Il senso della morte
SARDEGNA 2010
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Sabato mattina
L’essenza dell’umanità
L’argomento che tratteremo in questo weekend, il senso della morte, non sarà facile, e per poterlo comprendere dobbiamo innanzitutto partire dalla considerazione che tutti gli esseri umani sono uguali nella loro esistenza che evolve sulla base di quattro condizioni fondamentali: nascita - crescita e vecchiaia - malattia - morte, che tutti condividono in egual misura senza distinzioni di ceto, di genere, di razza.
L’essenza dell’umanità intera, ogni evento, si esprime nell’ambito di queste quattro fasi a cui nessuno può sfuggire.
Secondo l’opinione corrente sembra facile e banale sapere cosa siano nascita, vecchiaia, malattia e morte, si manifestano palesemente ad un livello superficiale, però oggi abbiamo la possibilità di analizzare più in profondità il significato di ognuna di queste fondamentali tappe grazie ai tanti strumenti a disposizione, scientifici, filosofici, spirituali, culturali.
La riflessione sulla comune condizione umana è la prima forma di meditazione; è necessario rimanere ancorati a questa realtà, ad iniziare dell’evento fondamentale della nascita, un momento traumatico, forte, di cui non ricordiamo nulla e diamo per scontato, mentre invece preferiamo sprecare tempo ed energie nella inutile ricerca di ipotetiche esistenze passate, ottenendo l’unico risultato di incrementare la confusione mentale.
L’esperienza della nascita, così importante e immediatamente dimenticata, è unanimemente condivisa da tutti gli esseri in totale equanimità, e solo artificiose costruzioni di cartapesta sul piano sociale, economico, culturale, religioso, creano fratture dolorose e ingiuste in una proiezione fasulla della realtà.
Se non comprendiamo la nostra essenza nell’unità, vicinanza, identità, rinunciamo alla dignità umana, ci perdiamo in un isolamento drammatico assolutamente sterile, doloroso, confuso e, storditi dalla paura, ci barrichiamo dietro la porta blindata di una falsa sicurezza negando a noi stessi la naturale conoscenza della nostra autentica umanità aperta e gioiosa nella fraternità, nell’amore universale in cui è possibile percepire la Divinità del tutto, esserne compartecipi in una infinità gioia, apertura mentale, flessibilità, nella serenità della vera sicurezza.
Stiamo vivendo in un’epoca molto difficile, l’ipertecnologia ci condiziona pesantemente, ed è importante non abbassare la guardia, ma vigilare con estrema intelligenza sull’incommensurabile valore della propria umanità.
La vita è sofferenza, questo è stato il primo insegnamento del Buddha, il dolore è conseguente alle quattro inevitabili fasi dell’esistenza - nascita, malattia, vecchiaia, morte - e con la consapevolezza di tale indiscriminata condivisione è possibile sviluppare quel principio fondamentale, tradotto nelle lingue occidentali con la parola “rinuncia”, termine che però non corrisponde esattamente all’interpretazione più completa, la rinuncia implica anche semplicità, umanità nuda.
Gli esseri umani oggi sono complicatissimi, così come ogni elemento della vita, questo è il problema, gli uomini primitivi invece erano semplicissimi a qualsiasi livello, fisicamente, mentalmente, esistenziale, alimentare.
L’unica possibilità per uscire dalla complessa condizione dell’esistenza moderna è imparare a semplificarsi, a lasciar andare, a liberarsi tramite la rinuncia.
Noi siamo abilissimi nel complicarci l’esistenza, nel renderla difficilissima, mentre sarebbe naturale e facile semplificarla, perché questo è l’unico mezzo che ci permette di viverla pienamente godendone ogni aspetto.
Nel linguaggio occidentale l’affermazione del Buddha : “La vita ha natura di sofferenza” sembra bruttissima, mentre in realtà non lo è affatto, al contrario, include tre aspetti distinti ed essenziali che nel canone pali sono precisati distintamente: - dukkha, anicca, anattā - dukkha è la sofferenza, il dolore; anicca è l’impermanenza riferita ad ogni aspetto del’esistenza, sia gioioso che penoso; anattā è l’assenza di un sé, essere privi di ego.
Nella vita siamo torturati da tre devastanti fraintendimenti: il primo è una falsa interpretazione che ci mostra la sofferenza mascherata da felicità; il secondo invece ci fa credere che ogni evento possa essere permanente, mentre nulla lo è; e infine, il terzo, è la concentrazione totale e primaria su un potentissimo EGO che, pur non avendo alcuna autonoma consistenza, è il nostro padrone assoluto a cui ci sottomettiamo come schiavi, è l’unico dio a cui ci prosterniamo incondizionatamente assecondando ogni suo desiderio, giorno e notte.
Questi tre inganni rappresentano concretamente una dolorosa tortura psicologica che, se incontrollata, è inesauribile, si riproduce e auto-incrementa all’infinito come metastasi.
Soltanto eliminando tutti questi strati di confusione e menzogna che ci portano sempre più lontano e ricercando in noi stessi la vera felicità siamo in grado di godere con autentica gioia della realtà nella sua natura semplice, impermanente, priva di ego.
Questo è il concetto buddhista di rinuncia che porta ad uno stato di serena, tranquilla, immutabile gioia nel processo della conoscenza profonda di se stessi.
Conoscere se stessi è conoscere Dio, Buddha, Cristo, se non si conosce se stessi è impossibile conoscere gli altri, questo è certo, e la meditazione è essenziale per trasformare il proprio cuore e raggiungere la coscienza della propria vita, è la chiave che apre la porta interiore.
Come diceva Krishnamurti, spirito davvero eccelso, “io sono il mondo, il mondo sono io” annullando così ogni dualismo, ogni separazione artificiosa tra “…IO e gli altri…” e affermando il principio della grande compassione, dell’amore universale, il principio dell’universo.
Noi cerchiamo inutilmente di difenderci da presunti ostacoli alla realizzazione della felicità e ci barrichiamo in fortezze inespugnabili con l’illusione di essere al riparo da ogni attacco, senza renderci conto che la sola sicurezza per la crescita umana è la sofferenza.
L’unico impegno di ogni essere umano consiste nella conquista della qualità della propria vita, trasformando il cuore, l’atteggiamento interiore, solo così il sapore dell’esistenza sarà diverso, carico di gioia, tutto intorno sarà cambiato, migliore, perché il tutto è corrispondente all’attitudine di ognuno.
Dukkha, anicca anattā sono i principi dell’esistenza, li troviamo in ogni religione, Gesù Cristo ne è la dimostrazione, solo in essi acquistano intenso significato la sua vita, morte e resurrezione.
L’umanità intera, indipendentemente dalle radici, dalla cultura, dalla religione, dalle diverse circostanze, condivide in assoluta equanimità la stessa natura in nascita - malattia - vecchiaia - morte. Le innumerevoli discussioni filosofiche, le divisioni religiose, le discordie di ogni genere sono soltanto problemi, ostacoli, fraintendimenti che allontanano dalla propria effettiva realizzazione umana.
Dharma, Spirito Santo, e altri termini ancora, esprimono l’essenza del valore universale nello spazio infinito, il profondo, il solo prezioso tesoro di ogni essere umano. Questo è lo scopo della vita e meditare significa proprio riflettere e introiettare la verità che le quattro fasi dell’esistenza: nascita, malattia, vecchiaia e morte pongono in essere nella natura di dukkha, anicca, anattā. Da qui sorge automaticamente la naturalezza della rinuncia, la vita è semplice.
