LA VITA DEL BODHISATTVA
Bodhisattvacaryāvatāra di Sāntideva
Geshe Gedun Tharchin
INSEGNAMENTI ANNO 2006 Roma
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INSEGNAMENTI ANNO 2006 Roma
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INDICE
Roma
- 2006
Bodhicaryāvatāra
di Sāntideva
Testi annessi
all’insegnamento:
Bodhicaryāvatāra
di Sāntideva - capitolo secondo
Bodhicaryāvatāra
di Sāntideva - capitolo terzo
Gli
Otto Versi di Trasformazione della Mente
I
tre Aspetti Principali del Sentiero
Versi
dell’Esperienza
Preghiera
di Māhamudhrā
Il
Cuore della Perfezione della Saggezza
Atīsa
- La Lampada sul Sentiero dell’Illuminazione
Dedica
- Preghiera di Geshe Gedun Tharchin
Parte Prima:
*gennaio - luglio 2006*
Il
Dharma è semplicità, altruismo, consapevolezza e saggezza
Ritorno dall’India
Meditazione sui cinque
aggregati
Meditazione nella Presenza
mentale e Accumulazione dei meriti
Bodhicaryāvatāra
- capitolo primo - Bodhicitta
Gentilezza amorevole,
grande Compassione, Bodhicitta
Meditazione sulla
Purificazione della Mente
I tre livelli del Lam Rim
I tre Universi Esteriore,
Interiore, Alternativo - Il Senso della Vita
La Mente di generazione e
i due livelli di Bodhicitta
Il Significato tangibile
della Pratica del Dharma
Il Mulino delle Preghiere
Parte Seconda:
*settembre - dicembre 2006*
Conoscenza di sé nel
Dharma
Lam Rim sull’importanza
del Guru
Dal capitolo primo - I
benefici della Bodhicitta
Dal capitolo secondo -
Bodhicitta o Cuore di Bontà suprema
Dal capitolo secondo - Il
prezioso significato dell’Offerta
Dal capitolo secondo -
Analisi dei problemi quotidiani con il cuore di bodhicitta
Ognissanti e il dialogo
interreligioso
Il Respiro consapevole
negli Otto Versi di Trasformazione della Mente
La Realtà Ultima nel
Cuore della Perfezione della Saggezza
Significato della pratica
in Sette Rami
****
Elogio della
Mente del Risveglio
- In adorazione io rendo omaggio ai Sugata e ai loro figli, e ai loro corpi di Dharma, e a tutti coloro degni di lode. In breve, in accordo con le scritture, esporrò l’intraprendere la pratica dei figli dei Sugata
- Nulla di nuovo qui si dirà, né per la composizione ho particolari abilità. Non immagino quindi di riuscire utile agli altri. Ho composto questo per profumare la mia mente.
- Nel farlo, cresce l’impeto della mia ispirazione a coltivare ciò che è salutare. Se poi anche un altro, con le mie stesse inclinazioni, dovesse vederlo, potrebbe ricavarne beneficio anch’egli.
- Tale momento propizio è estremamente difficile da incontrare. Una volta incontrato, produce il benessere dell’umanità. Se il vantaggio viene ora trascurato, quando mai avverrà di nuovo questo incontro?
- Come di notte, nell’oscurità fitta di nuvole, un lampo dà luce un momento, così una volta o l’altra, per il potere del Buddha, ad atti di merito la mente del mondo potrebbe volgersi un momento.
- Stando così le cose, il potere del bene è debole, sempre, mentre il potere del male è enorme e terribile. Quale altro bene potrebbe soggiogarlo, se non la perfetta mente del risveglio?
- Questo è appunto il beneficio, visto dai Signori dei Saggi in meditazione da molti eoni, per mezzo di cui una felicità sgorgante dal profondo inebria immense folle di esseri di felicità soltanto.
- Coloro che vogliono trascendere le centinaia di sofferenze dell’esistenza, coloro che vogliono sollevare le creature dalle loro pene, coloro che vogliono godere di molte centinaia di gioie, mai devono abbandonare la mente del risveglio.
- Quando la mente del risveglio è sorta in lui, l’infelice, prigioniero nella prigione dell’esistenza, è subito acclamato figlio dei Sugata, degno di venerazione nei mondi degli dèi e degli uomini.
- Prendendo questa vile immagine, la tramuta nell’immagine inestimabile della gemma che è Buddha. Tieni stretto l’elisir di argento vivo, che dev’essere completamente raffinato, detto la mente del risveglio.
- Tu che sei abituato a viaggiare all’estero tra le città di mercato dei regni della rinascita, tieni stretta questa gemma che è la mente del risveglio. E’ preziosa, messa alla prova da coloro che hanno un’immensa conoscenza, gli eccezionali capocarovana del mondo
- Come il banano, ogni altra cosa buona di certo lascia cadere i suoi frutti e poi inaridisce. Invece continua a produrre, non inaridisce, ma costantemente fruttifica l’albero che è la mente del risveglio.
- Sotto la sua protezione, come sotto la protezione di un eroe, si sfugge immediatamente a grandi pericoli, anche avendo commesso delitti estremamente crudeli. Allora perché gli esseri ignoranti non cercano rifugio in essa?
- Come l’olocausto alla fine di un’era del mondo, essa consuma completamente grandi delitti in un istante. Il savio Signore Maitreya ne illustrò le immense lodi a Sudhana.
- Tale mente del risveglio si dovrebbe intendere come di due tipi; in sintesi: la mente risolta al risveglio e la mente che procede verso il risveglio.
- Dai savi deve essere conosciuta la distinzione fra queste due così come si riconosce la distinzione fra chi desidera andare e chi sta andando, secondo tale ordine.
- Dalla mente risolta al risveglio anche in un’esistenza ciclica proviene un grande frutto, ma niente di simile al merito ininterrotto che proviene da tale risoluzione, quando messo in atto.
- Dal momento in cui assume quella mente per liberare l’illimitato regno degli esseri, con una decisione che non può essere revocata.
- Da quel momento in poi, benché possa assopirsi o distrarsi molte volte, ininterrotti flussi di merito si riversano continuamente simili al cielo in fiamme.
- E’ ciò che il Tathāgata stesso ha spiegato con prove nelle Domande di Subāhu, a vantaggio degli esseri disposti verso il cammino inferiore.
- Un merito incommensurabile si impossessò della persona ben intenzionata che pensò: “Farò scomparire il mal di testa degli esseri”.
- Che dire dunque di colui che desidera rimuovere l’agonia senza pari di ciascun essere, di colui che desidera rendere infinita la virtù di ciascun essere?
- Quale madre o padre mai avrebbe un simile desiderio per il loro benessere, quali divinità o saggi o Brahmā l’avrebbero mai?
- Quegli esseri non concepirono prima un desiderio così, neppure per se stessi, neppure in sogno. Come potrebbero concepirlo per l’altrui vantaggio?
- Un tale essere, senza precedenti, un gioiello eccellente, in cui è sorto interesse per il benessere degli altri come gli altri esseri non hanno neppure per sé, come è nato costui?
- Di quel gioiello, la mente, di quel seme di pura felicità nel mondo e rimedio per la sofferenza del mondo, come si potrà mai misurare il merito?
- La venerazione del Buddha è unicamente superata dal desiderio per il benessere degli altri; quanto più lo sarà dall’impegno continuo per la completa felicità di ogni essere?
- Nella speranza di sfuggire alla sofferenza, si precipitano verso la sofferenza. Nel desiderio di felicità, a causa dell’illusione, distruggono la loro felicità, come fosse un nemico.
- Essa reca la soddisfazione di ogni felicità a coloro che sono affamati di felicità, e recide ogni oppressione in coloro che sono oppressi in molti modi.
- Disperde poi anche l’illusione. Come potrebbe esserci un uomo santo uguale a essa, come un simile amico, come un simile merito?
- Anche chi restituisce un favore viene elogiato. Che si può dire allora del Bodhisattva, che fa il bene senza essere in debito?
- La gente onora come benefattore chi fa l’elemosina a qualche persona, perché donando solo cibo per un momento, sprezzantemente per mezza giornata ne sostenta la vita.
- Che dire allora di chi offre la realizzazione di ogni desiderio a un numero di esseri illimitato, per un tempo illimitato, finché il cielo e gli esseri non hanno fine?
- Il Protettore ha detto che chi nutre nel suo cuore un torbido pensiero contro tale signore dei doni, figlio del Vittorioso, dimorerà negli inferi per eoni tanto numerosi quanto i momenti di quel torbido pensiero.
- Ma più valore ha il frutto che scaturisce per colui la cui mente diviene serenamente fiduciosa. Infatti grande forza è richiesta da un’azione malvagia contro i figli del Vittorioso, mentre un’azione pura viene spontanea.
- Mi inchino ai corpi di coloro nei quali è sorto quel gioiello eccellente, la mente, persino un torto verso di loro condurrà alla felicità. In queste miniere di felicità, io prendo rifugio.
Bodhicaryāvatāra
di Sāntideva - capitolo secondo
Confessione
delle Colpe
- Per poter afferrare completamente quel gioiello, la mente venero qui i Tathagata, e il gioiello senza macchia, il vero Dharma e i figli dei Buddha, oceani di virtù.
- Quanti sono i fiori e i frutti e le erbe medicinali, quanti i gioielli nel mondo, e le chiare acque rinfrescanti;
- Insieme a montagne fatte di gioielli e altri luoghi piacevoli in solitudine, boschetti rampicanti splendenti di bei fiori loro ornamenti, e alberi, dai rami chini sotto il peso dei frutti turgidi;
- E, dai mondi di dèi ed esseri celesti, fragranze e incensi, alberi magici che soddisfano ogni desiderio e alberi carichi di gemme, laghi ornati di loti, dove i richiami delle oche incantano il cuore;
- Piante che crescono selvatiche e piante che sono coltivate, e ogni altra cosa che possa ornare chi è degno di onori, e tutte quelle cose non possedute entro i confini della vastità dello spazio;
- Ecco, nella mente prendo possesso di tutto questo e lo offro ai Tori fra i Saggi e ai loro figli. Con grande compassione solleciti verso di me, possano costoro, i più degni di doni, i miei accettare.
- Sono senza meriti, sono estremamente povero. Non ho altro da offrire in adorazione. Perciò, per il loro potere, possano i Signori, rivolti al benessere degli altri accettare questo per il mio benessere.
- Tutto me stesso dono completamente ai Vittoriosi e ai loro figli. Prendete possesso di me, esseri sublimi; per devozione sono suddito vostro.
- Prendete possesso di me e io non avrò più paura, agirò per il bene degli esseri. Mi lascerò completamente alle spalle le colpe anteriori; mai più compirò altro male.
- In quei bagni profumati, dove baldacchini rilucenti di perle, su colonne bellissime, splendenti di gemme , si innalzano da pavimenti di mosaico di trasparente brillante cristallo.
- Da tanti vasi incrostati di gemme grandissime, pieni d’acqua e fiori squisitamente fragranti, ecco, io bagno i Tathagata e i loro figli, al suono di canti e musiche.
- Asciugo i loro corpi con tessuti incomparabili, profumati, purificati da ogni impurità; poi dono loro le vesti più belle, tinte riccamente e fragranti.
- Di tutte le vesti celesti, morbide, fini splendenti di molti colori, e di ornamenti squisiti, io adorno Samantabhadra, Ajita, Manjughosa Lokesvara, e altri Bodhisattva.
- Con i profumi più preziosi, la cui fragranza pervade l’intero universo dei tremila mondi, io ungo i corpi di tutti i Signori dei Saggi, che brillano della lucentezza dell’oro ben fuso, depurato e lucidato.
- Rendo gloria ai più gloriosi Signori dei Saggi con tutti i fiori dolcemente profumati, piacevoli per la mente: fiori celestiali, gelsomino loto blu, e altri , e con ghirlande intrecciate in modo incantevole.
- Li avvolgo in nuvole dense di incenso, ricche, penetranti e aromatiche. Un’offerta di cibi, morbidi e duri, e bevande molteplici offro loro.
- E offro preziose lampade allineate su loti d’oro, e su pavimenti di mosaico aspersi di profumo cospargo moltissimi bei fiori.
- A costoro , fatti di benevolenza, offro anche quelle lucenti nuvole che sono i palazzi celesti, ornati alle entrate nelle quattro direzioni, splendenti per le file sospese di perle e pietre preziose, incantevoli per i canti e i poemi di lode.
- Per i Grandi Saggi, ecco, dispongo splendidi parasoli ornati di gemme,incrostati di perle, levati su aste d’oro dalle forme gradevoli.
- D’ora in poi, possano levarsi dense nuvole di venerazione, e nuvole di musica strumentale che emozionano ogni essere.
- Possano cadere piogge di fiori e gioielli e altre offerte, senza fine, sui caitya, sulle immagini e su tutti i gioielli che formano il vero Dharma .
- Proprio come Manjughosa e altri seguendolo anno adorato i Vittoriosi, così anch’io adoro i Tathagata, i Protettori, e i loro figli.
- Lodo gli Oceani di Virtù con inni che sono un mare di note e armonie. Che sorgano nuvole di canti di lode senza distinzione tra loro.
- Con inchini numerosi quanto gli atomi nei campi di Buddha, mi prosterno davanti ai Buddha dei tre tempi, davanti al Dharma , davanti all’altissima assemblea.
- Venero tutti i caitya e i luoghi legati al Bodhisattva . Mi inchino ai miei maestri e agli aspiranti spirituali che sono degni di lode.
- Fino alla sede del risveglio, prendo rifugio nel Buddha; prendo rifugio nel Dharma e nell’assemblea dei Bodhisattva.
- Ai Buddha perfetti schierati in tutte le direzioni, e anche ai Bodhisattva di grande compassione , giungendo le mani in segno di rispetto, dichiaro:
- Nel corso del ciclo senza principio dell’esistenza e ancora in questa stessa nascita, il male che io, un bruto, ho commesso o fatto commettere,
- O di qualsiasi cosa io, illuso, abbia goduto a mio detrimento, quella colpa confesso, tormentato dal rimorso.
- Il danno che ho recato, con l’arroganza, ai tre gioielli, o alle mie madri, ai miei padri, ad altri degni di rispetto, con il corpo, la parola e la mente;
- Il male crudele che per malvagità ho commesso, corrotto da molte colpe; o Signori, tutto questo io confesso.
- Come posso sfuggirgli? Sono continuamente spaventato, o Signori. Che la morte non venga a me troppo presto, prima che la mole del male sarà distrutta!
- Come posso sfuggirgli? Salvatemi in fretta, perché la morte verrà presto, prima che il mio male sarà distrutto!
- Questa morte non bada a ciò che è fatto o non fatto; uccide la sicurezza; è inaffidabile per i malati e i sani ; è un fulmine sconvolgente e inaspettato.
- Il male ho compiuto in molti modi spinto da amici e nemici. Non capivo questo: dovrò abbandonare tutto e andarmene.
- Quelli che detesto moriranno, quelli che amo moriranno; anch’io morirò e tutti moriranno.
- Ogni cosa percepita trascolora in ricordo. Ogni cosa è come un’immagine in sogno. Se ne è andata e non si vedrà più.
- Anche in questa vita, davanti ai miei occhi, sono scomparse molte persone amate e odiate: Ma il male a cui mi hanno indotto rimane, spettrale, davanti a me.
- Proprio come loro sono uno spettro fugace. Questo non riuscivo a capire. Per illusione, attaccamento e avversione molte volte ho commesso il male.
- Notte e giorno, senza tregua, altra vita se ne va. Non diventa mai più lunga. Sono forse certa di non morire?
- Seppure qui disteso nel mio letto, seppure in mezzo alla famiglia, è da solo che devo sopportare l’agonia degli spasmi della morte.
- Per colui afferrato dai messaggeri della Morte, a che serve un parente, un amico? Allora, il merito solo è una difesa, e io non l’ho acquisito.
- Attaccandomi a questa vita transitoria, non riconoscendo questo pericolo, io sconsiderato, o Signori, ho acquisito molto male.
- Anche chi oggi è portato via perché gli sia amputato un arto è paralizzato, ha la gola riarsa, lo sguardo fisso e miserabile. Vede il mondo in un modo del tutto diverso.
- Ma questo è niente rispetto al febbrile orrore che afferra me, coperto dai miei stessi escrementi che non so più controllare, quando i terrifici messaggeri della Morte mi sono addosso.
- Con sguardo tremante, cerco scampo nelle quattro direzioni. Quale santo mi libererà da questa grande paura?
- Vuote di liberazione ho trovato le direzioni, in una confusione totale di nuovo sono precipitato. Cosa farò io dunque in quello stato di grande paura?
- Prendo proprio ora rifugio nei potenti Protettori del mondo, che sono incaricati di custodire il mondo, i Vittoriosi che eliminano ogni paura.
- Inoltre prendo sinceramente rifugio nel Dharma da essi realizzato, che distrugge il pericolo dell’esistenza ciclica, e nell’assemblea dei Bodhisattva.
- Tremante di paura mi affido a Samantabhadra e a Manjughosa, ancora, mi affido liberamente.
- Terrorizzato, in preda all’angoscia, imploro il Protettore Avalokita, il cui comportamento ribocca di compassione. Ho fatto il male. Possa egli proteggermi.
- Cercando la liberazione con tutto il mio cuore, imploro anche il nobile Akasagarbha e Ksitigarbha, e tutti quelli dotati di grande compassione.
- Mi inchino al Detentore del vajra. Vedendolo, subito i ministri della Morte e tutte le creature maligne fuggono, tremanti, nelle quattro direzioni.
- Ho trasgredito il vostro ordine. Ora, alla vista del pericolo, spaventato, cerco rifugio in voi. Distruggete il pericolo, presto!
- Anche colui che teme una malattia passeggera non ignorerebbe il consiglio del medico; tanto più colui che è in preda alle quattrocentoquattro malattie,
- Di cui una sola può annientare tutta la popolazione del Jambudvipa; per cui non si trova rimedio in regione alcuna.
- Eppure in questo io ignoro il consiglio dell’onnisciente dottore che rimuove ogni spina.. Oh, non c’è limite alla mia stupidità!
- Sto con prudenza eccessiva anche su un dirupo comune. Quanto più su un precipizio di mille legne attraverso grandi spazi di tempo?
- La morte potrebbe non venire proprio in questo giorno, ma la mia tranquillità è mal fondata. Inevitabilmente, si avvicina il tempo in cui morirò.
- Chi mi ha concesso l’impunità? Come sfuggirò? Certamente morirò. Come può la mia mente essere tranquilla?
- Quale essenza è rimasta delle cose ora perite di cui un tempo ho goduto, mentre la mia infatuazione per esse mi faceva ignorare il consiglio dei miei maestri?
- Abbandonando questo mondo dei vivi, insieme ai parenti e agli amici intimi, ovunque andrò ci andrò da solo. Cosa sono per me tutti quelli che amo o che detesto?
- Anzi questo dovrebbe essere il mio pensiero di notte e di giorno: il dolore è l’inevitabile risultato del male. Come posso allora sfuggirne?
- Qualsiasi male io, sciocco illuso, abbia accumulato, quel che è sbagliato per natura e quel che è sbagliato per convenzione,
- Ecco, lo confesso tutto ora che sono davanti ai Protettori, le palme unite in segno di rispetto, spaventato dalla sofferenza, prosternandomi più e più volte.
- Che i Conduttori accettino la mia trasgressione per quello che è. Non è cosa buona, o Protettori. Non dovrò commetterla mai più.
Santideva -
BODHICARYAVATARA - Capitolo
3° -
ADOZIONE
DELLA MENTE DEL RISVEGLIO
- Mi rallegro con gioia del bene fatto da tutti gli esseri, che indebolisce la sofferenza dell’inferno. Possano, coloro che soffrono, dimorare nella felicità.
- Mi rallegro della liberazione degli esseri incarnati dalla sofferenza dell’esistenza ciclica. Mi rallegro della natura di Bodhisattva e di Buddha propria dei Salvatori.
- Mi rallegro anche delle risoluzioni dei maestri, che sono oceani recanti felicità a ogni essere, che conferiscono benessere a tutte le creature.
- Giungendo le mani in segno di rispetto, supplico i Buddha perfetti in ogni direzione: “Accendete la luce del Dharma per coloro che soffrono nell’oscurità dell’illusione”.
- Giungendo le mani in segno di rispetto, imploro i Vittoriosi che desiderano abbandonare l’esistenza ciclica: “Rimanete per infiniti eoni. Non lasciate che questo mondo diventi cieco”.
- Con il bene acquisito compiendo tutto ciò come descritto, possa io lenire tutta la sofferenza di ogni essere vivente.
- Sono medicina per il malato. Possa io essere medico e infermiere, finché la malattia non ritorni più.
- Possa io allontanare la pena della fame e della sete con piogge di cibo e bevande. Possa io diventare bevanda e cibo negli eoni intermedi di carestia.
- Possa io essere un tesoro inesauribile per gli esseri impoveriti. Possa io servirli con molteplici offerte.
- Ecco, abbandono senza rimpianto i miei corpi, i miei piaceri e i miei beni acquisiti in tutti i tre tempi, per realizzare il bene per ogni essere.
- L’abbandono di tutto è illuminazione e l’illuminazione è la meta del mio cuore. Se devo lasciare ogni cosa, meglio che sia data agli esseri senzienti.
- Cedo questo corpo a tutti gli esseri incarnati perché ne facciano ciò che vogliono. Che lo battano, lo insultino in continuazione e lo imbrattino di sudiciume.
- Che giochino con il mio corpo, che lo deridano e si divertano. Ho dato loro questo corpo. Perché dovrei preoccuparmi?
- Che facciano di me qualsiasi cosa dia loro piacere. Che non si nuoccia mai ad alcuno per causa mia.
- Dovesse la loro mente divenire irata o scontenta per causa mia, che anche questo sia causa per loro del conseguire sempre ogni meta.
- Coloro che mi accuseranno falsamente, e gli altri che mi faranno del male, e gli altri ancora che mi degraderanno, tutti coloro possano condividere il risveglio.
- Sono il protettore dei non protetti e il capocarovana dei viaggiatori. Sono diventato la barca, la strada e il ponte per coloro che desiderano raggiungere l’altra riva.
- Possa io essere una luce per coloro che hanno bisogno di luce. Possa io essere un letto per coloro che hanno bisogno di riposo. Possa io essere un servo per coloro che hanno bisogno di servigi, per tutti gli esseri incarnati.
- Possa io essere il gioiello che soddisfa i desideri, il vaso dell’abbondanza, la formula magica che sempre funziona, la potente erba medicinale, l’albero magico che conferisce ogni desiderio e la vacca da latte che soddisfa ogni bisogno, per gli esseri incarnati.
- Proprio come la terra e gli altri elementi sono utili in molti modi agli esseri innumerevoli che dimorano in ogni parte dello spazio,
- Così possano essere di sostentamento in molti modi per il regno degli esseri in ogni parte dello spazio, finché tutti non abbiano ottenuto la liberazione.
- Nello stesso modo in cui i Sugata passati assunsero la mente del risveglio, nello stesso modo in cui essi progredirono nell’addestramento del Bodhisattva,
- Così ecco, io stesso genererò la mente del risveglio per i benessere del mondo, e proprio così mi addestrerò in quei precetti secondo l’ordine dovuto.
- Il saggio che ha così assunto la mente del risveglio con fiducia serena, dovrebbe continuare a favorire la sua risoluzione nel modo seguente, perché il suo desiderio si realizzi:
- “Oggi la mia nascita è fruttuosa, la mia vita umana è giustificata. Oggi sono nato nella famiglia del Buddha, ora sono figlio del Buddha”.
- “Perché non ci possa essere macchia su questa immacolata famiglia, io devo ora agire come si addice alla mia famiglia”.
- “Come un cieco potrebbe trovare un gioiello in mezzo ai rifiuti, così questa mente del risveglio è apparsa in qualche modo in me”.
- “Questo è l’elisir della vita, nato per porre fine alla morte del mondo. Questo è il tesoro inesauribile, che allevia la povertà nel mondo”.
- “Questa è la medicina suprema, che cura la malattia del mondo, un albero che è riparo per le creature affaticate che brancolano lungo la strada dell’esistenza”.
- “E’ la strada per attraversare le cattive rinascite , aperta a tutti coloro che viaggiano. E’ la luna crescente della mente, che calma le contaminazioni del mondo”.
- “E’ il sole splendente, che dissipa la foschia dell’ignoranza dal mondo. E’ il burro fresco ottenuto dal rimestamento del latte del vero Dharma”.
- “Per la carovana dell’umanità che viaggia sulla strada dell’esistenza, affamata di godere della felicità, questo è un banchetto di felicità offerto come rinfresco a tutti gli esseri che si accostano”.
- “Oggi invito il mondo alla buddhità e intanto alla felicità mondana. Alla presenza di tutti i Salvatori, possano gli dèi, i titani e gli altri tutti gioire”.
Gli Otto Versi della Trasformazione della Mente
Considerando tutti
gli esseri senzienti
superiori
alla gemma che esaudisce i desideri
per
realizzare il fine supremo2
possa
io costantemente prenderli a cuore.
Quando
sarò con gli altri,
riterrò
me stesso come il meno importante,
e
mi prenderò cura di loro fin nel profondo del cuore
come
se ognuno fosse il più elevato degli esseri.
Vigile,
ogni volta che sorge un’emozione negativa3
Che
possa nuocere me o gli altri,
l’affronterò
e l’eliminerò
senza
indugio.
Vedendo
esseri in preda alla malvagità
avrò
sempre cura di tali creature così rare,
come
se avessi trovato un tesoro prezioso.
Quando
altri, per invidia, mi maltratteranno,
mi
insulteranno o faranno cose simili,
accetterò
la sconfitta e offrirò la vittoria.
Quando
qualcuno a cui ho fatto del bene
e
in cui ho riposto grandi speranze
mi
infligge un danno terribile,
(ripetere 3 volte)
In breve, direttamente e indirettamente, offro
possa
io segretamente prendere su di me
tutte
le loro azioni negative e sofferenze.
Possa
la pratica non essere mai contaminata dalle idee causate
e,
consapevole che tutte le cose sono illusorie,
I tre Aspetti
Principali del Sentiero
Testo insegnato
dall’erudito monaco Drakpa
Pal (Tsongkhapa) a
Tsa Kho Vonpo Ngawang Drakpa.
Traduzione inglese e note a cura di
Geshe Gedun Tharchin - La traduzione italiana è stata effettuata
dall’Istituto Lam Rim di Roma.
Porgo omaggio ai
venerabili Lama.10
Spiegherò, come
meglio posso,
il significato
essenziale di tutte le Scritture del Buddha,
la via d’accesso
per il fortunato che anela alla liberazione.12
coloro che
propendono per il sentiero che compiace Buddha ,
Inoltre,
l’attaccamento all’esistenza ciclica imprigiona completamente gli
esseri incarnati.
Quindi, sin
dall’inizio, bisognerebbe cercare di realizzare la rinuncia.
Le circostanze
favorevoli e la fortuna sono difficili da ottenere
e la vita non è
lunga,
familiarizzando con
ciò, si elimina l’attaccamento alle apparenze di questa vita.
Riflettendo
costantemente sul karma e sui suoi inevitabili effetti
Se, avendo meditato
in tal modo, non nasce nessun desiderio
per i piaceri
dell’esistenza ciclica,
e se costantemente,
giorno e notte, sorge un’aspirazione alla liberazione,
allora la rinuncia è
stata generata.
Tuttavia, se questa
rinuncia non viene unita alla generazione
sono completamente
oscurati dalle fitte tenebre dell’ignoranza,
nascono
nell’esistenza senza limiti, e nelle loro nascite
sebbene tu abbia
sviluppato la rinuncia e il Bodhicitta,
Colui che vede come
inevitabile la realtà di causa ed effetto di tutti i fenomeni
distrugge totalmente
ogni percezione errata
ed è entrato nel
sentiero che compiace i Buddha.
Fin quando le due
realizzazioni, quella delle apparenze,
ovvero
l’inevitabilità dell’origine interdipendente34
vengono considerate
separate, non vi è ancora la realizzazione
Quando le due
realizzazioni esistono simultaneamente, senza alternarsi,
e la semplice
percezione dell’inevitabilità dell’origine interdipendente
eliminerà
la concezione di
un’esistenza intrinseca,
Se comprenderai che
la Vacuità appare come causa ed effetto,
Quando avrai
realizzato correttamente
***
I Versi
dell’Esperienza
Lam-Rim
Bsdus-Dön - (Il Significato Essenziale del Sentiero Graduale)
di
Lama
Tsong
Khapa Lobsang Drakpa
Fu
scritto nel monastero di Ganden Nampar Gyelwa’l, sulla montagna
Drog Riwoche, in Tibet, compilato in forma breve perché non possa
mai essere dimenticato, dal monaco buddhista Lobsang Drakpa, un
meditante che ha ascoltato molti insegnamenti. - La traduzione
italiana è stata fatta dall’Istituto Lamrim di Roma dal testo
originale in tibetano, consultando varie traduzioni in inglese.
- Mi prostro davanti a te, Buddha, capo della stirpe dei Sakya. Il tuo corpo illuminato è generato da decine di milioni di virtù positive e perfette realizzazioni47; la tua parola illuminata esaudisce i desideri di innumerevoli esseri; la tua mente illuminata vede tutto l’esistente nella sua vera natura.
- Mi prostro davanti a voi, Maitreya e Manjusri, supremi figli spirituali di questo impareggiabile maestro. Assumendovi la responsabilità di favorire tutte le azioni illuminate del Buddha, voi inviate emanazioni a innumerevoli mondi.
- Mi inchino a Dipamkara Atisha, titolare di un tesoro di insegnamenti50. Vi sono inclusi tutti i punti completi, senza errori, che riguardano i sentieri della visione profonda e dell’azione estesa, trasmessi inalterati dai suoi due grandi precursori.
- Mi prostro rispettosamente davanti ai miei maestri spirituali51. Voi siete gli occhi che ci permettono di comprendere tutte le infinite affermazioni delle scritture, il miglior guado degli esseri fortunati che avanzano verso la liberazione. Voi rendete chiaro ogni argomento tramite i vostri abili mezzi, motivati da un’intensa preoccupazione amorevole.
- Gli stadi del sentiero verso l’illuminazione sono stati trasmessi intatti da coloro che si sono succeduti a Nagarjuna e Asanga, gioielli che adornano la corona di tutti gli eruditi maestri del mondo, lo stendardo della loro fama sventola al di sopra delle masse. Dato che, seguendo questi stadi, si può soddisfare ogni desiderio52 di tutti gli esseri viventi53, sono simili ad un re che concede il potere54 del prezioso insegnamento. Inoltre, poiché raccolgono il flusso del pensiero di migliaia di classici eccellenti, in effetti sono un oceano di sublimi e corrette spiegazioni.
- Questi insegnamenti rendono facile comprendere come non vi sia nulla di contraddittorio in tutti gli insegnamenti del Buddha e fanno sorgere nella tua mente ogni affermazione delle scritture, senza eccezione, come un’istruzione ricevuta direttamente. Rendono facile scoprire quello che il Buddha intendeva55 e ti proteggono dall’abisso del grande errore56. Grazie a questi quattro benefici, quale persona capace di comprendere fra gli eruditi maestri dell’India e del Tibet non avrebbe la propria mente completamente conquistata da questo insegnamento degli stadi del sentiero dei tre livelli di persone57, l’istruzione suprema alla quale molti esseri fortunati si sono dedicati?
- Sebbene guadagni un grande merito recitando o ascoltando anche una sola volta questo testo scritto da Atisha, che include i punti essenziali di tutte le affermazioni delle scritture, è certo che accumulerai anche grandi raccolte di benefici studiando e insegnando effettivamente il sacro Dharma in esso contenuto. Quindi dovresti prendere in considerazione il metodo per farlo correttamente.
- Avendo preso rifugio, dovresti comprendere che la giusta devozione nel pensiero e nell’azione al tuo sublime maestro, che ti mostra il sentiero per l’illuminazione, è la causa radice più propizia per ottenere una grande quantità di condizioni favorevoli in questa e nelle vite future. Quindi dovresti compiacere il tuo maestro offrendogli la tua pratica di ciò che ti ha insegnato, non abbandonandola nemmeno a costo della tua vita. Io, lo yogi58, ho già praticato così. Tu, che anche cerchi la liberazione, per favore coltiva la tua mente allo stesso modo.
- Questa esistenza umana, con le sue otto libertà59, è più preziosa persino della gemma che esaudisce i desideri. Ottenuta una sola volta, difficile da conseguire e facilmente persa, trascorre come un lampo, come un fulmine nel cielo. Considerando come ciò facilmente possa succedere in qualsiasi momento e comprendendo che tutte le attività mondane sono prive di vero significato, come paglia senza valore, tu dovresti tentare di coglierne il valore in ogni momento, giorno e notte. Io, lo yogi, ho già praticato così. Tu, che anche cerchi la liberazione, per favore coltiva la tua mente allo stesso modo.
- Dopo la morte, non vi è alcuna garanzia che non rinascerai in uno dei tre reami sfortunati60. Nonostante questo, è certo che i Tre Gioielli del Rifugio61 abbiano il potere di proteggerti dai loro tormenti. Per questo motivo, la tua presa di rifugio dovrebbe essere estremamente solida e dovresti seguire il suo consiglio senza mai lasciare indebolire il tuo impegno. Inoltre, il tuo successo nel far ciò dipende dalla corretta comprensione su quali siano le azioni karmiche negative e positive, insieme ai loro risultati , e quindi vivere secondo i dettami di ciò che deve essere accettato o rifiutato. Io, lo yogi, ho già praticato così. Tu, che anche cerchi la liberazione, per favore coltiva la tua mente allo stesso modo.
- I più intensi passi del successo nel realizzare i supremi sentieri non avverranno se non avrai ottenuto il fondamento pratico ideale di un essere umano62. Pertanto, devi addestrarti nelle azioni virtuose causali, che consentiranno il raggiungimento di tale forma umana in modo completo. Inoltre, siccome è estremamente essenziale purificare le macchie dei debiti e delle conseguenze del karma negativo, derivati dalla rottura dei voti, macchiando le tre porte (corpo, parola e mente), e soprattutto eliminandogli ostacoli karmici che impedirebbero una rinascita umana, dovresti avere a cuore continuamente di dedicarti ad applicare tutti i quattro poteri antagonisti63, che ti possono ripulire da ogni negatività. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore coltiva la tua mente allo stesso modo.
- Se non ti sforzi di riflettere sulle tue sofferenze e i loro inconvenienti, non potrai sviluppare correttamente un intenso interesse per l’impegno necessario alla liberazione. Se non comprendi il modo in cui le reali origini di tutte le sofferenze ti pongono e trattengono nell’esistenza ciclica, non conoscerai mai i metodi per tagliare le radici di questo circolo vizioso . Quindi dovresti avere a cuore di provare un totale disgusto e rinuncia di questa esistenza, conoscendo quali siano i fattori che ti legano alla sua ruota. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
- L’accrescimento continuo della tua motivazione illuminata di bodhicitta è l’asse centrale del sentiero Mahayana. E’ la base e il fondamento per grandi onde di condotta illuminata. Come l’elisir che produce l’oro, esso trasforma qualunque cosa tu faccia nelle due accumulazioni64, edificando un tesoro di meriti prodotti da virtù raccolte all’infinito. Sapendo questo, i Bodhisattva considerano questa preziosa mente suprema come la pratica più interiore. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
- La generosità è la gemma che esaudisce i desideri con la quale puoi realizzare le speranze degli esseri senzienti. E’ l’arma migliore per tagliare il nodo dell’avarizia. E’ il comportamento altruistico che aumenta la fiducia in se stessi e il coraggio impavido. E’ la base per la buona reputazione da proclamare nelle dieci direzioni. Sapendo ciò, i saggi hanno votato se stessi all’eccellente sentiero dell’offrire totalmente il proprio corpo, i propri averi e meriti. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
- La disciplina etica è l’acqua che lava via le macchie delle azioni negative. E’ il raggio di luna che rinfresca l’ardente calore delle afflizioni mentali, Ti rende raggiante come il monte Meru in mezzo alle nove specie di esseri. Tramite il suo potere, sei capace di esercitare la tua buona influenza su tutti gli esseri, senza ricorrere ad altri mezzi. Sapendo ciò, i santi hanno protetto, come se fossero i loro stessi occhi, i precetti che hanno accettato di osservare con purezza. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
- La pazienza è il miglior ornamento per coloro che hanno il potere, e la perfetta pratica ascetica lo è per chi sia tormentato da illusioni. E’ l’aquila che si innalza alta, è la nemica del serpente della rabbia, è la corazza più robusta contro le armi del linguaggio offensivo. Sapendo ciò, i saggi si sono esercitati nei vari modi e nelle varie forme con la corazza della suprema pazienza. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
- Una volta che hai indossato l’armatura della risoluta e irremovibile perseveranza entusiastica, la tua conoscenza delle scritture e la tua intuizione aumenteranno come la luna crescente. Tutte le tue azioni saranno significative per lo scopo di ottenere l’illuminazione, e qualunque cosa tu intraprenderai la porterai alla sua conclusione come volevi. Sapendo ciò, i Bodhisattva si sono esercitati in grande ondate di perseveranza entusiastica, eliminando ogni pigrizia. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
- La concentrazione meditativa è il sovrano esercizio del potere sulla mente. Se la fissi su un oggetto, vi rimane stabile come il monte Meru. Se la applichi, può affrontare perfettamente qualsiasi oggetto virtuoso. Conduce alla grande beatitudine del corpo e della mente, rendendoli utili allo scopo. Sapendo ciò, gli yogi esperti hanno votato se stessi alla continua concentrazione sul singolo punto, che sconfigge il nemico della divagazione mentale. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
- La profonda saggezza è l’occhio con il quale contemplare la profonda vacuità e il sentiero con il quale sradicare l’ignoranza fondamentale, fonte dell’esistenza ciclica. E’ il tesoro dell’ingegno elogiato in tutte le affermazioni delle scritture e rinomato come la suprema lampada che illumina le oscurità della mente limitata. Sapendo ciò, i saggi che hanno desiderato la liberazione hanno progredito lungo questo sentiero con grande impegno. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
- Con la sola meditazione sul singolo punto, non hai la visione che ti porta l’abilità di estirpare le radici dell’esistenza ciclica. Inoltre, sprovvisto del sentiero della quiete costante, la sola saggezza non può far ripiegare le illusioni, non importa come tu le analizzi. Quindi, sul cavallo incrollabile della calma dimorante, i saggi hanno montato la saggezza discriminante che è assolutamente cruciale per conoscere la vera natura delle cose. Allora, con la spada affilata del ragionamento della Via di Mezzo, escludendo le visioni estremiste, essi hanno utilizzato ampiamente la saggezza discriminante per analizzare correttamente e distruggere tutti i fondamenti delle loro idee che tendevano ad aggrapparsi agli estremi. In questo modo essi hanno accresciuto la loro conoscenza, che ha realizzato la vacuità. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
- Una volta conseguita la concentrazione sul singolo punto tramite la familiarità con la mente focalizzata sul singolo punto, il tuo stesso esame sul singolo fenomeno, tramite l’appropriata analisi, da sola accrescerà la tua concentrazione univoca stabilizzata estremamente salda. Vedendo ciò, coloro che hanno praticato con ardore si sono meravigliati dall’ottenimento dell’unione della calma dimorante e dell’intuizione della vacuità. C’è bisogno di affermare che dovresti pregare per ottenerla tu stesso? Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
- Avendo conseguito tale unione, dovresti meditare sia sulla vacuità simile allo spazio, mentre sei completamente assorbito nella sessione meditativa, che sulla vacuità simile all’illusione, quando in seguito ti alzi. Così facendo, attraverso l’unione di pratica e consapevolezza, sarai elogiato come qualcuno che si perfeziona nella condotta del Bodhisattva. Comprendendo ciò, coloro che hanno avuto la grande fortuna di ottenere l’illuminazione, non si sono mai accontentati semplicemente di sentieri incompleti. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
- In questo modo, una volta che hai sviluppato adeguatamente il sentiero comune necessario ad entrambi i veicoli Mahayana, quelli della pratica delle cause65 e dei risultati66, affidandoti ad un’abile guida attraversare il vasto oceano degli insegnamenti Mantrayana. Coloro che hanno fatto ciò e che si sono dedicati alle sue istruzioni, hanno ottenuto la realizzazione di un corpo umano con tutte le libertà ed ottenimenti di grande significato. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
- Per familiarizzare la mia mente con ciò e darne beneficio agli altri esseri che abbiano avuto la buona fortuna di incontrare un autentico maestro e che siano capaci di praticare quanto egli insegna, ho spiegato qui, con parole facilmente comprensibili, il sentiero che compiace i Buddha. Prego affinché il merito che ne deriva possa far si che nessun essere senziente sia mai separato da questi sentieri puri ed eccellenti. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
PREGHIERA
MĀHAMUDRĀ
O
Grande Vajradhara, che pervadi tutte le nature,
Glorioso
primo Buddha, principio di tutte le famiglie di Buddha
Nella
dimora celeste dei tre corpi spontanei,
Ti
prego di concedermi la tua benedizione.
Affinché
io possa sradicare la pianta rampicante dell’attaccamento al sé
nel mio continuum mentale,
Praticare
l’amore, la compassione e la bodhicitta,
e
compiere velocemente il mahamudra del sentiero dell’Unione,
O
Onnisciente, Eccelso Mañjusrī,
Padre
di tutti i Conquistatori dei tre tempi,
Nelle
terre di Buddha attraverso i mondi delle dieci direzioni,
Ti
prego di concedermi la tua benedizione.
Affinché
io possa sradicare la pianta rampicante dell’attaccamento al sé
nel mio continuum mentale,
Praticare
l’amore, la compassione e la bodhicitta,
e
compiere velocemente il mahamudra del sentiero dell’Unione,
O
Guru venerabili,
Guide
spirituali che, per discepoli fortunati,
Avete
diffuso l'essenza del Dharma,
Vi
prego di concedermi la vostra benedizione.
Affinché
io possa sradicare la pianta rampicante dell’attaccamento al sé
nel mio continuum mentale,
Praticare
l’amore, la compassione e la bodhicitta,
e
compiere velocemente il mahamudra del sentiero dell’Unione,
Vi
prego concedetemi la vostra benedizione.
Affinché
io possa vedere il venerabile Guru come un Buddha,
Superare
l’attaccamento per il samara,
Completare
i sentieri comuni e non comuni,
e
ottenere velocemente l’Unione del Māhamudhrā.
Il
mio corpo e il tuo corpo, o Padre,
La
mia parola e la tua parola, o Padre,
La
mia mente e la tua mente, o Padre,
Possano,
attraverso la tua benedizione, divenire un’unità inseparabile.
Il Cuore della
Perfezione della Saggezza”
Così
una volta udii:
Il Bhagavan69
dimorava a Rajagrha70,
presso il Picco dell’Avvoltoio71,
con un gran numero di Arhat72
e un gran numero di Bodhisattva73
e a quel tempo il Bhagavan era entrato nell’assorbimento
meditativo74
sulla varietà dei fenomeni75
chiamato “percezione profonda”76.
In quello stesso tempo, l’arya77
Avalokitesvara78,
il Bodhisattva mahasattva79,
era assorto nella stessa pratica della profonda perfezione della
saggezza80
e vide che anche i cinque aggregati81
sono vuoti di natura intrinseca82.
Quindi, tramite
l’ispirazione del Buddha, il venerabile bikshu83
Shariputra84
si rivolse all’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva85
e gli disse: “come deve addestrarsi un figlio o figlia del
lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica
della profonda perfezione della saggezza?”
Quando fu detto
questo, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, rispose
al venerabile bikshu Shariputra e disse: “Shariputra, ogni figlio o
figlia del lignaggio dei Bodhisattva86,
che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della
saggezza, dovrebbe vedere chiaramente nel seguente modo: dovrebbe
vedere distintamente che anche i cinque aggregati sono vuoti di
natura intrinseca”.
“La forma è
vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che forma, la
forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono vuote le
sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza.
Quindi, Shariputra, tutti i fenomeni sono vacuità; essi sono privi
di caratteristiche peculiari; non sono nati, non cessano; non sono
contaminati, non sono incontaminati; non sono incompleti e non sono
completi.”
“Quindi,
Shariputra, nella vacuità non c’è forma, né sensazioni, né
percezioni, né formazioni mentali, né coscienza. Non c’è occhio,
né orecchio, né naso, né lingua, né corpo, né mente. Non c’è
forma, né suono, né odore, né gusto, né oggetti concreti, né
oggetti mentali. Non c’è nessun elemento visivo, così fino a
nessun elemento mentale fino a includere nessun elemento della
coscienza mentale. Non c’è ignoranza, non c’è estinzione
dell’ignoranza, e così fino a nessun invecchiamento e morte, e
nessuna estinzione dell’invecchiamento e della morte. Allo stesso
modo, non c’è sofferenza, origine, cessazione o sentiero; non c’è
saggezza, né ottenimento e neppure mancanza di ottenimento.”
“Quindi,
Shariputra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti, si basano e
dimorano nella perfezione della saggezza. Non avendo oscuramenti
nelle loro menti, essi non hanno paura, ed essendo andati totalmente
oltre l’errore, essi raggiungono la meta finale: il nirvana87.
Tutti i Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto il pieno
risveglio dell’insuperabile, perfetta illuminazione, basandosi su
questa profonda perfezione della saggezza”.
“Quindi, si
dovrebbe sapere che il mantra88
della perfezione della saggezza – il mantra della grande
conoscenza, il mantra supremo, il mantra uguale a ciò che non ha
uguale, il mantra che fa tacere tutte le sofferenze – è vero
perché non è ingannevole. Si proclama il mantra della perfezione
della saggezza:
TADYATHA
GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
Shariputra, così i
Bodhisattva mahasattva dovrebbero addestrarsi alla profonda
perfezione della saggezza”.
Quindi, il Bhagavan
si svegliò dal suo assorbimento meditativo e lodò l’arya
Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, dicendo che era
eccellente.
“Eccellente!
Eccellente! Figlio del lignaggio dei Bodhisattva, è proprio così;
dovrebbe essere così. Bisogna praticare la profonda perfezione della
saggezza proprio così come hai rivelato. Perciò anche i Tathagata89
se ne rallegreranno”.
Come il Bhagavan
pronunciò queste parole, il venerabile bikshu Shariputra, l’arya
Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, insieme all’intera
assemblea, inclusi i mondi degli dei, degli umani, degli asura90
e dei gandharva91,
tutti gioirono e lodarono ciò che il Bhagavan aveva detto.
Atīsa
- La Lampada sul Sentiero verso l’Illuminazione
(Trascrizione
del testo: Fabio Di Donna)
Mi
prostro al bodhisattva, il giovane Mañjusrī.
- Rendo omaggio con grande rispetto ai Conquistatori dei tre tempi, ai loro insegnamenti e a coloro che aspirano alla virtù. Esortato dal perfetto discepolo Cianciub Ö illustrerò la lampada sul sentiero verso l’illuminazione.
- Comprendi che ci sono tre tipi di individui poiché essi hanno capacità inferiore, media e superiore. Scriverò distinguendo chiaramente le loro caratteristiche individuali.
