IL KARMA E LA VITA'
Geshe Gedun
Tharchin
Anno 2007 - Ritiri
Istituto Lamrim/Fondazione Maitreya Roma
Istituto Lamrim/Fondazione Maitreya Roma
*****
INDICE
Wesak
- La Grande Compassione
Comprendere
il karma
Natura
della mente
Tranquillità
interiore
Meditazione
sul silenzio della mente
Visione
di Māhamudhrā
Testi
annessi:
Mettā Sutta
Sūtra del Cuore
I Tre Aspetti Principali del Sentiero
Pratica in Sette Rami
Otto Versi di Trasformazione della Mente
Cantico sulle Quattro Consapevolezze del settimo Dalai
Lama
Wesak 2007 - La Grande Compassione
Mi sento
particolarmente commosso nel condividere questo evento, il Wesak, una
festa unanimemente celebrata in India, in Nepal, in Tibet e nei molti
paesi asiatici, mentre è davvero inusuale poterlo fare a Roma.
Oggi mi è stato
chiesto di parlare della compassione, dell’amore, che rappresentano
il cuore dell’intero insegnamento del Buddha e mi riempie di gioia
poterlo fare proprio in questo giorno, così mi sforzerò di parlare
in italiano in segno di riconoscenza verso i tanti che apprezzano i
principi buddhisti, che vi si avvicinano con rispetto in un autentico
dialogo interreligioso aperto e ottengono il risultato di
incrementare la propria cultura e religione che non ne sono affatto
inficiate, bensì arricchite. Se si usasse il buddhismo per sradicare
le proprie radici o porre in contrapposizione differenti tradizioni
si commetterebbe un errore gravissimo, contrario a qualsiasi spirito
autenticamente spirituale e umano.
Il
buddhismo è nato in India e in seguito si è diffuso in altri paesi,
in Tibet è stato introdotto da grandi maestri, tra questi ricordiamo
Kamalaśīla (VIII° secolo) che, invitato dal re del Tibet,
consolidò nel paese la dottrina, una delle sue opere fondamentali è
l’importantissimo trattato intitolato “Bhāvanākrama”
“Gli stadi della
meditazione”,
strutturato su tre livelli. Personalmente considero questo
insegnamento come imprescindibile, assolutamente essenziale. Il testo
inizia con la considerazione che coloro che intendono raggiungere
l’illuminazione, o stato onnisciente, devono unicamente praticare
tre addestramenti:
- Compassione;
- Bodhicitta;
- Attuazione completa delle sei Pāramitā: generosità, moralità, pazienza, perseveranza entusiastica, concentrazione, saggezza.
Nei paragrafi
successivi si ribadisce che la radice del Dharma è la compassione,
base stessa di ogni pratica buddhista e valida per tutte le
tradizioni, senza discriminazioni, esclusioni o divisioni fantasiose
frutto della concezione occidentale e assolutamente inesistenti nel
buddhismo originario.
Ogni stadio e
pratica ingloba in mutuo arricchimento tutte le altre e
Avalokiteśvara, conosciuto come il Buddha della compassione,
rappresenta la compassione dell’intero universo, è l’espressione
del Bodhisattva che pratica un solo Dharma - la compassione - poiché
in essa realizza tutti i Dharma.
Questo è
fondamentale tanto nel buddhismo come nel cristianesimo e in
qualsiasi religione, non vi è alcuna differenza, Cristo è un
Buddha, un eccelso Bodhisattva che, nella grande compassione, ha
realizzato l’illuminazione.
Le rigidità
escludenti poste in atto dalle varie tradizioni, la difesa strenua
delle proprie presunte peculiarità, non sono elementi di tipo
religioso, rispondono ad altre logiche mondane e di potere, mentre,
al contrario, nella conoscenza reale delle altre esperienze
spirituali si arricchisce e approfondisce la propria, questo è un
valore infinito.
Tra “Compassione”
e “Grande Compassione” c’è una differenza. Il sentimento
spontaneo di simpatia, di condivisione di fronte alla sofferenza o
alla gioia altrui è il seme della compassione, per noi fondamentale,
perché da questo crescerà la pianta della compassione che estesa
universalmente, indiscriminatamente, si trasformerà nella grande
compassione illimitata.
Il sūtra enuncia
che la compassione è la radice di tutti i Dharma così come il
respiro è la fonte della vita.
Kamalaśīla è
essenziale nel suo insegnamento, non ha mai tratto ispirazione o
riportato il pensiero altrui, ma si è, senza eccezione, riferito
direttamente ai sūtra del Buddha, illustrando dettagliatamente i tre
stadi di meditazione, perfettamente complementari tra loro, che
portano all’illuminazione. La suddivisione in tre livelli è stata
determinata da tre risposte esaurienti a tre domande, senza alcuna
distinzione o valutazione discriminante tra loro che, anzi, si
completano vicendevolmente.
Il buddhismo si è
radicato in Tibet proprio grazie a questo modo di procedere
nell’analisi dettagliata di domande e risposte, nulla, come
raccomanda il Buddha, deve essere accettato acriticamente, ma
esaminato, compreso, introiettato concretamente nella propria vita, e
da questa osservazione è emerso che il respiro vitale di ogni essere
senziente, in qualsiasi latitudine si trovi, è la grande
compassione.
La grande
compassione è la caratteristica fondamentale della pratica del
buddhismo Mahāyāna, termine che indica la volontà di assumersi la
responsabilità di tutti gli esseri senzienti con compassione
illimitata. Qualsiasi altra interpretazione tendente a suddividere in
scuole, maestri, monasteri, o altro, è inutile e sciocca.
La grande
compassione è l’anima del Dharma e alla domanda del re che,
assillato da troppe incombenze non aveva tempo per fermarsi a
meditare, Kamalaśīla rispose che anche il più occupato capo di un
paese, il re, può praticare tranquillamente e ininterrottamente il
Dharma esercitando in ogni suo atto la grande compassione, in questo
modo non c’è momento della giornata al di fuori del Dharma.
Questa è
un’indicazione estremamente importante per tutti noi, non dobbiamo
rimandare la pratica con la scusa di dover disporre di condizioni
ottimali, si tratta di un alibi inconsistente e artificioso, perché
ogni atto quotidiano, nella compassione, si trasforma naturalmente in
pratica di Dharma. La differenza tra azione dharmica - e non - è
determinata unicamente dalla motivazione, se l’attitudine è
egoistica anche la meditazione più lunga e formalmente perfetta è
assolutamente inutile, senza valore, mentre con l’intenzione
altruistica, compassionevole, tutto diventa Dharma, anche l’atto
apparentemente più insignificante.
Questo è il
significato del buddhismo mahāyāna ed è presente in tutte le
scuole, tibetana, theravāda giapponese, dello Sri Lanka, e nelle
diverse tradizioni, cristianesimo, islamismo, ebraismo…., la grande
compassione è il centro, la radice, di qualsiasi espressione
autenticamente religiosa.
La grande
compassione è il centro di ogni ricerca spirituale e, nel tentativo
di trovare una spiegazione comprensibile e corrispondente alle vostre
radici culturali, vi invito a riflettere sulla passione di Gesù
Cristo e sulla parabola del figliol prodigo, due descrizione che mi
hanno profondamente colpito e commosso, ho ritrovato in esse
l’espressione completa della grande compassione.
Non si conquista in
un attimo magico la capacità di avere naturalmente compassione, è
un percorso graduale che deve radicarsi profondamente nell’animo
sino a divenire naturale e indiscriminata, si deve cominciare dalle
persone care e vicine, per estenderla poi ai più lontani e infine
includere amorevolmente tutti gli esseri indistintamente.
L’esperienza di
gioia che si sviluppa in questo pratica costante e paziente è
tangibile per chiunque, giorno per giorno, è un aspetto
dell’insegnamento buddhista che non può che integrare la pratica
del Dharma nella vostra religione, secondo le vostre radici.
Grazie per questo
bellissimo incontro che ha permesso di festeggiare insieme il Wesak
senza divisioni ideologiche, concludiamo dunque meditando insieme per
qualche momento.
Comprendere il Karma
Essere qui insieme
ancora una volta non è casuale, ma frutto del nostro karma, una
legge naturale in cui io credo profondamente e che è determinata
dalle azioni verbali, fisiche e mentali sia individuali che
collettive.
La condivisione
delle stesse esperienze è il frutto del karma comune, ma il modo con
cui le percepiamo e viviamo è il risultato del karma personale, due
aspetti strettamente correlati; ad esempio oggi condividiamo un
percorso spirituale per il bene nostro e altrui e, senza conoscere a
priori chi avremmo incontrato, insieme costituiamo un gruppo di amici
spirituali, un piccolo sangha, risultato del karma passato e se
sappiamo vivere questa meravigliosa opportunità sviluppando una
fondamentale intenzione altruistica, con animo puro, senza
aspettative, senza ricerca di tornaconto, costruiamo nel presente
ulteriore karma positivo che darà immancabilmente i suoi frutti.
E’ fondamentale
mantenere questa consapevolezza in qualsiasi azione quotidiana,
ricordare sempre che ogni causa produce il conseguente effetto,
positivo, negativo o neutro, è una legge naturale a cui nessuno può
sottrarsi. Ecco perché nella spiritualità buddhista si è molto
attenti alla questione del karma; con l’attitudine positiva, pura,
altruistica, si accumulano molti meriti, cioè si costruisce oggi un
buon karma che determinerà condizione favorevoli sia nell’immediato,
con energia mentale e fisica positiva, che in un futuro prossimo o
lontano.
L’accumulazione di
meriti produce automaticamente sul piano intellettuale una conoscenza
che si traspone in accumulazione di saggezza che a sua volta dovrà
essere rielaborata e radicata a livello meditativo; non si accumulano
meriti a seconda del grado di intelligenza, ma esclusivamente grazie
al buon cuore, all’altruismo, alla purezza delle intenzioni fondate
sulle prime tre pāramitā: generosità, etica e pazienza.
