Friday, 31 August 2012

Dovè la mente?



Dovè la mente? 

Geshe Gedun Tharchin


Dov’è la mente? Questo è il problema principale da affrontare, la mente è invisibile, senza forma, si presenta come fenomeno psicologico, di pensiero, è l’aspetto più difficile da comprendere, non è maneggevole, eppure tutta la nostra felicità o infelicità dipendono dalla mente, per questo è fondamentale saperla riconoscere, dunque meditare. La connessione tra la meditazione e la mente è basilare così come lo è il legame tra i concetti, l’immaginazione, i pensieri con la struttura biochimica del corpo, perché lo stato biologico condiziona inevitabilmente quello mentale.

Poiché in Europa viviamo in una società avanzata culturalmente, scientificamente, tecnologicamente, siamo in grado di analizzare i fattori biochimici del corpo e la loro influenza sullo stato meditativo, un armonico funzionamento fisiologico favorisce una buona meditazione. E’ sorprendente constatare come alcune reazioni emotive siano determinate da precise condizioni fisiche. Nella mia cultura, nei miei studi, si tendeva a considerare esclusivamente l’aspetto mentale e psicologico degli eventi, incluse le emozioni, mentre ora sappiamo che questo non è l’unico fattore che le determina, anche il corpo ha il suo peso.

Anche nelle antiche tradizioni si riconosceva che alcune reazioni potevano sorgere su una base fisiologica, ma mancava la capacità di analizzarle scientificamente, ora invece se ne può misurare e comprovare l’influsso sullo stato mentale, emotivo e persino spirituale. Se negli insegnamenti classici si insegna a riconoscere e distinguere le tendenze positive dalle negative e a lavorare su se stessi per trasformare le emozioni eccessive, la tecnologia moderna pare disporre di strumenti in grado di valutare il livello di infelicità o infelicità dei soggetti, di codificare ogni stato d’animo, incrociando tutte le variabili sino a poter stabilire la personalità buona o cattiva e le tendenze individuali.

Non c’è però contraddizione tra il procedimento tradizionale della mente e quello della scienza moderna, entrambe sono presenti, sia la componente più strettamente legata alla reazione fisiologica che quella emotiva elaborata su un piano mentale. Ogniqualvolta ritorno a casa e incontro i miei genitori mi sento felice, ma quando devo lasciarli la tristezza è profonda e sul piano mentale questo è giustificato dal distacco, dalla lacerazione affettiva, ma anche sul piano biologico avvengono reazioni che spesso non sono sufficientemente prese in considerazione.

Questo è un aspetto sottile su cui ragionare per poter comprendere cosa sia in realtà la mente, quando si è felici si dice “questa è la mente”, e altrettanto quando si è infelici, ad esempio tutti parlano della telepatia, ma non è detto che si tratti di un fatto solo mentale, potrebbe dipendere anche da elementi fisici che determinano una comunicazione molecolare senza fili tra le persone. La scienza oggi offre maggiori strumenti per analizzare e comprendere questi fenomeni e prenderne atto non significa affatto entrare in contraddizione con i procedimenti tradizionali classici, al contrario, esaminando i due aspetti nella loro complementarietà sarà più facile comprendere la natura dei fenomeni, come si formano e perché.

La radice della felicità o dell’infelicità affonda in noi stessi e soltanto nella costruzione di un equilibrio, frutto dell’elaborazione mentale delle reazioni emotive, sarà possibile controllare l’aspetto biochimico affinché non divenga predominante.

Il corpo, secondo le antiche definizioni tradizionali, è costituito dai quattro elementi fondamentali: terra, acqua, fuoco e aria, differenti e tra loro in costante antagonismo, ciò rende impossibile la stabilità della materia in una condizione di quiete e di serenità; sul piano fisico il caos e la confusione sono costanti, il cambiamento è ininterrotto, lo sviluppo di un bambino è visibile giorno per giorno e altrettanto l’energia incontrollabile dell’adolescente, anche l’adulto cambia continuamente giungendo alla vecchiaia e infine alla morte, come può questo corpo, in una situazione di perenne mutamento, trovare pace, serenità, equilibrio? Impossibile, persino nelle scritture antiche si dice che se anche si vivesse in un palazzo dorato, non sarebbe possibile avere felicità e pace, anzi maggiori sono le comodità del corpo più grande è la confusione della mente. 

La vera questione da affrontare è: cos’è la mente? cosa sono queste emozioni piacevoli o spiacevoli che influenzano così pesantemente il proprio stato, che natura ha tutto questo?
Sottostante a questo sentirsi bene o male, come si colloca questa aggressiva percezione di io, di essere pesantemente presente in ogni situazione eppure altrettanto indefinibile, imprendibile, che cosa è dunque questo io? è la cosa più misteriosa in noi, quando si cerca di afferrarlo scompare, ma quando non se ne ha coscienza ricompare prepotentemente. E’ un fenomeno sorprendente, come un magnifico arcobaleno ben visibile, ma se si tenta di afferrarlo non c’è nulla da ghermire.

Questo senso dell’io che ci fa dire:“io sto bene… io sto male… io sono così… io sono in un altro modo…” cos’è? da dove viene? perché è soggetto costantemente alla pressione di dover essere il migliore, in ogni aspetto fantastico, superiore?

Nell’insegnamento spirituale classico la domanda su cosa sia l’io in tutte le sue manifestazioni è fondamentale. Potremmo considerare questa presenza prepotente e manifesta fin dalla nascita come il peccato originale, ovunque si vada si è protetti dalla maschera di questo io.


Se subiamo un’aggressione non diciamo: il corpo è stato battuto, il braccio è stato spezzato, la testa ha ricevuto percosse, ma: mi hanno picchiato, mi stanno uccidendo, io ho un dolore tremendo…” perché istintivamente siamo prevaricati da questo presunto me, dall’arrogante io con cui ci identifichiamo totalmente.