- Sappi che coloro che ricercano per se stessi, con qualunque mezzo, nient’altro che i piaceri dell’esistenza ciclica, sono individui di capacità inferiore.
- Coloro i quali ricercano la pace solo per se stessi, avendo voltato le spalle ai piaceri mondani e rinunciato a compiere azioni negative sono detti individui di capacità media.
- Coloro che, attraverso la loro personale sofferenza, desiderano sinceramente far cessare tutte le sofferenze degli altri, sono persone di capacità suprema.
- Per queste creature eccellenti, che aspirano alla suprema illuminazione, spiegherò i metodi perfetti tramandati dai maestri spirituali.
- Di fronte a un’immagine dipinta, scolpita e così via di colui che ha raggiunto la completa illuminazione, a uno stupa e all’insegnamento eccellente, offri fiori, incenso e qualunque altro bene possiedi.
- Con l’offerta in sette parti dalla [Preghiera della] Nobile Condotta, con il pensiero di non tornare indietro finché non raggiungi l’illuminazione ultima,
- e con una forte fede nei Tre Gioielli, inchinati con un ginocchio a terra e, con le mani giunte, per prima cosa prendi rifugio tre volte.
- Quindi, iniziando col generare un pensiero d’amore per tutte le creature viventi, considera gli esseri, senza nessuna esclusione, tormentati dalle tre cattive rinascite, tormentati dalla nascita, dalla morte e così via.
- Allora, dal momento che desideri liberare questi esseri dalla sofferenza del dolore, dalla sofferenza e dalla causa della sofferenza, fai sorgere immutabilmente la determinazione di raggiungere l’illuminazione.
- Le qualità per sviluppare questo tipo di aspirazione sono completamente illustrate da Maitreya nel Sutra della sequenza dei tronchi.
- Avendo appreso di tutti gli infiniti benefici che derivano dall’intenzione di raggiungere la completa illuminazione leggendo questo sutra o ascoltandolo da un maestro, falla sorgere ripetutamente per renderla stabile.
- Citerò brevemente a questo punto i tre versi del Sutra richiesto da Viradatta nel quale i meriti suddetti sono pienamente illustrati.
- Se i meriti di questa intenzione altruistica dovessero assumere una forma fisica riempirebbero completamente lo spazio e si espanderebbero oltre.
- Se qualcuno offrisse ai protettori dell’universo gioielli in tal numero da riempire i campi puri dei buddha pari ai granelli di sabbia del Gange,
- tale offerta sarebbe inferiore al dono di congiungere le mani e disporre la propria mente verso l’illuminazione, perché tali meriti sono senza limite.
- Avendo generato la mente che aspira all’illuminazione, costantemente con grande sforzo occorre accrescerla. Per ricordarla in questa vita e anche nelle altre, mantieni propriamente i precetti come è spiegato.
- Senza prendere il voto della mente dell’impegno, la perfetta aspirazione non potrà svilupparsi. Sforzati definitivamente di prenderlo, poiché vuoi accrescere il desiderio per l’illuminazione.
- Coloro che mantengono qualunque dei sette tipi di voto per la liberazione individuale, non gli altri, possiedono i [requisiti] ideali per prendere il voto del bodhisattva.
- Il Tathagata ha spiegato i sette tipi di voto della liberazione individuale. Il più elevato fra questi è la gloriosa pura condotta, che è il voto proprio della persona completamente ordinata.
- In accordo al rituale descritto nel capitolo sulla disciplina nel testo Gli stadi del bodhisattva, prendi il voto da un bravo e ben qualificato, maestro spirituale.
- Comprendi che un buon maestro spirituale è esperto nella cerimonia di concedere il voto, vive nel voto e possiede la confidenza e la compassione per concederlo.
- Comunque, se dopo aver cercato, non sei riuscito a trovare un tale maestro spirituale, spiegherò un’altra procedura corretta per prendere il voto.
- Descriverò qui chiaramente, secondo la spiegazione del Sutra dell’ornamento della terra pura di Manjusri, come, molto tempo fa, quando Mañjusrī si chiamava Ambaraja, generò l’intenzione di raggiungere l’illuminazione.
- “Di fronte ai Protettori, faccio sorgere l’intenzione di ottenere la completa illuminazione. Invito tutti gli esseri come miei ospiti e li libererò dall’esistenza ciclica.
- “Da ora in poi, sino al raggiungimento dell’illuminazione non darò spazio a pensieri che danneggiano, rabbia, avarizia, invidia.
- “Coltiverò una condotta pura, rinuncerò alle azioni negative e al desiderio e con gioia nel voto della disciplina mi addestrerò nel seguire i buddha.
- “Cercherò di non avere fretta nel voler velocemente raggiungere l’illuminazione, ma rimarrò indietro sino alla fine per il beneficio anche di un solo essere.
- “Purificherò le inconcepibili infinite terre e sarò presente nelle dieci direzioni per tutti coloro che invocheranno il mio nome.
- “Purificherò tutte le mie azioni compiute col corpo e con la parola. Purificherò anche le mie attività mentali e non farò niente che non sia virtuoso.”
- Quando coloro che osservano il voto della mente dell’impegno si saranno ben addestrati nelle tre forme di disciplina, il loro rispetto verso queste crescerà, causando la purezza del corpo, della parola e della mente.
- Quindi attraverso lo sforzo compiuto dal bodhisattva di mantenere il voto per la pura e piena illuminazione, le raccolte per la completa illuminazione saranno pienamente realizzate.
- Tutti i buddha affermano che la causa per completare le raccolte, la cui natura è merito e saggezza suprema, è lo sviluppo della chiaroveggenza.
- Come un uccello che non ha sviluppato le ali non può volare nel cielo, coloro senza il potere della chiaroveggenza, non possono lavorare per il bene degli esseri viventi.
- I meriti ottenuti in un solo giorno da colui che possiede la chiaroveggenza, non possono essere ottenuti neanche in cento vite da colui che ne è privo.
- Coloro che vogliono completare velocemente le due raccolte per la piena illuminazione otterranno la chiaroveggenza per mezzo dello sforzo, non per mezzo della pigrizia.
- Senza l’ottenimento della calma dimorante non si potrà ottenere la chiaroveggenza. Quindi, compi ripetuti sforzi per conseguire la calma dimorante.
- Se le condizioni per la calma dimorante sono incomplete, la stabilizzazione meditativa non sarà completata, anche se si meditasse strenuamente per migliaia di anni.
- Così, mantenendo correttamente le condizioni menzionate nel Capitolo della collezione per la stabilizzazione meditativa, focalizza la mente su un qualsiasi oggetto virtuoso.
- Quando il praticante ha realizzato la calma dimorante, otterrà anche la chiaroveggenza, ma senza la pratica della perfezione della saggezza le ostruzioni non avranno fine.
- Perciò, per eliminare tutte le ostruzioni alla liberazione e all’onniscienza, il praticante dovrebbe continuamente coltivare la perfezione della saggezza con mezzi abili.
- La saggezza senza mezzi abili e anche i mezzi abili senza saggezza sono indicati come “legami” perciò non abbandonare nessuno dei due.
- Per eliminare qualsiasi dubbio su cosa sia la saggezza e cosa siano i mezzi abili, chiarirò la differenza tra mezzi abili e saggezza.
- A parte la perfezione della saggezza, tutte le pratiche virtuose come la perfezione della generosità, sono descritte come mezzi abili dai vittoriosi.
- Chiunque, per il potere della familiarità con i mezzi abili, coltivi la saggezza, otterrà velocemente l’illuminazione non solo meditando sulla mancanza del sé.
- Comprendere la vacuità dell’esistenza intrinseca attraverso la realizzazione che gli aggregati, i costituenti e le sorgenti non sono prodotti, è spiegata come saggezza.
- Un fenomeno esistente non può essere prodotto, e nemmeno qualcosa di non esistente, come un fiore nel cielo. Questi errori sono entrambi assurdi e così nessuno dei due può accadere.
- Una cosa non è prodotta da se stessa, non è prodotta da altro, non è prodotta da entrambi, né senza causa, perciò non esiste intrinsecamente, per sua propria entità.
- Inoltre, quando tutti i fenomeni sono esaminati in funzione dell’essere uno o molti, essi non sono visti esistere per loro propria entità, perciò sono accertati come non intrinsecamente esistenti.
- La logica esposta nelle Settanta stanze sulla vacuità, Il trattato sulla via di mezzo e così via, spiega che la natura di tutte le cose è stabilita come vacuità.
- Poiché vi sono veramente molti passaggi, non li ho citati qui, ma ho solamente spiegato le loro conclusioni per lo scopo della meditazione.
- Allora, qualunque meditazione sulla mancanza del sé, poiché non osserva una natura intrinseca nel fenomeno, è lo sviluppo della saggezza.
- Proprio come la saggezza non vede una natura intrinseca nei fenomeni, dopo aver analizzato la saggezza stessa tramite ragionamento, medita non concettualmente su di essa.
- La natura di questa esistenza mondana, che sorge dalla concettualizzazione, è concettualità. Quindi l’eliminazione della concettualità è il più alto stato del nirvana.
- La grande ignoranza della concettualità ci fa precipitare nell’oceano dell’esistenza ciclica. Dimorando in una stabilizzazione non concettuale, la non concettualità simile allo spazio si manifesta chiaramente.
- Quando i bodhisattva contempleranno non concettualmente questo eccellente insegnamento, trascenderanno la concettualità, così difficile da superare, e alla fine otterranno lo stato privo di concettualità.
- Avendo compreso, attraverso le scritture e i ragionamenti, che i fenomeni non sono prodotti e non hanno un’esistenza a sé stante, medita senza concettualità.
- Avendo meditato così sulla talità, alla fine, dopo aver ottenuto il “calore” e così via, si raggiungerà il “molto gioioso” e gli altri e, dopo breve tempo, lo stato illuminato della buddhità.
- Se desideri creare facilmente le raccolte per l’illuminazione attraverso le attività di pacificazione, incremento e così via, acquisite attraverso il potere del mantra,
- e anche per la forza degli otto e altri grandi ottenimenti come il “buon vaso”, se vuoi praticare il mantra segreto, come è spiegato nel tantra dell’azione e del comportamento,
- allora, per ricevere l’iniziazione del maestro, devi compiacere un eccellente maestro spirituale, attraverso servizi, regali preziosi e cose simili così come l’obbedienza.
- Grazie al completo conferimento dell’iniziazione del maestro, da parte di un maestro spirituale che è compiaciuto, sarai purificato da tutte le negatività e diverrai idoneo per conseguire i potenti ottenimenti.
- Coloro che osservano l’austera pratica di pura condotta non devono prendere le iniziazioni segrete e della saggezza, poiché nel Grande tantra del buddha primordiale è proibito severamente.
- Se coloro che osservano l’austera pratica di pura condotta ricevono queste iniziazioni, degenerano il loro voto di austerità facendo quello che è proibito.
- Questo crea trasgressioni che sono una sconfitta per coloro che osservano la disciplina. Poiché essi sono certi di cadere in una cattiva rinascita, non otterranno mai delle realizzazioni.
- Tuttavia, non vi è difetto se uno ha ricevuto l’iniziazione del maestro e conoscendo la talità, ascolta o spiega i tantra, compie i rituali dell’offerta bruciante, o fa offerte di doni e così via.
- Io, l’Anziano Dipamkarashri, in accordo ai sutra e ad altri insegnamenti, ho scritto questa concisa spiegazione su richiesta del discepolo Cianciub Ö.
*****
Dedica e preghiera conclusiva nel Lam Rim
Composta
da Geshe Gedun Tharchin il 4 novembre 2000 - versione originale in
tibetano
***
La Vittoriosa tradizione dei Buddha come fondamento di Pace e Felicità,
Medicina
per illuminare le sofferenze di tutti gli esseri senzienti,
Tesoro
che realizza le speranze degli esseri viventi dei tre reami,
Gioiello
che soddisfa simultaneamente i desideri propri e altrui.
Dal
profondo del mio cuore porgo il mio rispetto ai Maestri,
che
mi hanno indicato senza errori i metodi per seguire
il
Percorso Fondamentale, come affidarmi ad una guida spirituale
fino
a raggiungere, tramite la pace, la completa Illuminazione.
(x 3) Possano
tutti gli esseri, e noi stessi, incontrare la felicità
Realizzando
la rinuncia, la mente del non-attaccamento,
il
Bodhicitta, la mente altruistica e che aspira a vincere la
sofferenza,
la
Vacuità, la massima visione della Chiara Luce.
***
PRIMA PARTE
Roma 2006 Gennaio – Luglio
***
Il Dharma è semplicità, altruismo, consapevolezza e saggezza
Questo
è il primo incontro di Dharma dell’anno, abbiamo così
l’opportunità di scambiarci gli auguri per un buon anno dharmico,
il Dharma è il sale della vita, ciò che dà sapore. Un ottimo
lavoro, senza Dharma è insipido, come cibo senza sale, e anche una
eccellente salute passa inosservata e non è pienamente goduta se
nella propria vita non c’è il Dharma.
Il
Dharma è necessario e non lo si deve confondere con i tanti “ismi”
con cui si identifica una religione, buddhismo, cristianesimo,
islamismo, il Dharma è il significato della vita, va oltre qualsiasi
“ismo”,
è universale, che si sia credenti o no.
Quando
il Dharma è presente vi è gioia, felicità, serenità, pace, ma se
è assente tutte le qualità vengono a mancare, non lo dobbiamo
ricercare all’esterno, ma scoprirlo in noi, nella mente e per
questa ragione abbiamo necessità della meditazione, la pratica che
ci permette di entrarne in connessione.
Tramite
la meditazione si acquisisce la consapevolezza del Dharma in noi, in
perfetta connessione con la mente.
Questo
tipo di pratica deve essere presente in ogni momento della vita.
Quindi con l’augurio di un buon anno dharmico auspichiamo che tutti
i trecentosessantacinque giorni del 2006 possano essere colmi dello
spirito del Dharma, oltrettutto è facile sapere se il giorno che sta
scorrendo ha una qualità dharmica, basta semplicemente verificare
consapevolmente se esiste o meno una connessione con la mente.
L’altra
grande domanda che sorge è cosa sia la mente umana. La risposta
diventa complessa se si vuole analizzare il Dharma con metodi
scientifici, ma se ci si pone nella prospettiva della meditazione si
scopre che la sua essenza è naturalmente nell’amore, nella
gentilezza amorevole e nella compassione. Dunque, anche se abbiamo
difficoltà a dimostrarlo attraverso un’analisi logica, possiamo
sperimentarlo direttamente in ciò che sentiamo.
Non
complichiamoci inutilmente la vita andando alla ricerca del
significato e del luogo in cui si trova la mente, cerchiamo invece di
percepirne direttamente l’essenza che sorge spontanea nella forma
dell’amore e della compassione, perché queste sono le sue naturali
qualità.
Cosa
si intende parlando di un “tempo dharmico”? il tempo acquisisce
la caratteristica di Dharma nel momento in cui vi è la connessione
con l’essenza della mente di amore e compassione.
Quando
siamo in questa condizione ci sentiamo naturalmente gioiosi e felici,
è un’esperienza dharmica. Attraverso questo tipo di pratica di
Dharma riusciamo a produrre e a trasmettere la stessa sensazione
gioiosa agli altri e negli altri, e così è l’anno di Dharma che
dovremmo trascorrere.
L’integrazione
tra Dharma e vita quotidiana favorisce il successo in ogni attività
e relazione perché è in sé armonia.
Senza
Dharma non c’è gioia, non c’è pace, perché separati da amore e
compassione non abbiamo alcuna possibilità di produrre serenità e
felicità né per noi né per gli altri.
Il
tempo dharmico è quello che trascorriamo in connessione con
l’essenza della mente che è amore e compassione, al di fuori di
essa siamo confusi, impauriti, è come se perdessimo la mente e
sperimentiamo la paura forse più grande.
La
pratica del Dharma consiste nel proteggere la nostra mente e per
poterlo fare dobbiamo essere in connessione con la mente di amore e
compassione, perché l’amore e la compassione non è qualcosa che
ereditiamo dagli altri o che proviene da una fonte esterna, ma è in
noi stessi.
E’
inoltre difficile che la mente possa essere protetta dall’amore e
dalla compassione di qualcun altro, anche se abbiamo la tendenza a
chiedere questa protezione al Buddha o a qualsiasi divinità, quasi a
delegare ogni responsabilità, è un non volerci impegnare, è
scegliere una scorciatoia facile ma non corretta, perchè per
proteggere la mente dobbiamo essere in connessione con l’amore e la
compassione in noi, questo deve essere realizzato.
La
pratica del Dharma non è semplice, ma nemmeno irrealizzabile in
quanto corrisponde ad una tendenza naturale, dunque non ci si deve
scoraggiare di fronte al necessario sforzo iniziale, poi tutto
diviene più facile e scorre naturalmente.
Un
interessante aforisma tibetano ricorda che esistono due leggi
fondamentali, la prima relativa al Dharma mentre la seconda è
emanata dai governi, dalle nazioni. Quindi o sono leggi di Dharma o
sono leggi dello stato. La legge del Dharma è simile una cintura
annodata con il filo di seta, all’inizio è molto stretta, rigida,
dura tanto da rendere difficoltoso ogni movimento, ma con il tempo si
ammorbidisce sempre più divenendo delicata e agevole perché va
incontro alle tendenze naturali della mente, è basata sull’amore e
compassione. Invece le leggi dei re sono come un giogo d’oro,
all’inizio pare leggero e magari anche bello, ma poi diviene man
mano più pesante e gravoso perché si fonda sulla fiscalità, sulla
paura e non sull’amore e sulla compassione.
La
legge del Dharma rende tutto positivo e per questo ognuno dovrebbe
praticarlo, sia cristiano, buddhista, ebreo, musulmano o ateo, è il
modo in cui dovrebbe essere l’essere umano con una vita serena,
armoniosa, significativa e pacifica, e ciò vale sia per l’individuo
che per la società intera.
Questo
è l’augurio per il 2006; chiarire e stabilizzare la motivazione
all’inizio dell’anno è fondamentale per ottenere pace e gioia
per sé e per gli altri, perché pensare esclusivamente al proprio
interesse non è dharmico; se si pratica soltanto per se stessi ci si
estromette automaticamente dal Dharma ottenendo unicamente il
risultato di una grande sofferenza.
Leggiamo
ora i “Tre aspetti principali del sentiero” con la motivazione di
offrire questo augurio per tutti gli esseri senzienti. (pag.
13).
Ora
meditiamo riflettendo sull’importanza della motivazione che, più
che tranquillizzare la mente, permette di penetrare al suo interno,
cosa non priva di difficoltà. Indubbiamente è più semplice
concentrare l’attenzione su un oggetto esterno piuttosto che
addentrarsi nella mente. Non è affatto facile coltivare in sé amore
e compassione e attendere con pazienza il loro manifestarsi.
Amore
e compassione sono una realtà importante e non sorgono soltanto come
reazione a situazioni penose, a disgrazie, in questo caso l’emozione
che si sperimenta è una risposta di pena di fronte al dolore, ma
l’amore e la compassione mantengono inalterata e costante la
freschezza, l’autenticità, la profondità in qualsiasi
circostanza, sia di sofferenza come di grande festa. Si deve
sviluppare amore e compassione sempre, anche durante un concerto rock
si dovrebbe mantenere inalterata la capacità di meditare con amore e
compassione, e ciò significa essere in costante connessione con il
Dharma e arricchire il proprio tempo di significato, ecco perché è
così importante la meditazione sulla motivazione.
Leggiamo
il Sutra del Cuore sull’essenza della Saggezza, come segno di
auspicio per l’inizio dell’anno. (pag.
22).
Il
Sūtra del Cuore tratta della realtà ultima, definitiva, dei
fenomeni.
La
pratica della saggezza comporta accumulazione di saggezza, la pratica
dell’amore e della compassione riguarda l’accumulazione dei
meriti, e nel Dharma devono sempre essere presenti entrambe, sono
inscindibili, la pratica di amore e compassione deve essere
accompagnata dalla pratica della saggezza e, viceversa, la pratica
della saggezza deve essere accompagnata dalla pratica di amore e
compassione.
La
pratica di amore e compassione consiste nell’attuare le prime tre
perfezioni: la generosità,
la moralità
e la pazienza,
perché se non c’è generosità non si potrà avere né moralità
né pazienza né tanto meno compassione.
La
perseveranza
entusiastica
è una perfezione che riguarda entrambe le pratiche di amore e
compassione e di saggezza, e altrettanto partecipa alle accumulazioni
di meriti e saggezza.
La
perseveranza entusiastica è anche detta lo “sforzo gioioso”, uno
sforzo senza sforzo, perché la pratica del Dharma richiede un
impegno costante che però è senza sforzo in quanto non può essere
compiuto per forza, è spontaneo, genuino, entusiasmante e quindi
gioioso.
La
perfezione della concentrazione
è fondamentale perché senza concentrazione non è possibile
realizzare la saggezza.
Con una buona stabilizzazione della concentrazione si riesce a
praticare più facilmente la saggezza.
Queste
sono le pratiche che riguardano le due accumulazioni, di meriti e di
saggezza, e comprendono in sé tutte le pratiche.
Domanda:
Vorrei sapere se ci sono dei mantra che favoriscono la
concentrazione, oppure è meglio rimanere in silenzio?
Lama: La
ripetizione del mantra è importante, si può recitare con la parola
o mentalmente. La recitazione mentale è più potente di quella
verbale, perché quando si riesce a formulare il mantra
silenziosamente la mente è completamente integrata in esso, mentre
la recitazione verbale permette che la bocca pronunci le parole
mentre la mente vaga dove vuole, come succede spesso ai tibetani che
scandiscono tutto il giorno una sillaba dopo l’altra, ma la mente è
altrove.
In
Europa, regione particolarmente civilizzata in cui si ha rispetto
delle esigenze delle persone, la recitazione verbale di un mantra
potrebbe essere fastidiosa per il vicino e quindi poco opportuna, io
consiglio sempre di ripeterlo mentalmente.
La
pratica del Dharma per un occidentale deve essere adeguata al massimo
livello di possibilità che l’Europa offre, di educazione, di
ritegno, di senso del rispetto.
Nel
nord Italia c’è un centro buddhista con un lama tibetano che parla
solo questa lingua e pratica assiduamente con pūja e rituali antichi
facendo gran uso di strumenti tibetani, e, non accontentandosi del
suono così prodotto, utilizza contemporaneamente registrazioni a
volume altissimo anche in estate con tutte le finestre aperte, ma
l’edificio non è isolato, così una volta i vicini hanno chiamato
la polizia che ha cercato di far capire a questo Lama che era
necessario abbassare il volume. Non potendo rinunciare alle sue
pratiche, oggetto anche di iniziazioni dei discepoli, il giorno
seguente ha ripetuto la stessa pratica mantenendo un volume più
basso e con tutte le finestre sbarrate, costringendo così tutti i
presenti ad una vera sauna.
Queste
pratiche si sono sviluppate in Tibet, un territorio immenso e poco
popolato e una ritualità ricca di suoni era sicuramente ottima e
considerata benefica, ma qui non è così, la recitazione di mantra,
la pratica di rituali, deve essere concordata nell’ambito degli
standard di vita europei in modo da essere realmente efficace e
proficua, piuttosto che ostinarci a voler imitare e assimilare
modalità estranee e alla fine controproducenti. Una recitazione
interiore del mantra che sgorghi dal cuore è infinitamente più
efficace e potente e produce autentiche energie spirituali.
Prima
di congedarci desidero ringraziare tutti gli amici, sia quelli che
partecipano agli incontri da anni sia le persone nuove, e i vecchi e
nuovi amici che per un po’ si sono allontanati e gli amici del mio
stesso continente, tutti contribuiscono a creare un buon spirito e
una eccellente atmosfera, ogni presenza è preziosa per tutti noi. Io
penso che gli italiani siano persone compassionevoli e anche gli
stranieri che vivono in Italia da molti anni si stanno italianizzando
diventando sempre più compassionevoli. Lo stesso fatto di vivere in
Italia è una buona pratica del Dharma e io sono grato per essere
qui.
Recitiamo
insieme la Preghiera di Dedica. (pag.
27)
Ritorno dall’India
Iniziamo
l’incontro leggendo gli “Otto Versi di Trasformazione della
Mente”. (pag.
12)
Sono
Appena rientrato da un lungo viaggio in India e in Nepal, ho visto
tante situazioni e incontrato persone e tutto è stato di grande
utilità.
Dal
confine del Nepal fino a Pokhara ho viaggiato su un bus che
all’inizio era mezzo vuoto, ma poi sono salite tante capre e
l’odore era davvero forte, ed è stata una gran bella esperienza
poter assaporare i ricordi dell’infanzia.
All’inizio
sembrava una situazione un po’ difficile ma gradualmente è
diventata piacevole perchè mi ha riportato al passato. E’
interessante poter gustare l’aspetto positivo di situazioni così
differenti perché è arduo conservare inalterato lo stile di vita.
L’unica
cosa che non muta è l’amore e la compassione che dovremmo
mantenere incessantemente vivi e presenti in qualsiasi circostanza,
sia che si viaggi in aereo, velocemente e in condizioni confortevoli,
con buon cibo, o che si viaggi lungamente in un bus su strade
sconnesse, stipati e scomodi e con poche possibilità di nutrirsi
adeguatamente in taverne decisamente sporche e con un’alimentazione
scadente, ma bisogna affrontare entrambe le circostanze con lo stesso
buon cuore e compassione, perché ambedue offrono l’occasione di
praticare il Dharma continuativamente.
In
questi Paesi si incontrano tante persone che, pur impegnandosi al
massimo in lavori estremamente faticosi, vivono in condizioni
estremamente dure senza poter provvedere ai bisogni fondamentali e a
noi risulta incomprensibile come possano sopravvivere, eppure non
abbiamo il potere di mutare il loro livello di vita, abbiamo però
l’occasione di sviluppare l’atteggiamento dharmico che è
comprensione e accoglienza della realtà con profondo e autentico
rispetto nei confronti di ogni circostanza e di ogni essere.
In
India e in Nepal le condizioni di vita sono notevolmente differenti,
qui è raro trovare a qualcuno a cui manchi realmente l’essenziale,
siano anziani o bambini, è difficile incontrare una persona che
ringrazi per pochi centesimi ricevuti, è facile che si tratti di
mendicanti di professione che non apprezzano gli spiccioli, invece in
aree radicalmente povere le persone provano una grande gioia quando
ricevono un’elemosina seppur minima, offrendo in questo modo una
grande occasione di pratica del Dharma da entrambe le parti, sia per
chi dona che per chi riceve. Viaggiare è importante se lo si fa con
una mente dharmica, ma spesso lo si scorda.
In
questo viaggio ho avuto l’opportunità di visitare a Delhi i luoghi
dell’assassinio di Gandhi e di altre grandi personalità, Neru,
Indira Gandhi, personaggi pubblici di grande coraggio, quasi dei
cuori di Bodhisattva moderni.
Visitare
questi luoghi è qualcosa che tocca profondamente il cuore, è un
pellegrinaggio. Per quanto non siano siti religiosi in senso stretto
appartengono al ricordo di persone che si sono sacrificate per il
loro popolo e per il loro paese, e in cui si tocca con mano
l’impermanenza.
La
cultura indiana è profondamente religiosa quindi non mancano mai
lampade e candele accese, simbolo di un forte valore spirituale,
perché non è tanto importante l’oggetto che vediamo, ma è il
modo con cui lo consideriamo e offriamo, e ciò vale per ogni atto
quotidiano; non è rilevante ciò che abbiamo dinnanzi agli occhi, ma
lo è il modo con cui lo osserviamo e che ci permette di ricevere da
qualsiasi realtà l’influsso dharmico; è questa la benedizione che
scioglie il cuore indurito, fonte principale dei problemi che ci
impediscono di vivere in pace. Il risultato della benedizione è un
cuore morbido, duttile, tranquillo, pacifico. Quanto più riusciamo
ad avere uno sguardo in grado di cogliere l’essenza dharmica di
ogni cosa tanto più ci sentiremo e saremo benedetti.
L’impermanenza
è potente e forte e noi dobbiamo saper andare oltre a questa forza
in modo da non esserne vittime incoscienti, schiavi. Il modo per
superare la condizione di vittime inconsapevoli della natura
impermanente della realtà è quello di rendere la nostra mente-cuore
benedetta, cosicché se anche morissimo in tale stato non avremmo
nessun rimpianto, saremmo pronti, sereni, in pace, liberi.
L’afferrarsi
alla permanenza, che non esiste, è una grande illusione.
Dobbiamo
rammentare costantemente l’impermanenza della realtà e per questo
è utile visitare luoghi come quelli in cui sono stati assassinate
queste persone che ricordiamo con reverenza per la loro dedizione, ed
è altrettanto potente visitare i cimiteri. Qui i cimiteri sono
puliti, belli, in Tibet e in India vi si fa una pratica
particolarmente potente, il “Chöd”,
termine
che indica recidere, tagliare ogni attaccamento e comporta una lunga
permanenza in meditazione nei cimiteri al fine di sviluppare l’amore
e la compassione in connessione con la saggezza della natura ultima
della realtà, dell’insostanzialità del sé, e dell’impermanenza.
Qualsiasi
circostanza la vita ci proponga è un’occasione per riflettere
sull’impermanenza della realtà, e in questo consiste il senso di
viaggiare, di attraversare più paesi, di utilizzare la vacanza così
da ritornare a casa arricchiti interiormente.
Quando
si viaggia si deve seguire un programma, si cammina, si cambiano
mezzi di trasporto, è simile ad un completo giro del samsāra e il
momento del ritorno riflette il giorno in cui si sarà giunti alla
fine della vita. Il mio viaggio è durato due mesi, un tempo
brevissimo, e quasi improvvisamente è arrivata la data della
partenza, e sarà così quando dovremo lasciare tutto perché il
tempo per noi è finito.
Il
viaggio all’inizio è un progetto curato in ogni particolare e
quando lo si mette in atto si deve seguire esattamente il programma,
ed è un po’ come il samsāra, prima lo si progetta e poi si è
costretti ad attraversarlo, l’individuo crea il proprio karma e poi
non può che procedere secondo quanto ha prodotto, questa è la vita
umana.
In
aereo, nella prima tratta, ero seduto accanto ad un musulmano
ortodosso che non conosceva una sola parola di inglese e che non
poteva bere alcolici o mangiare carne di maiale, così ho fatto da
interprete con il personale di bordo spiegando che beveva succo di
mela e voleva il pasto vegetariano, tanto che l’hostess ha pensato
che lui seguisse i miei insegnamenti. Poi però le nostre direzioni
divergevano e il povero musulmano era preoccupato pensando “e
adesso chi mi aiuta?” così gli ho impartito una piccola lezione
con le parole indispensabili in inglese. E’ facile diventare amici
dei musulmani, a volte sembrano rigidi, ma parlando con loro scopri
che sono persone assolutamente normali, gentili, amabili.
Nella
seconda parte del viaggio invece ero seduto vicino ad un cristiano,
non cattolico, c’è stata un’interessante conversazione e quando
gli ho detto che cercavo di vedere tutto con una visione dharmica lui
ha detto, “ma lei è buddhista”, io ho risposto che cercavo di
essere buddhista.
Ognuno
cerca di essere un buon cristiano, un buon buddhista, un buon
islamico, ma è azzardato affermare “sono cristiano”, “sono
buddhista”, “sono musulmano”, perché ciò sottintende una
pratica perfetta e assolutamente completa.
Così
anche noi cercheremo di essere buoni praticanti di Dharma, che è
differente dall’affermare di essere un praticante di Dharma.
Grazie
a tutti.
Meditazione sui cinque aggregati
Cominciamo
con la purificazione della mente attraverso il ciclo dei nove
respiri, prima si inspira dalla narice destra e si espira dalla
sinistra per tre volte, poi per altre tre si inspira dalla sinistra e
si espira dalla destra, e infine si inspira ed espira, sempre per tre
volte, con entrambe le narici.
Il
nome di questa pratica in tibetano corrisponde alla “pulizia
del respiro attraverso l’espirazione dei venti”
è appunto costituita da nove giri di inspirazioni ed espirazioni;
all’inizio è possibile aiutarsi chiudendo o alternativamente una
narice, ma lo si può anche fare semplicemente a livello
immaginativo. E’ una pratica efficace, altamente raccomandata e
applicabile secondo le condizioni, cioè lo stato fisico e mentale in
cui ci si trova nel momento, è particolarmente indicata per
l’eliminazione dei vecchi pensieri, del chiacchiericcio mentale, è
una forma di purificazione del pensiero concettuale ed è necessaria
prima di ogni meditazione.
Dovremmo
essere in grado di dedicarci a questa pratica in tutti i differenti
momenti della vita, in particolare nella meditazione quotidiana.
Come
vi sentite ora? quando avvertiamo un malessere il più grande samsāra
è il corpo, ci sentiamo bloccati, legati, al suo interno, perché
noi siamo inseparabili dal nostro corpo. Poiché siamo sottoposti ai
cambiamenti, ai mutamenti, ai rivolgimenti del corpo biologico
avvertiamo gli stessi condizionamenti nel corpo spirituale, dunque il
corpo biologico è qualcosa che ci confonde. Per prima cosa ogni
giorno dobbiamo nutrirlo e mantenerlo sano, forte, è un compito
veramente arduo.
Ogni
essere è composto da cinque
aggregati,
il primo è la
forma,
che occupa uno spazio e ha un colore ed è riferibile al corpo
biologico. L’aggregato della forma appartiene soprattutto agli
esseri del mondo del desiderio, a noi.
Il
secondo aggregato corrisponde alle sensazioni
che riguardano le nostre esperienze piacevoli, spiacevoli o neutre.
Il
terzo aggregato è riferito alle percezioni
e determina la percezione dell’io, del mio, di ciò che è giusto o
sbagliato, del nero o del bianco, è correlato al giudizio che
scaturisce dai pensieri costruiti nella mente.
Il
quarto aggregato è costituito dai fattori
di composizione,
o formazioni
mentali,
che si riferiscono a due categorie, la prima è relativa alla forma,
alla sensazione e alla percezione, mentre la seconda categoria, più
astratta, non corrisponde a nessun oggetto individualizzato, è un
fenomeno astratto determinato dalla composizione di più elementi. Un
esempio di formazione mentale astratta è l’affermazione “un
essere umano”
perché più che essere un vero e proprio fattore mentale è un
fattore di composizione, non si riferisce ad un individuo specifico,
ma piuttosto ad un’idea generale di essere umano, ad un’astrazione.
Un essere senziente è il prodotto della composizione dei cinque
aggregati.
Il
quinto aggregato e quello della coscienza,
o mente
principale,
e stabilisce una differenziazione tra i fattori mentali e la mente
principale; non sono la stessa cosa.
Esaminando
noi stessi dobbiamo osservare i cinque aggregati che ci compongono,
la nostra forma, le nostre sensazioni, le nostre percezioni, i nostri
fattori di composizione, la nostra mente principale, e qual’è
l’aggregato per noi più problematico ora? In realtà in questo
momento gli aggregati sono talmente interconnessi che il movimento di
uno trascina tutti gli altri e se si muove il corpo si mettono in
movimento contemporaneamente sensazioni, percezioni, fattori mentali
e mente principale.
Ciò
vale anche con le sensazioni, se si ha un malessere nelle sensazioni
esso si ripercuote nella forma e in tutti gli altri aggregati, e lo
stesso avviene con le percezioni.
Nel
momento in cui si crea un disagio in uno degli aggregati è
importante riuscire ad individuarlo, creando una sorta di
collaborazione tra loro in modo che possano prendersene cura
globalmente. Quando uno degli aggregati ha un momento di cedimento
gli altri dovrebbero essere in grado di fortificarsi per potergli
essere di supporto, di appoggio.
Non
è necessario cercare di osservare dall’esterno tutto il samsāra,
perché quando si ha la visione chiara di un aggregato è come se si
vedesse l’intero samsāra.
Noi
siamo nel regno del desiderio in cui vi sono cinque
oggetti
che rincorriamo ininterrottamente.
Il
primo oggetto del desiderio riguarda la forma, che contiene il colore
e
la
forma
che desideriamo. Per noi è assolutamente naturale inseguire questo
colore e forma, così importanti nel mondo moderno, tutte le
pubblicità sono costruite su prodotti di colore e forma.
Il
secondo oggetto del desiderio è il suono,
siamo affascinati da suoni piacevoli, per questo la musica è tanto
diffusa. Gli esseri umani sono naturalmente attratti dal suono ed è
facile per i cantanti, così come per i modelli o le modelle,
accumulare enormi ricchezze, perché con la loro popolarità sono
oggetti del desiderio.
Il
terzo oggetto è relativo all’olfatto,
riguarda le essenze, gli odori, gli aromi e lo si può rilevare dal
costo esorbitante di alcuni profumi. Mi chiedo sempre se non sarebbe
meglio acquistare qualcosa per mantenere il corpo sano e forte, per
nutrirlo in modo appropriato, piuttosto che spendere tali cifre per
degli odori, eppure i negozi di profumeria sono numerosissimi e
grandi e non c’è supermercato che non vi riservi uno specifico
reparto.
Il
quarto oggetto riguarda il gusto
e sono moltissimi gli elementi che ne sono coinvolti, non soltanto i
ristoranti.
Il
quinto oggetto è il tatto,
ad esempio il piacere di toccare stoffe raffinate. Io mi sono spesso
stupito nel vedere nelle vetrine del centro esposti abiti
costosissimi, però toccandone la stoffa si capisce che sono di
qualità particolarmente fine.
I
prezzi elevati dei prodotti offerti dalla pubblicità, dei biglietti
dei concerti, dei cd, dei profumi, del cibo e degli abiti, sono
conseguenti al desiderio della forma, del suono, dell’olfatto, del
gusto e del tatto, ma dov’è il Dharma in questi cinque oggetti del
desiderio?
Come
esseri naturalmente legati al regno del desiderio rincorriamo
istintivamente i cinque oggetti, ma dovremmo imparare a porre dei
limiti a questa corsa ininterrotta altrimenti ne diventeremo
completamente schiavi. Questi preziosi limiti si mostrano con
evidenza nella pratica del Dharma, nella rinuncia.
Rinuncia
significa non inseguire il numero infinito degli oggetti del
desiderio e sviluppare la bodhicitta, cioè far si che gli oggetti
del desiderio siano utilizzati a beneficio degli altri.
La
saggezza è necessaria per comprendere che, se si osservano
attentamente gli oggetti del desiderio, se ne vede l’inconsistenza,
non vi è nulla per cui valga la pena di affannarsi per possederli, e
questa è l’unica possibilità di trasformarli rendendoli utili.
Noi,
esseri del desiderio, abbiamo questa opportunità, questa prova,
questo rischio, perché il rischio è quello di perdere la testa
affannandosi alla ricerca dei cinque oggetti, la prova è data
dall’attrazione istintiva che esercitano su di noi, e la
possibilità è determinata dalla nostra capacità trasformarli in
strumenti di Dharma in grado di dare felicità a noi e agli altri.
Per
noi esseri samsārici del regno del desiderio i cinque oggetti
rappresentano le tentazioni principali, quindi per conoscere il
samsāra non occorre rivolgere lo sguardo all’esterno, basta
osservare i nostri aggregati.
Quando
qualcuno ritiene di avere delle intuizioni, percepisce le situazioni
come buone o cattive, ma si tratta solo dell’illusione prodotta dai
cinque aggregati che seguono la loro naturale tendenza, perché,
essendo noi permeati dalle sensazioni, sempre sentiremo qualcosa. La
stessa intuizione appartiene agli aggregati e la sua percezione è
assolutamente illusoria.
Il
sentiero perfetto è la rinuncia, l’azione disinteressata, è la
grande pratica insegnata da Gandhi, la si fa, ma senza alcun
interesse personale. In questa modo ogni azione è leggera, priva di
fatica.
Non
si attua la rinuncia gettando via le cose, distruggendo la propria
casa, sarebbe solamente un’azione insensata, ma la si concretizza
agendo sempre in maniera disinteressata, senza attaccamento, e ciò
significa vivere nel regno del desiderio senza appartenere al regno
del desiderio.
Nella
tanka qui appesa sono raffigurati i cinque oggetti del desiderio, lo
specchio rappresenta colore e forma, la campana il suono, la
conchiglia l’olfatto, la frutta il gusto, gli abiti il tatto, e
costituiscono nell’insieme cinque oggetti che possono essere
presentati come offerta. Sono per noi elementi di grande disturbo e
li offriamo al Buddha affinché li allontani dai nostri occhi;
naturalmente è fondamentale che l’offerta sia assolutamente priva
di attaccamento.
Nella
vecchia società tibetana erano comuni le competizioni a proposito
delle offerte, perché chi versava le più consistenti poteva godere
di un posto migliore e ricevere dal Lama il regalo più bello, e chi
invece si presentava a mani vuote probabilmente non riusciva nemmeno
a vederlo da lontano. Un tempo per poter avere un’udienza dal Dalai
Lama era necessaria un’offerta molto speciale, ad esempio un
animale particolarmente raro. Questa consuetudine delle offerte ai
Lama è purtroppo tuttora vigente e, se può essere passabile nelle
occasioni mondane, non è assolutamente tollerabile in ambito
spirituale, anzi è doveroso esattamente l’opposto, non dovrebbe
esistere nemmeno un ostacolo all’incontro con i Lama che, con cuore
colmo di amore e compassione, animato da bodhicitta, non potrebbero
che avere un’attenzione particolare proprio verso il più povero
dei postulanti.
Mi
ha commosso la lettura della vita di San Francesco, così autentica,
e mi ha particolarmente colpito la scena dell’udienza pontificia in
cui tutto il clero era in pompa magna e solo i ricchi venivano
ammessi ostentando la loro potenza, così come succedeva esattamente
nell’antico Tibet, mentre San Francesco si presenta vestito di
stracci.
La
spogliazione di San Francesco è molto simile a quella di Milarepa
che viveva nudo.
Milarepa,
soprattutto quando era in ritiro stretto, era completamente nudo e
aveva anche l’abitudine si spostarsi spesso. Un giorno sua sorella
e la fidanzata di un tempo, una ragazza che nessuno sposava perché
temeva la magia nera ben conosciuta da Milarepa, quando lo trovarono
dovettero coprirsi gli occhi per nascondersi alla sua nudità.
La
sorella lo rimproverò accusandolo di essere uno svergognato che non
possedeva niente, al contrario di altri Lama che godevano di una
grande quantità di discepoli e di offerte, ma Milarepa le rispose
che il suo Dharma era differente da quello degli altri, perché lui
aveva solo il corpo con cui era nato e non vi era nulla di cui
vergognarsi; questo rappresenta la purezza.
Poiché
non riuscivano a seguire tutti i suoi spostamenti, le due donne lo
pregarono di non muoversi fino a quando non fossero ritornate e, dopo
aver elemosinato del cibo e della stoffa bianca ricavata da uno
scialle, ritornarono pregandolo di vestirsi, ma la volta successiva
lo ritrovarono completamente nudo.
La
sorella gli chiese dove avesse messo il vestito e Milarepa rispose
che aveva preparato tutto per bene e gli mostrò tanti piccoli
ritagli di stoffa che servivano per ricoprire ad esempio le dita dei
piedi e la testa. La sorella lo accusò di essere completamente
pazzo, di dichiarare a tutti di non avere mai tempo dovendosi
dedicare al Dharma e poi ne aveva sprecato tanto per rovinare
completamente la stoffa che lei aveva procurato con grande fatica.
Eppure questa non è altro che la grande rinuncia.
E’
interessante il fatto che San Francesco e Milarepa fossero
contemporanei e anche i luoghi in cui vissero, le grotte, sono molto
simili. Io sono commosso dalla figura di San Francesco e per me è
come se avesse una religione propria, lui stesso era un Buddha, la
sua religione era il suo Dharma.
Questa
sera ho parlato molto, il discorso è fluito gioiosamente,
naturalmente. Quando invece si vuole progettare, si costruisce un
ragionamento e ci si afferra alle nozioni, tutto diventa complicato,
sia per il Lama che per i discepoli.
Il
Dharma è un fenomeno naturale che deve scorrere naturalmente e in
maniera misteriosa a seconda delle situazioni che si vengono a
creare. Io parlo, ma in realtà tutti stiamo parlando, io sono solo
il microfono, questo è importante, il motivo per cui sono qui è
proprio la mia funzione di altoparlante, sono stato addestrato per
essere uno speaker del Dharma, ma il Dharma appartiene a ognuno e
quando ci ritroviamo insieme siamo noi che creiamo il discorso che
poi io pronuncio. Io mi siedo e in quel momento nasce ciò che poi
dirò, a volte il discorso risponde perfettamente alle necessità
delle persone.
Dunque
dedichiamo ogni nostra pratica di Dharma a beneficio di tutti gli
esseri senzienti e recitiamo insieme gli “Otto Versi di
Trasformazione della Mente” (pag.
12).
Ora
leggiamo il primo capitolo del Bodhicaryāvatāra di Sāntideva anche
se oggi ci soffermeremo ad analizzare il testo solo fino al sesto
versetto.
- In adorazione io rendo omaggio ai Sugata e ai loro figli, e ai loro corpi di Dharma, e a tutti coloro degni di lode. In breve, in accordo con le scritture, esporrò l’intraprendere la pratica dei figli dei Sugata
- Nulla di nuovo qui si dirà, né per la composizione ho particolari abilità. Non immagino quindi di riuscire utile agli altri. Ho composto questo per profumare la mia mente.
- Nel farlo, cresce l’impeto della mia ispirazione a coltivare ciò che è salutare. Se poi anche un altro, con le mie stesse inclinazioni, dovesse vederlo, potrebbe ricavarne beneficio anch’egli.
- Tale momento propizio è estremamente difficile da incontrare. Una volta incontrato, produce il benessere dell’umanità. Se il vantaggio viene ora trascurato, quando mai avverrà di nuovo questo incontro?
- Come di notte, nell’oscurità fitta di nuvole, un lampo dà luce un momento, così una volta o l’altra, per il potere del Buddha, ad atti di merito la mente del mondo potrebbe volgersi un momento.
- Stando così le cose, il potere del bene è debole, sempre, mentre il potere del male è enorme e terribile. Quale altro bene potrebbe soggiogarlo, se non la perfetta mente del risveglio?
Il
potere del bene è debole e quello del male è enorme e devastante,
quindi l’unica soluzione è la bodhicitta, è la ragione della sua
esistenza indispensabile, è l’unica possibilità per sovvertire la
situazione in cui il bene è poco e il male è grande.
San
Francesco, Milarepa e gli antichi maestri kadampa sono un esempio
perfetto di bodhicitta.
L’importanza
del Lama non è data dall’avere una campana d’oro piuttosto che
d’argento o di bronzo, questa è la malattia della religione.
Il
rosario che ho nella mano è un dono dei miei genitori e mio padre lo
aveva impreziosito in tre punti con corallo e turchese aggiungendo
anche dieci bacchettine d’argento per il conteggio dei mantra, ma
io ho tolto tutto lasciando il rosario nudo nella sua essenzialità.