Un altro aspetto da considerare è rappresentato dalle illimitate qualità intrinseche a ognuna di queste quattro fasi di esistenza.
Noi non verremmo mai ammalarci, abbiamo paura di invecchiare e siamo così terrorizzati dalla morte che non se ne può nemmeno parlare. L’unica realtà che accettiamo volentieri è la nascita e ne festeggiamo la ricorrenza ogni anno, ma è una contraddizione assoluta, perché tutte quattro sono tra loro inscindibilmente correlate e interdipendenti.
La paura germoglia dall’ignoranza e ci impedisce di vivere, e allora mi chiedo: - a che serve non vivere oggi perché preoccupati di cosa potrebbe accadere domani? -
L’assenza di una meditazione analitica, di una precisa diagnosi, ci blocca come statue inerti nello stato di non conoscenza che si traduce in un continuo giro intorno a fantasmi.
Vivere pienamente il momento presente, qui e ora, è fondamentale, tutto il resto è davvero insensato, se non sappiamo vivere pienamente l’oggi siamo già morti. Dobbiamo riflettere ininterrottamente su questo punto.
Domanda: Però nella vita di ogni giorno siamo costretti a correre, il lavoro, la famiglia, impegni necessari che occupano tutto il tempo….
Lama: Hai ragione, è una situazione concreta, reale che deve essere presa seriamente in considerazione, ma esiste in ogni circostanza la possibilità di occuparsi di tutto senza affanno, senza correre, l’importante è programmare ciò che si deve fare con calma, tranquillamente, con organizzazione esteriore ed interiore.
Domanda: Tu prima parlavi di semplicità e di rinuncia, e riflettevo sul fatto che forse per vivere consapevolmente ogni giorno è necessario inserire questi due aspetti essenziali in ogni attività…
Lama: Va bene.
Concludiamo questa prima parte con una breve sessione formale di meditazione, vivendo pienamente questo momento, rilassiamoci completamente in corpo e mente, troviamo una posizione confortevole e libera. Lasciamo andare i pensieri e osserviamo il ritmo del respiro calmo naturale. Il terzo passo consiste nell’osservare la nostra mente-cuore, tutto distintamente unito.
(segue meditazione)
Sabato pomeriggio
la vita è meditazione, karma yoga
Questo seminario è significativo per noi, qui e ora, e dobbiamo concretamente realizzare qualcosa, altrimenti sarebbe inutile, il mondo moderno vanifica il significato di qualsiasi evento, tutto è vissuto inconsapevolmente soltanto a livello materialistico e si trasforma soltanto in crisi economica, sociale, morale, spirituale.
L’unica possibilità di riscatto dell’essere umano si trova nella presenza mentale posta in ogni preciso istante e con cui si nutre la capacità dell’esistenza radicata nel cuore, nella mente, nell’anima, nello spirito, con ricchezza di gioia, di soddisfazione, di serenità, finalmente liberata dal quel tiranno soverchiatore che è l’EGO a cui ci aggrappiamo con tanta cocciuta determinazione.
Come si dice nel linguaggio vedantico la vita è meditazione, karma yoga, non può essere soggetta ad alcun padrone, può realizzarsi solo nello spazio infinito.
Il nostro agire deve essere puro, naturale, spontaneo, la purezza umana, della personalità, della mente, del cuore è assai più importante della sostanza.
La purezza della mente e del cuore porta alla leggerezza, alla flessibilità, alla tranquillità, alla pace, all’integrazione, all’amicizia, alla condivisione, comprende tutto, è un dono di nascita che deve essere accudito, coltivato, nutrito.
La natura della mente è assolutamente pura, però le circostanze esteriori, i condizionamenti del mondo, sono agenti inquinanti che tentano senza sosta di prevaricare e a cui è necessario opporre adeguati strumenti di protezione.
Alla nascita la mente umana è limpida, cristallina, non inquinata, l’illuminazione non è un evento fantastico che arriva dall’alto, la qualità della purezza è già presente, è innata, risiede nello stato originale.
Meditiamo ora sulla purezza originaria della mente, la meditazione è una forma di rilassamento consapevole in corpo mente e spirito.
(segue meditazione)
Vi siete rilassati completamente? Nella meditazione è possibile addormentarsi e sognare, persino entrare in uno stato ipnotico; nello stato di veglia i nostri sensi sono attivi, distratti nelle varie attività, mentre nel rilassamento meditativo i sensi rientrano nell’interiorità e si concentrano nei punti energetici, i chakra, iniziando dalla testa per scendere poi sempre più in basso, quando giungono a metà strada, nel chakra del cuore, è possibile addormentarsi e sognare. Il sogno è un fenomeno interessante, si entra in un altro mondo, né falso né vero, come se vivessimo una vita alternativa.
La vita umana è estremamente complessa, e tutti i suoi aspetti, il sonno, il sogno, la veglia, possono essere vissuti - con o senza - consapevolezza, questa è la vera distinzione radicale che ne determina la qualità.
Il vero problema dell’esistenza non è nell’inevitabile morte, ma nella capacità di vivere ogni istante consapevolmente, oppure nel lasciarlo passare senza nemmeno accorgersene, come se concretamente non esistessimo.
Domanda: Ma se io faccio una gran fatica a mantenere un po’ di consapevolezza già durante la veglia, come posso farlo nel sonno?
Lama: È impossibile, l’illusione, la confusione umana è infinita e dunque è necessario prima di tutto cercare di mettere un po’ di ordine in questo caos, per questo la meditazione nello stato di veglia è il primo fondamentale passo, che solo in un secondo momento potrà essere portata nel sonno e poi nel sogno. Ogni stadio dovrà essere consapevole. La consapevolezza maturata nel momento in cui si entra nel sonno è molto simile alla consapevolezza del passaggio nella morte.
Domanda: Vorrei essere sicura di aver capito bene. Tu dici che è necessario mantenere attiva questa coscienza quando siamo svegli e nel passaggio dalla veglia al sonno e che questa esperienza è molto simile a ciò che avverrà al momento della morte?
Domanda: Ma c’è un modo per prepararsi alla morte?
Lama: Il kit completo non c’è, soprattutto non possono funzionare le fotocopie di metodi che fondano su altre tradizioni, ognuno deve vivere coscientemente la propria esperienza interiore secondo le radici della propria cultura, tradizione, formazione religiosa. E’ necessario scavare in sé stessi e cercare la propria natura pura, nella consapevolezza della meditazione che è costante forza, pace, tranquillità e
Che, praticata quotidianamente con regolarità, trasformerà realmente il senso della veglia come del sonno rendendo ogni istante autenticamente vissuto nella gioia e senza dispersive tensioni.
Domanda: Ma, concretamente, come è possibile applicare la consapevolezza ininterrottamente? Per noi occidentali è proprio un approccio nuovo e si abusa di questo termine, forse è necessario semplicemente esercitarsi piano piano con la meditazione, cercando di essere sempre presenti a se stessi...
Lama: Certo, è necessario non forzare, senza esagerazioni, iniziare un poco alla volta, si tratta di un allenamento progressivo, persistente a cui si aggiunge qualche piccola cosa giorno dopo giorno, in questo modo si effettuerà una vera resurrezione, anima e corpo ne rinasceranno trasformati. Ci si allena alla consapevolezza sempre, nella veglia, nel sonno e nel sogno e soprattutto nel passaggio tra veglia e sonno e tra sogno e risveglio.
