LA
PRATICA
DELLO
DZOGCHEN 2°
Geshe
Lharampa Gedun Tharchin
Sassari
17,18,19
gennaio 2020
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Oggi
cercheremo insieme il nuovo modo significativo, gioioso, di vivere,
di essere, di relazionarci qui e ora, imparando ad elevarci nella
libertà ad uno stato che va al di là dei condizionamenti, della
sofferenza, delle illusioni del mondo dualistico. Dobbiamo imparare a
non farci ingannare da una concezione di tempo che è intrinsecamente
inesistente e che invece rincorriamo ininterrottamente sprecando la
vita perché non sappiamo mai riconoscere l’essenza e il valore
incommensurabile e infinito del presente, di ciò che stiamo vivendo
qui e ora.
Se
comprendiamo l’essenza reale del tempo comprendiamo il valore della
nostra vita, indipendentemente da quella assurda misurazione di cui
siamo schiavi e non importa che a noi appaia lunga o corta, ciò che
è infinito è il presente, questa è la vera libertà dall’ignoranza
che produce sofferenza e la mente umana che riesce a percepire
correttamente il tempo, possiede tutta la potenzialità per
trasformare la realtà.
Nessuno
può decidere a priori ciò che è vero e ciò che non lo è, non
esiste una percezione oggettiva della realtà perché questa può
essere solo soggettiva. Lo stesso fenomeno è percepito in modo
differente da diversi soggetti e questa è la condizione che la
filosofia buddhista definisce realtà convenzionale, relativa, e che
dipende esclusivamente dalla interiorità personale. Ma proprio
avendo coscienza di questa potenzialità infinita della nostra mente
siamo in grado di trasformare la realtà convenzionale e di saper
osservare e comprendere la realtà assoluta, ultima, la vacuità.
Sono
due i modi osservazione della realtà, il primo è la nostra stessa
mente che è paragonabile all’occhio che vede, mentre il secondo è
riconoscere che tutte le facoltà mentali che scaturiscono da questa
mente sono come gli occhiali che, in base alle diverse colorazioni e
tipologia delle lenti, riflettono le qualità mentali maturate e che
proprio grazie a queste lenti noi possiamo trasformare.
La
mente osserva la realtà convenzionale, mentre le qualità mentali
sono le potenzialità che ci mettono nella condizione di trasformare
quella stessa realtà secondo una visione più chiara che ci permette
di distinguere, di scegliere, di non prendere tutto, ma di
selezionare e raccogliere solo ciò che ci fa bene neutralizzando
tutte le inutili emozioni distruttive, la confusione, che ci fa
immergere nell’illusione di una visione distorta.
Ad
esempio noi aspiriamo alla compassione, ma sarebbe uno spreco di
energia davvero sciocco pensare di poter maturare in un poderoso
sforzo di volontà la compassione del Buddha, mentre con i giusti
occhiali, con le lenti adeguate alla nostra vista, possiamo
realizzare il livello di compassione a noi possibile, tramite la
meditazione, la conoscenza della nostra mente.
Solo
con la meditazione noi possiamo trasformare la realtà, perché ci
liberiamo dai condizionamenti delle emozioni che ci bloccano, e siamo
così in grado di osservare nella pace profonda, averne la giusta
intuizione, questa è la grande capacità della mente umana che, come
ci ha ricordato mirabilmente Buddha Skyamuni e Je Tsongkhapa, è ciò
che permette di superare la radice di tutta la sofferenza del mondo,
l’ignoranza fondamentale, i fraintendimenti sorti dalla mancanza di
consapevolezza, dall’incapacità di vedere oltre l’illusione e di
comprendere.
Nella
trasformazione della mente otteniamo la corretta visione dei
fenomeni, non più osservati isolatamente come entità totalmente
autonome, ma riconoscendoli nella loro vera natura di
interdipendenza. Non esiste alcun fenomeno nell’universo che possa
esistere in modo indipendente, ma ogni elemento è collegato al
tutto, è interconnesso, interdipendente, e in questa consapevolezza
ci appare con evidenza e chiarezza la non rigidità dei fenomeni e le
infinite possibili sfaccettature, questo significa conoscere la
propria mente libera dall’ignoranza, è lo Dzogchen, la semplice
contemplazione naturale, la grande perfezione. La mente è già
perfetta in sé, soltanto è necessario liberarla da tutte le
illusioni fuorvianti proposte dall’esterno, da tutte le illusioni
di rituali, coreografie fantasiose e bizzarre, promesse di facile e
veloce illuminazione acquisita quasi per magia.
