Purificazione
del Cuore con la pura visione del Mantra-yana
Lama
Gedun Tharchin
Geshe
Lharampa
3
- 4 dicembre 2016
MERANO
*****
INDICE
Accumulazione
di Meriti e di Saggezza
La
Via di mezzo nei Tre Kaya
La
Domanda fondamentale e la Visione di Chiara Luce
La
Vacuità della Vacuità
*****
Grazie
a tutti di essere qui per affrontare insieme un tema abbastanza
complesso, “la
Purificazione del Cuore con la pura visione del Mantra-yana”.
L’obiettivo
prioritario è quello di proteggere la propria mente attuando la
purificazione del cuore attraverso la pura visione nei principi del
sentiero del mantra, e lo dobbiamo fare con entusiasmo, con gioia,
senza fatica né stanchezza, malgrado gli innumerevoli ostacoli che
incontriamo ad ogni passo e che creano un reale disagio carico di
stress destinato a trasformarsi in scoraggiamento, stanchezza e
infine fallimento a causa della morte dell’anima, cioè
all’estinzione di ogni motivazione.
Il
faticoso processo della vita si sviluppa dunque nel superamento di
ogni difficoltà con il mantenimento inalterato dell’intenzione e
del valore spirituale sostenuto dal potere dei meriti ed è proprio
per questo elemento essenziale che nel buddhismo si insiste
particolarmente sulla necessità di praticare due fondamentali
passaggi: l’accumulazione dei meriti e della saggezza. Dal potere
di questi due valori dipende la qualità e la forza dell’esistenza
umana in ogni suo aspetto.
L’accumulazione
di meriti e di saggezza sono due valori intangibili che però possono
essere costruiti e sviluppati attraverso attività tangibili, non
importa se si tratta soltanto di piccoli gesti come l’offerta di un
fiore, di un sorriso, di una piccola candela, di un saluto,
dell’attenzione autentica e compassionevole verso tutti gli esseri
senzienti.
La
potenza delle nostre capacità è proporzionale all’intenzione con
cui qualsiasi atto è compiuto.
Tutti
credono erroneamente di guadagnare molti meriti rendendo omaggio con
prosternazioni o importanti offerte ai Buddha, alla Divinità, ma,
come ripetutamente ricordava un mio maestro, non vi è alcuna
differenza tra l’offerta presentata al Buddha o a quella rivolta ad
altro essere senziente, il valore profondo non consiste nel peso
valutato secondo criteri montani e fatui, ma nell’intenzione del
cuore.
Non
si raggiunge l’illuminazione solo tramite l’adorazione del
Buddha, è altrettanto necessario rendere omaggio agli esseri
senzienti, a coloro che camminano con noi nel samsāra e che ci
consentono di sviluppare autenticamente e concretamente l’amore, la
compassione e la saggezza senza le quali l’illuminazione è
impossibile.
Il
Buddha è fondamentale, è la guida il maestro che indica la strada,
e presentare a Lui le nostre offerte interiori è sicuramente fonte
di grande merito, ma possiamo attuare questo prezioso insegnamento
soltanto grazie agli esseri senzienti, ai preziosi compagni che
troviamo sull’impervio cammino dell’esistenza samsarica e che ci
permettono di sviluppare amore e compassione e di dilatare
incondizionatamente il nostro cuore.
L’accumulazione
di meriti dunque ha molte vie, tutte valide e il suo fondamento
irrinunciabile è l’intenzione, la motivazione che cresce nel
rispetto, nella generosità, nella tolleranza, nella pazienza, nella
compassione.
Impostando
la propria esistenza su questi valori nessun ostacolo è realmente
insormontabile, negativo, al contrario può essere fonte di nuove
opportunità, di crescita. Noi non possiamo comandare e dirigere il
Dharma dove vorremmo, questo è assurdo, possiamo solo procedere
passo dopo passo affrontando tutto ciò che si presenta sul sentiero
con apertura di mente e di cuore, null’altro, questa è la
protezione della mente, il Mantrayāna.
Nell’opinione
popolare diffusa si pensa sempre che Mantrayāna sia qualcosa di
miracoloso, di misterioso, realizzabile esclusivamente da pochi
eletti, ma non è così, il Mantrayāna è semplicemente la
protezione della mente che si ha appunto nell’accumulazione di
meriti e di saggezza, il valore spirituale intangibile che permette
di affrontare con positività ed evoluzione qualsiasi ostacolo si
presenti.
