui
parliamo non è affatto quell’io comunemente inteso, bensì si
riferisce all’esperienza della propria autentica entità, delle
proprie azioni, di cui se ne ha percezione almeno a livello
convenzionale.
La consapevolezza è
il cuore del cuore, la sua stessa essenza, non è certamente solo di
quella pompa meccanica che fa circolare il sangue in tutto il corpo,
ma ne è la linfa vitale per eccellenza e con la presenza nel cuore
di questo cuore di consapevolezza anche il muscolo cardiaco funziona
molto meglio.
Senza consapevolezza
il cuore è senza cuore, batte in modo incontrollato; la
consapevolezza gioca un ruolo fondamentale nelle azioni della
quotidianità, non la si deve relegare unicamente alla sessione di
meditazione formale, è presente in ogni istante della vita, vi
imprime quel significato che riconosciamo come autentico valore
spirituale.
Portare la
consapevolezza nel cuore significa animarlo, valorizzare il cuore del
cuore che, potenziato di giorno in giorno, trasforma la nostra vita
migliorandola costantemente e questo qualità spirituale va ben oltre
il mero valore materiale, è illimitata, ha uno sviluppo infinito.
Quando
ero un bambino mia mamma, che non sa né leggere né scrivere, mi
ripeteva i sempre saggi consigli trasmessi oralmente di generazione
in generazione nella sua famiglia e che lei stessa verificava
nell’esperienza quotidiana. Ricordo in particolare che mi
raccomandava: “quando
sei a scuola, qualsiasi argomento tu stia studiando, cogli l’osso,
il nocciolo della questione, e mantienilo saldo nel tuo cuore”.
Fisicamente
ovviamente non è possibile pensare ad un osso nel cuore, ma
spiritualmente è essenziale, è la consapevolezza che infonde
intensità in ogni azione, specifica la direzione verso cui andare e
l’autentica natura di tutti gli eventi.
Ognuno di noi, senza
questo osso nel cuore, può elencare innumerevoli attività iniziate
e mai concluse, abbandonate perché scoraggiati, delusi, non più
interessati, in uno spreco assurdo di talenti inestimabili, e tale
considerazione fa comprendere come sia indispensabile meditare con
determinazione, energia, forza sino alla realizzazione dell’osso
nel cuore.
Il muscolo cardiaco
non è affatto completo nella sua fisicità, esiste un cuore del
cuore, la consapevolezza che, alimentata e fatta crescere, permette
di riconoscere e far battere il cuore del cuore.
Quando si è
sviluppato l’osso nel cuore si è in grado di realizzare qualsiasi
intento, ma prima di tutto è necessario capire nel profondo di se
stessi la causa determinante che rende la consapevolezza il cuore del
cuore, infatti non è sufficiente averne una cognizione meramente
intellettuale, acquisizione che molti hanno conseguito e descritto in
numerosi libri, ma che a questo livello è completamente sterile in
quanto non modifica nulla nella persona, è invece imprescindibile
approfondirne la conoscenza tramite l’esperienza diretta, lo si
deve sentire sulla propria pelle, perché solo in questo modo ci si
assicura della sua reale, autentica, esistenza.
Se ciò non avviene
e ci si limita alla nozione teorica, intellettuale, nulla in noi si
trasforma, niente cresce e si sviluppa, per poter ottenere un
risultato concreto dobbiamo partecipare attivamente, avvertire sulla
pelle la vibrazione di questa esperienza e divenire tutt’uno con
essa. Soltanto a questo punto possiamo affermare di aver compreso il
senso della consapevolezza, dell’osso nel cuore, di averla
realizzata.
La percezione
personale sulla pelle di tale realtà è un’esperienza
squisitamente individuale, però le sue manifestazioni esteriori sono
perfettamente visibili a tutti, non lo dico io, è il risultato
dell’attento esame di ogni singolo elemento poi riportato
dettagliatamente nelle scritture classiche.
Non si tratta di
fantasie o storielle, i segni materiali che si mostrano in coloro che
hanno raggiunto realizzazioni sono precisi, ad esempio una persona
che abbia realizzato la grande compassione, la gentilezza amorevole,
incontrando un essere sofferente, ha la pelle d’oca, i peli di
tutto il corpo si rizzano e le lacrime sgorgano abbondanti dai suoi
occhi.
Questi
fenomeni però non corrispondono ad una reazione emotiva di pianto,
di impulso pietistico improvviso e labile, ma è una profonda
partecipazione di autentico amore che comporta la trasformazione
delle emozioni e dei pensieri da negativi in positivi non soltanto a
livello di comprensione intellettiva, ma nell’esperienza umana più
completa. Solo in questo modo è possibile trasfigurare l’intero
sistema dell’esistere.
Per
ottenere il reale cambiamento del proprio sistema esperienziale è
necessario maturare la grande
rinuncia che ha
rappresentato il punto di svolta fondamentale nella vita del Buddha.
Nei paesi ricchi
tutto è valutato secondo criteri economici, di lusso, e allora si
pensa di poter trasformare la propria esistenza rimanendo
indisturbati in questa condizione ormai considerata diritto acquisito
e applicare dunque una rinuncia senza dover intaccare alcun
privilegio.
Una simile rinuncia,
facile, rilassante, di prima classe, è in realtà un gioco
gratificante dell’ego, una devastante illusione e pessima abitudine
che non scalfisce minimamente il bramoso attaccamento ai piaceri e al
lusso, si rivela assolutamente inconsistente, fatua e non porta da
nessuna parte.
È impossibile
liberare realmente se stessi senza una rinuncia autentica, radicale,
non comoda.
Io amo molto Jiddu
Krishnamurti anche se è davvero difficile seguirlo e applicare il
suo insegnamento in quanto non lascia spazio alla minima illusione, è
chiarissimo nell’analisi dei fatti, tronca di netto ogni possibile
scappatoia ed essendo un maestro dei giorni nostri riconosce tutti
gli abbagli e i mezzucci che tentiamo instancabilmente di
contrapporre alla verità.
Krishnamurti
ripropone gli stessi principi del Buddha, allora espressi secondo i
canoni e la cultura dell’epoca, e utilizza con estrema chiarezza il
linguaggio dei giorni nostri, comprensibile a tutti, colpisce
direttamente al cuore, lo scava sino al nucleo centrale eliminando
tutte le nocive barriere difensive inutilmente innalzate nel
tentativo di sfuggire i problemi della vita, infila il dito nella
ferita per purificarla dai batteri mortali e rende così possibile
una autentica presa di coscienza che matura e fa crescere la piena e
pura consapevolezza.
Si tratta di un
intervento chirurgico certamente doloroso, spiacevole, ma è l’unico
mezzo che dà senso alla propria esistenza e nella sua piena
comprensione permette di affrontare nel modo migliore e più
costruttivo qualsiasi situazione esteriore.
La pratica della
consapevolezza non è facile, ma assolutamente indispensabile per
poter giungere alla soddisfazione dell’autentico desiderio umano.
Il punto centrale è
dunque quello di sviluppare l’osso nel cuore, non certamente a
livello fisico, ma spirituale, facendo crescere il cuore del cuore in
modo da diventare così saldamente stabili, fermi, decisi,
incrollabili, sicuri, confidenti, da poter affrontare qualsiasi
turbolenza, difficoltà, situazione imprevedibile.
Attraverso
l’esperienza maturiamo la conoscenza certa di ciò che è
essenziale e doveroso realizzare, qui ed ora, il cuore del cuore.
Personalmente sono
stanco di parole, sono arrivato in Italia quindici anni fa e da
allora parlo e parlo senza fine, ma mi pongo seriamente la domanda se
qualcosa di tanti discorsi abbia mai raggiunto un obiettivo, non
soltanto per gli altri, ma anche per me stesso e mi rendo conto che,
sempre, quanto conseguito oggi è regolarmente dimenticato domani,
obbligando così a ritornare incessantemente alla condizione iniziale
e ripartire ogni volta da zero poiché nulla è cambiato.
Qui ho parlato per
quindici anni, ma ancor prima in monastero ho studiato, letto,
dibattuto, approfondito le scritture, e malgrado una storia così
lunga cosa ho realizzato? il Buddha in soli sei anni, ben
determinato, ha raggiunto l’illuminazione!...
Si
parla e parla impastoiati nel samsāra materiale, poi si continua a
parlare e parlare e comincia il samsāra spirituale, e così senza
fine si ruota ritornando di continuo al punto di partenza, incatenati
in una staticità dolorosa, dunque è assolutamente necessario
modificare un simile stato di fatto e realizzare davvero qualcosa,
qui e ora, in questo stesso incontro, altrimenti nulla cambierà.
Una trasformazione
anche minima deve avvenire qui, adesso, questa è la concretizzazione
dell’autentica spiritualità.
Riflettiamo
su alcuni versi del sūtra del Buddha Śabda
mahā prasamga tantra1
:
“ Tutte
le tracce generate dal karma
Vengono
accumulate sulla condizione originaria dell’individuo,
A
causa della radice dell’ignoranza.
Si
degenera così nella condizione dualistica e illusoria,
In
cui si distingue il soggetto dall’oggetto;
Appaiono
i cinque oggetti dei sensi e nasce
Il
corpo con le sensazioni ad esso legate, di
Piacere,
dispiacere e indifferenza;
Sorgono
le cinque passioni fondamentali e,
Nell’alternarsi
ininterrotto di queste visioni,
Ha
inizio così la trasmigrazione,
La
cosiddetta visione relativa.
La
mente è la base della trasmigrazione
E
dell’illuminazione,
Perciò
è necessario conoscere la mente.”
Lama: E’
chiaro?
Risposta: No!
Allora rileggiamo
frase per frase:
“Tutte
le tracce generate dal karma
Vengono
accumulate sulla condizione originaria dell’individuo”
Stiamo parlando
della vita intera di un individuo a cominciare dalla sua nascita,
istante in cui si presentano tutte le tracce karmiche precedentemente
maturate e iniziano a formarsene altre.
“A
causa della radice dell’ignoranza”
Perché tutto ciò
avviene? a causa dell’ignoranza fondamentale, che non è mera
nescienza, bensì la non conoscenza della propria condizione
originale.
