Lo
Yoga Tibetano del Sogno e del Sonno II
Lama
Geshe Gedun Tharchin
30
- 31 gennaio 2016
Cagliari
***
INDICE
Parte
prima: Meditazione, fondamento dello Yoga del Sogno e del
Sonno
Parte
seconda: I tre Kāya nel sonno, sogno e risveglio
Parte
terza: La pazienza che supera ogni difficoltà
Parte
quarta: Come vincere la paura di malattia, vecchiaia e morte
Parte
quinta: La via di mezzo nella realizzazione dei 3 aspetti principali
del pensiero
Parte
sesta: Essere nella pienezza della Vacuità
Parte
settima: Dharmakāya - Sambhogakāya - Nirmānakāya
Parte
ottava: Conclusioni
****
Parte
prima
Meditazione,
fondamento dello Yoga del Sogno e del Sonno
Ringraziamo
ancora Geshe Gedun Tharchin per essere ritornato e per completare i
preziosi insegnamenti sullo Yoga del sonno e del sogno già
presentati nel primo modulo di dicembre 2015.
***
Namaste,
buon giorno e grazie a tutti per essere qui con l’impegno a rendere
questa giornata significativa, vissuta nel riconoscimento del pieno
valore della vita, carica di esperienza così da maturare ulteriore
arricchimento e a questo proposito chiederei a Enrico di esplicitare
quale particolarità e approfondimento debba essere sviluppato in
questo secondo capitolo sullo yoga del sonno e del sogno.
Enrico: È
un argomento fondamentale per la gestione della consapevolezza e
della coscienza superiore poiché agisce non solo nei momenti di
veglia, ma anche in quello stato onirico in cui erroneamente si
pensava non vi fosse alcuna significativa attività mentre al
contrario questa è ancor più presente purché si sia adeguatamente
preparati a gestirla correttamente grazie alle tecniche di
meditazione e conoscenza. Si tratta di una pratica estremamente
delicata e complessa ed è per questo che chiediamo Geshe-la una
guida in questo percorso arduo.
Lama: Grazie,
molto bene.
Oggi
cercherò di presentare questo tema attraverso la storia, la
filosofia e la pratica nel buddhismo tibetano, poiché è il campo
che conosco mentre lascio gli approfondimenti scientifici a chi è
più competente di me.
E’
davvero importantissimo approfondire tale pratica scendendo in una
concreta analisi dei vari passaggi e dobbiamo farlo qui e ora, senza
rimandare.
Quindi
poniamoci nella condizione meditativa cominciamo dal primo importante
aspetto: la posizione del corpo, in cui dobbiamo essere naturali,
sciolti, rilassati, attenti unicamente a mantenere la schiena diritta
al fine di lasciare ben aperto il canale centrale della
consapevolezza. Già la stessa posizione fisica è meditazione che
induce serenità, gioia, tranquillità.
Non
a caso il grandissimo maestro tibetano Marpa è sempre rappresentato
nei dipinti nella postura meditativa del Mahāmudrā fisico per lui
fondamentale. Così si medita con il corpo, lasciando la mente
libera.
Per
mantenere la schiena diritta si può stare seduti a gambe incrociate
perché questo favorisce naturalmente la postura della colonna, ma va
anche bene essere seduti o come si vuole, purché non si abbiano
forzature e scomodi irrigidimenti.
Il
passo immediatamente successivo è la meditazione sul respiro
profondo, naturale, regolare che induce al terzo passo, la
concentrazione della mente sul ritmo di espirazione e inspirazione
così da giungere lentamente allo stato di equanimità, liberati
dalle emozioni di avversione e attaccamento.
Dobbiamo
percepire la beatitudine di questo stato di equanimità da cui
scaturisce l’amore e la gentilezza che generano in sequenza
crescente la mente di compassione, di grande compassione, di pura
volontà ad offrire completante se stessi a beneficio degli altri
esseri senzienti e infine la mente di bodhicitta, di illuminazione,
di Bodhisattva.
Immaginiamo
al centro del nostro cuore la mente di bodhicitta, la natura di
Bodhisattva nella cui essenza si trasforma ogni singolo atomo del
nostro corpo, respiro e spirito e ci conduce all’esperienza di
beatitudine profonda.
Ora,
dopo questa profonda meditazione, risaliamo lentamente in superficie
e ritorniamo alla condizione consueta.
Il
nostro compito consiste proprio nel trasformare l’esistenza dallo
stato ordinario, umano, a quello straordinario di Bodhisattva a cui
si giunge naturalmente con questi passi nella meditazione costante,
non sono necessari né magie né miracoli, tutto si costruisce
naturalmente gradino su gradino.
Abbiamo
la grande fortuna di possedere tutto il necessario per saper
percorrere questo cammino, gli unici ostacoli sono la pigrizia, la
non volontà ad impegnarsi e la frenesia presuntuosa di voler
raggiungere obiettivi eclatanti istantaneamente e senza fatica.
La
trasformazione interiore invece può avvenire solo lentamente nel
costante processo della meditazione che permette di sviluppare e
mantenere una stabile motivazione alla bodhicitta, con la volontà di
realizzare concretamente una mente completamente altruistica, pura.
Si tratta dunque di impegnarsi davvero, di lavorare, agire e non solo
a livello di immaginazione o di auspicio, ma con concreto impegno.
Operare
per essere autenticamente Bodhisattva implica lavoro, fatica,
pazienza, un’attività concreta, reale, in cui non dobbiamo
pretendere di essere perfetti, questo non avrebbe alcun senso, ma
semplicemente essere consapevoli di avere tutti gli strumenti e le
capacità per intraprendere una salita faticosa, ma impregnata di
beatitudine, di pace, di gioia, di serenità, percepibile anche a
livello fisico poiché le stesse cellule del corpo ne sono
trasformate.
Ogni
obiettivo necessita impegno serio e costante e, così come l’atleta
che aspira a vincere deve allenarsi ogni giorno, la determinazione a
essere Bodhisattva implica il costante allenamento, la fatica
necessaria a trasformare l’attitudine della mente dall’egoismo
all’equanimità che permette di costruire mattone dopo mattone
l’amore e la gentilezza da cui sorge la compassione e poi la Grande
Compassione per giungere alla determinazione, alla volontà pura ad
impegnare tutto se stesso in questo lavoro ininterrotto, da cui nasce
la bodhicitta che ci rende Bodhisattva.
Essere
Bodhisattva significa aver trasformato completamente noi stessi,
corpo, parola e mente, e allo stesso modo è cambiato tutto ciò che
ci circonda, l’ambiente esterno. Una metamorfosi che rende tutto
positivo, ci dona una felicità che si riversa naturalmente sugli
altri e questa è la motivazione di bodhicitta.
Intervento: Questo
punto fondamentale della dottrina tibetana incredibilmente ha davvero
un riscontro scientifico in cui si è constatato che praticando in
questo modo si verificano profonde trasformazioni neurobiologiche nel
nostro cervello. Studi effettuati con la risonanza magnetica
funzionale su monaci tibetani hanno dimostrato la profonda
trasformazione delle funzioni di determinate strutture cerebrali.
Prima di questa verifica scientifica si credeva erroneamente che tali
strutture fossero assolutamente statiche, limitate, invece è stato
evidenziato come l’amigdala, sede delle emozioni, subisca
trasformazioni evidenti nei meditatori. La postura del corpo è così
importante poiché le stesse funzioni cerebrali sono strettamente
correlate alle potenzialità yogiche.
Lama: Grazie,
spiegazione importante.
Nella
pratica spirituale la motivazione è fondamentale e, come abbiamo già
spiegato nell’incontro precedente, si articola su due livelli, il
primo, di base, più importante in quanto determinante, è quello
causale, mentre il secondo è quello contemporaneo.
Il
livello causale deve essere corretto, positivo in quanto determina e
influenza la stessa attuazione della motivazione contemporanea.
La
motivazione causale è determinante nella creazione del karma, cioè
della legge di causa effetto, ed è un elemento basilare di ogni
religione, cristianesimo, induismo, buddhismo, tutte indistintamente,
benché con denominazioni diverse, affermano la centralità della
motivazione.
Il
karma positivo, negativo o neutro non dipende dalla modalità
dell’azione, bensì dalla motivazione che l’ha determinata.
Una
motivazione di base negativa produce inevitabilmente un’esperienza
spiacevole, così come una positiva un’esperienza piacevole e una
neutra un’esperienza neutra, questo è il modo in cui si crea il
karma corrispondente.
Questo
è molto importante in qualsiasi aspetto della vita, la stessa
meditazione se praticata con una motivazione sbagliata produrrà
effetti negativi per noi e per gli altri poiché il Dharma è un
fenomeno potente e se lo si utilizza con intenzioni non buone può
veramente essere distruttivo, molto pericoloso.