Tanto è maggiore l’emozione quanto più evidentemente si impone l’io, però se ne avessimo maturato una chiara consapevolezza saremmo in grado di riconoscerlo, di imparare ad osservarlo. Qui sta la radice del problema, ma la radice è sconosciuta e questo rappresenta un ulteriore problema, ecco perché l’ignoranza fondamentale è realmente la causa di tutti i problemi. 

L’ignoranza fondamentale è la non conoscenza del problema stesso, e per questo nelle scritture si insiste sulla necessità della realizzazione del sé, cioè di conoscere cosa esso realmente sia. Non conoscere la radice del problema significa non conoscere il problema stesso, e dunque non conoscere l’io, perché conoscendo l’io si conoscerebbe la radice del problema e se ne troverebbe la soluzione, ma questa conoscenza è ottenibile soltanto nella pratica della meditazione.

Nella meditazione è possibile giungere alla radice del problema, all’io, al sé e dunque alla mente stessa, non si tratta di meditare sulla mente degli altri, questo sarebbe davvero assurdo e impossibile, persino meditare su oggetti esterni è difficile, bensì di meditare sulla propria mente, un compito estremamente arduo visto che non se ne conosce l’essenza, e allora, come si può meditare su qualcosa di cui si ignora persino l’esistenza?

Da questi interrogativi risulta evidente come la nostra visione del mondo sia assolutamente illusoria. Generalmente si pensa che l’illusione sia una conoscenza falsa, ma in realtà non è così, l’illusione è non-conoscenza, se non si conosce nemmeno la propria mente com’è possibile conoscere ciò che la mente conosce? questa è l’illusione fondamentale e, non conoscendo la propria mente, come si può conoscere altro?

Thursday, 23 August 2012

400 versi di Aryadeva e i tre livelli della pratica


Serie di lezione tenuta al Istituto Lamrim, Roma
 

8 versi, 400 versi di Aryadeva e i tre livelli della pratica



Geshe Gedun Tharchin


E dunque gli otto versi della trasformazione della mente sono la spiegazione riassuntiva, condensata della pratica dell’atteggiamento altruistico, il testo appare breve e le parole sembrano semplici ma il suo contenuto, la sua pratica è la più elevata, non possiamo aspettarci di raggiungere queste realizzazioni in un tempo brevissimo, così all’istante però possiamo cercare di praticarle almeno ad un livello di aspirazione a raggiungere la realizzazione piena.


Oggi pensava di leggerci alcuni versi dei 400 versi che è un testo di Aryadeva, che è un discepolo di Nagarjuna, un testo davvero prezioso e importante. Il testo dice che si deve riflettere sull’impermanenza e sulla sofferenza al fine di poter sviluppare la rinuncia, per rinuncia qui si intende la comprensione del samsara. E quindi lo sviluppo della rinuncia corrisponde allo sviluppo del rispetto per il nirvana che si pone come il contrario del samsara, e quindi riuscendo a sviluppare questo rispetto, questa aspirazione nei confronti del nirvana attraverso lo sviluppo della rinuncia e quindi della comprensione dell’impermanenza e della sofferenza, solo a quel punto si potrà cercare di realizzare la vacuità che è il vero sentiero che conduce al nirvana. Per poter raggiungere il nirvana bisogna praticare la realizzazione della vacuità attraverso la comprensione dell’impermanenza e della sofferenza come rinuncia al samsara, e quindi il primo e grande ostacolo che noi andiamo ad incontrare è proprio quello della rinuncia al samsara che è molto difficile da compiere. E qui appunto il primo paragone che viene fatto è quello in cui si dice che l’attaccamento al samsara è simile all’attaccamento che proviamo nei confronti della nostra casa, per quanto sia piccola la casa è molto difficile abbandonare, lasciare l’attaccamento che si prova verso di essa, indipendentemente dalla grandezza della casa, sia essa grande o piccola, comunque, il livello di attaccamento che si prova nei suoi confronti è uguale per tutti, per cui anche se il tipo di sofferenze magari si possono differenziare quelle che sperimentiamo nella vita di tutti i giorni, da persona a persona, in realtà poi l’attaccamento che noi abbiamo nei confronti di queste sofferenze, di queste cose qua è uguale per tutti, lo sperimentiamo tutti quanti allo stesso livello. Finché non si è riusciti a sviluppare la rinuncia al samsara, non si riesce a sviluppare appunto l’ammirazione e il rispetto per il nirvana.


La rinuncia al samsara è la […] che conduce alla liberazione, e questa appunto si pone a conclusione del, per cui per poter uscire fuori dal samsara occorre sviluppare la rinuncia. E quindi ci si pone la domanda, come seguire il sentiero che conduce alla liberazione? I principianti inizieranno con la pratica della generosità, mentre coloro che sono i praticanti o gli esseri che sono ad un livello intermedio praticheranno l’etica, mentre coloro che sono ad un livello superiore, i grandi praticanti, i praticanti avanzati si dedicheranno alle pratiche della calma dimorante e della visione speciale, e quindi appunto ci sono differenti livelli su cui iniziare, quello della generosità è quello che ci appare più facile in effetti. Quando ci si è introdotti alla pratica della generosità, allora si potrà passare alla pratica dell’etica, sulla base di queste pratiche che si sono acquisite ci si potrà dedicare al livello superiore delle pratiche appunto della calma dimorante, cioè della concentrazione sul singolo punto, e della pratica della profonda visione. Il motivo […] questa successione delle pratiche è perché all’inizio il principiante è bene che cerchi di evitare le azioni negative, più correttamente dette le azioni non virtuose, perché le azioni non virtuose possono essere evitate proprio grazie alla pratica di generosità ed etica, ma chiaramente l’evitare, l’abbandono delle azioni non virtuose non è sufficiente, e quindi bisogna a quel punto intraprendere l’abbandono dell’atteggiamento, dell’attaccamento, dell’afferrarsi al sé, all’io. Terzo livello della pratica è quello della realizzazione della vacuità. Questi tre livelli appunto di pratica sono anche introdotti qui, quindi questi quattro gruppi di versi spiegano piuttosto bene come individualmente si può affrontare il sentiero che conduce alla liberazione.