Domanda: Tu pensi che inconsciamente la nostra essenza abbia conoscenza dell’esperienza della morte e dunque non sia una realtà nuova?
Lama: Certamente, ma se non ci esercitiamo nella consapevolezza è come se non la conoscessimo affatto.
Domanda: È un programma bellissimo, ma dove colloco in questo contesto le emozioni che comunque sono parte integrante della vita, la paura, la gioia nell’incontrare qualcuno, la tristezza di un distacco?...
Lama: Queste sono espressione della nostra umanità e dunque le dobbiamo accogliere coscientemente, siano esse positive, gratificanti, che negative, dolorose, possibile fonte di errori, tutto deve essere vissuto nella profonda autentica consapevolezza della loro realtà equanime, è l’unica possibilità che abbiamo per non cadere nell’illusione e nella confusione.
Domanda: Ma l’io in tutto questo dove si colloca? Perché di fronte a qualsiasi evento sono sempre io che osservo, che valuto, che sono consapevole…
Domanda: L’io o il sé? Si potrebbe dire che lo stato di consapevolezza equivale ad uno stato allargato di coscienza? Perché in questo modo io vivo pienamente le mie emozioni, ma nel contempo le osservo dall’esterno come se ne fossi un testimone.
Lama: Si certo, questa osservazione è importante. Il lavoro di consapevolezza è immenso, ininterrotto in questa vita.
Intervento: Volevo fare due considerazioni, la prima riguarda la consapevolezza, perché nella mia esperienza come vigile del fuoco ho visto la morte in faccia più volte, sia mia che altrui, e in quei momenti dovevo essere presente a me stesso al cento per cento, non c’era spazio per null’altro in quanto anche la più piccola distrazione avrebbe potuto causare un disastro. Per me è stata una grande lezione e mi ha permesso di vincere la paura di morire, come la paura di vivere.
La seconda esperienza particolare l’ho vissuta tre giorni fa, avevo inviato una richiesta di amicizia su facebook e poi mi sono addormentato, ma mentre passavo dalla veglia al sonno mi sono percepito piccolissimo in un corpo enorme che era qualcosa di diverso da me.
Lama: Esperienze interessanti, la vita è brevissima, ma altrettanto bella, non se ne può sprecare nulla, sarebbe proprio sciocco perdere tempo ed energie nel preoccuparsi di ciò che accadrà e di cui non conosciamo nulla, le cose accadono naturalmente, indipendentemente dai nostri schemi.
Domanda: Ma se tutto avviene automaticamente allora non serve a nulla desiderare di fare una cosa piuttosto di un’altra, tanto vale non fare nulla.
Lama: Sempre bisogna scegliere cosa fare nella visione del bene comune, l’inerzia non serve a nessuno, ma desiderare qualcosa è diverso da decidere cosa fare. Il desiderio come aspirazione a qualcosa di buono è in sé positivo, ma il desiderio come possesso, come affermazione dell’ego può essere uno stato distruttivo di auto-schiavitù. Il desiderio altruistico è fonte di energia, di sprone, di gioia, il desiderio egoistico è sofferenza, catena che rende schiavi e blocca il proprio sviluppo.
La vita è una grande sfida.
Rinuncia, distacco, semplificazione, appagamento, sono gli elementi essenziali per il benessere dei due diversi livelli di vita: quella materiale, più strettamente collegata al corpo; quella spirituale inscindibilmente connessa a mente e cuore; e infine quella alternativa di cui non conosciamo nulla, non sappiamo dove sia anche se ne percepiamo l’essenza che a volte appare in un lampo per scomparire subitaneamente.
Tutte queste manifestazioni della vita devono essere coese armonicamente, costituiscono il senso dell’esistenza e dunque è impossibile tentare di costruire fittizi conflitti tra loro, porre in contrapposizione materia e spirito, corpo e mente, mente e vita alternativa, sono davvero azioni sciocche, fortemente insensate e negative.
È dunque fondamentale evitare inutili conflitti e armonizzare, unire gli aspetti dell’esistenza nella consapevolezza della loro inscindibile interconnessione così evidente in tutte le esperienze umane, positive o negative, di gioia o di sofferenza, giuste o ingiuste, buone o cattive, ogni evento porta in sé un profondo significato che indelebilmente imprime senso alla vita.
Come ottenere questa maturità e completezza umana? Con un unico strumento: la consapevolezza.
Dobbiamo imparare a non formulare nessun giudizio e mantenere quella consapevolezza che possiede la qualità naturale di purificare e trasformare positivamente ogni influenza negativa possa manifestarsi in qualsivoglia circostanza.
Noi vorremmo sempre poter vivere soltanto esperienze belle, positive, giuste, ma tutto ciò che non è così dove lo mettiamo? eppure è ugualmente parte dell’esistenza umana, ne abbiamo certezza e di conseguenza dobbiamo imparare ad accogliere con serenità, tranquillità, pace, equanimità, amore, ogni occasione di vita, ogni aspetto dell’esperienza e la meditazione è un ottimo strumento per assimilare questa fondamentale attitudine interiore.
L’universo meraviglioso è energia priva di giudizio, non esiste distinzione tra energia positiva ed energia negativa, noi siamo universo e nella consapevolezza senza giudizio di questa unicità inscindibile scaturisce naturalmente una profondissima gioia e pace.
Tutto è energia, persino la rabbia e l’attaccamento, senza queste due emozioni non saremmo vivi, nella consapevolezza l’energia dell’universo è in grado di trasformare qualsiasi situazione.
Domanda: Per favore fai un esempio.
Lama: Quando si è già arrabbiati è difficile essere lucidi ed equilibrati, ma se si è costantemente vigili e consapevoli la fortissima energia prodotta dalla rabbia è il motore in grado di trasformarla nella pazienza, nella tolleranza, nella comprensione della condizione.
Basandoci sui nostri incrostati schemi mentali noi separiamo categoricamente le emozioni in negative e positive, in realtà non c’è alcuna differenza tra loro poiché entrambe sono cariche di energia in grado di produrre considerevoli frutti e questa è la loro inestimabile qualità.
Domanda: Però le emozioni negative ti distruggono….
Lama: Ti distruggono perché non riesci a dominarle con consapevolezza, mentre se ne avessi il controllo saresti in grado di trasformarle.
Domanda: Da me è venuta una persona con diffusi malesseri, problemi al fegato, pressione arteriosa elevata, e apparente depressione conseguente alla morte di un congiunto, ma in realtà il suo cuore era carico di rabbia repressa verso il morto e questa era la vera causa di tutti i suoi acciacchi. Per farle prendere atto della situazione le ho consigliato di scrivere una lettera al morto, non importa se non l’avrebbe mai letta, di esporre chiaramente, senza mezze misure, tutto il suo rancore, la sua rabbia, e di continuare a farlo fino a quando tutto fosse stato esplicitato. Dopo otto lettere la rabbia, finalmente affrontata, era scomparsa e così i suoi malanni. Nella nostra cultura invece ci hanno educato a reprimere, a nascondere le emozioni, a non liberarle, anche se affrontarle può essere non facile e doloroso al momento, ma necessario.
Domanda: Tu prima hai detto una cosa molto importante: “consapevolezza senza giudizio”, ed è proprio un punto di arrivo importante, anche se per noi è difficilissimo applicarlo perché il giudizio si innesca in un automatismo quasi istantaneo.