Questo rosario è una benedizione dei miei genitori che sono i nostri
primi maestri, ci insegnano a mangiare a vestirci, a camminare, a
parlare, ci educano, e hanno un grande potere nel benedirci perché
noi siamo loro creature.
In
questo palazzo ci sono alcune persone molto anziane, una signora di
centouno anni e la figlia di settantacinque, io vado sovente a
trovarle e ogni volta mi benedicono dicendo: “Dio
ti benedica e anche tutta la tua famiglia”
è veramente bello, una vera benedizione.
Grazie
a tutti.
Meditazione nella Presenza Mentale eAccumulazione dei Meriti
La
nostra azione basilare è la respirazione profonda, e ciò vale sia
nella seduta di meditazione che in qualsiasi momento della vita,
perché è un tipo di respiro che favorisce la presenza mentale,
cominciando dalla sua stessa osservazione.
E’
essenziale attivare lo strumento idoneo a mantenere un corpo e una
mente sani e la presenza mentale sul respiro, non relegata alla sola
sessione meditativa ma rivolta ininterrottamente alla quotidianità,
è il metodo migliore per raggiungere l’obiettivo, anche se non è
né facile né automatico; è necessario richiamare costantemente la
presenza mentale ad ogni istante, perché scordandocene dimentichiamo
anche di avere un respiro profondo.
La
presenza mentale sul respiro crea una connessione tra il corpo e la
mente in quanto il respiro è la base sostanziale del corpo, così
come la presenza mentale è l’essenza della mente, e in questa
congiunzione della presenza mentale, dell’essenza della mente, con
la base fisica del respiro, si realizza l’unione tra corpo e mente.
E’
inoltre indispensabile mantenere inalterata la buona intenzione,
perché la motivazione del buon cuore rende il nostro corpo e la
nostra mente sani e positivi. C’è una grande differenza tra
l’aspetto della salute e quello della positività.
Il
nostro compito consiste nel costruire una mente e un corpo sani, una
solida base su cui elaborare la loro trasformazione positiva.
Con
“mente positiva” intendiamo descrivere un atteggiamento,
un’attitudine proficua che permette di approfondire e ampliare la
presenza mentale. L’attitudine positiva rende la presenza mentale
significativa e fa si che le azioni fisiche siano, non solo
favorevoli, ma anche significanti. Questo è il modo per poter
cogliere il vero senso della vita e arricchirla di significato.
Brevi
sedute di meditazione quotidiane sono necessarie per mantenere viva
l’attenzione nella presenza mentale e questi incontri settimanali
sono un’ottima occasione per rinfrescarla e rinnovarla, dobbiamo
però conservarla e nutrirla quotidianamente con l’energia della
meditazione.
Le
modalità di pratica sono tante e ognuno deve trovare quella a lui
più consona, è come un abito che deve essere accomodato secondo le
misure di chi lo indossa, lo stesso vale per la pratica del Dharma,
vi sono le indicazioni fondamentali generali, che però devono essere
applicate individualmente, secondo le differenti realtà personali.
La
meditazione non è un pacchetto preconfezionato, uguale per tutti,
l’individuo ha il dovere di trovare il metodo a lui più conforme e
di seguirlo, è una responsabilità assolutamente personale,
qualcun’altro può indicarci la pratica del Dharma, il metodo, ma
poi ognuno deve adattarlo a se stesso, questa è una peculiarità
sostanziale della meditazione.
I
tanti metodi differenti conducono tutti ad un unico risultato, alla
presenza mentale.
La
presenza mentale è talmente importante da essere stata il primo
insegnamento sulla meditazione dato dal Buddha che non ha parlato
della bodhicitta, della rinuncia, prima di tutto ha insegnato la
meditazione nella presenza mentale sul respiro.
Per
poter correre è necessario aver appreso antecedentemente a camminare
e, altrettanto, la presenza mentale sul respiro permette che
impariamo a muoverci, a camminare, nella meditazione così da poter,
un giorno, anche correre.
Spesso
qualcuno vorrebbe nell’immediatezza volare, correre, arrivare
chissà dove, ma è impossibile, prima bisogna saper stare in piedi,
camminare. In occidente generalmente si ha una concezione bizzarra
della meditazione, si vorrebbe levitare, ma nessuno sa cosa sia ciò
che levita, è un’idea confusa e del tutto erronea e fuorviante.
La
disinformazione sulla meditazione è ampiamente diffusa ed è uno dei
motivi per cui è così difficile insegnare la vera meditazione,
bisogna impiegare molto tempo per ripulire ed eliminare le fantasie
che purtroppo non sono un dettaglio di poco rilievo, bensì il
risultato di concezioni sbagliate e fuorvianti profondamente radicate
nella cultura occidentale.
I
primi passi della meditazione sono fondati sulla presenza mentale nel
respiro.
La
presenza mentale però deve essere mantenuta inalterata in ogni
attività della giornata, anche dopo la sessione meditativa vera e
propria,. Non è importante che il respiro sia sempre profondo, il
punto veramente cruciale è esserne consapevoli e osservarne le
caratteristiche. Si hanno molte esperienze misteriose in questa
pratica, all’inizio ci si può sentire un po’ ridicoli, ma con il
tempo si constaterà che la vita quotidiana si arricchisce
progressivamente nella tranquillità, nella gioia, nella calma, e
nella pace.
Su
queste basi dobbiamo sviluppare un atteggiamento positivo consapevoli
che nel momento in cui siamo in grado di camminare potremo dirigerci
verso la meta desiderata. Ovviamente se non conosciamo quale
direzione prendere è un problema.
Nella
presenza mentale potenziamo la chiarezza riguardo le nostre
attitudini e abitudini, e verifichiamo nell’esperienza che
l’atteggiamento consueto di mettere istintivamente al primo posto
il proprio io in modo così esclusivo da cancellare ogni altra
realtà, è la fonte di tutte le sofferenze.
Nel
momento in cui incontriamo dei problemi se focalizziamo tutta
l’attenzione su di essi ne incrementeremo la potenza facendoli
diventare enormi, più pesanti, e numerosi in modo proporzionale alla
nostra preoccupazione.
Se
invece siamo consapevoli che ciò che ci affligge in questo momento è
vissuto da moltissime altre persone, probabilmente in modo
infinitamente peggiore, ci accorgiamo che la nostra difficoltà non è
così greve, diventa sempre più piccola e leggera, e ciò è dovuto
al cambiamento dell’atteggiamento interiore.
Il
mutamento è determinato dalla trasformazione della nostra abituale
attitudine egoistica ed egocentrica in un’attitudine sinceramente e
genuinamente altruistica. La trasformazione dell’atteggiamento
mentale è fondamentale e significativa.
Secondo
me, questa però è un’osservazione del tutto personale, il samsāra
è assolutamente egualitario e ripartisce la sofferenza tra tutti i
membri del samsara equamente, la differenza consiste soltanto nel
modo con cui la si affronta.
Nell’antico
Tibet c’era un re da tutti riconosciuto come Bodhisattva il quale,
desiderando fortemente uguale benessere per la popolazione, percorse
l’intero territorio per tre volte ridistribuendo le ricchezze in
parti uguali tra tutti. Fece questo in un primo viaggio e, tornando
indietro, constatò che era stata nuovamente instaurata la situazione
precedente, allora, pensando di aver commesso degli errori, rifece lo
stesso percorso per una seconda volta, e poi per una terza, ma sempre
con identico desolante risultato e, arrendendosi, concluse che
probabilmente si trattava di un’operazione impossibile.
Il
re aveva ripartito equamente le proprietà e, allo stesso modo, il
samsāra distribuisce la stessa quantità di sofferenza a tutti, ma
proprio perché siamo esseri diversi e ognuno ha un proprio karma,
una propria intelligenza, una propria volontà, noi stessi siamo gli
unici responsabili di ciò che ci è stato dato, lo modifichiamo e
viviamo in maniera difforme. Il senso di questo è che non bisogna
mai fermarsi al giudizio, “quello
soffre di meno o quell’altro di più”
perché tutti soffriamo allo stesso modo, la percezione differente
della sofferenza è determinata dal nostro pensiero illusorio.
Il
cambiamento di attitudine invece è talmente potente da poter
trasformare la sofferenza in felicità, come descrive Sāntideva nel
Bodhicaryāvatāra, è il segreto della mente, e chi non lo conosce
non riuscirà mai a trovare la felicità che desidera.
Siamo
esseri senzienti e ognuno di noi è dotato di una mente che possiede
il potente segreto che è la capacità di trasformare se stessa.
La
pratica del Dharma è ciò che permette di purificare, di modellare
la mente e, grazie a questo, di abbassare la pressione del dolore.
Solo così possiamo liberarci dal giogo della sofferenza.
Nella
trasformazione della mente abbiamo la possibilità di praticare
l’altrettanto fondamentale accumulazione dei meriti, che
rappresentano un bene invisibile infinitamente superiore a ogni
fortuna materiale, fragile e soggetta alle fluttuazioni del mercato.
L’accumulazione
dei meriti invece è un patrimonio sicuro, un ottimo investimento
progressivamente incrementato dalla mente positiva.
Si
guarda spesso all’accumulazione dei meriti come se fosse qualcosa
di misterioso, ma in realtà non c’è nulla di arcano, si tratta
semplicemente del frutto delle nostre attitudini ed azioni. Questa
forma invisibile di ricchezza è ciò che ci accompagna nella giusta
direzione e rende la mente positiva.
Quando
si è privi del supporto dell’accumulazione di meriti qualsiasi
cosa si intraprenda non avrà successo. L’accumulazione dei meriti
è un ottimo supporto, sostiene e favorisce ogni forma di successo.
L’accumulazione
dei meriti deriva dalla mente, dall’attitudine e dalle azioni
positive.
A
volte si ha un’idea del Dharma davvero bizzarra, lo si considera
uno strano e complesso meccanismo, in realtà si tratta della
produzione di un’energia invisibile. Quando vivevo in monastero in
India, nessuno si è mi interessato all’aura delle persone, ma non
appena arrivato in occidente mi sono sentito dire che avevo una
grande aura, addirittura mi è stato riferito che a Roma c’è uno
studio fotografico in grado di fotografare l’aura delle persone.
Pare che la magnitudine dell’aura abbia a che fare con
l’accumulazione dei meriti, ma prima bisognerebbe poterlo
verificare. Io non ho certezze in merito, ma se esiste un’aura, il
riflesso della vibrazione di una mente positiva, potrebbe sicuramente
essere un segno dell’accumulazione dei meriti.
Sarebbe
opportuno studiare seriamente e a lungo l’argomento relativo
all’accumulazione dei meriti, anche perché è sbagliato pensare
che si tratti di un meccanismo automatico per cui ad ogni singola
buona azione corrisponda un’immediata accumulazione di meriti,
questa è il risultato di un cambiamento interiore, frutto di un
lunghissimo percorso.
Il
tema dell’accumulazione dei meriti non è trattato quasi per nulla
in occidente, mancano riferimenti corretti, si tende a schematizzare
il Buddhismo in rigidi ambiti come la psicologia, o la filosofia, o
nel suo mero aspetto scientifico, ma non lo si considera mai nella
sua essenza spirituale di cui l’accumulazione di meriti è elemento
fondamentale. Per gli occidentali è più facile inquadrare ogni
realtà nella certezza di categorie ben definite, piuttosto che
affrontarne l’essenza spirituale.
Intervento:
Purtroppo in occidente siamo particolarmente distratti dal benessere
e dalla superficialità di tante cose per cui è più sicuro fermarsi
ad aspetti marginali e comunemente accettabili, così da poter
facilmente gratificare e potenziare il nostro ego, almeno
inizialmente è una forma di ricerca di benessere mentale, una novità
che ci distrae.
Intervento:
Nelle scuole italiane si insegna filosofia, psicologia, scienza, ma
nessuno affronta mai realmente la spiritualità, anche le lezioni di
religione sono tutt’altra cosa.
Domanda:
Ad un’azione positiva talvolta può non corrispondere una
motivazione positiva, anzi può nascondere un ego molto forte, non
c’è alcun interesse verso l’azione, che però produce ugualmente
effetti positivi, che valore ha?
Lama: Ci
sono due livelli di intenzione, il livello causale e il livello
risultante. Il livello causale, l’intenzione, è fondamentale,
primario. In questo primo momento il secondo livello, del risultato,
non è tanto importante. Ad esempio, quando partecipiamo a questi
incontri c’è un’intenzione causale che ci porta qui, ma nel
momento in cui ci siamo l’intenzione risultante dipende da quella
che ha causato la nostra presenza. Se l’intenzione causale non era
positiva anche il risultato ne sarà corrotto. Il livello causale è
determinante.
Domanda:
C’è un altro modo per definire l’accumulazione dei meriti?
perché per una mente occidentale questa formulazione risulta un po’
ostica.
Lama: Non
saprei, forse una sorta di buona energia? non ha importanza l’aspetto
letterale, ciò che conta è il concetto e la sua acquisizione
richiede tanto tempo. Il termine con cui la si indica è soltanto un
metodo che dovrebbe aiutarci a coglierne il significato, la strada
per comprende tutto questo è lunghissima, richiede lo scorrere di
molte vite.
Concludiamo
la serata recitando gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente”.
(pag. 12)
Bodhicaryāvatāra - capitolo primo
Bodhicitta
Il
mercoledi per noi è il giorno di approfondimento della bodhicitta
attraverso la lettura del Bodhicaryāvatāra.
La
bodhicitta è l’essenza del buddhadharma, cioè dell’insegnamento
del Buddha, è l’essenza del cuore umano.
Il
cuore, e non soltanto dell’essere umano, ma di ogni essere
senziente, possiede l’inestimabile qualità di poter sviluppare la
mente di bodhicitta.
Ho
saputo che in Spagna il governo Zapatero ha approvato una legge in
cui è riconosciuto alle scimmie il diritto a un trattamento simile a
quello umano, dunque è in perfetta sintonia con questa filosofia,
perché tutti gli esseri senzienti posseggono la stessa qualità di
poter sviluppare la mente di bodhicitta, con questa decisione
l’evoluzione culturale europea dimostra di essere la più avanzata
nel mondo.
Pare
che attualmente il livello economico italiano sia inferiore a quello
spagnolo, non è un buon segno per gli italiani perché
precedentemente avevano un tenore di vita migliore, ciò indica che
la Spagna sta assumendo una funzione culturale interessante e
particolare, ha avuto la fermezza di ritirare le proprie truppe
dall’Irak dimostrando di non voler sottostare alla supremazia
americana quando, al contrario, persino il Giappone, che non ha
proprio nulla a che fare con l’Irak, è stato costretto a inviare
il proprio esercito.
La
cultura umana è fondamentale, costituisce la ricchezza dell’umanità,
è dunque una magnifica notizia per tutto il pianeta questa nuova
considerazione che parifica gli animali all’uomo. D’altra parte
al di fuori da questa visione sarebbe impossibile sviluppare la
grande compassione, la bodhicitta.
L’atteggiamento
precedente in cui gli umani si sentivano superiori e padroni degli
animali non era certamente favorevole perché, se fisicamente possono
sussistere numerose differenze, spiritualmente c’è solo
eguaglianza.
La
scienza ha dimostrato che la nostra parentela con le scimmie è
fortissima, li possiamo considerare nostri antenati, quindi perché
non accettare che abbiano le stesse capacità. L’evoluzione sociale
che si sta verificando è dunque nella giusta direzione della grande
compassione, della bodhicitta.
Nel
giornale di oggi è riportata la notizia di uno studio dell’unione
europea da cui emerge che gli anziani italiani soffrono maggiormente
di insicurezza, di ansia, rispetto a quelli degli altri paesi. Non si
risolve un simile problema solo incrementando le risorse materiali,
ma soprattutto radicando nel cuore la cultura umana, sviluppando i
valori spirituali.
Se
i politici, che hanno la responsabilità di governare un paese, si
concentrano esclusivamente su interessi personali e nella corsa
elettorale, anziché preoccuparsi del reale benessere della
popolazione, cadono in un grave errore perché coloro che sono
preposti al servizio della società dovrebbero essere persone colme
di una grande compassione. Se non hanno questo atteggiamento nel loro
cuore è inevitabile il degrado nella cultura di tutta la nazione. E’
essenziale non scindere mai l’interconnessione tra l’analisi
sociale, la cultura umana e i valori spirituali.
Non
scordiamo dunque di riferirci sempre agli “essere senzienti” e
non solo agli esseri umani, comprendendo così ogni creatura, come
gli animali, dotata delle stesse capacità sensoriali.
In
occidente è difficile far comprendere questo concetto, anche nella
Carta delle Nazioni Unite si parla dei diritti degli esseri umani e
non dei diritti di tutti esseri senzienti, un segno di mancanza della
grande compassione, della bodhicitta. Però pare che ora, come sta
dimostrando la Spagna, stia entrando nella sensibilità sociale una
visione più ampia che accoglie in parità tutti gli esseri
senzienti, è un segnale veramente positivo. La cultura degli esseri
senzienti deve fondarsi sulla grande compassione, la bodhicitta.
Rileggiamo
il primo capitolo del Bodhicaryāvatāra “l’Elogio della Mente
del risveglio”. (pag.
4)
In
tibetano il concetto di felicità è espresso con un termine che
indica l’attitudine altruistica, positiva; l’atteggiamento
contrario è quello negativo, egoistico; esiste poi un’attitudine
neutra, né positiva né negativa.
Nella
maggior parte del tempo noi manteniamo probabilmente un atteggiamento
neutro, che non è male in sé, ma è debole e fragile e facilmente
si volge in negativo; solo nel Dharma riusciamo a trasformarlo in
positivo, nell’attitudine altruistica di amore e compassione o, se
preferite, di misericordia.
La
misericordia divina, a cui ci rivolgiamo con facilità e leggerezza,
è in sé meravigliosa, ma noi stessi abbiamo la necessità e il
dovere di praticare la misericordia. Spesso le persone si affidano
completamente alla misericordia divina, nella certezza che la
salvezza verrà regalata, senza necessità di alcuno sforzo
personale, ma così sarebbe troppo semplicistico e irreale, la
propria responsabilità non può essere delegata a nessuno, sarebbe
come dire “il
Buddha ha amore e compassione quindi io sono salvo”.
Ma il Buddha ha detto: “Io
non sono il vostro salvatore perché voi stessi siete il vostro
salvatore”.
Noi
abbiamo la capacità di sviluppare la misericordia, la bodhicitta, la
più preziosa protezione contro le difficoltà, le miserie, il
dolore. La compassione nel nostro cuore è ciò che ci salva e
protegge.
Sāntideva,
con infinita compassione, descrive il Lam Rim, il sentiero graduale,
nel modo più conciso e completo affinché tutti possano essere in
grado di comprenderne l’inestimabile ricchezza e goderne
pienamente.
Il
contenuto del Bodhicaryāvatāra è il sentiero e il frutto mahāyāna,
è un messaggio destinato in modo particolare ai praticanti e la
motivazione ultima, definitiva, è di far si che coloro che lo
leggono possano più facilmente raggiungere l’illuminazione.
Lo
scopo ultimo del testo dipende dal suo scopo temporaneo, e lo scopo
temporaneo dipende dal testo stesso. Questi tre passi sono
interconnessi.
- Qual’è il contenuto del Bodhicaryāvatāra? - Il sentiero e il frutto mahāyāna -.
- Qual’è lo scopo temporaneo del testo? - il fatto che si possa apprendere attraverso la sua lettura il sentiero e il frutto mahāyāna -.
- Qual’è lo scopo ultimo del testo? - il conseguimento dell’illuminazione -.
Il
quarto fattore è costituito dall’interconnessione tra i tre
passaggi: si può ottenere lo scopo ultimo dell’illuminazione
attraverso quello temporaneo della comprensione del sentiero e del
frutto mahāyāna, ma questa comprensione dipende dal testo stesso.
Noi
iniziamo a leggere e studiare queste scritture al fine di comprendere
il sentiero e frutto mahāyāna, e la ragione per cui per cui
vogliamo imparare il sentiero e il frutto mahāyāna è il
conseguimento dell’illuminazione. Sono quattro passaggi
assolutamente fondamentali.
Nel
punto in cui Sāntideva afferma che in breve esporrà quanto
contenuto nelle scritture, fa una sorta di promessa che è di
auspicio al completamento del suo compito. La persona nobile non
promette molte cose, ma ogni sua promessa è irrinunciabile, è
incisa nella pietra, non potrà essere cancellata e, se anche non
potesse compierla interamente in questa vita, la completerà nelle
vite future. Promettere una realtà favorevole e virtuosa crea
un’inscindibile interconnessione con la sua realizzazione.
Il
secondo verso dimostra la completa umiltà dell’autore
nell’affermazione di non dire nulla di nuovo perché tutto è già
stato detto e nella precisazione che non si tratta di una
composizione poetica espressa con eleganza retorica, tanto che
l’autore nutre il dubbio di poter essere realmente di beneficio
agli altri. Precisa che le sue motivazioni sono finalizzate allo
sviluppo delle azioni virtuose e della fede e auspica che chiunque
abbia una disposizione mentale simile possa trarre beneficio dalle
sue riflessioni.
E’
una composizione stupenda, ricca e profondissima. Noi forse non
abbiamo una disposizione mentale simile a quella di Sāntideva, ma
evidentemente esiste una connessione karmica.
Il
cammino nel Mahayana accoglie e non esclude assolutamente quelli del
Theravāda e del Vajrayāna. Il Mahāyāna è essenzialmente il
sentiero della bodhicitta e la bodhicitta è il centro, l’essenza,
di tutti i praticanti buddhisti del pianeta.
Sāntideva
visse tra l’ottavo e il nono secolo nell’università di Nālandā,
era considerato il più pigro tra i monaci, dormiva notte e giorno,
era un grande praticante dello yoga del sogno, eppure gli altri
monaci lo accusavano di essere un inetto, capace solo di dormire e
mangiare.
Nei
monasteri chi si mostra particolarmente attivo non ha mai tempo per
sé stesso perché sempre qualcuno gli chiederà di fare qualcosa,
mentre chi resta in disparte e non si mette in mostra, passa
inosservato e dispone di tutto il tempo per la pratica del Dharma.
Sono due modalità differenti dei Bodhisattva, alcuni sono di
beneficio agli altri nell’alacrità dell’azione, altri invece,
apparentemente pigri, beneficano gli altri coltivando in se stessi la
bodhicitta. Sāntideva nel cuore era estremamente attivo, un grande
yogi che praticava ininterrottamente. Rifletteva sull’essenza
dell’esistenza ogni giorno, ininterrottamente, e ne sono prova i
suoi scritti. La pratica del Dharma è un’opera del cuore, una
produzione interiore.
Nell’introduzione
al testo sicuramente è riportata una nota sulla vita di Sāntideva,
leggetela perché è davvero interessante, anche se probabilmente un
po’ leggendaria, è difficile credere che la sua esistenza
corrisponda esattamente a quanto descritto.
Tradizionalmente
nell’università di Nālandā prima di essere abilitati
all’insegnamento era necessario un lunghissimo periodo di
apprendimento e, quasi sempre al suo termine, i monaci decidevano di
ritirarsi nella foresta in meditazione solitaria. Pare che anche
Sāntideva abbia scelto questa via e successivamente fu riconosciuto
come uno dei meravigliosi e preziosi ottanta mahāsiddha. La storia
delle loro vite è davvero affascinante. Alla fine si abbandona
perfino se stessi. Quando si è riusciti a sviluppare la bodhicitta
si ha tutto.
Mahāsiddha
significa esattamente l’aver sviluppato la bodhicitta, non è un
obiettivo facile ma è il più importante e stupendo. Se tutto il
mondo avesse sviluppato la bodhicitta si sarebbero dissolti
naturalmente tutti i problemi.
Ogni
religione ha in sé questo tipo di qualità, ma ogni suo abuso,
manipolazione e fraintendimento è fonte di confusione, di non
realizzazione e di gravi errori. Le religioni offrono il messaggio
dell’amore, della compassione, della bodhicitta, che è
potentissimo, non esiste nulla di altrettanto potente.
Come
diceva Gandhi l’unico messaggio da trasmettere è un messaggio
d’amore. Stiamo parlando di Gandhi, non di un erudito qualunque, ma
di qualcuno che ha realizzato tutte le pratiche spirituali perché
aveva un cuore puro, non parcellizzato, non frantumato.
Un
cuore di questo genere è in grado di cogliere la verità ovunque
essa sia, nella Bibbia, nella Bhagavad Gita, nelle Scritture
buddhiste, in tutte le religioni, e non basandosi sulla lettura dei
testi, ma nell’esperienza del proprio cuore puro.
Per
portare un messaggio non occorre essere necessariamente dei
messaggeri, Gandhi combatteva per la libertà del suo paese e nel
contempo era un grande maestro spirituale. Come avvocato, pur avendo
tutte le qualificazioni per esercitare la professione, era molto
povero, non aveva invece studiato, non era stato addestrato, per
essere una guida spirituale, eppure in lui questa capacità scaturiva
naturalmente e potentemente.
Oggi
ci sono infinite specializzazioni, master, certificati, diplomi, ma
nessuno di questi permette di ottenere realmente qualcosa di
significativo, perché un buon risultato può essere conseguito solo
grazie alla buona disposizione mentale.
Gandhi
aveva studiato da avvocato, ma riconobbe che non aveva nulla a che
fare con quella professione perché la sua disposizione mentale era
tutt’altra e lui la seguì, piuttosto che cercare il benessere e il
ruolo sociale che gli competevano, seguì il suo cuore, questa è la
differenza.
Il
Bodhicaryāvatāra porta il messaggio della bodhicitta, che in un
linguaggio occidentale potremmo chiamare “amore”.
Recitiamo
gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente”. (pag.
12)
Gentilezza amorevole, grande Compassione, Bodhicitta.
Il
punto da cui partire è l’analisi dei vantaggi che derivano dal
prendersi cura degli altri e degli svantaggi provocati dal prendersi
solo cura di se stessi, elementi importanti e sostanziali nella
pratica della bodhicitta.
La
bodhicitta non si ottiene istantaneamente, quasi per magia, deve
essere coltivata, accudita, lasciata germogliare lentamente, come un
campo di grano o di orzo.
In
occidente siamo irresponsabilmente viziati dall’abbondanza di
prodotti offerti nei supermercati, la soddisfazione del possesso di
qualsiasi oggetto è quasi automatica e non ci soffermiamo mai a
pensare a quanto tempo, lavoro, sudore, spesso salute e vita sia
costato a coloro che hanno prodotto quel bene.
Acquistando
un frutto, il pane, il tè, il riso, dovremmo riflettere sul loro
reale valore, e non darli per scontati con leggerezza, quasi fosse un
diritto acquisito ma solo nostro.
In
Italia oggi siamo davvero fortunati, c’è abbondanza, non si soffre
la fame e tutto sembra facile, però dobbiamo ricordare che non è
così in altre parti del mondo e che anche qui in passato, come
racconta la cara amica di centouno anni che abita in questo palazzo e
ha vissuto le due guerre mondiali, un tempo la vita era dura, ricorda
quando qualche centesimo costituiva una cifra già considerevole. E’
l’unica persona veramente felice per il passaggio della lira
all’euro, e non tanto per l’euro in sé, ma per la ricomparsa dei
centesimi.
Ho
esperienza diretta della fatica di coltivare un campo perché, non in
Nepal ma in India nel monastero, questo compito è toccato per anni a
me e ai miei compagni, è stata comunque un’esperienza gioiosa,
vissuta insieme agli altri, fisicamente però il lavoro era duro e
pesante.
Un
proverbio nepalese ricorda che quando un chicco di grano va disperso
si piange perché, per la sua possibilità di esistere, è stata
impiegata un’immensa energia di fatiche, di tempo, di vita.
In
occidente non ne abbiamo idea, grazie ai supertecnologici macchinari
agricoli a disposizione un solo uomo può ottenere grandi risultati,
ma non è così altrove e, nell’incapacità di comprendere il
significato profondo di ogni passaggio che porta con consequenzialità
al risultato finale, ci sfugge completamente la relazione della legge
di causa-effetto così evidente in questo processo.
Dobbiamo
invece riflettere, ad ogni boccone, sull’importanza del cibo che
stiamo mangiando, su quanto è costato in termine di vita ai tanti
esseri che hanno cooperato per la nostra sopravvivenza e benessere.
Non possiamo mai prescindere dalla relazione di causa-effetto.
Quando
acquistiamo un pacchetto di riso basmati ne gustiamo il sapore, lo
apprezziamo, però purtroppo non ci soffermiamo a considerare quanto
sia intriso di fatica, di fame, di perdita vitale sia umana che
animale, e di quanto sia dunque prezioso. Le persone che hanno
lavorato per offrirci questo riso non sono sicuramente state
ricompensate giustamente per il loro lavoro, sono denutrite e non
hanno alcuna possibilità di godere del frutto della loro fatica.
Nel
mio monastero si coltivavano migliaia di sacchi di riso e di
granturco che, non appena imballati, erano immediatamente esportati
all’estero, ma chi li aveva prodotti ne traeva un beneficio
irrisorio, ad usufruirne, in base alle leggi di mercato, erano altri.
La
relazione di causa effetto inizia dal primo seme sino a giungere,
attraverso un lungo processo, sulla nostra tavola.
Se
per il riso, il mais, o per ogni prodotto della terra il procedimento
completo è così lungo, complesso e denso di sforzi, tanto più lo
sarà per quel fenomeno supremo che è la bodhicitta, così elevato
che non lo si può comprare a nessun prezzo, ma proprio per questo
richiede la coltivazione più lunga e accurata.
La
bodhicitta non matura in un istante, il processo di crescita è
lento, delicatissimo, raffinato, necessita di attenzione di cure
appropriate e continue. Per non distrarsi bisogna mantenere vivida
nella mente la conoscenza e la consapevolezza dei vantaggi che
derivano dal prendersi cura degli altri e degli svantaggi che nascono
dal pensare solo a se stessi.
La
felicità, la gioia, la serenità, la soddisfazione, la tranquillità
mentale, sono frutto esclusivo della cura che si ha nei confronti
degli altri. In un primo momento non sarà certamente facile, ma
mantenendosi saldi nella convinzione, nell’impegno, è
un’attitudine che evolverà naturalmente.
Da
anni continuo a studiare e approfondire le scritture buddhiste per
poterle insegnare in Italia e ciò che mi colpisce tuttora è la
conferma reiterata che la realtà più importante, è la bodhicitta.
La
pratica della bodhicitta è sempre positiva, anche quando si
commettono errori non se ne trarrà un danno, non si finirà
all’inferno, esistono invece altre pratiche, dense di rischi e di
pericoli, che io non intendo proporre né a me stesso né a voi, sono
così complicate che non so nemmeno da dove abbiano origine.
L’essenza
del Dharma, della spiritualità umana, è nella bodhicitta.
La
bodhicitta è il diretto risultato del naturale desiderio di offrirsi
volontariamente, di mettersi in prima persona al servizio del
prossimo, si offre senza riserve la propria felicità agli altri,
assumendo su di sé tutta la loro sofferenza. Se ci si sofferma a
pensare in termini ordinari, un po’ egoistici, ci si chiede perché
si dovrebbe dare completamente se stessi agli altri, ma nel momento
in cui ci si cala ad un livello più profondo in questo modo di
essere si sente la gioia immensa che ne deriva.
La
bodhicitta è il frutto diretto dell’offrire completamente se
stessi agli altri e consegue alla grande compassione.
La
grande compassione è l’aspirazione, il desiderio, di poter
dissolvere tutti problemi e le sofferenze degli esseri senzienti.
Sarebbe davvero meraviglioso se tutti fossero liberati dalla
sofferenza.
La
fase immediatamente antecedente alla grande compassione è la
gentilezza amorevole, l’atteggiamento che ci induce a pensare a
come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti possedessero
la felicità e le cause della felicità.
Per
essere felici non c’è altro modo che eliminare la sofferenza,
così, in questa consapevolezza, sorge il pensiero di gentilezza
amorevole che si esprime nell’aspirazione alla grande compassione
che trasforma l’attitudine mentale diventando bodhicitta.
E’
un procedimento che si svolge in conseguenza alla riflessione attenta
e approfondita dei vantaggi dell’accudire gli altri e degli
svantaggi del rivolgere esclusiva attenzione a se stessi.
Ordinariamente
pensiamo che il nostro bene discenda necessariamente dalla cura di
noi stessi, e non vediamo i vantaggi che invece avremmo
nell’occuparci degli altri, dobbiamo dunque invertire, capovolgere,
la prospettiva con cui osserviamo la realtà.
La
gentilezza amorevole è il primo prodotto del concetto di equanimità,
perché la gentilezza amorevole, come la grande compassione e la
bodhicitta, si fondano sulla visione dell’uguaglianza degli esseri
senzienti, nessuno escluso.
Nell’equanimità
si riconosce a ogni essere lo stesso valore, trascendendo di
conseguenza ogni discriminante sentimento di attaccamento o di
avversione per amici o nemici e di indifferenza nei confronti di
coloro che non sono né amici né nemici, tutti, indiscriminatamente,
hanno diritto alla nostra uguale considerazione.
L’equanimità
è la terra su cui crescerà la bodhicitta, la gentilezza amorevole
l’acqua, la grande compassione la pianta, e la bodhicitta il
frutto.
Ritornando
alla metafora della bodhicitta come cibo che ci nutre
quotidianamente, dalla colazione alla tisana della sera, riflettiamo
sugli sforzi, il tempo, le energie che tanti esseri hanno elargito
per la nostra sopravvivenza e, se saremo in grado di vedere la
preziosità di ogni elemento, potremo sviluppare la bodhicitta.
La
coltivazione del riso comporta, ancora oggi in Nepal, che si
interrino le piantine una per una in campi allagati in cui ci si
immerge a piedi nudi, con qualsiasi tempo, pioggia, freddo, o sole
cocente, lavorando duramente in condizioni miserabili e senza
usufruire neanche di un chicco, già destinato ad altri mercati. Il
riso basmati anche in India è costoso e pochi possono permetterselo,
dobbiamo dunque ipotizzare che il fatto di essere qui sia il
risultato di un buon karma e anche questo dovrebbe essere oggetto di
riflessione, di meditazione.
Il
tema principale del Bodhicaryāvatāra è la bodhicitta, nella
preghiera ribadisce: “O
supremo cuore di bodhicitta possa tu apparire nei cuori in cui non
sei ancora sbocciato, e possa tu continuare a crescere nei cuori in
cui sei già presente”.
Nel
Bodhicaryāvatāra sono contenute le istruzioni relative a tre punti
fondamentali:
- Il primo concerne il nutrimento e le cure alla bodhicitta;
- il secondo indica come non esaurire, non far cessare, la bodhicitta;
- il terzo suggerisce come sviluppare pienamente la bodhicitta.
L’intero
contenuto del Bodhicaryāvatāra è sintetizzato in questi concetti,
che dovremmo assimilare e rammentare quotidianamente nelle preghiere,
con l’auspicio che chi non possiede ancora la bodhicitta
l’acquisisca, e coloro che già ne portano la piantina nel cuore
possano non mai perderla e, anzi, la sviluppino all’infinito.
Come
si dice nel quarto verso del primo capitolo del Bodhicaryāvatāra il
momento favorevole è difficilissimo da acquisire ma quando lo si
trova non bisogna lasciarlo sfuggire perché è quello il tempo in
cui si possono realizzare realmente i desideri degli esseri
senzienti.
Quali
sono questi desideri?
Il
primo è quello di ottenere una vita superiore e il secondo è l’uso
consapevole della vita superiore che permette di sviluppare le
proprie qualità fino a raggiungere il nirvāna, o pace permanente.
Se
non siamo capaci ora di mettere pienamente a frutto questa vita
umana, così favorevole, difficilmente la potremo riottenere
facilmente.
La
vita umana è dotata di due caratteristiche fondamentali, una è
avere del tempo a disposizione e la seconda è usufruire di
prerogative che semplificano notevolmente il nostro cammino.
Il
concetto di “tempo a disposizione” è relativo all’essere
liberi dalle otto circostanze che impedirebbero di praticare il
Dharma, gli otto ostacoli descritti nella lettera ad un amico di
Nāgārjuna, versi 63 e 64:
- Chiunque nasca come aderente a visione errate o come animale, spirito famelico o essere infernale; in un posto privo degli insegnamenti del Buddha, come barbaro in qualche regione remota, come un idiota.
- O come una divinità dalla lunga vita, è detto nato negli otto stati sfavorevoli e difettosi.
Dopo
aver trovato la libertà da questi, sforzati per porre fine alla
nascita.
Sono
molte le false visioni che distolgono dalla pratica del Dharma,
dunque la prima libertà è non avere visioni errate, a cui seguono
le libertà di non essere rinati come animali, cioè di essere dotati
della capacità di ragionamento e di consapevolezza, di non essere
nati come spiriti affamati, né in un inferno.
Con
“spiriti affamati” si intendono le circostanze che potrebbero
privarci di cibo e di acqua.
L’inferno
è riferito alle situazioni di costante e grande sofferenza.
I
reami degli animali, degli spiriti affamati e degli inferni, indicano
uno stato mentale e non un luogo o una condizione fisica.
Altri
ostacoli riguardano l’essere nati in circostanze tali da rendere
impossibile l’incontro con il Dharma, o in luoghi isolati, popolati
da barbari, cioè da individui ostili al Dharma e con la precisa
volontà di sconfiggerlo.
E’
importante tenere presente che la terminologia utilizzata ha radici
nell’antico sanscrito degli eruditi, per cui si tratta di un
lessico convenzionale che non può essere preso alla lettera, non è
riferito a particolari condizioni sociali o individuali né a
determinati luoghi. Ad esempio con il termine “animale” si
descrive una condizione in cui si sia nell’impossibilità di
esprimersi, di comprendere e di comunicare.
Anche
essere un deva di lunga vita è un ostacolo perché, con una vita
lunghissima e piacevole, non si ha mai l’opportunità di affrontare
la sofferenza e quindi di riflettere e meditare sulla condizione
samsarica dell’impermanenza, in questo modo si scorda e non si
pratica il Dharma.
La
disponibilità di tempo nella vita umana corrisponde alla possibilità
di essere liberi dagli otto ostacoli e di praticare il Dharma nelle
dieci circostanze favorevoli.
Le
dieci condizioni favorevoli sono divise in due gruppi, cinque
descrivono i vantaggi personali o intrinseci, le altre cinque i
vantaggi che provengono da fattori esterni.
Nel
primo gruppo si descrivono i vantaggi di:
- Nascere come esseri umani, e non si riferisce strettamente al possesso della forma umana, bensì alle capacità di intendere e di volere, di pensare, comprendere e parlare;
- Essere nati nel centro del mondo, cioè in un luogo e in una circostanza in cui sia possibile incontrare il Dharma;
- Essere in possesso di tutte le facoltà fisiche e mentali che permettono la piena comprensione e pratica del Dharma;
- Avere accumulato nel passato karma positivo così da essere liberi dagli impedimenti che ostacolano il percorso spirituale;
- Avere fede nel Dharma.
I
restanti cinque, appartenenti al secondo gruppo, illustrano i
vantaggi di:
- Essere nati in un momento storico in cui il Buddha è già apparso;
- Il Buddha ha dato l’insegnamento, e ora ne possiamo beneficiare;
- L’insegnamento del Buddha perdura e continua a diffondersi, non cessa;
- Abbiamo tutte le condizioni e gli strumenti per praticare il Dharma insegnato dal Buddha;
- Nella pratica del Dharma matura la compassione.
Senza
la compassione sarebbe impossibile praticare il Dharma e questo ci
consola perché significa che, anche in noi che ci sforziamo nella
pratica, almeno una piccola parte di compassione è già presente.
Questa
è una spiegazione classica relativa al concetto del tempo a
disposizione in questa vita umana e dei suoi vantaggi.
Nel
Lam Rim si descrivono tre fasi di pratica, le prime due, il livello
del principiante e il livello intermedio, sono considerati
preliminari necessari alla pratica della bodhicitta, attuata poi nel
terzo livello del praticante avanzato.
Quali
sono le attitudini del praticante del Lam Rim del primo e del secondo
livello?
Secondo
il commentario al quarto verso del Bodhicaryāvatāra si precisa che
all’inizio ci si riferisce a questa esistenza, ma approfondendone
il significato, si scopre l’infinita opportunità di poter esaudire
tutti i desideri degli esseri senzienti.
I
desideri degli esseri senzienti sono la rinascita elevata e la pace
permanente, ecco perché è importante approfondire i primi due
livelli del praticante Lam Rim, per prepararci a praticare e
sviluppare la bodhicitta.
Recitiamo
gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente”.
(pag. 12)
Meditazione come Purificazione della Mente
Oggi
analizzeremo le ragioni per cui è necessario modificare le
intenzioni ordinarie e quale metodo seguire.
La
mente umana è un fenomeno complesso ed esistono svariati termini per
indicarla: spirito,
anima, ātman, io, cuore…,
ma tutti esprimono un unico concetto.
Tra
queste denominazioni è bene approfondire con chiarezza e attenzione
la definizione dell’ io,
per non cadere nei facili e comuni fraintendimenti; quest’analisi è
particolarmente sviluppata negli studi buddhisti volti alla
realizzazione della natura della mente.
La
natura della mente non è il cervello, ma il cuore, e non inteso come
muscolo cardiaco, ma corrispondente al chakra centrale.
La
mente non coincide con il cervello, né con il cuore fisico, è la
coscienza fondamentale che risiede nel chakra centrale e, per entrare
in contatto con il nostro spirito nella meditazione, è necessario
mantenere la consapevolezza di meditare attraverso la mente posta nel
chakra centrale. Lo spirito è una qualità della mente principale.
Potremmo
anche definire la mente “coscienza”, suddivisa in tre livelli:
- Coscienza grossolana
- Coscienza sottile
- Coscienza molto sottile
La
radice dei tre gradi di coscienza risiede nel livello più sottile.
Il
buddhismo sottolinea fortemente l’importanza di approfondire,
conoscere, comprendere la realizzazione della natura della mente,
mentre altre tradizioni religiose pongono maggior attenzione su
aspetti diversi come la realizzazione del sé.
E’
essenziale avere una comprensione corretta e profonda della propria
mente, del sé, perché la maggior parte dei problemi scaturisce
dall’ignoranza fondamentale, cioè dalla non conoscenza di ciò che
in realtà è il sé.
L’ignoranza
fondamentale, causa di tanta sofferenza, è la non cognizione del sé.
Se
non conosciamo il sé, come possiamo conoscere gli altri? ma il
problema principale è causato dalla consolidata illusione di
conoscere perfettamente noi stessi e gli altri, e su questo
fraintendimento impostiamo tutta la vita.
L’io
è l’oggetto dell’ignoranza fondamentale, della mente che non
conosce, che non sa, che non vede.
Siamo
intrappolati tra due oggetti:
1)
la mente
che non conosce che non capisce che cosa sia il nostro io; e
2)
l’io
che
non è conosciuto dalla mente.
La
situazione è piuttosto complessa, ed essendo oscurati
nell’ignoranza, con grande facilità permaniamo impantanati nel
samsāra.
Dunque
è basilare giungere alla realizzazione dell’io e, altrettanto,
alla realizzazione della natura della mente. Non è un soggetto
facile da affrontare, ma ci dobbiamo impegnare seriamente.
Prioritariamente
c’è una domanda a cui dobbiamo rispondere: «Cos’è
la meditazione?»
«La
meditazione è ciò che permette la connessione tra il vero io e la
vera mente, riduce progressivamente l’ignoranza fondamentale
mostrando con maggior chiarezza il nostro io a noi stessi.»
Il
buddhismo afferma che non vi è alcun “io”, e non intende con
questo negare l’esistenza dell’io, semplicemente indica che noi
focalizziamo l’attenzione unicamente sul “non-io”, l’io falso
e illusorio a cui ci afferriamo con ogni energia perché, annebbiati
dall’ignoranza, è l’unico che identifichiamo.
Il
vero io, che noi non conosciamo, deve essere cercato andando oltre,
al di là dell’io falso e illusorio, perché l’io vero è
l’oggetto della saggezza e della realizzazione.
Nel
buddhismo l’oggetto principale della meditazione è la mente, il
secondo oggetto di meditazione è l’io. Attraverso la meditazione
alleniamo ed addestriamo la mente e questo esercizio costante innesca
il processo di purificazione della mente stessa.
Il
classico esempio è quello della candela che è essa stessa fonte di
luce e non necessita di un’altra candela per rendersi visibile.
Allo stesso modo, nel momento in cui si inizia a purificare la mente,
essa si accende come una candela e diffonde luce.
La
realizzazione della natura della mente cancella la falsa visione di
una mente che osserverebbe, chiarirebbe, illuminerebbe e di un’altra
mente che riceverebbe luce dalla prima, perché, con la pulizia
effettuata dalla mente, essa risplende di luce propria, così come la
candela che quando è accesa permette di vedere tutto ciò che la
circonda.
La
realizzazione, la conoscenza della natura della mente è così
importante che nella sua purificazione si accende, sprigiona una luce
che illumina non soltanto se stessa ma tutto ciò che c’è intorno.
La meditazione è una purificazione della mente attraverso la
riduzione dell’ignoranza.
Il
Buddha spiegò il Dharma con lo scopo di eliminare l’ignoranza,
perché l’ignoranza fondamentale è la radice di tutto il samsāra.
Il Buddha, unico tra miliardi di persone, ha offerto un insegnamento
davvero speciale che permette di tagliare alla radice tutta la
sofferenza.
La
cura offerta dal Buddha è straordinaria, efficace e con guarigione
certa. I medici di oggi per molto meno ottengono premi nobel e
riconoscimenti prestigiosi, inoltre hanno bisogno di grandi risorse
economiche per dimostrare la validità di teorie che possono
rivelarsi errate, ma se ci riescono diventano famosi e ricchissimi.
Per il Buddha non è stato così, non ha avuto né fondi, né
ricchezze, al contrario ha sperimentato su se stesso la sua ricerca
e, gratuitamente, ha elargito a tutti gli esseri il frutto del suo
lungo percorso.
In
questi giorni ricorre il Vesākh e il nostro incontro è un
bellissimo modo di festeggiare e ricordare il Buddha con semplicità
e naturalezza, senza conferenze, né pubblicità, né personalità,
non è un festival ma, come deve essere, una semplice pratica di
Dharma.
Ricordare
il Buddha è importante perché la sua ricerca spirituale, realizzata
con cuore puro e compassionevole, è di beneficio a tutti gli esseri
viventi, è la medicina che li guarisce definitivamente dalla
sofferenza, che ne estirpa le radici.
La
meditazione che il Buddha ha insegnato non è facile. La meditazione
sulla natura della mente, la meditazione della realizzazione del sé,
sono profonde ed essenziali, dunque per poterci addentrare
maggiormente nel significato dell’esistenza continuiamo con la
lettura del primo capitolo del Bodhicaryāvatāra di Sāntideva:
- Tale momento propizio è estremamente difficile da incontrare. Una volta incontrato, produce il benessere dell’umanità. Se il vantaggio viene ora trascurato, quando mai avverrà di nuovo questo incontro?