La
scienza della mente ci mostra che essa è già perfetta in sé, la
dobbiamo solo scoprire, conoscere, così da poter trasformare la
realtà, questa è l’illuminazione, capire che abbiamo tutte le
potenzialità nelle nostre mani.
La
perfezione non è qualcosa che può pioverci addosso dall’esterno,
qualcosa di oggettivo immobile, no, la perfezione è solo interiore,
della mente consapevole che conosce se stessa ed è in continua
evoluzione, mai ferma su rigide posizione statiche.
La
trasformazione della visione ordinaria in visione straordinaria,
superiore, non dipende certamente dall’organo della vista, ma dalle
illimitate facoltà della mente che osserva la realtà nella sua vera
essenza e non della apparenza immediatamente, ordinariamente e
superficialmente percepita.
Per
trasformare la realtà che non è mai ferma, ma è in costante
cambiamento, evoluzione, dobbiamo maturare una visione intelligente,
flessibile, consapevole, frutto della conoscenza della nostra mente
primordiale, non inquinata, la mente di Dzogchen, la mente di grande
perfezione, non giudicante, ma chiara, luminosa, aperta e su questa
visione fondare la nostra esistenza poiché nulla, nemmeno il più
infinitesimo organismo cellulare è isolato, fermo, ma tutto è
interdipendente, interconnesso in un movimento infinito da cui sorge
la stessa vita. Questa è la visione profonda che nella
concentrazione penetra l’essenza di ogni realtà, di ogni fenomeno.
Quando noi osserviamo un fiume lo vediamo sempre allo stesso modo, ma
in realtà l’acqua che scorre non è mai la stessa e ad ogni
istante muta costantemente da milioni di anni e questa è la realtà
dei fenomeni. Vivere nella visione profonda del sé, nella purezza
della mente, è essere nel samādhi e l’unico potente mezzo per
addentrarci in essa è la meditazione sul respiro, il ritmo che
scandisce la vita stessa.
La
nostra mente è pura da tempo senza inizio e noi dobbiamo solo saper
riconoscere la sua grande perfezione che nei bambini avviene in modo
naturale, poi man mano cresciamo e accumuliamo conoscenze ed
esperienze noi la inquiniamo con false protezioni rimanendo così
sempre più soffocati sotto strati e strati di coperte pesanti che
impediscono ogni vera visione pura.
Un
secondo aspetto della mente primordiale è la capacità di realizzare
i propri obiettivi, il percorso della vita, in modo spontaneo, il che
non significa soddisfare qualsiasi desiderio passi per la testa, ma
soltanto quelli proficui alla propria crescita umana.
Una
terza caratteristica è la naturale gentilezza, l’amore, la
compassione che la mente pura riflette come specchio offrendo nella
riflessione la giusta risposta ad ogni domanda che la vita propone,
il vero percorso da affrontare nel preciso momento in cui si
presenta. Scoprire la perfezione in ogni cosa realizzando così la
perfezione nell’imperfezione del mondo, in totale armonia.
Questo
è il più grande dono dell’umanità, la grande perfezione della
mente pura primordiale che viene denominata in vari modi, a seconda
delle diverse scuole del buddismo tibetano, è detta Dzogchen,
Mahāmudrā, Rigpa e altro ancora, tutte terminologie che definiscono
la stessa unica realtà e il nostro lavoro dunque deve essere
sopratutto indirizzato allo sviluppo della conoscenza autentica della
nostra mente.
Lo
Dzogchen in generale si basa sull’Atiyoga
che è l’ultimo dei nove yoga, o yāna o sentieri e indica il
veicolo supremo, più diretto, però ciò non significa che sia
superiore ad altri, l’obiettivo è uno solo, il punto di arrivo che
però si può raggiungere su strade e con mezzi diversi, l’importante
è sapere qual è il veicolo a noi più confacente in base a come
siamo, all’attitudine profonda, alla nostra capacità, personalità,
maturazione, preparazione, dobbiamo scegliere il mezzo più idoneo
che può essere la bicicletta, l’auto, il treno regionale per
assaporare il paesaggio o quello ad alta velocità e infine il mezzo
ancor più rapido, l’aereo. Non esiste un veicolo migliore
dell’altro, tutti si equivalgono in quanto abili a raggiungere la
stessa meta, ciò che conta è conoscere se stessi e scegliere quello
a noi più consono e adeguato.