Lama: Molto bene, siamo al termine di questa giornata di riflessione e chiedo a ognuno di esprimere in sintesi le conclusioni a cui è giunto, cosa ha tratto da questo incontro.
Interventi: - A me è piaciuto molto l’approccio non intellettuale, ma semplice, concreto e diretto perché prima non avevo mai avuto strumenti di riflessione come questi;
- Questa giornata mi ha insegnato che si può parlare di cose molto serie pur ridendo e scherzando, con leggerezza;
- È stato un incontro decisamente diverso da tutto ciò che avevo fatto fino ad oggi e so che il mio cammino sarà ancora molto lungo, però mi impegno;
- Mi rendo conto di come sia importante per me ritornare periodicamente alle realtà essenziali come la consapevolezza, la presenza mentale, il respiro, il distacco, perché a volte si leggono testi complicati e si rischia di perdere il senso della pratica quotidiana delle cose semplici, ma fondamentali;
- A me è piaciuto molto il metodo di meditazione e il discorso sulla necessità di essere sempre presenti a se stessi;
- Ho capito l’importanza di imparare a vivere ad una velocità ridotta, nel silenzio, questo permette di sperimentare connessioni mentali che altrimenti non si avrebbero;
- Mi ha fatto molto piacere sentire questi principi buddhisti che sono davvero universali. È stata una giornata molto bella e vi ringrazio infinitamente;
- Per me il grande regalo è stato l’unione della consapevolezza con la leggerezza;
- Oggi ho avuto tante conferme di quello che è già il mio percorso di vita;
- Ho scoperto con piacere che anche i monaci sono monelli, non disdegnano lo scherzo e la risata e, anche se io sono senza speranza, non mi arrendo e continuo a sperare;
- Io volevo condividere con voi un messaggio che mi ha dato un maestro alcuni anni fa dicendo: «l’Amore è meraviglioso, la Pace è vivissima, la Presenza mentale è estasi»;
- Adesso ti interroghiamo noi, tu cosa pensi di tutto ciò?
Lama: Per me è ogni incontro con persone sconosciute, che vedo per la prima volta, è una nuova sfida che mi induce a pensare come presentare questi valori con il linguaggio più adeguato alla cultura, alle radici di chi mi sta di fronte e questo è un mezzo di arricchimento anche per me perché mi induce a riflettere sulla mia esperienza e ogni esperienza è imperfetta, incompleta, immersa nella confusione samsarica.
In tanti anni ho potuto verificare che se mi sforzo di insegnare nel miglior modo attingendo allo studio e ai tanti testi filosofici, non comunico nulla, la gente non capisce, perché l’unica comunicazione possibile è filtrata dalla propria esperienza concreta, non può fermarsi alla sola teoria.
La perfetta spiegazione non esiste, tutti condividiamo quotidianamente il samsāra con la sua confusione i suoi problemi, e nessuno può prescindere da tale situazione, per questo è importante trasmettere la prassi, non le teorizzazioni astratte.
È essenziale imparare a vivere pienamente la condizione umana, nella contentezza, nella comprensione del valore intrinseco al percorso più difficoltoso, ma più proficuo, trovando il giusto equilibrio tra lavoro e riposo, personalmente non credo nel sacrificio fine a se stesso, ma credo fortemente nell’impegno, nella responsabilità. Io stesso quando rientro a Roma dopo incontri come questo per due o tre giorni sono stanchissimo, e allora mi riposo, ma mentre sono qui non sento affatto la stanchezza perché l’esperienza è davvero bella, priva di tensione, in armonia.
Il mio modo di spiegare non è mai lo stesso, cambia secondo il contesto.
Concludiamo dedicando i meriti acquisiti in questa giornata a beneficio di tutti gli esseri viventi e con una breve meditazione.
Grazie a tutti.
Domenica mattina
l’illuminazione è già nelle nostre mani
Ci ritroviamo questa mattina insieme e aspiriamo a giungere ad una realizzazione, qui e ora, noi non ne abbiamo coscienza, ma l’illuminazione è già nelle nostre mani.
Il vero problema è che non sappiamo cosa siano realmente illuminazione e realizzazione, brancoliamo nel buio e cerchiamo il loro significato confusamente nella fantasia, nei sogni, nelle proiezioni illusorie di ciò che vorremmo, però questo tipo di ricerca si risolve quasi sempre in un clamoroso fallimento, ottiene il risultato opposto, il potenziamento di confusione e sofferenza.
Gli usuali concetti di illuminazione, realizzazione, terzo occhio, sono creazioni fantastiche che nella nostra aspettativa rappresentano la possibilità di uscire dalla faticosa condizione samsarica, mentre in realtà nessuno è ritornato dai luoghi paradisiaci per confermare simili chimeriche proiezioni, ogni affermazione è contraddittoria con qualche altra, non vi può essere certezza alcuna.
Questa è la nostra principale difficoltà, non sappiamo cosa veramente stiamo cercando, ciò che riteniamo verità è una fuga dai problemi del vivere quotidiano, ma non c’è via d’uscita, non si può scappare dalla condizione samsarica, eppure sprechiamo un’enorme quantità di energia intestardendoci e limitandoci in questa inutile ricerca.
Nel buddhismo una simile condizione è definita ignoranza fondamentale, un termine che potrebbe corrispondere al concetto cristiano di peccato originale.
In realtà nessuno conosce l’arcano dell’esistenza, noi stessi siamo un mistero per noi stessi, ciò malgrado arriva sempre qualcuno che pretende di possedere la conoscenza assoluta e dunque di essere autorizzato ad etichettarci: “…hai fatto questo perciò la tua vita è così….; …devi purificarti in questo modo per non rinascere male…; …devi confessare questo peccato altrimenti non sarai perdonato…; …l’inferno è così…; …il paradiso invece è così…”. Tutte queste pseudo certezze non solo non risolvono i problemi ma, al contrario, li aggravano nel potenziamento dell’ignoranza e della sofferenza.
È importante accettare di non conoscere l’enigma che ci riguarda, applicandoci a vivere pienamente la condizione samsarica con umiltà, con apertura di cuore, senza aggrapparci a false sicurezze e a inesistenti vie di fuga apportatrici di confusione e dolore.
Per la nostra mente il più grande mistero nell’universo è ogni singola vita umana, esistono infinite ipotesi sulla creazione del mondo, ma alla fine nessuno sa, e sono davvero uno spreco di energie i tentativi di personalizzare, di cercare l’affermazione di un io di cui non sappiamo nulla, se osserviamo i processi naturali vediamo che alla fine tutto è uno, spazio senza fine.
Noi siamo parte di questa unità universale e ogni evento, buono o cattivo, giusto o sbagliato, produce l’energia che muove l’universo, che è al di là della nascita, della morte, del bene, del male, e soltanto la nostra ignoranza fondamentale ci impedisce di comprendere l’infinito UNO, preferiamo bendarci gli occhi, richiuderci entro i confini del nostro meschino ego senza poter più vedere null’altro, impedendoci così ogni possibilità di andare al di là di questa angusta condizione.
La chiusura nel proprio egoismo condanna ad una vita veramente dura, sempre più avvolta nella sofferenza ed è un atteggiamento totalmente masochistico in cui però impegniamo tutte le nostre energie.
L’ignoranza fondamentale che determina quest’attitudine distruttiva è mancanza di consapevolezza, di coscienza, di determinazione, di coraggio.