Fermiamoci
dunque un momento riflettendo sul significato delle preghiere che
ripetiamo sempre nella nostra pratica.
(seguono
preghiere in tibetano e in italiano di presa di rifugio e offerte)
Nella
preghiera di rifugio:
“Prendo
Rifugio fino all’Illuminazione nel Buddha,
nel Dharma
e nel Sangha.
Per i meriti acquisiti praticando la generosità e le altre
Perfezioni, possa io al più presto raggiungere l’Illuminazione per
il beneficio di tutti gli esseri senzienti”
è
un verso molto potente e completo per la generazione di bodhicitta e
per la pratica delle sei pāramitā.
Il
rifugio nei tre gioielli, Buddha, Dharma e Sangha e ciò che permette
di entrare nella profondità del proprio essere e prendere rifugio
consapevolmente nel Buddha interiore, nel Dharma interiore e nel
Sangha interiore; la protezione e l’aiuto non sono fattori esterni.
I
tre corpi del Buddha - Dharmakāya, Sambhogakāya e Nirmānakāya si
articolano rispettivamente su tre kāya in tre livelli: di base, di
percorso e di risultato, lo stato di illuminazione – partenza,
cammino e arrivo.
Non
troveremo mai i tre kāya di base, di percorso e di stato di
illuminazione, Dharmakāya, Sambhogakāya e Nirmānakāya in qualcosa
di esterno, nemmeno nel Buddha, ma solamente nella profondità della
nostra mente, del nostro continuum mentale, nella nostra stessa
natura umana, nel nostro stato di essere.
Il
Dharmakāya di base, di percorso e di illuminazione è strettamente
impostato nell’interconnessione tra questi tre aspetti, segue
l’evoluzione in noi tramite il continuum mentale, questo significa
prendere rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha, non è mai una
preghiera rivolta ad altro fuori di sé, ma è la consapevole azione
di accogliere i tre kāya in noi stessi, nel nostro modo di esistere,
nella profondità di ciò ci rende autentici in una dimensione che
non è solo materiale, ma che sa andare oltre, nella realtà
invisibile e intangibile, ma altrettanto autentica e vera.
In
genere si tende a considerare reale solo ciò che i nostri sensi
percepiscono come concretamente tangibile, ma questo mondo materiale
è solo un piccola parte della effettiva condizione umana, tutto il
resto esiste altrettanto in quella dimensione non visibile, ma
assolutamente determinante di ciò che siamo.
Le
emozioni, i sentimenti, i valori spirituali sono influenzati da tutto
l’universo.
Con
questa consapevolezza sappiamo che il Dharmakāya è dentro di noi,
nel nostro continuum mentale, non sappiamo dove, ma ne percepiamo la
potente presenza, l’emozione e i sentimenti che costituiscono lo
stato della vita vera, quella libera nella potenzialità
dell’immaginazione, non condizionata dal corpo fisico. Questa è la
protezione della propria umanità, la pura visione di Mantrayāna.
*****
La
via di mezzo nei tre kaya
Abbiamo
analizzato il reale significato del prendere rifugio in Buddha,
Dharma e Sangha. Il rifugio nel Buddha significa rifugio nei tre
kāya: Dharmakāya, Sambhogakāya e Nirmānakāya, essere in questa
unità illuminati, conosci che tutti i fenomeni hanno la stessa
natura di essere.
Esistere
significa essere nello stato di chiarezza, conoscere la natura della
propria mente, esserne consapevoli qui e ora.
Noi
invece generalmente ci lasciamo condizionare e offuscare soltanto da
ciò che è materialmente tangibile perdendo in questo modo la reale
pura visione della vera essenza, e vivacchiamo nel samsāra in questa
inconsapevolezza e assenza di saggezza.
La
capacità di immaginare, di superare i limiti della percezione
materiale degli oggetti, è il modo per sviluppare completamente i
tre kāya, è il fondamento, la preziosa visione della via di mezzo
che ci permette di realizzare tutto.
Leggiamo
dunque questo meraviglioso e fondamentale testo di Nāgārjuna che in
sanscrito ha un sapore di completezza purtroppo non traducibile in
nessun altro idioma in quanto mancano le sfumature davvero
sostanziali espresse in ogni singola sillaba:
LA
PREZIOSA GHIRLANDA DELLA VISIONE DELLA VIA DI MEZZO
Madhymika
ratnavali
“Possa
io sempre essere un oggetto di godimento per tutti gli esseri
senzienti, secondo i loro desideri e senza interferenze, come lo sono
la terra, l’acqua, il fuoco, i medicamenti e le selve.