I
nove veicoli sono suddivisi il tre categorie, la prima è relativa
alla pratica comune ed è adatta a tutti i praticanti e in questa il
primo sentiero è quello del gruppo degli Śravakayāna,
gli Uditori, cioè di coloro che insieme si accostano alla pratica e
necessitano di un maestro, di una guida da ascoltare, da seguire; il
secondo passaggio è quello della meditazione concentrata sul singolo
punto per approfondire la ricerca della visione profonda dei cinque
aggregati del sé: «forma, sensazione, percezione, formazioni
mentali, coscienza», che sono importantissimi perché includono
tutti i fenomeni. Il terzo sentiero è la meditazione sulle quattro
nobili verità, il primo e fondamentale insegnamento del Buddha
trasmesso oralmente e direttamente e l’unico di cui siamo sicuri
perché mai soggetto a differenti interpretazioni nelle varie scuole
sorte successivamente sia in Tibet che negli altri paesi in cui si è
diffuso il buddismo, questo insegnamento è rimasto immutato per
tutti.
La
prima nobile verità, della sofferenza, è una realtà onnipresente,
da mattina a sera non manca mai, ed è dunque necessario averne
coscienza, osservarla e conoscerla, senza sprecare energie in
sciocchi e inutili tentativi di combatterla, di respingerla, perché
questo è impossibile e ne aumenta il peso. È necessario avere
consapevolezza che tutto, anche ogni godimento, è intriso di
sofferenza, noi infatti gustiamo con gratitudine un buon cibo perché
siamo ben consapevoli della sofferenza della fame, della sete. La
prima importante meditazione che dobbiamo fare è sulla sofferenza,
dukkha in sanscrito, che non può essere evitata rinnegata come se
non esistesse perché è sempre presente in ogni fenomeno e quindi
dobbiamo essere capaci di accoglierla, osservarla, conoscerla,
comprendere la sua realtà ultima.
Qual
è la realtà ultima della sofferenza? e perché è indispensabile
conoscerla? La verità della sofferenza non è il dolore in sé, ma
la sua realtà ultima è lo stato di non-sofferenza che possiamo
scoprire solo meditando sulla sofferenza, una condizione per noi
concretamente reale. Non serve infatti meditare su entità astratte o
lontane che in realtà non conosciamo davvero, è inutile meditare
sul Buddha o su Dio, mentre il dolore è in noi, lo dobbiamo
conoscere, questa è la meditazione davvero efficace. La conoscenza
profonda della sofferenza è il vero rimedio.
La
seconda nobile verità, meno immediatamente riconoscibile, è quella
delle cause della sofferenza. La dottrina individua una prima origine
nel karma, un argomento che già di per sé richiederebbe analisi
infinita, un secondo motivo è costituito dai cosiddetti assistenti
del karma, i difetti mentali, l’oscurazione determinata dalla
pigrizia che scaturisce direttamente dall’ignoranza. Noi soffriamo
realmente soltanto se gestiamo male la sofferenza, perché altrimenti
la sofferenza stessa può divenire risorsa. Se conosciamo le
condizioni che ogni giorno la vita ci presenta, i problemi da
affrontare, uno dopo l’altro, con ordine, calma, intelligenza, non
soffriamo in modo caotico e confuso il dolore, ma conoscendo la sua
causa possediamo le giuste indispensabili premesse per trasformarlo
realmente in risorsa e per fare questo è fondamentale superare
l’ignoranza e non crogiolarsi nella consueta pigrizia mentale, è
infatti facile e allettante affidarsi a un maestro, ad un
insegnamento esterno senza mai analizzare realmente la veridicità di
quanto detto e sognare, standosene comodamente nel nostro soffice
divano, il nirvāna ottenuto magicamente grazie alla benedizione di
chissà quale grande guru o tramite complessi quanto incomprensibili
rituali che si vogliono credere in nome di una fede sonnacchiosa
senza nemmeno tentare di capire se hanno davvero senso o no, ma i
difetti mentali possono e devono essere superati soltanto tramite la
volontà di conoscere la sofferenza di cui essi stessi sono intrisi.