Questo
verso contiene due aspetti essenziali che corrispondono alle prime
due attitudini dei praticanti del Lam Rim:
- L’aspirazione ad una vita superiore, sebbene ancora a livello di benessere samsārico;
- L’aspirazione alla liberazione dalla sofferenza e quindi al raggiungimento del nirvāna.
In
esse è contenuta la consapevolezza della preziosità della vita
umana e delle difficoltà per raccogliere le cause e condizioni che
permettono di ottenerla. Nel momento in cui abbiamo questa coscienza
possiamo sviluppare in noi l’aspirazione a conseguire la
liberazione dal samsāra dirigendoci verso il nirvāna.
Nel
Bodhicaryāvatāra si accenna brevemente alle prime due attitudini
del praticante Lam Rim in quanto il filo conduttore di tutto il testo
è la pratica del Bodhisattva e, iniziando dalla spiegazione del
metodo per generare la bodhicitta, indica la pratica delle sei
perfezioni che rappresentano l’ideale del Bodhisattva.
Nel
primo capitolo si descrivono i benefici della bodhicitta. Riprendiamo
la lettura dal quinto verso:
- Come di notte, nell’oscurità fitta di nuvole, un lampo dà luce un momento, così una volta o l’altra, per il potere del Buddha, ad atti di merito la mente del mondo potrebbe volgersi un momento.
- Stando così le cose, il potere del bene è debole, sempre, mentre il potere del male è enorme e terribile. Quale altro bene potrebbe soggiogarlo, se non la perfetta mente del risveglio?
Questi
versi mostrano l’inderogabile necessità di evitare le azioni
negative e, al contrario, di dedicarsi pienamente alle azioni
virtuose.
Oggi
riflettevo sul potere immenso del male rispetto a quello così
minuscolo del bene a cui noi sentiamo di appartenere in quanto
conforme alla nostra natura compassionevole che ci fa essere sempre a
fianco del più debole.
Metaforicamente
potremmo dire che il potere del male è grande come un elefante e
quello del bene piccolo come una formica o un topolino. E’ evidente
che una massa cosi immensa potrebbe facilmente schiacciare e
reprimere la piccola parte di bene che c’è in noi, ma è
altrettanto chiaro che con la natura compassionevole possiamo
contrapporci con successo e soccorrere la parte più debole. Non è
facile, ma non impossibile e, come suggerisce Sāntideva, abbiamo un
potente mezzo a disposizione: sviluppare la mente di bodhicitta,
questa è l’unica e vera soluzione che ci permette di ribaltare la
situazione.
La
bodhicitta presenta due aspetti: uno convenzionale
e uno ultimo.
Le due forme di bodhicitta si equivalgono, non vi è superiorità di
una sull’altra, la definizione di bodhicitta ultima corrisponde
all’oggetto della realizzazione, la realtà ultima.
La
bodhicitta ultima è la realizzazione della vacuità, l’oggetto
della mente che la realizza, mentre l’oggetto della bodhicitta
convenzionale corrisponde a tutti i fenomeni convenzionali, come
l’aspirazione all’illuminazione di tutti gli esseri senzienti.
Sāntideva
raccomanda la meditazione di entrambe le forme di bodhicitta in
quanto sono rispettivamente metodo
e saggezza
e costituiscono la causa completa dell’illuminazione. La bodhicitta
convenzionale è il metodo e la bodhicitta ultima è la saggezza.
In
questi versi si insiste sulla necessità di rivolgere l’attenzione
e la riflessione interiormente senza disperderla all’esterno, e di
imparare ad osservare la positività delle azioni compiute,
l’intenzione che le ha motivate, considerando allo stesso modo la
negatività delle azioni non virtuose, quale attitudine le ha
provocate.
Nell’antico
Tibet si narra la storia di un feroce bandito, Bengunjé, che in
seguito a particolari eventi abbandonò l’attività criminale e
divenne un grande yogi, dedito giorno e notte ad un’unica pratica,
“l’osservazione della sua mente”. Quando sorgeva un pensiero
negativo prendeva un sassolino nero e lo metteva da una parte e
quando sorgeva un pensiero positivo prendeva un sassolino bianco e lo
metteva dall’altra, così da avere un conteggio e una verifica.
All’inizio la montagnola dei sassolini neri era decisamente più
alta della collinetta di quelli bianchi, ma procedendo pazientemente
nella pratica i risultati si invertirono completamente.
Sāntideva
ci mette in guardia dalla potenza del male costituita dalla consueta
attitudine interiore di prediligere azioni negative o neutre,
scordandoci totalmente dell’atto virtuoso che necessita della
bodhicitta. Lo sviluppo della bodhicitta è un compito arduo,
difficilmente sorge spontaneamente, e dobbiamo costantemente
ricorrere all’aiuto dell’osservazione interiore, esattamente come
fece Bengunjé.
Il
grande studioso indiano Atīsa, giunto in Tibet, usava rivolgersi
alle persone con un saluto particolare: “Hai
avuto un buon atteggiamento oggi?”
e con questo sollecitava negli altri la necessità di mantenere
sempre viva in sé una buona attitudine.
Domanda:
Non si potrebbe meglio esprimere in italiano questo concetto con i
termini consapevolezza o presenza mentale?
Lama: L’attitudine
non è esattamente la consapevolezza, perché la consapevolezza è lo
strumento che ci permette di mantenere l’atteggiamento e necessita
comunque di un oggetto. E’ essenziale che la presenza mentale si
focalizzi su un oggetto reale e corretto perché, se si confonde e
sbaglia, facilmente otterrà un pericoloso accrescimento
dell’attaccamento all’io illusorio e incrementerà la sua rabbia.
Domanda:
L’attitudine deriva comunque dal karma?
Lama: Tutto
proviene dal karma, tutto ciò che è in relazione alla nostra
esperienza è frutto del karma. Avere un errato oggetto di presenza
mentale può facilmente condurre al rafforzamento dell’attaccamento
all’io e della rabbia.
Forse
è solo una mia impressione, ma a me è parso che in alcune persone
una pratica errata di consapevolezza abbia indotto un rafforzamento
ponderoso di attaccamento all’io illusorio con conseguente aumento
di insoddisfazione e di rabbia, questo è molto pericoloso. La
consapevolezza è uno strumento della pratica del Dharma, non è in
sé una pratica.
Oggi
c’è la mania di affrontare queste tematiche con superficialità,
inventare corsi attingendo ad elementi della meditazione buddhista
per strutturare tecniche atte a fortificare la presenza mentale, ma
non finalizzate al Dharma. In questo modo la presenza mentale si
collega al rinvigorimento dell’io illusorio e della propria rabbia.
Ho conosciuto persone non interessate al Dharma ma solo alla presenza
mentale al fine di ottenere una mente forte e possente in ogni sua
espressione, anche nella rabbia e nell’aggressività, e che
disprezzavano la compassione, la pazienza, la tolleranza in quanto
manifestazioni di debolezza. In questo modo la presenza mentale
diventa una forza che si oppone alla bodhicitta, ed è davvero
pericolosa.
La
presenza mentale da sola non è una pratica di Dharma.
Domanda:
La rabbia però a volte è necessaria, ad esempio la rabbia della
madre verso il figlio, o no?
Lama: Riprendiamo
i versi cinque e sei del Bodhicaryāvatāra, qual’è l’antidoto
che permette di superare queste tenebre? La bodhicitta ovviamente e
non la rabbia. L’atteggiamento della madre che rimprovera e punisce
il figlio è di amore, non di rabbia, e se avessimo nel cuore lo
stesso atteggiamento materno avremmo sviluppato la grande
compassione. Quando parliamo di rabbia intendiamo quell’attitudine
che distrugge l’amore, ne è l’esatto opposto. Ciò che
scaturisce dall’amore è assolutamente privo di rabbia.
Alcune
immagini buddhiste rappresentano divinità irate, ad esempio Mahākāla
con il volto furioso, ma non esprime rabbia, bensì infinito amore.
L’immagine pacifica della stessa divinità è Mañjusrī. Una
divinità apparentemente ancora più terrificante è Yamāntaka,
eppure non ha nemmeno l’ombra di rabbia, è una manifestazione di
amore e compassione. In essi l’amore assume le sembianze della
rabbia ma non ha nulla a che vedere con la vera rabbia o con
l’attaccamento. Ad esempio i genitori che si arrabbiano con un
figlio in realtà manifestano in questa forma un amore simile a
quello delle divinità irate. La rabbia è completamente avulsa da
ogni atteggiamento amorevole sempre assolutamente positivo.
Oggi
abbiamo affrontato punti importanti e concludiamo con una breve
meditazione sull’altruismo, un’attitudine basilare che, come dice
Sāntideva, sorge assai di rado.
Generalmente
la nostra mente è come Via del Corso il sabato pomeriggio,
affollata, piena di rumori frastornanti e di confusione, allo stesso
modo nella strada principale della mente i pensieri riempiono ogni
angolo, e che tra questi emerga un pensiero altruistico è un evento
rarissimo, ma quando sorge ci sentiamo finalmente rilassati, tiriamo
un respiro di sollievo. E’ un’esperienza di pace che ci manca e
dunque non abbiamo bisogno di rafforzare la consapevolezza sui nostri
pensieri negativi, perché questi scorrono naturalmente e
tumultuosamente nella mente fino a farla esplodere, per questo mi
preoccupa particolarmente l’attuale moda di ricorrere a tecniche di
rafforzamento della presenza mentale al di fuori del Dharma.
Una
presenza mentale non relazionata al Dharma è già presente in noi,
ci tormenta ventiquattrore al giorno, non occorre rafforzarla
ulteriormente, anzi dobbiamo domarla.
I tre livelli del Lam Rim
Il
Lam Rim è diffusamente trattato abbiamo molte scritture a
disposizione e potremmo cominciare con la lettura del testo originale
di Atīsa “la Lampada del Sentiero verso l’Illuminazione”.
(pag.
24)
Sono
anche particolarmente interessanti i commentari del III° Dalai Lama
ai versi dell’esperienza di Lama Tsong-Kha-Pa, del V° Dalai Lama e
del I° Panchen Lama, perché ognuno presenta caratteristiche e
qualità che lo contraddistinguono; tutti affrontano lo stesso
argomento da angolature diverse.
Lama
Tsong-Kha-Pa ha analizzato il Lam Rim suddividendolo in più
commentari, uno inerente al Lam Rim medio, un secondo scritto in modo
esteso e un terzo sintetizzato nella versione breve conosciuta come
“I Versi dell’Esperienza”. Altro suo testo importantissimo è
“Il Fondamento di tutte le Qualità”.
Abbiamo
tanto materiale per una bellissima festa.
Non
dimentichiamo inoltre “I Tre Aspetti principali del Sentiero” e
gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” che sono l’essenza
del Lam Rim. Anche il Bodhicaryāvatāra tratta del Lam Rim, ed è
meraviglioso aver la possibilità di studiare, analizzare tante
diverse descrizioni di questo cammino fondamentale.
Il
termine “Lam
Rim”
è tradotto in inglese con “Stadi
del Sentiero verso l’Illuminazione”
è un percorso lungo ma suddiviso in tre tappe, metaforicamente
possiamo paragonarlo ad un edificio di tre piani, noi ci troviamo al
piano terra ma salendo una rampa di scale raggiungiamo il primo piano
e otteniamo il primo scopo, poi affrontiamo la seconda rampa e
arriviamo al secondo piano e infine, con la terza rampa giungiamo in
cima, al terzo piano.
E’
una salita lunga e lenta che accompagna una persona all’illuminazione
anche grazie alle pause tra un piano e l’altro perché tutto è
mezzo abile. Questa è una meravigliosa caratteristica del Lam Rim
che non insegna a correre senza soste su una pista veloce, ma ad
affrontare lentamente e consapevolmente una fase alla volta, passo
dopo passo, fermandosi sistematicamente per recuperare energie,
assimilare, consolidare ogni obiettivo; le pause stesse sono
essenziali.
Ognuno
dei tre livelli richiede una differente attitudine, un sé diverso,
uno scopo diverso. Il Lam Rim non spiega direttamente la bodhicitta
ma inizia dando istruzioni su come accumulare benessere nel samsāra,
proprio perché questo è la base per il benessere del nirvāna e le
cause e condizioni necessarie per il nirvāna sono indispensabili per
l’ottenimento dell’illuminazione.
Non
c’è contraddizione tra le tre fasi, la prima, detta “Lokayāna”,
è un sentiero spirituale anche se relativa al benessere samsārico,
la seconda è conosciuta come “Hīnayāna”,
ovvero propria di colui che ricerca la liberazione individuale ed è
propedeutica alla terza fase, “Mahāyāna”,
ne costituisce la base.
Non
c’è nessun contrasto tra l’aspirazione al benessere samsārico e
l’aspirazione al nirvāna e all’illuminazione, è una
meravigliosa caratteristica del Lam Rim che accompagna l’individuo
attraverso ogni tappa, senza creare contrapposizioni tra samsāra,
nirvāna e illuminazione.
Il
Lam Rim presenta quattro caratteristiche, quattro significati
speciali, quattro grandezze:
- La prima consiste nella capacità di far comprendere che tutti gli insegnamenti del Buddha non sono in contraddizione tra loro, bensì complementari.
- La seconda dimostra che tutti gli insegnamenti del Buddha sono istruzioni per ottenere l’illuminazione. Anche il sentiero lokayāna, che porta al benessere samsārico, potenzialmente è utile per raggiungere l’illuminazione, così come il sentiero hīnayāna per il nirvāna, e il sentiero mahāyāna. Tutti i sentieri insegnati dal Buddha, a livello ultimo, conducono all’illuminazione.
- La terza è la possibilità di comprendere pienamente il pensiero del Buddha contenuto nei suoi molteplici insegnamenti.
- La quarta è la necessità di evitare ogni critica, perché all’interno della pratica buddhista ci sono divisioni, alcuni seguono l’hīnayāna, altri il mahāyāna, il theravāda, lo zen, il sūtra del loto, chi è tibetano, e chi cinese o giapponese, e un pericoloso fraintendimento nasce dal considerare la propria corrente superiore a quella degli altri. Un fatale errore che induce unicamente a criticare l’insegnamento del Buddha e ad accumulare karma negativo.
Invece
il Lam Rim permette di comprendere che tutti gli insegnamenti sono
complementari e parte dello stesso percorso graduale. All’interno
del Lam Rim coesistono e si integrano le pratiche hīnayāna,
mahāyāna, zen, theravāda e così via, proprio perché il Lam Rim,
in fasi diverse, le affronta tutte favorendo così la loro
collocazione, organizzazione e attivazione al momento opportuno.
Se
apparteniamo a altre tradizioni religiose le possiamo approfondire e
praticare al meglio all’interno del Lam Rim. Tutti gli insegnamenti
delle varie religioni sono perfettamente compresi nel Lam Rim del
XXI° secolo, che deve essere aperto ad accogliere tutte le
espressioni religiose perché tutte tendono ad un unico risultato
costruttivo. Il Lam Rim è particolarmente raccomandato agli esseri
umani più intelligenti.
La
tradizione kadampa, fortemente ancorata al Lam Rim, è caratterizzata
dal profondo rispetto nei confronti di ogni differente tradizione
religiosa. Proprio in questi giorni stavo leggendo un libro in cui
sono riportati gli interventi dei rappresentanti di diverse religioni
al meeting interreligioso sul tema della pace, sono testimonianze
interessanti. Incontri di questo tipo sono una ricchezza perché ogni
persona ha l’opportunità di imparare dal Corano, dalla Bibbia,
dalla Bhagavad Gita, dagli insegnamenti del Buddha. Se ci si pone con
mente aperta nei confronti delle altre religioni si arricchisce ed
incrementa la propria spiritualità. Il “Discorso della Montagna”
nella Bibbia è fonte di ispirazione per tutti ed è condiviso da
ogni diversa tradizione religiosa. Allo stesso modo la Bhagavad Gita
è conosciuta e stupenda.
Tramite
il Lam Rim possiamo apprendere da tutte le religioni e considerale un
mezzo per raggiungere l’illuminazione.
Abbiamo
paragonato il Lam Rim ad un edificio di tre piani. La prima rampa di
scale ci porta ad un tipo di vita superiore nel benessere samsārico,
la seconda rampa ci permette l’accesso al nirvāna, e la terza ad
ottenere la completa illuminazione.
I
tre differenti piani, scale, metodi, definiscono l’attitudine a
conseguire un determinato obiettivo. Esistono tre tipi di soggetti:
coloro che hanno un piccolo scopo, coloro che hanno uno scopo medio e
coloro che hanno un grande scopo. Attenzione però, queste tre
tipologie non devono essere considerate entità distinte, si
riferiscono tutti alla stessa persona che, quando si trova sulla
prima rampa di scale ha uno scopo piccolo, quando affronta la seconda
rampa ha uno scopo medio e quando si trova sulla terza rampa ha un
grande scopo. Ciò dipende dalle attitudini, dagli scopi e dai
sentieri maturati nel tempo e nella pratica.
Lo
scopo del primo piano è descritto nella “Lampada sul sentiero
verso l’Illuminazione” di Atīsa nel terzo verso :
- “Sappi che coloro che ricercano per sé stessi, con qualunque mezzo, nient’altro che i piaceri dell’esistenza ciclica sono individui di capacità inferiore”.
Domanda:
C’è una differenza tra il ricercare per se stessi piaceri di solo
divertimento, ubriacarsi ad esempio, dedicare tempo a futilità, e il
ricercare il proprio benessere materiale?
Lama: Una
persona che si ubriaca o si droga pensa che il piacere e l’euforia
immediata sia gioia, ma in realtà non è così, è vera sofferenza.
Invece la ricerca del benessere samsārico consiste nel voler vivere
bene con giusti mezzi, senza arrecare danno ad alcuno. Questo è
possibile tramite la generosità che porta al benessere materiale;
l’etica, il non danneggiare gli altri, che sostiene la salute; la
pazienza che procura una vita bella; la perseveranza entusiastica che
aiuta in una vita attiva; la concentrazione che favorisce una vita
produttiva e, infine, la saggezza che porta ad una vita intelligente.
Il Buddha ha detto che per realizzare il benessere samsārico, a cui
seguiranno il benessere del nirvāna e il benessere
dell’illuminazione, non occorre nulla di più che praticare le sei
perfezioni. E’ un insegnamento molto semplice e facile da
comprendere, ma difficile da praticare, ed è ottimo per noi.
- “Sappi che coloro che ricercano per sé stessi, con qualunque mezzo, nient’altro che i piaceri dell’esistenza ciclica sono individui di capacità inferiore”.
In
questa definizione dell’individuo di capacità inferiore sono
contenuti tre elementi che è possibile accumulare nella pratica
spirituale: l’attitudine, i mezzi e lo scopo. L’attitudine è la
ricerca del benessere samsārico il desiderio di essere liberi dai
regni inferiori; i mezzi sono la pratica dell’etica
nell’applicazione delle dieci azioni virtuose; e lo scopo è la
continuità nell’ottenere per il futuro vite superiori.
Domanda:
In altre occasioni tu hai detto chiaramente che praticare solo per
questa vita non è praticare il Dharma, mentre praticare per future
rinascite favorevoli ha riflessi positivi già in questa esistenza.
Quindi questi tre fattori, attitudine, mezzi e scopo, sono da
intendersi come rivolti alle prossime vite?
Lama: In
questa vita dobbiamo praticare le dieci azioni virtuose, abbiamo
generato la giusta attitudine per poterle attuare e nelle prossime
esistenze ne raccoglieremo i frutti e potremo procedere
ulteriormente. Atīsa continua:
- “Coloro i quali ricercano la pace solo per sé stessi, avendo voltato le spalle ai piaceri mondani e rinunciato a compiere azioni negative sono detti individui di capacità media”.
Avendo
acquisito la capacità di compiere le dieci azioni virtuose generiamo
la successiva attitudine, quella di ottenere la liberazione,
abbandoniamo totalmente i piaceri del samsāra, siamo liberi dal
commettere qualsiasi azione negativa e desideriamo la liberazione
individuale. Questo è il secondo piano, l’attitudine alla
rinuncia.
A
questo punto entrano in gioco i “Tre Aspetti Principali del
sentiero”, l’aspirazione alla liberazione e la rinuncia, per
essere pronti alla bodhicitta.
Non
è facile sviluppare la rinuncia, prima dobbiamo assumere
l’attitudine lokayāna e maturare il disgusto per i regni
inferiori, comprenderne tutti gli svantaggi e aspirare a rinascite
superiori. Acquisita questa consapevolezza comprendiamo che una
rinascita superiore non è sufficiente e in quel momento cominciamo a
sviluppare l’attitudine alla rinuncia che consiste nell’abbandonare
i piaceri samsarici, ne siamo completamente liberati.
Esistono
trentasette pratiche per l’illuminazione, suddivise in sette
gruppi:
- Nel primo ci sono le quattro consapevolezze o attenzioni ravvicinate92;
- nel secondo i quattro perfetti o puri abbandoni93;
- nel terzo le quattro membra miracolose;94
- nel quarto le cinque facoltà o poteri;95
- nel quinto le cinque forze o capacità;96
- nel sesto i sette fattori o rami dell’illuminazione;97
- nel settimo il nobile ottuplice sentiero.98
Atīsa
definisce il praticante che ha un grande scopo:
- “Coloro che, attraverso la loro personale sofferenza, desiderano sinceramente far cessare tutte le sofferenze degli altri, sono persone di capacità suprema”.
Entriamo
così nel sentiero del Bodhisattva, siamo già in grado di praticare
le dieci azioni virtuose e le trentasette pratiche per
l’illuminazione, però comprendiamo che non è possibile desiderare
la liberazione soltanto per noi stessi, sarebbe troppo egoistico,
quindi ancora una volta trasformiamo la nostra attitudine mentale
sviluppando la grande compassione e la bodhicitta.
Grazie
alla personale esperienza di sofferenza, desideriamo la cessazione
della sofferenza degli altri e ci attiviamo per ottenerne la
realizzazione. Ravvisiamo l’inevitabilità della sofferenza nel
samsāra, ne dobbiamo scoprire il senso al fine di trasformarla.
Il
mahāyāna non è uno slogan propagandistico, ma un sentiero che
riconosce e imprime significato alla sofferenza. Mahāyāna è il
nome che si dà all’attitudine della bodhicitta.
La
bodhicitta è l’unica soluzione possibile alla nostra sofferenza è
in grado di trasformarla in una realtà significativa e preziosa.
Un
anziano yogi tibetano in punto di morte ebbe l’impressione che le
cose non stessero andando come avrebbe desiderato e ritenne di dover
incrementare offerte e preghiere, i suoi attendenti, stupiti, gli
chiesero che stava succedendo e lui rispose che desiderava andare
negli inferi per essere di beneficio ai più infelici, ma invece
cominciava ad avere visioni di terre pure contrariamente alla sua
aspirazione che consisteva nel trasformare la sua sofferenza in causa
di eliminazione della sofferenza altrui. Questo è il mahāyāna, il
grande veicolo, la famosa bodhicitta.
Per
eliminare la sofferenza degli altri non dobbiamo necessariamente
essere persone piene di gioia, di salute, possiamo anche essere tra
gli ultimi su questa terra e avere comunque la possibilità di
cancellare l’altrui sofferenza, l’unico strumento di cui abbiamo
bisogno è la nostra stessa sofferenza.
Eliminare
la sofferenza del prossimo tramite la propria sofferenza è la
capacità del Bodhisattva, che non è una persona elegantemente
vestita, ricca e servita da molti attendenti, con un’esistenza
sfarzosa in grandi ville, lussureggianti giardini con fiori e animali
esotici, perché ciò sarebbe assolutamente contraddittorio, il
Bodhisattva è colui che elimina la sofferenza degli altri tramite la
sua stessa sofferenza.
Il
Tibet è stato rovinato sia materialmente che spiritualmente dagli
stessi tibetani che avevano questa stupida idea di voler identificare
i Buddha e i Bodhisattva con gli esseri abbienti e potenti.
Domanda:
Se io sono sofferente a causa dell’influenza come può questa
malattia essere di beneficio agli altri?
Domanda:
Perché le persone debbono prima concentrarsi sul raggiungimento
dell’illuminazione e solo in seguito rivolgere l’attenzione agli
altri, perché non farlo contemporaneamente?
Intervento:
Vorrei rispondere alla prima domanda: attraverso un malessere fisico,
come l’influenza, è possibile aiutare gli altri in base al proprio
comportamento, ci sono persone che hanno affrontato malattie e
sofferenze gravi con consapevolezza e serenità, e sono un vero
esempio, un insegnamento.
Lama: Nel
buddismo c’è una pratica fondamentale, il “Tong
Len”,
che consiste nello scambiare se stessi con gli altri, prendere la
loro sofferenza e dare in cambio la nostra gioia. Anche se non siamo
pienamente qualificati per praticare il Tong Len, possiamo ugualmente
addestrarci ad applicarlo, potrebbe essere una soluzione per
eliminare la sofferenza degli altri tramite la nostra sofferenza,
offriamo la nostra felicità agli altri e prendiamo la loro
sofferenza.
Esistono
tre tipi di sofferenza, il primo, “sofferenza
della sofferenzaӏ
il più grossolano, evidente, legato ad esempio alle malattie; il
secondo, già più sottile, è la “sofferenza
del cambiamento”,
ed relativo a tutto ciò che si presenta come esperienza di felicità
ma che immediatamente dopo si trasforma in dolore, ad esempio
l’euforia momentanea provocata dall’alcool o dalle droghe. A
livello più profondo vi è la sofferenza più grave che, come un
cancro, corrode ed è difficile da curare, la “sofferenza
omnipervasiva”,
causata dalle illusioni mentali e tipica del samsāra. E’ la più
dolorosa e sempre presente.
La
pratica del Tong Len, non è particolarmente rivolta alla sofferenza
della sofferenza o alla sofferenza del cambiamento ma riguarda
essenzialmente la sofferenza omnipervasiva del samsāra, pur
includendo spesso tutte e tre le sofferenze.
Il
livello di sofferenza grossolano è il più facilmente riconoscibile,
come nel caso di una malattia, ma più diventa sottile, maggiori sono
per noi le difficoltà di individuarlo e comprenderlo.
Se
siamo praticanti di Dharma l’influenza non è più sofferenza, ci
dà la possibilità di riposarci un po’, di utilizzare il tempo per
leggere, per meditare, per aver cura di noi. L’influenza, la
febbre, sono segnali positivi che ci permettono di fare una pausa e
recuperare la salute.
Al
contrario, quando siamo in piena forma riempiamo le giornate di
impegni, ci agitiamo e non abbiamo più tempo per la pratica del
Dharma, siamo sempre così indaffarati a causa della sofferenza
omnipervasiva che, anche se occultata e non visibile, è fermamente e
solidamente presente.
La
sofferenza pervasiva ci spinge a occupare ogni momento, si nasconde
dietro l’alibi dell’impegno, del non tempo, al contrario la più
grossolana ed evidente sofferenza della sofferenza è manifesta, e
dunque positiva, perché ci costringe a fermarci, a recuperare
energie, è come un ladro che si mostra e dichiara apertamente di
volerci derubare.
Abitualmente
non sappiamo riconoscere gli altri due tipi di sofferenza, pur
ugualmente e inesorabilmente attivi.
Riconoscere
la sofferenza è difficile, ma indispensabile, perché solo grazie a
questo saremo in grado di accoglierla consapevolmente in noi
eliminandola negli altri.
Domanda:
Spiritualmente il concetto è chiaro, ma nella pratica è sufficiente
l’intenzione mentale o devo anche fare qualcosa?
Lama: La
bodhicitta non nega affatto che tu intervenga concretamente a favore
degli altri, anzi suggerisce di fare tutto ciò che puoi per aiutare
il prossimo, ma raccomanda di non fare ciò che è al di là delle
tue effettive capacità. La bodhicitta ci dà la misura delle nostre
possibilità, di ciò che siamo in grado di fare per gli altri,
perché se cerchiamo di agire senza averne le capacità necessarie
provocheremo danni. La bodhicitta è un potere interiore che ci
permette di giudicare con l’attitudine all’altruismo la bontà o
meno di ciò che materialmente facciamo.
Il
Lam Rim è un edificio di tre piani in cui vivere molto bene, è una
buona metafora, è un mezzo abile per accompagnare l’individuo
all’illuminazione, e dobbiamo tenere a mente le tre fasi della
pratica caratterizzate dall’intenzione, dai mezzi e dagli scopi.
Anche
soltanto riflettere, parlare, meditare su queste cose è una grande
meditazione, conosciuta come meditazione analitica, rafforza il
cervello, il cuore, trasforma la mente.
Non
è sufficiente mantenere il cuore stabile, bisogna anche rinvigorirlo
quotidianamente.
Grazie,
è stata una serata veramente interessante. Leggiamo la Preghiera di
Dedica. (pag.
27)
I tre Universi: Esteriore, Interiore e Alternativo.Il Senso della Vita
Iniziamo
con la recitazione del “Sūtra del Cuore della Perfezione della
Saggezza” (pag.
22).
Ora
riprendiamo il primo capitolo del Bodhicaryāvatāra, “l’Elogio
alla Mente del Risveglio” fino al verso quattordicesimo.
- Rendo omaggio con grande rispetto ai Conquistatori dei tre tempi, ai loro insegnamenti e a coloro che aspirano alla virtù. Esortato dal perfetto discepolo Cianciub Ö illustrerò la lampada sul sentiero verso l’illuminazione.
- Comprendi che ci sono tre tipi di individui poiché essi hanno capacità inferiore, media e superiore. Scriverò distinguendo chiaramente le loro caratteristiche individuali.
- Sappi che coloro che ricercano per se stessi, con qualunque mezzo, nient’altro che i piaceri dell’esistenza ciclica, sono individui di capacità inferiore.
- Coloro i quali ricercano la pace solo per se stessi, avendo voltato le spalle ai piaceri mondani e rinunciato a compiere azioni negative sono detti individui di capacità media.
- Coloro che, attraverso la loro personale sofferenza, desiderano sinceramente far cessare tutte le sofferenze degli altri, sono persone di capacità suprema.
- Per queste creature eccellenti, che aspirano alla suprema illuminazione, spiegherò i metodi perfetti tramandati dai maestri spirituali.
- Di fronte a un’immagine dipinta, scolpita e così via di colui che ha raggiunto la completa illuminazione, a uno stupa e all’insegnamento eccellente, offri fiori, incenso e qualunque altro bene possiedi.
- Con l’offerta in sette parti dalla [Preghiera della] Nobile Condotta, con il pensiero di non tornare indietro finché non raggiungi l’illuminazione ultima,
- e con una forte fede nei Tre Gioielli, inchinati con un ginocchio a terra e, con le mani giunte, per prima cosa prendi rifugio tre volte.
- Quindi, iniziando col generare un pensiero d’amore per tutte le creature viventi, considera gli esseri, senza nessuna esclusione, tormentati dalle tre cattive rinascite, tormentati dalla nascita, dalla morte e così via.
- Allora, dal momento che desideri liberare questi esseri dalla sofferenza del dolore, dalla sofferenza e dalla causa della sofferenza, fai sorgere immutabilmente la determinazione di raggiungere l’illuminazione.
- Le qualità per sviluppare questo tipo di aspirazione sono completamente illustrate da Maitreya nel Sutra della sequenza dei tronchi.
- Avendo appreso di tutti gli infiniti benefici che derivano dall’intenzione di raggiungere la completa illuminazione leggendo questo sutra o ascoltandolo da un maestro, falla sorgere ripetutamente per renderla stabile.
- Citerò brevemente a questo punto i tre versi del Sutra richiesto da Viradatta nel quale i meriti suddetti sono pienamente illustrati.
Siamo
veramente fortunati ad avere incontrato il Dharma, e a poterlo
praticare.
L’approccio
al Dharma non consiste nell’aver trovato me, o questo luogo, ma
nell’aver conosciuto il messaggio del Buddha, di Sāntideva, che fa
germogliare nel cuore la compassione e la saggezza.
Ogni
minimo progresso nell'amore e nella compassione rende significativa
la nostra esistenza, è dunque indispensabile dedicarvi almeno parte
del tempo.
La
vita nel samsāra è dura e complicata per tutti, ma esiste realmente
la possibilità di trasformarla in gioia e beatitudine.
L’opportunità
di vivere il Dharma nel samsāra permette che, al di là delle
difficoltà e complessità, maturino a livello profondo buone
occasioni. I problemi sono causati dalle illusioni mentali che, come
turbolenze, oscurano il cielo.
Dovremmo
saper riconoscere sia le turbolenze, che le loro cause, così da
poter ricondurre la mente alla sua naturale calma e pace, consapevoli
che la mente è come il cielo, uno spazio aperto senza forma in cui
si addensano le nubi a causa della confusione e del disordine
interiore.
Per
meglio comprendere questo concetto possiamo comparare noi stessi alle
rappresentazioni dell’universo descritte in tantissimi tantra
superiori, particolarmente nel kālachakra, tutte, pur leggermente
diversificate tra loro, trovano perfetto riscontro nel nostro
universo interiore.
Esiste
un kālachakra esterno, un kālachakra interno, e un terzo kālachakra
alternativo a entrambi, non è né uno né l’altro e, sviluppato in
noi, purifica sia quello esterno che quello interno.
La
chiave per comprendere le spiegazioni degli yogatantra superiori
risiede nella saggezza e nella bodhicitta, perché saggezza e
bodhicitta purificano il kālachakra esteriore e quello interiore.
Il
kālachakra interiore si riferisce alle realizzazioni descritte nel
pāramitāyāna, il veicolo delle sei perfezioni.
Nel
tantra di Yamāntaka la divinità è raffigurata in forma irata e
spaventosa: ha nove teste che indicano le realizzazioni delle
conoscenze dei nove insegnamenti del Buddha; una faccia di bufalo con
due corna che definiscono le due verità; trentaquattro braccia, con
addizionali corpo, parola e mente, che rappresentano i trentasette
sentieri dell’hīnayāna; e sedici gambe che mostrano le sedici
vacuità.
Le
simbologie sono tantissime. Anticamente in Tibet viveva un Geshe che
aveva una saldissima fede nella filosofia hīnayāna, non accettava
facilmente le rappresentazioni del tantrayana e, leggendo la sādhana
di Yamāntaka, era particolarmente critico, ma alla fine,
addentrandosi nel significato profondo di purificazione dei diversi
fattori mentali espresso da questa rappresentazione spaventosa, il
Geshe ne comprese il senso profondo e mutò completamente
atteggiamento, riconoscendovi le raffigurazioni dei tre universi:
Esteriore,
Interiore e Alternativo.
L’universo
alternativo consiste nella forma meditativa che permette la
realizzazione delle qualità che purificano gli altri due, esteriore
e interiore.
Se
si pensasse di poter purificare la propria mente concentrandosi
esclusivamente sul personale benessere e interesse, la pratica
sarebbe rigida e sterile, estranea al Dharma.
La
pratica del Dharma invece consiste nella meditazione ininterrotta sul
non attaccamento, sul distacco da se stessi, e sulla necessità di
potenziare l’attenzione e la sollecitudine nei confronti della
sofferenza altrui.
Il
Sūtra del Cuore tratta proprio di questo, è un discorso che si
svolge tra gli esseri più realizzati, Buddha, Bodhisattva e Arhat,
consapevolmente e ininterrottamente immersi nella meditazione sulla
vacuità.
La
meditazione sulla vacuità deve essere perseguita, ininterrotta, fino
all’illuminazione, e anche oltre, è uno stato continuo in cui
permangono gli esseri illuminati.
Ora
noi sperimentiamo brevissimi e parziali momenti di meditazione, ma
quando giungerà il momento in cui lo stato meditativo sarà stabile,
vivremo spontaneamente nella bodhicitta e nella saggezza.
Questa
è la vera ragione per cui pratichiamo il Dharma, è davvero stupido
pensare che si possa utilizzare il Dharma per liberarci dallo stress
o per rafforzare la nostra potenza mentale. Strumentalizzare la
pratica del Dharma per propositi così miseri è un abuso pericoloso
ed è causa di karma negativo.
Se
il nostro scopo fosse semplicemente quello di liberarci dallo stress
e di potenziare il potere mentale, al di fuori dell’obiettivo
dell’illuminazione raggiungibile nello sviluppo della compassione e
della saggezza, i nostri sforzi sarebbero veramente privi di senso,
oltre che totalmente inutili. A che pro fare tanta fatica solo per il
brevissimo tempo di questa vita? Ci sono pillole che più velocemente
e comodamente provocano l’effetto voluto.
Il
Dharma ci è stato insegnato da esseri illuminati, e questo è
l’aspetto più profondamente significativo che determina la
sostanziale differenza, perché non è una scoperta di laboratorio,
una combinazione di tecniche artificialmente elaborate.
L’America,
che è sicuramente un grande paese e ha dato tanti contributi alla
scienza, sta anche promuovendo un’infinità di attività
“psico-fai-da-te”
assolutamente strampalate, come tanti programmi sulla mente che si
prefiggono lo scopo di liberarsi dallo stress, di rafforzare le
facoltà mentali e così via e, per pubblicizzarli al meglio,
utilizza spesso l’immagine del Dalai Lama.
Mi
pare davvero insensato sprecare tante energie in laboratori e
ricerche non per curare l’anima umana, ma solo per anestetizzare
minimi e parziali elementi, con il risultato, temo, di rafforzare la
confusione nelle persone. Si offre un placebo utilizzando con grande
e pericoloso fraintendimento il termine “dharma” così ridotto,
nell’intendimento di molti, ad una cura psicoterapeutica.
Il
Dharma è tutt’altro, il suo scopo chiarissimo, a lungo termine, e
preciso, è quello di liberare se stessi e gli altri dagli ostacoli
che impediscono un’esistenza gioiosa, serena, senza desiderio né
avversione e piena di significato.
Che
cos’è la meditazione? Quali sono le qualità mentali? Qual’è il
significato della vita?
Dobbiamo
riconoscere l’enorme differenza che c’è tra le tecniche
pseudo-psicologiche e il Dharma che deve essere compreso nel suo
incommensurabile significato.
Questi
programmi americani che promettono miracoli sono esportati
all’estero, anche in Italia, dove non ci si è nemmeno scomodati a
tradurre il termine “mind
and life”
“mente e vita”, pensando forse che in inglese potesse avere un
impatto maggiore, eppure, buttata così nel nulla, è una definizione
senza senso che confonde ulteriormente. Nelle innumerevoli conferenze
così intitolate si mescolano, come in un’insalata, varianti
casuali, si aggiungono i termini buddhismo, spiritualità, religione,
dharma, scienza, considerandoli intercambiabili a causa della
sconfinata ignoranza dello specifico significato di ognuno di essi.
Oggi
è un fenomeno abbastanza contenuto ma preoccupante, perché questo
abuso indiscriminato di etichette sarà causa di crescente confusione
e superficialità.
Dopo
aver analizzato le facoltà fisiche del cervello, questi signori
vorrebbero superficialmente e allegramente andare oltre e per questo
si orientano caoticamente e indiscriminatamente attingendo a caso a
ciò che, delle religioni, appare più attraente.
Se
navigate nei siti web vedrete come facilmente si utilizza la
“meditazione- palliativo”, assicurando la magica soluzione ad
ogni problema. Si prende un unico tipo di meditazione, ad esempio
quella sul respiro, la si modifica in base alle esigenze della
struttura proponente, e la si presenta adeguatamente propagandata al
paziente. E’ piuttosto facile e di poca fatica, si lascia il
paziente solo a respirare per un po’ di tempo, trenta, sessanta
minuti, e il gioco è fatto. Ciò che si nasconde dietro le grandi
etichette è tutto qui e io ritengo, ma naturalmente è solo una mia
preoccupazione personale, che sia inutile e pericoloso.
Riprendiamo
seriamente la meditazione sulla vacuità e sulla bodhicitta, trattate
nel Sūtra del Cuore dagli Esseri realizzati, Buddha, Bodhisattva e
Arhat, ma che anche noi, pur non avendo ancora maturato queste grandi
abilità, possiamo accrescere e rafforzare in un cammino graduale,
passo dopo passo.
La
lettura del Bodhicaryāvatāra è fondamentale nel proporci il metodo
per sviluppare la bodhicitta, decimo verso:
- Prendendo questa vile immagine, la tramuta nell’immagine inestimabile della gemma che è Buddha. Tieni stretto l’elisir di argento vivo, che dev’essere completamente raffinato, detto la mente del risveglio.
La
bodhicitta è qualcosa di alchemico, è l’essenza stessa
dell’esistenza umana, è il modo per trasformare il samsāra in
nirvāna. E’ però doveroso porsi una domanda: “Nell’accrescimento
della bodhicitta perderemo alcunché? Qualcosa sarà ridotto?”
Risposta:
L’ego….
E’
necessario riflettere su questi interrogativi, è una speculazione
mentale che ci insegna a non limitare la ricerca ai soli aspetti
evidentemente positivi, ma a valutare anche la possibile presenza di
fattori negativi.
Nel
momento in si è sviluppata la bodhicitta e si sono acquisite tante
qualità, è possibile perdere nel contempo altre qualità, ovvero
altre cose positive?
Vi
faccio questa domanda che è basilare oggetto di riflessione, anche
perché questo dubbio mi è stato presentato ripetutamente da persone
spaventate dalla pratica della rinuncia, della bodhicitta, della
saggezza, in quanto preoccupate dalla possibilità di smarrire
aspetti importanti della loro vita.
Domanda:
Già perché se noi pratichiamo una bodhicitta imperfetta
effettivamente potremmo correre il rischio di rinunciare al nostro
sé, come fece quel monaco morente, preoccupato perché, pur volendo
andare all’inferno, aveva invece visioni di terre pure?
Intervento:
Solo se hai una bodhicitta imperfetta ci potrebbero essere rischi….
Lama: La
bodhicitta è sempre perfetta, altrimenti non sarebbe bodhicitta. La
rinuncia è proprio quell’atteggiamento che permette di mantenere
la sicurezza delle cose. L’opposto della rinuncia è
l’attaccamento.
Se
teniamo tra le mani con bramosia qualcosa di molto prezioso può
cadere, rompersi, scomparire; se invece non c’è attaccamento, non
abbiamo timore di perdere nulla, né che possa caderci di mano
rompendosi. Questa è la differenza tra il possedere qualcosa con
rinuncia o con attaccamento. Con al rinuncia si riesce ad avere,
mantenere e gestire ogni situazione nel modo migliore. Con
l’attaccamento invece i rischi di perdere o rovinare tutto si
moltiplicano.
La
bodhicitta è lo sviluppo ulteriore della rinuncia. Versetto
undicesimo:
- Tu che sei abituato a viaggiare all’estero tra le città di mercato dei regni della rinascita, tieni stretta questa gemma che è la mente del risveglio. E’ preziosa, messa alla prova da coloro che hanno un’immensa conoscenza, gli eccezionali capocarovana del mondo.
Coloro
che desiderano liberarsi dalla sofferenza del samsāra godono
dell’inestimabile strumento che è la bodhicitta insegnata dai
grandi illuminati.
Il
filosofo indiano Chandrakīrti, nell’intraprendere la “Via di
Mezzo”, rende omaggio alla grande compassione piuttosto che al
Buddha, perché la grande compassione è la fonte cristallina da cui
sgorgano i Buddha, i Bodhisattva, gli Arhat, è la causa per divenire
un Bodhisattva e dunque la onora per prima.
I
Bodhisattva sono i più coraggiosi, anche degli stessi Buddha, perchè
vivono nel samsāra con bodhicitta, e ciò richiede il più grande
coraggio.
Quando
si è un Buddha, un illuminato, operare per gli altri non è frutto
di coraggio, è un’emanazione naturale, spontanea, invece un
Bodhisattva si cala nel samsāra subendone tutti i condizionamenti,
agisce per il bene degli esseri viventi con un cuore compassionevole
che deve affrontare enormi sofferenze, problemi, difficoltà,
ostacoli, superabili solo grazie alla bodhicitta.
Gli
ostacoli non sono prodotti da individui particolari, ma sorgono
direttamente dalla condizione samsarica. Sono interessantissime le
biografie dei Bodhisattva, orientali e occidentali, vite durissime,
coraggiose, uniche.
A
me ha colpito fortemente la narrazione della vita di Gesù Cristo, e
anche quelle di San Pietro e di San Paolo, dei loro atti di enorme,
sconfinato coraggio e amore. Sono grandi Bodhisattva.
San
Pietro ha una tale devozione per il suo maestro che, pur subendo la
stessa condanna a morte, la crocifissione, ha voluto che fosse
diversa in segno di umiltà, lo stesso vale per San Paolo, perché la
fede e l’amore si possono dimostrare in forme differenti.
Nell’ultima
cena di Cristo con i suoi apostoli, non c’è tensione, né paura, è
davvero una cena d’addio, carica di immenso amore e di coraggio.
E
poi San Francesco, San Benedetto, con le loro semplici esistenze di
altissima spiritualità e di sconfinato coraggio sono un prezioso
esempio.
I
frutti della bodhicitta maturano all’infinito mentre i frutti della
altre azioni cesseranno, in quanto limitate a questa sola esistenza.
La
bodhicitta corrisponde all’essenza del cuore-mente e non ha un
limite temporale.
Recitiamo
la Preghiera di Dedica. (pag.
27)
La Mente di generazione e i due livelli di Bodhicitta
Recitiamo
la Preghiera di Māhamudhrā.
(pag. 21)
Ora
rileggiamo il Bodhicaryāvatāra riflettendo sugli incommensurabili
benefici della bodhicitta, (pag.
4)
le sue facoltà fisiche, Sāntideva afferma che la meditazione sulla
bodhicitta è la purificazione del cuore, la protezione contro
qualsiasi paura, ne siamo definitivamente e completamente liberati.
Nel
commentario sono indicate due azioni particolarmente negative, fonte
di immenso dolore, già descritte nella “Lettera ad un Amico” di
Nāgārjuna, la prima consiste nel danneggiare i Tre Gioielli, ad
esempio sviluppare rabbia e odio nei confronti di Buddha, Dharma e
Sangha, o verso Dio, inteso come il creatore a cui imputare la
responsabilità della sofferenza e del male del mondo, eppure ogni
dolore, ogni negatività, non dipende né da Dio, né dai Tre
Gioielli, ma è prodotto e alberga nella mente di chi lo concepisce.
E’
possibile che noi non comprendiamo la realtà di ciò che accade, non
vediamo, siamo oscurati, ma è assurdo individuare elementi esterni
su cui scaricare una responsabilità esclusivamente nostra.
La
seconda azione dannosa è più articolata, una esemplificazione
potrebbe essere l’uccisione di un Arhat o, per analogia, di un
genitore.
L’Arhat
è qualcuno che ha eliminato in sé ogni tipo di negatività e il suo
assassinio rappresenta il massimo oscuramento mentale perché si è
ucciso un essere purificato, libero da pensieri negativi.
I
genitori hanno un atteggiamento simile nei confronti dei propri
figli, ogni atto è volto al loro bene, anche se in questo caso ci
possono sempre essere eccezioni.
La
bodhicitta rassicura quando afferma che azioni così pesantemente
nocive possono essere purificate attraverso la meditazione sul cuore
di bodhicitta, è potentissima e illimitata e ci offre
un’incommensurabile speranza e aspirazione.