Possa
io considerare gli esseri senzienti cari come la vita, e possa io
considerarli più cari rispetto a me stesso.
Possano
le loro negatività maturare su di me, e possano tutte le mie virtù
maturare su di loro.
Ovunque
vi sarà anche un solo essere senziente che non è ancora stato
liberato possa io restare nel mondo per il bene di quell’essere
anche se avrò ottenuto la suprema illuminazione.
Una
persona non è terra, né acqua, né fuoco, né aria, né vento, né
spazio, né coscienza, e neppure tutti questi. Che persona c’è
altro da questi?
Proprio
come una persona non è reale, essendo un composto dei sei
costituenti, così pure ciascuno dei costituenti non è reale essendo
un composto.
Poiché
i fenomeni delle forme sono solo nomi, anche lo spazio è solo un
nome.
Senza
gli elementi, come potrebbero esistere le forme? Perciò, perfino il
solo nome non esiste.”
LA
RADICE DELLA SAGGEZZA DELLA VISIONE DELLA VIA DI MEZZO
Madhymika
karika
“Ciò
che sorge da dipendenza e relazione: questo è spiegato essere la
vacuità, che è una designazione dipendente ed è essa stessa la via
di mezzo.
Poiché
non esiste nulla che non sia sorto dipendendo, non esiste nulla che
non sia vuoto.”
Utilizzando
la propria potenzialità spirituale si sviluppa all’infinito
l’attitudine altruistica illimitata che pone gli altri prima di
tutto, si crea costantemente quell’accumulazione di meriti che
trasforma il cuore, l’anima in un’indicibile e autentica gioia,
felicità, bellezza, ricchezza.
Sarebbe
veramente triste ridurre la propria esistenza alla sola dimensione
materiale in un’alternanza tra obiettivi edonistici e
preoccupazioni alimentate dalla paura per il futuro.
La
nostra dimensione di essere cresce nella consapevolezza che conosce
il valore della vita nell’obiettivo della propria e altrui
illuminazione, l’impegno gioioso affinché non rimanga nemmeno un
solo essere non liberato dalle catene samsariche.
Nāgārjuna
pone una domanda davvero fondamentale: “Una
persona non è terra, né acqua, né fuoco, né aria, né vento, né
spazio, né coscienza, e neppure tutti questi. Che persona c’è
altro da questi?”
e
lo fa per farci comprendere come soltanto in noi stessi sia possibile
cercare la risposta, nessuno può farlo al nostro posto, nemmeno
Nāgārjuna.
Voi
come rispondereste?
Risposte: -
Veramente io non ho ancora capito la domanda…; - che la persona non
è divisa tra le sue parti e nemmeno la somma delle stesse, quindi
dove esiste la persona?
Lama: La
non comprensione della domanda è proprio il segreto di Nāgārjuna,
perché se si comprende la domanda la risposta si forma naturalmente.
Questa è la logica buddhista. Dov’è la persona? non è tanto
importante la risposta ma vivere, includere in sé la domanda stessa
che diviene parte integrante della propria esistenza e la risposta
diventa realizzazione. Meditazione sulla domanda, questa è la chiave
di risposta.
Il
termine inglese “persona” è stato tradotto dal tibetano e dal
sanscrito, idiomi in cui ha un significato assai più ampio e
complesso. Che significa persona nelle lingue occidentali? ha un
unico significato? indica precisamente qualcosa di ben
identificabile?
Risposte: -
Essere umano…; - persona fisica che è altro da essere umano…; -
un individuo…; - indica la personalità, il carattere, i
comportamenti…; - una persona fisica è una cosa, ma nel concetto
di essere umano si ha qualcosa di diverso…; -
Lama: Esiste
una persona senza corpo? nelle lingue occidentali non esiste, non è
contemplato questo concetto, gli spiriti sono definite persone?
Risposta: No,
una persona deve avere uno spazio, deve essere misurabile in altezza,
peso…
Lama: Il
problema nasce esattamente qui, in tibetano e in sanscrito la parola
composta indica “sé - essere” e include tutte le forme di
esistenza, quindi anche gli spiriti che, pur senza corpo fisico, sono
esseri costituiti non da terra, fuoco, aria, acqua, ma da coscienza.