Quando parliamo di queste pratiche stiamo facendo dei discorsi che di solito nel nostro quotidiano non affrontiamo, e anzi quello di cui parliamo durante il nostro quotidiano, durante la nostra vita sociale, la nostra vita privata di solito si riferisce a qualcosa che è molto diverso da quello di cui stiamo parlando adesso, anzi di qualcosa che appare come una cosa contraria, opposta. Le cose appunto che appartengono al nostro quotidiano, soprattutto oggi in cui appunto sono di moda parole anche come mobbing, ciò che appartiene a questo quotidiano sono proprio in contraddizione e assolutamente opposte a quello di cui stiamo parlando qui, il mobbing è una forma di mancanza di generosità, è una cosa che sta facendo soffrire parecchie persone, e appunto il mobbing è una cosa di cui Geshe e non solo lui, è una cosa di cui non si parlava molto tempo fa, qualcosa che sembra venir fuori da questa strana situazione, c’è meno lavoro ma è richiesta più professionalità, e appunto è frutto di questa strana situazione, e il mobbing è decisamente qualcosa di non buono, che crea appunto un’atmosfera assolutamente non buona, che è presente nelle grandi aziende. E quindi insomma una persona che vive in una situazione di questo genere, sottoposta appunto a condizioni di mobbing, o comunque insomma in una situazione in cui esiste il mobbing, come riesce a praticare queste cose di cui andiamo parlando? Sono cose molto difficili da praticare, in maniera particolare gli otto versi sono molto difficili da praticare. E quindi quello di cui stiamo parlando, il Dharma appare proprio come una cosa che sta al di fuori della società, come se fosse un sogno, una forma di fantasia. La pratica del Dharma non è una cosa fatta per evitare questo tipo di situazioni sociali, la pratica del Dharma ci permette di avere quella forza, quella forza interiore che appunto ci permette di affrontare queste situazioni, se una persona che per esempio è sottoposta ad un episodio di mobbing, se è una persona che pratica il Dharma, avrà una maggiore facilità a poter affrontare questo tipo di situazione, e se ci sono delle possibilità anche di vincere la causa che si presenta, la vittoria sarà più facile, e invece se non ci sono possibilità di vittoria allora si perderà almeno felicemente, e per quanto riguarda tutto il resto la pratica del Dharma permette di avere quella forza interiore, quella stabilità, quella tranquillità che ci rende in grado di poter affrontare qualsiasi situazione del quotidiano. Se riusciamo a comprendere questa filosofia, questa teoria, questa pratica all’interno del nostro contesto allora questa filosofia, questa pratica avrà un senso e potrà giocare un ruolo molto importante nella nostra vita. La cosa più importante è la ricchezza interiore, la stabilità interiore, la tranquillità interiore, perché la stabilità e la tranquillità interiori costituiscono la forza interiore, la forza interiore può superare qualsiasi problema esterno, esteriore, dunque e perciò e quindi la rinuncia è importante.


Ad esempio la pratica della generosità è, in questo testo, stata introdotta come la pratica più facile, più semplice, eppure a noi sembra così difficile, e finché per noi la pratica della generosità apparirà così difficile non ci sarà modo per noi di poter accedere alla altre pratiche, che sono quella dell’etica, oppure quella della calma dimorante, o la pratica meditativa della visione profonda. Ci sono tre livelli di generosità, il primo è quello delle cose materiali, il secondo riguarda il proprio fisico, la propria forma fisica e la terza generosità riguarda l’accumulazione delle azioni virtuose, che può essere detto in un altro modo come le qualità spirituali che andiamo ad accumulare, e quindi sono soggette alla generosità sia i nostri beni, che il nostro corpo, che le nostre azioni virtuose, cioè le nostre qualità spirituali. Tutte queste cose devono essere dedicate agli altri, è un’ottima cosa che il nostro corpo possa essere dedicato agli altri, dedito agli altri, una appunto delle difficoltà è l’attaccamento che proviamo nei confronti del nostro corpo, se riusciamo a renderlo dedito agli altri, a dedicarlo agli altri allora questo attaccamento cesserà. A volte è molto difficile poter trovare una distinzione, una separazione tra il nostro io e il nostro corpo, così come è difficile trovare una separazione tra il nostro io e le nostre qualità spirituali, e quando si parla di generosità il più delle volte si pensa ad una generosità che è relativa ai beni materiali, ma non è solo questo. Dedicare, rendere il proprio corpo dedito a tutti gli altri esseri viventi, gli esseri senzienti, dedicare tutte le nostre qualità spirituali a tutti gli esseri senzienti, questo che il nostro corpo, che le nostre qualità spirituali ci appartengano, siano nostre in maniera esclusiva è una grande fonte di problemi, ma quando appunto il nostro corpo diviene dedito ad un numero incalcolabile di altri allora diviene davvero significativo, acquista senso e ci si rende liberi dalle preoccupazioni e dagli interessi che si hanno nei confronti del proprio corpo e delle proprie qualità spirituali, e questa è la pratica del Dharma che non significa che non ci dobbiamo prendere cura del corpo, delle qualità spirituali ma significa prendersi cura dei propri beni, del proprio corpo, delle proprie qualità spirituali al fine di poter beneficiare tutti gli altri esseri senzienti, e questo è il modo intelligente di poter prendersi cura dei propri beni, del proprio corpo e delle proprie qualità spirituali. In questo modo qualsiasi azione nella quale siamo coinvolti si trasforma in un’azione di amore e compassione universale, e in questo modo ci si ritrova sempre gioiosi, felici e soddisfatti.