Anche
le azioni negative hanno in sé una qualità, quella di poter essere
purificate. Questa è la grande realtà insegnata dal Dharma, non
esiste malvagità che non possa essere depurata, trasformata,
attraverso un’elevatissima pratica che si fonda sul cuore di
bodhicitta.
Questo
è il principio che si contrappone naturalmente alla pena di morte,
perché dimostra che non si può uccidere nessuno, per quanto grave
sia il suo delitto, al contrario gli si deve, senza eccezione,
offrire la possibilità di comprendere e ripulire la propria mente.
La
bodhicitta non fa discriminazioni nella specie umana e meditare su di
essa è una immensa opportunità. Il cuore del buddhismo è la
bodhicitta.
Il
cuore di bodhicitta ha inoltre l’inestimabile pregio di purificare
ogni azione negativa, anche se effettuata in una vita passata. Nella
presente esistenza e in quella futura rappresenta la salvezza.
Per
mantenere viva la bodhicitta non c’è bisogno di nessun santuario,
di nessun tempio, il più grande santuario, il tempio in cui dimora
la bodhicitta, è il nostro cuore.
In
ogni parte del mondo, da oriente a occidente, si assiste spesso ad
una ridicola e insensata competizione fra un tempio e l’altro,
ognuno vuole essere il più importante, il più ricco, ma si tratta
solo di una manifestazione di inciviltà.
Oggi
i templi maestosi sono sempre più vuoti e ci si affanna a riempirli
con svariate attività, spettacoli, conferenze, esibizioni, dunque
l’unico, reale, autentico tempio, è il nostro cuore, mai vuoto e
desolato, ma colmo di bodhicitta, così si raccomanda nel tredicesimo
e quattordicesimo verso del Bodhicaryāvatāra:
- Sotto la sua protezione, come sotto la protezione di un eroe, si sfugge immediatamente a grandi pericoli, anche avendo commesso delitti estremamente crudeli. Allora perché gli esseri ignoranti non cercano rifugio in essa?
- Come l’olocausto alla fine di un’era del mondo, essa consuma completamente grandi delitti in un istante. Il savio Signore Maitreya ne illustrò le immense lodi a Sudhana.
In
essi si sottolinea la velocità con cui la bodhicitta è in grado di
realizzare la purificazione, non soltanto ha la capacità di ripulire
azioni enormemente negative, pur del lontano passato, ma sa anche
farlo rapidamente.
Nella
conoscenza del cuore di bodhicitta si aprono enormi opportunità. Il
versetto quattordicesimo si riferisce ad un sūtra in cui Maitreya
decanta la bodhicitta che è il seme degli insegnamenti del Buddha,
il campo in cui possono essere coltivate le azioni virtuose degli
esseri senzienti, la fonte che esaudisce tutti i desideri, l’antidoto
in grado di distruggere gli inganni e le illusioni mentali.
Questi
sono i benefici del cuore della bodhicitta eppure, per quanto ne
abbiamo parlato spesso, non sappiamo ancora cosa esso sia realmente.
La
descrizione del cuore di bodhicitta è riportata nei versi
successivi:
- Tale mente del risveglio si dovrebbe intendere come di due tipi; in sintesi: la mente risolta al risveglio e la mente che procede verso il risveglio.
- Dai savi deve essere conosciuta la distinzione fra queste due così come si riconosce la distinzione fra chi desidera andare e chi sta andando, secondo tale ordine.
Esistono
due livelli di bodhicitta: la bodhicitta
dell’aspirazione
e la bodhicitta
dell’impegno.
Nel primo si aspira a conseguire l’illuminazione per il beneficio
di tutti gli esseri senzienti, mentre nel secondo ci si è già
incamminati sulla strada della sua realizzazione.
A
questa definizione segue una spiegazione articolata e complessa sulla
bodhicitta o mente generante, descritta con grande chiarezza da
Maitreya nel trattato “Ornamento
della chiara realizzazione”
e in cui afferma che desiderare l’illuminazione per il beneficio di
tutti gli esseri senzienti è la mente generante:
«La
mente di generazione è l’attitudine che possiede ed è
caratterizzata dall’aspirazione al conseguimento dello stato di
illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti».
Esprime
un concetto fondamentale che non può essere dimenticato, non è
specifico della bodhicitta dell’aspirazione o dell’impegno, ma
della bodhicitta completa, nella sua forma di mente che genera, è il
principio a cui riferirsi meditando sulla bodhicitta, è semplice,
non occorre pensare a null’altro, non oppone nessuna barriera,
qualsiasi cosa si stia facendo, pienamente integrato in ogni istante
della vita.
Questo
è il Dharma, l’anima, il senso dell’esistenza, perché senza il
Dharma tutte le azioni sarebbero prive di senso, senza anima. E’
tanto chiaro e ovvio! peccato che non ne siamo coscienti.
Il
Dharma dà valore, arricchisce, imprime significato ad ogni atto,
all’intera esistenza che altrimenti sarebbe arida, inutile.
La
mente che genera è articolata su due piani, quello dell’aspirazione
e quello dell’impegno. Maitreya, sempre nell’ “Ornamento della
chiara realizzazione”, tratta diffusamente l’argomento e
suddivide ulteriormente la mente che genera in ventidue
classificazioni relative alle realizzazioni che l’accompagnano, e
che a loro volta sono ripartite in quattro gruppi.
E’
un po’ troppo complicato per voi, prima dovreste comprendere e
memorizzare l’intero testo e poi addentrarvi nei particolari, ma è
già bello sentirne parlare.
Nei
nostri monasteri, in cui i cinque trattati di Maitreya sono studiati,
analizzati, approfonditi e osservati da molteplici prospettive, si è
affrontata la domanda conseguente alla descrizione della mente
generante:
“Gli
esseri illuminati posseggono la realizzazione della mente che genera,
oppure no?” “Questa mente è presente nel Buddha, o no?”
La
domanda sorge in conseguenza alla definizione che è stata data della
mente che genera, ossia dell’atteggiamento che possiede
l’aspirazione a raggiungere l’illuminazione per il beneficio di
tutti gli esseri senzienti e, poiché il Buddha, l’essere
illuminato, è già andato oltre l’aspirazione avendo conseguito la
piena illuminazione, possiede ancora la bodhicitta? Secondo questo
commentario la risposta è indubbiamente e assolutamente affermativa,
il Buddha ha in sé il cuore di bodhicitta, la mente che genera.
Sarebbe
troppo complesso entrare nei dettagli di questi dibattiti,
soffermiamoci invece sulle esemplificazioni. Ricordiamo che la
bodhicitta ha due livelli, uno di aspirazione e uno di impegno, che
metaforicamente potrebbero essere rappresentati come due persone, la
prima giace ancora a letto e sviluppa il desiderio di camminare,
mentre la seconda si è già alzata e messa in cammino. Tra colui che
è ancora disteso e desidera andare verso la meta e colui che si è
materialmente avviato, muta soltanto l’azione fisica, ma
l’attitudine è esattamente la stessa. Il pensiero della bodhicitta
è ugualmente presente in entrambi, l’unica differenza è data, nel
secondo individuo, dalla combinazione con l’azione.
Il
desiderio di conseguire l’illuminazione per il beneficio di tutti
gli esseri senzienti esiste parimenti nei due livelli di bodhicitta,
nel secondo è accompagnato dall’azione, e con il termine “azione”
ci si riferisce alle sei perfezioni.
Ci
troviamo di fronte a due fattori determinanti: la definizione della
mente che genera e i due livelli di bodhicitta. Se qualcuno fosse
ancora confuso a questo riguardo rifletta sui versi dell’“Ornamento
della chiara realizzazione” di Maitreya e rammenti
ininterrottamente la definizione della mente generante, sinonimo di
bodhicitta:
«La
mente di generazione è l’attitudine che possiede ed è
caratterizzata dall’aspirazione al conseguimento dello stato di
illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti»”.
Domanda:
Quali sono le condizioni che generano quest’attitudine?
Lama: La
condizione immediata è quella del laksam, ossia del cuore
volonteroso, che non delega pigramente, non attende che altri operino
al suo posto, agisce immediatamente senza frapporre alcun ostacolo e
risponde all’interrogativo: “perché
non posso raggiungere l’illuminazione a beneficio di tutti gli
esseri senzienti? io mi impegnerò in questo”.
La condizione della bodhicitta è la grande compassione, ma quella
immediata è il laksam.
Da
dove sorge la grande compassione? Dalla gentilezza amorevole che ci
fa guardare ogni essere senziente con occhi di madre.
Domanda:
Ma prima della gentilezza amorevole deve esserci la rinuncia?
Lama: La
rinuncia può essere sia precedente che contemporanea alla
realizzazione della gentilezza amorevole e della grande compassione.
La
gentilezza amorevole è importante perché aiuta a sviluppare l’amore
nei confronti degli altri e fa percepire la loro gentilezza verso di
noi.
Per
sviluppare la gentilezza amorevole ci sono due processi differenti,
uno è quello dell’eguagliarsi con il prossimo scambiando se stessi
con gli altri, e il secondo è quello di realizzare la gentilezza
degli esseri senzienti pensando che nelle esistenze passate essi
siano state nostre madri. Anche nella tradizione religiosa buddhista
la madre è la figura primaria, perché l’amore materno è
incondizionato.
Se
si è in grado di sviluppare il cuore di bodhicitta si è realizzata
la propria vita, è un valore spirituale talmente immenso che nessun
recipiente potrebbe contenere, è superiore a qualsiasi bene
materiale, non può essere misurato, nessun matematico lo potrà mai
circoscrivere.
Il
valore spirituale della bodhicitta è immenso, eppure senza peso, non
porta carichi e la sua durata è infinitamente superiore a quella
ipotizzabile in riferimento a qualsiasi elemento materiale, non c’è
gemma, né costruzione perfetta, nemmeno una piramide, né strumento
di elevata tecnologia, che possa competere.
Ricordo
un fatto avvenuto in Corea: un famosissimo e stimato medico un giorno
annunciò di aver scoperto una medicina unica e rara che propagandò
senza timore di essere smentito, però ben presto si scoprì che non
c’era nulla di vero e fu arrestato. Se anche questa medicina
miracolosa fosse esistita, così come qualsiasi altra scoperta,
paragonata alla bodhicitta, sarebbe stata nulla.
Domanda:
Chi ha tramandato tutti questi commentari?
Lama:
In tibetano esistono moltissimi commentari sul Bodhicaryāvatāra,
quello che stiamo utilizzando risale al XV° secolo ed è
probabilmente la rielaborazione degli appunti di Lama Tsong-Kha-Pa,
frutto dei tanti insegnamenti a lui dati da grandi e diversi maestri
e in un secondo momento trascritti dal suo discepolo Khedrupje.
Grazie
a tutti, recitiamo “Gli otto Versi di Trasformazione della Mente”.
(pag.
12)
Il significato tangibile della pratica del Dharma
Ancora
una volta vi ringrazio di essere qui, malgrado il gran caldo; anche
questo clima può essere salutare per qualcuno e comunque, rispetto
ad altre condizioni nel mondo, non è un gran problema, è in ogni
caso una buona occasione per attuare la nostra pratica di Dharma.
Poiché
io sono un praticante di Dharma piuttosto modesto penso di aver
bisogno delle difficoltà e se mi mancano mi pare di non aver nulla
da fare. Com’è possibile praticare il Dharma quando va tutto bene?
Invece, di fronte alle difficoltà, si ha l’opportunità di
verificare immediatamente la qualità della propria pratica, perché
il Dharma rende più intelligenti e di conseguenza abili
nell’affrontare, gestire e risolvere i problemi.
In
occidente la vera difficoltà alla pratica del Dharma è una vita
troppo comoda in cui le persone si crogiolano, perdendo ogni memoria
e consapevolezza della necessità del Dharma.
Ma
l’esistenza è comunque soggetta a disagi e chiunque, prima o poi,
deve confrontarsi con la sofferenza, e in quel momento la sonnolenza
maturata nelle comodità fa apparire il più insignificante ostacolo
come enorme. Nel Dharma invece ogni problema, anche il più greve, è
in realtà minimo.
A
livello pratico, di utilità immediata, il senso del Dharma si
manifesta riducendo ad una piccolezza anche il guaio peggiore. In
questo modo, addestrandosi nella pratica del Dharma, ci si libera
dalla sofferenza e ogni scoglio, anche quello apparentemente
insormontabile, si fa semplice, facilmente risolvibile, i problemi
diventano non problemi, anzi qualche problema può rivelarsi una
qualità.
Questo
è il significato tangibile della pratica del Dharma:
- la prima qualità è la capacità di ridurre i problemi, anche i più gravosi, ad un piccolezza;
- la seconda è la liberazione dai problemi;
- la terza è la scoperta che il problema si trasforma in alleato, in vero amico spirituale.
Dobbiamo
sempre tenere a mente questi tre importanti effetti dell’utilizzo
concreto del Dharma nella nostra esistenza.
Il
praticante che prescindesse dall’utilità concreta della pratica
del Dharma sarebbe solo un sognatore del nirvāna, del paradiso,
della terre pure e dell’illuminazione.
Il
vero praticante deve saper trasferire il Dharma concretamente nel
quotidiano, affrontare ogni ostacolo, riconoscerne l’esiguità,
superarlo nella libertà e infine trasformarlo in alleato.
I
praticanti di Dharma di livello
basso
hanno la capacità di rendere piccole le difficoltà più grandi;
I
praticanti di Dharma di livello
intermedio
hanno la capacità di superare i problemi trasformandoli in
non-problemi;
I
praticanti di Dharma di livello
elevato
hanno la capacità di considerare i problemi come amici da accogliere
con sincera gioia, perché rappresentano un insostituibile alleato
per la crescita spirituale.
La
classificazione dei tre benefici della pratica consente di
analizzare, valutare, riconoscere, lo stadio effettivo in cui si è.
I
problemi non sono annullati dalla pratica del Dharma, perché sono
parte intrinseca del samsāra che, altrimenti, non sarebbe samsāra,
ma è il modo di affrontarli che determina la sostanziale differenza
realizzabile nella pratica spirituale e nell’esistenza.
Il
samsāra è confusione e sofferenza, quotidianamente, ma attraverso i
tre aspetti della pratica del Dharma è possibile affrontare ogni
ostacolo riducendolo, superandolo e accogliendolo come un caro amico
che offre un prezioso aiuto nel cammino spirituale.
Quest’ultimo
punto è particolarmente importante perché, finché non saremo in
grado di concepire le difficoltà come amici, non riusciremo mai a
liberarci dalla sofferenza. Non si tratta di eliminare o combattere
gli ostacoli, ma di trasformare radicalmente noi stessi e i problemi.
Riflettevo
questa mattina sulla guerra in Irak che da tre anni sta distruggendo
la popolazione; la tragedia maggiore è il dissidio interno,
l’incapacità di trovare un’intesa per formare un nuovo governo.
Se i diversi gruppi etnici e religiosi del paese giungessero ad un
accordo qualsiasi situazione indotta dall’esterno si risolverebbe
facilmente, ne sarebbe per forza trasformata. L’impedimento più
pesante è la contrapposizione tra le diverse visioni religiose,
sciiti e sunniti, e dall’esterno si approfitta di questa divisione,
nessuno sta realmente cercando di favorire la loro integrazione,
eppure, se non si risolve questo nodo centrale, non si potrà mai
costruire un governo democratico e i vecchi problemi aumenteranno
inevitabilmente; è terribile vedere come queste persone invece di
allearsi si ammazzino e si torturino vicendevolmente.
Che
cos’è la pratica del Dharma? Non è certamente soltanto stare
seduti, calmare la mente, essere concentrati e tranquilli e
dimenticare tutti i problemi e i pensieri, perché, se anche
rimanessimo in questa pace per un lungo periodo, ci ritroveremmo
immediatamente dopo ancora più tesi di prima. A volte si possono
osservare persone in meditazione che appaiono come rocce, strutture
rigide prive di flessibilità, ma, terminata la sessione meditativa,
riprendono le normali attività con agitazione, nervosismo, in una
totale chiusura mentale.
La
pratica di Dharma, la meditazione, dovrebbe aprire la mente, non
restringerla, la felicità scaturisce da una mente flessibile,
aperta, non da una mente rigida e serrata.
La
meditazione non serve a formare la mente, ma a trasformarla, la
differenza è sostanziale.
Il
Bodhicaryāvatāra, una delle più grandi opere, è un immenso aiuto
per trasformare la mente; il senso profondo del testo, così
dettagliato, è perfettamente sintetizzato negli “Otto Versi di
Trasformazione della Mente” e, meditando su di essi, meditiamo
sull’intero Bodhicaryāvatāra.
Leggiamo
dunque “Otto Versi di Trasformazione della Mente” con una
motivazione profondamente altruistica, non con l’ambizione di
diventare dei Bodhisattva, degli Arhat o dei Buddha, sarebbe un
grossolano errore, ma con il sincero desiderio della gioia, della
felicità, per tutti gli esseri senzienti, dobbiamo sviluppare
l’umiltà.
In
Tibet un famoso maestro kadampa disse:
“l’essenza della bodhicitta contenuta negli Otto Versi di
Trasformazione della Mente è tutto il Dharma”.
Riferendosi a se stesso aggiungeva: “io
sono una singola persona e ho un singolo bodhicitta e un singolo
Dharma, ma questo Dharma è utile per tutta la realtà”.
E’
dunque meglio dimenticare i vari rituali, le cerimonie, le
manifestazioni esteriori più complesse, perché ciò che ci serve è
il singolo bodhicitta in grado di soddisfare ogni nostro desiderio.
Qualsiasi
situazione difficile dobbiamo affrontare riflettiamo sugli Otto Versi
perché in essi c’è la bodhicitta, l’essenza del Dharma, non
occorre altro, non esiste un Dharma al di fuori di quello da
praticare.
In
alcune forme di pratica del buddismo pare di essere di fronte agli
scaffali di una farmacia in cui sono ben allineati rimedi per ogni
patologia, c’è un rituale specifico per ogni tipo di problema con
relative istruzioni per l’uso, un vero supermercato.
Ma
la pratica del Dharma non ha nulla a che fare con questo marketing
totalmente inventato da noi.
Io
vedo moltiplicarsi in occidente situazioni veramente bizzarre: centri
di medicina tibetana, rituali ripetuti indipendentemente dalla
comprensione del loro significato, Lama che fanno divinazioni,
previsioni astrologiche, spettacoli di danza, ma in Tibet questo
folclore commerciale non c’è mai stato.
L’autentica
pratica del Dharma è tutt’altra cosa.
Anche
i paesi asiatici più sviluppati, come Singapore, Taiwan, Giappone,
hanno copiato il modello occidentale spacciando per buddhismo ciò
che è solo spettacolo, fanno rituali pieni di colori, appariscenti e
di notevole impatto, ma ai fini del Dharma è tutto assolutamente
inutile, si va a teatro e basta.
In
Tibet i più famosi praticanti erano i maestri kadampa, persone
semplicissime e poverissime, che applicavano esclusivamente la
bodhicitta.
In
qualsiasi circostanza della vita, dormendo, lavorando, mangiando,
passeggiando, sempre dobbiamo rammentare la bodhicitta, non solo
quando siamo in una condizione di sofferenza, ma anche quando siamo
felici, perché in quel momento la bodhicitta può rendere la gioia
ancor più soddisfacente e significativa.
Tutti
dovremmo partire dalla bodhicitta e poi, individualmente, cercare il
cammino a noi più confacente per attuarla. Queste sono le
fondamenta, perché in una società così confusa e piena di problemi
non c’è nulla che sia effettivamente utile, nessuna meditazione o
pratica, se non la bodhicitta. Al di fuori della bodhicitta ogni
pratica è vana.
Rileggiamo
ancora una volta il primo capitolo del Bodhicaryāvatāra che
illustra i benefici della bodhicitta, passatevi il libro e leggete
tre versi ciascuno. (pag.
4)
Molto
bene, grazie, è un buon metodo, ognuno ripete qualche riga e insieme
si completa il testo e se ne approfondisce il significato.
In
particolare ora riprendiamo i versi 18 e 19:
- Dal momento in cui assume quella mente per liberare l’illimitato regno degli esseri, con una decisione che non può essere revocata,
- Da quel momento in poi, benché possa assopirsi o distrarsi molte volte, ininterrotti flussi di merito si riversano continuamente simili al cielo in fiamme.
Nei
versi precedenti, 15, 16 e 17 sono specificati i due tipi di
bodhicitta, dell’aspirazione e dell’impegno, e ora Sāntideva
spiega i benefici che ne derivano, che consistono nella generazione
della mente.
La
nostra mente a livello ordinario è ferma, non ha nessun tipo di
crescita, senza bodhicitta è come la mente di un bambino. Soltanto
nella bodhicitta la mente si sviluppa.
La
mente di un bambino focalizza l’attenzione su di sé e sulle poche
cose che lo riguardano direttamente, il cibo e qualche giocattolo, ma
applicando la bodhicitta la mente cresce, espande la visione della
realtà nell’altruismo, non pensa più di essere al centro
dell’universo, bensì in un insieme pieno di altri esseri. Nel
verso 18 si descrive come generare questa mente:
- Dal momento in cui assume quella mente per liberare l’illimitato regno degli esseri, con una decisione che non può essere revocata,
Come
sviluppare la bodhicitta? Prendendo una decisione irrevocabile, senza
tentennamenti. E’ una decisione che ha una durata infinita, non
limitata a questa sola esistenza.
Una
persona può prendere tutti i voti e i precetti del laico o del
monaco, che però hanno un termine, possono durare sino alla morte,
ma sono relativi a questa vita, invece la bodhicitta è per sempre.
La
bodhicitta si sviluppa con una decisione irrevocabile: “da
questo momento non penso più a me stesso, ma agli altri”,
questa è la vera attitudine alla democrazia, non certamente quella
che paesi potenti pretenderebbero di imporre altrove per difendere
esclusivamente i propri interessi.
L’attitudine
alla democrazia è altruismo, dedicarsi agli interessi della
maggioranza, non in modo artificioso, costruito, ma spontaneo,
naturale. E’ l’intenzione suprema che possa esistere
nell’universo, è la qualità più grande che la mente umana può
sviluppare ed è ciò che porta al massimo livello, gioia,
tranquillità e pace.
Il
Buddha è così speciale a causa della bodhicitta e non perché fa i
miracoli. La bodhicitta può risolvere qualsiasi problema.
Non
è facile prendere questa decisione irrevocabile, ma siamo aiutati
dall’osservazione della nostra stessa esistenza in cui abbiamo
sempre pensato solo a noi, al nostro interesse, senza sfuggire
affatto alle sofferenze, anzi alimentandole. Abbiamo la prova
evidente che questo atteggiamento non è stato di beneficio né a noi
stessi né agli altri ed è dunque ovvia la necessità di recidere
radicalmente l’attitudine egoistica e di dedicarsi agli altri
esseri. Usciamo definitivamente dall’ atteggiamento sterile di “me…
me… me…” ed
entriamo nel mondo di “altri…
altri… altri…”,
questo è scambiare la sofferenza con la felicità. La sofferenza è
pensare a me, la felicità è pensare agli altri.
E’
chiaro? È facile da praticare o difficile? Non costa nulla è
completamente gratis, un meraviglioso dono dell’universo. La
bodhicitta non può essere comperata in nessun negozio, non occorre
alcuna autorizzazione, necessita solo della propria decisione.
Per
diventare Lama o Vescovo è necessario il riconoscimento di autorità
superiori che imprimano il timbro ufficiale, ma per diventare
Bodhisattva non occorre nessuna concessione, nessun certificato, è
il bene più prezioso, a completa disposizione, è spontaneo, un
immenso valore spirituale, e allora perché non approfittarne
immediatamente?
La
nostra mente è veramente strana, andiamo in Via Condotti a guardare
le vetrine cariche di oggetti costosissimi che desidereremmo
possedere pur non avendo le necessarie disponibilità economiche e
nella nostra dispersione mentale pensiamo che, dato il prezzo,
valgano moltissimo. Le persone importanti arrivano su auto di lusso
con tanto di scorta e i venditori di affrettano a spalancare le
porte; comprano un gioiello, un abito costosissimo, ma alla fine
cos’hanno? Nulla, anzi cominciano immediatamente a preoccuparsi di
poter essere derubati, o di romperlo, o che si rovini e
l’attaccamento nei confronti di questo presunto valore cresce a
dismisura e assorbe tutta l’attenzione, è un atteggiamento
totalmente infantile e sterile, veramente sciocco.
La
bodhicitta invece è il valore supremo in grado di toglierci tutte le
sofferenze, le difficoltà e noi, ciechi, non lo prendiamo, nemmeno
ne conosciamo l’esistenza, non vediamo che è a portata di mano,
immediatamente disponibile e gratuito, e preferiamo cercare un guru
che magicamente ci liberi dai problemi, senza sapere che lo stesso
guru probabilmente ne ha più di noi.
Questa
è mancanza di spiritualità; la spiritualità è il principio di
equanimità verso tutti gli esseri e tutte le cose.
Le
persone pensano di cancellare il dolore dell’esistenza chiedendo
miracoli a Tara o alla Madonna, ma è solo un’ulteriore illusione.
La
soluzione alla sofferenza è in noi stessi. Preghiamo Tara, ma in
realtà preghiamo la bodhicitta di Tara, è la bodhicitta che ha
creato Tara e non il contrario. Preghiamo il Buddha, ma non è il
Buddha che ha creato la bodhicitta, confezionata per bene, pronta ad
essere distribuita, è la bodhicitta che ha creato il Buddha.
Dobbiamo
riflettere a lungo su questo, perché pensare che le divinità creino
la bodhicitta e poi lo distribuiscano alle persone è un pericoloso
fraintendimento. La soluzione può realizzarsi solamente in noi,
dobbiamo prendere la decisione irrevocabile di troncare l’abituale
attitudine egoistica, causa di sofferenza, di insoddisfazione e di
difficoltà di ogni genere per dedicarci completamente, gioiosamente
e irrevocabilmente agli altri. E’ la scelta più giusta e proficua
della vita, di questo tratta il Bodhicaryāvatāra e, nello
specifico, al verso 19:
- Da quel momento in poi, benché possa assopirsi o distrarsi molte volte, ininterrotti flussi di merito si riversano continuamente simili al cielo in fiamme.
Dall’istante
in cui abbiamo assunto la decisione irrevocabile della bodhicitta, i
meriti che ne conseguono continuano ad aumentare, indipendentemente
da ciò che stiamo facendo, anche quando dormiamo o abbiamo pensieri
non positivi.
E’
importantissimo essere consapevoli dell’inestimabile valore di
questa decisione, e comprendere che, per quanto sia benefica ogni
pratica e la meditazione, nulla ha l’efficacia e la potenza della
bodhicitta. E’ un investimento formidabile, persino nel sonno o
addirittura nell’errore, il capitale aumenta, l’importante è
ricordarla ininterrottamente e, in ogni caso, non si deve temere di
incorrere in terroristiche visioni di possibili inferni se la si
dimentica, si può sempre ritornare ad essa e gli effetti saranno di
incredibile potenza.
La
pratica della bodhicitta non è fondata sulla paura, ma sulla
comprensione, è una ricerca. Nel mondo moderno si fanno tantissime
ricerche ma noi dobbiamo farne una sola, la bodhicitta, siamo
praticanti di Dharma e dunque ricercatori spirituali della
bodhicitta.
- E’ ciò che il Tathāgata stesso ha spiegato con prove nelle Domande di Subāhu, a vantaggio degli esseri disposti verso il cammino inferiore.
Anche
questo concetto è basilare, perché noi spesso ci limitiamo a
pratiche di Dharma superficiali, appariscenti e gratificanti, che
però incidono poco sulla nostra mente, ma è importante che
comprendiamo la necessità di diminuire questo tipo di approccio
dedicandoci maggiormente alla bodhicitta.
In
occidente avete incrementato notevolmente qualità come intelligenza,
coraggio, cultura, istruzione, ma non avete sviluppato per niente la
bodhicitta e adesso è necessario dedicarsi a questo con naturalezza
e decisione gioiosa.
L’antidoto
naturale allo stress e alla depressione, che bloccano la crescita
umana e che sono così diffusi nei paesi sviluppati, è la
bodhicitta.
Concludiamo
con la preghiera di dedica. (pag.
27)
Il Mulino delle Preghiere
Conoscete
quest’oggetto? è il mulino o ruota di preghiera che, ruotato
continuativamente in senso orario, diffonde l’energia dei mantra
contenuti al suo interno, lo si usa particolarmente in Tibet ed è un
ottimo strumento soprattutto per i praticanti dall’animo semplice,
non necessariamente eruditi.
Conosco
un Lama colto e realizzato, ma così semplice e umile, che utilizza
la ruota di preghiera costantemente, qualsiasi cosa stia facendo,
perché considera che per lui sia la pratica più adatta, ciò
dimostra che non è tanto importante il metodo applicato quanto la
sua utilità come supporto alla pratica interiore.
E’
magnifico constatare che, più elevate sono le realizzazioni, più ci
si avvicina ad una pratica semplice, al contrario di coloro che
pensano di raggiungere grandi obiettivi utilizzando strumenti
sofisticati, impreziositi con gemme e metalli pregiati, che però
hanno il solo effetto di incrementare la confusione.
E’
necessario avere dinnanzi a sé l’esempio di Milarepa che, pur
essendo lo yogi più realizzato del Tibet, non possedeva nulla se non
la forza del canto melodico con cui si esprimeva.
Un
importante Lama, Narupenjo, suo contemporaneo, assistendo ad un
insegnamento pubblico di Milarepa, rimase sorpreso dalla semplicità
della sua figura perché, pur essendo già famoso, non aveva affatto
l’aspetto del grande Lama, si presentava invece come persona
semplice, umile, comune. La stessa sorella di Milarepa gli chiedeva
continuamente che razza di Dharma stesse praticando perché gli altri
maestri avevano numerosi attendenti, oggetti preziosi, cibo in
abbondanza, cavalli, musica, festeggiamenti, mentre lui sembrava un
animale selvatico dei monti. Milarepa è l’esempio di praticante
più coraggioso e seguirne le orme è difficilissimo, ma mantenere
vivo in sé l’esempio, la figura da analizzare e studiare, è
fondamentale.
Ci
sono praticanti che assistendo a rituali tibetani se ne appassionano
tanto da volerli ripetere e comprano tutti gli oggetti necessari,
forse potranno anche essere utili, chissà, ma temo che sia un po’
come farsi un teatrino domestico di marionette. Il Dharma non è
un’esibizione teatrale, ma è una realtà interiore, che induce
senza tregua a riflettere, meditare, trasformare il proprio stile di
vita.
E’
bene per un praticante avere un mulino di preghiera da usare
quotidianamente nella recitazione dei mantra. Si sgrana il mala
scandendo il mantra, soprattutto quello di Avalokitesvara “Om
Mani Padme Hum”,
non per contarne le recitazioni, ma immaginando di liberare, ad ogni
grano, gli esseri dalla sofferenza. Il mala in mano ad Avalokitesvara
simboleggia la volontà di liberare tutti gli esseri senzienti, la
sua forte intenzione e compassione.
Sia
il mala che il mulino di preghiera sono diffusissimi in Tibet, meno
negli altri paesi buddhisti, probabilmente perché non se ne
riscontra l’utilità. Ad esempio i maestri chan, cinesi, indossano
il mala come simbolo della pratica, anche in Tibet lo si porta sia al
polso che al collo.
Ciò
che conta non è lo strumento usato, ma la ripercussione che esso ha
nella propria pratica. Il mulino di preghiera è ottimo perché un
praticante lo può far ruotare con convinzione qualsiasi cosa stia
facendo, insegnando, meditando o altro.
In
Nepal si trovano facilmente i mulini di preghiera costruiti
appositamente per i turisti, belli a vedersi, ma completamente
inutili, privi di mantra e delle parti simboliche più significative,
è perciò necessario cercare e utilizzare solo quelli autentici.
La
ruota di preghiera è particolarmente connessa con il mantra di
Avalokitesvara che riassume l’essenza del testo che stiamo
studiando. Leggere l’intero Bodhicaryāvatāra o recitare un solo
mantra “Om
Mani Padme Hum”,
ma riflettendo sui contenuti, ha una perfetta corrispondenza.
Pensare
che il mantra funzioni solo come un meccanismo non è esatto, il
mantra che si compone di parole sanscrite è come una raccolta di
semi da cui poi si genera tutto, ne è l’essenza.
Esiste
una stretta correlazione tra il mantra “Om
Mani Padme Hum”
e gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente”, e vi è la
stessa correlazione con il Bodhicaryāvatāra e gli altri testi del
Lam Rim e con tutte le opere che hanno come oggetto la bodhicitta, la
grande compassione.
Il
buddhismo è una delle religioni più diffuse nel mondo grazie al
gran numero di cinesi. Qualche anno fa incontrai a Londra una persona
che volle ripetere il percorso seguito da un pellegrino cinese del V°
o VIII° secolo, non ricordo esattamente perché ce ne sono molti,
che passò dalla Cina all’India. Da questi viaggi, che duravano
anni, si ritornava carichi di testi in seguito tradotti e divulgati.
Questo pellegrino lasciò anche una mappa che indicava
dettagliatamente il suo tragitto e la persona decisa a seguirne le
orme è una signora cinese, molto intelligente, laureata a Pechino,
con una borsa di studio a Oxford e ora a Londra come regista di
documentari. Lei ha voluto ripercorrere la via del pellegrino per
approfondire la propria devozione e per onorare la memoria della
nonna che, nonostante la repressione comunista, non ha mai
tralasciato un solo giorno di praticare il buddhismo in cui credeva
profondamente.
I
buddhisti cinesi emigrati hanno mantenuto una certa tradizione
religiosa, la generazione immediatamente successiva è nella
maggioranza atea, ma la terza generazione sta ritornando in massa
alla devozione buddhista.
Attualmente
i paesi dell’estremo oriente stanno premendo affinché si
costituisca un’organizzazione buddhista simile al vaticano, ma io
temo che questo non sia affatto positivo perché la religione deve
essere individuale, come l’abito che si indossa, deve essere scelta
e praticata in perfetta autonomia, libera da ogni ingerenza
istituzionale. E’ la veste che protegge la nostra mente-cuore, e
soltanto noi, in base alla nostra inclinazione individuale, possiamo
sapere qual’è la giusta taglia, la stoffa adatta, lo stile più
consono, non è possibile proporre a tutti un’unica misura, peso e
fattura.
Una
caratteristica del buddhismo è la flessibilità in qualsiasi
situazione, perché le circostanze sono sempre diverse. Anche
rispetto all’alimentazione non esistono norme rigide, in Cina si
privilegia quella vegetariana o a base di alghe, in Thailandia il
cibo non vegetariano è ammesso, e in Tibet il nutrimento è
prevalentemente a base di carne.
Il
Dharma non dipende da fattori esterni, ma è deve essere connesso
alle predisposizioni personali e alle variabili correlate.
Ora
leggiamo tutti insieme il primo capitolo del Bodhicaryāvatāra
ricordando Sāntideva perché ciò che lui insegna è la sua stessa
vita. (pag.
4)
La
mente che per natura apprezza e ammira le azioni positive e meritorie
degli altri esprime un’attitudine importante, ottimista, se ne
parla nel verso trentacinquesimo:
- Ma più valore ha il frutto che scaturisce per colui la cui mente diviene serenamente fiduciosa. Infatti grande forza è richiesta da un’azione malvagia contro i figli del Vittorioso, mentre un’azione pura viene spontanea.
Il
motivo per cui i Bodhisattva potenziano durevolmente e naturalmente
le loro azioni positive e non sono mai coinvolti in atti negativi, è
conseguente a questo tipo di mente che permette di accrescere ogni
buona azione in modo del tutto spontaneo.
Gli
occhi ingannatori che cercano continuamente di mostrarci negli altri
gli errori, gli aspetti negativi, distorcono la visione della realtà,
ci procurano continui abbagli, è come se vedessimo tutto blu perché
indossiamo occhiali con lenti blu, come ricorda un famoso detto
tibetano: “vedere
tutte le vette dell’himalaya sempre blu”.
Siamo
giunti così all’ultimo verso del primo capitolo:
- Mi inchino ai corpi di coloro nei quali è sorto quel gioiello eccellente, la mente, persino un torto verso di loro condurrà alla felicità. In queste miniere di felicità, io prendo rifugio.
Si
prende rifugio nei Bodhisattva perché sono esseri che non reagiranno
mai alla malvagità con altro male, ma sempre con compassione e
bodhicitta, trasformeranno qualsiasi nostra cattiva azione nei loro
confronti in un beneficio di cui potremo usufruire nel futuro. E’
veramente
interessante questa caratteristica, perché anche volendo instaurare
con un Bodhisattva una relazione negativa, basata su qualcosa di
male, questa avrà invece la capacità di trasformarsi in una
sorgente di bene per la liberazione futura.
Il
primo capitolo insiste sui benefici della bodhicitta perché saperli
riconoscere è un mezzo abile che fa scaturire nel lettore un
entusiasmo che lo aiuterà nella comprensione, nella riflessione e
nello studio dei capitoli che seguiranno.
Il
primo capitolo inizia con la fondamentale dichiarazione della presa
di rifugio nei tre gioielli, con l’omaggio al Buddha al Dharmakāya
e al Bodhisattva.
L’altro
punto particolarmente significativo è descritto nel quarto verso ed
evidenzia i due scopi dei praticanti del Lam Rim.
- Tale momento propizio è estremamente difficile da incontrare. Una volta incontrato, produce il benessere dell’umanità. Se il vantaggio viene ora trascurato, quando mai avverrà di nuovo questo incontro?
Pone
in risalto in primo luogo la rarità dell’incontro con la forma
umana e poi evidenzia le sue caratteristiche: ha la possibilità di
realizzare ogni desiderio, ha tempo a disposizione per sé, e gode di
una certa libertà. Ottenere questi fattori è arduo, ma vi è
delineato l’insegnamento del piccolo scopo del Lam Rim.
Il
secondo scopo del praticante del Lam Rim è la possibilità di
esaudire la felicità dell’umanità, in un unico verso sono
contenuti i primi due scopi del praticanti del Lam Rim.
Se
un individuo non è in grado di approfittare della forma umana che
gli offre la possibilità di realizzare questi obiettivi, quando
potrà mai riottenere un’occasione tanto rara e preziosa?
I
versi che seguono presentano gli altri benefici della bodhicitta e
per questo devono essere letti, meditati e analizzati uno per uno.
Un
altro punto fondamentale è affrontato nei versi quindicesimo e
sedicesimo in cui si spiega cos’è la bodhicitta e se ne
diversifica la tipologia:
15 Tale
mente del risveglio si dovrebbe intendere come di due tipi; in
sintesi: la mente risolta al risveglio e la mente che procede verso
il risveglio.
- i savi deve essere conosciuta la distinzione fra queste due così come si riconosce la distinzione fra chi desidera andare e chi sta andando, secondo tale ordine.
Si
delineano i due tipi di bodhicitta, il livello di aspirazione e il
livello dell’impegno, e i versi successivi descrivono i benefici
che ne derivano.
- Dalla mente risolta al risveglio anche in un’esistenza ciclica proviene un grande frutto, ma niente di simile al merito ininterrotto che proviene da tale risoluzione, quando messo in atto.
Il
diciottesimo verso è basilare, affronta l’essenza della bodhicitta
e la responsabilità personale.
- Dal momento in cui assume quella mente per liberare l’illimitato regno degli esseri, con una decisione che non può essere revocata.
E’
la decisione irrevocabile di liberare tutti gli esseri senzienti dal
samsāra, l’intendimento di conseguire l’illuminazione al fine di
condurre tutti gli esseri a quello stesso stato di illuminazione.
L’attitudine definitiva di conseguire l’illuminazione per il
beneficio di tutti gli esseri senzienti non è riferita ad un
beneficio ordinario, ma al risultato ultimo di volere e operare
affinché tutti gli esseri senzienti raggiungano l’illuminazione.
In
italiano si tradurrebbe così: “E’
la risoluzione irrevocabile di conseguire lo stato di illuminazione
che produce il beneficio supremo di condurre tutti gli esseri
senzienti allo stato di perfetta illuminazione.”
Il
capitolo conclude con l’omaggio ai Bodhisattva, i più coraggiosi,
in grado di trasformare in bene anche una cattiva azione nei loro
confronti, perché non c’è modo di far arrabbiare un Bodhisattva,
qualsiasi atto provocherà in loro solo grande compassione e
preghiere a nostro favore.
Questo
capitolo offre l’opportunità di conoscere gli infiniti benefici
della bodhicitta e ci motiva per affrontare con entusiasmo i capitoli
successivi.
Rivolgo
il mio ringraziamento agli amici spirituali, ricordate sempre che il
Dharma più semplice è il migliore e dedicate i meriti che ne
derivano a beneficio di tutti gli esseri senzienti.
*******
SECONDA PARTE
Roma 2006 Settembre - Dicembre
***
Conoscenza di sé nel Dharma
Eccoci
nuovamente insieme dopo la pausa estiva, le vacanze sono finite, e
tutti sappiamo come siano importanti per gli italiani, perché
costituiscono l’unico momento in cui si recupera energia dopo un
lungo e intenso lavoro.
Ci
siamo ricaricati e possiamo affrontare in modo ottimale sia il lavoro
che il percorso regolare nel Lam Rim. Tutto questo è parte del
samsāra, cioè della vita.
Il
tempo passa e la vita si abbrevia, l’unico interrogativo a cui
dobbiamo rispondere è: “qual’è
il nostro compito in questa esistenza?”
dovremmo mantenere costantemente presente in noi questa domanda,
consapevoli che nella ricerca della risposta appropriata commetteremo
inevitabilmente errori, causeremo problemi e incontreremo difficoltà.
Negli
incontri di pratica del Dharma tentiamo di addentrarci nella
comprensione del significato della vita e della conoscenza del nostro
compito che non è affatto scontata, né automatica, né facilmente
acquisibile.
I
praticanti di Dharma sono generalmente divisi in tre categorie, ma a
quale di queste si appartenga lo si può comprendere soltanto al
termine della vita, ciò che dobbiamo fare ora è prepararci in modo
da affrontare al meglio la fine di questo tempo terreno, che comunque
arriverà, anche se non sappiamo quando.
A
volte succede che la resa dei conti si presenti con anticipo rispetto
a quanto avremmo immaginato; io ho quarantaquattro anni e so di
essere fortunato ad averne potuto usufruire, perché la vita di tanti
esseri è stata interrotta molto prima.
Nella
pratica del Dharma dovremmo produrre l’essenza del cuore ed essere
fiduciosi nelle nostre possibilità, invece di complicare sempre
tutto.
Se
impariamo ad osservare la nostra essenza umana ne notiamo tutta la
fragilità, basta pochissimo per distruggerla, siamo estremamente
precari eppure, malgrado ciò sia palese, ci perdiamo in incredibili
e inutili contorsioni mentali. Mi sorprendo sempre nel constatare
quanto io stesso sia complicato.
La
pratica del Dharma invece tende a semplificarci, perché i problemi
non provengono mai dall’esterno, dagli altri, ma sono il risultato
della nostra complessità e incapacità di gestire ciò che ci appare
come una immensa confusione. Per questo nelle scritture si raccomanda
ripetutamente di autorealizzarsi, il che non vuol dire osservare se
stessi attraverso un terzo occhio o una modalità magica, ma è
semplicemente saper scrutare, dalla propria interiorità, come si è
realmente.
Quando
riusciamo a vedere come siamo realmente diventiamo più umili, più
piccoli, più facili, il nostro stesso io è più gestibile. Quello
che ci stanca e consuma è l’incapacità di conoscerci, di
autogovernarci.
La
pratica e la spiritualità ci illuminano su ciò che siamo e ci
mostrano i modi ottimali per mettere a frutto il tempo di cui
disponiamo, e gli incontri di Dharma ne favoriscono
l’approfondimento, la riflessione e l’analisi, così da indurre
il controllo su noi stessi che comporta la liberazione da ogni
atteggiamento egocentrico.
L’autocontrollo
dunque non è mettersi al primo posto, ma esattamente il contrario, è
liberarsi dall’atteggiamento egocentrico.
La
pratica del Dharma non ha lo scopo di trasformarci in maestri
altamente realizzati, magari ci rende, secondo la concezione
ordinaria, i più stupidi del mondo, sempre però al servizio degli
altri e, tanto più si è semplici, tanto più si è significativi;
essere genuinamente e ininterrottamente al servizio degli altri
imprime senso alla vita e ci arricchisce di felicità, appagamento,
gioia.
Certamente
non è facile spogliarci dai troppi orpelli consueti e raggiungere
questa semplicità persistente, però il solo fatto di averne
maturato nel cuore il desiderio è un raro tesoro, quanto di più
prezioso possiamo trovare soltanto in noi stessi, perché non può
provenire da nessun evento esterno.
Attraverso
la pratica del Dharma scopriamo in noi la ricchezza che ci trasforma
in validi strumenti al servizio di tutti gli esseri senzienti.
Un
praticante di Dharma che si pone al servizio degli esseri senzienti è
qualcuno che è andato oltre, ha superato ogni limitazione, categoria
religiosa, gruppo, istituzione.
Nell’Italia
del XXI° secolo le persone sono istruite, posseggono tutte le
condizioni per andare al di là delle restrizioni inevitabilmente
presenti all’interno delle divisioni e schematizzazioni
istituzionali e religiose, ed è indispensabile compiere questo
salto, perché se restiamo rinchiusi entro angusti e rigidi confini
non potremo mai realmente liberarci dall’atteggiamento egocentrico.
Nel
momento in cui ci poniamo al servizio degli esseri senzienti abbiamo
superato tutte le frontiere e comprendiamo che rimarcare
ossessivamente le divisioni: “la
mia religione, la tua religione, il tuo Maometto, il mio Buddha, il
suo Cristo….”,
non ha alcun senso.
E’
essenziale la pratica del Dharma allo scopo di essere al servizio
degli esseri, almeno sul piano spirituale, è ciò che ci permette di
permanere nella calma mentale, con fiducia in noi stessi, felicità e
gioia.
Solo
con la fiducia in se stessi si superano tutte le paure che affliggono
l’umanità, che rendono stressati, tesi, contorti e complicati,
malgrado non se ne conosca neppure la provenienza. Da dove nasce la
paura?
La
paura è il risultato dell’attaccamento al falso io, ne afferriamo
l’immagine illusoria e immediatamente sorge il terrore in tutti i
suoi molteplici aspetti. Aggrappati a questa illusione temiamo tutto,
ma nel momento in cui riusciamo ad essere consapevoli di questo
inganno comprendiamo che ogni bramosia verso un’illusione è
insensata e, non appena lasciamo la presa, tutti i timori scompaiono
automaticamente.
Buddha
Sākyamuni, vissuto duemilacinquecento anni fa, era una persona
particolarmente colta e istruita eppure non si è mai cimentato in
elaborate disquisizioni filosofiche, ma ha spiegato con estrema
semplicità e chiarezza il Dharma, il modo, la via, che permette di
sciogliere qualsiasi complessità.