“Si
degenera così nella condizione dualistica e illusoria,
In
cui si distingue il soggetto dall’oggetto e nasce
Il
corpo con le sensazioni ad esso legate, di
Piacere,
dispiacere e indifferenza”
Da questa condizione
non vera, dualistica e illusoria, scaturiscono e si manifestano i
cinque oggetti dei sensi con sensazioni piacevoli, spiacevoli e
neutrali, indifferenti.
“Sorgono
le cinque passioni fondamentali”
Le passioni sono
molto importanti perché sono parte naturale della vita oggetto di
inevitabili condizionamenti.
“Nell’alternarsi
ininterrotto di queste visioni,
Ha
inizio così la trasmigrazione,
La
cosiddetta visione relativa.”
L’alternanza di
tutto questo è parte della vita, si inizia la mattina con il caffè
e si termina la sera con una camomilla, giorno dopo giorno, con
sensazioni e passioni piacevoli, spiacevoli, e neutrali,
indifferenti. La trasmigrazione in questo modo avviene
quotidianamente, non è necessario aspettare chissà cosa, è
sufficiente avere consapevolezza dell’azione.
Noi generalmente
lavoriamo per lavorare, senza chiederci il senso di ciò che stiamo
facendo, bisognerebbe invece imparare a lavorare per non dover
lavorare, senza incrementare gli impegni in un infinito spreco di
tempo ed energie, dobbiamo maturare consapevolmente il senso del
lavoro riducendone in questo modo il peso, la fatica. Il rimedio ad
ogni ostacolo è la consapevolezza della mente.
Ogni risultato,
seppur minimo, ottenuto nella consapevolezza trasforma se stessi,
incoraggia, stimola, rende migliori, questo osso nel cuore è il
diamante, il vajra del cuore.
“La
mente è la base della trasmigrazione
E
dell’illuminazione,
Perciò
è necessario conoscere la mente.”
Che significa
conoscere la mente? vuol dire averne una conoscenza pienamente
concreta, non a livello intellettuale, ma nella consapevolezza del
corpo, della sensazione e della mente stessa. Buddha non ha mai
formulato pure astrazioni, ma ha toccato direttamente tutto ciò che
concreto, umano, tangibile, noi invece per eludere modalità tanto
semplici e realmente applicabili abbiamo complicato, mistificato
tutto.
Conoscere la
sensazione, il corpo, la mente, significa averne realizzato la
consapevolezza che porta alla quarta consapevolezza, del Dharma,
della saggezza, della visione profonda.
Concludiamo questa
prima serata con qualche minuto di meditazione sulla consapevolezza
della mente.
Grazie a tutti.
Rilassarsi e Dimorare nello stato originario della Mente
-
Sessione mattutina -
La mattina la mente
è più calma, pura, naturale, fresca e serena, meno confusa, è il
momento migliore per meditare, ed è importantissimo che ognuno vi si
predisponga nel rispetto delle proprie attitudini fisiche e mentali,
senza forzare nulla.
La base da cui
iniziare è la corretta postura in grado di mantenere il corpo in uno
stato confortevole, ben rilassato, mai costretto o rigido, anche il
fisico deve essere lasciato libero, svincolato dai pensieri, dalle
ossessioni, dall’attaccamento, dalla rigidità di dovere stare in
un determinato modo vincolante; il secondo passo è il respiro che
altrettanto deve essere lasciato dolcemente andare, libero come il
vento nel bosco, calmo, profondo, senza controllo, non influenzato da
emozioni, angosce, pensieri, preoccupazioni; il terzo punto
importante riguarda la mente che, altrettanto, deve essere liberata
dai pensieri.
Stiamo completamente
rilassati nella libertà di corpo, respiro e mente.
(segue
meditazione)
Riflettendo
sulla consapevolezza, Sati,
mi sono ricordato che nella lingua del mio paese di nascita, il
Nepal, questa parola significa amico
e improvvisamente ho preso coscienza che davvero la consapevolezza è
il mio miglior amico, in sua compagnia non ho timori perché è ciò
che rende utile e significativa la mia vita.
Sati
è chiunque ci sia
vicino, parenti, genitori, colleghi, amici e, indipendentemente dal
tipo di relazioni intrinseche alla natura umana, buone, cattive,
neutre; tutte, indistintamente, rappresentano l’amico di
consapevolezza.
A
volte questo sati è
duro, severo, altre dolce, amorevole, ed altre ancora irritante,
rigido, ma questa è la sua precisa funzione, quella di correggere i
nostri errori.
Sati
è chiunque ci sia accanto in quel preciso momento, indipendentemente
dal suo comportamento, è la consapevolezza che si manifesta,
interagisce e insegna. L’essere umano è una specie sociale, la sua
stessa natura lo porta a condividere, a partecipare, a comunicare
azioni che sono rese significative dal riconoscimento dell’amico di
consapevolezza in qualsiasi individuo si incontri ed esprimono il
senso della stessa specie umana.
Nel Cristianesimo si
insegna che l’attitudine caritatevole deve iniziare dalla propria
casa, dalle persone più vicine, e altrettanto la pratica del Dharma
comincia dalla casa, dai parenti, dagli amici.
La meditazione
principia in casa, non è importata dal tempio alla casa, ma, al
contrario, è esportata dalla casa al tempio, noi invece applichiamo
l’attitudine esattamente opposta, pensiamo di poter portare la pace
unicamente dalla chiesa alla casa, mentre la si deve maturare prima
di tutto nella propria casa, nelle relazioni concrete quotidiane, e
solo in seguito portarla alla chiesa.
Questo
è un concetto difficile poiché contraddice la consueta attitudine e
richiede un duro lavoro, concreto, sostanziale quanto necessario per
essere sati,
consapevolezza.
La
mia comunità monastica in India è costituita da numerosi individui,
alcuni più istruiti, altri particolarmente avanzati nella pratica,
così è molto difficile che si verifichino litigi, ci sono
confronti, a volte possono sorgere normali piccole difficoltà, ma
mai bisticci né aspri contrasti, così al mio arrivo in Italia sono
stato veramente scioccato nel fare esperienza per la prima volta di
conflitti aspri, di ostilità espresse con eloquente aggressività, a
tutti i livelli, nella società civile, nella famiglia. Ho dovuto
constatare quanto sia difficile praticare in simile contesto il
Dharma, la Carità, la Consapevolezza, prima non avrei mai potuto
immaginare l’esistenza di scontri così violenti e aspri tra esseri
umani, nelle famiglie, nelle amicizie, in tutte le relazioni.
Gesù Cristo dicendo
che la carità comincia dalla propria casa ha dato un avvertimento
fondamentale, estremamente saggio.
Un altro shock,
quasi divertente se non fosse drammatico, lo rivivo ogni volta
durante le varie manifestazioni pacifiste, tutti lottano per la pace
affermando di auspicarla con ogni mezzo, però litigano tra loro
furiosamente perché ognuno vuole indiscutibilmente imporre il
proprio individuale punto di vista ritenendolo indiscutibilmente
superiore a qualsiasi altro, poi tutti insieme aggrediscono e
bisticciano con i non-pacifisti, insomma è una guerra totale con cui
si pretende di affermare la pace!...
Questa è
l’espressione della natura umana, di come si muove la mente umana.
Sappiamo che la base
del samsāra e del nirvāna è la mente e, se non la accudiamo con
consapevolezza, essa sbanda senza controllo e agisce in modo
assolutamente stupido, sciocco, inconsistente, la mente entra in
contraddizione con la mente stessa, questo è il problema, si vuole
la pace e si fa la guerra senza nemmeno accorgersi dell’assurdità
di un comportamento così insensato e contraddittorio, si è
completamente limitati e chiusi nella meschina ottusità di un ego
sempre più forte in quanto privo di consapevolezza.
Suggerisco dunque di
affrontare questo stesso incontro non solo per ascoltare e studiarne
l’argomento, ma per riflettervi e interiorizzarlo, per ottenere una
seppur piccola realizzazione, o almeno per piantarne il seme
dell’ottenimento, perché, se non ora, quando?
Tutte le condizioni
favorevoli per farlo sono presenti, qui e adesso, e offrono ad ognuno
l’opportunità di giungere ad una conclusione di realizzazione.
Con il termine
“realizzazione” pensiamo immediatamente a un evento mentale
estremamente complesso, elevato, difficile, invece è molto semplice,
il primo passo consiste nell’abbandonarsi completamente, senza
aspettative, lasciare andare almeno in quel momento tutte le
preoccupazioni, le ansie, i timori, le difficoltà, essere
autenticamente svincolati da tutto, rilassare la mente e ogni cellula
del corpo e vivere completamente ogni istante nella pienezza della
libertà, questa è la base che permette la possibilità di
compimento di tutti gli ottenimenti.
In
tibetano questo fondamentale processo di rilassamento è espresso con
le parole Nel-So,
Nel
significa stanchezza o noia, e So
indica l’essere
nello stato di rigenerazione che libera dalla stanchezza e dalla
noia.
Siamo tutti stanchi,
annoiati, condizionati dalla pressione della vita moderna, eppure non
ci manca nulla, né cibo, né abiti, né abitazioni, dunque noia e
stanchezza sono totalmente irragionevoli; questo è il dramma della
nostra vita, ma come uscirne? come rigenerarsi, rivitalizzarsi?
Si
comprende senza difficoltà a livello razionale il significato del
rilassamento, ma ciò che è davvero difficile è sapere
concretamente come farlo, come rilassarsi. Nel tentativo di
rispondere a questo interrogativo sono state elaborate le più
svariate tecniche sia sul piano mentale che fisico, le indicazioni
per praticare la meditazione non mancano, tutto ciò è indubbiamente
valido, buonissimo, ma il vero punto è: -
Si riesce realmente a rilassarsi?
Se ne è capaci? Si è
compreso davvero in che modo ci si rilassa?-
Il dramma è proprio
questo, malgrado si viva in una società altamente tecnologica e
ricca di ogni bene, si è perennemente tesi, stanchi, avviliti,
annoiati, perché si è incapaci di rilassarsi, non si sa da che
parte cominciare.
Siamo a Milano, una
città che offre ogni lusso e le tecnologie più avanzate, eppure la
gente non è affatto serena, in pace, e allora dov’è l’ostacolo?
Mancano tecniche meditative? Non si ricevono speciali iniziazioni?