[…]


E quindi la pratica della generosità certo non è una pratica facile, eppure è la pratica più facile fra le pratiche, in condensato, insomma in breve, in riassunto si può dire appunto che dare se stessi agli altri è magnifico. Che cosa altro si può fare di più di questo nella propria vita? E’ la cosa che si può fare che abbia maggiore senso, ed è l’unico modo per essere felici nel samsara, dare completamente se stessi per gli altri. E quindi come vedete il prendersi cura della propria salute, di se stessi non è assolutamente in contraddizione con la pratica del Dharma, la pratica del Dharma consiste nel saper cogliere, nel darsi la possibilità di poter cogliere l’occasione, quando si presenta, di poter aiutare un altro, ma senza appunto forzare questo, è una pratica che non deve essere compiuta con pressione, appunto la pratica della generosità non consiste nel forzare l’altro a prendere qualcosa, questo non è certamente un buon modo di praticare, la pratica del Dharma consiste nel fatto che laddove si presenti l’occasione, la necessità e la possibilità la persona è pronta, però senza fare pubblicità, perché la pubblicità non è inclusa nella pratica del Dharma. La pratica del Dharma principalmente consiste in un lavoro interiore, personale, per rendersi pronti al momento in cui ci sia la possibilità di poter beneficare qualcuno, il che significa che bisogna essere dei volontari al servizio degli altri esseri senzienti, perché noi ci stiamo preparando a servire gli altri esseri senzienti, non c’è nessun bisogno e necessità di organizzazioni, ci sono associazioni e organizzazioni come la croce rossa, medici senza frontiere o tante altre, ce ne sono talmente tante. Quando si parla di organizzazioni c’è il pericolo appunto che sorgano queste accuse che vengono fatte, per cui alcuni fanno parte di sistemi di spionaggio, altri lo fanno per soldi, altri per motivi politici, insomma, si fa da soli, nel personale, si è dediti a tutti gli esseri senzienti, si lavora interiormente, se c’è l’occasione, l’opportunità e la necessità si beneficia chi ne ha bisogno e quando è finito, è finito. Noi siamo l’organizzazione dei cinque aggregati. I paesi sviluppati sono anche troppo sviluppati, sono sovrasviluppati, questo provoca spesso, insomma a volte una troppo grande confusione, chiaramente questo si tratta di uno scherzo insomma.


Ci sono domande?


Se non ci sono domande possiamo fare una breve meditazione silenziosa. Allora appunto la meditazione sarà sulla pratica della generosità, sul fatto che appunto il corpo, i beni, le qualità siano dedite a tutti gli esseri senzienti.


Grazie


Saturday, 18 August 2012

I tre Aspetti Principali del Sentiero



I tre Aspetti Principali del Sentiero


Porgo omaggio ai venerabili Lama.1

Spiegherò, come meglio posso,
il significato essenziale di tutte le Scritture del Buddha,
il sentiero lodato dagli eccellenti Bodhisattva2,
la via d’accesso per il fortunato che anela alla liberazione.3

Coloro che non sono attaccati ai piaceri dell’esistenza mondana4,
coloro che si sforzano per rendere utili le circostanze favorevoli e la fortuna5,
coloro che propendono per il sentiero che compiace Buddha ,
questi fortunati6 dovrebbero ascoltare con mente attenta.

Senza una rinuncia7 completamente pura,
non vi è modo di frenare l’ardente ricerca di piaceri nell’oceano dell’esistenza8.
Inoltre, l’attaccamento all’esistenza ciclica imprigiona completamente gli esseri incarnati.
Quindi, sin dall’inizio, bisognerebbe cercare di realizzare la rinuncia.

Le circostanze favorevoli e la fortuna sono difficili da ottenere
e la vita non è lunga,
familiarizzando con ciò, si elimina l’attaccamento alle apparenze di questa vita.
Riflettendo costantemente sul karma e sui suoi inevitabili effetti
e sulle sofferenze del samsara9,
si elimina l’attaccamento alle apparenze delle vite future10.

Se, avendo meditato in tal modo, non nasce nessun desiderio
per i piaceri dell’esistenza ciclica,
e se costantemente, giorno e notte, sorge un’aspirazione alla liberazione,
allora la rinuncia è stata generata.

Tuttavia, se questa rinuncia non viene unita alla generazione
di una completa aspirazione alla più alta illuminazione11,
non diverrà causa della meravigliosa beatitudine dell’insuperabile Bodhi12.
Perciò il saggio dovrebbe generare il supremo Bodhicitta13.

Gli esseri samsarici vengono trascinati dalla corrente dei quattro potenti fiumi14,
sono legati con le strette catene del karma15, difficile da eliminare,
sono entrati nella gabbia di ferro dell’attaccamento al Sé16,
sono completamente oscurati dalle fitte tenebre dell’ignoranza,

nascono nell’esistenza senza limiti, e nelle loro nascite
vengono incessantemente torturati dalle tre sofferenze17.
Riflettendo in tal modo circa la condizione delle madri18 che si trovano in tale stato,
genera la suprema intenzione altruistica di divenire un Risvegliato19.

Se non possiedi la saggezza20 che comprende la vera natura delle cose21,
sebbene tu abbia sviluppato la rinuncia e il Bodhicitta,
la radice del samsara22 non può essere estirpata.
Quindi, impegnati intensamente per realizzare l’origine interdipendente23.