La
terza nobile verità è la verità della cessazione della sofferenza
già insita nella potenzialità della sofferenza stessa, che può
superare se stessa unicamente nella conoscenza della sofferenza e
delle sue cause e nella realizzazione della sua realtà ultima.
La
quarta nobile verità è la verità del sentiero che conduce alla
cessazione della sofferenza, e cos’è questo sentiero? è la
sofferenza stessa da cui è impossibile fuggire, è inutile e
deleterio negarla, la si deve invece guardare in faccia senza paura,
viverla, meditarla e conoscerla. Questo è il sentiero che parte
dalla sofferenza e porta alla verità della sofferenza.
Noi
viviamo nel samsāra e dunque non esiste nulla che non sia impregnato
di sofferenza, dukkha, che possiede in sé la causa della sofferenza,
la sua cessazione e il sentiero che porta alla sua stessa cessazione.
Questa
è la pratica adatta a tutti, principianti e meditatori avanzati ed è
certamente la più indicata e sufficiente per gli uditori, è
assolutamente completa in sé ed è la base necessaria per
raggiungere qualsiasi livello di profondità fino al nirvāna, lo
stato di cessazione della sofferenza.
Altra
pratica molto importante è la semplicità, nella via di mezzo,
evitando gli estremi, mai troppa abbondanza e nemmeno stato di
miseria, ma una vita armoniosa con il necessario. Alla fine,
meditando con concentrazione. diminuiscono i difetti mentali, e nella
conoscenza delle quattro nobili verità si giunge al nirvāna, lo
stato di cessazione della sofferenza e questo è il primo dei nove
veicoli, la pratica adatta, perfetta per tutti noi. Il nirvāna è lo
stato di illuminazione che produce felicità cioè la cassazione
della sofferenza nella sua natura ultima.
Abbiamo
analizzato il primo veicolo, quello degli uditori, che necessitano di
una guida e di un gruppo e la cui pratica principale è quella delle
quattro nobili verità praticando il percorso dei dodici anelli per
giungere al nirvāna che non è altro che la verità ultima della
sofferenza, la sua cessazione.
Ora
possiamo avanzare di un gradino ed entrare nel secondo veicolo,
quello dei praticanti solitari, Pratyekabuddhayāna,
più forti, intelligenti e autonomi e che non hanno bisogno di
nessuna guida, ma ascoltano il maestro interiore. Questi praticanti
approfondiscono la meditazione sulla vacuità del sé. Ogni problema
nasce dalla ingannevole presenza di questo onnipresente io, tutto vi
ruota intorno, tutto è io e mio impedendo in questo modo ogni
possibilità di procedere verso l’illuminazione. Conoscere l’io
significa maturare con saggezza la conoscenza della vacuità sé. Il
lavoro di ricerca dell’io è fondamentale perché più lo si
rincorrere e più ci si accorge che è introvabile, che non esiste da
nessuna parte, è solo una prepotente ingannevole fantasia.
Noi
siamo inevitabilmente soggetti a tutti condizionamenti del samsāra,
ma questo non deve assolutamente essere considerato un fatto
negativo, è la nostra stessa esistenza. Samsāra e nirvāna non sono
due entità distinte, ma aspetti della stessa realtà così come vita
e morte, il nirvāna è già qui nel samsāra e dipende solo da noi,
dal lavoro interiore, dalle scelte, dalla consapevolezza, la nostra
capacità di riconoscere questa realtà accoglierla gioiosamente
nella sua interezza. Nessuno ci salverà magicamente dall’esterno,
nemmeno il Buddha o il più grande miracolo, soltanto noi possediamo
già tutte le potenzialità per realizzare samsāra e nirvāna dalla
nascita alla morte, non serve null’altro e dunque l’insegnamento
necessario è il silenzio. Per conoscere il sé che vive pienamente
samsāra e nirvāna ci si deve semplicemente allontanare da ogni
distrazione, da tutto, e raccogliersi nella meditazione silenziosa.