Volendo esemplificare con una metafora: noi siamo come una Ferrari, l’esistenza umana è super, ha grandi capacità, ma se alla macchina mancano i freni della consapevolezza il risultato non sarà una bella prestazione, ma soltanto una serie di disastri incalcolabili.
Se anche siamo avvolti dall’ignoranza fondamentale e creiamo continue illusioni, con i freni della consapevolezza possiamo ridurre considerevolmente il rischio di finire fuori strada, di demolire un mezzo così prezioso.
La consapevolezza porta verso la conoscenza, la saggezza, l’amore, la compassione, che alla fine è pace, tranquillità assoluta in qualsiasi momento della vita, ci libera da noi stessi.
Domanda: Hai detto che l’universo è energia e non c’è distinzione tra bene e male, ma allora, concretamente, di fronte ad azioni negative non dobbiamo agire? Ad esempio quando i talebani hanno bombardato le statue di Buddha voi buddhisti non avete reagito in nessun modo?
Lama: La prima basilare azione è la consapevolezza che ti permette di vedere come nel caso delle statue distrutte anche i costruttori abbiano avuto la loro parte di responsabilità violando una montagna. Il Buddha non ha mai detto costruite rappresentazioni del mio corpo, ha soltanto raccomandato di meditare, in qualsiasi luogo, senza bisogno di null’altro. Certamente l’intenzione dei costruttori era buona, una forma di rispetto e devozione, comunque non priva di ego samsarico, il bisogno di fare qualcosa di eccezionale, di superiore a tutto il resto, non era totalmente pura.
Queste statue indubbiamente erano gradite ai buddhisti, ma infastidivano gli islamici e così si è creato un problema, se la montagna fosse rimasta allo stato naturale, intatta, sarebbe stata buona per gli uni e per gli altri.
È già difficile conoscere realmente la purezza delle proprie intenzione e impossibile di quelle altrui, per questo il Buddha ha raccomandato di agire sempre e soltanto con grande compassione, senza giudicare nessuno.
Un altro esempio: arriva qualcuno che ti massaggia un braccio con oli ayurvedici e creme, mentre un’altro maltratta l’altro braccio tagliuzzandolo, e tu sei nel mezzo, perché questi due comportamenti diversi? Non si può sapere, è difficile conoscere le diverse motivazioni che li hanno provocati, quindi secondo la consapevolezza della grande compassione, dell’amore universale, non è possibile formulare alcun giudizio discriminante, tutto è equanime energia, parte dello stesso universo.
Domanda: Vorrei essere certa di aver ben compreso il concetto: nella consapevolezza io posso vedere che in me, come nell’altro, c’è una parte di bene e una parte di male, quindi con compassione, anche di fronte a qualcosa che mi fa male, non ho gli elementi per esprimere un giudizio di merito su chi compie questa azione, non posso conoscere le sue reali motivazioni, ma ciò con toglie che possa invece reagire e giudicare negativamente l’atto in sé, o no?
Lama: Certo, ciò che conta è la purezza del cuore, dobbiamo mantenerlo nella leggerezza della purezza, altrimenti diventa troppo pesante prima di tutto per noi stessi. Nella purezza del cuore ogni evento può essere trasformato, anche quello più negativo.
È necessario cambiare attitudine nei confronti della vita, non c’è un solo modo di osservarla, esistono visioni più pure, profonde, che trascendono lo schema consueto, ottenebrato, chiuso nello sgabuzzino buio dell’ego.
Domanda: Se qualcuno mi aggredisce per strada, posso consapevolmente difendermi o devo subire l’aggressione?
Lama: Dipende dalla situazione, non è sempre necessario reagire contro, ricordati che tutto è esperienza. Non è facile, in ogni caso è necessario mantenere la consapevolezza di ogni azione, valutandone i pro e i contro.
Domanda: Mi sono resa conto che spesso mi trovo a vivere esperienze sempre più forti e tra loro connesse e penso che si ripresentino ripetutamente per insegnarmi qualcosa, sono un’opportunità che mi costringe ad affrontare consapevolmente il problema.
Lama: Un proverbio italiano cita: “ciò che non uccide fortifica”, esprime un concetto semplice, ma davvero importante anche sul piano spirituale a livello molto sottile. Nulla è per caso, ogni esperienza è insegnamento, crescita, e il valore della nostra vita dipende dalla coscienza, dalla purezza del cuore, che non può essere scalfita da nessun evento esterno.
La società moderna è artificiosamente complicata, subissata da norme inutili, sempre più depauperata dei talenti spirituali, realmente umani; soltanto la purezza di cuore sarebbe in grado di trasformare questo modo di vivere materialistico, eppure questa è la nostra più irrazionale paura, temiamo di perdere ciò che possediamo, la nostra presunta identità, ecco perché, oltre alla consapevolezza, è indispensabile sviluppare il coraggio della rinuncia alla vita materiale, qualità che ci consente di vivere pienamente il valore spirituale, la purezza e la pienezza del cuore umano, con profonda, stabile, gioia.
La vita interiore è fondamentale per la dignità umana, significa abbandonare la consueta superficialità, il luccichio delle apparenze esteriori, l’illusione di essere qualcuno perché si indossano abiti e gioielli firmati o si può esercitare una qualsiasi forma di potere sugli altri..
Soltanto andando al di là dell’ignoranza fondamentale, senza sviluppare odio né attaccamento si trova la vera felicità.
Domanda: Bisogna stare anche attenti a non avere attaccamento alla sofferenza…
Lama: È vero, incredibile, qui ho conosciuto persone che avevano questo tipo di attaccamento, ne sono rimasto sconcertato, credo che ciò sia dovuto alla vita comoda, noiosamente agiata, in oriente, in Africa, questo fenomeno è assolutamente inesistente. È davvero un’insana attitudine dell’occidente ricco e deve essere cambiata senza indugio.
Cerchiamo ora di meditare per qualche minuto, rilassiamo il corpo e la mente nella purezza del cuore, con profonda consapevolezza del respiro, svuotiamo la mente da tutti i pensieri lasciandola leggera, flessibile.
(segue meditazione e poi l’ascolto del sūtra del cuore)
Il Cuore della Perfezione della Saggezza”
Il titolo sanscrito è : Bhagavati Prajna Paramita Hridaya
La traduzione italiana di questo testo, con le note, è stata redatta dall’ Istituto Lam Rim di Roma dal testo originale in tibetano e con l’ausilio delle traduzioni inglesi.
Così una volta udii:
Il Bhagavan dimorava a Rajagrha, presso il Picco dell’Avvoltoio, con un gran numero di Arhat e un gran numero di Bodhisattva e a quel tempo il Bhagavan era entrato nell’assorbimento meditativo sulla varietà dei fenomeni chiamato “percezione profonda”. In quello stesso tempo, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, era assorto nella stessa pratica della profonda perfezione della saggezza e vide che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca.
Quindi, tramite l’ispirazione del Buddha, il venerabile bikshu Śāripūtra si rivolse all’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva e gli disse: “come deve addestrarsi un figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza?”
Quando fu detto questo, l’arya , il Bodhisattva maha Avalokiteśvara sattva, rispose al venerabile bikshu Śāripūtra e disse: “Śāripūtra, ogni figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza, dovrebbe vedere chiaramente nel seguente modo: dovrebbe vedere distintamente che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca”.