Non vengono impartite benedizioni per ottenere il rilassamento?
Nulla di tutto ciò,
il problema consiste nel non aver compreso come un essere umano
semplicemente possa rilassarsi naturalmente.
Mi ritorna sempre
alla mente il ricordo della sera di un inverno molto freddo alla
stazione di Roma Termini, aspettando il treno osservavo due persone
che non avevano nulla, erano senza coperte e poco vestite, eppure
dormivano placidamente su una panchina, in pace, rilassate per nulla
turbate dalla confusione, dal chiasso, dal freddo pungente. Ne sono
stato profondamente colpito, noi che abbiamo tutto non conosciamo
questa tranquillità.
Al mio arrivo in
Italia il primo ricordo è di piacevolezza, di confort, mai avevo
dormito tanto comodamente su materassi alti e letti comodissimi,
nelle case ci si ripara dal freddo con il riscaldamento e dal caldo
con l’aria condizionata, le dispense sono ben fornite, ogni
comodità è presente eppure la gente soffre di insonnia, di attacchi
di panico, di ogni possibile tensione.
Dov’è
il problema? Nell’incapacità di rilassarsi, non è necessario
cercare chissà dove il significato e l’applicazione della
meditazione, si tratta semplicemente di imparare a trovare il
naturale stato di rilassamento, essere nella condizione di Nel-So,
cioè rigenerarsi dalla stanchezza dalla noia permanendo in un
effettivo stato meditativo. Si applica Nel-So
del corpo, Nel-So
della parola, e Nel-So
della mente.
Queste tre forme di
rilassamento sono fondamentali, ma per realizzarle è necessario
capire quali sono le condizioni che permettono di rilassare il corpo,
la parola e la mente, questo è l’interrogativo primario che
dobbiamo porre a noi stessi, sapendo che trovare la giusta domanda è
tanto importante quanto difficile.
Tutte le nostre
difficoltà si rivelano prepotentemente non nelle risposte, ma
soprattutto nelle domande. Non esistono risposte in grado di agire
istantaneamente quasi fossero compresse di aspirina, la soluzione ad
ogni problema è nella giusta domanda.
Adesso pongo io
questa domanda ad ognuno di voi, come rilassate corpo parola e mente?
Risposte:
- Nella mia
esperienza, con la meditazione -;
- Quando mi accorgo
che la mente è turbata, incontrollata, la meditazione la può
placare -;
- io uso spesso il
respiro perché ho idea che mi riporti all’essere qui e ora, e
cerco di imparare ad abbandonare le comodità superflue cui è così
facile assuefarsi e ritenere irrinunciabili -;
- con il silenzio e
il vuoto -;
- io non ci riesco;
- dipende, ci sono
molti mezzi, la meditazione ma anche il bagno turco, però esistono
condizioni che rendono insufficiente qualsiasi metodo -;
- alcune volte
leggendo, ma trovo difficoltoso rilassarmi -;
-
per me è sempre stato difficile dire: “faccio
questa cosa in questo momento”,
c’era sempre una buona scusa, “domani,
quando me la sentirò, quando ne avrò voglia…”
poi con la meditazione ho cominciato a collegare la mente con il
corpo e ad esercitare una netta volontà riuscendo alcune volte,
lentamente e faticosamente, a fare le cose di cui avevo bisogno in
quel preciso momento -;
- io penso che lo
stress derivi dal conflitto costante che c’è in noi, le condizioni
esterne certamente influiscono, ma le cause sono soprattutto interne
e l’unica possibilità di rilassarmi è lasciar andare,
accettandomi così come sono con la stessa incapacità a rilassarmi,
e nel momento in cui riesco a farlo mi rilasso -;
- dipende dal tipo
di tensione, dalla situazione, non ho la risposta -;
- osservando dove
sono contratto, irrigidito, e sviluppando un senso di apertura, di
lasciar andare -;
- io ci provo,
qualche volta funzione, altre no, osservare il respiro e la mente
liberandola dai pensieri, mi aiuta -;
- Il contatto con la
natura, anche solo tagliare l’erba -;
- con la musica, con
il respiro, accettare me stessa così come sono mi è di grande
aiuto, ma dura pochissimo e l’ansia ritorna immediatamente -;
- la musica, la
natura e lo sport sono le cose che possono aiutarmi, e quando non ho
la possibilità di praticarle cerco di rimanere in ascolto di me
accogliendo me stessa anche in quegli aspetti che giudico
criticamente e non vorrei mai accettare -;
- penso che ci siano
piani diversi di agitazione, nel corpo o nella mente o in entrambi
contemporaneamente, io ho lavorato molto con lo yoga e questo mi ha
permesso di utilizzare metodologie che favoriscono lo scioglimento
delle tensione, però spesso non bastano e tutto ritorna come prima,
l’unico mezzo per ridurne l’intensità e osservare con distacco
il fenomeno -;
- dipende dai
momenti, mi aiuta la musica classica, i canti della natura -;
- Io cerco sempre di
concentrare l’attenzione nell’accettare tutto e non rifiutare
nulla e quando è più difficile, un dolore fisico o pensieri
negativi, osservo l’evento senza identificarmi. Infine trovo sempre
motivi per rigioire di qualcosa, di essere al servizio, di godere
delle gioie altrui -;
- a me aiuta molto
la pratica di consapevolezza e anche lo yoga e la meditazione di
Mettā -;
- quando mi accorgo
di non essere rilassata è già una bella conquista, dopo di che
cerco di osservare e accettare il dato di fatto, mi aiuta anche
l’attività fisica -;
- è vero, quando si
può prendere atto di un limite è come se la mente rallentasse e
fosse più capace di osservare -;
- io cerco degli
spazi nella solitudine perché posso riflettere con più chiarezza
sui difetti, sulle difficoltà, e mi piace moltissimo camminare nella
natura -;
- anch’io con la
solitudine, quando raggiungo il mio limite di resistenza cerco di
staccarmi fisicamente da tutto e da tutti -;
- io cerco di capire
qual è la causa dell’agitazione, solo in questo modo la vedo
all’esterno e riesco a rilassarmi, uso molto il camminare, lo
sport-;
- io impiego il
tempo della pausa pranzo, mi fermo, ascolto, riconosco dove c’è
tensione, tento di separare immediatamente l’osservazione dai
giudizi che sorgono spontanei e cambio postura fisica -;
- le due cose che
applico regolarmente sono l’immaginazione e il sogno, in entrambi
trovo un momento di rilassamento e ciò che cerco di fare è
distinguere la brama dal desiderio -;
- io faccio una vita
probabilmente molto diversa da quella degli altri, vivo in mezzo alla
natura, in una solitudine quasi totale e a volte è davvero noioso
per me, ogni situazione presenta aspetti positivi e negativi. Cerco
di concentrarmi sulle sensazioni corporee, e una situazione in cui mi
rilasso istantaneamente è trovarmi di fronte ad uno specchio
d’acqua, un lago -;
- in questo momento
io mi sento un caso clinico perché non riesco a trovare nessun modo
per rilassarmi, il corpo mi manda segnali precisi con gastriti,
coliti e altro mentre la mente continua a ripetere ossessivamente:
Rilassati! Rilassati! Rilassati… ottenendo ovviamente il risultato
contrario -;
- io ho scoperto la
natura, l’orto e quando lo stress è davvero troppo mi fermo e sto
a vedere cosa succede, tutto questo mi rilassa moltissimo -;
- io le ho provate
tutte e con scarsi risultati, l’unico elemento che mi pare possa
funzionare è la capacità, e ci riesco pochissime volte, di tenere a
bada questo ingombrante, invadente incombente ego. L’ego distrugge
tutto, è un dato di fatto, solo quando si riesce tenerlo sotto
controllo, la meditazione, il rilassamento, ha un effetto più
duraturo, altrimenti non appena ci si alza dal cuscino tutta
l’agitazione ritorna più forte di prima -;
- non solo oggi, ma
l’intero periodo in cui stiamo vivendo è di agitazione
irrefrenabile, quindi il significato di rilassamento è molto
difficile. Per me, almeno a livello di intuizione, il rilassamento è
ritornare a casa. Intravvedo i maestri, come Geshe-lha, che dimorano
nella casa e mostrano con il loro stesso modo di essere come entrarvi
e come abitarla, mettono a disposizione tanti mezzi, poi però mi
accorgo che solo io posso muovermi per tornare a casa, ci provo in
mille modi scontrandomi ogni volta con una forma di agitazione
diversa, sono dunque perennemente agitato, prima o poi ci arriverò,
non so quando, ma…-
Lama: Mentre
voi rispondevate io mi sono davvero rilassato…
Una risposta univoca
e valida per tutti non può esistere, ognuno deve trovare, tramite la
propria esperienza, quella più confacente e non solo per interesse
esclusivamente personale, ma per la pace, la tranquillità, la
serenità e la gioia dell’umanità intera, per gli animali con cui
condividiamo il pianeta, per il mondo vegetale e minerale, acqua,
terra, fuoco e aria. L’universo è immenso, l’universo è noi e
noi siamo l’universo.
La visione non
dualistica è essenziale per maturare un approccio autentico con la
realtà di Dio, dello Spirito Santo, della natura di Buddha, di
Brahmā; nell’immensità dell’universo il tutto è uno, e l’uno
è il tutto non c’è limite allo spazio, invece noi, a causa della
nostra ignoranza fondamentale, richiudiamo noi stessi nella
piccolissima cella di ferro del’io, senza finestre né porte né
aria, e in simili condizioni di drammatica prigionia non riusciremo
mai a rilassarci veramente e profondamente, non potremo in alcun modo
liberarci da noi stessi, e la tragedia è che nessun altro lo potrà
fare al posto nostro e, così come nessuno può murarci in questa
prigione, altrettanto non può tirarcene fuori, solo noi possediamo
la chiave per incatenarci al buio o per librarci nello spazio senza
limiti.
Questa è l’essenza
potente del Dharma, di Dio, dello Spirito Santo, di Brahmā, del
Buddha, la grandezza naturale della vita, della capacità umana che
tutti possediamo in egual misura, è infinita, eppure noi decidiamo
di circoscriverla. Il distacco dal misero io, l’apertura, la
libertà, la vita nell’universo è la fonte dell’amore
universale, la grande compassione.