Non
ha insegnato né magie, né teatro, né rituali, i rituali buddhisti
sono successivi, il Buddha ha presentato la realtà da lui stesso
cercata e verificata, e ciascuno di noi possiede la stessa capacità
di superare la complessità della vita applicando il metodo
fondamentale da lui insegnato.
Qual’è
questo metodo? è la Grande
Compassione
e la Bodhicitta.
La
Grande Compassione e la Bodhicitta cosa sono? un fenomeno misterioso,
magico? o la realtà?
La
Grande Compassione e la Bodhicitta sono lo “stato del cuore umano
completamente pacificato”, in cui non vi è la minima traccia di
violenza.
Dimentichiamo
le innumerevoli interpretazioni teoriche e disquisizioni filosofiche
sulla grande compassione e sulla bodhicitta, abbondantemente trattate
in pali, in tibetano, in italiano, in inglese e così via, ma
cerchiamo di comprendere profondamente la definizione semplice e
chiara che rispecchia lo stato pacificato che ci permette di
conseguire l’illuminazione.
Le
espressioni che usiamo abitualmente: “non
ce la faccio più…” o
“ci vuole santa pazienza…” dimostrano
che nel nostro cuore è assente questa qualità pacificata.
Il
cuore del mahatma Gandhi invece ne era ricolmo, lo si poteva colpire
duramente, imprigionare, ma lui non aveva la minima reazione
violenta, permaneva stabile, tranquillo e sereno nello stato di
quiete costante. Sicuramente anche oggi esistono persone con
attitudini simili ed è quanto tutti dobbiamo ottenere dalla pratica
del Dharma.
La
pratica del Dharma è integrata in ogni religione e tradizione
spirituale e in questo senso tutte possono trovare unificazione.
Nella
nostra società vedere i rappresentanti delle tre principali
religioni monoteiste, un cristiano, un mussulmano e un ebreo che si
salutano stringendosi la mano diventa un evento mediatico, una sorta
di spettacolo, perché assume automaticamente una specificità
politica che non ha nulla a che vedere con la situazione effettiva,
con il Dharma.
In
genere queste manifestazioni di apparente concordia sono programmate
da persone potenti, rappresentative, che agiscono per scopi
unicamente politici, di opportunità, e non succede mai che
l’incontro incida a livello profondo in una vera condivisione
spirituale, è solo una questione di potere, un esito davvero
tristissimo.
E’
più facile praticare il Dharma a livello personale piuttosto che
attraverso gruppi o istituzioni, perché ciascun individuo possiede
autonomamente tutte le qualità e possibilità per attuarlo
completamente, per vivere nel samsāra e per giungere al nirvana.
Se
non ci sono domande possiamo procedere con la lettura degli “Otto
Versi di Trasformazione della Mente”
(pag. 12)
dei “Tre Aspetti principali del Sentiero”
(pag. 13)
a cui seguirà una breve meditazione.
Vedo
che ci sono persone nuove, benvenuti, vi ringrazio di essere qui. Ho
ricevuto molte e-mail in cui si chiedeva cosa si facesse qui e ho
risposto che fondamentalmente la nostra attività consiste nel
“ripetere” il Dharma, non ci sono corsi ufficiali, accademici,
non si deve firmare la presenza, ciò che si fa è mettersi nella
condizione di completa libertà di praticare il Dharma sapendo che
non lo si esaurisce in un’unica esistenza ma in milioni di vite,
precedenti e future, quindi il tempo che vi dedichiamo nei nostri
incontri equivale ad un fuggevole istante.
Il
mio insegnamento non segue schemi prefissati, né ci sono meditazioni
programmate, perché il Dharma è un fenomeno naturale e dipende
dalle inclinazioni, dalle disposizioni e dalle capacità mentali di
ogni individuo, il che sottintende che ciascuno deve adottare una
propria modalità, insieme ci addestriamo, ma la vera pratica si
svolge nella quotidianità, deve essere calata in ogni attività, in
ogni evento, non può essere limitata ai soli momenti
particolarmente dedicati.
Personalmente
ritengo che la pratica del Dharma sia la cosa più bella e preziosa,
anche se sono consapevole che non è facile, può essere anzi molto
dura, perché si tratta di addomesticare la propria mente-cuore e
questa è la cosa più difficile. Quando ci si riesce si è nella
beatitudine.
Io
vi faccio gli auguri affinché sia proficuo questo comune cammino
nella meditazione.
Negli
ultimi giorni a Roma ci sono stati allarmi su possibili attacchi
terroristici, questo ci deve indurre a riflettere sull’impermanenza
e, anche se fossimo colpiti da un missile, dovremmo essere preparati,
questa è la pratica del Dharma. Senza rabbia, attaccamento e
ignoranza si può affrontare qualsiasi situazione.
L’arma
più efficace per poter fronteggiare la violenza è la pace. Ciò è
quanto cercheremo di fare durante i nostri appuntamenti settimanali e
i due temi che affronteremo sono il Lam
Rim
e il Lo
Jong, definizioni
e spiegazioni che possiamo avere anche da internet, ma qui dobbiamo
analizzarli, approfondirli, riflettere e farne esperienza, perché
solo in quel momento potremo averne una comprensione autentica.
Ascoltare,
parlare e confrontarsi su questi argomenti ci offre la possibilità
di chiarire e approfondire sempre più il contenuto del Lam Rim e del
Lo Jong che rappresentano la pratica di tutta la vita, sino al
conseguimento dell’illuminazione.
Grazie
a tutti.
Lam Rim sull’importanza del Guru
Siamo
qui per arricchire la nostra mente-cuore e ottenere serenità e
tranquillità interiore, soprattutto se ricercata nella meditazione.
L’unica
cosa che dobbiamo fare è sviluppare la meditazione che ci dona la
pace della mente-cuore, così da poterla trasmettere agli altri.
Lo
scopo finale della nostra pratica infatti è quello di portare gioia,
pace e calma agli altri esseri, ma per poterlo fare è necessario
avere pienamente sviluppato queste qualità in noi.
Questo
è un concetto fondamentale, è il principio su cui si fonda tutta la
pratica; non siamo qui per diventare esperti di buddhismo o di
cultura tibetana, non vogliamo subire il condizionamento tipicamente
occidentale che esige una specializzazione per qualsiasi attività si
desideri intraprendere, dobbiamo semplicemente imparare a rivolgere
lo sguardo in noi stessi e preservare la mente-cuore, averne cura e
arricchirla, così da essere in grado di comunicare pace e felicità
agli altri, in ogni momento e circostanza della vita.
La
pratica del Dharma, la meditazione, deve essere applicata alla
quotidianità, deve permeare il nostro lavoro e le nostre relazioni
ed essere parte essenziale dell’esistenza. Dedicarvi soltanto una
porzione di tempo, partecipare ad un rituale religioso, ad una
preghiera, non significa affatto che il Dharma sia realmente
integrato in noi, lo può essere soltanto se permea l’intera
complessità del nostro esistere.
In
questi incontri settimanali dovremmo imparare il Lam Rim, lo scorso
anno abbiamo avuto un primo approccio con il testo breve, il
“Bdus-Dön”,
in cui sono espresse le realizzazioni di Lama Tsong-Kha-Pa riguardo a
questa pratica, utilizzata quotidianamente nel mio monastero e in
generale nella società tibetana.
Leggiamo
dunque insieme i “Versi dell’Esperienza” di Lama Tsong-Kha-Pa
Lobsang Drakpa (pag.
16)
Il
Lam Rim ha due temi principali, il primo segnala la necessità di
affidarsi correttamente al maestro spirituale, che è la radice di
tutti i sentieri, il secondo, una volta consolidata questa base,
indica come addestrarsi nella pratica. Di questo si tratta
specificamente nei versi appena letti:
- Avendo preso rifugio, dovresti comprendere che la giusta devozione nel pensiero e nell’azione al tuo sublime maestro, che ti mostra il sentiero per l’illuminazione, è la causa radice più propizia per ottenere una grande quantità di condizioni favorevoli in questa e nelle vite future. Quindi dovresti compiacere il tuo maestro offrendogli la tua pratica di ciò che ti ha insegnato, non abbandonandola nemmeno a costo della tua vita. Io, lo yogi, ho già praticato così. Tu, che anche cerchi la liberazione, per favore coltiva la tua mente allo stesso modo.
L’ultima
frase è la voce diretta di Lama Tsong-Kha-Pa che, affidandosi alla
propria esperienza, consiglia di praticare allo stesso modo.
I
miei primi maestri spirituali sono stati i miei genitori, perché i
veri maestri non devono necessariamente essere Lama, Guru, ma sono
coloro che, soprattutto nei primi passi, ci fanno avanzare nel
Dharma.
In
monastero si dice che il maestro, l’amico spirituale che ogni
giorno ti assiste con consigli, è la figura più importante e non è
il “superlama” che si può incontrare ogni tre anni o forse una
sola volta, ma è chi ci è accanto quotidianamente e, in questo
senso, i maestri fondamentali sono i genitori che ci insegnano
pazientemente a camminare, a parlare, a mangiare e ci educano.
E’essenziale rammentare quanta gentilezza, cure e amore abbiamo
ricevuto nei nostri primi anni di vita, lo raccomando particolarmente
agli occidentali che si abbandonano facilmente a fantasie sui
superguru, costruendo insensate illusioni.
Il
maestro spirituale non ha un’esistenza oggettiva, è tale in quanto
è soggettivamente percepito.
C’è
poi un maestro molto particolare: - se un giorno arrivasse qualcuno e
vi colpisse in testa, voi che fareste?-
E’
importante soffermarsi a valutare la reazione, è la prova del fuoco
della pratica del Dharma, se reagissimo con pazienza questa persona
sarebbe per noi davvero un maestro che ci permette di praticare la
pāramitā della pazienza, ma se la nostra reazione fosse di rabbia
allora la situazione sarebbe ben diversa.
Questo
aspetto è ricordato negli Otto versi di Trasformazione della Mente:
“Quando
qualcuno a cui ho fatto del bene
e
in cui ho riposto grandi speranze
mi
infligge un danno terribile,
lo
considererò il mio santo amico spirituale.”
L’amico
indicato nel testo è per noi davvero maestro se ne riconosciamo il
contributo effettivo alla nostra pratica e crescita spirituale; la
sua esistenza si fonda sulla nostra soggettività, non è
oggettivamente reale.
Ciò
significa che se noi consideriamo una persona come maestro, lo è per
noi, e non deve necessariamente esserlo per tutti. Il maestro lo
possiamo trovare ovunque, in qualsiasi situazione, sul lavoro, in
famiglia.
La
questione del maestro è complessa e assai più mistica di quanto si
pensi.
E’
difficile dare una definizione del maestro spirituale, in molti libri
sono elencate dettagliatamente le qualità che dovrebbe avere, ma chi
è in grado di valutarle e attribuirle con sicurezza a una persona?
Nessuno
di noi ha gli strumenti per farlo, e su questo punto concordano
perfettamente sia il cristianesimo che il buddhismo: «soltanto
l’Essere superiore, il Cristo, il Buddha, può riconoscere le
realizzazioni interiori di una persona»,
noi, esseri ordinari, non ne abbiamo le capacità, per questo il
Cristo ha insistito sulla necessità di non giudicare il proprio
fratello.
Questo
è molto bello, e soprattutto nella pratica del Bodhisattva è
fondamentale non giudicare nessuno.
Al
contrario noi abbiamo l’inarrestabile tendenza ad esprimere
verdetti e appiccicare etichette: “quella
persona è irosa, quest’altra è insincera, ecc.”,
invece nella pratica del Bodhisattva è essenziale comprendere che
non si può mai giudicare perché non si è in grado di conoscere le
realizzazioni e le qualità interiori degli altri.
Dobbiamo
imparare a vedere gli esseri così come sono, senza costruire
valutazioni e fantasie. Se vediamo qualcuno compiere qualcosa di
buono ce ne rallegriamo perché scorgiamo l’espressione di un cuore
puro, se invece assistiamo ad un’azione non virtuosa, dobbiamo
sospendere ogni opinione personale, non sappiamo quali siano le
motivazioni e le situazioni interiori, siamo vincolati alla
stabilità nell’equanimità perché, come ha detto una grande Lama
tibetano, a noi non è dato di conoscere le qualità delle persone
che sono come brace che arde sotto la cenere.
Il
precetto del Bodhisattva di non giudicare gli altri è quindi
importantissimo. Anche le qualità che si dovrebbero riconoscere in
un maestro sono categorizzazioni, schemi, e chi è davvero in grado
di riconoscerle?
La
questione del maestro, della guida spirituale, è davvero complessa
ed è connessa alla soggettività di ognuno, alle esperienze e agli
eventi della sua vita.
Il
maestro spirituale non sono io, né il Lama che potete incontrare
ogni tanto, bensì le persone che ogni giorno sono accanto a voi,
siete voi che, singolarmente e soggettivamente, fate in modo che esse
diventino il vostro maestro.
Per
alcuni trovare una guida spirituale è difficile, c’è chi va in
India a cercarlo e chi, pur non essendo mai stato in Tibet, è
convinto che il proprio maestro ideale sia là; sono illusioni che
impediscono di accorgersi che il proprio maestro è già qui, proprio
accanto.
Se
invece siamo in grado di vedere in qualsiasi evento della vita, nelle
persone che condividono la quotidianità, le opportunità di sviluppo
della mente-cuore, allora i maestri spirituali non ci mancheranno
mai.
Domanda:
Però noi possiamo riconoscere gli altri come nostri maestri
spirituali, ma loro non ne sono assolutamente consapevoli…..
Lama: Questo
non ha importanza perché comunque il maestro ultimo, quello
definitivo, autentico, siamo noi stessi per noi stessi.
Domanda:
Io ho qualche dubbio che i genitori siano sempre dei maestri
spirituali, a volte lo sono più i bambini degli adulti.
Lama: Non
vi è contraddizione, i figli sono maestri per i genitori e i
genitori lo sono per i figli.
Domanda:
C’è una piccola contraddizione, perché i bambini non ne sono
consapevoli, mentre i genitori sanno di dover essere una guida per i
bambini.
Lama: Non
è rilevante, i bambini lo sapranno crescendo e al contempo si
renderanno conto di quanto i genitori siano stati importanti. Sono
buone domande, è bene avere dubbi, ma le risposte arriveranno piano
piano, anche perché devono scaturire soprattutto dalla propria
interiorità. Però mi rendo conto che spiegare cosa sia la guida
spirituale è davvero arduo.
Domanda:
Si può considerare il maestro spirituale il Buddha interiore?
Lama: Si.
Queste
sono le indicazioni principali circa il maestro spirituale contenute
nel Lam Rim, riferite anche a tutti i maestri che ci hanno preceduto
e che hanno permesso a noi di venirne in contatto. Grazie ai loro
sforzi e alla loro gentilezza il Lam Rim è ancora vivo e i suoi
insegnamenti sono tuttora freschi e percorribili.
Solitamente
si prendono in considerazione due
maestri, uno
interiore e
uno
esteriore,
ed è indispensabile la collaborazione di entrambi.
Il
maestro esterno è quello che permette al maestro interno, che è
sempre presente in noi e ci gestisce, di crescere e di potenziarsi.
Se
non c’è il maestro interiore, ma solo quello esteriore, è molto
difficile poter praticare il Dharma, un aspetto importante di cui
tener conto, il maestro esterno può essere chiunque, ma è
fondamentale la presenza di quello interno.
Quando
dovete confrontarvi con temi di questo spessore, vi consiglio di
approfondirli tramite una vostra indagine personale, magari prendendo
appunti, una ricerca di questo tipo è estremamente utile ed
efficace, necessaria, perché senza di essa, anche se io vi spiegassi
minuziosamente ogni dettaglio, rimarrebbero sempre dubbi, incertezze
e una conoscenza inevitabilmente superficiale.
Domanda:
Hai detto che non dobbiamo giudicare nessuno, ma nella vita di tutti
i giorni è necessario dover prendere decisioni, esprimere giudizi,
c’è un divario tra la teoria e la realtà.
Lama: Per
mia personale esperienza so che quando si devono prendere decisioni
si finisce inevitabilmente per giudicare le persone, però ripensando
a posteriori e osservando i risultati, spesso ci si rende conto che,
almeno al novanta percento, il giudizio non era corretto, per questo
ora procedo con maggior cautela. Ho verificato che se mi fossi
soffermato a considerare le motivazioni che suggerivano certi
comportamenti avrei evitato di formulare un giudizio errato, per
questo, anche di fronte a situazioni apparentemente evidenti,
soprattutto se negative, è necessario sospendere ogni valutazione e
mantenersi il più possibile nell’equanimità. Se vediamo un
aspetto positivo nell’altro e ce ne rallegriamo questo è bene, ma
se ciò che vediamo è negativo è meglio astenersi da ogni giudizio
che sarebbe un’ulteriore negatività che ci attraversa. Rimanendo
nell’equanimità non rischiamo l’errore.
Domanda:
Questo problema sorge soprattutto nel lavoro, perché spesso siamo
costretti a valutare una situazione, a prendere decisione in base ad
elementi discriminatori, ma dovremmo forse imparare a farlo senza non
imputare alcun giudizio alla persona che sul lavoro può aver
sbagliato.
Lama: Si,
c’è un giudizio dharmico, cioè costruttivo, completamente privo
di ostilità, di rabbia, anche a fronte di un atteggiamento
aggressivo dell’altro.
Noi
non sappiamo quanto il nostro giudizio sia corretto, potrebbe essere
frutto della nostra ignoranza che non ci permette di valutare le
potenzialità positive di quanto stiamo esaminando. Il giudizio
dharmico può essere dato in qualsiasi circostanza e può diventare
una realtà positiva da entrambe le parti e ci permette di evitare le
conseguenze negative per noi e per gli altri.
Concludiamo
con la lettura dei “Tre Aspetti principali del Sentiero” (pag.
13) e
poi ricordiamo tutti gli esseri senzienti dedicando la meditazione al
loro beneficio.
Dal capitolo primo “I benefici della Bodhicitta”
La
pratica del Dharma è la pratica del buon cuore e non è così
facile.
La
dicitura “buon cuore” può anche essere espressa con “buona
intenzione” o “buona motivazione”.
Esistono
due livelli di motivazione
- intenzione,
entrambi presenti in ogni azione della vita; sono il livello causale
che motiva quella determinata azione, e il livello risultante
che accompagna l’azione nel suo svolgimento.
E’
importante comprendere la funzione dei due livelli; la motivazione -
intenzione causale è presente ancor prima dell’attuazione
dell’azione, invece il livello risultante ne è generalmente
sincronico, ma non necessariamente, può verificarsi anche nel
momento immediatamente precedente e coesistere per tutta la sua
durata. A volte c’è una sequenza precisa e in questo caso
l’intenzione - motivazione che precede l’azione è quella
risultante, ed è comunque sorta da una causa anteriore che
corrisponde al livello causale.
I
livelli dell’intenzione - motivazione sono sempre due, ma l’azione
che ne deriva è unica.
Ad
esempio quando avete deciso di partecipare agli incontri di Dharma,
forse lo avete programmato con molto anticipo e avete stabilito di
seguirli per un determinato periodo, breve o lungo, e questa è la
motivazione causale che rimarrà vigente per tutta la durata
dell’azione. Però, l’intenzione che vi spinge a venire ogni
settimana è già il livello risultante dell’intenzione -
motivazione.
L’intenzione
- motivazione che vi porta fisicamente qui ogni mercoledi è il
livello di motivazione risultante, mentre il livello in cui avete
deciso di seguire gli incontri è quello causale, ma entrambi i
livelli della motivazione - intenzione sono relativi alla stessa
azione positiva e, di conseguenza corrispondono al buon cuore.
La
pratica del Dharma è la pratica del buon cuore, e la pratica del
buon cuore è la pratica della buona intenzione - motivazione nei
suoi due livelli.
Il
celebre testo buddhista “Dharmapāda” inizia enunciando che ogni
azione guidata da buona intenzione - motivazione conduce ad un buon
risultato e quindi alla felicità, al contrario, tutto ciò che è
guidato da una intenzione - motivazione negativa avrà solo risultati
negativi e quindi sofferenza.
Da
ciò emerge un dato fondamentale: I risultati non sono il prodotto
dell’azione, bensì sono conseguenze dirette dell’intenzione -
motivazione che l’hanno indotta.
La
qualità dell’azione non dipenderà dalla sua sostanza, ma
dall’intenzione - motivazione con cui la si compie. Questo è il
vero segreto della spiritualità del Dharma in cui non ha nessuna
importanza il nostro ruolo nella società, possiamo essere insigni
professori universitari o operatori ecologici che ogni mattina
spazzano le strade e verso i quali io sento una particolare
gratitudine.
Il
Buddha sottolinea che la qualità dell’azione è dettata
dall’intenzione - motivazione con cui la si attua,
indipendentemente dalla professione, stato o importanza sociale e
questo è un bellissimo messaggio soprattutto oggi in cui si è così
preoccupati dell’apparenza, dell’esteriorità, dimenticando
completamente di rivolgere almeno altrettanta cura alla propria
interiorità, eppure la bellezza interiore è infinitamente più
splendente di un attraente aspetto esteriore.
Questo
è stato il messaggio del Buddha, del Cristo, di Maometto, di San
Francesco, e di tutti coloro che sono grandi e umili come Gandhi e
Madre Teresa di Calcutta.
La
buona motivazione - intenzione, il buon cuore, sono essenziali perché
producono in noi i buoni risultati che sono causa di felicità, di
soddisfazione, di pace.
Se
la nostra intenzione fosse quella di diventare persone importanti,
potenti, imprenditori, potremmo anche raggiungere l’obiettivo e
ottenere uffici pomposi in cui rinchiuderci, spendere tutto il denaro
in hotel costosissimi e in abbigliamento alla moda, ma cosa ne
avremmo realmente ricavato? Solo tanti problemi, difficoltà e
insoddisfazione perenne.
L’intenzione
- motivazione non ha nulla a che fare con la volontà di potenza, di
supremazia sugli altri, al contrario, la buona intenzione
-motivazione corrisponde semplicemente all’altruismo.
Quanto
maggiore sarà l’altruismo e tanto più grande sarà la serenità,
la gioia, la soddisfazione e la pace in noi stessi e in chi ci
circonda.
Che
lo si ammetta o meno questa è l’evidente realtà dei fatti, non si
tratta di credere in un Dio o in qualcosa di trascendente, lontano da
noi, è semplicemente riconoscere il potente e benefico effetto
dell’altruismo, che non è vincolato a nessuna espressione
religiosa particolare, né al buddhismo, né al cristianesimo, né
all’islamismo, va oltre qualsiasi “ismo”, è assolutamente
universale e appartiene al Dharma su cui nessuno può accampare
diritti esclusivi, ciascuno lo può raggiungere e trarne liberamente
vantaggio.
In
ognuno di noi, in una certa forma, vi è dell’altruismo; nel
momento in cui ci sentiamo felici e rilassati, indagando in noi
stessi, scopriremo che ciò è dovuto all’altruismo che sta
sorgendo.
La
nostra mente è simile all’oceano, è sempre là, naturale, solida,
e i fattori mentali sono simili alle correnti che spumeggiano, creano
le onde in costante movimento e mutazione, a volte sono calme e
tranquille, altre scosse da tifoni.
Se
vi è una maggior presenza di fattori mentali positivi la quiete avrà
il sopravvento sulle turbolenze dei fattori negativi e l’acqua
dell’oceano potrà essere sempre più calma, limpida, bella e
piacevole, ma se, al contrario, vi è superiorità di fattori
negativi, la tormenta colpirà e annullerà anche le acque calme e la
tempesta, causa di tanta sofferenza, avrà il sopravvento.
Queste
sono le sensazioni che costantemente si presentano nella quotidianità
ed è evidente che possiamo ottenere la pace interiore, la gioia, la
serenità solo potenziando i fattori mentali positivi rispetto a
quelli negativi e distruttivi.
L’altruismo
è causa di uno stato di pace neutrale della mente, in cui non
prevalgono né i fattori mentali positivi né quelli negativi, è una
perfetta condizione di serena equanimità.
La
pratica del buon cuore è basilare nel Dharma, non siamo qui per
ottenere certificati o diplomi, ma in quanto consapevoli che la
pratica del Dharma è il nostro dovere, la nostra responsabilità, il
nostro diritto di nascita e migliora la qualità di tutto ciò che
facciamo, nella vita, nel lavoro, valorizza qualsiasi professione e
ci induce ininterrottamente a riflettere sui tanti benefici che
riceviamo dal prossimo e su quanto vogliamo e dobbiamo restituire con
entusiasmo e compassione.
La
società moderna affonda le basi su una mentalità economica che
presume di dover pagare ogni cosa, nulla può essere offerto
gratuitamente; una visione estremamente negativa, per nulla dharmica,
che nega la gentilezza fondamentale presente in tutti gli esseri.
Invece
di pagare per prendere si dovrebbe collaborare in un interscambio
reciproco.
Trasformare
ogni situazione in possibile business è una devianza dalla nostra
naturale situazione, perché tutti siamo parte della stessa famiglia,
della stessa comunità. Questa consapevolezza è una vera filosofia
di vita, mentre al contrario, pagare per prendere, non fa altro che
aumentare la divisione, lo scontro, la lotta.
Domanda:
la nostra società è però così impostata e anche l’altruismo non
può esimersi dal seguire certe regole, la motivazione - intenzione è
ineluttabilmente subordinata ad esse, come si può uscirne?
Lama: Ciò
che vorrei comprendeste è che questa vita artificiosa, un po’
meccanica in cui paghiamo per avere è una distorsione assolutamente
negativa perché tutto si riduce ad una contrattazione che
inevitabilmente causa stress, sofferenza e annulla rapporti umani
autentici.
E’
chiaramente arduo cambiare un meccanismo di questo genere, però si
può cercare di diminuire lentamente ma inesorabilmente questo
automatismo, noi non siamo macchine e dobbiamo saper inserire
all’interno del sistema la componente spirituale che nasce dalla
pratica del Dharma, arricchire il sistema apportando il significato
dharmico che è attribuibile a qualsiasi evento.
Un
piccolo esempio pratico: con i vicini non ho particolare condivisione
di attività spirituali, ma quando ci si incontra, anche casualmente,
è sempre occasione di imprimere un senso dharmico a quel breve
momento, magari mostrando con un sorriso rispetto, solidarietà
umana, e questo lo possiamo fare in qualsiasi circostanza, anche
andando a prendere un caffè al bar, imprimere significato in ogni
movimento, in ogni attività, nella consapevolezza del riguardo
dovuto agli altri.
Questo
sentimento dharmico non è rivolto solo agli esseri umani ma è
dovuto ad ogni manifestazione naturale perchè la natura ci è madre,
ci nutre, ne siamo un frutto.
Anche
se qualcuno ci causa dolore possiamo trasformare questa circostanza
in evento dharmico, ricco di significato, comprendendo che la
sofferenza non dipende dall’azione contro di noi, né
dall’attitudine degli altri, ma esclusivamente dalla nostra
capacità spirituale.
Più
altruismo significa più buon cuore e quindi maggior significato
dharmico nelle circostanze della vita. Ecco perché la motivazione -
intenzione è ciò che può rendere qualsiasi azione un evento con
risultato positivi o negativi.
Non
l’azione in sé, ma la motivazione - intenzione con cui la si
compie fa la differenza.
Non
è un concetto facile da comprendere e ancor meno da praticare,
perché il pensiero è più veloce della parola e la parola lo è più
della pratica, per cui anche se desideriamo concretizzare
istantaneamente questi buoni pensieri, in realtà è impossibile,
possiamo continuare a riflettervi nella mente-cuore e soltanto nel
momento in cui essa sarà pronta potranno giungere alle labbra come
parola e dalla parola scaturirà l’azione, una sequenza che può
compiersi unicamente seguendo ogni stadio, passo dopo passo.
Il
Lam Rim è proprio questo, percorrere gradualmente il sentiero, e se
anche qualcuno, affermando il falso, ci dicesse che possiamo saltare
le tappe e giungere direttamente e velocemente al traguardo, la
realtà dimostrerà che ciò avverrà semplicemente e naturalmente
procedendo un passo dopo l’altro, non esiste altra possibilità di
colmare la distanza.
Tutto
si svolge progressivamente e ha un preciso valore in sé, sia la
buona intenzione, la buona azione, che la buona parola espressa nel
mantra, spesso oggetto delle nostre fantasie occidentali, la cui
ripetizione favorisce la concentrazione ed evita che ci distraiamo in
chiacchiere inutili e in pettegolezzi.
Anche
l’atto di sgranare il rosario è positivo perché con questo gesto
stiamo contando le buone parole del mantra.
Nella
pratica tibetana è diffusa la circoambulazione degli Stūpa o dei
Templi, ed è una forma di meditazione camminata in un luogo
favorevole in cui si procede concentrati nella meditazione, è
contestualmente una pratica pratica.
Agli
occhi di un occidentale la ripetizione delle stesse sillabe facendo
scorrere tra le dita i grani di una collana e camminando intorno ad
luogo particolare, può sembrare una stravaganza insensata, ma in
realtà tutte queste attività sono volte a sviluppare l’attitudine
altruistica nel pensiero, nella parola e nella mente.
Questa
è la pratica del Dharma, del buon cuore, dell’altruismo, e ci
introduce al Bodhicaryāvatāra di cui abbiamo già esaminato il
primo capitolo.
Sāntideva
nel Bodhicaryāvatāra afferma che è più importante far sorgere
l’attitudine altruistica anche in un’infinitesima parte della
mente, piuttosto che rendere innumerevoli omaggi al Buddha o alle
divinità. Se non si comprende che la pratica fondamentale è il buon
cuore e ci si concentra solo nelle devozioni esteriori al Buddha non
si pratica il Dharma.
Nei
prossimi incontri procederemo nell’analisi del secondo capitolo del
Bodhicaryāvatāra e approfondiremo il significato di sviluppare il
buon cuore nel Dharma, attitudine che non ha nulla a che vedere con
gli “ismi”
con cui si etichettano le religioni e che sono frutto di cattive
traduzioni: buddhismo,
lamaismo, cristianesimo, islamismo….,
è sufficiente pronunciare le prime lettere di uno di questi nomi e
già si crea una divisione, una guerra, una separazione. In tibetano
c’è il termine “Chö”
che comprende tutto, cristianesimo, islamismo, buddhismo, ogni
religione, il Chö è la pratica del Dharma.
Adesso
leggete un verso ciascuno del primo capitolo del Bodhicaryāvatāra
(pag.
4).
Sviluppare
il buon cuore è estremamente importante in questi anni così confusi
in cui tutto è distorto e persino rendere omaggio al proprio
referente religioso, sia Buddha, Cristo o Maometto, si trasforma in
aberrante causa di separazione e scontri. Invece, con la pratica del
buon cuore si attua l’essenza del messaggio del Buddha, del Cristo
e di Maometto, perchè ciò che loro hanno voluto trasmettere è
l’altruismo, l’amore e la compassione fraterni, e al di fuori di
questo non desideravano assolutamente la nostra venerazione.
Purtroppo esiste una enorme contraddizione tra il loro insegnamento e
il nostro modo di attuarlo, di intendere la pratica religiosa e di
rapportarci a loro.
Il
Buddha, il Cristo e Maometto hanno insegnato lo stesso Dharma che noi
poi, mossi da insensata follia, abbiamo voluto dividere, separare,
cercando inesistenti motivi di discordia, senza preoccuparci
minimante di coltivare l’altruismo, l’amore fraterno, la
compassione.
Prima
di concludere leggiamo ancora una volta, lentamente, gli “Otto
Versi di Trasformazione della Mente” che contengono in sintesi
l’intera essenza del Bodhicaryāvatāra (pag.
12).
Anche
la lettura degli otto versi è una meditazione, prima devono
attraversare la mente e il cuore per potersi trasformare nelle parole
che pronunciamo con consapevolezza e concentrazione.
Grazie.
Dal capitolo secondo “Bodhicitta o Cuore di bontà suprema”
Il
primo capitolo del Bodhicaryāvatāra è stato ampiamente esaminato
nelle precedenti sessioni, verso per verso, e ora possiamo procedere
nell’analisi del secondo capitolo, abbastanza semplice e di agevole
comprensione e che vi esorto a rileggere più volte anche da soli,
tratta i benefici della bodhicitta, termine che tradotto
letteralmente è “mente dell’illuminazione” e che sottintende
l’atteggiamento, l’attitudine di bontà suprema.
Nello
scorso incontro abbiamo parlato del buon cuore in relazione alla
bodhicitta, alla buona intenzione e motivazione.
Bodhicitta
è un termine sanscrito, tradotto in tibetano e così inserito nelle
trascrizioni occidentali io però suggerirei di adottare il termine
“buon cuore” il “cuore di bontà suprema” che maggiormente ne
rende l’essenza.
Nel
commento si precisa che, avendo già letto, riflettuto e meditato sul
primo capitolo del bodhicitta dovrebbe essere sorta in noi una
profonda ammirazione per il cuore di bontà suprema.
Essere
consapevoli dei benefici della bodhicitta favorisce in noi l’incanto
e il proposito di sviluppare un cuore di così grande bontà. Questa
volontà sorta dalla lettura e meditazione dei benefici della
bodhicitta è il mezzo abile che, nella riflessione e meditazione, ci
fa essere determinati con gioioso entusiasmo.
Dopo
aver consolidato questa sconfinata ammirazione dobbiamo attivarci per
alimentare il cuore di bontà suprema, ma per meditare direttamente
sulla bodhicitta è necessario costruire fondamenta salde che
permettano la creazione delle idonee circostanze.
Per
porre solide basi al cuore di bodhicitta bisognerebbe praticare
innanzitutto la “Pūja dei Sette Rami”, che include la presa di
rifugio nei tre gioielli.
La
generazione della bodhicitta permette che le nostre virtù possano
crescere infinitamente ed è la realtà indispensabile al
conseguimento dell’illuminazione.
A
questo punto ci si domanda “Cos’è
la bodhicitta? Qual’è la sua radice?”
La
radice della bodhicitta è la gentilezza amorevole e la compassione,
dunque la meditazione sulla bodhicitta si basa su quella della
gentilezza amorevole e della compassione e per farlo è necessario
leggere e riflettere sul primo capitolo del Bodhicaryāvatāra e,
avendo così compreso i benefici del cuore di bontà suprema,
incrementare l’aspirazione alla sua realizzazione cominciando a
dissodare il terreno in cui piantare i semi della bodhicitta
attraverso la Pratica dei Sette Rami.
La
Preghiera dei Sette Rami è la base per la purificazione e
l’accumulazione dei meriti. Per prima cosa si prende rifugio nei
tre gioielli, poi si cura l’accrescimento del cuore di bodhicitta
basandosi sulla gentilezza amorevole e sulla compassione.
Abbiamo
concluso il commento al primo capitolo e vi invito con particolare
sollecitudine a soffermarvi ripetutamente sulla raccomandazione in
esso contenuta: “chi
è riuscito a conseguire questa preziosa vita umana dovrebbe
praticare le due bodhicitta”.
Questo
è il più elevato obiettivo ottenibile nell’esistenza, e per
raggiungerlo è necessario meditare costantemente sui benefici che
derivano dalla mente cuore, la forza interiore che ci induce a
sviluppare con entusiasmo e ininterrottamente la bodhicitta.
Leggiamo
il secondo capitolo del Bodhicaryāvatāra fino al verso
ventisettesimo:
- Per poter afferrare completamente quel gioiello, la mente venero qui i Tathagata, e il gioiello senza macchia, il vero Dharma e i figli dei Buddha, oceani di virtù.
- Quanti sono i fiori e i frutti e le erbe medicinali, quanti i gioielli nel mondo, e le chiare acque rinfrescanti;
- Insieme a montagne fatte di gioielli e altri luoghi piacevoli in solitudine, boschetti rampicanti splendenti di bei fiori loro ornamenti, e alberi, dai rami chini sotto il peso dei frutti turgidi;
- E, dai mondi di dèi ed esseri celesti, fragranze e incensi, alberi magici che soddisfano ogni desiderio e alberi carichi di gemme, laghi ornati di loti, dove i richiami delle oche incantano il cuore;
- Piante che crescono selvatiche e piante che sono coltivate, e ogni altra cosa che possa ornare chi è degno di onori, e tutte quelle cose non possedute entro i confini della vastità dello spazio;
- Ecco, nella mente prendo possesso di tutto questo e lo offro ai Tori fra i Saggi e ai loro figli. Con grande compassione solleciti verso di me, possano costoro, i più degni di doni, i miei accettare.
- Sono senza meriti, sono estremamente povero. Non ho altro da offrire in adorazione. Perciò, per il loro potere, possano i Signori, rivolti al benessere degli altri accettare questo per il mio benessere.
- Tutto me stesso dono completamente ai Vittoriosi e ai loro figli. Prendete possesso di me, esseri sublimi; per devozione sono suddito vostro.
- Prendete possesso di me e io non avrò più paura, agirò per il bene degli esseri. Mi lascerò completamente alle spalle le colpe anteriori; mai più compirò altro male.
- In quei bagni profumati, dove baldacchini rilucenti di perle, su colonne bellissime, splendenti di gemme, si innalzano da pavimenti di mosaico di trasparente brillante cristallo,
- Da tanti vasi incrostati di gemme grandissime, pieni d’acqua e fiori squisitamente fragranti, ecco, io bagno i Tathagata e i loro figli, al suono di canti e musiche.
- Asciugo i loro corpi con tessuti incomparabili, profumati, purificati da ogni impurità; poi dono loro le vesti più belle, tinte riccamente e fragranti.
- Di tutte le vesti celesti, morbide, fini splendenti di molti colori, e di ornamenti squisiti, io adorno Samantabhadra, Ajita, Manjughosa Lokesvara, e altri Bodhisattva.
- Con i profumi più preziosi, la cui fragranza pervade l’intero universo dei tremila mondi, io ungo i corpi di tutti i Signori dei Saggi, che brillano della lucentezza dell’oro ben fuso, depurato e lucidato.
- Rendo gloria ai più gloriosi Signori dei Saggi con tutti i fiori dolcemente profumati, piacevoli per la mente: fiori celestiali, gelsomino, loto blu, e altri , e con ghirlande intrecciate in modo incantevole.
- Li avvolgo in nuvole dense di incenso, ricche, penetranti e aromatiche. Un’offerta di cibi, morbidi e duri, e bevande molteplici offro loro.
- E offro preziose lampade allineate su loti d’oro, e su pavimenti di mosaico aspersi di profumo cospargo moltissimi bei fiori.
- A costoro , fatti di benevolenza, offro anche quelle lucenti nuvole che sono i palazzi celesti, ornati alle entrate nelle quattro direzioni, splendenti per le file sospese di perle e pietre preziose, incantevoli per i canti e i poemi di lode.
- Per i Grandi Saggi, ecco, dispongo splendidi parasoli ornati di gemme,incrostati di perle, levati su aste d’oro dalle forme gradevoli.
- D’ora in poi, possano levarsi dense nuvole di venerazione, e nuvole di musica strumentale che emozionano ogni essere.
- Possano cadere piogge di fiori e gioielli e altre offerte, senza fine, sui caitya, sulle immagini e su tutti i gioielli che formano il vero Dharma .
- Proprio come Manjughosa e altri seguendolo anno adorato i Vittoriosi, così anch’io adoro i Tathagata, i Protettori, e i loro figli.
- Lodo gli Oceani di Virtù con inni che sono un mare di note e armonie. Che sorgano nuvole di canti di lode senza distinzione tra loro.
- Con inchini numerosi quanto gli atomi nei campi di Buddha, mi prosterno davanti ai Buddha dei tre tempi, davanti al Dharma , davanti all’altissima assemblea.
- Venero tutti i caitya e i luoghi legati al Bodhisattva . Mi inchino ai miei maestri e agli aspiranti spirituali che sono degni di lode.
- Fino alla sede del risveglio, prendo rifugio nel Buddha; prendo rifugio nel Dharma e nell’assemblea dei Bodhisattva.
- Ai Buddha perfetti schierati in tutte le direzioni, e anche ai Bodhisattva di grande compassione , giungendo le mani in segno di rispetto.
L’ultimo
verso è bellissimo, si rende omaggio ai Bodhisattva, fonte di
felicità incondizionata e ininterrotta, persino qualora si volesse
arrecar loro danno.
Il
Bodhisattva è l’individuo che ha sviluppato il cuore di bodhicitta
e sarà sempre sorgente di gioia, senza eccezioni. Esempio evidente è
Gesù Cristo che ingiuriato, torturato, ucciso, sottoposto a ogni
sorta di patimenti, non ha mai maturato un minimo sentimento di
rabbia, di odio, ma ha avuto infinita compassione e amore per coloro
che lo colpivano i quali, proprio a causa di ciò, malgrado avessero
intenzioni malvagie, probabilmente potranno ricevere grandi gioie e
felicità.
E’
un principio interessante poter constatare che il cuore di bodhicitta
è saldamente positivo, per chi dà e per chi riceve, qualunque sia
l’attitudine personale, anche la più negativa, nei confronti del
Bodhisattva che, nella sua grande compassione, tutto trasforma in
bene.
Questi
sono gli effetti della compassione e della gentilezza amorevole che
possono anche intendersi come pensieri giovevoli, di aiuto, in nessun
caso dannosi o offensivi. Una persona che possegga una simile
attitudine sarà sempre gioiosa, luminosa, ricca di pace da
condividere, effettivamente di aiuto agli altri in ogni circostanza.
La
bodhicitta affonda le radici nella gentilezza amorevole e nella
compassione e la loro pratica è essenziale.
Non
ci si deve illudere di raggiungere repentinamente nella meditazione
lo stato di bodhicitta, prima è necessario meditare profondamente
sulla gentilezza amorevole e sulla compassione che comportano
l’attitudine del donare la felicità agli altri.
Uno
stato interiore privo di odio, di rabbia in cui vi sia sempre minor
attaccamento e ignoranza si rifletterà automaticamente sugli altri
colmandoli di gioia.
Nella
quotidianità siamo in grado di osservare facilmente il sorgere
dell’attaccamento, dell’avversione, dell’ignoranza, mentre
abbiamo difficoltà a cogliere la presenza degli stati mentali che vi
si contrappongono.
Il
pensiero opposto alla rabbia è quello della pazienza e della
tolleranza. La rabbia in genere è immediata, esplosiva, ma dura
poco, sentimento ben più devastante è l’odio che si forma sulle
orme della rabbia, in questo caso lo stato opposto è il perdono. Ma
esiste anche una terza e peggiore conseguenza e consiste nella
perfidia, nella volontà di vendetta, nel godimento per il male fatto
a qualcuno.
Alla
rabbia e all’odio si contrappone la compassione che aspira a
liberare gli esseri dalla sofferenza; alla perfidia e alla vendetta
si contrappone la gentilezza amorevole che, non solo vuole affrancare
dalla sofferenza, ma desidera ardentemente che tutti possano trovare
la felicità, la gioia della liberazione.
E’
essenziale saper riconoscere in ogni circostanza gli aspetti
contrapposti dei pensieri, sia negativi che positivi, cosi da poterli
trasformare attraverso la pratica.
A
questo punto sorge una domanda, “perché
occorre tanto sforzo per far sorgere i pensieri positivi, mentre si
presentano spontaneamente, automaticamente quelli negativi?”
Purtroppo
noi siamo estremamente confusi, abbiamo pensieri che crediamo
positivi e in realtà sono negativi, e viceversa, e così anche se
non vorremmo soffrire affondiamo sempre più nel pantano del dolore.
Evitiamo
di credere di poter eliminare quasi magicamente, in un colpo solo,
tutti i pensieri negativi accogliendo soltanto i positivi; ciò che
possiamo fare è cercare, con sforzo e impegno, di ridurre i pensieri
negativi e di incrementare quelli positivi.
E’
necessaria, in ogni istante della vita, la consapevolezza che
riconosce i pensieri e ci permette di imparare a gestirli,
valutandoli e distinguendoli, questa è la più grande meditazione.
La
compassione e la gentilezza amorevole sono la radice delle buoni
intenzioni.
Ora
commentiamo i versi del secondo capitolo in cui si dice che, avendo
compreso i benefici della bodhicitta, possiamo dedicarci al suo
sviluppo nella Pratica dei Sette Rami e nelle sei perfezioni.
- Per poter afferrare completamente quel gioiello, la mente venero qui i Tathagata, e il gioiello senza macchia, il vero Dharma e i figli dei Buddha, oceani di virtù.
Il
primo atto della pratica in sette rami è la presentazione delle
offerte ai tre gioielli, “Buddha, Dharma e Sangha”, termini non
traducibili nelle lingue occidentali con conseguente difficoltà di
approfondirne il senso filosofico, è dunque necessario cercare
termini simili corrispondenti alla cultura occidentale in modo da
facilitare la comprensione del loro significato compiuto.
Tempo
fa ero all’Aquila per una benedizione a una famiglia che aveva
invitato per l’occasione molti amici e, affinché tutti potessero
sentirsi a proprio agio e comprendere il significato di ciò che si
stava facendo, al momento della presa di rifugio, ho spiegato che,
per analogia, i Tre Gioielli potevano in termini cristiani essere
comparati alla Trinità, e la generazione della bodhicitta alla
misericordia.
Questo
raffronto è essenziale perché quando prendiamo rifugio dobbiamo
essere coscienti di ciò che avviene ed è possibile solo se vi è
corresponsione con la nostra cultura. L’offerta al Buddha, che in
sanscrito è chiamato Tathāgata, è rivolta a colui che ha raggiunto
la beatitudine. Il secondo oggetto dell’offerta è il Dharma, cioè
la realizzazione del Tathāgata, il terzo è il Sangha costituito dai
Bodhisattva, coloro che hanno realizzato la bodhicitta.
Buddha
Dharma e Sangha non sono una prerogativa buddhista, sono presenti in
ogni religione, cristianesimo, islamismo, ebraismo; in ogni società
c’è la presenza di Buddha Dharma e Sangha.
La
motivazione dell’offerta al Buddha Dharma e Sangha è fondamentale
in quanto è finalizzata allo sviluppo della bodhicitta che implica
il beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Le
offerte possono essere tantissime e le leggeremo di seguito, fino al
verso settimo:
- Quanti sono i fiori e i frutti e le erbe medicinali, quanti i gioielli nel mondo, e le chiare acque rinfrescanti;
- Insieme a montagne fatte di gioielli e altri luoghi piacevoli in solitudine, boschetti rampicanti splendenti di bei fiori loro ornamenti, e alberi, dai rami chini sotto il peso dei frutti turgidi;
- E, dai mondi di dèi ed esseri celesti, fragranze e incensi, alberi magici che soddisfano ogni desiderio e alberi carichi di gemme, laghi ornati di loti, dove i richiami delle oche incantano il cuore;
- Piante che crescono selvatiche e piante che sono coltivate, e ogni altra cosa che possa ornare chi è degno di onori, e tutte quelle cose non possedute entro i confini della vastità dello spazio;
- Ecco, nella mente prendo possesso di tutto questo e lo offro ai Tori fra i Saggi e ai loro figli. Con grande compassione solleciti verso di me, possano costoro, i più degni di doni, i miei accettare.
- Sono senza meriti, sono estremamente povero. Non ho altro da offrire in adorazione. Perciò, per il loro potere, possano i Signori, rivolti al benessere degli altri accettare questo per il mio benessere.