La
pratica principale è sviluppare la motivazione appropriata qualsiasi
azione si intraprenda e dunque è necessario meditare con
consapevolezza in corpo, respiro e mente.
Il
Buddha storico non ha studiato particolari meditazioni complicate,
immaginando divinità o altro, è rimasto semplicemente raccolto
nella corretta posizione del corpo osservando la profondità del suo
respiro, ānāpāna-sati, che induce presenza mentale liberando la
mente da ogni pensiero.
L’attitudine
consapevole così impostata fa si che lo stato meditativo avvenga
naturalmente, ventiquattro ore su ventiquattro, nella veglia,
nell’azione, nel sonno.
La
concentrazione su inspirazione ed espirazione, ānāpāna-sati
accompagna la mente nel suo naturale stato di equanimità e questa è
la meditazione mentale da cui scaturiscono amore e gentilezza che
significa desiderare il bene altrui ed esserne felici.
Da
tale attitudine sorge spontaneamente la compassione, cioè
l’aspirazione ad annullare la sofferenza degli altri esseri e da
questo desiderio si forma la grande compassione, la volontà di
assorbire, fino alla sua definitiva eliminazione, equanimemente, la
sofferenza di tutti gli esseri senzienti, nessuno escluso, l’impegno
concreto, personale, continuo, assoluto che rende Bodhisattva.
Lo
stato di Bodhisattva cambia non solo il nostro cuore, ma ogni cellula
del nostro corpo, tutta la nostra esistenza ne è trasformata.
Quali
altri strumenti dobbiamo applicare per mantenere un impegno così
ponderoso?
Una
indicazione basilare e completa è offerta dalle Sei Pāramitā: -
Generosità,
Etica o Moralità, Pazienza, Perseveranza entusiastica,
Concentrazione, Saggezza
-
Queste
sei perfezioni sono lo strumento che ci indica come procedere nel
cammino di offerta di sé al benessere degli altri, basta cogliere la
necessità di ogni momento e praticare la pāramitā relativa, adatta
a quella circostanza e a quella persona.
Pensare
che essere Bodhisattva, ormai al di sopra di tutto e di tutti,
significhi praticare con superficiale faciloneria tutte le pāramitā
contemporaneamente senza valutare il giusto momento, il giusto mezzo,
la giusta necessità, non è intelligente né proficuo, ma solo
presuntuoso. La piena consapevolezza è sempre indispensabile
altrimenti non c’è saggezza.
Le
sei pāramitā sono interconnesse tra loro e radicate nella
profondità del cuore, non può esservene una senza l’altra, ma
ognuna deve essere applicata nel giusto modo e nel giusto momento, in
questo modo trasformiamo davvero la nostra attitudine ordinaria
ponendoci concretamente, in ogni circostanza, a beneficio degli
altri.
Ugualmente
le stesse pratiche di meditazione e attuazione delle sei pāramitā
possono essere applicate nello yoga del sogno, ma come farlo?
Prima
di tutto è necessario avere la capacità, quando il sogno si
presenta, di riconoscere che è un sogno, un sogno lucido che può
dunque essere trasformato in una forma di pratica.
Come
si può riconoscere un sogno lucido?
Risposte: -
Avvertire che si sta sognando…; - ponendosi la domanda quando il
sogno si presenta…
Lama: Un
metodo essenziale è concentrarsi sulla corretta motivazione prima di
addormentarsi, cioè formulare l’intenzione di riconoscere il sogno
che verrà e questo implica un allenamento costante non si può
pensare di realizzare tale capacità in un istante, ma con pazienza e
determinazione.
Quando
dunque si ha la capacità di riconoscere il sogno lucido si ha
l’opportunità di praticare, di meditare durante il sonno, una
forma di meditazione ancora più facile che nella veglia in cui il
corpo fisico fa sentire la sua pesantezza.
Il
corpo del sogno è leggero, separato da quello fisico ordinario, sono
due condizioni diverse seppur inscindibili una dall’altra in quanto
entrambi sono parte della stessa persona.
Il
corpo del sogno, pur restando inseparabilmente connesso al corpo
fisico, può uscire da questo e viaggiare altrove se però non
riconosce lo stato di sogno il viaggio è inconsapevole, casuale e
non modificabile, nella conoscenza invece tutto può essere scelto,
cambiato, dunque il primo passo per approfondire la pratica del sonno
è avere sogni lucidi e per ottenere questo è necessaria la
meditazione.
La
pratica del sogno non appesantita dagli aspetti grossolani del corpo
fisico è potentissima, quasi come corpo di arcobaleno, è un
arricchimento della nostra pratica diurna che però è la base
essenziale e irrinunciabile su cui costruire tutto.
Senza
la meditazione e l’impegno consapevole durante lo stato di veglia
non avremmo gli strumenti basilari necessari per intraprendere la
pratica del sogno.
Domanda: Nel
sogno noi utilizziamo sempre la mente grossolana che potremmo
paragonare al conscio, oppure quella sottile simile all’inconscio?
Lama: La
mente è una sola, sempre la stessa, semplicemente nella meditazione
può raffinarsi, divenire sempre più sottile. Così nel sonno,
quando non siamo distratti dai sensi, dagli stimoli esterni, la mente
è naturalmente più meditativa, libera, chiara, profonda in sé.
Questa
è la base che applichiamo nella meditazione del sogno, ma poi vi
sono molti ulteriori passaggi nella meditazione del sonno che ci
accompagnano sino a riconoscere la mente di Chiara Luce.
La
meditazione del sogno fa parte della meditazione del sonno e
quest’ultima si sviluppa in tre fasi:
la
prima e relativa all’approdo nel sonno;
la
seconda allo stato di sogno;
la
terza all’inizio del risveglio.
Sono
tutte parte del sonno, tre momenti diversificati di possibile
meditazione. Nella prima fase, entrando nel sonno è importante
essere consapevoli dell’esistenza, della natura della mente di
Chiara Luce, non siamo dunque più nella mente grossolana benché non
ancora nella mente di Chiara Luce reale che però possiamo
riconoscere soltanto nel momento in cui si presenta alla coscienza
nella dissoluzione dei sensi.
Ci
si può accostare a queste tematiche da punti di osservazioni
diversi: psicologia, biologia, medicina, scienza, spiritualità, ma
il punto fisso da cui partire, ugualmente valido per tutti, è la
necessità di essere lucidamente consapevoli, avere chiara
l’intenzione di riconoscerne il processo.
Il
colore della mente originale è chiaro come la limpida alba priva di
nubi, la pura tersa luce del mattino ed questo lo stato puro che
dobbiamo ritrovare nell’intero processo del sonno.
Nel
momento in cui ci si addormenta è necessario percepire che si sta
entrando nel sonno e quando compare il sogno significa che si è
nella fase di sonno leggero ed è questo il momento di distinguere
lucidamente che si tratta di sogno.
Quindi
la coscienza è articolata su diversi livelli. Prima di tutto è
necessario avere l’intenzione di meditare consapevolmente tutte le
fasi del processo, dal sonno al sogno al risveglio.
Secondo
la visione del buddhismo tibetano, del Vajrāyana, l’abbandono al
sonno è simile al processo della morte, durante il sogno
l’esperienza è affine al Bar-do, allo stato intermedio, il
risveglio è analogo alla rinascita.
Questa
è la pratica di consapevolezza che dobbiamo sviluppare.
***
Parte
seconda
I
tre kāya
nel sonno, sogno e risveglio
Questa
mattina abbiamo vissuto insieme una bellissima esperienza nella
meditazione e condivisione delle nostre riflessioni e sicuramente un
segno è rimasto in ognuno di noi.
I
tre passaggi nelle fasi di sonno, sogno e risveglio sono tre
meditazioni importanti che nel Vajrāyana costituiscono una
considerevole parte delle pratiche personali di Dharmakāya,
Sambhogakāya e Nirmānakāya, e riguardano i kāya di base innati in
noi, già presenti nel nostro continuum mentale o mente originaria.
Avendo
questi kāya innati con la pratica se ne possono sviluppare altri tre
per giungere infine agli ultimi tre, al raggiungimento
dell’illuminazione, alla buddhità.
La
tradizione Vajrāyana insiste particolarmente sulla necessità di
praticare senza sosta, nello stato di veglia come in quello dei tre
kāya nelle fasi di sonno, sogno e risveglio, ma concretamente in che
cosa consiste tale azione? - nella pratica del Dharma, della
bodhicitta che è il cuore stesso del Dharma, l’unico mezzo per
liberarci dagli ostacoli del samsāra e donarci la gioia di ritrovare
la fresca purezza in ogni cosa malgrado la presenza di tutte le
difficoltà e fatiche del vivere, è la luce che permette di vedere
nel buio.