“La forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che forma, la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza. Quindi, Śāripūtra, tutti i fenomeni sono vacuità; essi sono privi di caratteristiche peculiari; non sono nati, non cessano; non sono contaminati, non sono incontaminati; non sono incompleti e non sono completi.”
“Quindi, Śāripūtra, nella vacuità non c’è forma, né sensazioni, né percezioni, né formazioni mentali, né coscienza. Non c’è occhio, né orecchio, né naso, né lingua, né corpo, né mente. Non c’è forma, né suono, né odore, né gusto, né oggetti concreti, né oggetti mentali. Non c’è nessun elemento visivo, così fino a nessun elemento mentale fino a includere nessun elemento della coscienza mentale. Non c’è ignoranza, non c’è estinzione dell’ignoranza, e così fino a nessun invecchiamento e morte, e nessuna estinzione dell’invecchiamento e della morte. Allo stesso modo, non c’è sofferenza, origine, cessazione o sentiero; non c’è saggezza, né ottenimento e neppure mancanza di ottenimento.”
“Quindi, Śāripūtra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti, si basano e dimorano nella perfezione della saggezza. Non avendo oscuramenti nelle loro menti, essi non hanno paura, ed essendo andati totalmente oltre l’errore, essi raggiungono la meta finale: il nirvana. Tutti i Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto il pieno risveglio dell’insuperabile, perfetta illuminazione, basandosi su questa profonda perfezione della saggezza”.
“Quindi, si dovrebbe sapere che il mantra della perfezione della saggezza – il mantra della grande conoscenza, il mantra supremo, il mantra uguale a ciò che non ha uguale, il mantra che fa tacere tutte le sofferenze – è vero perché non è ingannevole. Si proclama il mantra della perfezione della saggezza:
TADYATHA GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
Śāripūtra, così i Bodhisattva mahasattva dovrebbero addestrarsi alla profonda perfezione della saggezza”.
Quindi, il Bhagavan si svegliò dal suo assorbimento meditativo e lodò l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, dicendo che era eccellente.
“Eccellente! Eccellente! Figlio del lignaggio dei Bodhisattva, è proprio così; dovrebbe essere così. Bisogna praticare la profonda perfezione della saggezza proprio così come hai rivelato. Perciò anche i Tathagata se ne rallegreranno”.
Come il Bhagavan pronunciò queste parole, il venerabile bikshu Śāripūtra, l’ara Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, insieme all’intera assemblea, inclusi i mondi degli dei, degli umani, degli asura e dei gandharva, tutti gioirono e lodarono ciò che il Bhagavan aveva detto.
Il sūtra del cuore descrive chiaramente come nella meditazione non vi sia nessuna distrazione esterna, la mente dimora nella pace e tranquillità, nella pienezza della natura umana, per questo è così importante, ci conduce ad una vita piena in purezza, pazienza, impegno, costanza, intelligenza, questa è illuminazione, ricchezza umana, senso dell’esistenza.
L’illuminazione non è un fulmine che ci colpisce improvvisamente, queste sono solo fantasie, è profonda pace inamovibile, frutto di lavoro quotidiano, paziente, generoso, consapevole.
Questa sarà la condizione al momento della morte, in cui non ci sono orecchi, occhi, non serve nulla, soltanto un’infinita pace.
Quando studiavo in monastero in India fui profondamente colpito e commosso dalla morte di un Lama, grande praticante, una persona davvero speciale, che aveva vissuto con grande lucidità una lunga malattia e, malgrado il forte dolore fisico degli ultimi giorni, non aveva mai interrotto la meditazione; conosceva il momento in cui sarebbe morto e lo attese meditando. Dopo la morte tutti i segni della malattia non si vedevano più, sembrava ringiovanito, il volto aveva un’espressione di meravigliosa serenità e anche il corpo era perfettamente rilassato.
Non è ragionevolmente pensabile di poter giungere alla morte in questo modo sereno, pronto, fecondo, se non ci si è allenati per tutta la vita, non si diventa consapevoli in un istante, è necessaria un’ininterrotta quotidiana pratica meditativa.
In Italia un esempio molto bello è dato da Tiziano Terzani, un uomo che visse intensamente moltissime esperienze senza mai arrestarsi di fronte alle difficoltà, ma procedendo nella ricerca umana, spirituale, del senso della vita, fino all’ultimo respiro. Ha affrontato la malattia in un primo tempo cercando di eliminarla e poi accettandola in tutta la sua potenza, non ha opposto resistenza, riconoscendo che l’elemento con cui confrontarsi non era la malattia, ma la mortalità. Vi consiglio di vedere il suo DVD Anam, riassume nel concreto tutti questi temi.
La morte è fondamentale esperienza della vita, ci si deve addestrare regolarmente per affrontarla con serenità, coscientemente, è inutile perdere tempo ed energie nel fantasticare sulle future rinascite di cui non si sa nulla e che sono solo ipotesi non necessariamente credibili, io non lo so. Il momento in cui ci si addormenta è simile al momento della morte e quindi dobbiamo applicare la stessa consapevolezza.
Domanda: Tu non credi nelle rinascite?
Lama: Non so se si rinasce o no, e comunque non è importante, ciò che conta è qui e ora. Sulla reincarnazione si è speculato moltissimo, i tibetani ne hanno fatto strumento di potere e di grandi litigi.
Il concetto filosofico di rinascita non è come quello descritto o rappresentato negli spettacolari film di Hollywood, è un’astrazione estremamente sottile, difficilissima da sviscerare.
Domanda: Vorresti per favore spiegare cosa succede nel momento in cui ci addormentiamo?
Lama: Quando ci addormentiamo i nostri sensi si trasformano, prima erano vigili e attivi e poi rallentano diventando sempre più sottili nella coscienza e, tramite la pratica sistematica di questa osservazione, è possibile apprendere e seguire questo processo consapevolmente.
Il discorso, molto complesso, è stato affrontato da tutte le discipline, psicologia, fisica e tante altre, ma la sola cosa su cui possiamo realmente contare è la meditazione in cui riveliamo la nostra rivoluzione interiore, è l’unico possibile, autentico, laboratorio in cui approfondire le nostre ricerche interiori.
Domanda: Qui tu ci guidi nella meditazione tutto sembra facile, ma quando sono a casa e immancabilmente mi perdo in infinite divagazioni, cosa devo concretamente fare?
Lama: Diventa come roccia, lascia il corpo comodo, la mente rilassata, respira naturalmente, senza che nessun pensiero possa influenzarti, lasciali andare, sii consapevole in piena libertà, non afferrarti a nulla. Imparerai da sola il metodo migliore per te, non esiste una ricetta rigida, ugualmente efficace per tutti. Non servono libri, serve solo la tua consapevolezza.
Domanda: È necessario essere sempre presenti a se stessi, e anche quando siamo nel sonno dobbiamo mantenere questa coscienza? Quindi la meditazione dovrebbe servire anche a conservare inalterata la lucidità?
Lama: Certo, è il primo passo, e se lo prolunghi durante il processo dell’addormentarti potrai protrarre questa consapevolezza anche nel sogno.
Domanda: Qualche anno fa ho letto un libro, “Lo yoga del sogno” in cui si raccomandava di fare una visualizzazione precisa prima di addormentarsi in modo da portarla nello stato onirico.
Lama: La visualizzazione è una tecnica che può essere di aiuto, ma è soprattutto relativa alla tradizione tibetana in cui ci sono moltissime divinità e per ricordarle tutte è necessario ricorrere alla visualizzazione, nella cultura occidentale però non vi è questa necessità e si può praticare lo yoga del sogno soltanto con l’ausilio della consapevolezza, che è pratica universale, il nostro mantra, la voce del cuore, la voce del silenzio.