Il karma si
costruisce dunque su questi due piani, l’accumulazione di meriti e
lo sviluppo della saggezza.
E’ fondamentale
avere fiducia nel karma che si manifesta in svariati modi e l’energia
prodotta dalla pratica di generosità, etica e pazienza, genera
nell’immediato una profonda, sottile e inalterabile gioia.
Fiducia nel Buddha,
nel Dharma, nel Sangha, significa fiducia incondizionata nel karma, e
se non lo si comprende non si è nemmeno in grado di conoscere la
natura interdipendente dei fenomeni, ogni realtà perde il suo
significo autentico tanto che, in questo caso, sarebbe più che
lecito domandarsi che senso abbia meditare, trascorrere questo tempo
insieme, attuare una qualsiasi pratica spirituale.
Conoscere il karma è
conoscere la natura interdipendente della realtà, il passato, il
presente e il futuro e tramite la pratica consapevole delle sei
pāramitā: generosità, etica, pazienza, perseveranza entusiastica,
concentrazione e saggezza, ci si affida ai tre gioielli: Buddha,
Dharma e Sangha e si procede verso l’illuminazione.
Per
predisporci con le migliori intenzioni a questo sentiero e introdurci
all’incontro odierno, leggiamo insieme e meditiamo la stupenda
preghiera di Metta Sutta (V.
testi annessi pag. I)
(segue lettura)
Domanda: Alcuni
considerano lo stato di povertà e le condizioni estremamente
dolorose di alcune persone come conseguenza del loro cattivo karma
maturato precedentemente e dunque giustificano le situazioni più
ingiuste, è corretta questa interpretazione?
Lama: Assolutamente
no, è completamente sbagliata e superfiale, prima di tutto perché
nessuno di noi può conoscere il karma di un altro e inoltre il
frutto maturato in questa vita può derivare da un seme lontanissimo,
o rappresentare un passaggio di crescita necessario a quella persona,
è un mistero in cui nessuno dall’esterno può entrare. La pratica
del Dharma non ha nulla a che vedere con i beni terreni, con l’essere
poveri o ricchi, il valore spirituale non può assolutamente essere
misurato secondo parametri mondani. Tutti gli esseri soffrono e su
questo è indispensabile riflettere e sviluppare la qualità
dell’equanimità nella pratica dell’amore e compassione.
Domanda: Ma
quando qualcuno si comporta male, matura un karma negativo e dunque
dovrà pur essere punito in qualche modo...
Lama: Ognuno
è responsabile per se stesso; attuando un comportamento negativo si
generano immediatamente le condizioni di autopunizione condannandosi
automaticamente ad una condizione infelice. Questo è un inevitabile
fattore di causa effetto e noi dobbiamo soltanto solo offrire amore e
compassione incondizionati, equanimi, mai giudicanti, e aiutare
queste persone a comprendere il loro errore, in nessun caso potremmo
sostituirci a loro.
Concludiamo la
serata e ci ritroveremo domattina alle sette per la meditazione,
grazie.
Natura della Mente
Iniziamo la giornata
preparando la mente ad una buona accumulazione di meriti, prendiamo
rifugio nei tre gioielli e riflettiamo sulla natura di bodhicitta,
infine presentiamo l’offerta del mandala; recitiamo insieme la
preghiera dei Quattro Pensieri Incommensurabili:
“Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero equanimi,
senza attaccamento né ostilità, non vicini a qualcuno e distanti da
altri.
Possano
dimorare nell’equanimità.
Io
farò in modo che vi dimorino.
Vi
prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice
affinché io sia in grado di fare ciò.
Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti avessero la
felicità e le sue cause.
Possano
essi averla.
Io
farò in modo che la posseggano.
Vi
prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice
affinché io sia in grado di fare ciò.
Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero liberati
dalla sofferenza e dalle sue cause.
Possano
esserne liberati.
Io
farò in modo che ne siano liberati.
Vi
prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice
affinché io sia in grado di fare ciò.
Come sarebbe
meraviglioso se tutti gli esseri senzienti non fossero privi della
gioia delle rinascite elevate o della liberazione completa.
Possano
non esserne mai privi.
Io
farò in modo che essi non ne siano separati.
Vi
prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice
affinché io sia in grado di fare ciò.”
Meditiamo
ora la Pratica in Sette Rami (V.
testi annessi pag. VII).
Oggi
tenteremo di approfondire il concetto di natura
della mente, un
argomento certamente non facile ed estremamente articolato. Noi lo
affronteremo dal punto di vista della crescita personale,
dell’approfondimento interiore di amore e compassione, come
praticanti, e non come accademici che devono teorizzare la
definizione ottimale.
L’approccio
corretto sottintende la necessità di individuare a priori la meta da
raggiungere, in questo modo lo scopo è mirato, e se la nostra
motivazione si fonda sulla compassione, l’obiettivo consiste nel
conoscere e attuare la volontà di essere di aiuto e beneficio a
tutti gli esseri senzienti, non ci prefiggiamo di ricevere miracolose
iniziazioni di un particolare lignaggio, né di manifestare un
altissimo livello di realizzazione, semplicemente ci concentriamo
nell’essenza del Dharma, lo sviluppo del buon cuore.
Io
non ho alcuna fiducia nelle trasmissioni magiche dei vari lignaggi,
il Dharma è una realtà universale che appartiene a ognuno di noi,
nessuno ne è escluso, dobbiamo soltanto cercarlo scavando in noi
stessi, trovarlo, curarlo e farlo crescere, infatti il Buddha
Sākyamuni non si stancava di ripetere: “io
posso mostrarvi la via verso l’illuminazione, che però solo voi
potete scoprire in voi stessi”,
e mai ha pensato, né tantomeno affermato, di essere l’unico
detentore della verità, anzi non si è mai stancato di insistere
sull’assoluta e certa responsabilità personale di ogni singolo
essere.
Per i discepoli del
Buddha storico sono fondamentali i suoi insegnamenti, null’altro,
tutte le pratiche esoteriche forse potrebbero essere destinate a
poche persone che magari ne trarrebbero aiuto, ma noi concentriamoci
sul Dharma che invece è per tutti, ugualmente presente nelle diverse
espressioni autenticamente religiose: buddhismo, cristianesimo,
induismo, islamismo, ebraismo… vie universali verso l’illuminazione
in cui si manifestano Buddha e Bodhisattva secondo qualsiasi forma:
maschile, femminile, giovane, infantile, anziana, debole, forte, in
esseri analfabeti, intellettuali, barboni o professionisti affermati…
Definire
i Buddha e i Bodhisattva una peculiarità del buddhismo significa
utilizzare una terminologia assolutamente sbagliata, la stessa
desinenza “ismo”,
ovunque la si applichi, è in sé errata, dimostra separazione,
divisione, limitazione.
In
tibetano il buddhismo, il Dharma, è detto “chö”
un vocabolo dal significato vasto, usato per indicare ogni atto
virtuoso, tutto ciò che è di beneficio e riguarda l’umanità
intera.
In queste
conversazioni vorrei tentare di trasmettere ai miei amici italiani il
significato autentico e profondo del Dharma, i metodi di applicarlo
nella quotidianità, perché è una realtà già presente in ogni
cultura e religione si tratta solo di scoprirla. Non vi sto
insegnando il buddhismo inteso come qualcosa di separato e distinto
da altre tradizioni culturali e religiose, ma come metodo di
applicazione del Dharma secondo le vostre radici.
Il Buddha Sākyamuni,
menziona in un sūtra le sue precedenti cinquecento vite come
Bodhisattva, di cui, grazie all’onniscienza, ha avuto la chiara
visione; per noi però conoscere le nostre esistenze passate o
ipotizzare quelle future, magari affidandoci all’astrologia, è
soltanto una inutile perdita di tempo e una sciocchezza gigantesca,
poiché vivendo l’autentico Dharma nel cuore tutte queste
preoccupazioni decadono naturalmente, l’unico obiettivo chiaro è
quello di aspirare a diventare dei Bodhisattva al servizio
incondizionato del prossimo.
E’ necessario
essere sempre concreti in ogni pratica spirituale e coltivare le
qualità autentiche piuttosto che affidarsi ad eventi miracolosi,
perché altrimenti si finisce male, basta vedere ciò che è avvenuto
in Tibet, paese in cui non esiste alcuna documentazione storica
accertata dei fatti e l’unico studioso che tentò di analizzare e
ordinare con metodo scientifico gli eventi fu fatto tacere e
incarcerato per tre anni e, ancora oggi, ci si ostina a raccontare
che il dharma è stato introdotto nel paese da un sūtra caduto dal
cielo nel giardino del re, così come allo stesso modo vi sarebbe
giunto il primo re.
La
tradizione recita che il popolo tibetano sia nato dall’unione di
una scimmia (come
manifestazione di Avalokiteśvara)
con lo spirito della montagna (come
manifestazione di Tara),
ma ovviamente la storia non può prendere in considerazioni simili
leggende, eppure l’ignoranza imperante ha fatto si che quello
studioso che presentò ipotesi concrete e contrarie a interpretazioni
fantasiose fu condannato in quanto persona pericolosa.
Questa
è una mentalità antica, a noi estranea e da cui non dobbiamo
lasciarci incantare, mentre, concretamente, dobbiamo approfondire il
significato originale ed effettivo dei sūtra; iniziamo dunque con
una lenta e riflessiva lettura del sūtra del cuore. (V.
testi annessi pag. II)
(segue lettura)
Ora
leggiamo i Tre aspetti Principali del Sentiero (V.
testi annessi pag. IV)
(segue lettura)
Il
testo tibetano che sto consultando è un magnifico commentario,
scritto da un umile monaco, sulla “Profonda
Via di Mezzo” in cui
si sottolinea la completezza dell’insegnamento del Buddha; il
maestro ha affrontato ogni difficoltà, ha risposto ad ogni domanda,
a volte con il silenzio, se questo era necessario, un silenzio
eloquente nel rispetto della persona che poneva il quesito e che
doveva potervi riflettere e cercare in sé la risposta prima di
sentire spiegazioni dall’esterno. Il messaggio fondamentale del
Buddha è la sua vita, come lo fu per Gandhi che diceva: “il
mio messaggio è la mia vita”,
e così deve essere per noi.