Il
nostro compito non consiste nell’intraprendere battaglie per
eliminare tutto ciò che consideriamo negativo, nel combattere le
illusioni e l’ego, realtà esistenti e presenti in noi, non al di
fuori, quindi non ha senso ingaggiare una inutile guerra contro i
mulini a vento, l’importante è saperli vedere nella loro reale
consistenza.
La
natura dei kāya è in sé pura e dunque le illusioni, l’ego, non
costituiscono un ostacolo alla loro realizzazione, non disturbano in
alcun modo, noi con la contrapposizione forzata rappresentiamo un
ostacolo, ma se riconosciamo che la nostra stessa natura vera, reale,
pura è quella dei tre kāya, se vediamo questa luce interiore, ogni
intralcio decade automaticamente e rimane pulita la qualità di
bodhicitta.
Domanda: A
noi principianti però si presentano problemi molto più elementari
nell’affrontare questi argomenti, ad esempio vorrei qualche
consiglio su come fermare la scimmia impazzita, cioè il tumulto dei
pensieri durante la meditazione e poi per quando riguarda lo yoga del
sogno se prima di addormentarmi mi pongo in attitudine meditativa, la
mia mente si accende più vigile che mai e non riesco più a dormire
né a riposare, quindi come posso praticare secondo le indicazioni
che ci hai dato?
Lama: La
scimmia non è mai ferma, saltella ininterrottamente, è la sua
giusta caratteristica e la nostra mente, che non può mai essere
statica, è paragonata a questo movimento perpetuo che non è in sé
difetto, ma è una qualità della mente stessa in quanto dimostra la
sua capacità di essere flessibile e ricca di pensiero. Proprio
grazie a questa flessibilità la mente è in grado di divenire
meditativa, che non significa essere ferma, bensì fluida. La mente
non può mai rimanere immobile, è in costante evoluzione e in questo
modo può essere concentrata su un oggetto di Dharma. Quando la mente
si muove come una scimmia non deve essere combattuta, controllata, ma
seguita, godendo anche questa percezione di fluidità, di
beatitudine.
Questa
è la risposta alla prima domanda, per quanto riguarda invece il
problema della concentrazione che si trasforma in eccitazione è
necessario trovare la giusta via di mezzo, troppa meditazione,
soprattutto se in qualche modo forzata, può essere negativa. La
meditazione nella giusta misura è positiva, né troppo, né troppo
poco, con costanza, tutti i giorni, è davvero assurdo pensare, come
fanno alcuni, che si possa accumularla tutta in un unico periodo e
poi andare in vacanza. Non dobbiamo mai scordare che anche il Dharma
e ogni azione spirituale se usati in modo scriteriato possono avere
effetti collaterali negativi, questa è la nostra condizione
samsarica, non vi è una colpa imputabile a qualcuno, né a noi, né
al Buddha, né a nulla, è solo necessario imparare a gestire ogni
cosa con equilibrio, nella giusta misura, nel giusto tempo e nella
giusta circostanza. Non esiste condizione senza effetti collaterali,
dove c’è luce c’è ombra.
Domanda: Io
vorrei chiedere se i sogni lucidi devono essere considerati più
importanti, oppure no?
Lama: L’unica
cosa veramente importante è la pratica del Dharma, tutto il resto
certamente è importante purché sia sempre trasformato in pratica di
Dharma.
***
Parte
terza
La
pazienza che supera ogni difficoltà
Buon
pomeriggio e grazie di essere qui a proseguire il bellissimo lavoro
della mattinata. Siamo carichi dell’energia che produce pace
interiore ed è la forza della tolleranza e soprattutto della
pazienza.
Sviluppare
la pazienza non significa subire passivamente la sofferenza, bensì
mantenere inalterata la saggezza, saper riconoscere il giusto
momento, la giusta soluzione, la giusta opportunità avendo la
capacità di aspettare con intelligenza. Senza pazienza si sprecano
tutte le buone occasioni.
Non
a caso abbiamo parlato questa mattina delle sei pāramitā, che
comprendono tutto. La pazienza è la terza perfezione, segue a
generosità e moralità, ed è assolutamente fondamentale e
necessaria per intraprendere qualsiasi pratica.
Nello
yoga del sogno la pazienza è propedeutica a sviluppare la giusta
motivazione prima di addormentarsi e la predisposizione ad un sonno
confortevole nella posizione fisica più idonea a diventare
meditazione. Nel buddhismo si danno indicazioni precise, ma ciò che
conta è soprattutto la consapevole meditazione del respiro, che
favorisce il buon sonno e che sarà estremamente importante nel
momento della morte.
Avere
padronanza nella meditazione del respiro, conoscere l’energia dei
venti significa tenere la vita nelle proprie mani, saper gestire ogni
circostanza con consapevolezza, non a caso gli esperti meditatori
lasciano il proprio corpo in stato meditativo anche nella morte.
La
consapevole pratica del respiro produce la padronanza di tutti gli
elementi, del corpo e della mente sino a trasformarsi nella natura di
bodhicitta, convenzionale e ultima.
La
bodhicitta convenzionale è quella altruistica, naturalmente
completa, la bodhicitta ultima è la saggezza, la conoscenza e la
realizzazione della realtà ultima di tutti i fenomeni e soltanto
quando questo sarà interamente compiuto si raggiungerà il nirvāna.
Noi
però viviamo essenzialmente nel mondo materiale, sensuale, siamo
incapaci di oltrepassare queste barriere, siamo incastrati nei cinque
sensi e soltanto in essi cerchiamo la nostra felicità, il nostro
appagamento e vi adeguiamo ogni nostro atto.
Se
invece sappiamo anche andare oltre i cinque sensi siamo liberi dalle
emozioni relative, non ce ne lasciamo condizionare e, pur
riconoscendo la loro esistenza e coscienti dell’inevitabile
conflitto costantemente presente tra sensi, mente, cuore,
riconosciamo che questo è samsāra, semplicemente, e ciò che conta
è avere pazienza, comprendere senza voler contrastare. Questo è il
beneficio della meditazione e qualsiasi problema può così essere
affrontato in pace e armonia.
Ora
facciamo una piccola pratica per generare la bodhicitta e iniziamo
con la lettura delle preghiere raccolte nel libretto che tutti avete.
Leggendo abbiate coscienza che ogni parola scava nella profondità
del nostro cuore, è meditazione con cui aprire con gioia la mente a
beneficio degli altri esseri e rendere la nostra vita significativa.
Segue
dunque lettura delle preghiere e meditazione di: Purificazione
del luogo - Offerta - Pratica in sette rami, - Offerta del Mandala -
Generazione di bodhicitta - Quattro meditazioni illimitate, e infine
- Dedica dei meriti a beneficio degli altri.
Grazie
per la buona lettura, com’è stata l’esperienza? Sicuramente
ricca di nutrimento, di valore in qualsiasi modo l’abbiate
percepita, anche se per alcuni è stato un primo approccio, è un
generoso regalo spirituale fatto in primo luogo a se stessi e produce
spontaneamente purezza di cuore, armonia, altruismo.
La
saggezza del Buddha, la saggezza e l’intelligenza umana hanno
questa potenzialità, capacità, energia per superare tutti problemi
senza cancellarli. Invece noi confondiamo la possibilità di
affrontare le difficoltà con la loro eliminazione, annullamento. Se
riuscissimo nell’impossibile impresa di cancellare la sofferenza,
ogni ostacolo, non saremmo vivi e l’esistenza sarebbe assolutamente
vana. Senza sofferenza non potrebbe esistere gioia, senza problemi
nessuno sviluppo umano.
Il
nostro compito consiste nel costruire un ponte per superare i
problemi non per cancellarli, questa è la via del Dharma, far
sorgere, sviluppare e realizzare la bodhicitta.
Che
cosa serve dunque nella vita per realizzare questo valore?
Risposte: -
Molta pazienza…; - impegno…; - costanza… -
Lama: Soprattutto
intelligenza che permette di trovare i mezzi abili rimanendo
pacificamente nella via di mezzo.
***
Parte
quarta
Come
vincere la paura di malattia, vecchiaia e morte.
La
condivisione di oggi è stata particolarmente produttiva, ha
impiantato i semi per forgiare un nuovo cuore in grado di crescere
sempre più e senza fatica.
Gli
sforzi inutili contro le difficoltà sono soltanto sprechi di
energia, invece è necessario costruire il ponte di un nuovo cuore,
una nuova saggezza, una nuova conoscenza, una nuova genialità,
qualità molto presente in Italia.
Intervento: A
proposito del genio degli italiani, che in effetti non sono un
popolo, ma un insieme di popoli, ricordiamo che hanno costruito il
75% di tutte le opere artistiche che ci sono nel mondo.
Vorrei
collegare la motivazione con la possibilità di entrare in un’altra
dimensione che integrandosi con la realtà ultima possa condurre ad
un mondo diverso, all’universo quantico che permette di considerare
infinite probabilità e possibilità nella costante trasformazione
che a livello subatomico si traduce in un profondo cambiamento
energetico interiore ed esteriore e in questo ambito anche dal punto
di vista scientifico sono stati fatti innumerevoli studi sulla
capacità della meditazione tanto da generare potenti realizzazioni
individuali e collettive.