Colui che vede come inevitabile la realtà di causa ed effetto di tutti i fenomeni
nel samsara e nel nirvana24,
distrugge totalmente ogni percezione errata
ed è entrato nel sentiero che compiace i Buddha.

Fin quando le due realizzazioni, quella delle apparenze,
ovvero l’inevitabilità dell’origine interdipendente25
e quella della Vacuità, ovvero la non-asserzione26,
vengono considerate separate, non vi è ancora la realizzazione
del pensiero di Buddha Shakyamuni27.

Quando le due realizzazioni esistono simultaneamente, senza alternarsi,
e la semplice percezione dell’inevitabilità dell’origine interdipendente eliminerà
la concezione di un’esistenza intrinseca,
allora l’analisi della visione28 è completa.

Inoltre, l’estremo dell’esistenza29 è eliminato dall’apparenza30,
e l’estremo della non-esistenza31 è eliminato dalla Vacuità32.
Se comprenderai che la Vacuità appare come causa ed effetto,
non sarai preda delle visioni estremiste33.

Quando avrai realizzato correttamente
i punti essenziali dei tre aspetti principali del sentiero34,
dimora in solitudine e genera il potere della perseveranza entusiastica35.
Raggiungi presto la tua meta finale36, figlio mio37.


Testo scritto dall'erudito monaco Drakpa Pal (Tsongkhapa) a Tsa Kho Vonpo Ngawang Drakpa.


1 Lama: (termine tibetano, in sanscrito guru) guida o maestro spirituale. Letteralmente: “ricco di qualità spirituali”.
2 Bodhisattva: (termine sanscrito) colui che possiede la Bodhicitta.
3 Liberazione: (in sanscrito moksha) eliminazione di tutte le emozioni afflittive o illusioni, ottenimento dello stato di Arhat, il sentiero della fine dell’apprendimento del sarvabuddha e del pratyekabuddha
4 Piaceri dell’esistenza mondana: piaceri dominati dall’attaccamento ai piaceri dei sensi.
5 Circostanze favorevoli e fortuna: avere buone opportunità e condizioni per praticare il Dharma.
6 Fortunati: coloro che hanno incontrato il Dharma e sono capaci di praticarlo.
7 Rinuncia: autentica intenzione di abbandonare il Samsara e raggiungere il Nirvana.
8 Oceano dell’esistenza: (in sanscrito samsara, in tibetano khor wa) attaccamento alle apparenze di questa vita, interesse per gli aspetti riguardante la vita presente.
9 Samsara: (termine sanscrito) gli aggregati impuri di un essere senziente, che da tempo senza inizio hanno dato luogo al ciclo di morte e rinascita a causa dell’illusione e del karma, e hanno reso gli esseri senzienti carichi delle sofferenze dei sei regni fisici/spirituali.
10 Attaccamento alle apparenze delle vite future: interesse per gli aspetti riguardanti le prossime vite nel samsara.
11 Aspirazione alla più alta illuminazione: (in sanscrito Bodhicitta, in tibetano jang chub kyi sem).
12 Insuperabile Bodhi: lo stato di Buddha.
13 Bodhicitta: (termine sanscrito) autentica aspirazione a raggiungere la completa illuminazione allo scopo di portare tutti gli esseri senzienti allo stato di completa illuminazione.
14 Quattro potenti fiumi: rinascita, invecchiamento, malattia e morte.
15 Karma: (termine sanscrito, in italiano azione, in tibetano les) una sottile impronta nel continuum mentale proveniente da esperienze precedenti, la quale da impulsi ad azioni mentali e fisiche.
16 Attaccamento al Sé: (in tibetano dag zin): percezione errata che si attacca all’idea di un Sé o di un Io intrinsecamente esistente.
17 Tre sofferenze: sofferenza del dolore, sofferenza del cambiamento, sofferenza della condizione.
18 Madri: tutti gli esseri senzienti, i più cari, quelli che hanno recato più benefici.
19 Intenzione altruistica di divenire un Risvegliato: in questo contesto si riferisce al Bodhicitta.
20 Saggezza: realizzazione della Vacuità.
21 La vera natura delle cose: la realtà ultima dell’esistenza delle cose, vacue di un’esistenza intrinseca.
22 Radice del Samsara: l’ignoranza, il non vedere la verità, opposta alla saggezza.
23 Origine interdipendente: (in tibetano ten byung) la realtà dell’esistenza delle cose e degli eventi, che esistono in modo interdipendente.
24 Nirvana: al di là della sofferenza, cessazione della sofferenza.
25 Apparenze, ovvero l’inevitabilità dell’origine interdipendente: realtà convenzionale o verità convenzionale.
26 Vacuità, ovvero la non-asserzione: realtà ultima o verità ultima.
27 Pensiero del Buddha Shakyamuni: la natura non duale delle due verità.
28 Visione: realtà ultima.
29 Estremo dell’esistenza: l’idea che le cose esistano solo in maniera intrinseca o da sé.
30 Apparenza: Visione comune.
31 Estremo della non-esistenza: l’idea che le cose non esistano, se non in maniera intrinseca.
32 Vacuità: la vera natura dei fenomeni, non esistenti in maniera intrinseca.
33 Visioni estremiste: Nichilismo ed Eternalismo.
34 I tre aspetti principali del sentiero: Rinuncia, Bodhicitta e Saggezza.
35 Perseveranza entusiastica: sforzo gioioso nella pratica del Dharma.
36 Meta finale: illuminazione completa, stato di Buddha .
37 Figlio mio: in maniera diretta, si riferisce a Tsakhowa Ngawang Dakpa; in maniera indiretta a coloro che desiderano realizzare i tre aspetti principali del sentiero.

Traduzione inglese e note a cura di Geshe Gedun Tharchin - La traduzione italiana è stata effettuata dall'Istituto Lam Rim di Roma.