La
prima parte dell’offerta, tratta di beni materiali che non sono
necessariamente proprietà individuali, ma esistenti e di cui godiamo
collettivamente. Questa distinzione è sottile ma sostanziale, perché
l’offerta è uno stato mentale che si contrappone all’attaccamento.
Nell’attaccamento
ci si illude di voler avere cura delle cose, ci si sente immuni
dall’avidità, dall’avarizia, ma con l’attaccamento non se ne
ha cura, che invece si pone in atto solo nell’atto del donare, nel
lasciar andare.
Nella
mente - cuore dobbiamo avere una visione chiara del significato del
donare con generosità perché l’offerta interiore ci trasforma
realmente, per questo possiamo offrire con purezza, gioia e
generosità priva di attaccamento, qualsiasi bene, cibo, medicina,
gioiello naturale, acqua, foreste, fiori, frutti.
Sono
interessanti i concetti espressi in questi versi e sarebbe opportuno
indagarli, approfondirli in una ricerca personale.
Domanda:
Quando dici che i Tre Gioielli possono essere paragonati alla
Trinità, cosa intendi? come può essere paragonato Dio al Tathāgata?
Lama: Il
fatto è che Dio e il Tathāgata sono fenomeni di grandezza
incommensurabile, vanno oltre la nostra capacità di comprensione e
immaginazione, tentiamo di darne definizioni concettuali e in questo
senso possono essere comparati.
Se
ci atteniamo strettamente ai testi ovviamente troviamo descrizioni
diversissime dove non pare poterci essere punto di incontro, però è
altrettanto vero che chiunque pretendesse di parlare con Dio o con il
Buddha dovrebbe essere al loro stesso livello.
Soltanto
il medico è in grado di visitare un malato, di formulare una
diagnosi e individuare la cura, noi, non essendo medici, non abbiamo
nessuna di queste possibilità.
Domanda:
Ma il Tathāgata non può essere comparato al Dio creatore….
Lama: Anche
per quanto riguarda la creazione dell’universo esistono
interpretazioni a diversi livelli, uno è metaforico e di lettura
immediata, si racconta una storia; ma ci sono altri livelli molto più
sottili che affrontano l’essenza della creazione dell’universo,
il creatore dell’universo è la suprema vacuità, va oltre alla
nostra comprensione.
La
ricerca è ottima, è importante.
Concludiamo
leggendo gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” (pag.
12)
Dal capitolo secondo “Il Prezioso significato dell’Offerta”
C’è
sempre una bella atmosfera in questi incontri perché la spiritualità
nel Dharma è calore e pace del cuore, realtà spesso assente nella
nostra quotidianità e indubbiamente non così facilmente
coltivabile, dunque ogni volta che ci ritroviamo in questo sforzo
gioioso la pace e la serenità sorgono spontaneamente. Il calore nel
cuore arricchisce la spiritualità.
Poiché
io sono piuttosto ignorante, un praticante di basso livello, la
pratica a me più necessaria, la mia favorita, è quella degli “Otto
Versi di Trasformazione della Mente”, che sono l’essenza di tutte
le pratiche del Lo Jong.
“Lo
Jong” è il metodo che trasforma la mente, muta un atteggiamento
non salutare, insano, egoistico ed egocentrico, in un’attitudine
generosa, altruistica e gli “Otto Versi di Trasformazione della
Mente” sono il cuore di tutte le pratiche dei maestri Kadampa.
E’
magnifico lo sforzo di voler leggere, riflettere, imparare, dal
Bodhicaryāvatāra di Sāntideva, ma questo richiede un tempo
appositamente dedicato, mentre “Otto Versi di Trasformazione della
Mente” sono costantemente presenti in noi, li possiamo applicare in
qualsiasi attività, in ogni istante della giornata, nella loro
semplicità e completezza sono di immenso giovamento per il nostro
benessere.
Se
quando ci sentiamo privi di energia perché affaticati
dall’ignoranza, dalla rabbia, dalla gelosia, dall’attaccamento,
ricordiamo gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” è come
se versassimo dell’acqua fredda su una ferita bruciante, proviamo
un immediato sollievo, un senso di pace, di serenità, di
rigenerazione.
L’essenza
del buddhismo, della pratica del Dharma è il Lo Jong e la
bodhicitta.
Al
fine di generare la bodhicitta, dobbiamo procedere per gradi,
prendere rifugio nei tre gioielli e attuare al Pratica dei Sette
Rami, cominciando con le offerte, così come descritto nel secondo
capitolo del Bodhicaryāvatāra. Ricordo ancora, per chi fosse stato
assente la volta scorsa, che i tre Gioielli possono essere comparati
alla Trinità cristiana e la bodhicitta alla misericordia.
E’
importante non incorrere nell’errore di voler convertire o
convertirsi creando situazioni pesanti e confuse di promiscuità
politico-religiosa assolutamente deleteria.
L’armonia,
l’unione, l’incontro tra le espressioni spirituali delle diverse
religioni comporta invece che siano abbattute tutte le barriere, le
divisioni, nel naturale superamento di ogni problema e difficoltà
con una effettiva apertura e arricchimento della mente.
Dunque
rileggiamo i primi nove versi del secondo capitolo che trattano della
presa di rifugio nei tre gioielli e dell’offerta
(pag. 6).
Questi
versi rispecchiano esattamente la vita di Sāntideva, una persona
semplicissima e umile che non possedeva quasi nulla e viveva alla
giornata.
Come
già detto si può visualizzare e offrire con cuore puro e generoso
ogni bene esistente.
L’offerta
è una pratica di generosità e si espleta su due livelli, il primo è
rivolto ai tre gioielli, Buddha Dharma e Sangha e l’altro agli
esseri inferiori, compresi anche gli animali, perché l’ammirazione,
l’apprezzamento delle qualità degli altri è essenziale allo
sviluppo della generosità e deve essere diretto a tutti senza
discriminazione.
In
occidente c’è la possibilità di fare donazioni a ONLUS, e in
questo modo pagare meno tasse, ma temo che non un sia bene, perché
si sottrae qualcosa destinato a servizi pubblici e sottintende un
calcolo che inficia la purezza della generosità che è invece
apertura di cuore, dare senza attendere nulla in cambio, privi di
attaccamento.
Segue
la bellissima offerta del proprio corpo a cui siamo così attaccati,
è sufficiente un banale malessere perché ci sentiamo totalmente
disturbati. Una piccola parte del corpo dolente influenza l’io
stesso e ciò è dovuto all’attaccamento. Questo è un aspetto che
mi fa riflettere molto, perché ne constato gli effetti su me stesso
ogni volta che qualcosa non funziona bene.
Eminenti
scienziati sono affascinati dal Dalai Lama e studiano con lui i vari
aspetti della mente in un progetto chiamato “mind and life”, però
sorge subito un problema perché loro posseggono raffinate conoscenze
scientifiche, ma non meditano e non conoscono la natura della mente.
In
America, in questo progetto, “mind and life”, si è voluta
sperimentare la capacità di concentrazione su un campione di
meditatori delle diverse scuole, zen, theravada, ecc, e il più
capace è risultato il Lama tibetano. Gli scienziati conclusero che
ciò era dovuto alla lunga meditazione nella solitudine
dell’himalaya, travisando completamente la reale causa e
dimostrando di non avere la minima conoscenza della bodhicitta e
della compassione.
La
meditazione sulla bodhicitta invece presuppone una mente aperta,
elastica, vasta, ed è ciò che porta al massimo livello di
concentrazione.
La
concentrazione meditativa non solo acutizza le capacità della mente,
ma la rende stabilmente calma, in perfetta tranquillità, ed è una
meditazione che non ha nulla in comune con la metodologia proposta da
“mind and life” perché la concentrazione meditativa è
inscindibilmente connessa alla pratica del Dharma.
Nel
“mind and life” si esaminano semplicemente le funzioni
biologiche, le reazioni cerebrali, in modo schematico, rigido e
inevitabilmente superficiale, la meditazione di bodhicitta tutt’altra
cosa, non ha proprio nulla in comune con una visione così ristretta.
L’offerta
del corpo non vuol dire di consegnarlo agli altri affinché lo
abbattano o ne facciano ciò che vogliono, ma significa sviluppare il
non attaccamento al corpo, consapevoli che tutti i disordini, gli
squilibri, le malattie che lo colpiscono e che possono disturbare
fortemente l’io, sono una realtà che l’io dovrebbe poter
dominare, gestire, evitando di esserne sopraffatto.
In
questi giorni ho tanti piccoli malesseri e ne riscontro l’invadenza,
ci sto riflettendo e mi chiedo: “quanto una malattia più
importante interferirebbe con la pratica del Dharma?”
Solo
nella pratica del Dharma posso superare l’attaccamento al corpo che
accentua la sensazione di sofferenza, invade e disturba l’io,
mentre nel non attaccamento al corpo, anche se il dolore fisico non è
eliminato, l’io è libero, non ne subisce le conseguenze; in questo
consiste il dono del corpo.
L’offerta
del corpo dovrebbe sempre essere accompagnata dall’offerta dei
beni, di tutte le cose che ci appartengono perché anche la loro
perdita potrebbe disturbare l’io e dunque la pratica del donare
tutto, se pur compiuta a livello immaginativo, è utilissima per
sviluppare realmente in noi il non attaccamento al corpo e ai beni.
Al
contempo la pratica dell’offerta permette l’accumulazione dei
meriti che rappresenta il secondo aspetto degli effetti benefici; da
un lato si ottiene il beneficio della trasformazione dell’attitudine
mentale nel non attaccamento, e dall’altro l’accumulazione dei
meriti derivante da questo stesso distacco.
Il
nono verso recita:
- Prendete possesso di me e io non avrò più paura, agirò per il bene degli esseri. Mi lascerò completamente alle spalle le colpe anteriori; mai più compirò altro male.
La
paura è causa di chiusura mentale, di egoismo, l’io teme di non
avere protettori; per questo motivo si prende rifugio nei Tre
Gioielli, o nella Trinità, la corrispondenza è perfetta, non c’è
differenza.
Dobbiamo
attivare lo sforzo e maturare sincera fede nella protezione che ci
salva e libera da tutti i timori. Protezione e fede sono
interdipendenti, come due ganci che, unendosi, costituiscono una
corda di la sicurezza, un riparo stabile.
Nel
rifugio si assume un serio impegno personale, diventa nostro preciso
dovere non compiere più nessun atto negativo, dannoso, ma soltanto
azioni altruistiche, di beneficio.
Non
esiste alcun senso nel compiere azioni dannose, anche gli animali se
potessero parlare lo confermerebbero.
Seguono
le magnifiche offerte elencate dal decimo al ventunesimo verso.
Sono
dodici offerte considerate comuni, mentre dal verso ventiduesimo
saranno elencate le offerte straordinarie.
La
prima offerta comune è quella del bagno, rivolta agli esseri
superiori, ai Tathāgata e ai Bodhisattva, ma anche agli esseri
inferiori.
Seguono
le offerte dell’abbigliamento, degli ornamenti, delle essenze
profumate, dei fiori, dell’incenso, del cibo, della luce, della
dimora, del parasole, della musica, e tutte sono illimitate, si
rigenerano continuamente e sono relative a quanto usiamo normalmente
e nel momento stesso in cui ne usufruiamo dobbiamo rioffrirle con
gioia, senza attaccamento.
Purtroppo
abbiamo atteggiamenti sostanzialmente diversi nei confronti
dell’offerta che presentiamo agli altri rispetto a quella verso noi
stessi, e dobbiamo dunque soffermarci ad esaminare ogni aspetto di
queste opposte attitudini, perché l’analisi è parte integrante
della pratica, è un aiuto imprescindibile per poter superare gli
errori.
L’offerta
non è solo quella che si depone sull’altare, può essere qualunque
altra, verso gli amici, i genitori, i parenti, coloro che
incontriamo, per giungere finalmente ai nemici.
Non
è facile presentare offerte con purezza, l’errore che ci induce a
reiterare l’affermazione dell’ego è sempre in agguato; persino
nei monasteri e nelle chiese c’è competitività tra chi depone
sull’altare le offerte più belle, o chi ha più campane, è un
totale nonsenso!
Mio
fratello che vive a Roma, voleva regalarmi delle ciotole d’argento
perché in Tibet sono segno di ricchezza e un Lama importante deve
possederle insieme ad un altare e un trono appropriati, ma io ho
rifiutato perché quelle che ho vanno benissimo, anche se
indubbiamente un tibetano che venisse qui avrebbe compassione per me
e penserebbe: “povero
Lama, non ha ciotole d’argento e nemmeno un trono!...”
L’offerta
posta sull’altare è simbolica, metaforica dell’offerta interiore
quotidiana, ma se è stata preparata, pur con grande cura, solo per
gratificare il proprio ego e dimostrare la propria potenza, ha
perduto ogni qualità di offerta.
Gli
oggetti preziosi sull’altare non sono proprietà personali, non se
ne può avere attaccamento, il Buddha non appartiene a nessuno.
Non
sottovalutiamo la questione dell’offerta, non è semplice, è ricca
di significati, un buon praticante dovrebbe pregare per diventare una
persona poverissima, anche se chi desidera sinceramente e con cuore
puro essere davvero povero, in realtà diventerà sempre più ricco,
com’è successo a madre Teresa di Calcutta e, comunque, per una
persona del suo livello spirituale, veramente e totalmente povera,
povertà e ricchezza sono la stessa cosa.
Domanda:
A proposito del nono verso “lasciare alle spalle le colpe” che
significato ha?
Lama: E’
la confessione delle colpe del passato, il pentimento sincero e
l’impegno a non compierle più.
Ora
meditiamo sugli “Otto Versi di Trasformazione della Mente”
(pag. 12)
Dal capitolo secondo “L’analisi dei problemi quotidiani con il cuore di bodhicitta”
L’essenza
del Bodhicaryāvatāra sono gli “Otto Versi della Trasformazione
della Mente” e ricevendone la benedizione riusciamo realmente a
trasformare il nostro atteggiamento mentale.
Gli
“Otto Versi della Trasformazione della Mente” provengono dalla
tradizione indiana, in particolare relativa a Sāntideva, e furono
composti nel decimo secolo da Geshe Langri Tangpa, un praticante
kadampa umilissimo che ha saputo compiere una perfetta sintesi
dell’intero Bodhicaryāvatāra; in essi è compresa la completa
pratica di bodhicitta, l’essenza di tutti gli insegnamenti dei
Buddha.
Quando
si dice “Buddha” non ci si riferisce a un individuo nato e
vissuto in un determinato luogo e tempo, si intende il cuore di tutti
i Buddha che è la bodhicitta.
La
scoperta del proprio cuore, è la pratica della bodhicitta, del
supremo altruismo, perché al di fuori di essa è come se il cuore si
fosse perduto.
Il
cuore di cui parliamo ovviamente non è il muscolo cardiaco che può
danneggiarsi ed essere persino sostituito, bensì è quello perenne
dell’umanità, che non si deteriora, che non ha bisogno di
trapianto, né di essere nutrito, è il cuore di bodhicitta che ci
rende sempre vivi, perché senza di esso saremmo soltanto dei morti
viventi.
Non
è sempre facile svilupparlo, ma nemmeno troppo arduo, tutto dipende
dalle singole capacità, il nostro compito consiste semplicemente
nello sforzo di comprendere, coltivare e ampliare il cuore di
bodhicitta.
In
ogni attività, nella filosofia come nella danza o nella religione
stessa, c’è chi riesce meglio e più facilmente di altri, e
ugualmente avviene nella cura al cuore di bodhicitta, la sua crescita
dipende dalle capacità personali, dai meriti accumulati e da quanto
sforzo si mette in questa attitudine che è l’esatto opposto
dell’atteggiamento egocentrico, dell’afferrarsi insensatamente
all’ego.
Anche
noi, che questa sera siamo qui in pace e armonia, dobbiamo ogni
giorno affrontare tanti impedimenti che è assolutamente necessario
analizzare con attenzione; non è positivo voler scordare la loro
esistenza pensando alla bodhicitta quasi fosse un’entità superiore
ed estranea alle umane difficoltà, la cosa giusta è vedere,
riconoscere, riflettere e gestire ogni ostacolo con l’atteggiamento
che sgorga naturalmente dal cuore di bodhicitta.
Ogni
mattina è buona abitudine esaminare i problemi che si dovranno
affrontare, suddividendoli in seri, più leggeri e totalmente
inutili, un ottimo metodo per fare pulizia, è come spazzare e
ordinare la propria casa prima di uscire, perché se ce ne
allontaniamo lasciandola sporca e piena di polvere ci ritroviamo nel
traffico già appesantiti e scontenti e confusione e stress non
potranno che aumentare.
Ieri
in una trasmissione su papa Luciani veniva riproposto un filmato in
cui il papa scherzosamente lamentava che esiste una macchina per
scrivere lettere ma non una per leggerle e per lui era impossibile
evadere la grande quantità di corrispondenza che riceveva. Ho molto
apprezzato questa osservazione perché sottolinea come nella nostra
frenetica vita tecnologica sia venuta a mancare l’armonia e la
correlazione tra azioni diverse, c’è una macchina che rende più
veloce la stesura di una lettera, ma noi abbiamo sempre soltanto gli
occhi per leggerla.
La
tecnologia ha accelerato tutti i processi, ma le capacità umane non
possono affrettarsi altrettanto, quindi è indispensabile analizzare
ogni mattina la serietà dei problemi da affrontare, eliminando
definitivamente, senza perdita di tempo e di energie, quelli inutili.
Esiste
anche un altro tipo di pensieri che dovremmo abbandonare e sono le
preoccupazioni rivolte ad un futuro di cui in realtà non conosciamo
nulla.
Se
si impara ad osservare i problemi con il cuore di bodhicitta è
possibile organizzarli e gestirli in modo ottimale e anche i
peggiori, apparentemente senza soluzione, possono essere accolti con
cuore sereno e aperto come parte dell’esistenza umana.
Questo
è l’aspetto importante e significativo della bodhicitta, favorisce
la soluzione delle difficoltà e, qualora questa sia impossibile,
aiuta a viverle in modo positivo, in pace.
La
bodhicitta è parte integrante della vita quotidiana perché, se ne
fosse aliena e contemplasse soltanto l’aspetto più gratificante
dell’illuminazione, se fosse rivolta agli esseri senzienti
considerandoli entità astratte ed essenzialmente teoriche, non
avrebbe alcun senso.
Da
qualche settimana ho un fastidioso mal di denti che in realtà è il
mio maestro, perché in questo modo il corpo mi ricorda che è fonte
di problemi e mi fa comprendere come tutte le difficoltà siano ad
esso correlate, lo dobbiamo nutrire, vestire, curare, dargli riparo,
tutto ruota intorno al corpo.
In
particolare qui in Italia accordiamo al corpo troppe attenzioni, lo
circondiamo di comodità, quasi non volessimo accettare la sua
naturale decadenza, declino inevitabile per ogni elemento naturale,
l’albero perde le foglie, i bellissimi fiori sfioriscono
rapidamente, tutto ritorna alla madre terra.
Permanendo
nell’attitudine del cuore di bodhicitta la riflessione, l’analisi
quotidiana dei problemi, diventa una forma di meditazione.
Il
progetto più elevato che possiamo avere è lo sviluppo compiuto
della bodhicitta che vuole portare tutti gli esseri senzienti
all’illuminazione ed è un’attitudine di cui non sentiamo mai il
peso, la fatica, anzi siamo progressivamente più gioiosi,
rinvigoriti, in pace, calmi.
Nell’ambito
di questo progetto affrontiamo tutti gli ostacoli positivamente,
cominciando dal corpo che è assolutamente prezioso e ci consente di
attuare la bodhicitta. Il corpo in buona forma ci permette di agire
con maggiore energia e rapidità per prenderci cura degli altri e
porre in essere lo scopo della bodhicitta.
La
bodhicitta non è mai in contraddizione con nulla.
Dobbiamo
affrontare i problemi nell’ottica della bodhicitta cominciando da
quelli che il corpo offre, e sono molteplici, ad esempio noi siamo
legati alla famiglia in base a questo corpo, siamo cittadini di una
nazione perché questo corpo vive in un determinato luogo, e lo
stesso vale per le amicizie e per tutte le relazioni umane.
La
mente può viaggiare ovunque, ma il senso vero è impresso dal corpo,
unico strumento di comunicazione in questa vita ed è per questo che
dobbiamo prendercene cura con apertura mentale, perché è prenderci
cura della nostra stessa natura.
Affrontare
l’esistenza con questo atteggiamento fa si che non cadiamo nella
falsa visione che ci separa la necessità di risolvere i problemi
dalla pratica del Dharma. La ricerca della soluzione alle difficoltà
e la pratica del Dharma coincidono perfettamente nella mente di
bodhicitta.
Dovremmo
meditare ogni mattina sugli “Otto Versi di Trasformazione della
Mente” e su questa base analizzare i problemi che dovremo
affrontare nella giornata.
Nel
secondo capitolo del Bodhicaryāvatāra, che vi consiglio di studiare
e cercare di comprendere profondamente, sono descritte tre pratiche
fondamentali:
- dell’offerta;
- del rendere omaggio;
- la confessione delle colpe.
Ora
rileggiamo insieme l’intero capitolo (pag.
6).
E’
necessario accostarsi al testo con cautela perché non è stato
scritto per la società moderna per cui, oltre alle difficoltà di
una particolare terminologia, è possibile fraintenderne il
significato interpretandolo in modo non corretto; questa è la
personale pratica di Sāntideva, alcune espressioni sono strettamente
connesse al suo stile di vita, i concetti rispecchiano la mentalità
e la cultura del tempo, e per un occidentale potrebbero essere
assolutamente incomprensibili.
Gli
stessi tibetani impiegarono tempo per assimilarlo, tuttavia senza
eccessive difficoltà, perché non erano intellettuali ma persone
umili che più facilmente potevano accogliere il messaggio diretto.
In
compenso in occidente ci sono altre facilitazioni, l’istruzione e
l’intelligenza, ciò nondimeno è comunque necessario mantenere
l’atteggiamento neutrale dell’osservatore, avvicinarsi al testo
senza giudicare, stabili nell’equanimità.
Alcuni
vocaboli non sono traducibili nelle lingue occidentali e, piuttosto
che pasticciare e confondere con versioni prive di senso, è meglio
mantenere il termine originale sanscrito che rispecchia esattamente
la cultura in cui è stato coniato.
Le
traduzioni letterali possono risultare assolutamente insensate e
fuorvianti ed è indispensabile procedere con cautela e riflessione,
perché i fraintendimenti, anche gravi, sono frequenti.
Un
piccolo esempio pratico: in Tibet come sapete si beve molto the, che
deve essere rigorosamente caldissimo, un giorno due tibetani arrivati
in America andarono in un bar a prendere un the e quello dei due che
conosceva un po’ di inglese disse all’altro: “sbrigati
a bere perché se si fredda lo paghiamo di più”,
infatti aveva letto sul menù che il costo del the freddo era
superiore, e oltretutto per loro era impensabile che volontariamente
qualcuno potesse desiderare una simile bevanda.
Le
tre pratiche descritte nel secondo capitolo del Bodhicaryāvatāra
sono essenziali all’accumulazione di meriti. La pratica
dell’offerta si conclude nel ventunesimo verso, in realtà anche il
verso ventiduesimo è riferito all’offerta, ma straordinaria,
perché attualmente non abbiamo le capacità neppure di immaginarla,
possiamo soltanto desiderare di realizzarla nel momento in cui
entreremo nello stato di Mañjusrī.
Su
questo altare ci sono offerte, ma in realtà sono soltanto il simbolo
delle offerte; questa è una distinzione importante, perché la
visualizzazione del significato simbolico ci permette di offrire
altrettanto simbolicamente l’intenzione anche di ciò che non
possiamo concretizzare.
L’offerta
è la pratica della generosità, dell’altruismo, del donare, che
contrasta alla radice ogni attaccamento.
Domanda:
la bodhicitta è la disposizione del cuore, possiamo dunque
considerare l’ignoranza, le emozioni distruttive e le afflizioni
come i messaggeri del re della morte?
Lama: Non
lo so, non conosco i messaggeri della morte né il loro re, chi sono
i messaggeri della morte? E’ importante invece eliminare termini e
concetti che non corrispondono alla civiltà attuale, sono obsoleti e
vetusti, senza alcun punto di contatto con la nostra mentalità.
Una
buona interpretazione del testo del Bodhicaryāvatāra dovrebbe poter
cogliere il senso essenziale nell’utilizzo di un lessico
contemporaneo rispondente alla nostra sensibilità e cultura. Il
significato dei messaggeri di morte indicati nei versi non è altro
che l’invecchiamento, la malattia, l’inevitabile morte che ognuno
di noi porta in sé.
Il
Bodhicaryāvatāra è uno scritto dell’ottavo secolo, cui ne sono
seguiti altri dodici, e in quest’arco di tempo è stato oggetto di
infinite ed elaborate concettualizzazioni, per giungere infine a noi
dopo troppe traduzioni, dal sanscrito al tibetano, all’inglese
all’italiano. Anch’io, che posso leggere l’edizione originale,
continuo a riflettere, ad approfondire e ad apprendere da questo
testo la cui comprensione non ha limite, è una lettura spirituale,
non un giornale che dà notizie senza richiedere particolare
partecipazione. Non è possibile affrontare il Bodhicaryāvatāra con
superficialità e leggerezza illudendosi di esaurirlo in tempi brevi.
Molto
bene, ora concludiamo con “Gli Otto versi di Trasformazione della
Mente” (pag.
12).
Ognissanti e il dialogo interreligioso
Oggi
è una giornata dedicata a tutti i santi, appartenenti a ogni
differente religione, perchè nella santità, che è la qualità
della bodhicitta, non esistono divisioni settarie, ed è bellissimo
immaginare che i santi cristiani, buddhisti, islamici e di ogni altra
fede, in un giorno a loro dedicato, si riuniscano in paradiso, in una
terra pura, ovunque si voglia.
Il
dialogo interreligioso su questa terra è particolarmente
difficoltoso, le chiusure mentali costituiscono solide barriere e
dunque, ipotizzare un incontro reale, puro, tra esseri che sono
andati oltre, che hanno abbattuto ogni inutile e pesante ostacolo ci
fa sperare nella loro offerta a noi di questo dono prezioso e
meraviglioso.
Dall’incontro
interreligioso di tutti santi potrebbe scendere su di noi la
benedizione che non discrimina, non separa, in grado di renderci
persone sinceramente interreligiose.
Nell’epoca
moderna con la definizione di “religione” si dovrebbe sempre
intendere “interreligione”, perché parlare, scrivere e leggere
su questo tema è abbastanza semplice, ma il suo trasferimento nella
pratica quotidiana richiede tempo e trasformazione interiore.
Il
dialogo interreligioso non è uno scambio tra rappresentanti di fedi
differenti, è bensì lo stato interiore di equanimità, privo di
ogni settarismo e divisione.
Mi
commuove particolarmente la ricorrenza di ognissanti, è magnifico
che gli si dedichi una festa, anche se in realtà la si dovrebbe
celebrare tutti i giorni perché i santi sono sempre presenti.
La
volta scorsa qualcuno ha chiesto se, malgrado la giornata festiva,
avremmo mantenuto l’appuntamento settimanale, e io ho risposto che
a maggior ragione dovevamo riunirci questa sera nella pratica di
Dharma, proprio per celebrare e rendere omaggio ai santi, è una
ricorrenza particolarmente benedetta per la meditazione.
Oggi
ho seguito attentamente alla televisione la Messa e ho apprezzato
particolarmente le letture rivolte alla misericordia divina che tutto
perdona.
E’
importante provare sincero rincrescimento per le mancanze compiute,
sapendo però che esiste il perdono.
Le
parole di misericordia, di perdono, di compassione sono meravigliose
e non ha nessuna importanza da dove provengano, qualsiasi sia la
matrice religiosa esprimono uguali principi, sia il Vangelo o il
Bodhicaryāvatāra o altro, e nel profondo del nostro cuore ne
possiamo sempre scoprire l’infinito valore.
Riconoscendo
la potenza delle parole di amore e compassione riceviamo l’impulso
a migliorare noi stessi, così come fanno i santi di ogni epoca e
luogo.
Ogni
giorno c’è la consuetudine di ricordare un santo, ma oggi ci sono
tutti e il potere della pratica sarà dunque grandissimo!... è una
bellissima festa.
Non
ha nessuna importa la diversa presentazione, data da maestri di
scuole e culture differenti, dei fondamentali concetti del perdono e
della misericordia, ciò che conta è l’impatto che hanno in noi,
la nostra capacità di percepirli, perché solo nella personale
interpretazione è possibile fondare la pratica e la conseguente
trasformazione dell’attitudine interiore. Se ci affidassimo
esclusivamente alle interpretazioni e indicazioni altrui, non ne
ricaveremmo alcun beneficio.
Oggi
sarebbe stato bellissimo essere a San Pietro, un posto meraviglioso,
carico di energia, circondati da persone riunite nella celebrazione
della Messa in preghiera e meditazione.
Le
differenze linguistiche sono reali, i termini cambiano da cultura a
cultura, ma il concetto che esprimono è lo stesso e da tutti può
essere compreso.
Nella
filosofia buddhista è difficile trovare termini esattamente
corrispondenti a “colpa”, “perdono” “misericordia”, ma
chiunque ne cerchi i significati dentro di sé li riconosce
chiaramente, anche se i loro nomi sono diversi.
Nemmeno
il buddhismo occidentale ha trovato nomi propri per tradurre Buddha,
Dharma e Sangha, ma rivolgendo lo sguardo al proprio interno è
possibile scoprirne il senso profondo.
Quando
in un dialogo interreligioso si incontrano un Rabbino, un Sacerdote,
un Lama, la loro conversazione può essere davvero interessante, però
purtroppo ciò che passa realmente tra loro è pochissimo, perché
ognuno usa il proprio linguaggio, incomprensibile agli altri.
Un
vero dialogo interreligioso può scaturire soltanto dal cuore aperto
di persone che ne siano realmente disponibili, la semplice riunione
di quattro o cinque esponenti ufficiali delle singole religioni non
porta a nulla di concreto.
Il
dialogo interreligioso che sgorga dal cuore è importantissimo e il
giorno di ognissanti è particolarmente adatto alla sua meditazione.
Nelle
versioni inglese e italiana del Bodhicaryāvatāra alcuni termini non
sono stati tradotti, semplicemente perché non esistono in queste
lingue, ma è una difficoltà superabile se impariamo a coglierne
pienamente il significato nel cuore, in perfetta integrazione con la
nostra cultura.
Io
apprezzo moltissimo la Messa, perché è un unico rituale che
contiene tutti gli altri, è valido in qualsiasi occasione perché è
composto da poche ma complete fasi ed è facilmente praticabile.
La
tradizione tibetana invece ha ereditato dalla precedente “bön”
molti aspetti, anche esteriori, quali colori, abiti particolari e
necessita di numerosi e specifici rituali per differenti occasioni
che, oltrettutto, possono essere eseguiti in più modi differenti,
per cui tutto si complica, non sempre i Lama conoscono il rituale da
eseguire e spesso chi assiste non capisce cosa si stia facendo.
Invece
la Messa nella sua semplicità è completa e comprensibile a tutti.
La
ricorrenza di ognissanti è particolarmente adatta per riflettere
sull’importanza dell’autentico dialogo interreligioso, oggi
onoriamo i santi di tutte le tradizioni religiose, quelli giunti agli
onori degli altari e quelli che, pur non avendo avuto un
riconoscimento storico, sono la maggioranza e che dobbiamo
visualizzare al centro del mandala, circondati dai santi ufficiali.
Con
questa visualizzazione e devozione leggiamo il secondo e terzo
capitolo del Bodhicaryāvatāra meditando sulla pratica dei sette
rami che consiste nella purificazione della mente, nell’accumulazione
dei meriti, per giungere infine alla generazione del cuore di
bodhicitta.
Capitolo
secondo (pag.
6)
Qui
termina la parte relativa alla purificazione che consiste
nell’offerta, nella lode, nell’omaggio e nella confessione.
Il
terzo capitolo invece “Adozione della mente del risveglio”
riguarda le altre quattro pratiche, alcune sono brevissime ma quella
che richiede più spazio è relativa all’apprezzare e ammirare le
virtù altrui, ed è fondamentale, perché porta alla generazione di
bodhicitta nella gioia. Riconduce a ciò che si fa durante la Messa e
Buddha Dharma e Sangha corrispondono alla Trinità.
E’
importante mantenere la prospettiva della via di mezzo, ascoltare il
proprio cuore e non seguire rigidamente alla lettera o
intellettualmente i precetti, afferrandosi a posizioni intransigenti
di parte, bisogna rimanere saldi nella via di mezzo indicata da
Nāgārjuna e anche da sant’Agostino.
Leggiamo
ora il terzo capitolo del Bodhicaryāvatāra “Adozione della Mente
del Risveglio” (pag.
10).
Concludiamo
la serata ricordando che siamo qui per praticare il Dharma senza
nessun “ismo”.
L’insegnamento
del Buddha, del Cristo sono Dharma, la loro parola non voleva fondare
nessun “ismo”,
queste sono etichette incollate successivamente per varie motivazioni
che nulla hanno a che fare con la religione e la spiritualità.
Grazie
per essere venuti a condividere questo giorno di ognissanti.
Il Respiro consapevole negliOtto Versi di Trasformazione della Mente
Iniziamo
con la lettura degli “Otto versi di Trasformazione della Mente”
(pag.
12).
Gli
Otto versi di Trasformazione della Mente non sono soltanto una
preghiera letta e meditata, ma rappresentano la testimonianza della
nostra pratica, ne costituiscono l’unità di misura, la verifica
del percorso e sono la fonte, l’aspirazione, per il futuro.
La
loro realizzazione ricolma il cuore di pace e di serenità perché in
essa possiamo realmente trasformare l’intero universo, di cui siamo
parte, in assoluta purezza.
La
purezza dell’universo non dipende da mutamenti oggettivi, ma dal
cambiamento della nostra mente e delle qualità interiori, una grande
verità che è presente da sempre nell’universo, noi dobbiamo solo
essere in grado di vederla, di realizzarla e di viverla
interiormente.
Si
possono utilizzare diverse espressioni e modalità per definire
questa verità, ma il nostro cuore sa che è unica, infinita, al di
là di ogni possibile tentativo di limitarla entro anguste etichette
e noi, superando le espressioni verbali, dobbiamo saperla esperire e
realizzare nella pratica meditativa.
Le
superficiali enunciazioni tendenti a catalogarla creano confusione,
dispute e discussioni, un errore dipendente dalla limitatezza
linguistica e non certamente intrinseco alla verità.
Ciò
che mi ha favorevolmente colpito nella società occidentale è la
capacità di perdono dell’errore umano, è bellissima, e deve
essere applicata anche alle controversie religiose che non hanno
nulla a che vedere con l’essenza della verità, ma dipendono dai
fraintendimenti interpretativi e dal bisogno di incasellare e
codificare ogni situazione.
Affrontando
gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” non possiamo
fermarci alla lettera, ma dovremmo invece, attraverso la meditazione,
l’esperienza e la realizzazione, essere in grado di cogliere la
verità che va oltre l’espressione lessicale.
Questo
testo è magnifico indipendentemente dalle qualità poetiche e
letterarie, perché è una manifestazione della realizzazione
interiore.
Se
confrontiamo le nostre consuete tendenze e inclinazioni con le
realizzazioni interiori espresse dallo yogi negli “Otto Versi di
Trasformazione della Mente” ci rendiamo conto che le nostre
difficoltà non derivano in nessun caso da situazioni oggettive, ma
sono esclusivo risultato di un personale limite interiore.
La
mente umana ha la grande qualità di essere uno spazio vastissimo,
capace di comprendere in sé anche conflitti e controversie, perché
ha la preziosa opportunità di osservarli, di contenerli, di
abbracciarli, attendendo con pazienza il momento propizio per la loro
risoluzione pacifica.
Se
ci contrapponiamo ai conflitti aggressivamente volendoli eliminare
senza indugio è probabile che, insieme alla loro soppressione,
distruggiamo ogni altro elemento che attornia l’oggetto del
conflitto, è quanto avviene oggi in Irak, la devastazione prodotta
non può in alcun modo essere giustificata.
La
risposta violenta, aggressiva e immediata ai conflitti è generata
dalla paura e non produce nulla di buono, può solo potenziare i
problemi.
Questo
è un principio fondamentale, immutabile e deve essere applicato a
ogni livello: individuale, tra due o più persone, dalle nazioni; è
il motivo per cui amore e compassione sono sempre al centro di tutti
gli insegnamenti spirituali.
Noi
siamo abilissimi nell’inventare scusanti ai nostri comportamenti
negativi, tanto da convincerci che in determinate circostanze, amore
e compassione non possano essere applicati, e sia invece necessaria
la repressione violenta, ma ciò dimostra semplicemente che, se non
siamo in grado di abbracciare con amore e compassione il conflitto,
diventiamo aggressivi e intolleranti e peggioriamo inevitabilmente la
situazione.
Come
ha detto il Buddha, la violenza genera solo violenza.
Dobbiamo
riconoscere e ammettere i nostri limiti, per questo è importante
affidarsi agli “Otto versi di Trasformazione della Mente”,
l’unità di misura delle nostre capacità. Di fronte alle vette di
realizzazione in essi descritte vediamo con chiarezza quanto camino
dobbiamo ancora percorrere per cambiare la nostra mente.
Viviamo
nel costante timore di essere feriti dalle situazioni esterne e ci
difendiamo con la violenza, ignorando completamente l’amore e la
compassione, ma soltanto se lavoriamo ininterrottamente su noi stessi
e ci confrontiamo con gli Otto versi di Trasformazione della Mente,
potremo progredire giorno dopo giorno e vederne i risultati.
Il
Dharma non è un ordinamento giudiziario che è vietato infrangere,
non è soggetto a coercizione alcuna, è alla portata di chiunque,
una fonte permanente di ispirazione che ci mostra le realizzazioni
già avvenute, e gli “Otto versi di Trasformazione della Mente”
sono l’essenza del consiglio di tutti i Buddha e i Bodhisattva.
Se
chiedessimo ai Buddha e ai Bodhisattva come potremmo risolvere tutti
i problemi dell’umanità, essi ci risponderebbero che la soluzione
unica possibile è indicata negli “Otto versi di Trasformazione
della Mente”.
Abbandonate
pure tutte le fantasie magiche che tanto attraggono, non ci sono
interventi miracolosi eclatanti in cui il Buddha trasforma in un
attimo la mente di qualcuno, questo è impossibile, pura illusione,
il vero miracolo è contenuto nella pratica del Dharma che permette
di trasformare se stessi nelle realizzazioni suggerite negli Otto
versi di Trasformazione della Mente.
I
Buddha e i Bodhisattva ci suggeriscono persino come respirare, il
respiro è ciò che ci permette di esistere, è naturale e
inevitabile, quindi non possiamo sprecarlo, dobbiamo renderlo
significativo, imprimere in esso il significato di ogni istante di
vita. Dobbiamo realizzare ad ogni inspirazione ed espirazione quanto
detto nel settimo verso:
“In
breve, direttamente e indirettamente, offro
ogni
beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri
possa
io segretamente prendere su di me
tutte
le loro azioni negative e sofferenze.”
Non
ci è raccomandato di effettuare complessi rituali, con maschere,
musica e danze, ma solo ciò che per noi è essenziale, respirare
consapevolmente nell’attitudine altruistica.
Gli
esseri umani sono ovunque attratti dall’affascinante e colorato
spettacolo dei cerimoniali, anche in Tibet, in cui la tradizione
spirituale è ben radicata, accorrevano sempre grandi folle in
occasione di simili eventi, se però al monastero giungevano due
umili yogi, pur ricchi di autentiche realizzazioni, passavano
inosservati e questo è un errore grave.
Nelle
tre maggiori università monastiche tibetane era saggiamente vietato
l’uso di rituali con maschere, suoni e danze perché considerati
distraenti rispetto all’autentica pratica spirituale, oggi invece
in occidente assistiamo alle tournée di monaci tibetani che si
esibiscono in coreografici cerimoniali peraltro mai eseguiti nei loro
monasteri.
La
pratica del Dharma non è così complicata, al contrario è
estremamente semplice, consiste nella buona respirazione, la
bodhicitta è respirare bene, la rinuncia è respirare bene, l’amore
e compassione è respirare bene, respirare coscientemente.
La
pratica dei grandissimi maestri del passato, dello stesso Sāntideva,
era semplicissima e profondissima, stabile nella consapevolezza
equanime di ogni respiro, nell’espirazione offriamo le nostre
qualità e virtù agli altri, senza discriminazione, e
nell’ispirazione assumiamo su di noi tutte le loro sofferenze, li
liberiamo.
Ci
si deve allenare nella pratica del “prendere e dare”, nello
scambio delle proprie qualità con le sofferenze altrui, senza
limitare questo esercizio al momento della meditazione formale, ma
mantenendolo vigile in ogni nostro respiro.
E’
una pratica potente, non facile, anzi piuttosto difficile, ma non
impossibile; persistendo in essa le difficoltà progressivamente
diminuiscono e al contempo crescono serenità, contentezza e pace, e
questa stessa gioia è naturalmente trasmessa agli altri.
E’
un addestramento continuo i cui effetti si palesano giorno dopo
giorno, è ciò che imprime senso all’esistenza, ad ogni respiro.
Questo
è il significato della vita e non l’apparenza illusoria che il
mondo spaccia per obiettivi; ad esempio io sono geshe, monaco, lama e
la gente si aspetta che, in quanto tale, io debba costruire un tempio
e una grande comunità, qualcosa di evidente, di grande, ma questa è
un’idea veramente sciocca che non deve essere in alcun modo
incoraggiata, perché fonte di inutile disordine.
Il
destino dell’essere umano è quello di vivere genuinamente ed
essere felice, il resto genera unicamente il caos.
Osservate
la confusione provocata dalla legge finanziaria strutturata per
difendere interessi, affari, e politiche che nulla hanno a che fare
con la sua funzione originaria. Uno scompiglio provocato
dall’attaccamento e dalla percezione distorta del proprio ego.
Si
tratta di atteggiamenti individuali completamente alterati e
insensati perché il rappresentante politico dovrebbe essere una
figura semplice, pienamente matura e consapevole del proprio ruolo al
servizio della comunità, ne abbiamo un esempio perfetto in Gandhi,
una persona umile, integralmente umana; ogni suo pensiero, parola,
azione e respiro, si basavano su amore e compassione, questo è il
senso della vita, la vera spiritualità.
Il
nostro compito attraverso la pratica del respiro consapevole è
rendere le persone sempre più felici e pacifiche così che a loro
volta trasmettano agli altri tranquillità e serenità.
Io
sono sconvolto dalle pesanti espressioni ed insulti che si rivolgono
reciprocamente i politici italiani, perché non si tratta di
personaggi di basso livello, ma delle massime autorità dello stato,
chissà, forse avrebbero bisogno di un Gandhi reincarnato che desse
loro qualche consiglio…..
Gandhi
rappresenta un magnifico esempio per le persone comuni, era un laico,
con una professione normale, non si identificava in modo settario in
un’unica tradizione religiosa, aveva una profonda conoscenza delle
condizioni di occidente e oriente e delle differenze culturali e
religiose.
Era
anche un grande praticante spirituale e, pur essendo un laico,
guidava un gruppo di meditazione con cui condivideva la visione della
realtà, indipendentemente dalle personali fedi dei partecipanti.
In
India nelle pratiche spirituali, vi è grande libertà nel poter
scegliere autonomamente la persona ritenuta idonea a diventare il
proprio guru di riferimento, il quale non ha alcun bisogno di
riconoscimenti, di certificazioni o di attestati di abilitazione
all’insegnamento.
L’India
è un paese di santi, ogni individuo ha la libertà di accrescere la
spiritualità sino ad acquisire una santità che, se spontaneamente
riconosciuta dalle persone, sarà un faro, un punto di riferimento
per molti, cosi è avvenuto con Gandhi, laico, avvocato, uomo comune.
La
stessa libertà che permette di seguire qualcuno fa si che, qualora
maturino esigenze differenti, si lasci quel maestro senza che ciò
sia motivo di scandalo o di recriminazioni. Questo è positivo e
suggerisce che ognuno di noi dovrebbe poter diventare un maestro di
questo genere, senza dover seguire nessun programma e master
appositamente predisposto.
In
occidente invece la confusione è totale e si inventano corsi della
durata di uno, due o anche cinque anni che dovrebbero qualificare
maestri, però il fatto di averli seguiti e ottenuto ogni attestato
possibile, non presuppone affatto che lo siano realmente diventati.
Gli
occidentali sono particolarmente attratti da questa illusione, tanto
che alcuni abbandonano il lavoro e convogliano tutte le risorse
finanziarie per il proprio mantenimento durante il corso, e alla fine
si ritrovano disoccupati, senza soldi e senza essere dei maestri, ma
forse dei buoni praticanti.
Il
Dharma non è condizionato da nessun corso, è la vita stessa, è
parte delle nostre esistenze che sono da tempo senza inizio, quindi è
impossibile generalizzare la condizione delle realizzazioni di ognuno
accomunandole in un corso e garantendo un risultato finale
certificato.
Tutto
questo è impossibile, un’ulteriore illusione che dimostra quanto
sia complesso insegnare il Dharma in occidente, anche se d’altra
parte è facile perché siete istruiti, educati e intelligenti.
L’essenza
di quanto affrontato questa sera è la necessità di respirare
consapevolmente con gli “Otto Versi di Trasformazione” della
Mente che sono parte del nostro costante pensiero. Questa è una
pratica di purificazione che ci rende felici e sereni anche nelle
difficoltà e rinfresca la mente.
Domanda:
Mi pare che la respirazione mentale sia l’esatto opposto di quella
fisiologica in cui sottraggo agli altri qualcosa di positivo,
l’ossigeno, e restituisco il negativo, l’anidride carbonica?
Lama: è
lo stesso, respirando tu esisti, fai del bene a te stesso perché
puoi vivere e quindi trasmetti questo bene agli altri, non si tratta
di una pratica particolare di respiro, è il respiro stesso, soffio
vitale in ogni istante dell’esistenza. Dobbiamo semplicemente
allenarci coscienti che esso stesso diverrà trasformazione della
mente. Tutto il corpo respira quindi respiriamo con tutto il corpo.
Siamo
sempre nel capitolo secondo del Bodhicaryāvatāra e riprendiamo dal
trentaquattresimo verso:
- Questa morte non bada a ciò che è fatto o non fatto; uccide la sicurezza; è inaffidabile per i malati e i sani; è un fulmine sconvolgente e inaspettato.
Questo
verso si ricollega perfettamente alla tematica odierna, in esso si
affronta l’impermanenza strettamente connessa alla vita, tutto è
incerto, non si conosce la durata di questa esistenza, nemmeno la
malattia o la salute danno indicazioni certe, perché succede che una
persona sana viva meno di una ammalata da lungo tempo, e non si può
manco avere la sicurezza di poter realizzare e terminare i propri
progetti.