Lama: La
grandezza della bodhicitta è proprio questa capacità di poter
integrare nel contesto sociale odierno i vari punti di vista del
Dharma e della scienza senza alcuna contraddizione, ma anzi in totale
complementarietà. In questa integrazione ogni aspetto della vita,
difficile, facile, bello, brutto, si completa e cresce nel valore e
nel rispetto della legge naturale, superando qualsiasi
contraddizione. Ogni possibilità è reale, non siamo più costretti
in un angusto spazio di limite mentale, ma aperti all’infinito
livello dell’universo che non è soggetto a nulla e va al di là di
ogni conflitto, è ciò che l’induismo definisce con la parola
Brahma, il cristianesimo Dio, il buddhismo Nirvāna, la realtà
ultima.
Domanda: Io
però vorrei dei chiarimenti sul concetto di superamento perché
posso superare le difficoltà, la sofferenza, la malattia, ma come
posso superare la vecchiaia e la morte?
Lama: Certamente
a livello pratico non è facile per nessuno, ma se approfondiamo il
concetto dell’esistenza vediamo che vecchiaia e morte non sono
differenti dagli altri eventi della vita. La diversità che noi
evidenziamo è semplicemente frutto di una visione illusoria e falsa,
si tratta soltanto di etichette, delle nostre errate costruzioni
mentali non corrispondenti alla realtà dell’esistenza. Siamo
condizionati dall’ingannevole attribuzione di tempo e spazio. Il
nostro sé, mente, anima, è eterno nell’infinito. La vita è
infinita non c’è vecchia né morte così come ha affermato il
Buddha nel sūtra del cuore. Nella saggezza della realtà ultima c’è
il superamento di ogni limite, di ogni discriminazione, è la
realizzazione della verità, e la verità della sofferenza, della
vecchiaia e della morte è che non c’è sofferenza, né vecchiaia,
né morte. Questo è il Dharma, una conoscenza superiore a quella
della nostra conoscenza convenzionale che invece ci fa ristagnare
nella visione errata di ogni evento creando soltanto sofferenza.
Intervento: Chi
pratica da tempo dovrebbe sapere che non è tutto riducibile
unicamente all’apparenza, perché pensare alla vecchiaia e alla
morte come ad un evento insuperabile significa fermarsi all’apparenza
dei fenomeni non alla loro realtà, se ne ha dunque una percezione
distorta che produce sofferenza. Il Dharma significa superare questa
visione errata e saper osservare la realtà nella sua autentica
essenza.
Domanda:
Ma
quando si sta concretamente sperimentando la vecchiaia, la sofferenza
e la morte come affrontarle?
Intervento:
Non fermarsi alla percezione grossolana e guardare al di là, oltre,
alla
vera essenza, è questo il cuore dell’insegnamento del Buddha.
Intervento:
Tanti
anni fa ho fatto un sogno bellissimo che mi ha riappacificato con il
problema della morte: “stavo morendo con grande serenità, avevo il
dono dell’ubiquità e dell’immensità”.
Intervento:
Anch’io
vorrei condividere una mia esperienza infantile: - avevo circa 11
anni e volevo capire cosa fosse l’infinito, così mi chiusi in
bagno e, pur senza aver consapevolezza di cosa fosse la meditazione,
mi sedetti in silenzio scendendo sempre più in profondità per
andare oltre, fino al punto però in cui mi spaventai tanto da
fuggire fisicamente lontano e per molti mesi mi rimase un grande
timore nell’entrare in bagno. È stata un’esperienza che mi ha
dato consapevolezza della realtà della morte.
Lama: Vedete
come le esperienze di pratica del Dharma sono tutte personali, e cosi
deve essere, non esiste una misura uguale per tutti.
Intervento:
La paura della morte è un concetto acquisito, condizionato da un
preciso insegnamento, mentre i nostri anziani ne erano più liberi,
io sono vissuto con una nonna che non la temeva affatto in quanto,
diceva, è un fatto assolutamente naturale, e anch’io ho assimilato
questo atteggiamento senza difficoltà. In compenso sempre questa
nonna aveva il terrore dei fulmini, timore che io ho assimilato
altrettanto. Dunque il concetto errato della morte ci è stato
insegnato.
Intervento: Io
penso che siamo così aggrappati alla nostra individualità che non
riusciamo nemmeno a pensare alla normalità della trasformazione e
cessazione prodotte dal tempo che passa, dal normale ciclo di tutela
della specie. È il nostro ego che ci fuorvia.
Intervento:
Vorrei raccontare un sogno che facevo da bambino: “scappavo da
un’entità terrifica che, senza vederla, percepivo come la morte,
ma più correvo più la paura aumentava, e soltanto quando mi sono
arreso e fermato vista l’impossibilità di una fuga la paura è
cessata di colpo”. Questo mi ha poi fatto capire come il rifuggire
dagli inevitabili dolorosi eventi della vita e averne paura li
ingigantisca a dismisura. Solo affrontando la vita pienamente si può
crescere umanamente.
Intervento: Io
ho 74 anni, ma solo anagraficamente, il mio cervello non lo sa. Ho
fatto due sogni molto vivi, nel primo mi trovavo davanti a una
collina solcata dal letto di un fiume ormai secco colmo di pietre
bianche, arrotondate, soltanto nel centro era rimasta una pozzanghera
d’acqua e io sapevo che quella era la vita che mi restava da
vivere. Nel secondo sogno, fatto a distanza di un mese, arrivava a
casa mia Yogananda, un maestro che io ammiro molto, lui si avvicinava
a una parete coperta quasi completamente da una tenda blu, (che nella
realtà non esiste) ma da cui traspariva da un lembo leggermente
sollevato una luce e io sapevo perfettamente che quella luce era ciò
che mi restava da vivere, cioè molto poco.
Domanda: Io
mi riallaccio a una domanda precedente che è anche mia: di fronte ad
una malattia grave, al dolore anche fisico, sia personale che di una
persona cara, cosa possiamo fare?
Lama: Non
è facile dare una risposta esauriente in poche righe, ma alla base
c’è sempre l’indispensabile sviluppo della mente di bodhicitta,
unica purezza di amore altruistico in grado di vincere ogni paura, di
scavalcare ogni ostacolo presentato dall’ego, il vero costruttore
di ogni sofferenza, di ogni paura.
La
sofferenza resta sempre simile a se stessa, ma è la percezione che
se ne ha che fa la differenza. Nella bodhicitta smettiamo di nutrire
il famelico io illusorio e quindi il dolore non ci condiziona e
limita minimamente.
Per
questo è importante condividere le nostre esperienze, ci aiutano a
comprendere meglio la natura della sofferenza, una realtà
estremamente importante, essenziale alla nostra maturazione umana.
La
bodhicitta cresce sulla base della personale esperienza di
sofferenza. Il dolore, la sofferenza è la compagna fedele della vita
intera, è autentica pratica. Attraverso la sofferenza si conosce in
profondità la verità della sofferenza. La verità del dolore non è
il dolore, la verità della malattia non è la malattia, la verità
della morte non è la morte. Questo concetto è espresso
perfettamente nel sūtra del cuore, questa è la realizzazione della
saggezza ultima. Attraverso la bodhicitta ultima si realizza la
bodhicitta convenzionale e attraverso la bodhicitta convenzionale la
bodhicitta ultima, entrambe sono complementari e congiuntamente
realizzano tutti i fenomeni nella loro condizione quadrimensionale.
Domani approfondiremo maggiormente questo aspetto.
Intervento:Grazie
Geshe per questa giornata che ha aperto molti cuori con grande
condivisione e partecipazione.
Lama: Concludiamo
dunque dedicando i benefici di questa giornata alla grande sofferenza
che coinvolge individualmente, collettivamente i popoli di questo
mondo devastato da guerre e ingiustizie.
***
Parte
quinta
La
via di mezzo nella realizzazione dei tre aspetti principali del
pensiero.
Iniziamo
la giornata con la meditazione nella pratica del respiro articolato
in espirazione e inspirazione nei tre canali con la loro
visualizzazione nei colori: canale centrale rosso interiormente e blu
esteriormente, canale di destra rosso e canale di sinistra bianco,
con l’intenzione di purificarci e liberarci da ogni ostacolo
interiore.
(segue
meditazione guidata)
Con
questa pratica e l’applicazione delle indicazioni di lama Tzong
Khapa di cui ora leggiamo il testo cerchiamo di realizzare i tre
aspetti principali del sentiero.
I
tre Aspetti Principali del Sentiero
Testo
insegnato dall’erudito monaco Lobsang (Tsongkhapa
)
a Tsakho Vonpo Ngawang Drakpa.