Il testo inizia con
un atto di lode a Mañjusrī, guru perfetto che ognuno di noi può
riconoscere nella purezza del cuore, la via che porta alla profonda
visione della compassionevole saggezza, è un canto che procede dal
riconoscimento dell’immenso valore della vita umana, condizione in
cui si posseggono le capacità per raggiungere l’illuminazione.
Grazie alla
condizione umana siamo in grado di sviluppare le qualità necessarie
per essere autenticamente di aiuto a tutti gli esseri e dunque non
possiamo sprecarla, dobbiamo ininterrottamente avere consapevolezza
di ogni istante di esistenza vivendolo con ferma volontà e
determinazione.
Sāntideva
nel Bodhicaryāvatāra
dice che la bodhicitta è l’alchimia che riesce a trasformare il
nostro corpo in quello del Buddha, o quantomeno a infondere il
massimo significato possibile alla nostra vita, ed è una riflessione
estremamente profonda che non deve essere accolta con superficialità,
in quanto riconosce che il Buddha, già in noi, deve semplicemente
essere attivato e ciò può avvenire soltanto tramite l’espressione
di bodhicitta, cioè del cuore compassionevole della mente del
risveglio.
Sul piano filosofico
si discute se la potenziale illuminazione sia preesistente in noi e
che dunque debba solo essere svelata, oppure se, al contrario, sia
necessario acquisirla in quanto non naturalmente presente, però la
disquisizione tra le differenti scuole di pensiero è puramente
teorica e rimane in superficie poiché entrambe esprimono nella
sostanza, seppur con terminologia diversa, la stessa realtà. La base
dell’essenza della forma comune ordinaria della nostra condizione
umana è la forma illuminata.
E’
dunque fondamentale riconoscere l’incommensurabile valore della
vita umana, pur non scordando mai la sua natura impermanente, sono
due aspetti essenziali su cui non ci soffermiamo mai sufficientemente
a riflettere poiché siamo costantemente disturbati e distratti
dall’ingannevole visione di una realtà assolutamente opposta.
Questo concetto è ben spiegato nei “Tre
Aspetti Principali del Sentiero”
(V. testi
annessi pag. IV), in
particolare alla seguente strofa si sottolinea il grande valore
dell’esistenza umana:
“…Le circostanze
favorevoli e la fortuna sono difficili da ottenere
e la vita non è
lunga…”
Noi siamo
fortunatissimi, in questa parte del mondo nulla ci manca e abbiamo
tutte le possibilità per arricchire la nostra coscienza, non
possiamo sprecare una simile occasione, anche perché tutto muta, è
impermanente, limitato, nulla è per sempre e dunque ogni istante è
prezioso.
“…familiarizzando
con ciò, si elimina l’attaccamento alle apparenze di questa vita…”
Sono due livelli di
attaccamento, uno relativo alle apparenze dell’attuale esistenza e
l’altro a quelle future. Il primo tipo di attaccamento è ben
radicato nel macroscopico inganno che ci fa percepire questa vita
lunghissima, quasi fosse eterna, mentre è più breve di un soffio e
soltanto eliminando questa visione errata e comprendendo che è
simile a un sogno fugace possiamo essere davvero liberi.
“…Riflettendo
costantemente sul karma e sui suoi inevitabili effetti
e sulle sofferenze
del samsara,
si
elimina l’attaccamento alle apparenze delle vite future…”
E’
dunque indispensabile chiarire la visione della realtà, vederne la
natura di sogno impermanente, e lo si può fare attraverso la
meditazione naturale, profonda, mai forzata, perché con il
volontarismo e i denti stretti non si ottiene nulla di buono, senza
serenità, pace, calma, la pratica non procede di un millesimo,
bisogna abbandonare ogni pressione, aprire naturalmente il cuore
compassionevole e accumulare meriti, il Dharma nasce dalla gioia.
Ogni forzatura
indotta dal desiderio di raggiungere velocemente l’obiettivo
prefisso è il più grande ostacolo in occidente dove tutto deve
essere rapido, meccanico, efficiente. La nostra attitudine invece
deve essere esattamente all’opposto, procedere lentamente, con
calma, con serenità, praticare un piccolo Dharma ogni giorno,
vivendo pienamente e consapevolmente la preziosa condizione umana
nella giusta visione, non sprecando nulla.
Esaminiamo
il quinto capitolo del Bodhicaryāvatāra “La
sorveglianza della consapevolezza”
in cui si insegna ad osservare la propria mente come in uno specchio
e a proteggerla tramite l’introspezione.
Per proteggere la
pratica di Dharma è necessario proteggere la propria mente e per
proteggere la mente si deve applicare l’introspezione.
La
sorveglianza della consapevolezza
- Chi desideri sorvegliare la sua pratica, deve sorvegliare con scrupolo la sua mente. E’ impossibile sorvegliare la pratica senza sorvegliare la mente distratta.
- Gli elefanti in calore che vagano selvaggi non provocano in questo mondo tanta devastazione quanta ne crea nell’ Avīcī e negli altri inferni quell’elefante vagabondo, la mente, lasciato libero. .
La mente è
quell’elefante che, mancando della protezione dell’introspezione,
vaga senza meta.
- Ma se l’elefante vagabondo, la mente, è impastoiato da ogni lato con la corda della presenza mentale, ogni pericolo svanisce e ne risulta la completa prosperità. .
L’introspezione
che protegge la mente è supportata dall’altrettanto indispensabile
consapevolezza che è, in questo contesto, la presenza mentale in
grado di ritrovare la mente dispersa riconducendola alla sua naturale
dimora in cui potrà riposare nella calma, nella conoscenza.
Introspezione e
presenza mentale sono fattori chiave per proteggere la mente e tra
loro inscindibilmente collegati e collaborativi.
- Così anche tigri, leoni, elefanti, orsi, serpenti, e tutti gli esseri maligni, e tutti i guardiani dell’inferno, orchesse demoni, .
- Tutti questi con il vincolo di un’unica mente sono vincolati, e tutti con il soggiogamento di un’unica mente sono soggiogati,
- Poiché tutte le paure e le incomparabili sofferenze sorgono dalla mente soltanto. Così è stato insegnato dal Maestro della realtà.
Il capitolo è lungo
e dunque saltiamo alcuni versi:
- L’Onnisciente ha dichiarato che ogni recitazione e austerità, pur se praticate per un lungo periodo, sono del tutto inutili se la mente è concentrata su qualcos’altro o è ottusa.
- Coloro che non hanno sviluppato questa mente, che è nascosta e contiene la somma intera dei Dharma, girano in cerchio invano tentando di ottenere la felicità e distruggere la sofferenza.
- Perciò dovrei governare e sorvegliare bene la mia mente. Se lascio andare il voto di sorvegliare la mente, che ne sarà dei miei tanti altri voti?
Il voto di
proteggere la mente è sufficiente, non occorre altro.
- Giungendo le mani, rendo questo atto di saluto a coloro che desiderano sorvegliare la loro mente. Con ogni vostro sforzo, vigilate su presenza mentale e consapevolezza.
Sāntideva ci
sprona, ci supplica, in quanto esseri senzienti a mantenere sempre
vigile la consapevolezza, la presenza mentale e a sviluppare la
capacità, per quanto difficile possa essere, di osservare la mente,
sia a livello analitico che meditativo, questo è l’Abhidharma.
Spiegare
il concetto di Abhidharma non è facile, ma possiamo provarci,
raggruppa le opere che appartengono al “terzo canestro”,
l’Abhidharmapitaka,
che analizza e classifica i fenomeni in base a parametri cosmologici
dell’universo, metafisici e psicologici secondo la visione del
canone del Buddha.
L’Abhidharma
articola l’analisi nella conoscenza superiore suddividendola in
cinque gruppi e settantacinque fenomeni; nel primo gruppo si esamina
il fondamento della forma, sia visibile che invisibile, nel secondo
il fondamento della mente principale, e nel terzo il fondamento della
mente secondaria, il quarto e il quinto sono particolarmente
complessi e avrei difficoltà a tradurre adeguatamente i concetti
usando un linguaggio occidentale.
In linea di massima
possiamo tentare un’esemplificazione indagando la differenza tra
mente principale e secondaria in base alle diverse funzioni.
La capacità
fondamentale della mente principale è la facoltà di conoscere la
realtà nella sua generalità, senza la necessità di doversi
addentrare nella specificità di attributi dipendenti da determinate
condizioni.
Le facoltà della
mente secondaria invece, focalizzano le specificità dell’oggetto
esaminato.
La mente principale
ha una conoscenza diretta del fenomeno e dunque non proietta
l’immagine del fenomeno stesso.
Questo testo
tibetano è davvero completo anche se tanto complesso che io stesso
continuo a studiarlo con grande attenzione e non saprei davvero come
tradurlo adeguatamente, ciò che conta però è che non dimentichiate
mai la necessità di riflettere su ogni atto quotidiano con
consapevolezza e presenza mentale.
Dobbiamo trasformare
la nostra consueta visione della realtà, e applicarci nella pratica
dei Tre Aspetti Principali del Sentiero.
Avremo modo di
riprendere più volte queste meditazioni, Grazie a tutti.
Tranquillità interiore
Iniziamo con la
recitazione del “Cantico sulla Visione
Mādhyamika con le Quattro Consapevolezze per ricevere la pioggia di
Siddhi del settimo Dalai Lama” (V.
testi annessi pag. IX).