Però nella domanda Nāgārjuna dice anche “…né
coscienza”,
dunque anche l’essenza dello spirito non è coscienza, l’essere
spirito è qualcosa di diverso dalla sua coscienza. Così noi non
siamo nessuno dei nostri componenti, il nostro essere è altro.
Non
abbiamo la risposta, ma dobbiamo un poco alla volta aprirci a questa
realtà, averne la visione, e in questo modo trovare la libertà
verso l’infinita dimensione dell’essere. Questo è il punto di
partenza la base dei tre kāya, si cammina sul sentiero del
Dharmakāya e procedendo si sviluppa il Sambhogakāya per giungere al
risultato, il Nirmānakāya.
Tutto
è possibile già qui, nella nostra dimensione, purché si proceda
secondo le personali capacità sulla base dei tre kāya, questo è il
senso profondo della preghiera: “Possa
io sempre essere un oggetto di godimento per tutti gli esseri
senzienti, secondo i loro desideri e senza interferenze, come lo sono
la terra, l’acqua, il fuoco, i medicamenti e le selve.”
I
tre kāya basilari costituiscono ciò che definiamo “Natura
del Buddha”
e con tale potenzialità noi abbiamo l’essenza di un’altra
dimensione, che non significa negare la nostra dimensione materiale e
tutto le incombenze che comporta, ma che è un solo aspetto della
nostra infinita possibilità di esistenza.
Questa
è una condizione reale, non si tratta di miracolo, di magia, la
risposta è nella stessa domanda, contiene la nostra complessa
realtà, questo è il senso della domanda di Nāgārjuna.
Non
siamo gli aggregati, acqua, aria, terra, fuoco e nemmeno spazio e
coscienza e dunque cosa siamo? Questa è la meditazione analitica,
sulla domanda, sulla natura dell’essere. Cercare subito la risposta
senza comprendere la domanda è soltanto una fatica inutile con
enorme dispendio di energie. Come meditare sulla domanda? Bisogna
faticare? No, solo concentrarsi sulla domanda, cos’è la domanda?
Risposta: Se
la persona non è uguale ai cinque elementi, ma non è nemmeno
diversa, allora dov’è la persona?
Lama: Non
esattamente. Non è nessuno di questi componenti tangibili in cui ci
identifichiamo, e allora dov’è? è inutile e impossibile cercare
altrove, al di fuori del sé, soltanto nella concentrazione interiore
possiamo seriamente meditare sulla realtà insita in questa domanda.
(segue
breve meditazione)
Questa
è la più profonda meditazione vipassanā, la pura visione,
l’approccio non dualistico che analizza in ogni aspetto la domanda
da cui scaturisce naturalmente la risposta, la conoscenza del sé, la
visione della dimensione della vacuità che non è il nulla del
nichilismo, ma l’essenza stessa dell’essere.
Sono
veramente contento del lavoro che abbiamo fatto oggi, ognuno,
singolarmente, ponendo a se stesso questa domanda ha trovato la base
dei tre kāya, il sentiero che condurrà alla pura visione.
Concludiamo
la giornata con la preghiera di dedica:
“A
causa di queste virtù,
possa
io diventare un Guru-Buddha
e
guidare in questo stato
ogni
essere vivente senza alcuna eccezione.
Possa
la mente preziosa dell'Illuminazione
non
ancora sorta, sorgere e svilupparsi,
e
quella già sviluppata possa non diminuire mai,
ma
accrescersi sempre più.”
Grazie
a tutti.
****
e
la visione di Chiara Luce
Oggi
iniziamo con la preghiera di Mahāmudrā
PREGHIERA
MĀHAMUDRĀ
O
Grande Vajradhara, che pervadi tutte le nature,
Glorioso
primo Buddha, principio di tutte le famiglie di Buddha
Nella
dimora celeste dei tre corpi spontanei,
Ti
prego di concedermi la tua benedizione.
Affinché
io possa sradicare la pianta rampicante dell’attaccamento al sé
nel mio continuum mentale,
Praticare
l’amore, la compassione e la bodhicitta,
e
compiere velocemente il Māhamudhrā del sentiero dell’Unione,
O
Onnisciente, Eccelso Mañjusrī,
Padre
di tutti i Conquistatori dei tre tempi,
Nelle
terre di Buddha attraverso i mondi delle dieci direzioni,
Ti
prego di concedermi la tua benedizione.