Traduzione
inglese e note a cura di Geshe Gedun Tharchin - La traduzione
italiana è stata effettuata dall’Istituto Lam Rim di Roma.
Porgo
omaggio ai venerabili Lama.
Spiegherò,
come meglio posso,
il
significato essenziale di tutte le Scritture del Buddha,
il
sentiero lodato dagli eccellenti Bodhisattva,
la
via d’accesso per il fortunato che anela alla liberazione.
Coloro
che non sono attaccati ai piaceri dell’esistenza mondana,
coloro
che si sforzano per rendere utili le circostanze favorevoli e la
fortuna,
coloro
che propendono per il sentiero che compiace Buddha,
questi
fortunati dovrebbero ascoltare con mente attenta.
Senza
una rinuncia completamente pura,
non
vi è modo di frenare l’ardente ricerca di piaceri nell’oceano
dell’esistenza.
Inoltre,
l’attaccamento all’esistenza ciclica imprigiona completamente gli
esseri incarnati.
Quindi,
sin dall’inizio, bisognerebbe cercare di realizzare la rinuncia.
Le
circostanze favorevoli e la fortuna sono difficili da ottenere
e
la vita non è lunga,
familiarizzando
con ciò, si elimina l’attaccamento alle apparenze di questa vita.
Riflettendo
costantemente sul karma e sui suoi inevitabili effetti
e
sulle sofferenze del samsara,
si
elimina l’attaccamento alle apparenze delle vite future.
Se,
avendo meditato in tal modo, non nasce nessun desiderio
per
i piaceri dell’esistenza ciclica,
e
se costantemente, giorno e notte, sorge un’aspirazione alla
liberazione,
allora
la rinuncia è stata generata.
Tuttavia,
se questa rinuncia non viene unita alla generazione
di
una completa aspirazione alla più alta illuminazione,
non
diverrà causa della meravigliosa beatitudine dell’insuperabile
Bodhi.
Perciò
il saggio dovrebbe generare il supremo Bodhicitta.
Gli
esseri samsarici vengono trascinati dalla corrente dei quattro
potenti fiumi,
sono
legati con le strette catene del karma, difficile da eliminare,
sono
entrati nella gabbia di ferro dell’attaccamento al Sé,
sono
completamente oscurati dalle fitte tenebre dell’ignoranza,
nascono
nell’esistenza senza limiti, e nelle loro nascite
vengono
incessantemente torturati dalle tre sofferenze.
Riflettendo
in tal modo circa la condizione delle madri che si trovano in tale
stato,
genera
la suprema intenzione altruistica di divenire un Risvegliato.
Se
non possiedi la saggezza che comprende la vera natura delle cose,
sebbene
tu abbia sviluppato la rinuncia e il Bodhicitta,
la
radice del samsara non può essere estirpata.
Quindi,
impegnati intensamente per realizzare l’origine interdipendente.
Colui
che vede come inevitabile la realtà di causa ed effetto di tutti i
fenomeni
nel
samsara e nel nirvana,
distrugge
totalmente ogni percezione errata
ed
è entrato nel sentiero che compiace i Buddha.
Fin
quando le due realizzazioni, quella delle apparenze,
ovvero
l’inevitabilità dell’origine interdipendente
e
quella della Vacuità, ovvero la non-asserzione,
vengono
considerate separate, non vi è ancora la realizzazione
del
pensiero di Buddha Shakyamuni.
Quando
le due realizzazioni esistono simultaneamente, senza alternarsi,
e
la semplice percezione dell’inevitabilità dell’origine
interdipendente eliminerà
la
concezione di un’esistenza intrinseca,
allora
l’analisi della visione è completa.
Inoltre,
l’estremo dell’esistenza è eliminato dall’apparenza,
e
l’estremo della non-esistenza è eliminato dalla Vacuità.
Se
comprenderai che la Vacuità appare come causa ed effetto,
non
sarai preda delle visioni estremiste.
Quando
avrai realizzato correttamente
i
punti essenziali dei tre aspetti principali del sentiero,
dimora
in solitudine e genera il potere della perseveranza entusiastica.
Raggiungi
presto la tua meta finale, figlio mio.
***
Dunque
Rinuncia, Bodhicitta e Saggezza sono tre pilastri fondamentali per la
nostra realizzazione.
Intervento: Siamo
veramente debitori al maestro Tzongkhapa della scuola Gelugpa,
vissuto circa nel 1300 e morto all’età di 62 anni, un grande
studioso che ha saputo spiegare la dottrina in modo che fosse
accessibile a tutti. Soprattutto è importante la sua analisi
sull’errore indotto dagli estremismi di nichilismo e di
eternalismo, e seguendo queste indicazioni chiederei a Geshe di
approfondire gli aspetti della rinuncia e della saggezza.
Lama: Grazie
per questa introduzione sulla dottrina dei tre principali aspetti del
sentiero.
La
pratica di Dharma è una ricerca rilassata, totalmente sganciata da
tensioni frenanti in piena libertà interiore, senza rincorrere ad
ogni costo una risposta soddisfacente e altrettanto illusoria che non
può essere né la parola, né la filosofia, né l’idea, né le
benedizioni, né le pillole di magia. È la ricerca tranquilla
nell’armonia della via di mezzo che lascia spazi vuoti.
La
via di mezzo è il ponte, la barca che scorre sul fiume samsarico, è
la giusta posizione in cui essere qui e ora, nulla è stato
annullato, l’acqua di questo fiume continua ad esserci, ma con il
giusto mezzo non si è travolti dalla corrente e si transita
serenamente, armoniosamente verso la liberazione.
In
questo transito procediamo nei quattro passaggi, il primo consiste
nel riconoscere e comprendere il valore, la preziosità, l’unicità
della vita umana. Il secondo è la capacità di riconoscere
l’impermanenza della realtà, mentre noi costantemente cadiamo nel
macroscopico errore di desiderarne una natura immutabile e
permanente.
Il
vero miracolo, la gioia profonda dell’esistenza che evolve e si
trasforma sta invece nel continuo cambiamento, nell’impermanenza di
ogni fenomeno.
Intervento: Purtroppo
abbiamo nel cervello un organo estremamente conservatore, l’amigdala,
che tende a voler mantenere la realtà immutata, anche la sofferenza,
è quindi necessario affrancarsi da questa concezione statica e
comprendere la condizione di trasformazione intrinseca in ogni cosa.
Lama: Si,
lo stesso nostro desiderio di eternità, di infinito, si colloca ed
esiste nella condizione di impermanenza.
Tutto
cambia continuamente, eternità e infinito esistono nell’ininterrotto
mutamento e solo la nostra visione errata fa si che percepiamo le due
condizioni come contrapposte, mentre non lo sono affatto e solo con
apertura mentale riusciamo a cogliere questi primi due fondamentali
concetti: il valore della vita umana e la sua impermanenza.
Il
terzo gradino riguarda la legge di causa effetto, il karma,
l’interdipendenza di ogni fenomeno che ci mostra come siamo noi i
fautori della nostra vita, ogni pensiero, comporta una conseguenza
diretta, nel bene e nel male, nulla è imputabile ad altri, soltanto
noi ne siamo totalmente responsabili. Il pensiero è potente, dal
pensiero si forma la materia stessa, nulla vi sfugge e il karma è il
risultato ineludibile.
Nel
buddhismo il karma si articola in tre espressioni: mentale, verbale e
fisico, ma tutti e tre si formano da quello mentale poiché
l’elemento fondante, imprescindibile, è la motivazione,
l’intenzione di cui abbiamo parlato ieri.
Il
pensiero è il karma più potente, ad esempio l’intenzione di far
del male, di uccidere una persona, produce un karma estremamente
negativo, più devastante della stessa azione compiuta.
Il
pensiero negativo di odio, di rabbia, di invidia crea concretamente
in noi il pesante karma, la malattia, la sofferenza.
Ogni
istante di vita in questo presente è nel karma, è dunque
fondamentale averne consapevolezza comprenderlo nella sua interezza
sapendo che è il frutto della nostra diretta responsabilità. Noi e
nessun altro possiamo scegliere tra odio o compassione, tra rabbia o
perdono, tra egoismo o altruismo, tra felicità o sofferenza.
La
pazienza è la virtù basilare che ci permette di superare qualsiasi
attitudine negativa a noi dannosa, ogni attaccamento e avversione, la
pazienza ci protegge da tutte le emozioni negative. Solo nella
pazienza siamo in grado di perdonare, di superare la rabbia di
eliminare il rancore. Nel perdono si dissolve tutto il karma
negativo.
È
consueto l’errore di pensare al karma come frutto di vite passate o
come preparazione a quelle future, il karma è qui e ora, esattamente
nella quotidianità e soltanto con questa conoscenza di noi stessi,
consapevoli del valore dell’azione del presente, troviamo le
soluzioni che cerchiamo, osserviamo e controlliamo le emozioni
ingannevoli.
