SUPREMA CONOSCENZA E REALTA’
Geshe Gedun Tharchin
13 - 14 novembre 2004
13 - 14 novembre 2004
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Nota del autore
La
fonte della nostra sofferenza risiede in una tendenza profondamente
radicata in noi ad afferrarci a delle realtà permanenti dove non ve
ne sono, in modo particolare nell'afferrarsi ad un senso permanente
del sé. e’ questo attaccamento che provoca una disfunzione nella
nostra interazione con gli altri esseri e il mondo intorno a noi.
Poiché questa tendenza è profondamente radicata nella psiche,
nient'altro che una radicale decostruzione della nostra comprensione
naïve del sé e del mondo può condurci ad una vera libertà
spirituale. La negazione categorica da parte del Sutra del Cuore di
un'esistenza intrinseca di tutte le cose, specialmente i cinque
aggregati dell’individuo, può essere vista non solo come
un'estensione di questa Saggezza chiave ma di fatto come un esempio
supremo di ogni saggezza. Questo è il motivo dell'intensa
venerazione nel mondo Buddhista di questo testo. Oltre che essere
utilizzato per una profonda contemplazione meditativa sulla vacuità,
il Sutra è spesso decantato come uno dei mezzi atti a sormontare i
vari fattori che ostruiscono il progresso spirituale. L'idea è che
molto di ciò che noi.
percepiamo
come ostacoli al momento attuale proviene da un profondo afferrarsi
alla nostra propria esistenza e alla centralità del sé che questa
produce. Con una penetrante riflessione sulla natura essenzialmente
vuota di tutti gli esseri, noi recidiamo ogni fondamento dei
cosiddetti ostacoli che ci impediscono di mettere radici all'interno
di noi stessi.
La meditazione sulla vacuità, fatta spesso attraverso la recitazione
del Sutra
del Cuore,
è considerata un potente metodo per il superamento degli ostacoli.
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La
pratica del Dharma
Il
Sutra del Cuore della Perfezione della Saggezza
La
Perfezione della Saggezza
Il
Sentiero dell’Accumulazione
Il
Sentiero della Preparazione
Il
Sentiero della Corretta Visione
Il
Sentiero della Familiarizzazione
Il
Sentiero della Meditazione simile al Diamante
Il
Quinto Sentiero, dell’Illuminazione
Mantra
della Perfezione della Saggezza
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Primo giorno
La pratica del Dharma
E’ sempre piacevole
trascorrere tempo felice con gli amici spirituali. Il tempo passa, la
vita passa e nessuno può arrestarne il movimento, si guarda indietro
e ci si interroga: “un anno, due anni, tanti anni sono andati e
in tutto questo tempo io che cosa ho costruito di significativo, di
bello, di giusto che possa ricordare con gioia?....” Qualche
fuggevole atto significativo lo si può anche ricordare, ma la
maggior parte del tempo è scomparso, ci si accorge di averlo perduto
insieme alla preziosa vita.
Nella società moderna
il motto è: “il tempo è denaro” e dunque i minuti trascorsi
senza produrre sono considerati inutili, persi, invece nella visione
spirituale il tempo realmente perduto è ogni attimo vissuto al di
fuori del significato dell’esistenza stessa.
I mio motto è: “Il
tempo è Dharma”, ogni occasione è buona per costruire il Dharma e
dare significato alla propria vita. Ma cos’è il Dharma?
Il Dharma non è in
contraddizione con la quotidianità, non è opposto al samsara, al
contrario, vi trova integrazione ed espressione. Spesso i praticanti
che si fermano ad un livello superficiale della dottrina ne
fraintendono il significato profondono e guardano al Samsara e al
Nirvana come a due opposti assolutamente contradditori, incapaci di
coesistere, poiché il primo deve essere abbandonato e il secondo
realizzato. Una visione parziale e fuorviante perché è vero che
pratichiamo per raggiungere il Nirvana, ma non lo abbiamo ancora
realizzato, siamo totalmente immersi nel samsara, nell’esistenza
quotidiana ed esattamente in questa quotidianità dobbiamo cercare il
significato profondo che consenta la realizzazione del Dharma.
Sarebbe assurdo e sbagliato vivere nel samsara provandone soltanto
disgusto e repulsione, è invece necessario ricercarne l’armonia e
il senso, pur nella consapevolezza che è davvero fonte di
sofferenza, dolore e problemi, ma è anche una grande opportunità
per mutare le condizioni e aprire il varco verso la liberazione.
L’aspirazione ad
uscire dal samsara, a rinunciarvi e opporsi è legittima ma è
necessario mantenere sempre viva la consapevolezza che noi viviamo
nel samsara ogni attimo di vita, che qui e ora è la nostra casa.
L’aspirazione al
Nirvana è giusta, ma ne siamo ancora lontani, non ne abbiamo
esperienza, l’unica esperienza che conosciamo è il samsara e solo
in esso possiamo ricercare il significato dell’esistenza
trasformarne l’aspetto negativo in positivo, realizzando
l’integrazione armonica nella pratica del Dharma.
La pratica del
Dharma non è una procedura formale, ma piuttosto un fenomeno
naturale, nulla può disturbarne l’esistenza, esso è presente,
semplicemente deve essere trovato. Il Buddha Sakyamuni, nell’istante
in cui ebbe l’illuminazione incontrò il Dharma e disse “Ecco,
ho trovato il Dharma, il nettare in grado di trasformare il Samsara”.
Immaginiamo di essere
in un estate torrida, siamo assonnati, intorpiditi, stanchi quando
scorgiamo una fonte di limpida acqua fresca, vi ci immergiamo con
gioia e immediatamente ne siamo rinvigoriti, pieni di energia vitale,
allo stesso modo l’ambrosia del Dharma trasforma completamente la
situazione. A volte il samsara è pesante, confuso, oscuro ed è
proprio in quel momento che il Dharma ha la capacità di trasformare
repentinamente la situazione la quale, pur rimanendo a tutti gli
effetti nel samsara, è vissuta in modo completamente diverso, è
avvenuta la trasformazione in “buon samsara” che permetterà di
raggiungere il Nirvana, è il Dharma, base necessaria alla
realizzazione del Nirvana. Il Nirvana è una realtà troppo complessa
per noi che non ne abbiamo esperienza, mentre conosciamo bene
l’esperienza del samsara, la nostra casa, la nostra quotidianità,
è il tutto che può essere trasformato positivamente dal nettare del
Dharma.
Per questo Buddha,
nell’istante dell’illuminazione disse: “Ho trovato il Dharma
che è come nettare che tutto purifica”, non ha detto:
“qualcuno mi ha dato il Dharma” ha cioè voluto sottolineare che
ha incontrato una realtà già esistente, un fenomeno naturale sempre
presente, in ogni momento e in ogni luogo.
Il Dharma ha
particolari e specifiche qualità:
- di essere profondo, di conseguenza di difficile comprensione;
- di essere pace, assolutamente positivo, esente da qualsiasi fattore che provochi danno;
- di essere luminosa chiarezza, non composto da forma, la sua natura è simile allo spazio;
- di esistere naturalmente, non creato, non costruito, non prodotto da alcuno o da qualcosa, assolutamente privo di fabbricazioni, di elaborazioni mentali, di concettualità. Nessun pensiero concettuale potrà mai comprenderlo pienamente.
Per queste sue qualità
il Dharma è come nettare che rinfresca gli esseri samsarici e
purifica il samsara. Nella vita del Buddha è scritto che ogni giorno
esseri individuali scoprono il Dharma.
Per trovare il Dharma è
necessario percorrere il sentiero che conduce ad esso e che, secondo
la classificazione canonica, si articola su tre passaggi :
- Addestramento nella moralità o etica superiore;
- Addestramento nella concentrazione o contemplazione superiore;
- Addestramento nella saggezza superiore.
Il primo gradino è
l’addestramento nell’etica superiore, il mezzo che permette di
purificare le contaminazioni grossolane della mente rendendoci capaci
di non provocare danno fisicamente, verbalmente o mentalmente, cioè
tramite corpo, parola e mente. La pratica della moralità è in se
stessa Dharma.
Nel trattato filosofico
dell’Abhidharmakosa il Dharma è osservato in due particolari
aspetti:
- Il primo riguarda la realizzazione del modo ultimo di esistenza dei fenomeni ed è il Dharma in senso proprio, primario.
- Il secondo si riferisce invece al metodo della conoscenza ed è il supporto necessario per giungerne alla realizzazione, è secondario ma fondamentale, consiste nella realizzazione della conoscenza contenuta nei testi e trasmessa dagli amici spirituali che la posseggono.
La pratica
dell’addestramento nella moralità superiore è essa stessa Dharma.
Ugualmente
l’addestramento nella pratica della concentrazione, o
contemplazione superiore è Dharma, anche se non ancora il Dharma
ultimo della Saggezza.
Nelle tre categorie di
Dharma, moralità, concentrazione e saggezza, la Saggezza è il
Dharma primario, la moralità e la concentrazione sono il Dharma di
supporto che conduce alla saggezza primaria.
Nelle trascrizioni in
pali il Dharma è suddiviso in tre addestramenti superiori:
- Vinayapitaka, addestramento nella moralità superiore;
- Sutrapitaka, addestramento nella concentrazione superiore;
- Abhidharmapitaka, addestramento e realizzazione della saggezza.
In tutte le tradizioni
buddhiste, nel Mahayana come nel Vajrayana, compaiono descrizioni
molto simili relativamente a questa suddivisione e non potrebbe
essere altrimenti perché concentrazione e saggezza sono espressione
stessa del Dharma.
Il Vinayapitaka,
addestramento nella moralità superiore, significa addestramento a
non produrre danno e sofferenza né con il corpo, né con la parola,
né con la mente e le pratiche necessarie alla sua realizzazione sono
la rinuncia, la compassione e l’amorevole gentilezza. Tutte le
difficoltà e i problemi che si presentano sono il risultato naturale
di danno e sofferenza procurato ad altri. E’ un gioco infinito:
provochiamo danno all’altro il quale reagisce prontamente con pari
moneta e dunque sorge la nostra immediata risposta e così di
continuo, sofferenza su sofferenza, nella ruota senza fine del
samsara.
E’ un po’ come il
gioco del calcio, si fatica tanto per combattersi, per segnare goal
nella porta avversaria, che poi dovrà ricambiare, mentre sarebbe
meno faticoso, collaborare e quindi fare i goal prima in una porta e
poi nell’altra, così tutti sarebbero contenti! Naturalmente stiamo
scherzando, però ugualmente l’esempio mostra come il Dharma possa
essere applicato in ogni situazione in modo creativo e benefico.
L’addestramento alla
moralità superiore è il primo passo nella pratica del Dharma e
consiste nel contrastare l’abitudine a reiterare il reciproco
scambio di negatività e di danno nell’infinita produzione di
sofferenza. Il solo modo per contrastare gli atteggiamenti
distruttivi è accogliere l'unica condizione essenziale: la
generosità. La generosità è la condizione fondamentale che
permette l’accesso alla pratica della moralità, si attua prima di
tutto sviluppando l’aspetto del non-afferrare che, anche se non è
totale, sottintende già una forte diminuzione dell’attaccamento a
oggetti, situazioni e persone.
L’attitudine a
danneggiare gli altri si sviluppa a causa dell’attaccamento, che
non è solo quello rivolto al denaro o agli oggetti materiali,
grossolani, ma quello più profondo, sottile e pericoloso che è
l’attaccamento alle proprie idee, alla propria visione della
realtà, a concetti astratti.
Sono infiniti gli
esempi che documentano le reazioni più curiose. Ricordo un amico che
aveva l’abitudine di fare colazione ogni mattina nello stesso bar,
ma ne era scontento perchè i gestori erano, a suo dire, così
scostanti da indurlo a pensare che gli mancassero di rispetto.
L’offesa era tale da giustificare la vendetta, espressa infine
nella decisione di abbandonare il locale privando in questo modo i
colpevoli di un guadagno. Ma cos’è la mancanza di rispetto?
Rispetto a chi? a cosa? e perché?
Si è così fortemente
attaccati all’io che tutto è vissuto secondo modalità di un
“presunto rispetto” dovuto a questo sé, ci si offende e si
soffre, si applica un’immediata ritorsione creando ulteriore
sofferenza!… Questa è mancanza di generosità e costruzione della
propria infelicità.
La generosità non
conosce attaccamento al proprio io, al rispetto che si pensa gli sia
dovuto e senza generosità non c’è modo di praticare
l’addestramento superiore nella moralità.
L’attaccamento al
rispetto al sé è fortissimo e devastante, se non lo si ottiene ci
si arrabbia sino a perdere ogni controllo, si può picchiare,
insultare, offendere, tutte azioni che creano grande sofferenza a chi
le attua e a chi le subisce, sono la sofferenza samsarica, una
sofferenza che non ha un retroterra di verità ma che si fonda su
falsità e irrealtà.
L’alto addestramento
all’etica è amore e compassione. Nella rinuncia si attua la
compassione amorevole. L’amore e la compassione liberano dalla
sofferenza dell’irrealtà e sono strettamente connessi con
l’attitudine alla generosità.
L’addestramento
superiore all’etica è Dharma, ma come procedere? La pratica nella
moralità non è recitare un testo, non è abbigliarsi secondo canoni
stabiliti, né di indossare un particolare cappello, non è nemmeno
star seduti sul trono, è piuttosto l’attitudine di amore e
compassione, di generosità in grado di spezzare nettamente il gioco
vizioso della reciproca creazione di danno, attuato con le cattive
parole e le azioni malevoli. Con l’interruzione del gioco se ne
annulla la potenziale conseguenza, la sofferenza che ne deriva.
Nella cultura
occidentale si dà un forte valore al perdono, certamente grazie al
cristianesimo, il perdono è un’attitudine fondamentale, una
pratica meravigliosa, è generosità. Gesù Cristo insegna che
perdonando gli errori altrui si trova la pace, ogni perdono implica
una vera profondissima, gioiosa pace! Per me è particolarmente
toccante nella liturgia cristiana, durante la Messa, quando le
persone si scambiano un gesto di pace. Il perdono è fondamentale, è
la pratica dell’alto addestramento nella moralità, è il modo per
essere pace, per creare pace.