Il
terzo veicolo è quello dei Bodhisattvayana,
l’attitudine mentale che va oltre la naturale e necessaria
compassione e amore che tutti i praticanti devono porre al primo
posto, è il desiderio illimitato di offrire completamente agli altri
se stessi, la propria vita, senza trattenere nulla, prendendo su di
se il dolore del mondo e offrendo in cambio a tutti la propria gioia,
il proprio benessere. Abbiamo esempi evidenti di Bodhisattva, Gesù,
Buddha, Gandhi è moltissimi altri in ogni ambito non solo religioso,
anche sociale, umano e nelle stesse famiglie ci sono mamme autentiche
Bodhisattva. I Bodhisattva dedicano completamente la vita e se stessi
per portare tutti gli esseri senzienti nello stato di illuminazione e
sono consapevoli che per poter raggiungere questo obiettivo devono
prima di tutto realizzare loro stessi l’illuminazione.
È
un lavoro immenso, ma ciò che conta è l’attitudine mentale, la
volontà e la concentrazione poste in ogni atto compiuto a questo
scopo. La loro meditazione comprende quelle già viste nei primi due
livelli, le quattro nobili verità e la ricerca del sé così da
dimostrare inequivocabilmente la prova della sua non esistenza e,
infine lo sviluppo della Grande Compassione.
Per
comprendere meglio quanto detto finora leggiamo insieme
l’importantissimo insegnamento tibetano dato dall’erudito monaco
Lobsang Tsong Khapa a Tsa Kho Vonpo Ngawang Drakpa:
I
tre Aspetti Principali del Sentiero
Spiegherò,
come meglio posso,
il
significato essenziale di tutte le Scritture del Buddha,
il
sentiero lodato dagli eccellenti Bodhisattva,
la
via d’accesso per il fortunato che anela alla liberazione.
Coloro
che non sono attaccati ai piaceri dell’esistenza mondana,
coloro
che si sforzano per rendere utili le circostanze favorevoli e la
fortuna,
coloro
che propendono per il sentiero che compiace Buddha ,
questi
fortunati dovrebbero ascoltare con mente attenta.
Senza
una rinuncia completamente pura,
non
vi è modo di frenare l’ardente ricerca di piaceri nell’oceano
dell’esistenza.
Inoltre,
l’attaccamento all’esistenza ciclica imprigiona completamente gli
esseri incarnati.
Quindi,
sin dall’inizio, bisognerebbe cercare di realizzare la rinuncia.
Le
circostanze favorevoli e la fortuna sono difficili da ottenere
e
la vita non è lunga,
familiarizzando
con ciò, si elimina l’attaccamento alle apparenze di questa vita.
Riflettendo
costantemente sul karma e sui suoi inevitabili effetti
e
sulle sofferenze del samsara,
si
elimina l’attaccamento alle apparenze delle vite future.
Se,
avendo meditato in tal modo, non nasce nessun desiderio
per
i piaceri dell’esistenza ciclica,
e
se costantemente, giorno e notte, sorge un’aspirazione alla
liberazione,
allora
la rinuncia è stata generata.
Tuttavia,
se questa rinuncia non viene unita alla generazione
di
una completa aspirazione alla più alta illuminazione,
non
diverrà causa della meravigliosa beatitudine dell’insuperabile
Bodhi.
Perciò
il saggio dovrebbe generare il supremo Bodhicitta.
Gli
esseri samsarici vengono trascinati dalla corrente dei quattro
potenti fiumi,
sono
legati con le strette catene del karma, difficile da eliminare,
sono
entrati nella gabbia di ferro dell’attaccamento al Sé,
sono
completamente oscurati dalle fitte tenebre dell’ignoranza,
nascono
nell’esistenza senza limiti, e nelle loro nascite
vengono
incessantemente torturati dalle tre sofferenze
Riflettendo
in tal modo circa la condizione delle madri che si trovano in tale
stato,
genera
la suprema intenzione altruistica di divenire un Risvegliato.
Se
non possiedi la saggezza che comprende la vera natura delle cose,
sebbene
tu abbia sviluppato la rinuncia e il Bodhicitta,
la
radice del samsara non può essere estirpata.
Quindi,
impegnati intensamente per realizzare l’origine interdipendente.
Colui
che vede come inevitabile la realtà di causa ed effetto di tutti i
fenomeni
nel
samsara e nel nirvana,
distrugge
totalmente ogni percezione errata
ed
è entrato nel sentiero che compiace i Buddha.
Fin
quando le due realizzazioni, quella delle apparenze,
ovvero
l’inevitabilità dell’origine interdipendente
e
quella della Vacuità, ovvero la non-asserzione,
vengono
considerate separate, non vi è ancora la realizzazione
del
pensiero di Buddha Shakyamuni.