Affinché
io possa sradicare la pianta rampicante dell’attaccamento al sé
nel mio continuum mentale,
Praticare
l’amore, la compassione e la bodhicitta,
e
compiere velocemente il Māhamudhrā del sentiero dell’Unione,
O
Guru venerabili,
Guide
spirituali che, per discepoli fortunati,
Avete
diffuso l'essenza del Dharma,
Vi
prego di concedermi la vostra benedizione.
Affinché
io possa sradicare la pianta rampicante dell’attaccamento al sé
nel mio continuum mentale,
Praticare
l’amore, la compassione e la bodhicitta,
e
compiere velocemente il Māhamudhrā del sentiero dell’Unione,
Vi
prego concedetemi la vostra benedizione.
Affinché
io possa vedere il venerabile Guru come un Buddha,
Superare
l’attaccamento per il samsāra,
Completare
i sentieri comuni e non comuni,
e
ottenere velocemente l’Unione del Māhamudhrā.
(ripetere
3 volte) Il
mio corpo e il tuo corpo, o Padre,
La
mia parola e la tua parola, o Padre,
La
mia mente e la tua mente, o Padre,
Possano,
attraverso la tua benedizione, divenire un’unità inseparabile.
Questa
è la pura visione Vajrāyana, percorrere il sentiero dell’unione
di Mahāmudrā, purificare il nostro cuore, praticare l’amore, la
compassione e la bodhicitta, sradicare la pianta rampicante
dell’attaccamento al sé nel nostro continuum mentale.
Molto
semplice no? Non c’è nulla di complicato, la pratica del Dharma è
composta da piccoli regolari passi su una strada lineare, nessuno ci
chiede di scalare pericolose pareti rocciose o di intraprendere
chissà quali eccezionali imprese, tutto è molto chiaro, semplice,
pulito, luminoso, un percorso di pianura ininterrotto e costante.
Noi
invece siamo abituati a vivere ottusamente soltanto nel samsāra più
ristretto e pensiamo che praticare il Dharma consista nel doverci
lanciare in imprese difficili e faticosissime, vogliamo scalare
montagne da cui ridiscendere immediatamente, in un’alternanza
complessa, sterile e insensata che comporta un enorme spreco di
energie senza alcuna effettiva possibilità di beneficio. Invece il
Dharma è una strada lineare, semplice anche se troppo spesso rimane
a noi sconosciuta e invisibile a causa delle nebbiose abitudini in
cui siamo intrappolati.
Sin
dalle prime due righe
“O
Grande Vajradhara, che pervadi tutte le nature, Glorioso primo
Buddha, principio di tutte le famiglie di Buddha”
si coglie la linearità del sentiero Vajrāyana, privo di dualismo,
una strada piana, diretta, spirituale, la via di mezzo che scorre con
naturalezza ben lontana dalle azioni estreme di salita e di discesa.
La pratica di Mahāmudrā è essere nella naturalezza.
Poi
prosegue “Nella
dimora celeste dei tre corpi spontanei”,
Dharmakāya, Sambhogakāya e Nirmānakāya e qui dobbiamo comprendere
pienamente come essi siano parte integrante di noi, non sono corpi di
un Buddha esterno, di altro al di fuori, ma costituenti della nostra
natura, corpi di base, di sentiero e di risultato presenti nel nostro
continuum mentale a cui rivolgiamo il desiderio, la richiesta,
affinché possa essere sradicata la pianta rampicante
dell’attaccamento al sé.
Il
continuum mentale, termine che in lingua occidentale non è esaustivo
e non corrisponde al significato originale, non indica la mente
pensante, bensì la nostra essenza completa, il continuum
dell’autentico sé, della fondamentale coscienza. Questo è
l’oggetto della meditazione, la domanda che è già in sé
risposta, semplicemente.
Come
ha ben evidenziato Nāgārjuna il nostro compito è meditare,
osservare, contemplare la realtà proposta dalla domanda, nulla più.
Per
fluire libero, senza impedimenti il continuum mentale deve liberarsi
dai lacci della pianta rampicante dell’attaccamento a un falso sé,
che limita, imprigiona, chiude, e il mezzo per farlo è la pratica di
amore, compassione e bodhicitta, in cui dobbiamo allenarci
costantemente, regolarmente.