In sanscrito
l’addestramento all’alta moralità è detto “scila”,
in tibetano “sil-tob” e significa “realizzare la
freschezza”. Il perdono è il modo per realizzare la pacifica
freschezza e la condizione esenziale per poter perdonare è la
generosità. Nella filosofia buddhista il concetto di pazienza
coincide con il perdono. Viceversa in occidente si pensa che essendo
troppo pazienti si finirà prima o poi per esplodere disastrosamente
ma, se così fosse, sarebbe un’ottima ragione per perdonare
immediatamente, senza applicare a lungo la pazienza. Nella psicologia
occidentale si ha uno strano concetto del “portare pazienza” che
equivale a caricarsi negativamente di rabbia repressa.
Il profondo e vero
significato della pazienza è il perdono, reprimere la rabbia
accresce il rancore e il peso della “pazienza” sulle spalle è
insopportabile, incrementa la negatività allontanando sempre di più
dalla pace. La pazienza non è la soppressione forzata della collera
ma è perdono spontaneo che nasce dalla generosità.
Comprendere davvero il
significato dell’addestramento superiore nella moralità ha un
riscontro immediato in ogni attività, nella vita di tutti i giorni,
dal mattino alla sera e dalla sera al mattino, è la pratica del
Dharma che produce la conseguenza dell’essere in pace, felici,
gioiosi, in salute, di godere di un’attività proficua,
dell’assaporare la bontà del cibo, dell’accorgersi che la
propria camera è più bella, accogliente, che ogni aspetto della
vita è migliore.
Può aiutare la lettura
degli “Otto Versi della Trasformazione della Mente” di Kadampa
Geshe Langri Tangpa:
“Considerando
tutti gli esseri senzienti
superiori
alla gemma che esaudisce i desideri
per
realizzare il fine supremo1
possa
io costantemente prenderli a cuore.
Quando sarò con gli
altri,
riterrò
me stesso come il meno importante,
e
mi prenderò cura di loro fin nel profondo del cuore
come
se ognuno fosse il più elevato degli esseri.
Vigile, ogni volta
che sorge un’emozione negativa2
che
possa nuocere a me o agli altri,
l’affronterò
e l’ eliminerò
senza
indugio.
Vedendo gli esseri
in preda alla malvagità
avrò
sempre cura di tali creature così rare,
come
se avessi trovato un tesoro prezioso.
Quando altri, per
invidia, mi maltratteranno,
mi
insulteranno o faranno cose simili,
accetterò
la sconfitta
e
offrirò loro la vittoria
Quando qualcuno a
cui ho fatto del bene
e
in cui ho riposto grandi speranze
mi
infligge un danno terribile,
lo
considererò il mio santo amico spirituale5
(x 3 volte):
In breve, direttamente e indirettamente, offro
ogni
beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri6
possa
io segretamente prendere su di me
tutte
le loro azioni negative e sofferenze.
Possa la pratica non
essere mai contaminata dalle idee causate
dalle
otto preoccupazioni mondane7
e,
consapevole che tutte le cose sono illusorie,
possa
io, privo di attaccamento, essere libero dal samsara8.
Il testo “Gli
otto versi della Trasformazione della Mente” è un
importantissimo scritto di Kadampa Geshe Langri Tangpa. Fa parte
degli insegnamenti di Lo Jong9
e fu composto nel periodo in cui in Tibet prosperava la scuola Ka
dam.
Il Sutra del Cuore della Perfezione di Saggezza
La
traduzione italiana con le relative note, è stata redatta
dall’Istituto Lamrim di Roma su testo originale tibetano e con
l’ausilio delle traduzioni inglesi.
“Il Cuore
della Perfezione di Saggezza”
“Così
una volta udii:
Il
Bhagavan12
dimorava a Rajagrha13,
presso il Picco dell’Avvoltoio14,
con un gran numero di Arhat15
e un gran numero di Bodhisattva16
e a quel tempo il Bhagavan era entrato nell’assorbimento
meditativo17
sulla varietà dei fenomeni18
chiamato “percezione profonda”19.
In quello stesso tempo, l’arya20
Avalokitesvara21,
il Bodhisattva mahasattva22,
era assorto nella stessa pratica della profonda perfezione della
saggezza23
e vide che anche i cinque aggregati24
sono vuoti di natura intrinseca25.
Quindi,
tramite l’ispirazione del Buddha, il venerabile bikshu26
Shariputra27
si rivolse all’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva28
e gli disse: “come deve addestrarsi un figlio o figlia del
lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica
della profonda perfezione della saggezza?”
Quando
fu detto questo, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva,
rispose al venerabile bikshu Shariputra e disse: “Shariputra, ogni
figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva29,
che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della
saggezza, dovrebbe vedere chiaramente nel seguente modo: dovrebbe
vedere distintamente che anche i cinque aggregati sono vuoti di
natura intrinseca”.
“La
forma è vuota, la Vacuità è forma; la Vacuità non è altro che
forma, la forma non è altro che Vacuità. Allo stesso modo sono
vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la
coscienza. Quindi, Shariputra, tutti i fenomeni sono Vacuità; essi
sono privi di caratteristiche peculiari; non sono nati, non cessano;
non sono contaminati, non sono incontaminati; non sono incompleti e
non sono completi.”
“Quindi,
Shariputra, nella Vacuità non c’è forma, né sensazioni, né
percezioni, né formazioni mentali, né coscienza. Non c’è occhio,
né orecchio, né naso, né lingua, né corpo, né mente. Non c’è
forma, né suono, né odore, né gusto, né oggetti concreti, né
oggetti mentali. Non c’è nessun elemento visivo, così fino a
nessun elemento mentale fino a includere nessun elemento della
coscienza mentale. Non c’è ignoranza, non c’è estinzione
dell’ignoranza, e così fino a nessun invecchiamento e morte, e
nessuna estinzione dell’invecchiamento e della morte. Allo stesso
modo, non c’è sofferenza, origine, cessazione o sentiero; non c’è
saggezza, né ottenimento e neppure mancanza di ottenimento.”
“Quindi,
Shariputra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti, si basano e
dimorano nella perfezione della saggezza. Non avendo oscuramenti
nelle loro menti, essi non hanno paura, ed essendo andati totalmente
oltre l’errore, essi raggiungono la meta finale: il nirvana30.
Tutti i Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto il pieno
risveglio dell’insuperabile, perfetta illuminazione, basandosi su
questa profonda perfezione della saggezza”.
“Quindi,
si dovrebbe sapere che il mantra31
della perfezione della saggezza – il mantra della grande
conoscenza, il mantra supremo, il mantra uguale a ciò che non ha
uguale, il mantra che fa tacere tutte le sofferenze – è vero
perché non è ingannevole. Si proclama il mantra della perfezione
della saggezza:
TADYATHA
GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
Shariputra,
così i Bodhisattva mahasattva dovrebbero addestrarsi alla profonda
perfezione della saggezza”.
Quindi,
il Bhagavan si svegliò dal suo assorbimento meditativo e lodò
l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, dicendo che era
eccellente.
“Eccellente!
Eccellente! Figlio del lignaggio dei Bodhisattva, è proprio così;
dovrebbe essere così. Bisogna praticare la profonda perfezione della
saggezza proprio così come hai rivelato. Perciò anche i Tathagata32
se ne rallegreranno”.
“Come
il Bhagavan pronunciò queste parole, il venerabile bikshu
Shariputra, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva,
insieme all’intera assemblea, inclusi i mondi degli dei, degli
umani, degli asura33
e dei gandharva34,
tutti gioirono e lodarono ciò che il Bhagavan aveva detto.”
In sintesi, durante la
prima sessione dell’insegnamento abbiamo affrontato il Dharma, la
sua applicazione nell’addestramento alla moralità superiore,
ricordato che la pratica del Dharma non è una lotta contro il
samsara ma un metodo di integrazione capace di trasformazione gli
aspetti negativi in positivi, pienamente parte del quotidiano, in
grado di diminuire la sofferenza nell’armonia di una vita generosa
e ricca di pace gioiosa.
La pratica
nell’addestramento alla moralità superiore attraverso la
generosità e la pazienza consiste nell’affrontare con il perdono i
problemi derivanti dai comportamenti altrui, insegna ad essere
tolleranti e comprensivi in modo che qualsiasi azione negativa non
sia mai motivo di collera ma piuttosto di amore e di compassione, ci
fa vivere pacificamente e armoniosamente con tutto e tutti.
Inoltre, Generosità,
Pazienza, Etica sono mezzi che permettono di accumulare meriti,
fattore importante per giungere alla maturazione e realizzazione dei
propri bisogni e desideri.
L’addestramento
all’etica superiore comprende più aspetti: rinuncia, pazienza,
amore e compassione.
Il secondo gradino,
Sutrapitaka, l’addestramento superiore alla concentrazione,
è essenziale per entrare nel terzo livello, Abhidharmapitaka,
l’addestramento alla realizzazione della saggezza.
Al fine di ottenere un
buon livello di concentrazione è necessario prima aver raggiunto un
buon livello nella pratica dell’etica. Il percorso deve essere
compiuto senza saltare nessun gradino, con calma e determinazione,
passo dopo passo. L’addestramento all’etica è il fondamento
dell’addestramento alla concentrazione. Nell’etica si eliminano
tutti gli ostacoli allo sviluppo della concentrazione, la quale
scaturirà naturalmente, ecco perché il percorso è anche detto di
“entusiastica perseveranza” o “sforzo gioioso”.
Avendo realizzato un
buon grado di concentrazione grazie alla pratica della moralità ci
si avvicina naturalmente alla pratica dell’addestramento alla
saggezza superiore. Gli “Otto versi della Trasformazione della
Mente” richiamano la pratica dell’addestramento all’etica
superiore con particolare riguardo all’amore e alla compassione.
La seconda lettura “Il
Cuore della Perfezione della Saggezza” comunemente detto “Sutra
del Cuore” o “Sutra dell’essenza della Saggezza”,
riguarda direttamente il terzo addestramento, alla saggezza
superiore, l’Abhidharmapitaka, la cui pratica implica l’aver già
realizzato i primi due, dell’Etica e della Concentrazione.
Le tre raccolte,
Vinayapitaka, Sutrapitaka e Abhidharmapitaka sono suddivise a seconda
dell’argomento trattato.
Il “Sutra del Cuore”,
che analizza quasi esclusivamente la Vacuità o il modo ultimo di
esistenza dei fenomeni, appartiene alla raccolta degli insegnamenti
dell’Abhidharmapitaka, è attribuito alla tradizione Mahayana
perché focalizzato sulla pratica dei Bodhisattva e non incluso nel
canone pali della tradizione Theravada.
Comunque è bene non
perdersi in distinzioni troppo nette perché, non avendo una
conoscenza approfondita della materia, si corre il rischio di cadere
in fraintendimenti. Nel Buddhismo vi è una raccolta di insegnamenti
che proviene dal canone pali, cioè trascritti nel linguaggio
originale del Buddha e che costituisce la base dell’insegnamento
della scuola Theravada che si è estesa in Sri Lanka, Thailandia
Birmania, Laos, e, una seconda raccolta di insegnamenti scritta in
canone sanscrito che si è esteso in Tibet, Cina e Giappone. Entrambe
le tradizioni, Theravada e Mahayana, trattano gli stessi soggetti
dell’insegnamento del Buddha.
Per quanto riguarda la
tradizione Vajrayana, tibetana è contenuta nel canone sanscrito, non
ricordo se sia presente anche del canone pali.
Un’ulteriore
complicazione è data dalla trasposizione del testo sanscrito nelle
differenti lingue e culture di Tibet e Cina. Le numerose traduzioni
hanno fatto perdere quasi completamente la conoscenza del testo
originale sanscrito. Si può affermare che i riferimenti al Vajrayana
sono completi nella traduzione tibetana, ma solo in parte compresi in
quella cinese, la quale a sua volta è servita come base per quella
giapponese.
IL “Sutra del Cuore”
è presente in entrambe le versioni, tibetana e cinese, ma non lo si
ritrova nel canone pali, il che non ha un particolare significato,
perché il canone pali contiene completamente l’insegnamento del
Buddha e, oggi più che mai, assume grande importanza poiché è
l’unico scritto nella lingua originale ancora viva, letta e parlata
da studiosi indiani e dei paesi del sudest asiatico, mentre così non
è più per il sanscrito. Auspicherei che nei monasteri tibetani si
studiasse sia il sanscrito che il pali; noi tibetani siamo orgogliosi
di poter approfondire tutti i testi della filosofia buddhista nella
nostra lingua, ma è un orgoglio ingiustificato perché il tibetano
non è la lingua originale, ha i limiti delle traduzioni con il
conseguente incremento delle probabilità di errore. Solo attraverso
la conoscenza diretta delle scritture originali si può diventare ed
essere considerati a livello internazionale veri studiosi, eruditi
nella filosofia buddhista. Noi tibetani, troppo sicuri di noi stessi
e delle nostre conoscenze, ci siamo arroccati in un ingiustificato
orgoglio e abbiamo perso la nostra terra!
Il soffermarsi così a
lungo sul valore del linguaggio e sulla necessità di riferirsi
sempre alle fonti originali è dovuto alla serietà del problema. A
volte, esaminando i testi originali del canone pali, si constata che
la traduzione letterale non coincide affatto, anche se il senso è lo
stesso, ciò significa che se non si procedesse ad un ulteriore
lavoro interpretativo e fedele si potrebbero prendere cantonate
gigantesche e incorrere in gravi errori dottrinali.
La salvezza dei
tibetani è la loro buona pratica del Dharma, forse non sono eruditi
nella dottrina, ma ottimi nella pratica. Ho sempre nella mia mente
l’esempio di mia madre che forse non saprà esprimere a parole il
Dharma ma lo pratica con assoluta sincerità e naturalezza, sin
dall’infanzia, ogni giorno della sua vita.
La pratica del Dharma
dipende più dalla continuità e maturazione, di vita in vita, che
non dalla conoscenza intellettuale o dalla capacità oratoria.
Probabilmente per questo motivo si trovano ottimi praticanti tra le
persone nate e vissute in Tibet, perché hanno potuto rinascere più
volte in un luogo adatto alla spiritualità e all’approfondimento
della pratica, con questo non intendo dire che i tibetani siano un
gruppo ristretto di individui in grado di rinascere sempre nello
stesso posto, ma che chiunque nato in Tibet è favorito e può aver
vissuto molte altre volte in luoghi altrettanto idonei allo sviluppo
della pratica con conseguente maturazione delle buone qualità
spirituali.