I
problemi in questa breve esistenza sono piccolissimi, comunque
fugaci, si risolvono da soli, come ha scoperto il Buddha raggiungendo
l’illuminazione: “Tutti
i fenomeni composti sono impermanenti”.
Tutte le situazioni che compaiono nella nostra vita sono
insegnamenti, le sofferenze, gli ostacoli, i dolori, che ci
permettono di maturare umanamente, di espandere il nostro cuore, sono
preziose benedizioni e non certamente le piacevolezze che passano
distrattamente. La croce di Gesù significa proprio questo, non è
l’oggetto in sé, né una tortura imposta dai romani, è il
messaggio del supremo potere della vita, lo sviluppo dell’amore
universale, della grande compassione.
Tutto è così
chiaro, evidente, eppure ancora non capiamo nulla, perché? è una
domanda che pongo a me stesso e ne sono scioccato.
Abbiamo iniziato
questa riflessione analizzando il processo di rilassamento nei tre
elementi di corpo, parola (o respiro), e mente. Rilassare il corpo è
complicatissimo, la parola è ancor più arduo, e la mente è
estremamente difficile, eppure tutti e tre sono inscindibilmente
interconnessi tanto che è impossibile rilassarne solo uno senza
l’ausilio degli altri due ed è inoltre necessario cominciare
sempre dall’aspetto più evidente, il corpo, in cui alita il
respiro, per passare infine alla mente.
La prima difficoltà
che avvertiamo nell’impatto diretto e immediato del rilassamento è
con il corpo, composto da una quantità incalcolabile di cellule
composte da infiniti atomi, è un immenso laboratorio dotato di
congegni raffinati e per poter rilassare anche uno solo di questi
atomi lo strumento idoneo è la meditazione che consiste nel
riflettere, contemplare, rivolgere lo sguardo e l’attenzione alla
propria interiorità.
La scienza moderna
ci è di aiuto nella possibilità di comprendere il complesso
meccanismo del corpo, conoscenze che il Buddha aveva già maturato
duemilacinquecento anni fa. La consapevolezza del corpo non guarisce
miracolosamente ogni malanno, ma aiuta, potenzia, valorizza
l’efficacia di ogni cura, del cibo, delle medicine, dell’attività
fisica.
I conflitti che ci
turbano non sono imputabili a nessuno, producono una gran quantità
di energia che può essere, con l’ausilio di questo attrezzatissimo
laboratorio, trasformata nella consapevolezza della presenza “del
cuore del cuore”.
Non pretendiamo di
diventare grandi yogi come Bodhidharma, Milarepa, Sāntideva, ma
possiamo utilizzare questo misterioso laboratorio per ciò che ci è
necessario, utile momento per momento. Dobbiamo con consapevolezza
imparare a riconoscere la radice dei problemi, delle difficoltà, dei
conflitti, non esiste un’unica risposta perfetta, valida per tutto.
Domanda: Con
la meditazione io non mi rilasso affatto, anzi se sono turbata da
qualche conflitto e decido di meditare mi arrabbio ancora di più, e
solo quando capisco il motivo della mia agitazione mi rilasso, sto
bene e riesco a meditare.
Lama: Questo
è un problema comune, la meditazione è inscindibilmente legata al
rilassamento senza il quale è impossibile applicarvisi. La
meditazione non può mai essere indotta con la forza, deve scaturire
naturalmente nella calma, nella gioia, nell’armonia e quando si
avverte fastidio, scomodità, irritazione, si deve interrompere
subito poiché è assolutamente inutile forzare una condizione al
momento impossibile, questa interruzione renderà più proficua e
concreta la pratica nel giusto momento, la meditazione è molto
sottile.
Domanda: Ognuno
indubbiamente ha i suoi metodi di rilassamento, però ci saranno
oggettivamente delle tecniche migliori a cui riferirsi quando non si
sa da che parte cominciare, se non si riesce in alcun modo, come si
deve procedere?
Lama: La
ricetta non è ancora pronta. Nella pratica spirituale il Nel-So
è molto importante.
Un altro termine fondamentale per i tibetani è Rang-Pab
e significa dimorare nello stato originario di chiarezza e purezza
della mente che ha abbandonato tutti i concetti costruiti secondo
criteri ordinari.
Non si riesce a
rilassare la mente perché ci si scontra con le turbolenze delle
emozioni, la mente è come una candela nel vento la cui fiamma si
muove convulsamente, ma non appena il vento cessa si stabilizza
istantaneamente ed emette una luce migliore, ferma, splendente.
Questa è una metafora perfetta per spiegare come la mente senza
l’agitazione dell’emotività si distende e scopre il suo stato
originario, naturale, liberato da tutte le impalcature concettuali
costruite successivamente.
I pensieri sono
basilari per l’espletamento delle attività quotidiane, per la
sopravvivenza, ma d’altra parte disturbano, oscurano, la purezza
originaria della mente, dovremmo dunque diventare abili
nell’utilizzarli, traendone il necessario contributo concettuale ed
emotivo impedendo nel contempo che interferiscano, ostruiscano ed
oscurino la natura originaria della mente.
Questo è un segreto
che, volendo attenersi ad una prassi canonica, non si dovrebbe
divulgare prima di aver conferito la relativa iniziazione, ma
pazienza, vuol dire che qui ho fatto un’eccezione!...
In realtà
l’iniziazione esiste già, poiché lo stato naturale di chiarezza e
purezza della mente è presente, se così non fosse sarebbe
impossibile qualsiasi forma di consapevolezza.
La chiarezza e
purezza originaria della mente è descritta in vari modi: “mente
primordiale” oppure con termini più filosofici, “mente innata”
o “non nata”, e comunque la si definisca implica la stessa
qualità della mente illuminata.
Le iniziazioni
servono soltanto per ricordare questa comune qualità e non per
creare magiche connessioni, infatti siamo già connessi con Dio, con
il Buddha, con il Dharma e con il Sangha, non occorrono altri
interventi dall’esterno, è un diritto naturale di tutti gli esseri
senzienti.
Rang-Pab,
il dimorare nello stato originario della mente, è il significato
ultimo del rilassamento.
Domanda: Rilassamento
del corpo e della mente non sono sufficienti? Dunque perché anche il
rilassamento della parola?
Lama: Questa
è un’indicazione specifica per gli italiani!...(scherzo), in
realtà i tre aspetti completi di rilassamento sono del corpo, del
respiro e della mente.
Domanda: Hai
parlato di Rang-Pab,
ma in cosa è
differente Rig-pa?
Lama: Rig-pa
sarebbe “la mente innata”, però qualsiasi interpretazione
dipende dall’ambito in cui la si applica; nel contesto tibetano con
questa parola si definisce comunemente una persona intelligente,
mentre negli studi dei sūtra, in cui si analizzano in modo
particolareggiato tutti i fattori mentali, Rig-pa
corrisponde alla precisa definizione di mente, o più esattamente
“alla cosa che ha capacità di intelligenza”. Invece nel
Māhamudhrā, Rig-pa
indica rigorosamente la mente di Māhamudhrā, cioè lo stato
originario della mente. Vi sono dunque vari livelli del significato
della parola Rig-pa.
Il linguaggio è la
chiave essenziale con cui si trasmettono concetti, e le traduzioni in
altre lingue, unitamente all’uso diversificato degli stessi
termini, costituiscono la causa di moltissimi fraintendimenti, errori
clamorosi, ed errate interpretazioni.
Ad
esempio la parola the
pare molto semplice, priva di possibili distorsioni, il the ha avuto
origine in Cina e poi si è diffuso in tutti i paesi del mondo
mantenendo la stessa denominazione, eppure in Tibet il the
corrisponde ad una bevanda salata e grassa con latte, burro e sale,
simile al brodo, in Cina ad un delicato the verde o al gelsomino, in
India ad un aromatico e dolce masala the, in Giappone è preparato
con altre modalità e miscele, e in Italia è una semplice tazza di
acqua calda in cui immergere una bustina.
La stessa parola
posta in contesti differenti cambia completamente di significato e
ciò è quanto avviene con gli insegnamenti, per cui è
indispensabile non fermarsi al significato letterale del termine
usato, ma approfondire, cercare, conoscere la sostanza, l’intenzione
originale, che quel termine vuole trasmettere in quella determinata
condizione.
- Sessione pomeridiana -
Iniziamo la sessione
pomeridiana con la meditazione, e per favorire il rilassamento
ascoltiamo il canto di alcune magnifiche preghiere, tibetane e
indiane.
(segue
meditazione)
Com’è stata la
meditazione?
Risposta: io
mi sono addormentata…forse il vento, la musica…
Domanda: in
questa meditazione con la musica c’è un oggetto definito? È
sufficiente la consapevolezza sul respiro o si deve avere anche
quella sulla musica?
Lama: Non
c’è nessun oggetto, è libera e liberante, se ci si attacca alla
meditazione o a qualche suo aspetto la si rovina sul nascere, si
creano ostacoli inutili, non è facile rilassarsi nello spazio
infinito, senza barriere, nello stato originale della mente, ma è
l’unica realtà possibile, il Dharma è un valore universale.
Domanda: Non
capisco il significato di “stato originale” assolutamente libero,
io ad esempio ho meditato pensando a mia figlia, dalla sua nascita ad
oggi, non sono riuscita a liberare la mente dai pensieri sorti
spontaneamente e che hanno occupato l’intero spazio, è stata
meditazione o no?
Lama: E’
la strada verso la meditazione, che in nessun caso può verificarsi
all’istante, è l’intenzione che induce a camminare verso l’Amore
universale.
L’Amore
universale è il supremo valore spirituale, che nulla esclude,
comprende ogni realtà, e tutti noi andiamo in quella direzione nello
spazio infinito, nell’apertura e nella libertà totale, ma la
strada è lunga e nel percorso incontriamo infiniti elementi, così è
la vita, tu ad esempio meditando hai trovato il pensiero di tua
figlia, va bene, ciò che conta è l’intenzione che dà senso a
qualsiasi cosa, il problema sorge quando non se ne ha consapevolezza,
quando manca l’intenzione, lo scopo, e si procede alla cieca
sprecando la vita in una non-vita.
Domanda: Che
differenza c’è tra il sonno e la meditazione?