Domanda: Scusa, io faccio un passo indietro, hai detto che il concetto della rinascita è molto sottile, però non l’hai spiegato, puoi farlo per favore?
Lama: Il concetto di rinascita elaborato sul piano filosofico è collegato al karma, alla legge di causa effetto, e tratta l’azione karmica che è molto complessa e difficilissima da spiegare con precisione scientifica.
Invece nell’usuale pensiero collettivo la reincarnazione diventa un fatto intimo, individualistico, ci si vede entrare in un tunnel da cui si esce pronti per una nuova avventura, ma questa è una concezione estremamente limitata e grossolana che non può corrispondere alla realtà di un fenomeno tanto profondo, articolato e sottile.
Lasciamo il mistero al mistero, non tentiamo di andare al di là delle nostre possibilità sprecando l’intera vita in fantastiche costruzioni di cartapesta, abbiamo cose ben più importanti e gioiose da fare.
Ora ci riposiamo e ci ritroveremo nel pomeriggio, grazie.
Domenica pomeriggio
(I lavori pomeridiani riprendono con una sessione meditativa nell’ascolto di mantra.)
La meditazione è una forma d’arte dell’ascolto di se stessi
Il Buddha ci ha lasciato un messaggio importantissimo dicendo che il miglior maestro è quello interiore, ognuno è maestro di se stesso nell’ascolto di sé, eppure gli esseri umani sono così ottusi che non prendono minimamente in considerazione questo fondamentale suggerimento, sono sempre alla ricerca dei maestri esterni, non hanno il coraggio, la capacità, la fiducia, di assumere la responsabilità in prima persona.
A causa di tale atteggiamento non diventiamo mai adulti, autonomi nella vita spirituale, preferiamo rimanere infantilmente dipendenti dal maestro esteriore, ma in questo modo non potremo mai avvicinarci all’illuminazione, il maestro definitivo è quello interiore.
Il maestro interiore non è la fotocopia di noi distinta dall’originale, è il nostro cuore vivo, lucido, che comunica con cognizione di causa, ma che noi ignoriamo del tutto mentre continuiamo a parlare e agire con immaturo automatismo, vogliamo restare fanciulli, delegare ad una figura genitoriale, il maestro esteriore, ogni nostra responsabilità.
Saper ascoltare il maestro interiore che ci accompagna in ogni istante significa incamminarsi sul sentiero che porta all’illuminazione.
Il maestro esterno è un valido supporto, un aiuto per realizzare l’ indispensabile, definitivo maestro interiore che, risvegliato nella meditazione, ci istruisce nel silenzio, nella contemplazione, nella profonda riflessione, nei valori infiniti intrinseci alla meditazione stessa.
Meditare nella consapevolezza è essenziale, sia per lo stato di veglia, per la nostra vita cosiddetta “attiva”, che nello stato onirico che è un assaggio della morte. Il sonno è una piccola morte.
La meditazione sulla morte non significa concentrarsi su ciò che avverrà dopo il trapasso, il punto focale è la certezza dell’evento di cui però non si conosce né il modo né l’ora, può accadere in qualsiasi momento, anche adesso.
Molte persone impaurite e insicure impegnano molte energie nel predisporre tutti i dettagli per il momento della loro morte, chiedono ai Lama di essere presenti, scelgono con cura le preghiere adatte, tutto è organizzato per una bella morte tranquilla, benedetta, ma questo è assurdo, nessuno sa né quando, né come, né dove morirà.
La meditazione sulla morte è la realizzazione dell’impermanenza e ci mantiene svegli, pienamente consci della necessità di non dover sprecare nemmeno un minuto della vita. Questa è la vera preparazione alla morte, non un complicato cerimoniale al nostro capezzale. Chissà come moriremo? L’unica certezza è che questo avverrà, potremmo godere di ottima salute e tra un’ora essere già morti a causa di un incidente.
L’impermanenza è la base di ogni evento, si presenta su tre livelli: grossolano, medio e sottile. Ne sperimentiamo l’aspetto più evidente, tangibile, grossolano, negli eventi catastrofici quali terremoti, tsunami, alluvioni, uragani, bombardamenti, guerre, malattie improvvise, incidenti, morte.
La realizzazione dell’impermanenza però non avviene sul piano grossolano, bensì su quello sottile, impalpabile, invisibile, in costante mutazione, e questi continui cambiamenti a livello sottile sono la base su cui avvengono i grandi cambiamenti.
La realizzazione dell’impermanenza è la realizzazione della rinuncia a qualsiasi attaccamento ed entrambe sono determinanti nell’esistenza umana, l’unica vera preparazione alla morte.
Il grande yogi Sāntideva diceva: : “Il mio essere impermanente come può attaccarsi ad altri esseri impermanenti, in modo definitivo?” e “Il mio essere impermanente come può odiare ad altri esseri impermanenti, in modo definitivo?” In questo caso Sāntideva si riferiva a esseri umani, ma il concetto è estendibile a qualsiasi fenomeno, tutto è impermanente.
Gli antichi filosofi greci dicevano le stesse cose, purtroppo la società moderna se ne è completamente scordata.
Domanda: A livello teorico quello che dici è semplice e facilmente assimilabile, però sul piano pratico mi sembra che esserne consapevoli in ogni istante sia davvero impossibile, ci si perde continuamente, e allora chiedo, questa difficoltà è parte naturale della condizione umana, o possiamo sperare di raggiungere la stessa serenità di quel monaco di cui ci hai parlato ieri?
Lama: Non esistono certezze, possiamo soltanto provare continuamente. In tutte le religioni ci sono studiosi, ricercatori, mistici e anche santi che hanno speso l’intera esistenza nella ricerca della conoscenza. Qualcuno ha raggiunto l’obiettivo, altri no, ma nessuno di loro praticando aveva alcuna sicurezza.
Io ho studiato moltissimo fino al massimo grado, ho esaminato migliaia di testi, memorizzato, approfondito, vi ho impegnato tutta la vita e sul piano teorico la mia preparazione è completa, ma nulla di tutto ciò può garantirmi l’ottenimento della realizzazione. Posso solo continuare a camminare cercando di non perdere la strada, senza avere nessuna certezza di raggiungere l’obiettivo.
Quasi tutti gli anni ritorno al mio monastero in India e ogni volta constato la progressiva degenerazione della comunità, la globalizzazione super accelerata con l’introduzione capillare di tecnologie eccessive e spesso inutili è devastante, non risparmia nessuno, è l’innesco di un potente, superficiale e materialistico attaccamento tendente ad annullare l’approfondimento della spiritualità nel proprio cuore nudo, che invece non ha bisogno di null’altro che di pace universale.
Intervento: Io lavoro nel settore dell’informatica e ti posso assicurare che è l’elemento impermanente per eccellenza, basta che manchi la corrente o che succeda qualcosa a livello geomagnetico e tutto scompare in un istante.
Lama: Infatti, oggi siamo molto più vulnerabili rispetto al passato perché, oltre all’impermanenza insita in ogni fenomeno, ne siamo diventati totalmente dipendenti.