Il testo del “Il
Sutra della Perfezione della Saggezza” che stiamo affrontando
appartiene alla versione della tradizione mahayana, il Buddha ne ha
dato l’insegnamento in India su un monte chiamato, per la sua
particolare forma, “Picco dell’Avvoltoio”, nei dintorni di
Rajagrha, non lontano da Bodhgaya. Oggi esistono due luoghi
denominati “Picco dell’Avvoltoio”, uno riconosciuto dai
giapponesi che vi hanno anche costruito il tempio della Pace, e un
altro dai tibetani che hanno solo posto le bandiere di preghiera,
entrambi sono validi perché tutti i luoghi di pellegrinaggio hanno
un effetto potente sulla mente di coloro che vi si recano con vera
devozione.
Io ho molta devozione
nel Buddha e nei suoi insegnamenti e nel 1985 andai in pellegrinaggio
nei luoghi sacri in cui il Buddha visse e insegnò e ne ebbi un
impatto fortissimo, una vera purificazione. In quel periodo ero
studente e ho constatato come la capacità di comprensione e
approfondimento di ogni materia fosse notevolmente potenziata e
migliorata. Ho anche potuto verificare come la purificazione
scaturita dal compimento del pellegrinaggio abbia evitato ostacoli
nei quali altrimenti mi sarei imbattuto, in particolare per quanto
riguarda la salute fisica.
Perché il
pellegrinaggio è purificazione?
Le interpretazioni che
se ne danno sono molteplici, un approccio scientifico offre una
determinata spiegazione, mentre quello di un credente tibetano, che
ha fede nel Buddha e nella sua dottrina, presenta una visione
completamente differente. Personalmente ho potuto più volte
accertare che le consapevoli difficoltà purificano profondamente.
Nessuno mi ha obbligato a scegliere la vita monastica, è stata una
mia decisione, quando sono andato in monastero ho dovuto affrontare
un’esistenza dura con molto lavoro e studio, ma queste stesse
difficoltà sono state un aiuto alla mia crescita, quasi si dovesse
passare attraverso l’oscurità per raggiungere la luce. Questa
oscurità, sempre pervasa dallo spirito del Dharma, è il momento
della difficoltà da superare per raggiungere l’obiettivo, come in
un allenamento sportivo in cui si pone il massimo sforzo per
raggiungere la meta. A casa dei miei genitori non mi mancava nulla,
la vita era spensierata e facile, altri risolvevano ogni problema
anche per me e a lungo andare questo benessere avrebbe potuto
impoverirmi. In monastero mi sono trovato improvvisamente a dover
fare tutto in una situazione di povertà reale, è stato un
cambiamento inaspettato e radicale scaturito, non da imposizione
esterna, ma da mia libera scelta. Una purificazione veramente
necessaria.
Così è il
pellegrinaggio, che comporta fatica e disagi ma che, vissuto con
amore e devozione nella luce Dharma, è purificazione.
In mattinata, prima
dell’incontro, abbiamo visitato la “Sacra di San Michele”35
e ne ho ricevuto un forte impatto spirituale, mi pareva di essere in
pellegrinaggio negli angoli inaccessibili del Tibet, una sensazione
non determinata dal luogo, ma dallo stato mentale, da quanto il
Dharma è radicato nel cuore. Il luogo, indubbiamente molto bello,
particolare, mistico, favorisce simile predisposizione della mente e
allora, mi sono chiesto: perché perdersi nello scetticismo, perché
non assaporare ogni istante con devozione, accendere una candela,
godere con gioia dello splendore che esso offre? Mi pare anche che
San Michele arcangelo assomigli particolarmente ai protettori
tibetani e mi è tornato alla mente un fatto curioso: appena arrivato
in Italia fui ospitato da un amico sacerdote e nella mia stanza c’era
una statua di San Michele, allora non sapevo assolutamente che fosse
e averlo “incontrato” oggi, in una cornice così spirituale è
stato davvero bello, lo sento quasi un mio protettore!….
E’ meraviglioso che
in Italia perdurino con profondo rispetto queste forme di devozione
verso raffigurazioni spirituali poste su piani diversi, in Tibet
succede più o meno lo stesso con le rappresentazioni che chiamiamo
“divinità”.
La conclusione, il
punto fondamentale, è il riconoscimento della necessità di mettere
lo spirito del Dharma in ogni situazione della vita.
Analizziamo, passo dopo
passo, il testo del Sutra del Cuore:
“Il Bhagavan
dimorava a Rajagrha presso il Picco dell’Avvoltoio, con un gran
numero di Arhat…” il termine Arhat è stato sostituito in
alcune traduzioni con la parola “Bikshu” che letteralmente
significa monaco, cioè persona che ha ricevuto la completa
ordinazione nell’ordine monastico. I livelli di ordinazione sono
tre: 1) laico - 2) novizio - 3) monaco completamente ordinato. Il
termine bikshu però potrebbe essere fuorviante in questo contesto
perché non è riferito al monaco che ha ricevuto la completa
ordinazione, bensì ad un essere più elevato, all’Arhat.
“…e un gran
numero di Bodhisattva….” C’è dunque un gran numero di
Arhat e un gran numero di Bodhisattva, se fosse stato detto un gran
numero di Bikshu si sarebbe creato un ulteriore fraintendimento
perché avremmo interpretato che Bikshu e Bodhisattva appartenessero
a due gruppi separati e distinti, mentre in realtà un Bikshu può
essere un Bodhisattva e viceversa, senza alcuna contraddizione.
Per evitare possibili
equivoci non è stato scritto Bikshu ma Arhat, colui che ha
realizzato il Nirvana, lo stato di Buddha anche se non completo ma
piuttosto di Pratyeka e di Sravaka, praticanti che aspirano alla
realizzazione individuale. Il Bodhisattva invece persegue il veicolo
dell’illuminazione universale.
I discepoli del Buddha
si suddividono in tre tipi di praticanti:
- Sravaka, comunemente conosciuti come gli Uditori;
- Pratyeka, comunemente conosciuti come i Solitari;
- Samyaksambuddha comunemente conosciuti come i Buddha completi.
I primi due percorrono
la via della ricerca dell’illuminazione individuale e fondano la
loro pratica sulla rinuncia.
Gli Sravaka,
solitamente definiti “gli uditori”, preferiscono praticare in
gruppo, non si sentono in grado di affrontare la pratica dei
Bodhisattva, però desiderano ardentemente trasmettere la dottrina
del Buddha affinché essa possa avere una continuità completa e
ininterrotta, si impegnano ad udire con attenzione e tramandare
fedelmente ogni insegnamento. Personalmente perseguono
l’illuminazione individuale.
I Pratyeka, termine che
significa “solitario”, invece prediligono praticare in
solitudine, in luoghi remoti, purificando se stessi e perseguendo
l’illuminazione individuale.
Entrambi condividono il
comune obiettivo di raggiungere la liberazione individuale o “mokya”
e attuano una pratica simile, i primi con un’intelligenza meno
brillante, per praticare e comprendere hanno bisogno del supporto del
Sangha, mentre i secondi, più autonomi e sicuri di sé, preferiscono
purificarsi nella solitudine.
Le tre categorie di
praticanti hanno diversità sia nella pratica che negli obiettivi, ma
tutti devono seguire cinque livelli, o sentieri che, sommati,
diventano quindici. Il nome di ogni livello è lo stesso per ognuna
delle tre tipologie di praticanti:
- Accumulazione;
- Preparazione;
- Visione;
- Meditazione o familiarità;
- Non più apprendimento o Non più ritorno.
Il quinto è il
risultato, l’obiettivo raggiunto, mentre i primi quattro sono le
cause che lo determineranno. Il Sutra del Cuore descrive come
realizzare la comprensione del modo ultimo di esistenza dei fenomeni,
detto anche Vacuità, secondo la visone superiore dei cinque
sentieri.
L’Arhat può essere
uno Sravaka o un Pratyeka che ha raggiunto lo scopo, realizzato il
quinto sentiero e, a questo punto, se lo desidera può scegliere di
entrare nel sentiero dei Bodhisattva e, nel momento in cui diverrà
Bodhisattva, non sarà più Arhat. L’Arhat appartiene al “piccolo
veicolo” o della liberazione individuale.
Il Bodhisattva che ha
realizzato il suo scopo, il quinto sentiero, diviene un Buddha, un
Bhagavan, in tibetano: “Chom dhen de”, colui che ha
eliminato ogni ostacolo e ha acquisito tutte le qualità.
E’ necessario
conoscere esattamente il significato di Bhagavan, di Bodhisattva e di
Arhat per avere una corretta visione del contesto in cui è stato
dato il “Sutra del Cuore”.
“…..e a quel
tempo il Bhagavan era entrato nell’assorbimento meditativo sulla
varietà dei fenomeni chiamato «percezione profonda».”
Immedesimiamoci nella situazione: il luogo è il picco dell’Avvoltoio
in India, vi è un gran numero di Arhat e di Bodhisattva e al centro
il Bhagavan, il Buddha, assorto in profonda meditazione, nella
percezione profonda della Vacuità, la visione ultima di tutti i
fenomeni esistenti, una meditazione sistematica su ogni varietà di
fenomeni, con una modalità in seguito spiegata nel testo.
“….In quello
stesso tempo, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, era
assorto nella stessa pratica della profonda perfezione della
saggezza…” Chi è l’arya Avalokitesvara?
Risposta:
Avalokitesvara è il Buddha della Compassione, Chenrezig.
Lama:
Però dice “l’Arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva”,
quindi non può essere Chenrezig il Buddha della compassione, non è
più un Arhat ma non è ancora un Buddha, è un Bodhisattva che ha
realizzato i quattro sentieri ma non ha ancora raggiunto il quinto, e
soltanto in tal caso potrebbe già essere un Buddha. Con la
realizzazione del terzo e quarto sentiero diventa un Arya, ha la
visione dei fenomeni, è un Bodhisattva superiore detto anche
Mahasattva, termine che ha lo stesso significato di Mahatma, “grande
anima” o “grande cuore”. In questo contesto Avalokitesvara è
altro da Chenrezig, è un monaco, un essere umano con grandi qualità
ed è discepolo del Buddha.
“……e vide che
anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca.” L’Arya
Avalokitesvara sta meditando in totale concentrazione univoca
sulla natura ultima dei fenomeni, comprende, utilizzando il modo più
semplice per meditare sulla Vacuità, che anche i cinque aggregati
mancano di realtà intrinseca.
Tutti i fenomeni
esistenti sono raccolti in cinque categorie e concentrati su cinque
oggetti detti aggregati:
- aggregato delle forme (gzugs phung-po);
- aggregato delle sensazioni (tshorba phung-po);
- aggregato delle percezioni (du-shes phung-po);
- aggregato delle mente discriminante o della facoltà mentale;
- aggregato del gruppo di tutti i fenomeni e i fattori mentali non specificati nei primi quattro, inclusa la coscienza.
Questa meditazione non
si rivolge ad oggetti esterni, ma all’interno, in particolare
all’io, un oggetto che dovrebbe appartenere a uno dei cinque
aggregati, a quale ?
Risposta:
al quinto
Lama:
perché?
Risposta:
forse perché l’io può stare solo nella categoria dei non
classificati…..
Lama:
C’è logica in questa affermazione, l’io non è identificabile
nei primi quattro, allora si presume debba per forza essere nel
quinto, però è necessaria un’ulteriore analisi perché l’io ha
comunque a che fare con i primi quattro, infatti si osservano i
cinque aggregati nella loro relazione con il sé, con l’io. Non si
medita genericamente sulla forma, sulla sensazione o sulla
percezione, ma specificamente, sulla propria forma, sulla propria
sensazione, sulla propria percezione, ed è esattamente questa la
correlazione tra i cinque aggregati e l’io. Così, dall’analisi
di ognuno dei cinque aggregati si vede che hanno una realtà
intrinseca e se ne deduce che, allo stesso modo, il sé o io è
intrinsecamente inesistente, manca di realtà intrinseca.
Questa spiegazione, pur
estremamente sintetica, permette di avere un’idea abbastanza chiara
sull’argomento, ma non illudiamoci di stare osservando la realtà
ultima, la Vacuità, ne siamo LONTANISSIMI!….Al momento abbiamo la
visione di quale addestramento intraprendere per avvicinarci piano
piano all’obiettivo finale.
Il “Sutra del Cuore
della perfezione della Saggezza” insegna come osservare la Vacuità
nell’ottica dei cinque sentieri. Finora ci siamo limitati a
considerare genericamente il primo sentiero, dell’accumulazione,
che si percorre avendo realizzato la rinuncia ma, se ci addentriamo
negli aspetti particolari della via dell’accumulazione del
Bodhisattva, vediamo che è possibile entrare in esso soltanto
all’atto della realizzazione della Bodhicitta.
Domanda:
(fa riferimento alla conferenza della sera precedente in cui si è
parlato del martirio vissuto con assoluta serenità da un monaco
Buddhista) Ieri sera ho avuto l’intuizione di come può essere
un Bodhisattva, noi viviamo sempre nel terrore di poter subire una
qualsiasi perdita e, parlando del massacro vissuto da quel monaco per
amore degli altri, tu hai detto “è samsara” rimarcando
l’accettazione naturale di questo fatto. Praticamente la rinuncia
implica davvero una perdita totale di sé per gli altri, come ad
esempio il martirio di Cristo. Ma noi possiamo, nella migliore delle
ipotesi, averne soltanto un’intuizione, perché per la sola idea ci
è totalmente inaccettabile.
Lama:
E’ vero, parlando della successione delle vite che producono la
maturazione di un individuo ci riferivamo proprio a questo aspetto.
Nel momento in cui un insegnamento è dato, tra i molti che ascoltano
c’è chi, avendo maturato in tante vite un karma favorevole, può
ricevere impressioni così forti che ne permettono l’immediata
comprensione; altri invece stanno accumulando impressioni che saranno
di beneficio in futuro; altri ancora possono trovarsi in una via di
mezzo, essere quasi pronti e molto vicini ad una prossima
realizzazione. Ognuno è nel suo percorso ed è impossibile
giudicare, conoscere lo stadio di maturazione di un altro essere
senziente. Così, ritornando all’esempio del monaco trucidato, egli
poteva essere in un punto del percorso in cui gli era naturale
l’accettazione completa di quanto gli stava succedendo. Non
possiamo conoscere quale fosse la sua situazione spirituale. Come
insegna il Buddha, nessuno può sapere se chi gli sta di fronte è un
Bodhisattva oppure no, solo un altro Bodhisattva è in grado di
riconoscerlo. Anche Gesù Cristo ha espresso esattamente lo stesso
pensiero nella raccomandazione più volte ribadita di non giudicare i
propri simili. Il Buddha ha detto che non c’è modo di sapere sotto
quale aspetto un illuminato appaia, può assumere qualsiasi sembianza
e ciò che noi siamo in grado di percepire è la pura apparenza
mentre la sostanza ci sfugge completamente.