PREGHIERA DEL LAM RIM



 
PREGHIERA DEL LAM RIM
Jetzun Lobsang Dakpa


Per le due raccolte che pervadono la vastità dello spazio,
accumulate con molto impegno per lungo tempo
possa io diventare rapidamente il potente vittorioso
che guida i migratori il cui occhio mentale è ottenebrato dall’ignoranza.

Da ora in tutte le mie esistenze
possa Mañjusri prendersi cura di me con amore,
possa io trovare il supremo sentiero graduale di tutti gli insegnamenti,
praticarlo e compiacere tutti i vittoriosi.

Utilizzando ogni realizzazione dei punti del sentiero,
dissiperò l’oscurità mentale di tutti gli esseri
attraverso metodi abilissimi dettati dall’intenso potere dell’amore.
Possa io sostenere e propagare per eoni gli insegnamenti del vittorioso.

Ovunque il prezioso insegnamento non sia giunto
o dove sia degenerato,
spinto da grande compassione,
possa io diffondere la luce su questi benefici tesori.

Possano le meravigliose opere virtuose dei vittoriosi
e dei loro figli e la pratica eccellente degli stadi
del sentiero all’Illuminazione arricchire la mente dei ricercatori della liberazione,
possano le azioni dei vittoriosi continuare a lungo.

Possa tutto essere reso favorevole alla pratica
del sentiero eccellente e siano dissipati gli ostacoli.
Possano tutti gli esseri umani e non umani in tutte le loro vite non essere
mai separati dal sentiero puro elogiato dai vittoriosi.

Chiunque, con grande energia,
si impegna operando in armonia con le pratiche preparatorie del veicolo
supremo possa essere sempre assistito dai potenti dharmapal
e possano estendersi oceani di buona fortuna, pervadendo ogni direzione.

Friday, 17 August 2012

Preghiera e meditazione come Aspirazione e Realizzazione



Serie di lezione tenuta al Istituto Lamrim, Roma 
Preghiera e meditazione come Aspirazione e Realizzazione
Geshe Gedun Tharchin

I testi che leggiamo possono essere utilizzati come mezzo per la meditazione o come preghiera. Se li leggiamo con l’intento di esprimere una preghiera allora il significato sarà rispetto e aspirazione, mentre se li consideriamo per la meditazione, mettiamo in atto i nostri pensieri e quindi un’analisi cognitiva.

In realtà non esiste una netta separazione tra la meditazione e la preghiera, se meditiamo stiamo in un certo senso pregando e viceversa: con la preghiera esprimiamo le nostre aspirazioni, gli obiettivi che vogliamo raggiungere; la meditazione invece è un tentativo di realizzare il significato delle aspirazioni che avevamo messo in luce con la preghiera.

Generalmente quando si parla di religione, o di spiritualità, si pensa sempre in termini di separazione tra la pratica della meditazione e della preghiera mentre, in realtà, esiste solo una differenza sottile che consiste nel fatto che nella preghiera esprimiamo le nostre aspirazioni non per ricevere qualcosa dall’esterno, mentre nella meditazione avviene un lavoro interiore di cui realizzarne il significato, ossia è un qualcosa che rafforza e conferma le nostre intenzioni.

La meditazione è quindi uno strumento per realizzare tutto ciò che ci siamo prefissi con la preghiera.
Per far si che la meditazione dia i suoi risultati è necessaria una costante preghiera; la preghiera senza meditazione è come desiderare di voler andare da qualche parte senza camminare.

La preghiera mostra il cammino da percorrere e la meditazione rappresenta il camminare, ossia lo sforzo, il lavoro. La meditazione senza la preghiera non saprebbe dove andare in quanto non conoscerebbe l’obiettivo, quindi la preghiera dà un impulso alla nostra pratica per andare più veloce.

La preghiera ci aiuta a capire a che punto del nostro lavoro siamo arrivati e dove dobbiamo dirigerci.
Quando leggiamo dei testi come preghiera, interiorizziamo i concetti, le parole, il senso ed ogni volta cogliamo qualcosa di diverso raggiungendo livelli diversi di comprensione che ci aiutano nella meditazione.
E’ importante chiarire le differenze tra preghiera e meditazione; su questo si fa molta confusione, crediamo siano due concetti in contrapposizione, pensiamo che pregare significhi chiedere qualcosa dall’esterno.

Ci sono due tipi di fraintendimenti: c’è chi pensa che colui che medita non abbia bisogno della preghiera in quanto autonomamente sviluppa una crescita interiore e chi ritiene che la preghiera esista senza la meditazione ossia chiedere qualcosa ad un Dio senza la propria realizzazione. Questi fraintendimenti portano le persone a credere o nella meditazione o nella preghiera quindi chi medita non prega e viceversa, invece preghiera e meditazione sono due cose diverse, ma complementari.

E’ quindi possibile pregare e meditare contemporaneamente, in quanto attraverso la preghiera abbiamo l’aspirazione e nella meditazione troviamo la realizzazione. Ad esempio quando leggiamo testi sacri stiamo pregando poiché questi vengono scritti come una preghiera, ma stiamo anche meditando in quanto ne analizziamo i concetti e quindi ne realizziamo il significato. Anche leggere silenziosamente è una forma di meditazione.

Nella società occidentale un ulteriore fraintendimento viene dal considerare la meditazione come una sorta di ginnastica mentale, mentre il vero significato è quello di portare la conoscenza alla realizzazione, ossia i concetti alla loro messa in pratica.

La conoscenza è il risultato di uno studio intellettuale, ma non avrebbe significato se, attraverso la meditazione, non la mettessimo in pratica e quindi la realizzassimo.