(segue
lettura)
Questa è una
pratica estremamente profonda e utile che deve essere scoperta e
assimilata lentamente nella costante meditazione, mezzo
indispensabile per capovolgere l’usuale visione errata della
realtà, penetrandone invece i tre livelli della conoscenza.
Il primo livello di
conoscenza si fonda sull’ascolto e sullo studio, il secondo sulla
riflessione e contemplazione, il terzo sulla meditazione.
Il punto di partenza
della pratica del Dharma è il riconoscimento della necessità di
eliminare l’ignoranza fondamentale e ingannevole che ci mostra in
modo errato gli eventi, e di concentrarsi e meditare
ininterrottamente sulla preziosità della vita umana e sulla sua
natura di impermanenza.
Un
altro aspetto da prendere in considerazione è la percezione diffusa,
indipendentemente dal proprio credo, di una realtà che continua
misteriosamente dopo la morte fisica e che comunque è al di là
della nostra volontà. Finché non avremo esaurito il samsāra
dovremo rinascere e ciò avverrà in funzione al karma costruito, ai
meriti accumulati o sprecati. Fino a quando, come si dice bene nel
Mettā Sutta,
non avremo raggiunto la liberazione saremo costretti all’inesauribile
ciclo nella ruota samsarica.
Noi
creiamo il karma secondo la conoscenza e accettazione delle Quattro
Nobili Verità: la
nobile Verità della Sofferenza,
la nobile Verità della
Causa della Sofferenza,
la nobile Verità della Cessazione
della Sofferenza, la
nobile Verità del Sentiero
che porta alla Cessazione della Sofferenza.
La prima nobile
verità non è solo la presa d’atto dell’esistenza della
sofferenza, ma anche la scoperta del suo valore che, nel
riconoscimento delle sue cause, implica il riconoscimento del suo
significato.
Il passaggio di
esistenza in esistenza non avviene secondo i nostri desideri o
illusioni, ma è conseguenza imprescindibile della seconda nobile
verità, la causa della sofferenza, che si manifesta chiaramente nel
karma e nell’attitudine mentale, fattori già inesorabilmente
presenti nella prima nobile verità, della sofferenza, e palesi al
momento stesso della nascita, uno dei dodici anelli dell’origine
interdipendente.
Dalla nascita inizia
l’invecchiamento, poi la malattia, infine la morte, quattro stadi
di sofferenza insiti nella condizione degli esseri soggetti al mondo
del desiderio, cioè il nostro, nessuno ne è escluso e se vi
riflettiamo scopriamo che è davvero facile e naturale, partendo da
questa base, sviluppare amore e compassione equanime.
Di fronte alle
quattro inevitabili fasi di sofferenza tutto il resto diventa
insignificante, minimo.
A questo punto però
è necessario non fraintendere il termine “sofferenza” in genere
interpretato in modo riduttivo e negativo come risultato delle
proprie colpe, un pedaggio da pagare, assolutamente no, la natura di
sofferenza è patrimonio dell’umanità, è la prima nobile verità,
la si deve rispettare e accogliere con attenzione.
Ci sono tre tipi
fondamentali di sofferenza, dal più grossolano al più sottile:
- la sofferenza della sofferenza, la più evidente e immediata, è un dolore fisico o qualsiasi evento chiaramente penoso;
- la sofferenza del cambiamento, questa è già più ingannevole e non immediatamente riconoscibile, come ad esempio l’assunzione di bevande alcooliche o droghe che danno una apparente e istantanea sensazione di felicità mentre in realtà provocano un dolore sempre più grande;
- la sofferenza della condizione, o onnipervasiva, è la più sottile, è l’insoddisfazione intrinseca alla vita, la tristezza che tutto permea, presente ininterrottamente fino a quando saremo nella condizione samsarica.
Per liberarsi dalla
sofferenza è indispensabile realizzare la rinuncia pura, come è
descritto nei Tre Aspetti Principali del Sentiero:
“…Le circostanze
favorevoli e la fortuna sono difficili da ottenere
e la vita non è
lunga,
familiarizzando con
ciò, si elimina l’attaccamento alle apparenze di questa vita.
Riflettendo
costantemente sul karma e sui suoi inevitabili effetti
e sulle sofferenze
del samsara,
si elimina
l’attaccamento alle apparenze delle vite future…”
Oltre al distacco
dalle apparenze di questa vita dobbiamo sviluppare altrettanta
rinuncia per quelle future. Non avrebbe alcun senso praticare il
Dharma per ottenere rinascite più favorevoli, perché comunque
finché siamo inchiodati al samsāra la sofferenza sarà sempre
presente, il nostro obiettivo finale è l’illuminazione che ci
libera e rende capaci di essere, con la bodhicitta, di beneficio a
tutti gli esseri senzienti.
“…Se, avendo
meditato in tal modo, non nasce nessun desiderio
per i piaceri
dell’esistenza ciclica,
e se costantemente,
giorno e notte, sorge un’aspirazione alla liberazione,
allora la rinuncia è
stata generata…”
In questi versi è
presentata la misura che ci permette di valutare quanto si sia
realmente sviluppata la rinuncia.
“…Senza una
rinuncia completamente pura,
non vi è modo di
frenare l’ardente ricerca di piaceri nell’oceano dell’esistenza.
Inoltre,
l’attaccamento all’esistenza ciclica imprigiona completamente gli
esseri incarnati.
Quindi, sin
dall’inizio, bisognerebbe cercare di realizzare la rinuncia…”
Queste sono le tre
pratiche del Lam Rim, il sentiero graduale: il primo gradino è la
rinuncia a questa vita in cui i benefici accumulati saranno
finalizzati a ottenere migliori condizione per le prossime esistenze;
nel secondo gradino questo aspetto è superato dalla rinuncia totale
che concerne anche le vite future; infine, il terzo focalizza ogni
intento allo sviluppo della bodhicitta, al desiderio di raggiungere
l’illuminazione per poter essere di aiuto e beneficio a tutti gli
esseri senzienti.
La rinuncia non deve
essere considerata con leggerezza e superficialità, non è affatto
facile realizzarla e non può prescindere in nessun modo dalla
pratica preliminare che porta alla completa consapevolezza della
preziosità della vita umana, dell’impermanenza della realtà, e
della legge di causa effetto, il karma.
Senza una rinuncia
completamente pura qualsiasi pratica diventa causa di samsāra, e
dunque questa è la prima necessaria realizzazione che permette di
liberare e aprire il proprio cuore alla bodhicitta, che è generosità
fondata sull'autentica presa di coscienza della propria personale
responsabilità nei confronti di tutti gli esseri.
Finalmente non ci si
guarda più intorno al fine di cercare un colpevole; io, pienamente,
sono responsabile degli accadimenti interni ed esterni, non attendo
che le cose siano fatte da altri, ma agisco in prima persona,
direttamente, indipendentemente dall’operato altrui, senza delegare
né attendere nulla, e questa è la realizzazione completa della mia
umanità.
Nella bodhicitta mi
impegno dunque a voler eliminare la sofferenza di tutti gli esseri
senzienti, ma in concreto, oggi, come posso affrontare questa
condizione?
Prima di tutto è
indispensabile analizzare la natura della sofferenza frutto del
karma, delle afflizioni mentali, dunque dell’ignoranza che sorge
dall’aggrapparsi al sé.
Il primo
fondamentale passo è quello di liberare se stessi, se non conquisto
questa condizione, come posso pensare di aiutare gli altri?
Impossibile! dunque devo prima di tutto liberare me stesso nella
rinuncia, poi potrò sviluppare la bodhicitta.
Con la rinuncia e la
bodhicitta si accumulano meriti e si raggiunge la saggezza in grado
di estirpare le radici dell’attaccamento al sé illusorio, quindi
della sofferenza.
Silenzio della Mente
Riprendiamo
con la meditazione dei “Tre
Aspetti Principali del Sentiero”,
abbiamo già visto la necessità di sviluppare la rinuncia, ora
analizziamo la motivazione per cui è indispensabile andare oltre e
sviluppare la bodhicitta:
“…Tuttavia, se
questa rinuncia non viene unita alla generazione
di una completa
aspirazione alla più alta illuminazione,
non diverrà causa
della meravigliosa beatitudine dell’insuperabile Bodhi.
Perciò il saggio
dovrebbe generare il supremo Bodhicitta.
Gli esseri samsarici
vengono trascinati dalla corrente dei quattro potenti fiumi,
sono legati con le
strette catene del karma, difficile da eliminare,
sono entrati nella
gabbia di ferro dell’attaccamento al Sé,
sono completamente
oscurati dalle fitte tenebre dell’ignoranza,
nascono
nell’esistenza senza limiti, e nelle loro nascite
vengono
incessantemente torturati dalle tre sofferenze.
Riflettendo in tal
modo circa la condizione delle madri che si trovano in tale stato,
genera la suprema
intenzione altruistica di divenire un Risvegliato…”
In questi versi è
chiaro il percorso di liberazione che dobbiamo intraprendere, siamo
strettamente imprigionati a causa del karma, delle illusioni mentali
e dall’afferrarci al sé ingannevole e dunque è impossibile
praticare il Dharma, camminare verso l’illuminazione, senza una
rinuncia totale e se non si apre incondizionatamente il cuore agli
altri.
La
bodhicitta si articola su due livelli, il primo di aspirazione, con
la consapevolezza della propria personale responsabilità e rivolto
all’ideale di Bodhisattva; il secondo è invece un impegno concreto
nell’attuazione delle sei pāramitā: generosità,
etica, pazienza, perseveranza entusiastica, concentrazione, saggezza,
tra loro così inscindibilmente correlate e integrate da non essere
più sei, bensì trentasei.
Usando una metafora
potremmo dire che il primo passaggio corrisponde al desiderio di
andare e il secondo all’effettivo cammino. La pratica del Dharma,
delle sei pāramitā, non può quindi in alcun modo essere disgiunta
dalla vita quotidiana, dalle azioni più umili, ordinarie e banali,
questo è il nostro compito umano.