Lama: La
meditazione è principalmente determinata dall’intenzione, dalla
motivazione, dall’intento di dirigersi verso l’amore universale,
la grande compassione, e qualunque passo si compia in quella
direzione è meditazione. Se ci si addormenta con quell’intento
anche il sonno diventa una forma di meditazione poiché a livello
inconscio o subconscio il lavoro interiore continua su questa base, è
l’immensa ricchezza del Dharma che non contraddice mai le norme di
buonsenso che regolano la quotidianità.
Domanda: Se
non ricordo male la meditazione comprende tre aspetti, del corpo, del
respiro e della mente, che il corpo e il respiro debbano essere
liberi è facile da capire, ma mente libera significa lasciarle fare
ciò che le pare?
Lama: Mente
libera è lasciar andare con consapevolezza i pensieri sin dal loro
sorgere, non fermarli, non interferire con il loro accadere, non
attaccarsi né dare importanza, perché altrimenti la mente si
riempie di una quantità folle di concetti che invadono e occupano
tutto lo spazio.
E’
possibile agire in questa direzione soltanto con una mente
consapevole della mente, la metafora potrebbe essere rappresentata
dalle nuvole che scorrono nel cielo, vanno e vengono senza che
nessuno debba controllare o bloccare il loro naturale movimento.
Questa è la pratica della consapevolezza della mente, il non
afferrare la mente, ma osservarla, liberare se stessi da se stessi è
molto importante.
Siamo
talmente attaccati a noi stessi che incrementiamo la sofferenza in
questo faticosissimo sdoppiamento, quando noi - uno
- diventiamo due
ci aggrappiamo e l’uno
all’altro ed entrambi soffriamo e ci sfiniamo in un enorme lavoro
assolutamente inutile. La piccola mente ottusa e annebbiata ci ripete
noiosamente: “questo
è il lavoro più importante che tu possa mai fare, lo è quanto la
vita” così, invece
di trovare la tanto desiderata felicità affondiamo nelle difficoltà,
nei problemi, nelle afflizioni, sempre più impantanati nelle sabbie
mobili da cui non sappiamo come liberarci, come possiamo essere tanto
sciocchi è un vero mistero!..
Ricordo
una scenetta da circo in cui un clown scindeva la propria personalità
in due personaggi distinti che litigavano furiosamente tra loro e ciò
corrisponde esattamente alla nostra attitudine consueta, siamo uno
ma ci duplichiamo afferrandoci vicendevolmente e sprechiamo tutto il
tempo di questa vita nella lotta assolutamente insensata del
devastante attaccamento all’ego.
Dall’attaccamento
verso gli altri è più facile liberarsi, ma da quello verso se
stessi è assai più difficile, è la radice di qualsiasi forma di
attaccamento.
Domanda: Hai
detto che bisogna lasciar andare tutto, senza però forzare la mente
che deve essere completamente libera, ma allora come possiamo
utilizzare gli strumenti e le tecniche suggerite per favorire la
meditazione e che in un certo modo devono essere controllate,
guidate?
Lama: Non
lo so, l’unica cosa che realmente conta è l’intenzione quando si
ha la chiarezza della motivazione, qualsiasi strumento e tecnica
possono essere favorevoli per la vostra pratica, anche necessari, ma
nessuno è indispensabile.
Abbiamo
bisogno di liberarci anche dalla meditazione e dalle diverse modalità
di applicarla, perché, come tutte le cose, nulla è definitivo,
tutto cambia. Le forme di comunicazione, di preghiera, si sono
trasformate nei secoli, nel passato se non facevate determinate
pratiche religiose potevate essere crudelmente puniti, ora una simile
coercizione sarebbe impensabile.
Domanda: Ho
letto vari libri sulle “Quattro Nobili Verità” e mi pare che le
interpretazioni sulla seconda verità, la causa della sofferenza, non
siano sempre concordi, infatti a me pare ci sia una differenza
sostanziale tra l’affermare che ogni emozione è sofferenza e
quella che ogni attaccamento è sofferenza, esprimono due condizioni
diverse…
Lama: Come
ho detto questa mattina dall’utilizzo del linguaggio, dalle
traduzioni, sorgono incomprensioni e fraintendimenti. La parola
sanscrita Dukkha
è stata tradotta
nelle lingue occidentali in sofferenza, pena, insoddisfazione, e
ancora altro, sono molteplici le sfumature e le interpretazioni a
seconda del contesto in cui si usa questo termine. Il testo
autentico, l’unico in cui si può leggere con consapevolezza e
senza inganno è il proprio cuore.
Il
Buddha asserendo le quattro nobili verità ha presentato in primo
luogo la naturale, comune, esperienza umana che, indipendentemente
dalle condizioni esterne, è permeata da una senso di
insoddisfazione, di non contentezza, di sofferenza mentale.
Se
impariamo a penetrare consapevolmente il nostro cuore possiamo
cominciare a comprendere le quattro nobili verità che racchiudono
l’universo intero, non solo il nostro piccolo essere.
La
verità della sofferenza è in realtà il suo stesso rimedio se la si
riconosce nella sua essenza.
La
visione che noi abbiamo della sofferenza e della felicità è
completamente falsa, carichiamo di significato ciò che in realtà
non ne ha, ed è questo da cui dobbiamo liberarci.
Il
significato delle quattro nobili verità è sottile, infatti si parla
di Verità
e non solo di sofferenza, questa è la differenza sostanziale, la
visione corretta della verità della sofferenza è il suo superamento
effettivo, la realizzazione della verità della sofferenza è il
cammino verso la cessazione della sofferenza.
Nella
terza nobile verità, della cessazione della sofferenza, tutto è
armonico, senza distinzione tra soggetto e oggetto, senza dualismo,
senza contraddizione tra mondo spirituale e mondo materiale, mondo
samsarico di sofferenza e mondo dharmico.
La
comprensione della seconda nobile verità, della causa della
sofferenza, è sostanziale per non produrre ulteriore karma.
Domanda: Per
non reiterare il karma e rimanere bloccati in esso dobbiamo fermare
in qualche modo la sofferenza?
Lama: Il
karma accumulato è già presente e dobbiamo impegnarci per
purificarlo, ma soprattutto non dobbiamo crearne di nuovo e, con la
pratica spirituale, camminare verso l’Amore universale. In che
modo?
Risposte: Rinunciare
all’attaccamento;- uscire dall’ignoranza; - non far male agli
altri; - evitare le emozioni negative; - realizzare la vera natura
della mente; - abbandonare le consuete paranoie….
Domanda: Come
si traduce esattamente in italiano il termine karma?
Risposte: Azione;
- legge di causa effetto…
Lama: Nel
linguaggio Vedānta la definizione è estremamente precisa: “azione
senza creare ulteriore karma” vivere senza produrre nuovo karma,
meglio conosciuto come karma yoga. Karma yoga non significa lavorare
gratuitamente, implica la completa trasformazione della propria
esistenza.
Domanda: Qual
è la caratteristica dell’azione che non crea karma?
Lama: La
giusta motivazione e la corretta intenzione. Se si riesce a mantenere
stabile e costante, senza mai vacillare, la retta intenzione non si
produrrà altro karma. Abbiamo una chiara descrizione dell’evoluzione
karmica nel Śālistambasūtra che tratta dei dodici anelli di
interdipendenza.
La
filosofia, l’Abhidharma, sono ricchi di spiegazioni dettagliate e
prove inconfutabili di questo processo e sicuramente anche nel
cristianesimo esistono analoghe documentazioni.
Domanda: E’
possibile procedere su questo percorso da soli o è opportuno essere
accompagnati da un maestro? perché sul piano astratto mi è tutto
abbastanza chiaro e concordo pienamente, ma come concretamente
realizzare questa trasformazione? come evitare di soffrire? Per
favore datemi una chiave…
Lama: La
risposta arriverà piano piano, non c’è fretta, ciò che conta è
la domanda, l’essere giunta a porre a te stessa questo
interrogativo è già in sé una realizzazione.
Domanda: Però
a furia di aspettare si muore…
Lama: Vita
- morte non contano, la persona muore, ma la sua intenzione no,
prosegue il suo viaggio senza alcuna interruzione, in questo senso la
mortalità è superata e decade automaticamente quell’irrazionale
terrore della morte che ci attanaglia tutti insensatamente.
Lo
spirito umano, il cuore del cuore, si rivela nell’intenzione che
rimane e procede senza fine, non c’è morte, né tempo, né notte,
né giorno. Questo è il viaggio fondamentale.
Domanda: Però
con la morte fisica il mio ego, la mia identità scompare, quindi io
non sarò mai cosciente del cammino che verrà dopo.
Lama: Non
è semplice rispondere in modo chiaro ed esaustivo a questa domanda
in quanto oltre a non conoscere nulla delle vite passate e ancor meno
di quelle future, la vita presente scorre in una brevità
incredibile, passa in un soffio, e allora perché trastullarsi in
elucubrazioni assolutamente inutili e fantasiose?
Non
serve davvero a niente fantasticare su come e dove si rinascerà,
tutto questo è attaccamento all’ego, un ostacolo enorme che
incrementa soltanto la confusione mentale.
L’unica
realtà veramente importante in grado di trasformare il valore di
ogni esistenza è l’intenzione, il cuore del cuore.
Domanda: Se
avessimo appreso sin dall’infanzia questa modalità di pensiero,
che invece non ci è mai stata data né dalla famiglia né tantomeno
dalle istituzioni, forse tutto sarebbe più semplice, invece io
ascolto queste cose per la prima volta a sessantacinque anni!...
In
Tibet o in oriente in generale si insegna questo tipo di spiritualità
ai bambini? e la gente è realmente più serena, più felice?
Lama: Roberto,
tu che sei occidentale e hai viaggiato spesso nei paesi asiatici,
comunicaci la tua opinione.
Roberto: Io
penso che anche noi fino a non molti anni fa possedessimo le stesse
opportunità che oggi si sono perdute completamente. Non ho visitato
molti paesi, sono stato soltanto in Tibet, India e Nepal e ho avuto
l’impressione che le popolazioni che continuavano a vivere secondo
le loro tradizioni, non ancora raggiunte dalla modernità, avevano un
sistema equilibrato, calmo e naturale nella trasmissione delle
conoscenze, tra cui quella della vita.