Infine
la quarta fase è la conoscenza e accoglienza dei difetti del
samsāra, di questo mondo di emozioni mosso dall’energia del karma
che, come effetto collaterale, influenza ogni azione. Noi abbiamo la
facoltà e responsabilità di ogni scelta che però non può mai
essere pura al 100% in quanto sempre inquinata dal karma già
maturato e dalla confusione samsarica generale da cui non si può
prescindere e dunque anche se desideriamo il meglio in assoluto e
agiamo di conseguenza vi è una parte che sfugge alla nostra
possibilità ed è questo il difetto del samsāra.
Percorrendo
questi quattro passi si approda alla Rinuncia, ma a cosa bisogna
rinunciare? In teoria la risposta è semplicissima, si rinuncia a
tutto ciò che è inutile e per far questo è importante discernere
tra karma utile e karma inutile.
Dopo
la rinuncia si forma la mente di Bodhicitta, la più elevata mente
altruistica che offre completamente se stessa e dedica ogni beneficio
maturato a tutti gli esseri senzienti. Anche questo è teoricamente
facile poiché è in realtà l’unica via per liberare se stessi
dalla schiavitù dell’egoismo.
Il
terzo stadio è la Saggezza, l’equilibrio armonico, aperto nella
via di mezzo che ci permette di non rimanere intrappolati
nell’errata, statica visione estremistica di nichilismo o
eternalismo.
Lama
Tzongkhapa dice che per comprendere la vacuità della natura dei
fenomeni è necessario comprendere prima la realtà della loro
interdipendenza.
La
vacuità dunque non è una visione negativa di vuoto, di non
esistenza, bensì la visione dell’imprescindibile interdipendenza
di ogni fenomeno e a livello grossolano osserviamo come tutta la
realtà in questa correlazione sia in contino mutamento.
A
livello più sottile, scendendo sempre più in profondità in questa
conoscenza osserviamo come tutto ciò che andiamo a cercare non ha
consistenza in sé e perciò troviamo il vuoto. A livello ultimo
abbiamo conoscenza di come tutto ciò che è stato costruito nel
processo interdipendente dal nulla si dissolve nel nulla.
In
genere noi ci fermiamo allo stadio superficiale dell’apparenza dei
fenomeni che concretamente osserviamo come statici e anche se ne
intuiamo la realizzazione interdipendente non procediamo mai ai
livelli più profondi sino alla realizzazione della realtà ultima di
vacuità.
Tutto
ciò che osserviamo esiste per la legge di causa effetto nella
relazione interdipendente e ci appare solido, concreto, ma se vi ci
addentriamo sempre più profondamente questo scompare. Avere
contemporaneamente la consapevolezza di entrambe le realtà, senza
alcuna contraddizione, significa entrare nella visione di Buddha, la
via di mezzo.
***
Parte
sesta
Essere
nella pienezza della Vacuità
Prima
di riprendere il discorso Geshe ci guiderà in una preghiera dedicata
a Gianna, una generosa sorella di Dharma che sta molto male.
(seguono
le preghiere Lam Rim)
Per
capire pienamente il senso della vacuità è necessario prima di
tutto avere ben compreso la realtà dell’interdipendenza, poiché
ogni fenomeno sorge dall’energia di questa relazione in cui tutto
appare e al contempo scompare, senza dualismo, né contraddizione.
I
nostri sensi inducono una percezione errata e scissa, ma nella realtà
il fenomeno dell’apparenza e non apparenza è simultaneo,
perfettamente presente nella contemporaneità, nell’infallibilità
della legge di causa-effetto e questa è la realtà della vacuità
purificata dagli estremismi di eternalismo e nichilismo.
Ciò
che si vede è la prova della non esistenza dell’eternalismo e ciò
che scompare è la prova della non esistenza del nichilismo, così
evitando i due estremi si procede nella via di mezzo della realtà.
Se
quello che vedo scompare significa che non esiste come entità
eterna, stabile, immutata, ma se questa cosa scompare significa che
per poter sparire doveva comunque essere e non può essere negata,
ecco la dimostrazione di come entrambi gli estremi , eternalismo e
nichilismo siano errati.
Questa
è la realtà della vacuità, il vuoto della vacuità non significa
negare l’esistenza dell’essenza nella continua trasformazione
dell’apparenza e non apparenza e in questo senso si parla di causa
effetto, non si tratta qui di una causa prima che determina in
seguito il suo effetto, ma la realtà sincrona della causa con il suo
effetto.
La
non esistenza del nichilismo produce in contemporanea la non
esistenza dell’eternalismo e viceversa. La non esistenza
dell’eternalismo produce la possibilità di apparire dei fenomeni e
la non esistenza del nichilismo è causa della loro scomparsa, in
assoluta contemporaneità appaiono e scompaiono.
Intervento: Conosco
solo cinque persone al mondo in grado di capire questo concetto, e io
ho cercato un’interpretazione che credo possa non essere troppo
dissimile da quella di Lama Tzongkhapa, ma che si basa su studi di
fisica quantistica. Praticamente esistono due aspetti dello stesso
universo, ma vengono visti in modo diverso a seconda del soggetto
osservatore. Le due facce sono in realtà un'unica faccia formata da
particelle che ne sono i costituenti fondamentali e che chiameremo
Dharma o Chö in tibetano, e queste particelle virtuali si uniscono e
disuniscono in continuazione formando in questo modo uno l’aspetto
che appare, quello del mondo convenzionale di causa effetto, e
l’altro che esiste altrettanto in assoluta contemporaneità. Tale
sincronismo appartiene al livello della meccanica o fisica
quantistica che si caratterizza nel vuoto perciò una cosa può
essere esistente e non esistente nello stesso istante e soltanto
l’osservatore saggio è in grado di comprenderne la vacuità.
Domanda: Io
però vorrei capire meglio la questione del karma come si possono
distinguere le differenti tipologie, cattivo o buono, c’è qualcuno
che giudica o, se così non è, come funziona questo meccanismo?
Lama: In
realtà la traduzione nelle lingue occidentali in buono e cattivo non
è corretta, in sanscrito si parlava di virtuoso e non virtuoso e io
trovo più corrispondente al tibetano la definizione di karma come
utile e inutile. Ci può essere un karma buono ma se non è utile a
che serve? e viceversa. Il karma utile corrisponde alla giusta misura
in quanto gli eccessi sono sempre negativi. Tutto deve essere nella
via di mezzo e ognuno personalmente è l’unico soggetto in grado di
giudicare se il karma sia utile o meno. La consapevolezza dirige il
livello energetico del karma con l’intenzione, la motivazione.
Oggi
siamo qui per approfondire il dialogo con noi stessi per comprendere
la vacuità che è l’unica vera prova dell’esistenza. La vacuità
è puro spazio in cui ci sono al 100% tutte le possibilità, le
risorse della libertà. Realizzare la purezza della vacuità è
vivere nel nirvāna.
Nirvāna
è semplicemente vivere nella pura vacuità, nell’esistenza vera e
Lama Tzong Khapa ha approfondito questo fondamentale concetto per
farci comprendere che la vacuità è la prova dell’esistenza, tutto
ciò che non ha natura di vacuità non esiste.
La
nostra errata concezione invece ci induce a catalogare il vacuo con
il non esistente e tutto diventa contradditorio, confuso, blocca ogni
nostra energia e possibilità.
Intervento: Il
problema sorge anche dalla traduzione del termine, perché in
italiano vacuità è ciò che è vacuo, vuoto, mentre la parola
originaria “Śūnyatā” non significa assolutamente questo, bensì
un’energia potenziale in cui tutto è possibile.
Lama: E’
così, è lo stato di Śūnya, termine che in realtà indica il
numero zero, cioè il potenzialmente infinito, lo stato della
pienezza assoluta, il Dharmadhātu, lo spazio in cui sono tutti i
fenomeni che hanno una modalità di esistenza, il Mahāmudrā.
Lama
Tzongkhapa ha dimostrato dunque che l’apparenza annulla il concetto
di eternalismo e la non apparenza quello di nichilismo, poiché ogni
fenomeno non esiste in modo statico come appare in quanto scompare,
ma esiste nella sua realtà ultima perché altrimenti non potrebbe
scomparire.
La
saggezza è dunque la visione completa e contemporanea di entrambe le
realtà di apparenza e scomparsa.
Domanda: Posso
paragonare questa contemporaneità a ciò che avviene in ogni forma
di vita? ad esempio nel mio corpo simultaneamente muoiono e nascono
cellule, tutto si trasforma continuamente. Posso estendere questo
concetto a tutto il resto?
Lama: Certamente,
tutti i fenomeni hanno la stessa natura di esistenza nella spazio
infinito e nello stesso istante in cui mostrano un’apparenza sono
dissolti nel Dharmadhātu.