E’ inutile cercare
soluzioni all’esterno, scovare complicati rituali, costruirsi
l’immagine di un dio a proprio uso e misura, dunque inevitabilmente
falsa, è tutto tempo perso, l’unica via per liberarsi,
illuminarsi, è abbandonare l’attaccamento al sé e praticare il
Dharma.
Si cammina verso la
saggezza mantenendo vigile l’introspezione e la consapevolezza,
esattamente com’è dettagliatamente descritto nel quinto capitolo
del Bodhicaryāvatāra di Sāntideva, questi due aspetti proteggono
la nostra mente e ciò significa preservare il Dharma e migliorare il
sé autentico.
Leggiamo ora qualche
brano del capitolo ottavo del Bodhicaryāvatāra, “La perfezione
dell’Assorbimento Meditativo” relativo precisamente alla
meditazione sulla bodhicitta cominciando dal verso ottantacinquesimo:
- Così si rifuggano i desideri sensuali e si coltivi la gioia in solitudine nelle tranquille foreste prive di contese e conflitti.
- In deliziose radure rocciose rinfrescate dal balsamo di sandalo dei raggi lunari, che si estendono ampie come palazzi, passeggiano i fortunati, e le brezze silenziose e gentili della foresta soffiano lievemente su di loro, mentre essi meditano per il benessere degli altri.
- Rimanendo ovunque quanto si vuole, in una vuota dimora, ai piedi di un albero o nelle grotte, liberi dall’estenuazione di proteggere una casa, si vive come si vuole, liberi da ansie.
- Condotta e dimora dipendono da se stessi. Non legati a nessuno, si gode una felicità e una contentezza che anche per un re sono difficili da trovare.
- Sviluppando le virtù della solitudine in tali forme, pacificati i pensieri distratti, si sviluppi ora la mente del risveglio.
Così visse
Sāntideva nell’ottavo secolo, oggi non sarebbe realistico pensare
di potersi isolare completamente immersi in totale libertà e
perfetta armonia con la natura, come fecero anche Milarepa e san
Francesco d’Assisi, la società moderna non lo consentirebbe, ma,
se è impossibile seguirne alla lettera l’esempio, è ugualmente
importante trarne ispirazione per consolidare la pratica del Dharma
trasformando completamente l’attitudine usuale con cui si
affrontano le molteplici incombenze quotidiane.
- Dapprima si mediti attentamente sull’eguaglianza tra sé e gli altri modo seguente: “Tutti sperimentano ugualmente sofferenza e felicità. Dovrei occuparmi di loro come faccio per me”.
Nel Bodhicaryāvatāra
è approfondita l’analisi delle molteplici possibilità per
sviluppare la bodhicitta è un testo stupendo che non si finisce mai
di studiare e comprendere.
Riflettiamo sugli
argomenti analizzati oggi, rimaniamo assorti nel silenzio della mente
e godiamo la gioia della meditazione.
(segue
meditazione)
Dedichiamo ora tutti
i meriti accumulati a beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Visione di Māhamudhrā
Iniziamo
l’incontro con la lettura dei testi fondamentali, “Tre
Aspetti Principali del Sentiero”, “Sūtra del Cuore” e
“Otto Versi di Trasformazione della Mente”
(V. testi
annessi).
Segue lettura
Dobbiamo riflettere
attentamente sul significato completo del Dharma. Qui in occidente è
importante e radicato il concetto del monoteismo, dell’anima, e
dunque non lo potete trascurare, bensì è necessario averne rispetto
e seria considerazione.
Tutte le
discussioni, la ricerca di presunte differenze tra cristianesimo,
buddhismo, induismo, anima, ātmā, anātma…. sono attività
davvero futili e prive di qualsiasi senso e aumentano unicamente la
confusione della mente.
Lo spirito, il
cuore, è assolutamente identico in ognuno e non necessita di
etichette, ciò che unicamente conta è la base comune di amore
universale su cui edificare la propria umanità.
Rinunciare alle
etichette discriminanti, agli impegni tanto affannosi quanto vuoti,
alle preoccupazioni inutili e aprire il cuore a gentilezza, amore,
compassione, è il miglior regalo che possiamo fare a noi stessi e,
nella gioia aprire uno spazio all’anima pura rivolta a tutti gli
esseri senzienti, trasformando così la propria vita nella
consapevolezza del Dharma, nella pienezza dello spirito.
Le varie religioni,
nel Dharma, perdono ogni possibile contraddizione e, al contrario,
incrementano se stesse in un reciproco arricchimento.
Abbiamo già
accennato al silenzio del Buddha che a fronte di certe domande taceva
per non condizionare le scelte e responsabilità personali, ma
esercitava anche un secondo tipo di silenzio, quello mantenuto dopo
la sua illuminazione per quarantanove giorni nella solitudine della
foresta, libero da condizionamenti mentali e consapevole che in quel
momento il suo messaggio non sarebbe stato compreso. Soltanto
successivamente, cedendo alle richieste dei discepoli, il Buddha ha
trasmesso verbalmente gli insegnamenti meravigliosi che ancora oggi
cerchiamo di capire e applicare.
Questo silenzio del
Buddha è Māhamudhrā, termine sanscrito non da lui coniato in
quanto ogni tentativo di definizione verbale era inevitabilmente
riduttivo rispetto al suo profondissimo significato, e solo
successivamente i suoi discepoli, nel tentativo di divulgare al
meglio un insegnamento tanto prezioso, hanno sentito la necessità di
catalogare, definire ogni cosa anche ciò che in realtà non può
essere limitato dalla parola.
Māhamudhrā
è stato tradotto
nelle lingue occidentali come Grande
Sigillo, segno
impresso in perfetta equanimità a tutti i fenomeni in quanto
portatori dell’essenza del Dharma.
Il Māhamudhrā ha
due aspetti, del sūtra e tantrico, e la vacuità è trasversale ad
entrambi.
In
una citazione dell’Ornamento
della Chiara Realizzazione
di Maitreya si spiega che i Pratyekabuddha, cioè gli uditori,
utilizzano la saggezza che conosce la natura definitiva del sé in
quanto ricercatori del nirvāna e sono in una condizione che non
corrisponde ancora alla completa illuminazione.
Invece coloro che
aspirano a servire incondizionatamente gli esseri senzienti, i
Bodhisattva, vogliono a questo scopo raggiungere l’illuminazione e
la ottengono attraverso la saggezza della natura ultima del sentiero.
Infine ci sono i
Buddha, gli illuminati, che posseggono una mente onnisciente che
tutto comprende e sono dunque capaci di insegnare in qualsiasi
circostanza e maniera secondo le necessità individuali di coloro a
cui si rivolgono.
Tutti
indifferentemente, i Pratyekabuddha, i Bodhisattva e i Buddha,
provengono dalla stessa fonte, la Grande Madre, che è la
Prajñāpāramitā, la perfezione della saggezza.
Nel sūtra del cuore
si ribadisce che i Buddha dei tre tempi - passato, presente e futuro
-hanno conseguito l’illuminazione tramite la Prajñāpāramitā
che, dal punto di vista oggettivo è la natura di vacuità di tutti i
fenomeni e da quello soggettivo la realizzazione della vacuità.
Ogni fenomeno è
vacuità e questa stessa natura vacua è il grande sigillo condiviso
da tutto l’esistente.
I Pratyekabuddha per
raggiungere la liberazione personale, il nirvāna, hanno bisogno
della Prajñāpāramitā, della perfezione della saggezza che conosce
la vacuità dei fenomeni; i Bodhisattva per ottenere l’illuminazione
in modo di poter essere di beneficio agli esseri senzienti devono
avere la saggezza della conoscenza della natura di vacuità; gli
stessi Buddha, gli illuminati, al fine di poter guidare e rispondere
alle aspirazioni degli esseri fondano la loro azione sulla
realizzazione completa della Prajñāpāramitā, dunque tutti i tre
veicoli condividono il grande sigillo.
Il sūtra del cuore
anche se riporta un dialogo mentale tra Avalokiteśvara e Sāripūtra
è un insegnamento diretto e autentico del Buddha che, presso il
picco dell’avvoltoio, con il Sangha di monaci e l’assemblea dei
Bodhisattva, era entrato nel profondo assorbimento meditativo sulla
natura di tutti i fenomeni, cioè sulla Māhamudhrā, il grande
sigillo.
I Buddha nel
Māhamudhrā manifestano la qualità di saper dare ad ognuno,
singolarmente, gli insegnamenti a lui proporzionati.
Il sūtra del cuore
è unanimemente riconosciuto come benedetto in quanto scaturito
direttamente dalla benedizione del Buddha ed espresso dal Bodhisattva
Avalokiteśvara che, immerso nella medesima meditazione profonda
sulla saggezza, possiede uguali qualità e la stessa natura del
Buddha. Ciò corrisponde all’indicazione del verso in cui si
afferma che i Bodhisattva, coloro che vogliono raggiungere
l’illuminazione per essere di beneficio a tutti gli esseri
senzienti, sono in grado di realizzare il loro intento poiché
fondano ogni azione sulla Prajñāpāramitā, ecco perché
Avalokiteśvara qui si mostra come Bodhisattva e non come Buddha
completamente realizzato, infatti non si presenta nella forma di
divinità con quattro braccia mille occhi…, ma come essere umano.
Sāripūtra, che in
questo contesto rappresenta il praticante solitario dell’Hinayāna
alla ricerca di risposte concrete, pone la questione fondamentale ad
Avalokiteśvara su come ci si debba impegnare nella perfezione della
saggezza.