Ci sono altre domande?
Quanti Arhat, Bodhisattva e Buddha ci sono in
quest’assemblea?…(risata generale.)
Bellissimo il tempo
trascorso insieme, molte grazie, cerchiamo di mantenere viva nella
nostra mente la sensazione così ricca di questi momenti stupendi, è
samsara, null’altro che samsara, ma è positivo, è una ricchezza,
e non deve essere dimenticata, è samsara permeato dallo spirito del
Dharma.
Secondo Giorno
La Perfezione della Saggezza
(Si inizia le preghiere
al Lama radice e di rifugio)
Rileggiamo insieme il
“Sutra del Cuore”, titolo che cambia abbastanza nelle diverse
lingue:
- in sanscrito: “Arya Bhagavati Prajna Paramita Hridaya”;
- in tibetano: “Phag pa ciom den dema sherab gyi pharol tu chin pay nying po”;
- in inglese: “The perfection of widsom of Sutra”
- in italiano: “il cuore della perfezione della saggezza” oppure “Il cuore della Bhagavati, la perfezione della saggezza”.
In sanscrito Arya
Bhagavati è di genere femminile, è detta anche “la Nobile
Signora”, “la Madre”, “la Perfezione della Saggezza”, “la
Saggezza ultima”. E’ madre di tutti i Buddha perché gli
illuminati nascono dalla perfezione della saggezza. E’ la
perfezione della saggezza, la saggezza perfetta che realizza la
Vacuità che da origine ai Buddha, il suo nome è Bhagavati. Esistono
tanti tipi di saggezza, ma solo la saggezza perfetta, l’essenza
stessa della saggezza che comprende la Vacuità, genera i Buddha.
Il testo non a caso
dice “l’essenza della perfezione della saggezza”, perché non
si riferisce alla comprensione della Vacuità in generale, ma alla
comprensione della Vacuità della mente. Il soggetto che realizza
l’illuminazione è la mente e la Vacuità della mente stessa,
l’essenza della perfezione della saggezza.
Al discepolo Cheumpa
che chiedeva chiarimenti, risposero con una metafora: “La madre
è la saggezza, il padre la compassione - il metodo, le altre virtù
della mente sono i servitori, e i trentasette fattori
dell’illuminazione sono i parenti. Tutti insieme questi soggetti
sono indispensabili alla generazione e buona crescita di un bambino,
il bimbo della natura di Buddha, dell’illuminazione. Il piccolo
Buddha che è in ognuno di noi.”
E’ interessante
ricordare che Bernardo Bertolucci, girando in Nepal il film il “Il
piccolo Buddha”, ebbe problemi con la popolazione, scandalizzata
dall’attributo di “piccolo” al Buddha. Al contrario il Dalai
Lama ne fu entusiasta, valutando questa definizione perfettamente
consona. Un altro problema sorse nella necessaria scelta di un unico
reincarnato, Bertolucci era spiaciuto nel doverne eliminare due, così
trovò una soluzione geniale, forse un po’ profetica perché pare
si siano verificati casi analoghi in Tibet, con la reincarnazione del
Lama in tutti i tre bambini.
In ognuno di noi vi è
un piccolo Buddha, lo si può riconoscere come natura di Buddha, seme
dell’illuminazione, natura della mente, ogni definizione è
equivalente, un sinonimo.
La natura di Buddha, la
natura della mente portate a maturazione saranno lo stato
dell’illuminazione, ma per ottenere questo obiettivo occorre essere
prima generati da genitori amorevoli, ricevere l’educazione e le
cure sollecite di parenti e amici. E’ indispensabile essere
accuditi dalla madre, la saggezza, la perfezione della saggezza che
comprende la Vacuità; è altrettanto necessario un padre, il metodo,
la bodhicitta; non possono nemmeno mancare buoni servitori, le virtù
minori, ad esempio le dieci azioni virtuose; si ha poi bisogno del
sostegno dei parenti, i trentasette fattori di illuminazione che sono
le trentasette pratiche. Tutti insieme questi soggetti concorrono a
far nascere, crescere, maturare il bambino accompagnandolo verso
l’illuminazione.
La natura di Buddha ha
essenzialmente due aspetti, uno è la Vacuità della mente e il
secondo sono le qualità della mente che possono essere sviluppate e
portate a maturazione dalla mente stessa.
L’aspetto della
Vacuità della mente non richiede sforzo per esistere, è innato, è
spontaneamente presente. La natura della mente è luminosa grazie
alla sua essenza di Vacuità. Le oscurazioni della mente sono
temporanee come le nuvole che solo apparentemente e momentaneamente
oscurano il cielo mentre, al di là di esse, la natura della mente è
luminosità innata.
Il secondo aspetto, le
qualità della mente, sono il mezzo attraverso il quale purificare la
mente ed è interessante notare come questo fenomeno presenti un
paradosso apparente, da un lato c’è la luminosità innata della
mente e dall’altro ci sono le qualità che devono essere
sviluppate, che devono ancora crescere per essere portate a
compimento. I due elementi coesistono contemporaneamente e procedono
parallelamente, con il potenziamento delle qualità della mente la
luminosità aumenta, con il loro decrescere la luminosità
diminuisce.
L’elemento della
luminosità della mente è come un cristallo pulito, brillante nei
suoi splendidi riflessi che però, se ricoperto di polvere, appare
opaco, pesante, privato della luce, eppure il cristallo è sempre lo
stesso, la sua natura non cambia. L’esempio ci aiuta a comprendere
come sia importante riconoscere la natura della mente per riconoscere
chi siamo, comprendere i nostri atteggiamenti mentali, osservare lo
strato spesso di polvere che oscura pesantemente la luminosità
comunque in noi presente perché innata.
La natura di Buddha è
classificata in cinque differenti tipologie:
- del “lignaggio interrotto” o letteralmente “natura di Buddha rotta”;
- del “lignaggio incerto”;
- del “lignaggio degli uditori, gli Sravaka”;
- del “lignaggio dei Buddha solitari, i Pratyekabuddha”;
- del “lignaggio dei Bodhisattva”.
Ognuno di essi è
uguale agli altri essendo natura, lignaggio di Buddha, tuttavia
esistono alcune particolarità.
Il primo, il “lignaggio
interrotto”, è a tutti gli effetti natura di Buddha ma al momento
rimane bloccato, è impossibile progredire, svilupparlo, attivare
alcuna pratica per migliorare la condizione presente.
Il “lignaggio
incerto” è natura di Buddha, ma sono tuttora aperte due vie
possibili: l’interruzione oppure la progressione nei successivi
livelli.
I lignaggi degli
Uditori, dei Praticanti solitari e dei Bodhisattva, sono lignaggio
attivo, natura di Buddha che si sta sviluppando ma che ancora deve
completare il suo cammino per poter realizzare lo stato finale,
l’illuminazione.
I diversi modi di
essere “Sravaka” il praticante uditore e “Pratyekabuddha” il
praticante solitario, rispecchiano differenti attitudini della mente
quindi, in base alla propria inclinazione o somiglianza con l’uno o
l’altro tipo, possiamo capire quale lignaggio è a noi più affine.
Il lignaggio dei
Bodhisattva appartiene al praticante che detiene ed esprime una
immensa compassione.
Ogni essere vivente ha
la natura di Buddha e prima o poi realizzerà lo stato
dell’illuminazione quindi, indipendentemente dal lignaggio attuale,
per tutti verrà il tempo del risveglio.
Se un individuo ha la
natura del Bodhisattva, ma non ancora risvegliata, essa rimane
inattiva. Purificare la mente, risvegliare la mente e maturare il
seme dell’illuminazione, sono espressioni che hanno l’identico
significato del risvegliare quella stessa natura.
Insisto su questo
aspetto perché è fondamentale assimilare il concetto del seme
dell’illuminazione presente nel cuore di ogni essere vivente, esso
è come il cristallo, chiaro, limpido, puro, esiste immutato nella
sua essenza anche se nascosto dalle oscurazioni che, come la polvere,
lo opacizzano cancellandone la naturale brillantezza. Basta pulirlo
per ritrovare immutato il suo splendore.
Il piccolo Buddha è la
mente cristallina che cresce bene grazie alla madre, la saggezza, al
padre, la compassione, ai parenti, i trentasette fattori
dell’illuminazione e agli amici o servitori, tutte le altre virtù
minori.
E’ una similitudine è
stupenda, prendersi cura della natura di Buddha è come prendersi
cura con infinito amore di un bambino per farlo crescere nel modo
migliore, è il modo ultimo di provvedere ad un bambino. Questo
bambino è, in ogni essere, la natura di Buddha.
Conosciamo l’origine
del Sutra del Cuore e in quale occasione il Buddha ne ha offerto il
prezioso insegnamento.
“Così
una volta udii:
Il
Bhagavan dimorava a Rajagrha, presso il Picco dell’Avvoltoio, con
un gran numero di Arhat e un gran numero di Bodhisattva e a quel
tempo il Bhagavan era entrato nell’assorbimento meditativo sulla
varietà dei fenomeni chiamato percezione profonda. In quello stesso
tempo, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, era
assorto nella stessa pratica della profonda perfezione della saggezza
e vide che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca.
Quindi,
tramite l’ispirazione del Buddha, il venerabile bikshu Shariputra
si rivolse all’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva e gli
disse: - come deve addestrarsi un figlio o figlia del lignaggio dei
Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda
perfezione della saggezza? - ”
Prima di tutto bisogna
comprendere chiaramente cosa si intende in questo contesto indicando
l’assemblea dei presenti, perché ancora una volta le traduzioni
possono essere fuorvianti, con un gran numero di Arhat e un gran
numero di Bodhisattva, nel testo originale “gedun chengpo”, “il
grande sangha”, non ci si riferisce alla quantità, ma all’elevata
qualità dei presenti.
Altro passaggio
importante è la comprensione dei cinque lignaggi della natura di
Buddha perché, con la frase “figlio o figlia del lignaggio”,
ci si rivolge specificatamente al lignaggio dei Bodhisattva, di donne
e uomini che in quel momento abbiano risvegliato il lignaggio dei
Bodhisattva, e non in generale il lignaggio di Buddha.
Comunemente si
definisce il Sutra del Cuore come discorso del Buddha, ma egli non ha
pronunciato alcuna parola, un altro, il Bodhisattva Avalokitesvara,
in conversazione con il suo interlocutore, il bikshu Shariputra, ha
ricevuto dal Buddha l’ispirazione ad esprimere l’insegnamento
profondo. Il dialogo tra Avalokitesvara e Shariputra è anche
conosciuto come “il Sutra benedetto dal Buddha”.
Alla domanda spesso
posta a questo punto: “colui che è nel lignaggio dei Bodhisattva e
desideri applicarsi alla comprensione della perfezione della saggezza
cosa deve fare?” si è già risposto prima: la saggezza simile alla
madre - la saggezza della Vacuità, il metodo simile al padre - la
compassione, la Bodhicitta, il supporto dei parenti - i trentasette
fattori dell’illuminazione, e degli amici - le virtù minori, tutto
concorre, ma la causa principale, determinante, è la saggezza della
Vacuità.
“Quando
fu detto questo, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva,
rispose al venerabile bikshu Shariputra e disse: “Shariputra, ogni
figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri
impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza,
dovrebbe vedere chiaramente nel seguente modo”
La frase “vedere
chiaramente nel seguente modo” riconduce ai cinque sentieri,
perché coloro che desiderano comprendere e raggiungere la perfezione
della saggezza, devono percorrerli interamente:
- sentiero dell’accumulazione;
- sentiero della preparazione;
- sentiero della visione;
- sentiero della familiarizzazione o meditazione;
- sentiero del non più apprendimento, cioè il raggiungimento del risultato, l’illuminazione.
Il testo prosegue:
“dovrebbe
vedere distintamente che anche i cinque aggregati sono vuoti di
natura intrinseca”.
Mostra così
l’ingresso nel primo sentiero, dell’accumulazione, nel quale si
apprende a praticare la Vacuità dei cinque aggregati, la Vacuità
della mente.
Domanda:
Perché dice “anche”?
Lama:
“anche” perché specificando che tutti i fenomeni sono vacui se
ne dà una formulazione generica ma, entrando in dettaglio, si
osserva la loro classificazione in cinque gruppi, ricordiamo che i
sentieri sono quindici:
- cinque degli Sravaka, gli uditori,
- cinque dei Pratyekabuddha, i Buddha solitari,
- cinque dei Bodhisattva.
La frase si riferisce
precisamente al primo sentiero della pratica dei Bodhisattva, la
pratica mahayana, al sentiero dell’accumulazione, incluso nei tre
addestramenti superiori: moralità, concentrazione e saggezza.
L’ingresso nel sentiero mahayana è la bodhicitta, la grande
compassione.
Il praticante mahayana
che intraprende il sentiero dell’accumulazione ha attivato la
bodhicitta, la grande compassione che ha fondamento nella rinuncia e,
su questa base, è interessato allo sviluppo della perfezione della
saggezza.
Il Sutra del Cuore è
un dialogo di altissimo livello tra due esseri elevati, Shariputra e
Avalokitesvara, ma è ben difficile pensare che realmente sia stato
pronunciato mentre il Buddha era assorto in meditazione; è probabile
invece che, trattandosi di un assemblea così qualificata di Arhat e
di Arya in grado di comprendere in profondità, tutti fossero immersi
nella meditazione e il dialogo sia avvenuto esclusivamente sul piano
spirituale, ispirato dalla situazione. E’ l’aspetto misterioso e
segreto con cui venivano dati gli insegnamenti più elevati secondo
la modalità mahayana e per questa ragione i resoconti storici di
tali incontri sono così rari.