Quando
le due realizzazioni esistono simultaneamente, senza alternarsi,
e
la semplice percezione dell’inevitabilità dell’origine
interdipendente eliminerà
la
concezione di un’esistenza intrinseca,
allora
l’analisi della visione è completa.
Inoltre,
l’estremo dell’esistenza è eliminato dall’apparenza,
e
l’estremo della non-esistenza è eliminato dalla Vacuità.
Se
comprenderai che la Vacuità appare come causa ed effetto,
non
sarai preda delle visioni estremiste.
Quando
avrai realizzato correttamente
i
punti essenziali dei tre aspetti principali del sentiero,
dimora
in solitudine e genera il potere della perseveranza entusiastica.
Raggiungi
presto la tua meta finale, figlio mio.
***
I
tre aspetti principali del sentiero sono sostanzialmente riassumibili
in Rinuncia, Bodhicitta e Saggezza che realizza la realtà ultima.
Bisogna chiarire che con il termine rinuncia qui non si intende
quella comunemente intesa, cioè l’abbandono, la privazione di
qualcosa a cui teniamo, al contrario, è rinuncia alla sofferenza,
superare il samsāra e progredire accedendo a un’attitudine mentale
superiore. Noi viviamo nel samsāra, non possiamo rinnegare questa
condizione, è questa stessa vita, ma possiamo trasformarla, andare
oltre, proiettarci nel nirvāna, samsāra e nirvāna hanno lo stesso
sapore, sono inscindibilmente legate, non si può avere l’una senza
l’altra.
Abbiamo
dunque visto i primi tre veicoli e noi possiamo praticarli tutti o
anche uno solo di essi, non fa alcuna differenza, soltanto noi
conosciamo il nostro livello interiore, la capacità di assimilare e
percorrere un sentiero piuttosto che un altro e questi primi tre
livelli, ricordiamo, sono quello degli, Uditori con l’approfondimento
delle quattro nobili verità nell’ottuplice sentiero, dei
Praticanti solitari nella meditazione sulla vacuità del sé e dei
Bodhisattva con l’attitudine alla grande compassione che si
realizza nella pratica delle sei pāramitā, o perfezioni:
«Generosità,
Etica o moralità, Pazienza, Perseveranza entusiastica,
Concentrazione, Saggezza»
e tra queste la virtù più difficile da praticare probabilmente è
la pazienza, che deve essere applicata sempre e in tutto. Lo scopo
ultimo del Bodhisattva è raggiungere l’illuminazione completa
nella realizzazione della saggezza ultima con la Bodhicitta che
desidera portare tutti gli esseri all’illuminazione. I veicoli nel
Sūtra sono la base, le indicazioni di vita.
Sono
rimasti ancora altri sei veicoli, i primi tre appartengono alla
categoria dei Tantra
esteriori
e gli ultimi tre a quella dei Tantra
interiori o Anutarayoga Tantra.
Nel
mantra yana sono applicate le regole che riguardano più aspetti e i
primi pratiche, la più importante per noi, è quelli esteriori. Il
kiryātantra riferita particolarmente alla cura del corpo,
della propria salute, dell’alimentazione, dell’ambiente, e tutto
è strettamente interconnesso con il nostro fondamentale compito di
sviluppare la nostra natura divina.
Il
secondo veicolo è il Caryātantra
che si sviluppa in perfetto equilibrio in una pratica interiore ed
esteriore, per cui qualsiasi consueta azione quotidiana è svolta
contemporaneamente nella meditazione. Seguono poi varie pratiche con
devozioni a specifiche divinità, ma che qui non analizziamo perché
per noi non così importanti, per giungere infine al terzo livello
dello Yogatantra
in
cui si enfatizza maggiormente la pratica interiore, senza comunque
mai abbandonare la pratica esteriore.
Le
pratiche del Tantra interiori, Mayayoga,
Anuyoga e Atiyoga sono
il percorso della felicità nell’unione ultima dello stato di
non-dualismo assoluto.
In
questi giorni insieme abbiamo affrontato argomenti molto importanti.
Siamo alla ricerca della verità, la verità del sé, la verità
dell’io, la verità della mancanza del sé e la verità della
mancanza dell’io. E questa la meditazione e felicita'.
Grazie.....