Tutti i praticanti,
sia dell’Hinayāna che del Mahāyāna e gli stessi Buddha
condividono indistintamente la profonda perfezione della saggezza,
dunque il grande sigillo è ciò che unisce, non discrimina e
permette ad ognuno di realizzare il proprio desiderio. Una citazione
tibetana afferma che esternamente si deve apparire come un praticante
Hinayāna, ma internamente si debbono possedere le realizzazioni
Mahāyāna della Bodhicitta e della Māhamudhrā, in quanto la
combinazione dei due aspetti corrisponde all’armonia
dell’insegnamento del Buddha.
Da ciò è evidente
che tutte le divisioni costruite a posteriori, la presunzione di
possedere la verità unica a scapito di ipotetici errori altrui, è
un atteggiamento davvero assurdo e pone al di fuori da ogni
spiritualità autentica e dal buddhismo sicuramente dato che
l’insegnamento del Buddha è pura armonia ed equanimità.
Ancora
oggi in Tibet continuano le discussioni tra le quattro scuole e ci
sono conflitti veramente stupidi e insensati relativi alle
reincarnazioni dei tülku o ai vari protettori, ma chi pratica
genuinamente il Dharma è assolutamente estraneo a queste questioni
negative e mondane che nulla hanno a che fare con la spiritualità.
Il Māhamudhrā è
veramente il Dharma universale, perché è al di sopra di ogni
discriminazione, dimora in ognuno di noi, le diversità dipendono
unicamente dalle caratteristiche, dalle inclinazioni mentali del
singolo individuo, ma lo scopo è per tutti lo stesso.
Nel
Vinayapitaka,
il “canestro della disciplina monastica” si narra di un re che
ebbe dieci sogni particolari e in uno di questi apparivano monaci che
combattevano tra loro finendo per strappare una tonaca in diciotto
pezzi; il re, scosso dalla visione, ne chiese spiegazione e gli fu
risposto che questi sogni erano segni premonitori di accadimenti
posteriori al passaggio terreno del Buddha Sākyamuni, i diciotto
lembi di stoffa corrispondevano alle diciotto correnti in cui si
sarebbe diviso il Sangha monastico, ma questo non doveva essere
interpretato in modo negativo, perché tutte, indistintamente, erano
parte dell’insegnamento del Buddha.
Il Sangha si è
frazionato in quattro gruppi principali a loro volta suddivisi in
diciotto sottogruppi. Il Buddha ha dato un insegnamento orale che poi
è stato tramandato e trascritto in molti paesi in cui l’applicazione
esteriore della pratica, le regole, hanno assunto connotati consoni
alle esigenze del luogo, la sostanza però è assolutamente identica,
e dunque è necessario avere uguale rispetto per tutte le scuole
senza reputarne una superiore o migliore dell’altra, lo stesso vale
per le varie religioni e qualsiasi discriminazione, o pretesa di
superiorità, è una vera sciocchezza, un’illusione che deve essere
sradicata tramite visione equanime della stessa natura di tutte le
cose.
Il grande sigillo è
ugualmente presente in ogni espressione spirituale e oggi abbiamo
sfiorato argomenti così difficili non pensando di ottenere in questo
modo l’illuminazione, ma almeno per ricevere qualche buona
impronta.
Il nostro impegno,
l’accumulazione di meriti, consiste prima di tutto nell’imparare
a proteggere la mente nell’introspezione e nella consapevolezza,
individuando e controllando il nemico numero uno, l’ego. Da qui
nasce l’amore e la compassione, fondamento universale del Dharma,
il sigillo della nostra esistenza.
Grazie a tutti.
*******
TESTI
ANNESSI
METTA SUTTA
Questo dovrebbe fare
chi pratica il bene e conosce il sentiero della pace:
essere abile e
retto,
chiaro nel parlare,
gentile e non
vanitoso,
contento e
facilmente appagato;
non oppresso da
impegni e di modi frugali,
calmo e discreto,
non altero o
esigente;
incapace di fare ciò
che il saggio poi disapprova.
Che tutti gli esseri
vivano felici e sicuri:
tutti, chiunque essi
siano,
deboli e forti,
grandi o possenti,
alti, medi o bassi,
visibili e non
visibili,
vicini e lontani,
nati e non nati.
Che tutti gli esseri
vivano felici!
Che nessuno inganni
l'altro,
né lo disprezzi,
né con odio o ira
desideri il suo male.
Come una madre
protegge con la sua vita suo figlio, il suo unico figlio,
così, con cuore
aperto, si abbia cura di ogni essere,
irradiando amore
sull'universo intero;
in alto verso il
cielo,
in basso verso gli
abissi,
in ogni luogo, senza
limitazioni,
liberi da odio e
rancore.
Fermi o camminando,
seduti o distesi,
esenti da torpore,
sostenendo la
pratica di Metta;
questa è la sublime
dimora.
Il puro di cuore,
non legato ad
opinioni,
dotato di chiara
visione,
liberato da brame
sensuali,
non tornerà a
nascere in questo mondo.
Il Cuore della
Perfezione della Saggezza”
La
traduzione italiana di questo testo, con le note, è stata redatta
dall’ Istituto Lam Rim di Roma dal testo originale in tibetano e
con l’ausilio delle traduzioni inglesi
Così
una volta udii:
Il
Bhagavan3
dimorava a Rajagrha4,
presso il Picco dell’Avvoltoio5,
con un gran numero di Arhat6
e un gran numero di Bodhisattva7
e a quel tempo il Bhagavan era entrato nell’assorbimento
meditativo8
sulla varietà dei fenomeni9
chiamato “percezione profonda”10.
In quello stesso tempo, l’arya11
Avalokitesvara12,
il Bodhisattva mahasattva13,
era assorto nella stessa pratica della profonda perfezione della
saggezza14
e vide che anche i cinque aggregati15
sono vuoti di natura intrinseca16.
Quindi,
tramite l’ispirazione del Buddha, il venerabile bikshu17
Shariputra18
si rivolse all’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva19
e gli disse: “come deve addestrarsi un figlio o figlia del
lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica
della profonda perfezione della saggezza?”
Quando
fu detto questo, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva,
rispose al venerabile bikshu Shariputra e disse: “Shariputra, ogni
figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva20,
che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della
saggezza, dovrebbe vedere chiaramente nel seguente modo: dovrebbe
vedere distintamente che anche i cinque aggregati sono vuoti di
natura intrinseca”.
“La
forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che
forma, la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono
vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la
coscienza. Quindi, Shariputra, tutti i fenomeni sono vacuità; essi
sono privi di caratteristiche peculiari; non sono nati, non cessano;
non sono contaminati, non sono incontaminati; non sono incompleti e
non sono completi.”
“Quindi,
Shariputra, nella vacuità non c’è forma, né sensazioni, né
percezioni, né formazioni mentali, né coscienza. Non c’è occhio,
né orecchio, né naso, né lingua, né corpo, né mente. Non c’è
forma, né suono, né odore, né gusto, né oggetti concreti, né
oggetti mentali. Non c’è nessun elemento visivo, così fino a
nessun elemento mentale fino a includere nessun elemento della
coscienza mentale. Non c’è ignoranza, non c’è estinzione
dell’ignoranza, e così fino a nessun invecchiamento e morte, e
nessuna estinzione dell’invecchiamento e della morte. Allo stesso
modo, non c’è sofferenza, origine, cessazione o sentiero; non c’è
saggezza, né ottenimento e neppure mancanza di ottenimento.”
“Quindi,
Shariputra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti, si basano e
dimorano nella perfezione della saggezza. Non avendo oscuramenti
nelle loro menti, essi non hanno paura, ed essendo andati totalmente
oltre l’errore, essi raggiungono la meta finale: il nirvana21.
Tutti i Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto il pieno
risveglio dell’insuperabile, perfetta illuminazione, basandosi su
questa profonda perfezione della saggezza”.
“Quindi,
si dovrebbe sapere che il mantra22
della perfezione della saggezza – il mantra della grande
conoscenza, il mantra supremo, il mantra uguale a ciò che non ha
uguale, il mantra che fa tacere tutte le sofferenze – è vero
perché non è ingannevole. Si proclama il mantra della perfezione
della saggezza:
TADYATHA
GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
Shariputra,
così i Bodhisattva mahasattva dovrebbero addestrarsi alla profonda
perfezione della saggezza”.
Quindi,
il Bhagavan si svegliò dal suo assorbimento meditativo e lodò
l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, dicendo che era
eccellente.
“Eccellente!
Eccellente! Figlio del lignaggio dei Bodhisattva, è proprio così;
dovrebbe essere così. Bisogna praticare la profonda perfezione della
saggezza proprio così come hai rivelato. Perciò anche i Tathagata23
se ne rallegreranno”.
Come
il Bhagavan pronunciò queste parole, il venerabile bikshu
Shariputra, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva,
insieme all’intera assemblea, inclusi i mondi degli dei, degli
umani, degli asura24
e dei gandharva25,
tutti gioirono e lodarono ciò che il Bhagavan aveva detto.
I tre Aspetti Principali del
Sentiero
Testo insegnato
dall’erudito monaco Lobsang (Tsong
Khapa ) a Tsa Kho
Vonpo Ngawang Drakpa.
Traduzione inglese e note a cura di
Geshe Gedun Tharchin - La traduzione italiana è stata effettuata
dall’Istituto Lam Rim di Roma.
Porgo omaggio ai
venerabili Lama.26
Spiegherò, come
meglio posso,
il significato
essenziale di tutte le Scritture del Buddha,
la via d’accesso
per il fortunato che anela alla liberazione.28
coloro che
propendono per il sentiero che compiace Buddha ,
Inoltre,
l’attaccamento all’esistenza ciclica imprigiona completamente gli
esseri incarnati.
Quindi, sin
dall’inizio, bisognerebbe cercare di realizzare la rinuncia.
Le circostanze
favorevoli e la fortuna sono difficili da ottenere
e la vita non è
lunga,
familiarizzando con
ciò, si elimina l’attaccamento alle apparenze di questa vita.