La leggenda narra che,
nello stesso momento in cui avveniva questo dialogo interiore sul
picco dell’Avvoltoio nel nord dell’India, alla presenza del
Buddha nella sua forma umana, contemporaneamente egli stava dando gli
insegnamenti di Kalachakra nel sud dell’India, nel luogo natale di
Nagarjuna.
Il praticante che
realizza il primo livello dell’accumulazione realizza la
concentrazione, conosciuta come “la corrente continua
dell’insegnamento del Dharma”, ed è in grado di ricevere, senza
bisogno di intermediari, gli insegnamenti dagli Esseri spirituali più
elevati. Si narra di praticanti che hanno ricevuto insegnamenti
direttamente da Manjusri, il Buddha della Saggezza. Nel sentiero
dell’accumulazione si è molto affaccendati, non si ha tempo per
rilassarsi, quando la meta era ancora lontana ci si poteva crogiolare
nella beata ignoranza, ma cominciando seriamente a crescere nella
saggezza, il tempo libero scompare del tutto.
Il Sentiero dell’Accumulazione
Il sentiero
dell’accumulazione è suddiviso in tre livelli, uno iniziale, uno
intermedio e uno finale. Nel livello iniziale il praticante che
conosce molto bene la pratica delle quattro consapevolezze perché vi
si è esercitato lungamente, ne è un vero esperto e, unendo la
saggezza e la bodhicitta alle quattro consapevolezze, acquisisce una
grande perizia, assolutamente determinante per poter accedere al
livello intermedio.
Così, il praticante
che è entrato nel sentiero del Dharma poiché ha maturato la
rinuncia, è entrato nel sentiero mahayana in quanto ha sviluppato la
bodhicitta e ora perfeziona le quattro consapevolezze unendole alla
saggezza della Vacuità, è dunque molto affaccendato!
Il “Satipatthana
sutra”. mostra dettagliatamente come addestrarsi nelle quattro
consapevolezze, descrive la consapevolezza del corpo, la
consapevolezza delle sensazioni, la consapevolezza della mente, la
consapevolezza del Dharma inteso come tutto il resto dei fenomeni,
insegna ad essere sempre presenti, pienamente consapevoli in ogni
istante di ciò che accade nel corpo, nelle sensazioni, nella mente e
nei cinque aggregati.
La consapevolezza è
caratterizzata da due aspetti, quello generale del fenomeno e quello
peculiare del fenomeno osservato.
L’aspetto generale è
l’impermanenza, l’impermanenza del corpo, delle sensazioni, della
mente, del dharma come raccolta di tutti gli altri fenomeni, è
l’impermanenza sottile, momentanea, del cambiamento istantaneo,
momento per momento, caratteristica generale che riguarda tutti i
fenomeni.
L’aspetto individuale
di ogni fenomeno è ciò che caratterizza il corpo, le sensazioni, la
mente e i fenomeni. Il praticante addestrato ne ha perfetta
chiarezza, momento per momento.
Il livello intermedio
consiste nell’ottenere perizia nei quattro abbandoni, o quattro
cessazioni, è lo stadio in cui si acquisisce la capacità di
sviluppare le virtù che ancora non sono state svolte e di
incrementare all’infinito le qualità già maturate. Le non-virtù
ancora non sorte e le non-virtù già presenti possono ugualmente
essere eliminate.
Si ha la cessazione
completa delle non-virtù e la cessazione completa degli ostacoli
alla realizzazione delle virtù.
Si realizza il sogno a
lungo coltivato di poter ottenere l’obiettivo desiderato, sulla
base della pratica della bodhicitta e dell’incremento della
perfezione della saggezza.
Così procedendo si
giunge al livello finale dell’accumulazione diventando esperti
nelle “quattro gambe miracolose”, cioè nella concentrazione o
meditazione di samatha in cui si realizza il massimo livello della
concentrazione, perizia che si ottiene con l’aiuto della Bodhicitta
e della comprensione della Vacuità.
Questi tre stadi,
suddivisi a loro volta in quattro pratiche ciascuno, costituiscono
complessivamente dodici dei trentasette fattori dell’illuminazione.
Sono i metodi o le condizioni attraverso cui si crea o si favorisce
la maturazione della mente dell’illuminazione e rappresentano gli
elementi da cui siamo partiti, la saggezza, la bodhicitta, le
trentasette facoltà dell’illuminazione e tutte le altre virtù.
La riga del testo su
cui ci siamo soffermati a lungo: “dovrebbe
vedere distintamente che anche i cinque aggregati sono vuoti di
natura intrinseca” indica chiaramente come
praticare la saggezza nel sentiero dell’accumulazione.
Corpo, sensazioni,
percezioni, fattori composti, coscienza, in breve tutti i cinque
aggregati, esistono per cause e condizioni, non vi è alcuna
possibilità di esistenza intrinseca, propria, perciò i cinque
aggregati sono vuoti di esistenza propria. E’ importante studiare e
meditare profondamente questo aspetto unendo la meditazione analitica
con quella concentrativa, fino a realizzare la Vacuità.
Durante il percorso del
sentiero dell’accumulazione esiste effettivamente una reale
possibilità di apprendere e riflettere sulla Vacuità dei cinque
aggregati.
E’ possibile entrare
nel sentiero mahayana possedendo la comprensione della bodhicitta che
è la base fondamentale per un’ulteriore progressione, anche se non
si è ancora compresa pienamente la Vacuità dei cinque aggregati.
Lo studio sul
significato della Vacuità dei cinque aggregati e la riflessione sul
proprio livello di comprensione della Vacuità costituiscono una
meditazione in cui, alternando la concentrazione univoca con la
meditazione analitica, si comprendono e integrano i cinque livelli di
meditazione sulla Vacuità.
Si inizia con la
riflessione sul corpo, sulle sensazioni, sui fattori compositi, sulla
mente, sulla coscienza, sulla loro realtà, su come si manifestano e
vengono in esistenza, comprendendo semplicemente che esistono sulla
base di cause e di condizioni e che, mancando cause e condizioni, non
possono esistere.
Con lo stesso schema si
procede ad esaminare il sé, l’io, osservando come esso sia solo
sulla base dei cinque aggregati e, se i cinque aggregati non esistono
in modo intrinseco, anche il sé basato su di essi, non può esistere
in modo intrinseco.
Perché dobbiamo
sforzarci di osservare la non-esistenza intrinseca dei cinque
aggregati? Perché solo grazie alla comprensione di questa realtà
riusciamo a vedere distintamente come il sé sia assolutamente privo
di esistenza intrinseca. Non c’è alcun io indipendente.
Affermando che le cose
non hanno esistenza indipendente si sottintende che hanno esistenza
dipendente. Ogni cosa esiste in dipendenza da altro e quindi non può
esistere indipendentemente. La natura della realtà è
l’interdipendenza.
Poiché tutto esiste
interdipendentemente tutto è vuoto di esistenza propria, è vacuo;
tutti i fenomeni sono vacui e possono essere solo in modo
interdipendente.
Il vero fenomeno è la
Vacuità, il vero Dharma è la Vacuità, grazie ad essa tutto può
esistere e trasformarsi. Se non vi fosse Vacuità non vi sarebbe
spazio per nessuna esistenza, per nessuna trasformazione. La Vacuità
è il Dharma ultimo, il Dharma fondamentale da realizzare.
Realizzando la Vacuità si realizza l’illuminazione.
Esistenza e Vacuità
sono due facce della stessa medaglia, il significato della Vacuità è
l’esistenza interdipendente, il significato dell’esistenza è
mera imputazione.
I cinque aggregati sono
vuoti, esistenti interdipendentemente, sono mera imputazione, per cui
il sé è vuoto, esiste interdipendentemente ed è mera imputazione,
cosa significa?
Risposta:
Che esiste in modo convenzionale, è una convenzione.
(Si conclude la
sessione con la preghiera di dedica dei meriti)
Il Sentiero della Preparazione
La sessione pomeridiana
inizia con la lettura degli otto versi di trasformazione della mente.
Nella mattinata si è
accennato agli argomenti base della pratica mahayana, il sentiero di
accumulazione, il primo sentiero della pratica mahayana e dei primi
dodici fattori d’illuminazione che sono le quattro consapevolezze,
i quattro abbandoni e le quattro concentrazioni; la saggezza, la
bodhicitta e di come i cinque aggregati siano vuoti di esistenza
indipendente.
Nel sentiero dei
Bodhisattva la perfezione della saggezza si costruisce nell’analisi
della non esistenza inerente dei cinque aggregati che, in
progressione sistematica, porta alla comprensione della non esistenza
inerente dell’io, del sé.
Nel sentiero mahayana
dell’accumulazione la meditazione sulla Vacuità o meditazione sul
non-io è sviluppata tramite lo strumento della non-esistenza
inerente dei cinque aggregati. Questo è in sintesi il metodo di
osservazione del non-io o mancanza dell’io, una meditazione che
deve essere sempre supportata dallo studio e dalla riflessione
intellettuale.
Sono stati elencati
brevemente, tra i trentasette fattori dell’illuminazione, i primi
dodici suddivisi in gruppi di quattro; sono importanti e poiché
meritano un ulteriore approfondimento vi consiglio di studiare i vari
commentari al Sutra del Cuore.
Si è focalizzata
l’attenzione sulla saggezza in quanto obiettivo ultimo, ma è
importante non trascurare il significato della rinuncia e della
Bodhicitta che rappresentano il metodo e sono assolutamente
fondamentali in ogni pratica.
Oggi affronteremo il
secondo sentiero mahayana, della preparazione.
“La
forma è vuota, la Vacuità è forma; la Vacuità non è altro che
forma, la forma non è altro che Vacuità. Allo stesso modo sono
vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la
coscienza”
Nel sutra del cuore si
insegna come meditare la Vacuità nel sentiero della preparazione
sulla base delle quattro caratteristiche. Nel sentiero
dell’accumulazione i cinque aggregati erano compresi come vuoti di
natura intrinseca e nel sentiero della preparazione si analizza
dettagliatamente la Vacuità, la mancanza di esistenza intrinseca di
ognuno di questi. Ad esempio dice: “la forma, quindi
l’aggregato della forma, è vuota”, poi rovescia “la
Vacuità è forma” e poi ancora “la Vacuità non è altro
che forma” e “la forma non è altro che Vacuità”.
L’aggregato della
forma altro non è che imputazione, un nome per definire una base, un
concetto imputato su una base di imputazione, perché non vi è
nessuna forma che possa esistere in modo indipendente. Pertanto la
forma è intrinsecamente vuota, ma poiché è imputata da un
concetto, cioè ha un nome imputato su una base imputabile, ha una
funzione. L’imputare un concetto definisce la sua funzione, è
intrinsecamente vuota, ma è forma.
Tutti i fenomeni hanno
due realtà, la realtà convenzionale che gli è imputata e la realtà
ultima. Sebbene entrambe non siano la stessa cosa posseggono la
stessa natura, per cui la Vacuità della forma altro non è che
forma, non ha una diversa natura. La Vacuità non è differente dalla
forma e la forma non è differente dalla Vacuità.
Se i fenomeni
esistessero intrinsecamente non dipenderebbero da cause e condizioni
ma, se così fosse, dovrebbero anche esistere frutti e risultati non
dipendenti da cause e condizioni. Affermare che un fenomeno è di
natura intrinsecamente vuota e dire che non esiste realmente ha lo
stesso significato.
Questo è il modo di
meditare la Vacuità nel sentiero della preparazione, osservando i
cinque aggregati, uno per uno, analizzandoli in ogni particolare
secondo le quattro caratteristiche.
La forma è vacua
poiché non esiste intrinsecamente, ma dipende da nome e imputazione.
La forma stessa non è differente dalla Vacuità della forma in
quanto entrambe sono due aspetti della stessa medaglia, sono due cose
diverse ma, pur essendo differenti, hanno la stessa natura.
Anche il sentiero della
preparazione è suddiviso in quattro stadi o gradini:
- il primo è “il sentiero del calore, o, simile al calore”;
- il secondo è “il picco, o la vetta”;
- il terzo è “la pazienza”;
- il quarto è “il Dharma supremo”.
Durante il sentiero
della preparazione si acquisisce perizia in due gruppi di fattori
dell’illuminazione. Nei primi due stati del sentiero della
preparazione, “il sentiero del calore” e “il picco”, ci si
allena acquisendo grande competenza e divenendo veri esperti nelle
cinque facoltà:
- la facoltà della fede;
- la facoltà della perseveranza entusiastica;
- la facoltà della consapevolezza;
- la facoltà dell’assorbimento meditativo;
- la facoltà della saggezza o della visione profonda.
Nei successivi due
stadi “la pazienza” e “ il Dharma supremo”, si approfondisce
la conoscenza delle cinque facoltà trasformandole nei cinque poteri,
che mantengono lo stesso nome:
- il potere della fede;
- il potere della perseveranza entusiastica;
- il potere della consapevolezza;
- il potere dell’assorbimento meditativo;
- il potere della saggezza o della visione profonda.
La differenza tra
“facoltà” e “potere” è definita dal grado di
approfondimento raggiunto, allenandosi nella facoltà si raggiunge la
piena capacità, abilità, potenzialità della stessa che,
ulteriormente sviluppata, si trasforma in potere, il che significa
che in quel campo non si può più essere sconfitti.
L’approfondimento
delle facoltà che si trasformano in poteri è dovuto alla forza
dell’incremento della bodhicitta che crescere e si sviluppa tramite
la forza della saggezza. Grazie alla saggezza della compassione si
entra direttamente nell’essenza della saggezza che è forza
trainante.
Riferendoci nuovamente
all’analogia del bambino che nasce e cresce grazie all’azione
congiunta di padre, madre, parenti e amici, osserviamo che si otterrà
il risultato procedendo analogamente nell’interazione tra saggezza,
metodo, trentasette fattori, virtù minori.
La bodhicitta che è
sostegno del sentiero mahayana e che vi ha introdotto il praticante è
sempre la stessa bodhicitta, non è cambiata, ma nel contempo la
bodhicitta che ha avviato il praticante nel sentiero mahayana e,
sostenendo la sua pratica, lo ha trasformato in Bodhisattva, è
illuminata e incrementata dalla saggezza. Si determina
un’inscindibile interazione e aiuto reciproco nel potenziamento
della bodhicitta quale supporto della saggezza e della saggezza in
quanto stessa bodhicitta che si illumina sempre più divenendo luce
limpida.