Domanda: Chi
dà forma a queste infinite possibilità? Chi decide che si
manifestino?
Lama: Questo
è il potere del Buddha, e con Buddha non intendiamo una persona
particolare, ma lo stato della mente illuminata. Nella nostra
consueta confusione è difficile comprendere l’esistenza del
misterioso fenomeno della vacuità, ma vi possono essere momenti di
particolare consapevolezza in cui le tenebre si dissolvono
momentaneamente e nel Dharmakāya tutto appare evidente, naturale,
chiaro.
Intervento: La
fisica quantica dimostra come la mente sia contestuale alla comparsa
dei fenomeni, al di fuori della mente non esiste nulla e ovviamente
non ci si riferisce solo alla mente individuale, ma alla mente
universale da cui tutto scaturisce e tutto vi converge. La percezione
che noi abbiamo dell’universo è falsata da un’infinità di
convergenze e lo stesso fenomeno è osservato in modo estremamente
diverso da soggetti diversi, dunque i fenomeni esistono, ma non nella
maniera in cui noi li vediamo.
Domanda: Quindi
neanche i sogni sono come li vediamo?
Lama: Certo,
tutti i fenomeni sono nella vacuità, che sinonimo di Dharmadhātu,
vacuità, mentre Buddha è sinonimo di Dharmakāya e quando meditiamo
siamo in questa realtà assoluta soltanto in questo modo possiamo
superare la visione limitata a livello di materia che non deve essere
negata, ma migliorata, dobbiamo andare oltre, imprimere significato
alla vita materiale per conquistare la vita del Dharmakāya nel
Dharmadhātu, questa è la dimensione spirituale che possiamo
esperire in ogni circostanza, di veglia come di sonno e di sogno.
La
decisione circa il tipo di esistenza che vogliamo attuare è
assolutamente nostra, possiamo scegliere di vivere soltanto a livello
materiale, superficiale, edonistico, oppure di andare oltre nella
rinuncia, nella bodhicitta, nella saggezza. Nessuno ci costringe, noi
stabiliamo cosa fare, starcene pigramente al buio, oppure procedere
nell’energia della libertà, dell’armonia, della felicità.
L’esistenza del Dharmadhātu è infinita, quella legata alla
materia invece dura soltanto per il tempo di esistenza della materia
stessa.
E’
molto difficile superare la nostra ordinaria confusione e tentare di
pensare prima di tutto e poi esprimere con la parola un concetto
illimitato che può essere osservato nella sua grandezza e
sperimentato solo nella Prajñāpāramitā della saggezza che va
oltre la visione comune.
***
Parte
settima
Dharmakāya
- Sambhogakāya
- Nirmānakāya
Ricordiamo
sempre quanto siamo fortunati con una vita così ricca sia sul piano
materiale, di salute, che su quello spirituale, ed è fondamentale
riconoscere e apprezzare con gioia questi valori per rendere positivo
ogni istante senza lasciarsi intrappolare in inutili lamentazioni.
Bisogna
costruire una vita ricca dei valori di cultura, conoscenza,
esperienza, saggezza partendo dalla consapevolezza della natura
interdipendente dei fenomeni nella vacuità con la gioia, la
beatitudine, la benedizione di Buddha, di Gesù, di Krishna, di Dio.
La
benedizione è un aiuto importante poiché nasce dalla preghiera,
dalla fiducia e dà forza perché non ci sentiamo più soli, ma
creiamo una connessione con i protettori con cui abbiamo un legame
karmico, con le nostre radici.
La
nostra vita non è un evento isolato, singolare, noi esistiamo in
quanto in relazione costante con il tutto, siamo interconnessi,
interdipendenti. È il più grande inganno pensare di poter essere
felici o soffrire al di fuori di questa relazione, non è realistico.
Tentare di eludere questo grande dono è fare lo struzzo, la nostra
umanità esiste realmente soltanto nel grande cuore della
compassione, dell’amore e della bodhicitta, nella rete karmica che
connette tutta l’umanità.
Chi
pensa di poter realizzare la propria vita in modo assolutamente
individualistico, protetto nella fortezza blindata del proprio ego in
realtà non vive, rinnega la propria natura e diviene preda di
dolorosi conflitti interiori che sconvolgono corpo, mente e anima.
La
filosofia buddhista si basa in primo luogo sul principio
dell’interdipendenza di tutti i fenomeni, e sulla loro natura di
vacuità.
Queste
due realtà di interdipendenza e vacuità di ogni fenomeno
determinano il suo apparire e scomparire in contemporaneità, questa
è la vera magia della vita che si può sperimentare nella
realizzazione della saggezza.
Soltanto
in questo modo viviamo nella totale armonia in grado di superare
qualsiasi conflitto e contraddizione ed è la vita reale. Altrimenti
noi confondiamo l’essere vivi soltanto pensando di essere il nostro
corpo, o il nostro cervello, o con un qualsiasi altro aspetto
parziale, ma non è così, la nostra vita dunque dov’è?
Non
è così semplice trovare la giusta risposta, la nostra vita è un
mistero, la nostra gioia, felicità, beatitudine non dipendono né
dal cervello, né dalla mente. Certamente la vita a livello fisico
dipende dal respiro e dall’interrelazione tra tutti gli organi, ma
a livello più sottile si va oltre, non importa trovare la certezza
di una risposta, si deve continuamente cercare e il risultato è ciò
che si vede e contemporaneamente scompare, non c’è nulla di
tangibile da afferrare, né l’io, né il mio.
La
nostra esistenza può essere reale soltanto nella vacuità, nella
natura ultima dei fenomeni, il Dharmadhātu, di cui si può
sperimentarne l’essenza attraverso la profonda meditazione della
saggezza che, praticata quotidianamente, può indurne la visione
durante il karma del sonno.
Il
termine karma semplificato significa azione, lavoro, e durante il
sonno il lavoro consiste nel cogliere la visione del puro colore
della vacuità, poiché in questa condizione sottile appare il colore
vero della mente non distratta da fattori esterni, si presenta in
tutta la sua vivezza e pur non essendo ancora la visione della realtà
ultima ne è l’apparenza più somigliante.
I
testi Vajrāyana descrivono tutti i dettagli dei vari momenti di
pratica, la meditazione, le divinità, i mantra, i rituali e quando
la mente diviene più sottile, cioè nel momento in cui l’elemento
terra si dissolve nell’elemento acqua, il primo segnale è il
miraggio, ed è ciò che avviene quando si entra nel sonno in cui
tutto appare reale, concreto. Questa lieve esperienza che si mostra
alla nostra coscienza è simile a ciò che accadrà nel passaggio
alla morte, una grande opportunità di meditare trasformando la
consapevolezza di dissoluzione degli elementi in sentiero spirituale,
nel Dharmakāya.
Tale
esercizio meditativo ripetuto quotidianamente permette di catturare
consapevolmente questi segni durante il sonno in cui si intuisce la
possibile dissoluzione che avverrà realmente nel momento della
morte.
Questa
è una pratica fondamentale che ci permette di addormentarci nel
Dharma, di vivere nel Dharma e di morire nel Dharma, è la vera
faccia nuda della mente, il modo in cui ritornare alla propria
origine, conoscere la propria casa.
Il
primo passaggio di dissolvimento è quello dell’elemento terra
nell’elemento acqua; il secondo dell’elemento acqua nell’elemento
fuoco in cui si forma una cortina di fumo che rende tutto ancora più
sottile; il terzo segno è la dissoluzione dell’elemento fuoco
nell’elemento aria in cui appaiono luminosità come lucciole che
illuminano la notte; il quarto passaggio è la dissoluzione
dell’elemento aria nello spazio luminoso, illimitato.
Questo
processo, meditato quotidianamente può dare un assaggio di ciò che
avverrà realmente durante il transito nella morte, in cui, essendo
così preparati ritorneremo con consapevolezza, senza paura, nella
nostra casa, nella mente originaria.
Le
prime quattro fasi di dissoluzione avvengono a livello della mente
grossolana e una volta raggiunto il quarto stadio di dissoluzione
nello spazio entriamo nel livello della coscienza della mente più
sottile in cui appaiono i diversi colori sino al profondo tunnel nero
della dissoluzione completamente avvenuta e, uscendo da questo tunnel
nero, si entra nella vera mente originaria di Chiara Luce.
Il
colore bianco che appare a livello dello spazio nasce
dall’interdipendenza e grazie alla sua comprensione si osserva la
natura vuota dell’esistenza intrinseca e si elimina completamente
il proprio ego, si vive nello spazio dei fenomeni puri. Questo è
l’intero processo della morte.
Nel
sonno invece, in cui l’esperienza è soltanto lievemente
somigliante, dalla profondità del colore nero, il sonno, si ritorna
a ritroso nelle quattro fasi dell’esperienza dissolutiva attraverso
il sogno fino al momento del risveglio, e nel Dharma tutto questo può
essere vissuto consapevolmente e trasformarsi in pratica.