Riflettendo
costantemente sul karma e sui suoi inevitabili effetti
Se, avendo meditato
in tal modo, non nasce nessun desiderio
per i piaceri
dell’esistenza ciclica,
e se costantemente,
giorno e notte, sorge un’aspirazione alla liberazione,
allora la rinuncia è
stata generata.
Tuttavia, se questa
rinuncia non viene unita alla generazione
sono completamente
oscurati dalle fitte tenebre dell’ignoranza,
nascono
nell’esistenza senza limiti, e nelle loro nascite
sebbene tu abbia
sviluppato la rinuncia e il Bodhicitta,
Colui che vede come
inevitabile la realtà di causa ed effetto di tutti i fenomeni
distrugge totalmente
ogni percezione errata
ed è entrato nel
sentiero che compiace i Buddha.
Fin quando le due
realizzazioni, quella delle apparenze,
ovvero
l’inevitabilità dell’origine interdipendente50
vengono considerate
separate, non vi è ancora la realizzazione
Quando le due
realizzazioni esistono simultaneamente, senza alternarsi,
e la semplice
percezione dell’inevitabilità dell’origine interdipendente
eliminerà
la concezione di
un’esistenza intrinseca,
Se comprenderai che
la Vacuità appare come causa ed effetto,
Quando avrai
realizzato correttamente
PRATICA
DEI SETTE RAMI
“Oh leoni fra gli
uomini, Buddha passati, presenti e futuri, a quanti di voi esistono
nelle dieci direzioni, mi prostro con corpo, parola e mente.
Sulle onde della
potenza di questa regina delle preghiere, per i metodi supremi e
sublimi con corpi numerosi come gli atomi del mondo, mi prostro ai
Buddha che pervadono lo spazio.
In ogni atomo si
trova un Buddha che siede tra gli innumerevoli figli di Buddha; con
sguardo fiducioso mi rivolgo ai Vittoriosi che riempiono l’intero
Dharmadhātu.
A coloro che hanno
infiniti oceani di eccellenza, con un oceano di prodigiosa parola
canto lodi alla grandezza di tutti i Buddha: un elogio a coloro che
sono andati nella beatitudine.
Offro loro ghirlande
di fiori, parasoli decorati, musiche piacevoli e profumi eccelsi;
offro a tutti i Vittoriosi lampade al burro e sacro incenso
purissimo.
Cibo eccellente,
fragranze supreme e un cumulo di sostanze mistiche alto come il monte
Meru dispongo in un ordine speciale e offro a coloro che hanno
conquistato se stessi.
Elevo tutte le
offerte impareggiabili con ammirazione per coloro che sono andati
nella beatitudine con la forza della fede nei metodi sublimi, mi
prostro e faccio offerte ai Conquistatori.
Da lungo tempo,
sopraffatto da attaccamento, odio e ignoranza, con il corpo, la
parola e la mente ho compiuto innumerevoli azioni negative. Ora le
confesso tutte senza omissioni.
Nelle perfezioni dei
Buddha, Bodhisattva, Arhat, sul sentiero e nella potenziale bontà di
tutti gli esseri viventi, elevo il mio cuore e gioisco.
Oh luci
dell’universo, Buddha che otteneste lo stato dell’illuminazione
incontaminato, a tutti voi rivolgo questa richiesta: fate girare
l’incomparabile “ruota del Dharma”.
Oh maestri che
volete mostrare il Parinirvāna, vi prego di restare con noi e
insegnare per tanti eoni quanti sono i granelli di polvere, per
portare gioia e virtù a tutti gli esseri.
Possa qualunque
merito accumulato tramite queste prostrazioni, offerte,
purificazioni, rallegrandomi e chiedendo ai Buddha di rimanere e
insegnare il Dharma, essere dedicato all’illuminazione suprema e
perfetta, affinché, al più presto, io liberi dalla sofferenza tutti
gli esseri.”
OTTO
VERSI DELLA TRASFORMAZIONE DELLA MENTE
Considerando
tutti gli esseri senzienti
superiori
alla gemma che esaudisce i desideri
per
realizzare il fine supremoi
possa
io costantemente prenderli a cuore.
Quando
sarò con gli altri,
riterrò
me stesso come il meno importante,
e
mi prenderò cura di loro fin nel profondo del cuore
come
se ognuno fosse il più elevato degli esseri.
Vigile,
ogni volta che sorge un’emozione negativaii
Che
possa nuocere me o gli altri,
l’affronterò
e l’eliminerò
senza
indugio.
Vedendo
esseri in preda alla malvagità
avrò
sempre cura di tali creature così rare,
come
se avessi trovato un tesoro prezioso.
Quando
altri, per invidia, mi maltratteranno,
mi
insulteranno o faranno cose simili,
accetterò
la sconfitta e offrirò la vittoria.
Quando
qualcuno a cui ho fatto del bene
e
in cui ho riposto grandi speranze
mi
infligge un danno terribile,
(ripetere 3 volte) In
breve, direttamente e indirettamente, offro
possa
io segretamente prendere su di me
tutte
le loro azioni negative e sofferenze.
Possa
la pratica non essere mai contaminata dalle idee causate
e,
consapevole che tutte le cose sono illusorie,
NOTE:
“Gli otto versi della trasformazione della mente” appartengono ad
un importantissimo testo scritto da Kadampa Geshe Langri Tangpa,
(XII° secolo)
e fanno parte
degli insegnamenti Lo Jongix.
Il poema fu composto nel periodo in cui in Tibet prosperava la scuola
Kadam. - La traduzione italiana è stata effettuata dall’Istituto
Lam Rim di Roma.
CANTICO
SULLA VISIONE MĀDHYAMIKA CON LE QUATTRO CONSAPEVOLEZZE PER RICEVERE
LA PIOGGIA DI SIDDHI DEL SETTIMO DALAI LAMA
Questa
speciale istruzione venne data direttamente da Mañjusrī al maestro
Tsong-Khapa. Il cantico spirituale su come mantenere le quattro
consapevolezze, unito ad un’istruzione sulla meditazione sulla
visione della vacuità, è stato composto dal monaco buddhista
Kelsang Gyatso per creare la predisposizione alla corretta visione in
sé e negli altri. Versione italiana a cura
dell’istituto Lam Rim, Roma.
***
Ge leg
phel
- La Consapevolezza del Guru, del vero Maestro spirituale
Sull’immutabile
sede
Dell’unione
di Metodo e Saggezza,
Siede
il Maestro gentile,
L’Incarnazione
di tutti i rifugi,
Un
Buddha che ha completato l’abbandono e la realizzazione.
Avendo
abbandonato ogni concezione errata verso Lui,
Pregalo
con concezione pura.
Non
lasciando divagare la tua mente poni in Lui fede e rispetto,
Con
Consapevolezza.
- La Consapevolezza della Compassione
Nella
prigione della sofferenza del samsara vagano gli esseri di sei tipi,
privi di felicità.
Li
vi sono i genitori che ci hanno nutrito con grande gentilezza.
Abbandonando
l’attaccamento e l’avversione,
Medita
con amore e compassione,
senza
lasciare che la tua mente divaghi
Mantienila
salda nella compassione,
Senza
dimenticarti
Mantienila
salda nella compassione.
3.
La Consapevolezza della Divinità
Nel
Divino Palazzo della grande beatitudine
Piacevole
a provarsi,
Risiede
il corpo della divinità:
Il
corpo di se stessi
Con
aggregati ed elementi puri.
Una
divinità personale inseparabile
Dai
tre corpi vi si trova.
Senza
concepirli come ordinari,
Coltiva
l’identità e il sembiante divini.
Senza
lasciare che la tua mente divaghi,
Ponila
nel profondo e luminoso
Senza
scordarti
Mantienila
nel profondo e luminoso.
4.
La Consapevolezza della Visione della Vacuità
Il
mandala di tutti gli oggetti della conoscenza
Che
vengono percepiti o che esistono
E’
pervaso dalla chiara luce,
Che
è la realtà ultima.
Un
inesprimibile, reale modo d’esistenza
E’
li presente.
Abbandona
le elaborazioni concettuali,
Osserva
la natura della Vacuità.
Senza
lasciare la tua mente divagare,
Ponila
in ciò che è,
Senza
distrarti,
Mantienila
in ciò che è.
Nel
congiungimento delle molteplici apparenze
Delle
sei coscienze,
Si
vede la confusione dell’apparenza dualistica di fenomeni
insostanziali, senza base,
Là
inganno e magia.
Senza
concepirla come vera
Osserva
la natura della Vacuità.
Senza
che la tua mente divaghi,
Ponila
nell’apparenza e Vacuità.
Senza
distrarti,
Mantienila
nell’apparenza e Vacuità.
1
Bhagavati: (termine sanscrito, in tibetano: gyal wai yum)
Madre Buddha, si riferisce alla “Saggezza della Perfezione”,
che è la madre in quanto causa fondamentale dell’illuminazione.
2
Bhagavati Prajna Paramita Hridaya: (sanscrito) il cuore della
Bhagavathi, la perfezione della saggezza.
3
Bhagavan: (termine sanscrito, in tibetano: chom dhen de)
titolo generalmente attribuito a un essere illuminato; letteralmente
significa “colui che ha completamente illuminato gli ostacoli e
possiede tutte le qualità”; sinonimo di “Tathagata”
(sanscrito) e di “de war sheg pa” (tibetano) nel senso di
“colui che ha raggiunto lo stato di piena calma e piena
illuminazione”. In questo brano ci si riferisce al Buddha
Shakyamuni.
4
Rajagrha: (termine sanscrito, in tibetano: gyal poe khab)
luogo nel quale si erge un palazzo reale.
5
Picco dell’Avvoltoio: montagna con la cima a forma di
avvoltoio; luogo in cui venne impartito il sutra secondo la
tradizione. Viene identificato popolarmente in una collina vicino a
Rajagrha, nello stato indiano del Bihar.