L’incremento
simultaneo di metodo e saggezza porta al compimento dei trentasette
fattori dell’illuminazione che, seppur praticati anche prima, ora
possono essere portati a compimento. E’ interessante osservare come
l’interazione costante e inscindibile conduca inevitabilmente alla
realizzazione.
Vediamo come avviene il
passaggio dal sentiero dell’accumulazione a quello della
preparazione.
Il primo stadio del
sentiero della preparazione è chiamato “del calore”, ma quale
calore? - Il calore dell’illuminazione.
Il meditatore medita in
modo continuativo, studia e riflette sull’assenza di esistenza
intrinseca dei cinque aggregati giungendo, per deduzione logica, alla
consapevolezza dell’assenza di esistenza intrinseca del sé, della
Vacuità dell’io. Meditando costantemente in questo modo ottiene la
visione veritiera della Vacuità, ne assapora il gusto, sperimenta
direttamente il calore dell’illuminazione e, nel momento in cui ciò
avviene, passa dal sentiero dell’accumulazione al sentiero della
preparazione.
Questo assaggio della
Vacuità del sé non significa ancora l’aver avuto la visione
diretta della Vacuità, ma è simile all’osservazione dell’immagine
riflessa in uno specchio, è un’intuizione detta “immagine
mentale della Vacuità”. Il meditatore adesso ha una visione chiara
e veritiera dell’immagine della Vacuità del sé, ne sente il
sapore, la riconosce e, se anche non la vede direttamente, sa cos’è
con chiarezza, senza errore ed è dunque in grado di entrare nel
sentiero della preparazione.
Il meditatore è così
sempre più affaccendato, prima osservava la Vacuità dal punto di
vista indiretto dell’assenza di esistenza intrinseca dei cinque
aggregati, ora deve analizzarli uno per uno secondo le quattro
caratteristiche ed è un impegno notevole che occupa tutto il suo
tempo, ma illumina, irradia, distilla e purifica la bodhicitta la
quale diviene sempre più radiosa e chiara. Così, la bodhicitta che
cresce grazie alla meditazione sulla Vacuità e che
contemporaneamente la supporta, fa si che il meditatore potenzi e
consolidi le proprie facoltà sino ad averne piena padronanza tanto
da svilupparle ulteriormente trasformandole in poteri.
Domanda:
Mi sembra di capire che nei vari passaggi sia indispensabile
comprendere logicamente il percorso, ma non è così semplice, anche
perché nel caso della Vacuità si passa dal concetto generale a
quello particolare, mentre in genere avviene il contrario.
Lama:
E’ necessario accostarsi alla Vacuità con un primo approccio
breve, sintetico e soltanto in un secondo tempo sarà possibile
procedere all’esame analitico dei dettagli. E’ indispensabile
avere prima di tutto un’idea chiara, generale, del concetto che si
vuole comprendere e, partendo da questo punto, scendere nel
particolare e approfondirlo.
Il Sentiero della Corretta Visione
Ora la vita si
complica, ci avviciniamo al sentiero della visione corretta e la
spiegazione su come meditarla è contenuta nella frase:
“Quindi,
Shariputra, tutti i fenomeni sono Vacuità; essi sono privi di
caratteristiche peculiari; non sono nati, non cessano; non sono
contaminati, non sono incontaminati; non sono incompleti e non sono
completi.”
I fattori da esaminare
sono otto, non più quattro. Tutti i fenomeni sono intrinsecamente
vuoti, non esistono cause intrinsecamente esistenti e, di
conseguenza, non si possono avere risultati intrinsecamente
esistenti. Anche le contaminazioni, le oscurazioni mentali sono
intrinsecamente vuote. I tipi di mente non contaminati sono
intrinsecamente vuoti. La diminuzione delle afflizioni mentali è
essa stessa non intrinsecamente esistente. Le qualità mentali che
incrementano lo sviluppo non sono intrinsecamente esistenti.
L’avvicinamento alla
Vacuità è sempre più complesso. Durante il sentiero
dell’accumulazione non si ha alcuna conoscenza della Vacuità, si è
in una fase di studio, di realizzazione e di tentativi di
avvicinamento in un approccio generale. Entrando nel secondo
sentiero, della preparazione, si ha un’idea chiara della Vacuità e
si è in grado di avviare l’analisi di qualche dettaglio, perché
ancora non si è di fronte alla Vacuità, ma se ne intravede il vero
riflesso nell’immagine mentale.
Ora invece, potendo
incontrare viso a viso, direttamente la Vacuità, non la sua
l’immagine mentale, in un’osservazione non filtrata dallo sguardo
fisico, ma quale risultato della vera comprensione, è il momento in
cui si debbono affrontare i particolari.
Il meditatore passa
dalla chiara immagine alla chiara visione della Vacuità e, avendo
eliminato l’intermediario che è l’immagine mentale, in quel
preciso istante diventa un Arya Bodhisattva, una Mahasattva. Colui
che era un meditatore Bodhisattva ora acquisisce lo stato di Arya
Bodhisattva.
Ecco il significato
delle parole del testo: “Arya
Avalokitesvara Bodhisattva Mahasattva” cioè
un Bodhisattva che, approdando dal sentiero della preparazione a
quello della visione, ha la limpida visione diretta propria di un
Bodhisattva Mahasattva, un Arya. Questa è la caratteristica del
Bodhisattva che entra nel terzo sentiero, della visione e nel quarto,
della meditazione o familiarizzazione. A questo punto la Vacuità è
una vera sfida e il meditatore, il Bodhisattva Mahasattva, vede ogni
fenomeno come vuoto e come vuota ogni causa del passato e ogni
risultato del futuro, una peculiarità espressa nella visione del
Bodhisattva in grado di osservare che “tutti
i fenomeni sono Vacuità”
“essi
sono privi di caratteristiche peculiari”
con preciso riferimento al fatto che tutte le cause
sono vuote, il passato è vuoto, non c’è nulla che possa essere
identificato come intrinsecamente esistente. “non sono nati”
e quindi i loro risultati, il futuro, sono vuoti poiché da essi non
nascerà nulla di intrinsecamente esistente.
Anche tutto ciò che
solitamente è considerato afflizione mentale, difetto mentale,
oscurazione mentale o sofferenza non è intrinsecamente esistente
dunque “non
sono contaminati”.
Altrettanto, le virtù,
le menti positive, le qualità mentali, non sono intrinsecamente
esistenti.
Alla domanda: «Si può
purificare la mente intrinsecamente da tutti i difetti?» la risposta
è No!
Inoltre, se “non
sono incompleti”
e “non
sono completi” alla domanda: «possono rendere
intrinsecamente perfette le qualità della mente?» la risposta è
sempre No.
L’analisi diventa
ancora più sottile nella visione profonda del Sutra del Cuore che
osserva “la
varietà dei fenomeni chiamata percezione profonda”.
Ad esempio, praticando
il Dharma ci si pone l’obiettivo di realizzare lo stato di
illuminazione, eppure spesso si parte dall’idea, completamente
errata, che un io indipendente realizzi un indipendente stato di
illuminazione, che un io intrinsecamente esistente possa accumulare
cause indipendenti, intrinsecamente esistenti e ottenga futuri
risultati intrinsecamente esistenti.
Per eliminare i difetti
mentali si agisce nell’illusione di poter annullare difetti
intrinsecamente esistenti con un metodo intrinsecamente esistente.
Anche le qualità che si vorranno realizzare saranno quindi
intrinsecamente esistenti e la loro maturazione completa produrrà
uno stato ovviamente intrinsecamente esistente.
Così, alla fine, ci si
ritrova ad essere praticanti intrinsecamente esistenti di un dharma
intrinsecamente esistente e l’unico risultato ottenuto sarà la
definitiva fuga dell’illuminazione. Ecco una pratica intensa e
sbagliata in cui sono state investite ingenti energie con il solo
risultato della perdita di ogni possibilità di illuminazione.
Nel terzo sentiero,
della visione, gli stadi di pratica che corrispondono ai trentasette
fattori di illuminazione sono contenuti nel “Nobile Ottuplice
Sentiero”.
Il primo stadio è “La
visione corretta”, fondamentale perché soltanto in esso si è in
grado di superare realmente la visione errata, prima di questo
passaggio non è possibile avere una visione completa e corretta
della realtà. La visione errata è quella, appena descritta, del
meditatore che parte dal concetto di essere intrinsecamente esistente
e che di conseguenza osserva tutti i fenomeni come intrinsecamente
esistenti cadendo in un errore molto grave che distrugge e corrompe
tutto. La visione errata più devastante è data dall’idea del
Guru, o del Buddha, o di Dio, o di una religione, intrinsecamente
esistenti, basta osservare la storia dell’umanità per comprendere
quante tragedie siano scaturite da essa. Tutti gli errori nascono
dall’ignoranza e, in questo caso, si tratta di ignoranza che
produce la visione sbagliata, che ignora la Vacuità.
Nel sentiero della
visione la pratica della meditazione sulla saggezza consiste
nell’eliminare le informazioni sbagliate che determinano
l’afferrarsi a un sé costruito artificialmente, temporaneo,
fondato su condizione temporanee, cioè l’aggrapparsi ad un sé non
innato, ad un sé falso.
Il primo passo del
nobile ottuplice sentiero è il sentiero della corretta visione, da
cui scaturiscono naturalmente, uno conseguente all’altro, un
corretto modo di pensare, un corretto modo di parlare, un corretto
modo di agire, un corretto modo di vivere, un corretto sforzo, una
corretta consapevolezza, una corretta concentrazione.
Gli otto rami
dell’ottuplice sentiero diventeranno perfetti nel sentiero della
visione che elimina il concetto errato, artificiale, temporaneo
dell’aggrapparsi al sé.
Il Sentiero della Familiarizzazione
Soltanto nel momento n
cui il meditatore annulla la visione sbagliata eliminando il concetto
dell’aggrapparsi al sé non innato entra nel sentiero della
familiarizzazione o della meditazione e il suo compito diviene più
arduo.
Nel corso del quarto
sentiero, della familiarizzazione o meditazione si combatte il
concetto dell’ignoranza innata, dell’aggrapparsi ad un sé innato
ed entrano in gioco i dieci “bhumi” 36,
conosciuti anche come i dieci livelli dei Bodhisattva.
Il commentario dice che
durante il sentiero della familiarizzazione non vi è presenza alcuna
di fenomeni convenzionali quindi, se osserviamo Michele seduto in
questa sala, non vediamo Michele ma la Vacuità di Michele.
Il testo del Sutra del
Cuore prosegue riferendosi al sentiero della familiarizzazione:
“Quindi,
Shariputra, nella Vacuità non c’è forma”,
dunque qui non c’è Michele, ma la Vacuità di Michele.
”non
c’è forma, né sensazioni, né percezioni, né formazioni mentali,
né coscienza.”
Cioè non c’è
nessuno dei cinque aggregati.
“Non
c’è occhio, né orecchio, né naso, né lingua, né corpo, né
mente. Non c’è forma” In questo caso “forma”
indica il colore, la forma geometrica.
“né
suono, né odore, né gusto, né oggetti concreti, né oggetti
mentali. Non c’è nessun elemento visivo, così fino a nessun
elemento mentale fino a includere nessun elemento della coscienza
mentale.”
Gli oggetti concreti si
possono toccare e riguardano i diciotto elementi di tutti i fenomeni:
sei organi dei sensi, sei oggetti dei sensi, sei facoltà dei sensi.
“Non
c’è ignoranza, non c’è estinzione dell’ignoranza, e così
fino a nessun invecchiamento e morte, e nessuna estinzione
dell’invecchiamento e della morte.”
Ecco un ulteriore
approfondimento e, se ricordate l’insegnamento del testo di
Nagarjuna sui dodici anelli dell’origine interdipendente, potete
riconoscere il primo e l’ultimo anello: “ignoranza” e
“invecchiamento e morte”, che, osservati nel movimento della
creazione e in quello della cessazione, dimostrano di non poter
esistere intrinsecamente in nessuna delle due direzioni. Nessun
anello della catena può avere un’esistenza intrinseca, questa è
l’essenza del “Paticcasamuppada”, l’importante sutra
dell’origine interdipendente.
“Allo
stesso modo, non c’è sofferenza, origine, cessazione o sentiero;
non c’è saggezza, né ottenimento e neppure mancanza di
ottenimento.”
Anche le quattro nobili
verità, contenute nel “Dharmachakra Pravartanasutra” il sutra
dell’avvio della prima ruota del Dharma, non esistono
intrinsecamente. Questi sutra sono fondamentali e sarebbe bene
studiarli direttamente non limitandosi ai commentari soggetti alle
diverse interpretazioni.
Non c’è una saggezza
intrinseca. Diciamo: “voglio ottenere l’illuminazione!…”
ma non c’è nessun ottenimento e, ancora meglio, non c’è
nemmeno il non-ottenimento. La comprensione scaturisce dalla realtà
dell’origine interdipendente, dalla realtà della Vacuità dei
fenomeni.
Il Sentiero della Meditazione simile al Diamante
La concentrazione
simile al vajra, il diamante indistruttibile è un altro concetto
essenziale. Dopo aver meditato lungamente nel sentiero della
familiarizzazione si giunge all’ultimo momento del samsara,
all’ultimo istante dello stato non illuminato della mente detto “il
sentiero della meditazione simile al Vajra”.
“Quindi,
Shariputra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti, si basano e
dimorano nella perfezione della saggezza. Non avendo oscuramenti
nelle loro menti, essi non hanno paura, ed essendo andati totalmente
oltre l’errore, essi raggiungono la meta finale: il nirvana. Tutti
i Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto il pieno risveglio
dell’insuperabile, perfetta illuminazione, basandosi su questa
profonda perfezione della saggezza”.
Il sentiero della
meditazione simile al diamante è l’ultimo momento di una mente non
illuminata, in questa fase un Bodhisattva è in completo assorbimento
meditativo sulla Vacuità, sulla mancanza di esistenza intrinseca, la
sua mente è libera da ogni tipo di oscurazioni e di paure, ogni
timore è scomparso ed è totalmente al di là dell’errore, si
trova in una situazione simile allo stato dell’illuminazione.
Nel sentiero della
familiarizzazione si elimina l’ignoranza innata, sottile,
attraverso il duro percorso dei dieci bhumi, i dieci livelli di
eliminazione. E’ il momento in cui il Bodhisattva attua la pratica
più lunga, la prova più intensa.