Però,
in qualsiasi latitudine quando sopraggiungono i cambiamenti sociali
ed epocali, favoriti dalla globalizzazione inarrestabile,
inevitabilmente la tradizione si perde e si riproducono gli stessi
effetti che in modo macroscopico hanno contaminato l’occidente.
Intervento:
Dopo lo tsunami
del 2005, sono stata particolarmente colpita dalle dichiarazione
delle popolazioni sopravvissute, in particolare ricordo un ragazzo
che aveva perso tutto, casa, famiglia, e rispondeva al giornalista:
“probabilmente ciò è
dovuto al mio karma e dunque devo affrontare questa situazione che è
un insegnamento per me”.
Non so se si tratta di una posizione personale o se non esprima
invece il credo buddhista condiviso diffusamente, perché in realtà
anche qui ci sono stati casi analoghi, come quella dell’uomo che
aveva pubblicamente perdonato gli assassini della madre vittima di
uno scippo.
Intervento:
Io penso che molti valori, comportamenti corretti, si siano perduti a
causa dell’abbandono della religione nella società odierna, con un
conseguente rafforzamento di problemi mentali e turbe psichiche.
Intervento:
Tu parli di valori religiosi, ma l’etica, la morale, la solidarietà
appartengono al patrimonio universale dell’essere umano e sono
stati cancellati, eliminati dalla della tecnologizzazione estrema
della società moderna, oggi siamo tutti dei robot, abbiamo perso
ogni contatto con la natura.
Lama: A
quanto pare, come ripeteva spesso anche mia madre, valgono sempre gli
antichi e saggi proverbi e “tutto il mondo è paese”.
Continuo con la
lettura di alcuni brani del Libro tibetano dei Morti:
OM
Invocazione
per la liberazione nel pericoloso sentiero del Bardo
Saluto
rispettosamente la moltitudine di Guru,
Deva; Dākini.
Possa
il loro grande amore esserci di guida sul sentiero.
La guida, il
maestro, è l’Amore infinito, non un individuo, non un Dio
costretto entro la forma di persona, ma come puro, indicibile,
illimitato Amore.
Lo stesso Buddha
guida, soccorre, aiuta gli esseri umani con la sua immensa
compassione. La nostra guida è l’Amore universale.
“Ahimè,
mentre in preda alla profonda illusione,
Sto
vagando nella trasmigrazione,
Possano
i maestri della linea di trasmissione guidarmi
E
la moltitudine delle Dākini
loro compagne seguirmi,
Sulla
luminosa via, al di là di ogni distrazione,
Dell’ascoltare
l’insegnamento, della riflessione, della meditazione.
Chiedo
di superare il pericoloso sentiero dello spaventoso Bardo
E
di essere condotto allo stato di Buddha
Totalmente
perfezionato.”
L’illusione è il
primo, pesantissimo ostacolo che oscura la visione corretta della
realtà, ci fa procedere come se guidassimo un’auto nella fitta
nebbia, è l’approccio dualistico, la distinzione, la separazione
tra soggetto e oggetto.
Ascoltare
l’insegnamento, studiare, riflettere, entrare nel contesto
filosofico di ciò che si legge e infine praticare nella vita
quotidiana l’oggetto della riflessione, della meditazione,
significa imprimere senso alla vita, procedere nell’amore verso
l’Amore universale, altrimenti se si divaga nell’illusione, nelle
fantasie prive di radici, si procede a vanvera senza meta, come
automi, si lavora per lavorare, ma a quale scopo?
Se si perde la
propria umanità, se ci si abbandona ai sogni ad occhi aperti sulla
prossima ascesa al nirvana o al paradiso, non c’è più alcuna
speranza, né soluzione.
Se, oltre alle
attività ordinarie e necessarie, si continua imperterriti a riempire
le giornate fantasticando su mondi futuri, su rinascite paradisiache
e quant’altro non resta più il benché minimo spazio per la
meditazione, per la riflessione e per la comprensione consapevole
dell’esistenza.
In ogni caso, se non
c’è soluzione al problema è inutile adagiarsi nella speranza di
una soluzione che non c’è, ma almeno in questo caso è conveniente
imparare a rilassarsi.
Domanda: Scusa
Geshe, ma a questo punto come concili l’aspirazione con la mancanza
di speranza?
Lama: Lo
si può fare solo a livello personale, mai collettivo, soltanto
individualmente si può trovare in se stessi la risposta.
Domanda: Quindi
se si trova in se stessi la giusta aspirazione si trova anche la
speranza che quella si realizzi?
Lama: A
livello soggettivo tutto è possibile, nessuno può impedire o
bloccare le proprie aspirazioni e realizzazioni, ma a livello sociale
no, perché se anche aspirassimo collettivamente alla soluzione di
tutti i problemi oggi o domani, all’ottenimento dell’illuminazione
generale, questo non sarebbe oggettivamente fattibile, dunque non c’è
soluzione, non c’è speranza.
Domanda: Pur
prendendo atto della frenesia che ormai domina il mondo moderno, se
individualmente si affronta il necessario lavoro quotidiano con
consapevolezza in ogni piccolo atto, potrebbe essere questa
un’opportunità per comprendere maggiormente il valore del tempo e
imparare ad utilizzarlo al meglio secondo le proprie capacità?
Lama: Certamente,
parlando di mancanza di soluzione, di speranza, io intendo
sottolineare la potenza distruttiva di questo meccanismo globale che
stritola letteralmente la società moderna, solo individualmente è
possibile liberare sé stessi con determinazione, con calma, senza
fretta, passo dopo passo, nessuno può impedirlo, questa è l’estrema
raffinatezza della pratica del Dharma, di questo valore universale.
Domanda: Tra
la motivazione e la speranza ci può essere una differenza di base?
Cioè la motivazione è una spinta verso qualcosa, mentre la speranza
ha aspettative?
Lama: Sinceramente
non saprei, questa è una distinzione specifica della lingua
occidentale. La motivazione è aspirazione senza attaccamento
Domanda: Dunque
senza speranza?
Lama: Preferiamo
parlare di attaccamento, la grande illusione dell’attaccamento
radice nei confronti di qualsiasi elemento e verso se stessi. Se ci
liberiamo da questa illusione ogni azione è permeata dalla
motivazione, dall’intenzione.
Domanda: Geshe,
non so se ho capito bene, ma nel linguaggio occidentale la frase
“senza speranza” potrebbe essere davvero fraintesa e confondere
perché dà un messaggio di nichilismo assoluto, mentre il temine
forse più rispondente potrebbe essere “mancanza di aspettativa”,
cioè agire in modo completamente gratuito, senza attendere nulla in
cambio, con pura motivazione.
Lama: E’
possibile, voi conoscete le raffinatezze della lingua italiana.
Concludiamo questa
sessione recitando la preghiera di dedica.
Amore Universale e Grande Compassione
Iniziamo la giornata
con una meditazione in totale rilassamento, due fattori
inscindibilmente collegati.
Il
rilassamento nella meditazione non è un frutto di oscurazioni
mentali, bensì della consapevolezza rigenerante di corpo, respiro e
mente, Nel-So.
(segue
meditazione)
E’ stata una buona
meditazione?
Non ci soffermeremo
oggi sul significato delle tecniche e dei modi di meditare che
abbiamo già affrontato. La guida maestra che conduce la meditazione
è l’intenzione e la motivazione che devono essere completate con
l’obiettivo che si intende ottenere.
L’intenzione e la
motivazione sono la Grande Compassione e l’Amore Universale e il
risultato da raggiungere consiste nella realizzazione della Grande
Compassione e dell’Amore universale.
Il significato della
parola Dharma è Amore universale, Grande Compassione.
Il punto di partenza
è uno: la Grande Compassione, l’Amore Universale, il punto di
arrivo è uno: la Grande Compassione, l’Amore Universale, e il
sentiero che conduce alla realizzazione è uno: la Grande
Compassione, l’Amore Universale.
L’energia che
produce il movimento, che lo alimenta e porta alla maturazione del
frutto è la consapevolezza. All’inizio vi è la consapevolezza
della motivazione, dell’intenzione di procedere nella direzione di
amore e compassione; durante il percorso vi è la consapevolezza
della via di compassione e di amorevole gentilezza; e alla fine vi è
la consapevolezza del risultato ultimo, l’Amore Universale e la
Grande Compassione.
Il
miglior amico che ci accompagna e protegge in tutto il percorso della
vita è Sati,
la consapevolezza. Letteralmente il termine Sati
significa amico, compagno, e non a caso con questa parola si
definisce la consapevolezza.
Sati
è la consapevolezza che protegge il proprio cuore, il proprio
Dharma, non sono necessarie armi, la miglior difesa è Sati,
il cuore del cuore, la
consapevolezza, l’osso nel cuore che realizza il cuore di diamante,
il cuore vajra, il cuore indistruttibile.
Non servono
sofisticati interventi chirurgici per rinforzare il cuore, lo si può
fare solo tramite la meditazione con cui si raggiunge la pace senza
nessun rischio, questa è la saggezza antica, la saggezza innata, la
saggezza non-nata, già presente da tempo senza inizio, dono
dell’universo.
Nell’istante
stesso della nascita su questo pianeta, in questo universo, ci è
offerto tale inestimabile dono di benvenuto, tanto dolce e
meraviglioso che spaventa, si teme possa essere eccessivamente
potente per le proprie forze e si accampano infinite scuse per
respingerlo: “io non
potrò mangiarne è troppo zuccherato, sono diabetico…, ho la
pressione alta…., sono in sovrappeso…, e così via”,
ma una tale preclusione, il rifiuto di un bene così immenso è
veramente triste.
Tutto è a portata
di mano se solo sapessimo accettarlo, il Dharma, l’illuminazione ci
sono offerti gratuitamente, ma noi abbiamo paura e preferiamo voltare
le spalle a queste ricchezze incommensurabili che temiamo possano
essere eccessive per noi.
Per superare i
timori, le paure, la confusione, l’incomprensione, è
indispensabile la consapevolezza, unico mezzo in grado di rafforzare
il cuore vile trasformandolo in un cuore vigoroso capace di
accogliere il Dharma in tutta la sua potenza, immensità, profondità.