6
Arhat: (termine sanscrito, in tibetano: dra chom pa)
colui che ha raggiunto il Nirvana. Detto anche Sravaka o
Pratyekabuddha. Nel testo originale tibetano il termine è
Bikshu, ma si intende Arhat.
7
Bodhisattva: (termine sanscrito, in tibetano: Jang chub sem
pa). Essere che possiede il Bodhicitta.
8
Assorbimento meditativo: (in sanscrito: samadhi, in
tibetano: ting nge zin) una forma di meditazione.
9
Varietà dei fenomeni: (in tibetano: choe kyi nam drang)
i 5 aggregati (forme, percezioni, formazioni mentali e della
coscienza); le 12 fonti dei sensi (le sei sorgenti dei sensi e le
sei facoltà); i 18 elementi ( le sei sorgenti dei sensi, le sei
facoltà e le sei coscienze); i 12 anelli della catena dell’origine
interdipendente (Ignoranza, Azione volontaria, Coscienza, Nome e
Forma, Sorgenti dei sensi, Contatto, Sensazioni, Attaccamento,
Brama, Concepimento, Nascita, Invecchiamento e Morte); le 4 Nobili
Verità (la Verità della sofferenza, la Verità delle cause della
sofferenza, la Verità della cessazione e la Verità del sentiero);
i 5 sentieri (Accumulazione, Preparazione, Visione, Meditazione e
Non-più-apprendere); le 4 fiducie; i 10 poteri di Buddha; ecc…
10
Percezione Profonda: (in tibetano: zab mo nhang wa)
vedere la vera e profonda realtà ultima dei fenomeni.
11
Arya: (termine sanscrito, in tibetano: Phag pei Gang zag)
un Essere superiore che ha raggiunto la saggezza della diretta
realizzazione della vacuità o che ha seguito il sentiero in uno dei
veicoli.
12
Avalokitesvara: (termine sanscrito, in tibetano: Chen re
zig) conosciuto come il “Buddha della compassione”.
13
Bodhisattva mahasattva: (termine sanscrito, in tibetano: jang
chub sem pa sem pa chen po) Bodhisattva di ordine superiore o
che ha conseguito il sentiero dei Bodhisattva o il sentiero mahayana
della visione.
14
La pratica della profonda perfezione della saggezza: (in
tibetano: she rab kyi pha rol du chin pai zab moi chod pa).
15
I cinque aggregati: (in sanscrito: skandha, in
tibetano: phung po ngha) Forme, Sensazioni, Percezioni,
Formazioni mentali, e della Coscienza.
16
Vuoti di esistenza intrinseca: (in tibetano: ran shin gyi
tong pa).
17
Venerabile Bikshu: (in tibetano: thse dan dhen pa)
titolo attribuito a un bikshu con mente sveglia e intelligente
18
Shariputra: figlio di Sharit, conosciuto come bikshu dalla
mente acuta fra i discepoli di Buddha Shakyamuni.
19
Arya Avalokitesvara Bodhisattva mahasattva: (temine
sanscrito, in tibetano: jang chub sem pa sem pa chen po phags pa
chen re zig) si riferisce a un singolo individuo conosciuto come
Bodhisattva mahasattva Avalokitesvara, diverso dal “Buddha della
compassione” Avalokitesvara. Qui infatti viene identificato come
un Bodhisattva sotto le sembianze di un bikshu, Bodhisattva,
mahasattva e arya.
20
Figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva: (in tibetano:
rigs kyi bu vam rigs kyi bumo).
21
Nirvana: (termine sanscrito, in tibetano: Nyang De) essere
andato oltre la sofferenza.
22
Mantra: (termine sanscrito, in tibetano: yid kyob) che
protegge la mente.
23
Thatagata: (termine sanscrito) sinonimo di Bhagavan.
24
Asura: (termine sanscrito, in tibetano: lha ma yin)
semi-dei che appartengono posto tra quello degli umani e degli
dei.
25
Gandharva: (termine sanscrito, in tibetano: di zha)
esseri senza forma, che vivono nutrendosi di odori.
26
Lama: (termine tibetano, in sanscrito guru) guida o maestro
spirituale. Letteralmente: “ricco di qualità spirituali”.
27
Bodhisattva: (termine sanscrito) colui che possiede la Bodhicitta.
28
Liberazione: (in sanscrito moksha) eliminazione di tutte le
emozioni afflittive o illusioni, ottenimento dello stato di Arhat,
il sentiero della fine dell’apprendimento del sarvabuddha e del
pratyekabuddha
29
Piaceri dell’esistenza mondana: piaceri dominati dall’attaccamento
ai piaceri dei sensi.
30
Circostanze favorevoli e fortuna: avere buone opportunità e
condizioni per praticare il Dharma.
31
Fortunati: coloro che hanno incontrato il Dharma e sono capaci di
praticarlo.
32
Rinuncia: autentica intenzione di abbandonare il Samsara e
raggiungere il Nirvana.
33
Oceano dell’esistenza: (in sanscrito samsara, in tibetano
khor wa) attaccamento alle apparenze di questa vita,
interesse per gli aspetti riguardante la vita presente.
34
Samsara: (termine sanscrito) gli aggregati impuri di un essere
senziente, che da tempo senza inizio hanno dato luogo al ciclo di
morte e rinascita a causa dell’illusione e del karma, e hanno reso
gli esseri senzienti carichi delle sofferenze dei sei regni
fisici/spirituali.
35
Attaccamento alle apparenze delle vite future: interesse per gli
aspetti riguardanti le prossime vite nel samsara.
36
Aspirazione alla più alta illuminazione: (in sanscrito Bodhicitta,
in tibetano jang chub kyi sem).
37
Insuperabile Bodhi: lo stato di Buddha.
38
Bodhicitta: (termine sanscrito) autentica aspirazione a raggiungere
la completa illuminazione allo scopo di portare tutti gli esseri
senzienti allo stato di completa illuminazione.
39
Quattro potenti fiumi: rinascita, invecchiamento, malattia e morte.
40
Karma: (termine sanscrito, in italiano azione, in tibetano
les) una sottile impronta nel continuum mentale proveniente
da esperienze precedenti, la quale da impulsi ad azioni mentali e
fisiche.
41
Attaccamento al Sé: (in tibetano dag zin): percezione errata
che si attacca all’idea di un Sé o di un Io intrinsecamente
esistente.
42
Tre sofferenze: sofferenza del dolore, sofferenza del cambiamento,
sofferenza della condizione.
43
Madri: tutti gli esseri senzienti, i più cari, quelli che hanno
recato più benefici.
44
Intenzione altruistica di divenire un Risvegliato: in questo
contesto si riferisce al Bodhicitta.
45
Saggezza: realizzazione della Vacuità.
46
La vera natura delle cose: la realtà ultima dell’esistenza delle
cose, vacue di un’esistenza intrinseca.
47
Radice del Samsara: l’ignoranza, il non vedere la verità, opposta
alla saggezza.
48
Origine interdipendente: (in tibetano ten byung) la realtà
dell’esistenza delle cose e degli eventi, che esistono in modo
interdipendente.
49
Nirvana: al di là della sofferenza, cessazione della sofferenza.
50
Apparenze, ovvero l’inevitabilità dell’origine interdipendente:
realtà convenzionale o verità convenzionale.
51
Vacuità, ovvero la non-asserzione: realtà ultima o verità ultima.
52
Pensiero del Buddha Shakyamuni: la natura non duale delle due
verità.
53
Visione: realtà ultima.
54
Estremo dell’esistenza: l’idea che le cose esistano solo in
maniera intrinseca o da sé.
55
Apparenza: Visione comune.
56
Estremo della non-esistenza: l’idea che le cose non esistano, se
non in maniera intrinseca.
57
Vacuità: la vera natura dei fenomeni, non esistenti in maniera
intrinseca.
58
Visioni estremiste: Nichilismo ed Eternalismo.
59
I tre aspetti principali del sentiero: Rinuncia, Bodhicitta e
Saggezza.
60
Perseveranza entusiastica: sforzo gioioso nella pratica del Dharma.
61
Meta finale: illuminazione completa, stato di Buddha .
62
Figlio mio: in maniera diretta, si riferisce a Tsakhowa Ngawang
Dakpa; in maniera indiretta a coloro che desiderano realizzare i tre
aspetti principali del sentiero.
i
Fine supremo: lo stato di completa illuminazione, lo stato di
Buddha.
ii
Emozione negativa: (in tibetano nyon
mong) le
contaminazioni mentali quali rabbia, attaccamento, ignoranza
iii
Azioni negative: (in tibetano dig
pa) una disposizione
mentale causata da un’azione negativa commessa.
iv
Sofferenze: (in pali dukkha)
la verità della Sofferenza, che ha tre livelli: sofferenza del
dolore, sofferenza del cambiamento, sofferenza del samsara.
vi
Madri: - tutti gli esseri senzienti sono state nostre madri. – La
persona più cara e quella più giovevole.
vii
Otto preoccupazioni mondane: le idee generate dal guardare
attraverso gli occhi dell’attaccamento e dell’avversione, sono:
piacere e dispiacere, vittoria e perdita, lode e biasimo, gloria e
disgrazia.
viii
Samsara: (termine sanscrito, in tibetano khor
wa) attaccamento
bramoso alle cose mondane che fa permanere nel circolo della
sofferenza e dell’insoddisfazione.
ix
Lo Jong (termine tibetano)
“Lo” significa
“pensiero”, “coscienza”, ma in questo contesto si riferisce
piuttosto all’intenzione. “Jong”
significa “trasformazione della mente”, come nel titolo del
testo;
“Lo
Jong” è la forma
breve di “jang chub
kyi sem la lo jong wa”,
significa trasformare la mente ordinaria in Bodhicitta, ossia
tecnica per la pratica del Bodhicitta (il termine sanscrito
“bodhicitta”
designa qui una pura aspirazione a raggiungere lo stato di Buddha
con lo scopo di condurre tutti gli esseri senzienti
all’illuminazione completa).