Il primo bhumi è “il
terreno della gioia”, perché si ha la gioia della visione del
volto dell’illuminazione, la Vacuità che, anche se non ancora
totalmente chiara, è comunque presente. In questo momento la
meditazione si articola in due fasi: la fase meditativa o
dell’assorbimento meditativo e la fase post-meditativa relativa
all’intervallo tra un assorbimento meditativo e l’altro. La fase
dell’assorbimento meditativo si suddivide a sua volta in due
momenti: Il primo è il momento in cui il meditatore, profondamente
assorto nell’osservazione dei dettagli della Vacuità, avverte la
presenza vigile del suo opponente, dell’ostacolo non ancora
eliminato.
Il secondo momento si
presenta quando il meditatore, entrando nella seconda fase
dell’assorbimento meditativo, riesce a sconfiggere l’ostacolo
eliminandolo e solo allora avviene il passaggio da un bhumi a quello
successivo.
Nell’alternanza di
questi momenti si ha la fase post-meditativa in cui si applica la
pratica della generosità, dell’etica, dell’accumulazione dei
meriti.
L’attraversare i
dieci terreni di pratica costituisce il mezzo necessario per
purificare l’ignoranza sottile dell’innato aggrapparsi al sé.
Il sentiero della
purificazione nelle due fasi dell’assorbimento meditativo, quella
del confrontarsi con l’ostacolo, l’opponente, e quella della sua
eliminazione, realizza i sette rami o fattori dell’illuminazione:
- il fattore della corretta consapevolezza;
- il fattore della corretta aspirazione;
- il fattore del corretto sforzo gioioso;
- il fattore della corretta gioia;
- il fattore della corretta tranquillità;
- il fattore della corretta concentrazione;
- il fattore della corretta equanimità, che è l’ultimo e per questo particolarmente importante.
A volte si pensa,
sbagliando, che l’equanimità sia semplice e poco rilevante, invece
è fondamentale, in essa si elimina ogni visione settaria, non bianco
o nero, non giusto o sbagliato, ma solo equanimità che è Vacuità.
La natura della Vacuità rende ogni cosa uguale. Tale visione non
dipende dall’oggetto ma dal livello personale di comprensione.
La fase post-meditativa
è un periodo di riposo e di rigenerazione che permetterà di
affrontare nuovi ostacoli con rinnovata energia, arricchiti
dall’accumulazione dei meriti dovuti all’applicazione del metodo,
della rinuncia e della bodhicitta. Così rafforzati, si rientra nella
meditazione che, a questo punto, è un vero campo di battaglia in cui
ci si confronta con l’opponente sino a che non lo si vince con la
completa eliminazione dell’ostacolo.
Il ciclo riprende,
sconfitto l’ostacolo di quel bhumi si passa al bhumi successivo,
alternando le fasi meditative e post- meditative, di bhumi in bhumi,
dal primo al secondo, al terzo, al quarto, al sesto, al settimo, sino
all’ottavo nel quale si eliminano le impronte più sottili lasciate
dai difetti mentali, le predisposizioni delle afflizioni mentali, e
si è così nel livello dell’Arhat, che non ha ancora raggiunto la
bodhicitta ma ha eliminato con uguale metodo l’ignoranza e possiede
la stessa chiara saggezza.
I dieci bhumi
corrispondono alla pratica delle dieci perfezioni.
I primi sei bhumi si
riferiscono alle sei perfezioni: il primo alla generosità, il
secondo all’etica, il terzo alla pazienza, il quarto alla
perseveranza entusiastica, il quinto alla concentrazione, il sesto
alla saggezza.
I restanti quattro
bhumi sono perfezionamenti del sesto e, precisamente: il settimo
corrisponde al potere, l’ottavo al potere della preghiera o
dell’aspirazione, il nono alla perfezione del metodo o dei mezzi
abili, il decimo alla perfezione della chiara visione. Con il decimo
bhumi si giunge alla meditazione simile al vajra, il diamante.
“Quindi,
Shariputra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti, si basano e
dimorano nella perfezione della saggezza”.
Il Quinto Sentiero, dell’Illuminazione
La meditazione simile
al diamante prosegue fino alla realizzazione dell’illuminazione,
ecco dunque il quinto sentiero, quello dell’illuminazione,
descritto nelle frasi: “Non
avendo oscuramenti nelle loro menti, essi non hanno paura, ed essendo
andati totalmente oltre l’errore, essi raggiungono la meta finale:
il nirvana. Tutti i Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto
il pieno risveglio dell’insuperabile, perfetta illuminazione,
basandosi su questa profonda perfezione della saggezza.”
Il praticante che ha
realizzato i sentieri dell’accumulazione, della preparazione, della
visione e della meditazione attraverso i dieci bhumi ha eliminato gli
ostacoli della mente e raggiunto uno stato in cui non vi è più
paura né sofferenza, lo stato dell’illuminazione.
Il cammino, descritto
nel Sutra del Cuore è quello percorso da tutti i Buddha dei tre
tempi, del passato, del presente e del futuro.
Non ci si sofferma
particolarmente sulla descrizione delle qualità dell’illuminazione
perché è evidente che esse sono tutte quelle realizzate attraverso
l’acquisizione dei diversi sentieri e che, portate alla perfezione,
sono le qualità di un Buddha, già trattate in altri testi quali “I
dieci tipi di potere” e “Le quattro assenze di paura”. E’
ancora necessario ricordare che esistono principalmente due ostacoli
da superare: uno è l’ostacolo alla liberazione dai difetti
mentali, dalle afflizioni mentali e l’altro è l’ostacolo che si
oppone alla mente onnisciente. Il Bodhisattva che raggiunge l’ottavo
bhumi elimina completamente l’ostacolo alla liberazione dalle
afflizioni mentali e quando raggiunge lo stato dell’illuminazione
elimina completamente l’ostacolo alla mente onnisciente.
Questi sono gli stadi
del percorso mahayana del Bodhisattva, i cinque sentieri che un
praticante mahayana del lignaggio dei Bodhisattva intraprende per
realizzare lo stato dell’illuminazione. In questo contesto si
descrive la via del meditatore che entra, sin dall’inizio, nel
sentiero mahayana dei Bodhisattva e, attraversando tutti i suoi
livelli, realizza l’illuminazione completa, ma non si parla affatto
del meditatore che, seguendo un altro percorso, procede dalla
meditazione degli uditori, Sravaka, alla meditazione dei Pratyeka, e
dunque diventa un Bodhisattva. E’ necessario conoscere chiaramente
questa distinzione, altrimenti ci si confonde e sorgono i problemi.
Nella lingua tibetana,
quando, alla lettera tibetana “ka” si aggiunge, sopra, il segno
“ra” e, sotto, il segno “u” si pronuncia “ku” che
significa rubare; se invece, alla lettera “sa” si affiancano i
segni “ka” e “u”, si pronuncia ugualmente “ku” ma ha un
significato onorifico per indicare la sacralità di un elemento. E,
ancora, la lettera “la” e “ka”con la “u” sotto, si
pronuncia ugualmente “ku” ed è la prima delle due sillabe “Ku
pha” che significa persona stolta, fuori di senno. Ciò dimostra
che cose apparentemente uguali possono avere significati
completamente diversi, per questo i tibetani raccomandano, con un
proverbio: “Non confondere “ra” “la” e “sa” perché
farai confusione, finirai col dire che Buddha è un ladro, che Buddha
è privo di senno, o, viceversa, che il ladro è Buddha.”
Dobbiamo essere attenti
e distinguere chiaramente le situazioni dei differenti tipi di
Bodhisattva, comprendere che derivano dalle molte possibilità
offerte per il raggiungimento dell’obiettivo. Ognuno deve seguire
la propria propensione, sapere qual’è il cammino a lui più
consono. C’è chi entra immediatamente nel sentiero mahayana, chi
invece sceglie il percorso dei Pratyekabuddha, e altri ancora
possono, giunti a metà del cammino del sentiero dei Pratyekabuddha o
degli Sravaka, decidere di cambiare entrando nel sentiero mahayana.
Esistono diversi modi per diventare Bodhisattva che possono essere
applicati a tutti i sentieri, hanno lo stesso nome ma si rivolgono a
realtà differenti e a individui differenti e non devono essere
confusi gli uni con gli altri.
Mantra della Perfezione della Saggezza
Il testo ora presenta
il Mantra:
“Quindi,
si dovrebbe sapere che è il mantra della perfezione della saggezza”
Il termine
“Mantra”significa protezione della mente, quindi nel momento in
cui si riceve, si ascolta, si recita o si riflette su un mantra si
sta utilizzando un metodo per proteggere la mente.
Questo mantra è stato
ispirato dal Buddha, rivolto da Avalokitesvara a Shariputra.
Attenzione però a non confondersi riferendosi ad Avalokitesvara che
può essere il Bikshu Avalokitesvara, oppure il Bodhisattva
Avalokitesvara, o il Buddha Avalokitesvara.
Stessa accortezza la si
deve avere con Maitreya, non necessariamente ci si rivolge al Buddha
Maitreya, ci si può riferire anche al re Maitreya, al Bodhisattva
Maitreya, al bikshu Maitreya, sono realtà diverse.
Domanda:
Sono individui diversi o sono fasi diverse nel cammino
dell’illuminazione?
Lama:
Sono manifestazioni differenti, una è un Buddha e ha lo
stato di Buddha, una è un Bodhisattva e ha lo stato di Bodhisattva e
un’altra è un Bikshu e ha lo stato di un monaco completamente
ordinato.
Il mantra della
perfezione della saggezza è una protezione della mente, è:
- “il Mantra della Grande Conoscenza”, che può superare l’ignoranza;
- “il Mantra Supremo”, che può eliminare ogni sofferenza;
- “il Mantra Uguale a ciò che non ha Uguale”, grazie al quale si realizza lo stato dell’illuminazione, quindi non paragonabile a nulla;
- “il Mantra che fa Tacere tutte le Sofferenze – è Vero perché non è ingannevole”, attraverso la sua pratica si possono pacificare tutte le sofferenze.
Recita il mantra della
perfezione della saggezza:
TADYATHA GATE’
GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
In italiano:
- TADYATHA potrebbe essere tradotto con “Eccolo!”;
- GATE’ significa “andare”, è un’esortazione a se stessi, “vai!”. Il primo GATE’ indica il sentiero dell’accumulazione, il secondo GATE’ il sentiero della preparazione;
- PARAGATE’ indica il sentiero della visione;
- PARASAMGATE’ indica il sentiero della meditazione;
- BODHI indica il sentiero del non più apprendimento che è lo stato dell’illuminazione;
- SVAHA significa dimorare nella mente, è un’esortazione a stabilizzare nella mente tutte le realizzazioni raggiunte.
Segue il consiglio di
Avalokitesvara a Shariputra:
“Shariputra,
così i Bodhisattva mahasattva dovrebbero addestrarsi alla profonda
perfezione della saggezza”.
Il Buddha, che era in
profondo stato meditativo, ne esce e approva quanto era successo: il
Bhagavan si svegliò dal suo assorbimento meditativo e lodò l’arya
Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, dicendo che era
eccellente.
“Eccellente!
Eccellente! Figlio del lignaggio dei Bodhisattva, è proprio così;
dovrebbe essere così. Bisogna praticare la profonda perfezione della
saggezza proprio così come hai rivelato. Perciò anche i Tathagata
se ne rallegreranno”.
Il Buddha ha voluto
precisare che, non solo lui si rallegrava per questo dialogo, ma che
tutti i Buddha dei tre tempi ne erano felici. Nel commentario infatti
si sottolinea che l’aggettivo “eccellente” ripetuto due volte è
rivolto, il primo alla domanda di Shariputra e il secondo alla
risposta di Avalokitesvara.
Conclude:
“Come
il Bhagavan pronunciò queste parole, il venerabile bikshu
Shariputra, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva,
insieme all’intera assemblea, inclusi i mondi degli dei, degli
umani, degli asura e dei gandharva, tutti gioirono e lodarono ciò
che il Bhagavan aveva detto”.
In uno dei commentari
si specifica che l’intera assemblea, inclusi il mondo degli dei,
degli umani, degli asura e dei gandharva gioirono con ammirazione per
quello che il Bhagavan aveva detto e in quella occasione promisero di
praticare.
Così si conclude il
Sutra Mahayana conosciuto come “la Signora delle Conquiste, il
Cuore della Perfezione della Saggezza”; fu tradotto per la prima
volta dal sanscrito dall’abate indiano Vimalamitra con il maestro
traduttore tibetano, venerabile Rinchen-de. In un secondo momento la
traduzione venne esaminata e resa ufficiale dai maestri traduttori,
dagli editori Gelo e Namka e da altri ancora. In tutto il Tibet se ne
utilizzava un’unica versione e, sebbene i traduttori tibetani
fossero esperti nella lingua sanscrita, avevano l’obbligo
deontologico di confrontare sempre il loro lavoro con i maestri
indiani, in questo modo si voleva garantire la maggior fedeltà
possibile al testo originale.
Ho cercato di fare del
mio meglio per commentare il Sutra del Cuore, pur dovendo
semplificare e sintetizzare il più possibile, è stata
un’esposizione brevissima, utile però per poter comprendere la
propria attitudine mentale e valutare qual’è il sentiero più
consono. Esistono vari commentari a questo testo e sarebbe opportuno
leggerli. Nel Sutra del Cuore è contenuto l’intero insegnamento
del Buddhadharma. E’ breve, conciso, ma estremamente chiaro e
profondo.
Domanda:
il Buddha ci ha offerto una possibilità per giungere alla
cessazione della sofferenza, però pare che non ci sia una
spiegazione su come sia sorta la sofferenza, quali cause e condizioni
sono intervenute, visto che nel Sutra del Cuore si dice che i
fenomeni non sono nati, vorrei avere maggior chiarezza su questo
punto. Perché mi trovo in questa situazione di sofferenza se cause e
condizioni non sono nate?
Lama:
“Intrinsecamente non-nato” significa che è nato in dipendenza da
cause e condizioni che determineranno inevitabilmente degli effetti,
dei risultati, dando così inizio ad un ciclo che si ripete
all’infinito. Queste stesse cause e condizioni, che pur esistono e
funzionano, non sono intrinseche, non sono indipendenti. Il loro
contesto è la Vacuità e quindi tutto ciò che chiamiamo sofferenza,
difficoltà, problema è avvertito e vissuto come tale ma
intrinsecamente non lo è. Sebbene sofferenza, difficoltà e problemi
appaiano reali, nello spirito della Vacuità non lo sono.