La
vita è così fragile che è davvero il nostro respiro, quando questo
si ferma la nostra esistenza è finita, comprendere la sua preziosità
nell’impermanenza ci permette di affrontare serenamente ogni giorno
perché ci prepara ad affrontare serenamente il momento in cui la
vita finirà.
In
genere si avverte una forte attrazione verso le letture che trattano
della preparazione alla morte, in cui sono descritte situazioni
confortevoli, tutto pare predisposto per favorire un passaggio
consapevole, avendo il tempo necessario e con ogni sostegno e
benedizione, però nella società moderna la maggioranza delle
persone non ha la possibilità di morire in questo modo.
Dunque
l’unica possibilità di affrontare la morte positivamente è la
bodhicitta, respirando nella bodhicitta, anche quando il respiro si
arresta, si rimane in essa, questa è la bellissima istruzione data
da Sāntideva.
La
realtà dell’impermanenza, la realtà dell’amore e compassione
devono essere unite, è il solo modo per ottenere una morte serena e
significativa.
- Il male ho compiuto in molti modi spinto da amici e nemici. Non capivo questo: dovrò abbandonare tutto e andarmene.
- Quelli che detesto moriranno, quelli che amo moriranno; anch’io morirò e tutti moriranno.
- Ogni cosa percepita trascolora in ricordo. Ogni cosa è come un’immagine in sogno. Se ne è andata e non si vedrà più.
- Anche in questa vita, davanti ai miei occhi, sono scomparse molte persone amate e odiate: Ma il male a cui mi hanno indotto rimane, spettrale, davanti a me.
Sāntideva
afferma che non vi è alcun senso nel creare controversie,
discussioni o qualsiasi azione negativa nei confronti degli altri e,
altrettanto, che non vi è alcun senso nel costruire barricate di
attaccamento, il significato dell’esistenza affonda le radici nella
rinuncia, senza attaccamento né avversione.
Tendenzialmente
invece noi altaleniamo di continuo tra due estremi, o afferriamo le
situazioni rimanendone avvinghiati, o le detestiamo e respingiamo con
violenza, mentre se imparassimo a vivere nella rinuncia in amore e
compassione, potremmo procedere serenamente nell’equanimità.
Tutte
le nostre azioni lasciano un’impronta su di noi, le rivediamo in un
film che alla fine della vita si ripercorre all’indietro, la loro
positività o negatività ci farà essere rispettivamente nella gioia
o nella tristezza.
Il
modo con cui vivremo la morte non dipende da quel preciso momento, ma
dalle impronte impresse nella nostra esistenza, ecco perché nel
trentottesimo verso si ribadisce che esse sono davanti a me.
E’
molto importante aver presente questa realtà, non dobbiamo mai
scordarla.
Ora
meditiamo qualche minuto e concludiamo con la preghiera di dedica
(pag.
27).
La Realtà Ultima nel Cuore della Perfezione della Saggezza
Cominciamo
la serata con la lettura degli “Otto Versi di Trasformazione della
Mente” (pag.
12).
Ora
leggiamo il Sūtra del Cuore (pag.
22).
Uno
dei versi finali recita:
“Quindi,
Shariputra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti, si basano e
dimorano nella perfezione della saggezza. Non avendo oscuramenti
nelle loro menti, essi non hanno paura, ed essendo andati totalmente
oltre l’errore, essi raggiungono la meta finale: il nirvana. Tutti
i Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto il pieno risveglio
dell’insuperabile, perfetta illuminazione, basandosi su questa
profonda perfezione della saggezza”.
Questo
aspetto è fondamentale, estremamente profondo, è la perfezione
della saggezza che ha realizzato la realtà ultima dei fenomeni che
non è altro che la vacuità.
Volendo
descrivere la vacuità tutti si affannano a elaborare enunciazioni
astruse che pare debbano trovare giustificazione in difficilissimi
concetti teorici e filosofici, che in realtà non spiegano nulla,
perché l’unico modo per comprendere questo principio è
avvicinarlo quotidianamente nella personale esperienza.
Le
parole “Quindi,
Shariputra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti” sono
essenziali e ci salvano dal comune errore che ci induce a pensare al
nirvāna o all’illuminazione come a una grande conquista, a un
eclatante ottenimento mistico che consideriamo al presente
irraggiungibile, al di là delle nostre possibilità, mentre non c’è
nulla da acquisire, da guadagnare, che sia al di fuori di noi.
“…si
basano e dimorano nella perfezione della saggezza”,
dimorando all’interno della perfezione della saggezza non esiste
niente da conseguire, perché essi già sono nella perfezione della
realtà ultima dei fenomeni.
“Non
avendo oscuramenti nelle loro menti, essi non hanno paura, ed essendo
andati totalmente oltre l’errore, essi raggiungono la meta finale:
il nirvana.”
Raggiungono la perfezione della saggezza perché sono andati oltre il
terrore e l’errore.
La
paura e gli sbagli affondano le radici nella concezione errata di
dover guadagnare, ottenere qualcosa, e soltanto dimorando all’interno
della perfezione della saggezza se ne è liberati, perché non vi è
nulla da conquistare, l’obiettivo è semplicemente già presente.
Il
nirvāna e l’illuminazione non sono il risultato di una corsa al
premio, li si consegue semplicemente oltrepassando la paura e
l’errore, dimorando nello spirito della perfezione della saggezza.
Si
osserva questo fenomeno da due angolazioni e lo si distingue, in
soggettivo e oggettivo. Nello spirito della perfezione della saggezza
se ne ha una visione soggettiva, se invece ci si addentra nella
vacuità la visione è oggettiva.
“Tutti
i Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto il pieno risveglio
dell’insuperabile, perfetta illuminazione, basandosi su questa
profonda perfezione della saggezza” I
Buddha dei tre tempi hanno conseguito la piena illuminazione
attraverso la perfezione della saggezza.
Usualmente
noi pensiamo di dover “vedere” la vacuità, mentre qui si attesta
la necessità di “vivere”
nello spirito della vacuità, della perfezione della saggezza.
Dobbiamo
considerare quest’attitudine come un ambiente di vita, il terreno
su cui basare ogni azione. Il termine “basare” indica
precisamente appoggio, dove si posa il piede e si compie il passo, e
il verbo “dimorare” sottintende il contesto che circonda questo
terreno.
Quindi,
sia la perfezione della saggezza che la realtà ultima, sono il
terreno su cui camminiamo e viviamo e in questo contesto la vacuità
è anche lo spazio in cui possiamo muoverci.
Dobbiamo
abbandonare la consueta concezione falsa che definisce la vacuità
“vuoto”, “nulla”, perché non corrisponde affatto alla sua
essenza che è invece spazio in cui ogni fenomeno ha la possibilità
di venire in esistenza.
Questo
è l’insegnamento del Buddha relativo alla realtà ultima, alla
vacuità.
Tutte
le altre religioni esprimono, seppur in modo diverso, lo stesso
principio; nella Bhagavad Gita indiana c’è Brahmā
che
è l’origine di ogni cosa, le religioni monoteiste hanno Dio, la
luce, l’origine di ogni cosa.
Sono
terminologie e modi diversi per definire l’esistenza dei fenomeni.
Vi
ho parlato spesso della cara amica che e vissuta in questo palazzo
sino all’età di centodue anni, era una donna di grande fede, tutti
i giorni andava a Messa e la sua religiosità consisteva in un grande
cuore e una mente aperta, qualità che rendono qualsiasi religione
universale perché affermano una fede fondata sull’esperienza.
Questa signora è morta proprio nella ricorrenza di ognissanti.
A
me è spiaciuto averlo appreso soltanto dopo alcuni giorni dalla
figlia che, avendo accudito la madre ed essendole stata accanto nel
momento del trapasso, si era resa conto di come sua madre, pur
essendo vissuta tanto, se ne era andata senza portar nulla con sé,
quasi fosse venuta per un tempo brevissimo dallo spazio e là
ritornata, e questo la faceva riflettere sull’inutilità di tanti
affanni.
Un
grande insegnamento che, pur non sostenuto da studi particolari,
nasceva spontaneo dall’esperienza quotidiana e dimostrava la
necessità irrinunciabile di avvalersi di ogni evento, per quanto
minimo, per farne preziosa esperienza, per acquisire la capacità di
assimilare la vita nello spirito del Dharma.
Ho
particolarmente apprezzato le parole di Pavarotti che, colpito dal
tumore, in un’intervista disse: “Dio
mi ha dato tutto e ora si riprende tutto, siamo in pareggio”.
Probabilmente questa è l’espressione della consapevolezza della
propria vacuità.
Entrambe
queste esperienze sono un grande insegnamento sulla vacuità,
rivelano la capacità di lettura degli eventi che ci introduce
all’interno dell’essenza dei fenomeni.
Noi
ci basiamo, posiamo i nostri piedi, nella perfezione della saggezza e
per questo possiamo dimorare semplicemente e solamente nel suo
spirito.
Tutte
le diverse sollecitazioni che giungono dall’esterno, come necessità
di guadagni e ottenimenti, sono illusori, una percezione distorta e
falsa della realtà che ci allontana da quella base a cui alla fine,
ineluttabilmente, dobbiamo ritornare.
“Quindi,
Shariputra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti”, in
realtà non riguarda solo i Bodhisattva, perché nessuno di noi ha
ottenimenti, e può semplicemente ritornare là dove è la sua base,
la sua dimora, cioè nella vacuità, che deve essere riconosciuta
attraverso la perfezione della saggezza.
Gli
oggetti del nostro attaccamento sono del tutto inutili, non sono
altro che perdita di energie.
E’
necessario imparare a interpretare la natura dei fenomeni, non c’è
altro da fare.
Invece
noi amiamo le complicazioni, le apparenze, e snaturiamo l’essenza
profonda dei fenomeni, la nostra stessa idea delle iniziazioni, delle
benedizioni, delle realizzazioni è assolutamente falsa, vogliamo
credere nei risultati magici, istantanei, miracolosi, indipendenti da
noi, ma tutto ciò non è altro che frutto di visioni alterate che
tendono a istituzionalizzare la spiritualità, e questo è veramente
pericoloso e negativo.
Ieri
ho ricevuto una e-mail da una persona infervorata che, avendo letto
tutti i libri del Dalai Lama, mi chiedeva come poteva diventare
buddhista, e ciò mi ha sorpreso perché, se davvero avesse letto
consapevolmente gli scritti del Dalai Lama, non avrebbe mai potuto
porre un simile quesito, evidentemente non aveva saputo cogliere
l’essenza del messaggio spirituale.
Questa
è una confusione che non sorge dal cuore, ma è radicata nel caos
costruito dalla società di cui noi siamo parte.
L’idea
di una modalità predeterminata per essere buddhisti, piuttosto che
cristiani o altro, ostenta solo la necessità di appiccicarsi una
etichetta, è un grande equivoco che separa, divide, crea conflitti,
e nega drasticamente ogni possibilità di poter essere serenamente e
proficuamente cristiani e buddhisti contemporaneamente, quasi ciò
fosse un misfatto illecito.
La
società caotica che ha perduto la vera concezione spirituale ha
creato un totale disordine, perchè non si tratta di essere
buddhisti, o cristiani, o altro, di muoversi con etichette ben
evidenti incollate sulla fronte, ma semplicemente di praticare il
Dharma in cui non c’è nulla da guadagnare, nulla da ottenere,
nulla da esibire.
E’
essenziale comprendere questo aspetto che ci mostra come vivere e
dimorare nella perfezione della saggezza, perché, se non riusciamo
ad essere compenetrati da questo spirito, tutto ci apparirà come
qualcosa da dover guadagnare, conquistare, un fraintendimento
devastante.
Possiamo
accostarci alla perfezione della saggezza in due modi, uno oggettivo
e l’altro soggettivo.
- Oggettivamente tramite l’osservazione dei fenomeni come oggetti della perfezione della saggezza;
- Soggettivamente attraverso la visione della verità ultima degli oggetti nella perfezione della saggezza.
Dimorando
nello spirito della perfezione della saggezza scopriamo che non
esistono né paure, né errori.
Non
si acquisisce la conoscenza della vacuità attraverso la dottrina, ma
la si deve osservare in ciò che è, una realtà assolutamente
naturale, tanto che la realizzazione della perfezione della saggezza
è esattamente la visione della nostra stessa natura.
Lama
Tsong-Kha-Pa diceva che per insegnare occorre conoscere tutte le
dottrine, mentre per praticare non è affatto necessario, perché
nella pratica si è di fronte ad un unico individuo, se stessi,
invece nell’insegnamento si ha il compito di trasmettere
l’istruzione a tante persone con esigenze e caratteristiche mentali
differenti, per questo chi insegna deve conoscere approfonditamente
tutte le dottrine in modo da poter raggiungere il cuore di ognuno ed
essere di beneficio.
Il
principio della vacuità, della perfezione della saggezza, è
presente in tutte le esperienze, anche in quelle più comuni, quindi
dovremmo sforzarci di potenziare ininterrottamente la capacità di
coglierne la presenza in ogni momento della giornata.
La
saggezza favorisce naturalmente in noi lo sviluppo di amore e
compassione.
I
miei amici anziani che vivono nel palazzo sicuramente non conoscono
nulla di buddhismo, di impermanenza, di vacuità, ma con loro è
facile condividere le piccole esperienze quotidiane e in esse è
evidente la presenza di questo principio. Così, anche quando ci
troviamo di fronte a situazioni particolarmente forti, siamo in grado
di affrontarle nella saggezza con amore e compassione.
Tutti
i termini che utilizziamo sono funzionali a farci apprendere la
capacità di integrare il loro significato nell’esperienza
quotidiana.
Concludiamo
meditando sui versi appena approfonditi del Cuore della Perfezione
della Saggezza.
“Quindi, Shariputra,
poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti, si basano e dimorano
nella perfezione della saggezza. Non avendo oscuramenti nelle loro
menti, essi non hanno paura, ed essendo andati totalmente oltre
l’errore, essi raggiungono la meta finale: il nirvana. Tutti i
Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto il pieno risveglio
dell’insuperabile, perfetta illuminazione, basandosi su questa
profonda perfezione della saggezza”.
Dal Significato della Pratica in Sette Rami
Apriamo
l’incontro con la “preghiera dei sette rami”:
Pratica
dei sette rami99
Oh
leoni fra gli uomini, Buddha passati, presenti e futuri,
a
quanti di voi esistono nelle dieci direzioni,
mi
prostro con corpo, parola e mente.
Sulle
onde della potenza di questa regina delle preghiere,
per
i metodi supremi e sublimi
con
corpi numerosi come gli atomi del mondo,
mi
prostro ai Buddha che pervadono lo spazio.
In
ogni atomo si trova un Buddha che siede tra gli innumerevoli figli di
Buddha;
con
sguardo fiducioso mi rivolgo ai Vittoriosi che riempiono l’intero
Dharmadhātu.
A
coloro che hanno infiniti oceani di eccellenza,
con
un oceano di prodigiosa parola
canto
lodi alla grandezza di tutti i Buddha:
un
elogio a coloro che sono andati nella beatitudine.
Offro
loro ghirlande di fiori, parasoli decorati, musiche piacevoli e
profumi eccelsi;
offro
a tutti i Vittoriosi lampade al burro e sacro incenso purissimo.
Cibo
eccellente, fragranze supreme
e
un cumulo di sostanze mistiche alto come il monte Meru
dispongo
in un ordine speciale
e
offro a coloro che hanno conquistato se stessi.
Elevo
tutte le offerte impareggiabili con ammirazione per coloro
che
sono andati nella beatitudine con la forza della fede nei metodi
sublimi,
mi
prostro e faccio offerte ai Conquistatori.
Da
lungo tempo,
sopraffatto
da attaccamento, odio e ignoranza,
con
il corpo, la parola e la mente ho compiuto innumerevoli azioni
negative.
Ora
le confesso tutte senza omissioni.
Nelle
perfezioni dei Buddha, Bodhisattva, Arhat,
sul
sentiero e nella potenziale bontà di tutti gli esseri viventi,
elevo
il mio cuore e gioisco.
Oh
luci dell’universo,
Buddha
che otteneste lo stato dell’illuminazione incontaminato,
a
tutti voi rivolgo questa richiesta:
fate
girare l’incomparabile “ruota del Dharma”.
Oh
maestri che volete mostrare il Parinirvāna,
vi
prego di restare con noi
e
insegnare per tanti eoni quanti sono i granelli di polvere,
per
portare gioia e virtù a tutti gli esseri.
Possa
qualunque merito accumulato
tramite
queste prostrazioni, offerte, purificazioni,
rallegrandomi
e chiedendo ai Buddha di rimanere e insegnare il Dharma,
essere
dedicato all’illuminazione suprema e perfetta,
affinché,
al più presto,
io
liberi dalla sofferenza tutti gli esseri.
Leggiamo
ora insieme gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” (pag.
12)
e il “Sūtra del Cuore” (pag.
22).
Stiamo
per affrontare il pieno inverno con i relativi malanni di stagione,
dunque abbiamo una maggior attenzione per la salute fisica, ma
dovremmo porre altrettanta cura nella pratica del Dharma, che non
consiste nel fantasticare su quanto potrà accadere nel futuro e
nelle prossime vite, ma corrisponde alla realtà attuale, ad ogni
istante del presente.
Se
non siamo capaci di praticare il Dharma, qui e ora, non lo saremo
nemmeno domani.
Il
Dharma deve essere effettivo adesso affinché se ne possa usufruire
nel futuro; prescindere dal presente è assolutamente illusorio,
dobbiamo viverlo oggi, non si può rimandare.
Il
futuro dipende dal presente e non il contrario, per avere un buon
futuro bisogna avere un buon presente, è necessario praticare
correttamente in questa vita per goderne i frutti in quelle che
verranno.
Questa
sera abbiamo letto la “Preghiera dei Sette Rami”, che è
basilare, gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” che sono
l’essenza del pensiero del Buddha sull’amore e la compassione, e
il “Sūtra del Cuore” che è la saggezza.
L’insieme
di queste tre pratiche ha particolare valore perché rappresenta un
Dharma completo.
La
“Preghiera dei Sette Rami” può essere praticata come un rituale,
con una attenta preparazione dell’altare, con la meditazione, ma
anche concretamente nella quotidianità dei nostri rapporti umani.
Il
primo passo di questa pratica è l’omaggio,
che noi esprimiamo con il saluto in cui dimostriamo rispetto alle
persone e che costituisce inoltre un’accumulazione di meriti. Non è
solo importante rendere omaggio ai Buddha e ai Bodhisattva, ma è
necessario farlo con altrettanta devozione nei confronti di tutti gli
altri esseri a cui mostriamo apprezzamento, siano amici, o
sconosciuti, o anche animali.
Nella
lingua indiana esiste questo bellissimo saluto: “namasté”,
sempre
accompagnato
da un gesto di rispetto con le mani giunte e il capo chino che
comunica riconoscimento del valore dell’altro, la sua uguaglianza
con noi.
Affermare
il valore degli altri con il saluto è un buon metodo per accumulare
meriti.
Nelle
metropoli invece non ci si saluta quasi più, c’è solo la corsa
pazza di tanti “ego” che se ne vanno per conto loro senza mai
realmente incontrarsi; è un vero peccato, incontrare tante persone e
sprecare la splendida opportunità di dimostrare loro rispetto e
considerazione.
In
questo modo non solo non si accumulano meriti, ma si riducono.
Dobbiamo
porgere omaggio a tutti gli esseri così come nella Preghiera dei
Sette Rami si rende ai Buddha e ai Bodhisattva; non è una questione
di galateo, ma di grande ricchezza interiore che acquisiamo in noi
stessi e negli altri.
Alcuni
personaggi pubblici hanno imparato una tecnica abilissima
nell’elargire incessantemente grandi sorrisi, che però sono
soltanto un meccanico movimento muscolare, non hanno alcuna reale
corrispondenza con un sentimento di amicizia, di rispetto e
certamente non frutteranno alcuna accumulazione di meriti, né gioia
in sé e negli altri.
Il
saluto deve essere fatto con il corpo, con la parola e con la mente.
Con
il corpo si sorride, si accenna un inchino, si porge la mano, con la
parola si pronunciano auspici, affermazioni di amicizia, ma
l’elemento più importante è trasmesso con la mente, con la
sincerità del cuore che rispetta e riconosce il valore dell’altro.
Non
sempre siamo nella condizione concreta di poter salutare tutti con il
corpo e con la parola, ma lo possiamo fare senza limiti con la mente
nell’apertura del cuore e in questo modo arricchiamo il valore
spirituale nostro e altrui.
Il
secondo passo è l’offerta.
In Italia quando si va in visita da qualcuno è consuetudine portare
un piccolo dono, del vino, dei dolci, e se ciò nasce dal cuore e non
è semplicemente un fatto di educazione, è positivo, una
condivisione.
La
confessione
invece consiste nella presa di coscienza e analisi delle proprie
mancanze, tutti noi quotidianamente commettiamo un gran numero di
errori, ciò che importa è vederli, riconoscerli e cercare di
rimediare ai danni prodotti prima di tutto in noi stessi, in questo
modo abbiamo la possibilità di non ripeterli.
Non
è necessario confessare formalmente ai Buddha o ai Bodhisattva le
proprie azioni negative, ma è essenziale analizzarle, riconoscerle,
tenerne conto, e sviluppare la volontà e le capacità per non
ripeterle nel futuro, con grande semplicità.
Se
non siamo capaci di riconoscere gli sbagli che facciamo nella vita
non siamo nemmeno capaci di accrescere le nostre qualità.
Affinché
la confessione sia effettiva e porti alla purificazione è
assolutamente essenziale maturare il sincero rincrescimento per gli
errori commessi.
Le
impronte negative generate dagli sbagli possono essere notevolmente
diminuite nella purificazione prodotta dall’analisi e dal
riconoscimento degli stessi errori e dal pentimento che ne deriva.
Il
quarto ramo della pratica riguarda la gioia
creata
dalle nostre qualità e buone azioni compiute nel passato, potenziate
da questo stesso rallegrarsi.
Avere
rincrescimento per le cattive azioni ne diminuisce il potere negativo
e, altrettanto, il rigioire delle buone azioni ne accresce il potere
positivo, e non si tratta di qualcosa di invisibile, ma di pratico e
verificabile nel lento, progressivo ed effettivo cambiamento prodotto
nell’atteggiamento quotidiano.
Il
rallegrarsi per le buone azioni non è riferito soltanto alle nostre
ma anche a quelle degli altri ed è un ottimo antidoto all’invidia,
perché non è sufficiente essere contenti di noi, dobbiamo esserlo
in egual misura nei confronti di tutti.
La
gelosia, l’invida, sono un enorme ostacolo alla crescita
spirituale, mentre è vantaggiosissima la gioia sincera per le buone
azioni del prossimo.
Non
dobbiamo prendere esempio dagli ambienti politici in cui pare che
l’impegno maggiore sia far emergere esclusivamente ogni negatività
della parte avversa, eppure in qualsiasi situazione è impossibile
che non vi sia qualcosa di positivo, quest’attitudine distruttiva è
molto pericolosa, deleteria degenerazione per sé e per gli altri, è
un comportamento che disperde energie e produce negatività.
Al
quinto punto della pratica c’è la supplica
o esortazione in cui si pregano gli esseri con qualità superiori di
volerci aiutare.
Dopo
la supplica c’è la richiesta
esplicita affinché, nella loro grande compassione, gli esseri
superiori agiscano e intervengano in nostro soccorso.
Infine
al settimo ramo, troviamo la dedica
di
ogni azione positiva a beneficio di tutti gli esseri; ciò è
l’esatto contrario dell’attitudine consueta in cui pretendiamo
che le azioni degli altri siano rivolte al nostro esclusivo
benessere, una vera tragedia spirituale.
Qualsiasi
cosa stiamo facendo, anche se è semplicemente gustare un buon caffè,
ne dedichiamo il piacere agli altri. Possiamo offrire ogni cosa agli
altri, e comunque, prima o poi dovremo abbandonare tutto e allora
tanto vale cominciare subito.
La
dedica è molto importante perché è il compimento del Dharma, senza
di essa la pratica non avrebbe un senso finito, deve essere
presentata a beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Con
le persone care ciò avviene abbastanza spontaneamente, è evidente
soprattutto nei genitori che dedicano completamente se stessi al
benessere dei figli, ma è un’attitudine che deve essere estesa a
tutti gli esseri, indiscriminatamente, in modo assolutamente
equanime.
E’
bene meditare e utilizzare come rituale tutte le mattine la Pratica
dei Sette Rami, ma non possiamo limitarci a questo, la dobbiamo
contemporaneamente applicare costantemente nella nostra quotidianità,
non possiamo separarne i due basilari aspetti.
E’
importante iniziare la giornata con la lettura e meditazione della
“Preghiera dei Sette Rami” per purificare la mente, proseguendo
poi con gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” per
sviluppare l’amore e la compassione, e infine del “Sūtra del
cuore” per procedere nella saggezza. Queste sono le solide basi
della piramide che è la nostra pratica del Dharma.
Domanda:
La pratica dei nove giri del respiro deve essere fatta prima o dopo
le letture o la meditazione?
Lama: Prima
di tutto.
Domanda:
Nel linguaggio comune occidentale, quando ci si riferisce a qualcuno
che si dedica agli altri, si intende una persona che rinuncia alla
propria vita per occuparsi completamente del prossimo, un esempio,
forse estremo, potrebbe essere madre Teresa di Calcutta, quindi mi
chiedo, che valore reale ha la sola dedica mentale di tutto, senza
però impegnare un particolare sforzo concreto, è sufficiente?
Lama: La
dedica è diversa dal dare. Il dare è l’applicazione concreta
della generosità, ma l’attitudine alla generosità si sviluppa
nella trasformazione della mente attraverso la dedica costante e
continua di tutto ciò che esiste. Il dare è l’azione, la dedica è
la causa e il risultato è l’azione.
Domanda:
Forse noi cadiamo nella trappola di voler catalogare, incasellare, e
questo rende difficile agire con spontaneità e naturalezza, tutto
appare complicato e limitato.
Lama: Bisogna
avere la bodhicitta, in essa qualunque cosa diviene Dharma, ma prima
di realizzare la bodhicitta dobbiamo costruire la nostra pratica
personalmente, secondo le nostre capacità individuali, procedendo
lentamente ma inesorabilmente, con continuità.
Domanda:
Io non sono molto costante e disciplinato nella pratica, alcune
mattine la faccio con spontaneità, altre proprio non mi va e
subentra immediatamente il senso di colpa, ma credo che non sia
giusto nemmeno questo, perché è un’ulteriore gabbia mentale.
Lama: Quello
che facciamo fisicamente, in piedi o seduti, se mangiamo o
passeggiamo, non ha nessuna rilevanza per definire il valore del
Dharma, ciò che conta è l’intenzione che abbiamo in quel preciso
momento compiendo quell’azione.
Domanda:
Ho letto che l’oscuramento della mente porta alla paura, ma cos’è
l’oscuramento della mente?
Lama: L’ignoranza,
il non conoscere la vera natura della realtà. In tibetano ci sono
due parole: “mompa”
che significa oscurità, qualcosa che si interpone tra noi e le cose
e non ci permette di vedere; “marigpa”
che vuol dire non conoscenza.
Domanda:
Scusa è un po’ banale, tu dici che comunque morendo lasceremo
tutto, ma allora i meriti che li accumulo a fare?
Lama: Dai
senso alla tua vita, stai meglio già qui e ora e avrai anche una
rinascita migliore.
Su
questi argomenti le domande possono essere infinite ed è
interessante riconsiderare la storia, ad esempio i sūtra sono nati
in risposta a semplici domande relative alla vita di tutti i giorni e
non necessariamente filosofiche.
Spesso
leggendo un sūtra ci si trova di fronte a una realtà concreta e
diretta, mentre il suo commento può essere veramente complesso.
I
sūtra sono presentati in due linguaggi, in sanscrito e in pali.
I
sūtra in pali, raccolti in alcuni volumi, sono stati più volte
tradotti in inglese, l’ultima è un’edizione revisionata
dall’università di Oxford, e ora anche in italiano.
I
sūtra in sanscrito sono contenuti in un maggior numero di volumi,
però ne sono stati tradotti pochi e quindi è più difficile
reperirli, ma in entrambi i casi è bene leggerli direttamente nella
lingua conosciuta, per gli occidentali possibilmente in inglese
perché la traduzione italiana è piuttosto annacquata e
approssimativa.
Sia
il “Sūtra del Cuore” che la “Pratica dei Sette Rami” sono
sūtra.
I
sūtra in tibetano sono trascritti in centootto volumi, ma io credo
che nessuna traduzione occidentale sia stata fatta su di essi, i
passaggi più probabili sono dal sanscrito al cinese, dal cinese al
giapponese e dal giapponese all’inglese.
Il
modo sistematico per studiarli è confrontare il testo del sūtra con
il suo commento e voi che avete una buona educazione ne siete
facilitati.
In
Tibet invece la maggioranza della popolazione era semplice e poco
istruita e non aveva alcuna possibilità di accedere alla lettura dei
sūtra e dunque il più accessibile e praticato è stato da sempre
“Om
Mani Padme Hum”,
un mantra di sei sillabe.
Per
questo è piuttosto sciocco e inutile voler imitare pedestremente,
come una fotocopia, nelle pratiche i tibetani, ognuno deve trovare il
proprio metodo per portare il Dharma nella quotidianità.
Siamo
giunti alla fine dell’anno, trascorso molto velocemente e ci
ritroveremo dopo l’Epifania.
Grazie
a tutti.
1
I capitoli del Bodhicaryāvatāra di Sāntideva sono tratti dal
testo edito da Ubaldini editore – Roma
2
Fine supremo: lo stato di completa illuminazione, lo stato di
Buddha.
3
Emozione negativa: (in tibetano nyon mong) le contaminazioni
mentali quali rabbia, attaccamento, ignoranza
4
Azioni negative: (in tibetano dig pa) una disposizione
mentale causata da un’azione negativa commessa.
5
Sofferenze: (in pali dukkha) la verità della Sofferenza, che
ha tre livelli: sofferenza del dolore, sofferenza del cambiamento,
sofferenza del samsara.
6
Amico spirituale: (in tibetano ge wei she nyen, Geshe) colui
che aiuta a fare azioni virtuose.
7
Madri: - tutti gli esseri senzienti sono state nostre madri. – La
persona più cara e quella più giovevole.
8
Otto preoccupazioni mondane: le idee generate dal guardare
attraverso gli occhi dell’attaccamento e dell’avversione, sono:
piacere e dispiacere, vittoria e perdita, lode e biasimo, gloria e
disgrazia.
9
Samsara: (termine sanscrito, in tibetano khor wa)
attaccamento bramoso alle cose mondane che fa permanere nel circolo
della sofferenza e dell’insoddisfazione.
10
Lama: (termine tibetano, in sanscrito guru) guida o maestro
spirituale. Letteralmente: “ricco di qualità spirituali”.
11
Bodhisattva: (termine sanscrito) colui che possiede la Bodhicitta.
12
Liberazione: (in sanscrito moksha) eliminazione di tutte le
emozioni afflittive o illusioni, ottenimento dello stato di Arhat,
il sentiero della fine dell’apprendimento del sarvabuddha e del
pratyekabuddha
13
Piaceri dell’esistenza mondana: piaceri dominati dall’attaccamento
ai piaceri dei sensi.
14
Circostanze favorevoli e fortuna: avere buone opportunità e
condizioni per praticare il Dharma.
15
Fortunati: coloro che hanno incontrato il Dharma e sono capaci di
praticarlo.
16
Rinuncia: autentica intenzione di abbandonare il Samsara e
raggiungere il Nirvana.
17
Oceano dell’esistenza: (in sanscrito samsara, in tibetano
khor wa) attaccamento alle apparenze di questa vita,
interesse per gli aspetti riguardante la vita presente.
18
Samsara: (termine sanscrito) gli aggregati impuri di un essere
senziente, che da tempo senza inizio hanno dato luogo al ciclo di
morte e rinascita a causa dell’illusione e del karma, e hanno reso
gli esseri senzienti carichi delle sofferenze dei sei regni
fisici/spirituali.
19
Attaccamento alle apparenze delle vite future: interesse per gli
aspetti riguardanti le prossime vite nel samsara.
20
Aspirazione alla più alta illuminazione: (in sanscrito Bodhicitta,
in tibetano jang chub kyi sem).
21
Insuperabile Bodhi: lo stato di Buddha.
22
Bodhicitta: (termine sanscrito) autentica aspirazione a raggiungere
la completa illuminazione allo scopo di portare tutti gli esseri
senzienti allo stato di completa illuminazione.
23
Quattro potenti fiumi: rinascita, invecchiamento, malattia e morte.
24
Karma: (termine sanscrito, in italiano azione, in tibetano
les) una sottile impronta nel continuum mentale proveniente
da esperienze precedenti, la quale da impulsi ad azioni mentali e
fisiche.
25
Attaccamento al Sé: (in tibetano dag zin): percezione errata
che si attacca all’idea di un Sé o di un Io intrinsecamente
esistente.
26
Tre sofferenze: sofferenza del dolore, sofferenza del cambiamento,
sofferenza della condizione.
27
Madri: tutti gli esseri senzienti, i più cari, quelli che hanno
recato più benefici.
28
Intenzione altruistica di divenire un Risvegliato: in questo
contesto si riferisce al Bodhicitta.
29
Saggezza: realizzazione della Vacuità.
30
La vera natura delle cose: la realtà ultima dell’esistenza delle
cose, vacue di un’esistenza intrinseca.
31
Radice del Samsara: l’ignoranza, il non vedere la verità, opposta
alla saggezza.
32
Origine interdipendente: (in tibetano ten byung) la realtà
dell’esistenza delle cose e degli eventi, che esistono in modo
interdipendente.
33
Nirvana: al di là della sofferenza, cessazione della sofferenza.
34
Apparenze, ovvero l’inevitabilità dell’origine interdipendente:
realtà convenzionale o verità convenzionale.
35
Vacuità, ovvero la non-asserzione: realtà ultima o verità ultima.
36
Pensiero del Buddha Shakyamuni: la natura non duale delle due
verità.
37
Visione: realtà ultima.
38
Estremo dell’esistenza: l’idea che le cose esistano solo in
maniera intrinseca o da sé.
39
Apparenza: Visione comune.
40
Estremo della non-esistenza: l’idea che le cose non esistano, se
non in maniera intrinseca.
41
Vacuità: la vera natura dei fenomeni, non esistenti in maniera
intrinseca.
42
Visioni estremiste: Nichilismo ed Eternalismo.
43
I tre aspetti principali del sentiero: Rinuncia, Bodhicitta e
Saggezza.
44
Perseveranza entusiastica: sforzo gioioso nella pratica del Dharma.
45
Meta finale: illuminazione completa, stato di Buddha .
46
Figlio mio: in maniera diretta, si riferisce a Tsakhowa Ngawang
Dakpa; in maniera indiretta a coloro che desiderano realizzare i tre
aspetti principali del sentiero.
47
Le “perfette realizzazioni” sono la realizzazione della
motivazione illuminata del Bodhicitta e la realizzazione della
corretta visione della vacuità.
48
I “Tre Reami” sono le tre diverse dimensioni in cui si possono
reincarnare gli esseri senzienti: il reame del desiderio, il reame
della Forma Pura e il reame del Senza Forma. Il reame del Desiderio
comprende gli esseri infernali, i preta o spiriti avidi, gli
animali, gli umani, gli asura o titani e le sei prime classi degli
dei. Il reame della Forma Pura comprende le successive diciassette
classi degli dei. Il reame del Senza Forma comprende le quattro
classi superiori degli dei.
49
La “Madre dei Buddha” è il “Sutra della Perfezione della
Saggezza” (Prajnaparamita Sutra), trasmesso dal Buddha presso il
Picco dell’Avvoltoio e da cui hanno avuto inizio i due lignaggi
Mahayana degli insegnamenti della visione profonda della vacuità e
della vasta azione del Bodhicitta.
50
Il “tesoro di insegnamenti” è “La Lampada del Sentiero
dell’illuminazione” (Bodhipathapradipa), breve testo di
Dipankara Atisha che è all’origine di tutti i testi del Lam rim.
In questo testo si ricompongono i due lignaggi del Prajnaparamita
Sutra
51
Tsong Khapa si riferisce in modo particolare a due dei suoi 45
maestri spirituali, il Lama Kagyu Chokyob Zangpo, “il più erudito
fra i monaci”, e il Lama Nyingma Namka Gyeltshen da Lhodrag dai
quali ha ricevuto e riunito i tre stadi del lignaggio Lam Rim di
Atisha.
52
Sono due i desideri da raggiungere: la rinascita in uno stato
superiore, come un essere umano o un dio, e la liberazione dalla
sofferenza, la piena illuminazione di un Buddha.
53
“Tutti gli esseri viventi” sono le nove diverse possibilità di
trasmigrazione,alla rinascita, nello stesso o da uno all’altro dei
Tre Reami. Ad esempio, un essere del regno del Desiderio può
permanere in questo stesso regno oppure trasmigrare in quello della
Forma Pura o del Senza Forma.
54
“il re che concede il potere” è un altro modo per designare la
gemma che esaudisce i desideri, un leggendario gioiello che
esaudisce tutti i desideri del mondo.
55
“Quello che il Buddha intendeva” era la rinuncia, la motivazione
illuminata del Bodhicitta e la corretta visione della vacuità.
56
Il “grande errore” consiste nell’avere una visione settaria,
screditare una qualsiasi scuola buddhista, un veicolo o un testo, e
disconoscere la validità dell’insegnamento del Buddha.
57
Il primo livello sono le persone che hanno sviluppato la
motivazione e l’impegno per una rinascita superiore, umana o come
dio, generato dal timore di una rinascita inferiore. Il livello
intermedio sono le persone che hanno sviluppato la motivazione e
l’impegno per la liberazione dal ciclo dell’esistenza, generato
dalla rinuncia alla nostra sofferenza. Il livello superiore sono le
persone che hanno sviluppato la motivazione del Bodhicitta.
58
Lo “yogi” qui si riferisce all’autore.
59
Le “otto libertà”dell’esistenza umana sono quelle che
facilitano lo studio del Dharma. Quattro sono legate agli ostacoli
dell’esistenza umana: nutrire visioni errate, essere nato in un
paese che impedisce lo studio del Dharma, essere nato in un paese
nel quale esiste il Dharma, avere tutte le capacità sensoriali per
studiarlo. Le altre quattro libertà sono legate agli ostacoli di
un’esistenza non umana: essere nato negli inferi, come preta
(spirito avido), animale o fra gli dei dalla lunga vita.
60
I “tre reami sfortunati” sono le rinascite come creature degli
inferni, preta (spirito avido) o animale.
61
I “tre Gioielli del Rifugio” sono il Buddha, il Dharma dei suoi
insegnamenti e il Sangha, la comunità di coloro hanno realizzato o
stanno seguendo gli insegnamenti del Buddha.
62
Il “fondamento pratico ideale di un essere umano” sono le
condizioni che favoriscono lo studio e la pratica del Dharma: avere
una lunga vita, un corpo in salute, rispettabilità, onestà,
attendibilità, una buona influenza sugli altri, avere una mente e
una corpo forti.
63
I “quattro poteri antagonisti” che ripuliscono dai debiti del
karma negativo sono: sincero pentimento delle azioni non virtuose
precedentemente compiute, invocare ciò su cui bisognerebbe fare
affidamento (i Tre Gioielli del Rifugio e la motivazione del
Bodhicitta), la promessa di evitare di compiere qualunque azione non
virtuosa, ed infine, il potere che qualunque azione virtuosa venga
compiuta per contrapporsi a quelle non virtuose.
64
Le “due accumulazioni” sono l’accumulazione di meriti e quella
della saggezza. La prima consiste nell’accumulare azioni positive
tramite la pratica della generosità, la seconda comprende tutte le
pratiche che hanno la natura della saggezza (prajna) e della
conoscenza superiore lo studio e la meditazione.
65
La “pratica delle cause dell’illuminazione” è il veicolo
Mahayana dei Sutra, il Sutrayana
66
La “simulazione immediata dei risultati che saranno ottenuti” è
il veicolo Mahayana dei Tantra, il Tantrayana
67
Bhagavati: (termine sanscrito, in tibetano: gyal wai yum)
Madre Buddha, si riferisce alla “Saggezza della Perfezione”,
che è la madre in quanto causa fondamentale dell’illuminazione.
68
Bhagavati Prajna Paramita Hridaya: (sanscrito) il cuore della
Bhagavathi, la perfezione della saggezza.
69
Bhagavan: (termine sanscrito, in tibetano: chom dhen de)
titolo generalmente attribuito a un essere illuminato; letteralmente
significa “colui che ha completamente illuminato gli ostacoli e
possiede tutte le qualità”; sinonimo di “Tathagata”
(sanscrito) e di “de war sheg pa” (tibetano) nel senso di
“colui che ha raggiunto lo stato di piena calma e piena
illuminazione”. In questo brano ci si riferisce al Buddha
Shakyamuni.
70
Rajagrha: (termine sanscrito, in tibetano: gyal poe khab)
luogo nel quale si erge un palazzo reale.
71
Picco dell’Avvoltoio: montagna con la cima a forma di
avvoltoio; luogo in cui venne impartito il sutra secondo la
tradizione. Viene identificato popolarmente in una collina vicino a
Rajagrha, nello stato indiano del Bihar.
72
Arhat: (termine sanscrito, in tibetano: dra chom pa)
colui che ha raggiunto il Nirvana. Detto anche Sravaka o
Pratyekabuddha. Nel testo originale tibetano il termine è
Bikshu, ma si intende Arhat.
73
Bodhisattva: (termine sanscrito, in tibetano: Jang chub sem
pa). Essere che possiede il Bodhicitta.
74
Assorbimento meditativo: (in sanscrito: samadhi, in
tibetano: ting nge zin) una forma di meditazione.
75
Varietà dei fenomeni: (in tibetano: choe kyi nam drang)
i 5 aggregati (forme, percezioni, formazioni mentali e della
coscienza); le 12 fonti dei sensi (le sei sorgenti dei sensi e le
sei facoltà); i 18 elementi ( le sei sorgenti dei sensi, le sei
facoltà e le sei coscienze); i 12 anelli della catena dell’origine
interdipendente (Ignoranza, Azione volontaria, Coscienza, Nome e
Forma, Sorgenti dei sensi, Contatto, Sensazioni, Attaccamento,
Brama, Concepimento, Nascita, Invecchiamento e Morte); le 4 Nobili
Verità (la Verità della sofferenza, la Verità delle cause della
sofferenza, la Verità della cessazione e la Verità del sentiero);
i 5 sentieri (Accumulazione, Preparazione, Visione, Meditazione e
Non-più-apprendere); le 4 fiducie; i 10 poteri di Buddha; ecc…
76
Percezione Profonda: (in tibetano: zab mo nhang wa)
vedere la vera e profonda realtà ultima dei fenomeni.
77
Arya: (termine sanscrito, in tibetano: Phag pei Gang zag)
un Essere superiore che ha raggiunto la saggezza della diretta
realizzazione della vacuità o che ha seguito il sentiero in uno dei
veicoli.
78
Avalokitesvara: (termine sanscrito, in tibetano: Chen re
zig) conosciuto come il “Buddha della compassione”.
79
Bodhisattva mahasattva: (termine sanscrito, in tibetano: jang
chub sem pa sem pa chen po) Bodhisattva di ordine superiore o
che ha conseguito il sentiero dei Bodhisattva o il sentiero mahayana
della visione.
80
La pratica della profonda perfezione della saggezza: (in
tibetano: she rab kyi pha rol du chin pai zab moi chod pa).
81
I cinque aggregati: (in sanscrito: skandha, in
tibetano: phung po ngha) Forme, Sensazioni, Percezioni,
Formazioni mentali, e della Coscienza.
82
Vuoti di esistenza intrinseca: (in tibetano: ran shin gyi
tong pa).
83
Venerabile Bikshu: (in tibetano: thse dan dhen pa)
titolo attribuito a un bikshu con mente sveglia e intelligente
84
Shariputra: figlio di Sharit, conosciuto come bikshu dalla
mente acuta fra i discepoli di Buddha Shakyamuni.
85
Arya Avalokitesvara Bodhisattva mahasattva: (temine
sanscrito, in tibetano: jang chub sem pa sem pa chen po phags pa
chen re zig) si riferisce a un singolo individuo conosciuto come
Bodhisattva mahasattva Avalokitesvara, diverso dal “Buddha della
compassione” Avalokitesvara. Qui infatti viene identificato come
un Bodhisattva sotto le sembianze di un bikshu, Bodhisattva,
mahasattva e arya.
86
Figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva: (in tibetano:
rigs kyi bu vam rigs kyi bumo).
87
Nirvana: (termine sanscrito, in tibetano: Nyang De) essere
andato oltre la sofferenza.
88
Mantra: (termine sanscrito, in tibetano: yid kyob) che
protegge la mente.
89
Thatagata: (termine sanscrito) sinonimo di Bhagavan.
90
Asura: (termine sanscrito, in tibetano: lha ma yin)
semi-dei che sono tra il regno degli umani e quello degli dei.
91
Gandharva: (termine sanscrito, in tibetano: di zha)
esseri senza forma, che vivono nutrendosi di odori.
92
Quattro attenzioni ravvicinate: 1) rivolta la corpo; 2)
rivolta alle sensazioni; 3) rivolta alla mente; 4) rivolta agli
oggetti mentali.
93
Quattro perfetti o puri abbandoni: 1) abbandono degli atti
non virtuosi già prodotti; 2) abbandono degli atti non virtuosi non
ancora prodotti; 3) accrescimento degli atti virtuosi già prodotti;
4) sviluppo degli atti virtuosi non ancora prodotti.
94
Quattro membra miracolose: 1) l’aspirazione o volontà per
conseguire lo scopo; 2) la perseveranza nel dirigere la mente
sull’unico punto; 3) il pensiero nel mantenere stabile la mente
sull’unico punto; 4) l’analisi nella applicazione degli
insegnamenti.
95
Cinque facoltà o poteri (riferiti alle quattro nobili
verità):1) la fede o fiducia; 2) l’energia o perseveranza; 3)
l’attenzione o vigilanza; 4) il raccoglimento; 5) la conoscenza
superiore.
96
Cinque forze o capacità: sono le 5 facoltà precedenti
sviluppate con il potere di neutralizzare i pericoli circa la
comprensione delle quattro nobili verità.
97
Sette fattori o rami dell’illuminazione: 1)
l’attenzione, fondamento della comprensione non mediata; 2) il
discernimento delle dottrine che permette di distinguere il vero dal
falso; 3) l’energia perseverante o impegno entusiastico per uscire
dal samsāra ; 4) la gioia di penetrare direttamente le quattro
nobili verità; 5) l’agio con cui si dominano le passioni; 6) il
raccoglimento che dissolve le contaminazioni passionali; 7)
l’equanimità nei confronti delle passioni non più in grado di
contaminare la mente.
98
Nobile ottuplice sentiero: 1) retta visione; 2) retto
pensiero; 3) retta parola; 4) retta azione; 5) retti mezzi di
esistenza; 6) retto impegno; 7) retta attenzione; 8) retto
raccoglimento.