La meditazione e la preghiera sono quindi i metodi per portare la conoscenza alla sua realizzazione. Realizzazione significa portare dei concetti nella realtà, ad esempio possiamo sapere cosa siano l’amore e la compassione, ma poi è fondamentale realizzarli nella nostra vita, ossia vivere con amore e compassione.

Domanda: Volevo sapere se per preghiere si intendono solo quelle precostituite, o se ne posso creare io una, e nel caso che valore ha?
Risposta: Dipende dall’intenzione, dalla qualità del tuo cuore. Anche qui può nascere un fraintendimento in quanto a volte crediamo che recitare una preghiera scritta da una persona importante abbia un valore maggiore rispetto ad una formulata da uno sconosciuto o nostra, il valore invece sta nella qualità del cuore con cui viene espressa.

Domanda: C’è differenza se si prega in gruppo o da soli? Ho questa rimembranza dalla religione cattolica dove si crede che alcune preghiere siano più potenti perché recitate maggiormente.
Risposta: Questa è una grande illusione. Non dipende da quante volte o quante persone recitino quella determinata preghiera, ma da come la preghiera tocchi il cuore di ciascuno: più tocca il tuo cuore più ha effetto su di te e quindi diventa efficace. Pregare in gruppo dà un risultato collettivo, pregando da soli si accumulano propri meriti.

Domanda: Ma ci sono dei gruppi cattolici che si riuniscono sostenendo la potenza del gruppo che prega…
Risposta: Esiste un aspetto di verità in questo perché pregare in gruppo crea un’energia collettiva positiva. L’errore può essere nel credere di ottenere più grazia dall’esterno, mentre il senso è quello di rimanere più concentrati.

Domanda: Quando il Sangha recita una preghiera mi accorgo che non abbiamo un ritmo comune, ognuno recita indipendentemente. Questo è sbagliato?
Risposta: No, non è importante recitare una preghiera come se stessimo cantando una melodia.
Nel mio monastero cantiamo a qualsiasi ora del giorno e della notte perché abbiamo molto tempo libero per esercitarci.

Domanda: Studio, preghiera e meditazione sono i lati della stessa cosa?
Risposta: Sono tutti focalizzati sulla stessa cosa. La conoscenza aiuta in quanto arriva all’anima e al cuore. Quel che dobbiamo fare è creare un’unione tra la mente ed il cuore; questo avviene con la meditazione e la preghiera: sono due canali attraverso i quali dalla conoscenza mentale passiamo alla realizzazione del cuore-mente.

Domanda: Ci spieghi meglio che intendi con cuore, mente e anima?
Risposta: Nella traduzione dei testi di filosofia buddista si cerca di non utilizzare termini quali “anima” o “Dio” che ci riportano al Cristianesimo e che creerebbero dubbi e confusione. Nella concezione buddista con il termine “mente” non si intende soltanto il cervello, ovvero un qualcosa che risieda solo nella testa, ma si parla di un qualcosa che abbia un collegamento anche con il cuore, quindi in generale si potrebbe anche chiamare anima.
Analogamente il cuore non è soltanto l’organo che pompa il sangue, ma è un chakra ossia un punto centrale del nostro essere.
E’ comunque importante non sviluppare una concezione accademica o linguistica per distinguere questi termini, poiché il vero praticante è colui che sente queste cose all’interno del proprio essere.  

Wednesday, 15 August 2012

Pratica di Dharma e vita


Serie di lezione tenuta al Istituto Lamrim, Roma
Pratica di Dharma e vita
Geshe Gedun Tharchin

Il nostro scopo è quello di portare quiete, tranquillità e pace nei nostri cuori e questa pace e tranquillità non è rivolta verso ragioni egoistiche, ma verso tutti gli altri esseri ed il mondo che ci circonda. E’ importante che questa calma e felicità che portiamo all’interno del nostro cuore non vada mai in contrasto con il nostro atteggiamento altruistico.

Questo non è facile da capire e da mettere in pratica senza cadere in una falsa contraddizione; bisogna creare nel nostro cuore queste buone qualità e nello stesso tempo mantenere vivo il principio dell’atteggiamento altruistico, riuscire a metterlo in pratica mantenendo la consapevolezza. Una volta che questo è stato compreso si potrà affrontare qualsiasi sentiero spirituale che permetta di sviluppare le nostre qualità interiori.

La mia esperienza personale, comune a tutti i praticanti, porta sulla via dello sviluppo delle qualità interiori, ma questo parte dal senso dell’io che a volte diventa troppo preminente e nega il fatto che le qualità interiori siano per il benessere degli altri, quindi la pratica stessa diventa contraddittoria perchè non dovrebbe mai prescindere dai due principi: quello dello sviluppo della pace nei nostri cuori ed il pensiero degli altri. Questa è la maggiore difficoltà che possiamo incontrare nella nostra pratica e nello sviluppo delle qualità interiori, in quanto, come detto prima, queste non si possono accrescere senza prendersi cura degli altri. Dopotutto, senza questo pensiero degli altri, a che cosa servirebbe sviluppare le qualità interiori? E’ proprio questo pensiero altruistico che rende significative le qualità interiori le quali possono trovare applicazione in qualsiasi pratica spirituale che diverrà, di conseguenza, bellissima. Si può dire che non esista pratica che sia basata esclusivamente su un atteggiamento egoistico in quanto l’egoismo è considerato come il maggiore ostacolo o disturbo nella pratica personale. Affrontare la pratica di Dharma con atteggiamento egoistico è praticamente impossibile.