Si presentano come veri
problemi perché li osserviamo con la falsa visione di un sé
intrinsecamente esistente, di una sofferenza intrinsecamente
esistente, di una liberazione intrinsecamente esistente, e, poiché
abbiamo radicata l’idea dell’intrinsecamente esistente, basata
sul sé, il fenomeno appare come problema. Se lo stesso fosse
osservato nella Vacuità sarebbe vissuto così com’è nella realtà,
vacuo, vuoto di natura intrinseca.
Domanda:
Questo sutra sintetizza il percorso del lignaggio dei Bodhisattva,
esiste qualcosa di analogo per gli altri lignaggi?
Lama:
Il sentiero è esattamente lo stesso, fino all’ottavo bhumi
corrispondente alla liberazione di un Arhat; la differenza consiste
nell’obiettivo primario da sviluppare, nel sentiero del Bodhisattva
troveremo la compassione, la Bodhicitta, in quello degli Sravaka e
dei Pratyekabuddha la rinuncia. Il sentiero è unico, infatti le
trentasette pratiche sono uguali.
Il Bodhisattva studia,
attua e tramanda tutti i sentieri. Il Bodhisattva pratica tutti i
sentieri dello Sravaka e del Pratyekabuddha. Tutti i sentieri sono
inclusi nel Sutra del Cuore che enfatizza l’aspetto della saggezza.
La saggezza è la stessa, la natura di Buddha è la stessa, ciò che
cambia è il metodo.
Domanda:
I siddhi, cioè i poteri della mente, si manifestano in connessione
con la realizzazione dei bhumi o ne sono indipendenti, e quando si
manifestano?
Lama:
Ci sono siddhi intesi come realizzazioni spirituali, quindi
materializzazione delle stesse, sono di due tipi: uno si riferisce ai
siddhi comuni ed è relativo alla realizzazione, tramite la pratica
spirituale, delle necessità materiali, il secondo invece riguarda i
siddhi non comuni, straordinari, considerati in genere i veri siddhi,
essi perseguono unicamente la realizzazione del sentiero spirituale.
Domanda:
I fenomeni come la trasmissione del pensiero a distanza, l’ubiquità,
rientrano nei siddhi straordinari o no?
Lama:
Sono illusioni in ogni caso, qualsiasi tipo di fenomeno non varca il
limite della legge naturale dell’interdipendenza. Nemmeno Buddha
può superare questo limite. Il maestro Chandrakirti, che ha scritto
il testo del “Madhyamakavatara”, “La via di mezzo”, descrive
con grande precisione e dettagliatamente i dieci bhumi e le dieci
perfezioni e afferma che un individuo accumula il proprio karma e
questo può essere ovviamente vissuto solo da lui, come potrebbe
essere goduto da altri? Bisogna essere molto cauti e non cadere in
facili illusioni fuorvianti. Se fosse così facile trasmettere il
pensiero allora il Buddha avrebbe trasmesso l’illuminazione a tutti
e subito, invece ognuno può procedere secondo il proprio bagaglio
personale, non ci sono scorciatoie, lo deve affrontare e risolvere,
nessun altro può farlo al posto suo.
Domanda:
Però il Sutra del Cuore è stato trasmesso all’assemblea
mentalmente, non verbalmente.
Lama:
Più che trasmesso è stato ispirato ad un’assemblea di grandi
meditatori, vi era una forte intenzionalità, fattore che ha il
potere di muovere, sollecitare, spingere ad agire.
Domanda:
Non ricordo dove, ma mi pare di aver sentito spiegare la Vacuità con
la metafora del sogno, paragonando la vita ad un sogno in cui non vi
è nulla di concreto. Noi possiamo riconoscere il sogno e definirlo
quando ritorniamo ad uno stato di veglia. Quindi, usando questa
metafora, è tutto veramente Vacuità, o c’è un punto in cui la
Vacuità non è più tale, come il sogno non lo è nella veglia? La
natura di Buddha è Vacuità?
Lama:
La natura di Buddha è la Vacuità più importante. La Vacuità è
Vacuità.
Domanda:
Ma allora che senso ha tutto? Se io sono completamente all’interno
di fenomeni vuoti, della Vacuità, quando mi cade un mattone in
testa, il mattone, la mia testa, la mia sofferenza saranno vacui,
tuttavia io soffro e che sia tutto vacuo o no non me ne importa
nulla. Sarebbe diverso e cambierebbe qualcosa nel momento in cui vi
fosse altro al di fuori della Vacuità a cui poter far riferimento,
ma se sono sempre in essa cosa cambia per me?
Lama:
Chandrakirti, nel “Madhyamakavatara” dice che vi sono due realtà,
la convenzionale e l’ultima. La realtà convenzionale, che è il
senso comune, è il mezzo attraverso il quale è possibile realizzare
la realtà ultima, la Vacuità.
Chandrakirti conferma
la visione di Nagarjuna che, portando rispetto e lodando il senso
comune, raccomanda al meditatore di non perderlo mai di vista.
Nagarjuna sottolinea inoltre che il praticante che perde il senso
comune perde anche la possibilità di raggiungere il Nirvana. Le due
realtà, le due verità, hanno un unico significato. Più
convincimento c’è nella Vacuità, più rispetto ci sarà per il
senso comune. Il senso comune, la realtà convenzionale, rispecchia
la realtà dell’interdipendenza. In Italia si guida a destra, in
Inghilterra a sinistra, questo risponde al senso comune, non vi è
bene o male, giusto o sbagliato nell’una o nell’altra modalità
di circolazione, entrambe sono corrette nell’ambito della cultura e
delle convenzioni locali, entrambe sono intrinsecamente vuote, perciò
nessuna è intrinsecamente giusta o sbagliata. In Italia è sbagliato
guidare a sinistra, ma non è intrinsecamente sbagliato in sé,
perché lo stesso atto è giusto in Inghilterra. Il senso comune, la
realtà convenzionale, ha un’esistenza relativa, basata sulle
convenzioni di cause e condizioni, dimostra che non ha esistenza
inerente confermando la sua natura di Vacuità. La realtà
convenzionale è il metodo per raggiungere la realtà ultima.
Domanda:
Vedere il senso comune come relativo può essere di grande aiuto
perché a volte basta spostare il punto di vista, non solidificando
situazioni di sofferenza, per intuire che vi sono altre possibilità
per risolvere al meglio i problemi.
Lama: E’
vero, avendo presente la visione della Vacuità si è più flessibili
nell’osservazione della realtà convenzionale. L’accoglienza
ampia delle convenzioni porta alla comprensione maggiore della realtà
ultima, entrambe interagiscono aiutandosi vicendevolmente. Il
percorso consiste nel realizzare la realtà ultima senza contraddire
la realtà convenzionale.
Grazie, abbiamo
trascorso un tempo eccellente insieme.
L’ insegnamento si
conclude con la recita della preghiera di dedica dei meriti.
Note:
Note:
1
Fine supremo:
Lo stato di completa illuminazione, lo stato di Buddha.
2
Emozione negativa: (in
tibetano nyon mong) contaminazioni
mentali quali rabbia, attaccamento, ignoranza, ecc.
3
Azioni negative: (in
tibetano dig pa)
disposizione mentale causata da
un’azione negativa commessa.
4
Sofferenze:
(in pali dukkha)
la Verità della Sofferenza, che ha tre livelli: sofferenza del
dolore, sofferenza del cambiamento, sofferenza del samsara.
5
Amico spirituale:
(in tibetano ge wei she nyen, Geshe)
colui che aiuta a compiere azioni
virtuose.
6
Madri: >
tutti gli esseri senzienti sono state nostre madri; > la persona
più cara o quella più giovevole.
7
Otto preoccupazioni mondane: Le
idee generate dal guardare attraverso gli occhi dell’attaccamento
e dell’avversione, sono: piacere e dispiacere, vittoria e perdita,
lode e biasimo, gloria e disgrazia.
8
Samsara:
(termine sanscrito, in tibetano khor wa) attaccamento bramoso alle
cose mondane, che fa restare nel circolo vizioso della sofferenza e
dell’insoddisfazione.
9
Lo jong:
(termine tibetano)
“Lo”
significa “mente”, “pensiero”,
“coscienza”, ma in questo contesto si riferisce piuttosto
all’intenzione
“Jong”
significa “trasformare”,
esercitare, “praticare”. Insieme vengono tradotti come
“trasformazione della mente”, come nel titolo del testo;
“Lo
jong” forma breve di “jang
chub kyi sem la lo jong wa”,
significa trasformare la mente ordinaria in Bodhicitta, ossia
tecnica per la pratica del Bodhicitta. (Il termine sanscrito
“Bodhicitta” designa
qui una pura aspirazione a raggiungere lo stato di Buddha con l,o
scopo di condurre tutti gli esseri senzienti all’illuminazione
completa).
10
Bhagavati: (termine sanscrito, in
tibetano: gyal wai yum) Madre
Buddha, si riferisce alla “Saggezza della Perfezione”, che è la
madre in quanto causa fondamentale dell’illuminazione.
11
Bhagavati Prajna Paramita Hridaya:
(sanscrito) il cuore della Bhagavathi, la perfezione della saggezza.
12
Bhagavan:
(termine sanscrito, in tibetano: chom
dhen de) titolo generalmente
attribuito a un essere illuminato; letteralmente significa “colui
che ha completamente illuminato gli ostacoli e possiede tutte le
qualità”; sinonimo di “Tathagata”
(sanscrito) e di “de war sheg pa”
(tibetano) nel senso di “colui che
ha raggiunto lo stato di piena calma e piena illuminazione”. In
questo brano ci si riferisce al Buddha Shakyamuni.
13
Rajagrha: (termine
sanscrito, in tibetano: gyal poe khab)
luogo nel quale si erge un palazzo reale.
14
Picco dell’Avvoltoio: montagna
con la cima a forma di avvoltoio; luogo in cui venne impartito il
sutra secondo la tradizione. Viene identificato popolarmente in una
collina vicino a Rajagrha, nello stato indiano del Bihar.
15
Arhat:
(termine sanscrito, in tibetano: dra
chom pa) colui che ha raggiunto il
Nirvana. Detto anche Sravaka o
Pratyekabuddha. Nel
testo originale tibetano il termine è Bikshu,
ma si intende Arhat.
16
Bodhisattva: (termine sanscrito, in
tibetano: Jang chub sem pa). Essere
che possiede il Bodhicitta.
17
Assorbimento meditativo:
(in sanscrito: samadhi,
in tibetano: ting nge zin)
una forma di meditazione.
18
Varietà dei fenomeni:
(in tibetano: choe kyi nam drang)
i 5 aggregati (forme, percezioni, formazioni mentali e della
coscienza); le 12 fonti dei sensi (le sei sorgenti dei sensi e le
sei facoltà); i 18 elementi ( le sei sorgenti dei sensi, le sei
facoltà e le sei coscienze); i 12 anelli della catena dell’origine
interdipendente (Ignoranza, Azione volontaria, Coscienza, Nome e
Forma, Sorgenti dei sensi, Contatto, Sensazioni, Attaccamento,
Brama, Concepimento, Nascita, Invecchiamento e Morte); le 4 Nobili
Verità (la Verità della sofferenza, la Verità delle cause della
sofferenza, la Verità della cessazione e la Verità del sentiero);
i 5 sentieri (Accumulazione, Preparazione, Visione, Meditazione e
Non-più-apprendere); le 4 fiducie; i 10 poteri di Buddha; ecc…
19
Percezione Profonda:
(in tibetano: zab mo nhang wa)
vedere la vera e profonda realtà ultima dei fenomeni.
20
Arya: (termine
sanscrito, in tibetano: Phag pei Gang
zag) un
Essere superiore che ha raggiunto la saggezza della diretta
realizzazione della vacuità o che ha seguito il sentiero in uno dei
veicoli.
21
Avalokitesvara:
(termine sanscrito, in tibetano: Chen
re zig) conosciuto come il “Buddha
della compassione”.
22
Bodhisattva mahasattva:
(termine sanscrito, in tibetano: jang
chub sem pa sem pa chen po) Bodhisattva
di ordine superiore o che ha conseguito il sentiero dei Bodhisattva
o il sentiero mahayana della visione.
23
La pratica della profonda perfezione
della saggezza: (in tibetano: she
rab kyi pha rol du chin pai zab moi chod pa).
24
I cinque aggregati:
(in sanscrito: skandha, in
tibetano: phung po ngha)
Forme, Sensazioni, Percezioni, Formazioni mentali, e della
Coscienza.
25
Vuoti di esistenza intrinseca: (in
tibetano: ran shin gyi tong pa).
26
Venerabile Bikshu: (in
tibetano: thse dan dhen pa)
titolo attribuito a un bikshu con mente sveglia e intelligente
27
Shariputra: figlio
di Sharit, conosciuto come bikshu dalla mente acuta fra i discepoli
di Buddha Shakyamuni.
28
Arya Avalokitesvara Bodhisattva
mahasattva: (temine sanscrito, in
tibetano: jang chub sem pa sem pa chen
po phags pa chen re zig) si riferisce
a un singolo individuo conosciuto come Bodhisattva mahasattva
Avalokitesvara, diverso dal “Buddha della compassione”
Avalokitesvara. Qui infatti viene identificato come un Bodhisattva
sotto le sembianze di un bikshu, Bodhisattva, mahasattva e arya.
29
Figlio o figlia del lignaggio dei
Bodhisattva: (in tibetano: rigs
kyi bu vam rigs kyi bumo).
30
Nirvana: (termine
sanscrito, in tibetano: Nyang De)
essere andato oltre la sofferenza.
31
Mantra: (termine
sanscrito, in tibetano: yid kyob)
che protegge la mente.
32
Thatagata: (termine
sanscrito) sinonimo di Bhagavan.
33
Asura: (termine
sanscrito, in tibetano: lha ma yin)
semi-dei che appartengono posto tra
quello degli umani e degli dei.
34
Gandharva: (termine
sanscrito, in tibetano: di zha)
esseri senza forma, che vivono nutrendosi
di odori.
35
Antica abbazia costruita sulla cima del un monte Pirchiriano
all’imbocco della Val di Susa a circa 20 Km da Torino, secondo la
leggenda per volontà dall’arcangelo San Michele.