L’invocazione per
la liberazione descritta nel Libro tibetano dei morti mostra le otto
fondamentali oscurazioni mentali, gli ostacoli che ci rendono schiavi
nella prigione da noi stessi edificata:
“Mentre
in preda alla profonda
illusione,
Sto
vagando nella trasmigrazione
Mentre
in preda alla rabbia
feroce,
Sto
vagando nella trasmigrazione
Mentre
in preda al forte
orgoglio,
Sto
vagando nella trasmigrazione
Mentre
in preda al forte
attaccamento,
Sto
vagando nella trasmigrazione
Mentre
in preda alla feroce
gelosia,
Sto
vagando nella trasmigrazione
Mentre
in preda alla profonda
ignoranza,
Sto
vagando nella trasmigrazione
Mentre
in preda alle intense visioni
illusorie,
Sto
vagando nella trasmigrazione
Mentre
in preda alle forti tracce
karmiche,
Sto
vagando nella trasmigrazione”
Con queste otto
roccaforti pensiamo di poter fuggire dalla responsabilità di
accogliere l’illimitato dono dell’Amore Universale, e non ci
accorgiamo nemmeno che in questo modo ci auto-priviamo di ogni
libertà, siamo prigionieri in casa nostra.
Quali rimedi
contrapporre a simili macroscopici errori?
Il primo rimedio per
contrastare la profonda illusione, consiste nell’intraprendere la
luminosa via di consapevolezza, al di là di ogni distrazione,
imparare ad ascoltare l’insegnamento, la riflessione, la
meditazione.
Il secondo rimedio
riguarda l’essere guidati sulla via di luce della chiara saggezza
dello specchio, è chiaro il concetto?
Risposte: No.
Questo è il rimedio
da contrapporre alla rabbia feroce, sarebbe troppo complesso
addentrarci nella spiegazione filosofica ma, rimanendo su un piano
concreto in un’interpretazione delle scritture diretta, semplice e
dunque molto efficace, fate questo esperimento: quando siete
sopraffatti dalla rabbia feroce, assolutamente devastante, è inutile
tentare di praticare la pazienza o altre tecniche, peggiorereste la
situazione, invece guardatevi allo specchio, ciò che vedete vi
spaventa talmente che l’emozione distruttiva scompare all’istante,
non ha più spazio alcuno, perché voi stessi non riconoscete la
bruttezza che vi è riflessa.
Questi rimedi sono
la scorciatoia del Dharma, gli effetti immediati, Māhamudhrā, il
grande sigillo, la via efficace diretta.
Il rimedio al forte
orgoglio consiste nel percorrere la via di luce della chiara saggezza
dell’uguaglianza. Tutta la realtà, ogni essere vivente, è
perfettamente uguale.
Il rimedio al forte
attaccamento consiste nell’affrontare la via di luce della chiara
saggezza discriminante. Mi rendo conto come non sia così facile
capire questo concetto anche se ne abbiamo già accennato ieri
affrontando l’ostacolo dell’attaccamento radice al proprio sé,
attaccamento che induce una separazione, uno sdoppiamento di questo
sé e, invece di liberarlo, si dissipa in una inarrestabile quanto
inutile lotta del sé contro il sé.
Il rimedio alla
feroce gelosia è posto nella via di luce della chiara saggezza che
realizza le azioni, è chiaro?
Risposte: Assolutamente
no!
Cerco di esporvi la
mia interpretazione, la forte gelosia è un’azione che porta sempre
risultati estremamente negativi. In questo caso si parla di gelosia o
invidia feroci, intense, devastanti, non di una situazione ordinaria
e la saggezza dell’azione consiste nel riconoscere il peso di
quest’azione che genera effetti disastrosi, terribili, e tragici,
innescando un meccanismo di peggioramento inarrestabile. Di fronte a
forte gelosia, invidia, è necessario esaminare l’azione che la
produce e le sue conseguenze incontrollabili.
Il
rimedio alla profonda ignoranza è nella via di luce della chiara
saggezza dei Dharmadhātu.
Cos’è il Dharmadhātu?
È lo spazio della
realtà assoluta, ultima, è la profonda realtà dei fenomeni.
L’ignoranza
stabilisce i fenomeni sulla base di una visione superficiale e
distorta, ci mantiene bloccati nella sua staticità e non ci permette
di vedere il percorso, tutto è immerso in una fitta nebbia così non
osiamo procedere oltre la superficie, mentre la saggezza è limpida,
supera, va oltre il primo apparente impatto e ci mostra il sentiero
che si addentra nella profondità della conoscenza vera.
Il concetto di
Dharmadhātu non è facilmente spiegabile, ma è espresso
meravigliosamente con grande chiarezza, nel sūtra cuore, il sūtra
della perfezione della saggezza.
Il rimedio alle
intense visioni illusorie è la via di luce, dell’abbandono delle
apparizioni distorte, paurose e terrifiche.
Il rimedio alle
forti tracce karmiche è la via di luce della chiara saggezza innata.
Qui il livello è ancor più sottile, tocca la radice delle
difficoltà e dei problemi che ci condizionano, le forti tracce
karmiche, e l’unico rimedio consiste nel ritrovare la luce della
saggezza innata, ultima, la mente che non è mai nata e mai morrà e
dimora nello spazio infinito senza tempo dell’Amore Universale,
della Grande Compassione che tutto unifica e comprende.
La nostra mente
ordinaria invece è talmente confusa da essere assolutamente
incapace di cogliere la grandezza dell’unità infinita ed equanime
della Chiara Luce di Saggezza, di Dio, dello Spirito Santo, ed è
costantemente occupata nella ricerca delle differenze, delle
divisioni, quasi l’unico scopo fosse quello di separare, di
etichettare e richiudere entro confini statici ogni fenomeno ed
espressione cristianesimo, buddhismo, Dio, Buddha…
Le otto emozioni che
esigono questi rimedi non sono le normali reazioni con cui ci
confrontiamo ogni giorno e che non possono essere eliminate
completamente in quanto parte integrante della vita umana, infatti il
testo sottolinea in modo inequivocabile le peculiarità distruttive
di forza, ferocia e potenza di cui sono impregnate.
Nella
condizione umana la perfezione non esiste, pensare di ottenerla
sarebbe l’ennesimo inganno, per questo Buddha ha raccomandato di
rimanere, senza vacillare, nella via di mezzo in cui un certo grado
di illusione, di rabbia, di orgoglio, di attaccamento, di gelosia, di
ignoranza, di visioni illusorie, di tracce
karmiche, può
diventare utile e necessario alla crescita umana.
Domanda: Quindi
se io moderatamente vivo tutte queste emozioni, va bene?
Lama: Così
è la vita, e dunque perché correre, agitarsi dietro i fantasmi?
Restare calmi, rilassati e camminare serenamente nella via di mezzo
del Dharma è ciò che possiamo e dobbiamo fare, null’altro. Il
Dharma è Spirito Santo, è spazio infinito, include ogni fenomeno e
imprime senso alla vita.
Nel
sūtra del cuore è chiara la spiegazione di questo incommensurabile
valore: “La
forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che
forma, la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono
vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la
coscienza. Quindi, Shariputra, tutti i fenomeni sono vacuità; essi
sono privi di caratteristiche peculiari; non sono nati, non cessano;
non sono contaminati, non sono incontaminati; non sono incompleti e
non sono completi.” Vuoto
non significa essere privo di senso, al contrario, il senso è
proprio in questa sua essenza.
Domanda: Geshe,
scusa, se possiamo avere moderatamente tutte queste otto emozioni, a
che ci serve l’equanimità che ci sforziamo di comprendere e
attuare da decine di anni di pratica e di studio?
Lama: Equanimità
è la via di mezzo.
Domanda: Ma
l’equanimità non è solo equilibrio, riguarda la trasformazione di
questi difetti, alla gelosia si contrappone la sensibilità,
l’empatia, perché altrimenti se io mi giustifico e mi consento di
restare moderatamente gelosa, arrabbiata, ecc. non comprendo più il
significato di tutto il lavoro fatto per modificare me stessa, tu mi
stai distruggendo venti anni di pratica!..
Lama: Io
mi riferisco a quel grado di gelosia, di attaccamento, e quant’altro
che hanno in sé un aspetto di positività in quanto aiutano a
crescere umanamente, ci vuole indubbiamente notevole talento e ottima
intelligenza per riconoscere queste capacità e trasformare
attitudini in sé negative in potenziale positivo.
Non a caso ho voluto
sottolineare la prerogativa di questo testo che apposta pone
l’accento inequivocabile sulle attribuzioni estreme di ognuna di
queste emozioni: la feroce rabbia, e non la rabbia ordinaria, il
forte attaccamento, e non quello ordinario, e così via. Le emozioni
così potenti e distruttive necessitano di uno specifico rimedio per
essere riportate ad una dimensione di normalità.
Le affermazioni,
apparentemente perentorie, che troviamo nelle scritture e negli
insegnamenti di insigni maestri che indicano la necessità di
sradicare in modo assoluto l’ignoranza, la collera, l’attaccamento
credo siano frutto, o almeno questa è la mia interpretazione, di
traduzioni errate, di fraintendimenti, perché nella condizione
umana, samsarica, questo significherebbe porsi un obiettivo
impossibile e la volontà di attuarlo ad ogni costo otterrebbe
esattamente il risultato opposto e invece di un beneficio si produrrà
un grande danno.
Purtroppo non
mancano i casi di persone che, animati dalle migliori intenzioni, si
tuffano nell’impresa di raggiungere l’illuminazione nel più
breve tempo e si dedicano completamente a questo intento leggendo,
studiando, praticando in un ritiro di tre anni o più, e alla fine di
questo periodo tutto si conclude con il suicidio.
Questo è successo
non solo in occidente, ma anche in Tibet, perché un simile
obiettivo, al di là delle capacità e possibilità umane, ha
potenziato all’estremo la grande, l’immensa, illusione, per cui
il risultato non è stato quello auspicato di liberazione, bensì il
suo esatto contrario, l’autodistruzione.
Mi
piace molto questa edizione del libro tibetano dei morti perché è
particolarmente precisa, è stata tradotta in italiano direttamente
dal sanscrito, senza ulteriori passaggi, e gli aggettivi con cui
definisce ogni emozione sono determinanti, fondamentali alla
comprensione del significato più compiuto.