La meditazione è la nostra linfa vitale, contiene valori immensi e deve essere concretizzata in ogni momento vissuto con consapevolezza, non abbiamo bisogno di altro. Un solo tipo di meditazione vale per tutto, si comincia da quella più semplice, basilare, e poco per volta l’arricchiremo con qualità sempre più consistenti, questo ci permetterà di diventare con naturalezza il nostro maestro interiore che ci guiderà con pace, gioia, soddisfazione nel cammino dell’esistenza.
La meditazione porta ad avere costante presenza di consapevolezza, impegno e determinazione che produce quella tranquillità interiore che è la risorsa del nostro benessere in qualsiasi circostanza mondana e non, a livello fisico e mentale, sia per noi stessi che per gli altri, indistintamente.
È importante riconoscere la virtù della meditazione sempre, sia durante la seduta formale che nelle attività seguenti, non ce ne dobbiamo scordare mai, costituisce una dote integra, non ci occorre altro, con il nostro impegno otteniamo la pace che dimora in noi sia nel momento felice che in quello doloroso, sia nella situazione scorrevole e leggera che in quella complessa e difficile.
In questi due giorni abbiamo cercato di approfondire l’incommensurabile qualità della meditazione fonte della pace interiore assoluta del cuore che è il centro, l’essenza dell’universo.
Noi siamo molto fortunati nell’aver scoperto in noi la presenza di questa incommensurabile dote e di avere l’opportunità di provare a familiarizzare con essa, significa che siamo già un po’ risvegliati, intravvediamo il senso dell’esistenza; mentre coloro che non riconoscono in se stessi questo inestimabile tesoro, che non trovano la cultura umana nel loro cuore, giacciono in una condizione di grande sofferenza.
Abbiamo dunque una grande responsabilità, verso noi stessi e verso gli altri e non possiamo perdere tempo in futilità, dobbiamo meditare consci della preziosità di ogni istante di vita con consapevolezza, coraggio, rinuncia, pace.
Con queste considerazioni concluderei il nostro bellissimo e significativo incontro che ci ha mostrato la necessità di impegnarci gioiosamente nel lungo e proficuo cammino del Dharma.
Intervento: Pur avendo colto pochissimi insegnamenti, perché a causa del sussurrante tono di voce di Geshe non sentivo quasi nulla, è comunque sempre una gioia la sua presenza qui ed è viva dentro di me la gratitudine nel constatare che tutte le persone che desiderano fare esperienza in questo Centro ne hanno ampie opportunità. Ringrazio veramente tutti e poi un ringraziamento particolare a te Geshe per l’insegnamento e per la bellissima energia che ci hai portato.
Lama: Grazie a tutti voi.
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Bhagavati: (termine sanscrito, in tibetano: gyal wai yum) Madre Buddha, si riferisce alla “Saggezza della Perfezione”, che è la madre in quanto causa fondamentale dell’illuminazione.
Bhagavati Prajna Paramita Hridaya: (sanscrito) il cuore della Bhagavathi, la perfezione della saggezza.
Bhagavan: (termine sanscrito, in tibetano: chom dhen de) titolo generalmente attribuito a un essere illuminato; letteralmente significa “colui che ha completamente illuminato gli ostacoli e possiede tutte le qualità”; sinonimo di “Tathagata” (sanscrito) e di “de war sheg pa” (tibetano) nel senso di “colui che ha raggiunto lo stato di piena calma e piena illuminazione”. In questo brano ci si riferisce al Buddha Shakyamuni.
Rajagrha: (termine sanscrito, in tibetano: gyal poe khab) luogo nel quale si erge un palazzo reale.
Picco dell’Avvoltoio: montagna con la cima a forma di avvoltoio; luogo in cui venne impartito il sutra secondo la tradizione. Viene identificato popolarmente in una collina vicino a Rajagrha, nello stato indiano del Bihar.
Arhat: (termine sanscrito, in tibetano: dra chom pa) colui che ha raggiunto il Nirvana. Detto anche Sravaka o Pratyekabuddha. Nel testo originale tibetano il termine è Bikshu, ma si intende Arhat.
Bodhisattva: (termine sanscrito, in tibetano: Jang chub sem pa). Essere che possiede il Bodhicitta.
Assorbimento meditativo: (in sanscrito: samadhi, in tibetano: ting nge zin) una forma di meditazione.
Varietà dei fenomeni: (in tibetano: choe kyi nam drang) i 5 aggregati (forme, percezioni, formazioni mentali e della coscienza); le 12 fonti dei sensi (le sei sorgenti dei sensi e le sei facoltà); i 18 elementi ( le sei sorgenti dei sensi, le sei facoltà e le sei coscienze); i 12 anelli della catena dell’origine interdipendente (Ignoranza, Azione volontaria, Coscienza, Nome e Forma, Sorgenti dei sensi, Contatto, Sensazioni, Attaccamento, Brama, Concepimento, Nascita, Invecchiamento e Morte); le 4 Nobili Verità (la Verità della sofferenza, la Verità delle cause della sofferenza, la Verità della cessazione e la Verità del sentiero); i 5 sentieri (Accumulazione, Preparazione, Visione, Meditazione e Non-più-apprendere); le 4 fiducie; i 10 poteri di Buddha; ecc…
Percezione Profonda: (in tibetano: zab mo nhang wa) vedere la vera e profonda realtà ultima dei fenomeni.
Arya: (termine sanscrito, in tibetano: Phag pei Gang zag) un Essere superiore che ha raggiunto la saggezza della diretta realizzazione della vacuità o che ha seguito il sentiero in uno dei veicoli.
Avalokitesvara: (termine sanscrito, in tibetano: Chen re zig) conosciuto come il “Buddha della compassione”.
Bodhisattva mahasattva: (termine sanscrito, in tibetano: jang chub sem pa sem pa chen po) Bodhisattva di ordine superiore o che ha conseguito il sentiero dei Bodhisattva o il sentiero mahayana della visione.
La pratica della profonda perfezione della saggezza: (in tibetano: she rab kyi pha rol du chin pai zab moi chod pa).
I cinque aggregati: (in sanscrito: skandha, in tibetano: phung po ngha) Forme, Sensazioni, Percezioni, Formazioni mentali, e della Coscienza.
Vuoti di esistenza intrinseca: (in tibetano: ran shin gyi tong pa).
Venerabile Bikshu: (in tibetano: thse dan dhen pa) titolo attribuito a un bikshu con mente sveglia e intelligente
Shariputra: figlio di Sharit, conosciuto come bikshu dalla mente acuta fra i discepoli di Buddha Shakyamuni.
Arya Avalokitesvara Bodhisattva mahasattva: (temine sanscrito, in tibetano: jang chub sem pa sem pa chen po phags pa chen re zig) si riferisce a un singolo individuo conosciuto come Bodhisattva mahasattva Avalokitesvara, diverso dal “Buddha della compassione” Avalokitesvara. Qui infatti viene identificato come un Bodhisattva sotto le sembianze di un bikshu, Bodhisattva, mahasattva e arya.
Figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva: (in tibetano: rigs kyi bu vam rigs kyi bumo).
Nirvana: (termine sanscrito, in tibetano: Nyang De) essere andato oltre la sofferenza.
Mantra: (termine sanscrito, in tibetano: yid kyob) che protegge la mente.
Thatagata: (termine sanscrito) sinonimo di Bhagavan.
Asura: (termine sanscrito, in tibetano: lha ma yin) semi-dei che appartengono posto tra quello degli umani e degli dei.
Gandharva: (termine sanscrito, in tibetano: di zha) esseri senza forma, che vivono nutrendosi di odori.