Nel
sonno vi è la pratica del Dharmakāya, durante il sogno quella del
Sambhogakāya e nel risveglio in cui si rientra nelle proprietà
fisiche, concrete quella del Nirmānakāya, della reincarnazione
volontaria. Questa sono le tre pratiche meditative dello yoga del
sonno, del sogno e del risveglio.
***
Parte
ottava
Conclusioni
Siamo
giunti alla conclusione di questo nostro lavoro in cui abbiamo fatto
un tentativo, almeno teoricamente, di interrompere il nostro karma.
Forse
questo è difficile, eppure interrompere il karma è molto
importante, significa azione senza azione, cioè azione che non
produce karma e riuscire a fare questo è davvero geniale, vivere nel
samsāra senza essere del samsāra. Questa è l’essenza della
Bhagavadgītā.
Azione
senza azione, essere liberi dal karma e nel buddhismo questo si
realizza nella Rinuncia, vivere senza attaccamento alcuno. È
difficile, ma non impossibile, in questo modo siamo al di sopra del
karma che non può più condizionarci in alcun modo.
La
famosa filosofia dell’Abhidharma offre tutti gli elementi di
conoscenza della natura dei fenomeni e porta allo strumento della
saggezza che taglia la radice dell’illusione e quindi di ogni
possibile attaccamento, mostra come interrompere il karma. E’
chiaro?
Intervento:
Sono davvero contento di questo insegnamento così ricco e in estrema
sintesi vedo come permanere nella tristezza, travolti dalle emozioni
conflittuali anziché aprirsi alla felicità, alla beatitudine, sia
sempre comunque una scelta legata ad una motivazione consapevole, per
cui mi è sempre più chiaro che laddove si abbandona il cammino
della consapevolezza mentale si lascia spazio alla confusione
incontrollabile delle emozioni che possono scatenare un karma
terribile che porta inevitabilmente conseguenze estremamente
negative.
Dunque
è evidente che tutti gli esercizi insegnati sono pratiche di
consapevolezza, un fondamentale punto di partenza e di arrivo che
consente di mantenere una costante presenza mentale e un controllo
totale sui veleni dell’avversione, dell’odio, della paura, della
rabbia, dell’orgoglio, della gelosia e di tanto altro, così da
lasciar andare qualsiasi attaccamento e praticare la rinuncia.
Attraverso
la luce della consapevolezza mentale si rompono i legami che
l’ignoranza costruisce in questo mondo illusorio così da
permetterci di agire senza produrre karma.
Domanda: Hai
sottolineato le emozioni negative, ma ci sono anche quelle positive
che comunque producono attaccamento che potrebbe avere conseguenze
anche positive, o no?
Lama: L’attaccamento
in sé è neutro, ma nella rinuncia, senza attaccamento, non creo più
alcun karma, né negativo, né positivo, mi libero dai freni del
samsāra, sono nel samsāra, ma senza appartenervi, senza essere
soggetto alle sue influenze.
Intervento: Poiché
tutto è nella mente qualunque pensiero, sensazione, emozione,
percezione pur iniziando positivamente può rapidamente trasformarsi
in negativo, si tratta sempre d un’azione mentale. Se ad esempio io
sto pensando al mio bambino in una condizione di grande gioia posso
essere immediatamente travolto dalla paura che possa morire.
Ora
però, lascerei la parola al maestro, che ringrazio infinitamente,
per la conclusione di queste giornate
Lama: Siamo
giunti alla fine di questi magnifici momenti di riflessione comune
che sono per me davvero significativi e ringrazio veramente di cuore
tutti per l’organizzazione, l’impegno e la partecipazione.
Il
risultato di tutto questo è un grandissimo Karma yoga, termine che
significa azione senza attaccamento e nel Karma yoga è concentrata
tutta l’essenza del Dharma.
Qui
insieme abbiamo percorso un cammino e praticato il Karma yoga, nella
meditazione il Dhyani yoga e, avendo fiducia in Buddha, Dharma,
Sangha, abbiamo praticato il Bhakti yoga e tutto il nostro essere nel
quotidiano, nel lavoro, nella famiglia nella casa, è pratica del
Dharma yoga.
Tutto
è yoga dunque anche lo yoga del sogno si trasforma in yoga di vita
e, viceversa, quello di vita in yoga del sogno.
Dunque
auspichiamo che tutti i benefici di questa pratica siano dedicati e
offerti a tutti gli esseri senzienti.
Grazie
davvero di cuore a tutti e concludiamo con la preghiera di dedica.
(segue
preghiera)
***
Lama:
(termine tibetano, in sanscrito guru)
guida o maestro spirituale. Letteralmente: “ricco di qualità
spirituali”.
Bodhisattva:
(termine sanscrito) colui che possiede la Bodhicitta.
Liberazione:
(in sanscrito moksha)
eliminazione di tutte le emozioni afflittive o illusioni, ottenimento
dello stato di Arhat, il sentiero della fine dell’apprendimento del
sarvabuddha e del pratyekabuddha
Piaceri
dell’esistenza mondana: piaceri dominati dall’attaccamento ai
piaceri dei sensi.
Circostanze
favorevoli e fortuna: avere buone opportunità e condizioni per
praticare il Dharma.
Fortunati:
coloro che hanno incontrato il Dharma e sono capaci di praticarlo.
Rinuncia:
autentica intenzione di abbandonare il Samsara e raggiungere il
Nirvana.
Oceano
dell’esistenza: (in sanscrito samsara,
in tibetano khor
wa)
attaccamento alle apparenze di questa vita, interesse per gli aspetti
riguardante la vita presente.
Samsara:
(termine sanscrito) gli aggregati impuri di un essere senziente, che
da tempo senza inizio hanno dato luogo al ciclo di morte e rinascita
a causa dell’illusione e del karma, e hanno reso gli esseri
senzienti carichi delle sofferenze dei sei regni fisici/spirituali.
Attaccamento
alle apparenze delle vite future: interesse per gli aspetti
riguardanti le prossime vite nel samsara.
Aspirazione
alla più alta illuminazione: (in sanscrito Bodhicitta,
in tibetano jang
chub kyi sem).
Insuperabile
Bodhi: lo stato di Buddha.
Bodhicitta:
(termine sanscrito) autentica aspirazione a raggiungere la completa
illuminazione allo scopo di portare tutti gli esseri senzienti allo
stato di completa illuminazione.
Quattro
potenti fiumi: rinascita, invecchiamento, malattia e morte.
Karma:
(termine sanscrito, in italiano azione,
in tibetano les)
una sottile impronta nel continuum mentale proveniente da esperienze
precedenti, la quale da impulsi ad azioni mentali e fisiche.
Attaccamento
al Sé: (in tibetano dag
zin):
percezione errata che si attacca all’idea di un Sé o di un Io
intrinsecamente esistente.
Tre
sofferenze: sofferenza del dolore, sofferenza del cambiamento,
sofferenza della condizione.
Madri:
tutti gli esseri senzienti, i più cari, quelli che hanno recato più
benefici.
Intenzione
altruistica di divenire un Risvegliato: in questo contesto si
riferisce al Bodhicitta.
Saggezza:
realizzazione della Vacuità.
La
vera natura delle cose: la realtà ultima dell’esistenza delle
cose, vacue di un’esistenza intrinseca.
Radice
del Samsara: l’ignoranza, il non vedere la verità, opposta alla
saggezza.
Origine
interdipendente: (in tibetano ten
byung)
la realtà dell’esistenza delle cose e degli eventi, che esistono
in modo interdipendente.
Nirvana:
al di là della sofferenza, cessazione della sofferenza.
Apparenze,
ovvero l’inevitabilità dell’origine interdipendente: realtà
convenzionale o verità convenzionale.
Vacuità,
ovvero la non-asserzione: realtà ultima o verità ultima.
Pensiero
del Buddha Sakyamuni: la natura non duale delle due verità.
Visione:
realtà ultima.
Estremo
dell’esistenza: l’idea che le cose esistano solo in maniera
intrinseca o da sé.
Apparenza:
Visione comune.
Estremo
della non-esistenza: l’idea che le cose non esistano, se non in
maniera intrinseca.
Vacuità:
la vera natura dei fenomeni, non esistenti in maniera intrinseca.
Visioni
estremiste: Nichilismo ed Eternalismo.
I
tre aspetti principali del sentiero: Rinuncia, Bodhicitta e Saggezza.
Perseveranza
entusiastica: sforzo gioioso nella pratica del Dharma.
Meta
finale: illuminazione completa, stato di Buddha .
Figlio
mio: in maniera diretta, si riferisce a Tsakhowa Ngawang Dakpa; in
maniera indiretta a coloro che desiderano realizzare i tre aspetti
principali del sentiero.