Domanda: Vorrei
sapere se ho capito bene la questione: se conviviamo con le emozioni
che definiamo naturali, non eccessivamente potenziate dal nostro ego,
possiamo essere tranquilli e magari anche goderne? Poiché ad esempio
un poco di gelosia può significare anche affetto e quindi essere
piacevole…
Lama: Questo
è essere nella normalità, se non provassimo più alcuna emozione
sarebbe davvero preoccupante, avremmo perso qualcosa di essenziale
della nostra umanità.
Intervento: Però
Geshe, io non credo che identificare il fine da raggiungere nel
doversi liberare completamente da queste emozioni, come indicato nei
testi, sia frutto di traduzioni errate o di fraintendimenti, perché
mi pare logico che venga stabilito, senza scappatoie, l’obiettivo
ultimo. Per quanto riguarda la sua realizzazione invece è
indiscutibile che in quanto esseri umani non dobbiamo mai perdere la
sana consapevolezza di poter semplicemente andare verso, avvicinarci,
allo scopo finale, non raggiungerlo. Camminiamo per purificare il
nostro ego, per modificare nella via di mezzo, giorno dopo giorno,
l’attitudine mentale e così trasformare almeno un po’ le
negatività, in potenziali positività.
Intervento:
Quindi il Buddha è il massimo della moderatezza, ha una gelosia
moderata e tutto il resto….
Intervento:
No, un attimo, non
si tratta di gelosia moderata o di altro…
Lama: il
Buddha non è una statua, un idolo, è stato un essere umano
assolutamente normale vissuto più di ottant’anni, la differenza
tra lui e noi è nella rinuncia, nella grande rinuncia.
Di
solito la gente chiede cosa significhi essere monaco, sādhu, bikshu,
e ognuno reinterpreta a piacere ciò che pensa di aver compreso,
alimentando così la propria confusione, mentre la spiegazione è
semplicissima, sta in un’unica parola: “vivere
nella rinuncia”.
Ciò
che fa la differenza è rinuncia o non rinuncia, la stessa povertà
non implica automaticamente di dover diventare dei barboni, la vera
distinzione è determinata dal nel modo in cui la si vive, nella
rinuncia o meno. E lo stesso vale per le qualità di obbedienza e
castità.
Nella
rinuncia viene naturalmente a mancare ogni possibilità di formazione
delle potenti emozioni distruttive nelle loro espressioni estreme,
nella rinuncia questo spazio non esiste più.
Nella
rinuncia possiamo concretamente tendere alla realizzazione di ciò
che è nelle nostre possibilità, che è già nel nostro cuore, non
un’illuminazione astratta di cui non conosciamo nulla, bensì
l’Amore Universale, la Grande Compassione.
Se non si opera
questa rinuncia interiore si rischia di identificarsi in rassicuranti
etichette vuote, e allora ci si definisce orgogliosamente buddhisti,
cristiani, atei…e dunque si reputa doveroso studiare i testi, i
rituali, prendendo tutto esattamente alla lettera, senza minimamente
calarli nel contesto culturale e temporale in cui sono stati dati, in
questo modo la confusione e il malinteso sono totali e tutto diventa
estremamente pericoloso.
Al
primo approccio con il mantra di Avalokiteśvara, “Om
Mani Padme Hum”
immancabilmente gli occidentali chiedono di conoscere traduzione di
ogni sillaba, cosa assolutamente insensata, è il mantra della
compassione e il significato è in sé, la mia mamma che lo ripete
ininterrottamente da tutta la vita non si è mai posta nemmeno il
pensiero di una simile domanda, sa che è invocazione di compassione
e questo è più che sufficiente, non occorre altro.
Domanda: Geshe
per favore puoi chiarire meglio il senso della rinuncia, perché a
noi è chiaro ad esempio il concetto della povertà radicale di San
Francesco, ma ci sono altri aspetti indubbiamente, quali?
Lama: La
rinuncia è la mente di non attaccamento. Non nega in modo assoluto
l’attaccamento, che in tal caso aumenterebbe a dismisura in modo
incontrollato, ma implica l’attitudine mentale alla rinuncia, al
non attaccamento. Ritorniamo al concetto della saggezza discriminante
che accoglie l’attaccamento utile e si allontana da quello dannoso.
Intervento:
Ad esempio l’attaccamento dei genitori verso i figli è utile.
Intervento:
No, non sempre, a
volte può essere estremamente dannoso.
Intervento:
Se io agisco non per
il bene di mio figlio, ma per realizzare in lui le mie aspirazioni,
le mie aspettative, alimento solo il mio ego e produco un
attaccamento indubbiamente negativo, se invece opero essenzialmente
per il suo bene, che a me piaccia o no, ho un attaccamento positivo.
Intervento:
Quello è accudimento,
non attaccamento.
Intervento:
Io credo che tutto
debba essere riportato al concetto dell’uno che c’è in noi e che
quando si sdoppia crea conflittualità, come avviene nelle emozioni,
un aspetto è troppo forte e devastante mentre un altro è moderato,
Il male e il bene sono una costante presente nella vita di ognuno,
dunque l’equilibrio può essere trovato soltanto nella via di
mezzo, il due deve ritornare all’uno, ma lo può fare solo nella
via di mezzo.
Lama: Certo,
il concetto è sottile, a livello psicologico e pratico nella vita
quotidiana incontriamo difficoltà, e anche analizzando la questione
sul piano filosofico non siamo certo facilitati nella comprensione di
questi fenomeni, della collaborazione dell’attaccamento con il non
attaccamento.
La
via di mezzo non significa “compromesso”, ma “via nel perfetto
equilibrio”.
La
prima difficoltà è il saper riconoscere e stabilizzare a livello
filosofico la giusta condizione di equilibrio nelle emozioni umane;
la seconda complicazione è sul piano psicologico, non c’è una
situazione uguale per tutti, per cui ognuno deve poter valutare ciò
che è meglio per la propria maturazione personale. Partendo da
queste due basi ognuno deve portare nella vita effettiva, quotidiana,
le acquisizioni interiori, sia per se stesso che nelle relazioni con
gli altri e in tutti passaggi, di approfondimento filosofico, di
conoscenza psicologica e di attuazione pratica è fondamentale la
presenza di consapevolezza e meditazione. Non è necessario
rincorrere realizzazioni straordinarie, nella normalità, nella
tranquillità, la qualità spirituale cresce naturalmente.
Domanda: Vorrei
essere sicura di aver ben capito il significato della rinuncia, ad
esempio rinuncia alla ricchezza non implica diventare poveri
materialmente, ma è la rinuncia all’attaccamento, al rapporto che
noi abbiamo con la ricchezza, o anche con la povertà, è così?
Lama: Si.
Domanda: Vorrei
conoscere la sua esperienza personale, nella meditazione lei
visualizza immagini e succede spesso? E poi, è indifferente la
presenza o meno di immagini nella meditazione o deve essere
considerata parte integrante della stessa? Perché per me è una
notevole facilitazione.
Lama: Il
tipo di meditazione è conseguente all’obiettivo che ci prefiggiamo
e che va oltre la meditazione stessa, questo è un punto essenziale,
perché la meditazione è consapevolezza e rilassamento. L’uso
della visualizzazione varia da persona a persona, se rende più
facile la meditazione va benissimo, come in caso contrario lo è la
sua assenza.
Domanda: Tu
prima hai ribadito che noi sbagliamo perché prendiamo tutto
letteralmente e dunque cadiamo nel dogmatismo, nella separazione, è
un fatto culturale?
Lama: Il
problema principale non è culturale, è il peso che con le parole
imponiamo alla concezione spirituale e religiosa fuorviando, creando
profonde illusioni. Se ad esempio qualcuno ci dice che
l’illuminazione è questa… così e così… e lo si prende alla
lettera, non si può che sbagliare clamorosamente perché nessuno
qui, nella condizione samsarica, sa cosa sia l’illuminazione, può
immaginarla, fare ipotesi, ma non proporla come dogma da acquisire
senza discutere, questo è l’ostacolo macroscopico che produce
tanti equivoci.
La
formulazione del desiderio di voler raggiungere l’illuminazione al
più presto, se presa letteralmente si snatura, perché non esprime
altro che una preghiera che deve essere posta nel livello spirituale
e mai letterale, da questi errori nascono le peggiori illusioni.
La
mia mamma da mattina a sera recita il mantra “Om
Mani Padme Hum” come
preghiera del cuore, non ha mai pensato in tutta la sua vita di
doverlo fare per raggiungere l’illuminazione al più presto
possibile, la sua è una disposizione aperta accogliente,
compassionevole, amorevole, generosa, priva di qualsiasi calcolo,
aiuta e fa bene a lei stessa e agli altri.
Le
letture, gli studi, devono servire per crescere, maturare, non
certamente per essere considerati la verità unica e assoluta.
Il
buddhismo e tutte le religioni sono fondate sulla fede che si esprime
nelle preghiere meravigliose che favoriscono l’approccio alla
spiritualità, ma che mai devono essere considerate nella loro
espressione letterale.
Le
preghiere buddiste e quelle cristiane sono tra loro molto simili
perché esprimono amore e compassione seppur con parole diverse, e in
nessun caso potrebbero essere esaminate secondo la dicitura
letterale, come vorrebbero le correnti più bigotte e fondamentaliste
presenti in tutte le tradizioni, perché in questo modo verrebbero
private del loro senso più vero e profondo.
Oggi
nella concezione del capitalismo si vuole concretizzare ogni
elemento, realizzarlo materialmente, anche ciò che riguarda lo
spirito riducendone il senso unicamente all’aspetto apparente,
superficiale, perdendo completamente la visione del contenuto che va
oltre la parola.
Invece
è necessario approfondire il significato della preghiera nel
contesto e nelle condizioni in cui è stata formulata, cogliendone
l’essenza nascosta e autentica, questo è l’unico modo per
trovare l’equa misura di giusto attaccamento, giusta rabbia, giusta
gelosia, giusto orgoglio, giusta illusione, giusta ignoranza, giuste
tracce karmiche, ritorniamo sempre alla necessità della via di
mezzo.
Se non ci sono altre
domande possiamo concludere, grazie a tutti per la vostra presenza e
per il tempo che avete dedicato a questo incontro che, indubbiamente,
è il risultato di tracce karmiche positive.
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