Quotidianamente non sempre la nostra pratica è così corretta, il che significa che in un certo senso falliamo nella pratica e questa non ha più quel successo che dovrebbe avere. Se invece riusciamo ad avere un approccio completo alla pratica, allora qualsiasi attività quotidiana diverrà un pratica stessa. Quindi non c’è differenza tra quello che è la pratica e quello che sono le attività quotidiane in quanto queste vengono compiute non per se stessi, ma per chi si ama e per qualsiasi altro essere vivente; questa è la reale pratica.
Tutto questo dovrebbe riguardare la nostra vita, quindi la nostra sopravvivenza non è egoistica, ma è legata agli altri e questo fa si che qualsiasi cosa si faccia diventi un accrescimento, per noi e per gli altri, di gioia, tranquillità e calma.

Questo tipo di trasformazione di ogni nostro atto in una pratica di Dharma è un qualcosa che richiede molto tempo, ma può avvenire attraverso una riflessione analitica, una riflessione di ciò che facciamo attraverso il ragionamento, ed in questa maniera, gradualmente, riusciremo a vederne i frutti, ossia le piccole trasformazioni che ci porteranno a sentire dentro di noi una maggiore calma, pace e felicità. Perciò credo che non ci sia differenza tra la pratica di Dharma e la nostra vita, ma fino a quando troveremo questa differenza significherà che non abbiamo ancora raggiunto la perfezione nella pratica del Dharma.

Questo concetto lo potremmo addirittura utilizzare come strumento di misura, ossia osservare quanto questa differenza che facciamo tra la pratica del Dharma e la vita di tutti i giorni sia effettiva in noi, quindi là dove troviamo una grande distanza tra queste due cose ci renderemo conto di quanto poco stiamo praticando, mentre man mano che vedremo avvicinarsi la pratica di Dharma e la vita ci renderemo conto di quanto stiamo comprendendo finalmente la pratica del Dharma. Quindi la pratica del Dharma è la vita! E più si cresce e più si dovrebbe accumulare Dharma; questa sarebbe una buona cosa, così quando ci avvicineremo al momento estremo, significherà che saremo pronti quanto più possibile per poter raggiungere il Nirvana. (Per Nirvana si intende la pace permanente) Questa è la vera pratica di Dharma dove non ci dovrebbe essere differenza tra come procediamo nella pratica e come procediamo nella nostra vita.

Come dicono anche i maestri del passato, Amore e Compassione sono l’essenza della vita e ogni azione dovrebbe essere causata dall’Amore e dalla Compassione; se potessimo calcolare quante azioni sgorgano dall’Amore e dalla Compassione scopriremmo che quelle che ne derivano ci rendono felici e gioiosi, sono praticamente delle energie spirituali che pian piano accumuliamo fino a che non diventano una nostra abitudine. Ne segue che si deve avere cura di se stessi con un atteggiamento altruistico.

Nella società in cui viviamo si crede che aver cura di se stessi si ottiene soltanto se si sta lottando contro qualcosa e il fatto è che ci si concentra più a lottare contro questo qualcosa che a prendersi cura di se stessi! (risata) Il che fa si che ci stanchiamo nel prenderci cura di noi stessi in quanto combattiamo gli altri, cosa assolutamente inutile in quanto bisognerebbe prendersi cura degli altri per poter prendersi cura di se stessi; questo ci renderebbe sempre più rilassati e non perderemmo mai nessuna energia.

Ci sono milioni di libri nelle librerie, ma in realtà parlano più o meno della stessa cosa: Amore e Compassione. Questo vale per le religioni le quali parlano tutte dell’Amore e della Compassione e di come possiamo condurre una vita sulla basi di essi. Anche prima che venissero scritti i testi sacri, tutto veniva già perfettamente praticato; il fatto di dipendere dai libri o dai corsi che si frequentano o dalle attestazioni che si ottengono, è una cosa completamente nuova.

La nostra è una pratica che si basa sulla capacità delle qualità umane, ossia su di un qualcosa che già appartiene al nostro essere umano e noi, in quanto tali, siamo destinati a questo genere di pratica, ma durante il nostro percorso ci sono delle cose che ci corrompono e ci fanno sviare da una parte o da un’altra, ci distolgono dalla meta e finiscono per contaminare la nostra pura natura umana che ci spinge verso il nostro destino che è la pratica del Dharma. Se si riuscisse a tornare alla fonte di quello che percepiamo, non troveremmo altro che altruismo e nessuna distinzione tra noi e gli altri; soltanto in questo andare verso la gioia e la tranquillità consiste la natura di base dell’essere umano ed in questo trova fondamento il Dharma.

La nostra vita è come una discesa con gli sci, se riusciamo a mantenerci stabili su di essi, ossia sulla nostra pura natura umana di base, giungeremo alla fine essendo felici, altrimenti andremo fuori pista che significa soffrire. Il fatto è che ormai siamo nati e non possiamo restarcene fermi sugli sci con i quali, tra l’altro, non stiamo neppure comodi e poiché il luogo che possiamo incontrare è sempre il Samsara, ma se procediamo lungo la pista con una chiara consapevolezza, allora possiamo anche divertirci.

Un altro esempio può essere quello di un paracadutista: nascere è come essere gettati fuori dall’aereo e cadere nello spazio, ma se non si è più che attenti si rischia di finire male, tuttavia una forte concentrazione consente di atterrare correttamente.

La pratica di Dharma risiede nella nostra natura di base umana che è assolutamente positiva, che non distingue il nostro dall’altrui e tende semplicemente a ciò che è bene. Si può praticare anche senza nessun libro, ma con il proprio libro interiore che è anche il modo più semplice e più diretto, ossia seguire questa natura umana se, ovviamente, ne abbiamo le capacità.

Dunque cosa è la meditazione? La meditazione si compone sulla chiara consapevolezza e la capacità di mantenere ferma e solida la natura umana di base. Mantenere le qualità interiori significa che ogni nostro atto diventa manifestazione di queste stesse qualità e tutto ciò è magnifico!