L’attaccamento
al sé è fortissimo e lo possiamo controllare, sgretolare sempre e
soltanto con la pratica quotidiana regolare e costante che ci
consente di sviluppare la compassione, l’amore e la bodhicitta.
Questo
è Mahāmudrā, il tantra che rende libero il continuum mentale, sia
personale che in correlazione inscindibile con tutti gli esseri
senzienti, la qualità della mente che ha la stessa natura di Buddha
nei tre kāya. Si realizza un’altra dimensione della propria
essenza, dell’essenza di tutte le nature di Chiara Luce.
Anche
l’attaccamento al sé ha insita la natura di Chiara Luce, il
Dharmakāya e pertanto non può mai essere completante negativo. “O
Grande Vajradhara, che pervadi tutte le nature”
e dunque insito nel tutto, ma dove lo troviamo? - nella Vacuità,
nell’unione della Chiara Luce oggettiva con la Chiara Luce
soggettiva.
La
Chiara Luce oggettiva è la vacuità, il Vajradhara, l’essenza che
pervade tutte le nature, la Chiara Luce soggettiva è il nostro
“cit”, la mente, liberato dall’attaccamento al sé nella
pratica di amore, compassione e bodhicitta convenzionale e ultima.
Questa
è la semplicità della pratica di Mahāmudrā, di Vajrāyana,
bisogna imparare a vedere la luce in tutte le situazioni,
nell’attaccamento al sé come nella sofferenza in quanto non esiste
nessuna condizione completamente oscura, negativa, la Chiara Luce
tutto pervade.
Ci
stiamo inoltrando a livello sempre più avanzato nella conoscenza del
Dharma e certamente per poter comprendere pienamente questi concetti
sarebbe necessario conoscere il sanscrito poiché ogni termine
esprime un concetto preciso e intraducibile. Ad esempio le parole
“man-tra” e “tan-tra” sono composte per indicare condizioni
particolari del cit in cui si realizza il continuum degli elementi
attraverso l’universo intero grazie alla natura di Chiara Luce, di
vacuità.
Come
comprendere la Chiara Luce? la risposta è nella natura della domanda
stessa, qualsiasi altra risposta porrebbe ulteriori interrogativi
senza risposta, in un circolo infinito
Domanda: Altre
religioni rispondono a questa domanda con il concetto di Dio, del
mistero divino, se si rimane nella domanda non c’è bisogno della
risposta di un dio…
Lama: Dio
è la stessa domanda. Il Mahāmudrā, il grande gesto è trovare la
natura della domanda. Nāgārjuna è chiarissimo in ogni parola di
questo testo.
Dobbiamo
semplicemente allenarci nella pratica di amore compassione e
bodhicitta, maturare la consapevolezza che noi, e soltanto noi, siamo
responsabili di noi stessi. Dobbiamo smettere di dare sempre la colpa
agli altri degli inevitabili intoppi e circostanze negative che
incontriamo, tutto dipende dalla nostra capacità, dall’allenamento,
dal lavoro su di noi, dall’equilibrio interiore nell’amore, nella
compassione e nella bodhicitta.
Non
c’è nulla da creare, ma soltanto allenarci nella pratica e
maturare profondamente, non combattere contro qualcosa, ma
trasformare tutto, anche l’attaccamento al sé, nella natura di
Chiara Luce.
“Possa
io sempre essere un oggetto di godimento per tutti gli esseri
senzienti, secondo i loro desideri e senza interferenze, come lo sono
la terra, l’acqua, il fuoco, i medicamenti e le selve”.
Semplice, questo è amore, compassione e bodhicitta.
“Possa
io considerare gli esseri senzienti cari come la vita, e possa io
considerarli più cari rispetto a me stesso. Possano le loro
negatività maturare su di me, e possano tutte le mie virtù maturare
su di loro”.
Qui si ribadisce il concetto di maturazione, in tibetano si usa il
termine “sMIN
PA”-
che sottintende appunto la necessità di maturare, un seme che non
matura non produce alcun frutto, e non ha nulla a che fare con il
grande fraintendimento in cui restiamo terrorizzati e paralizzati
credendo di dover concretamente farci carico di tutta la sofferenza
del mondo, come azione fine a se stessa senza che si produca alcun
effettivo cambiamento. Non è così poiché ogni negatività,
maturando, si trasforma in positività.
“Ovunque
vi sarà anche un solo essere senziente che non è ancora stato
liberato possa io restare nel mondo per il bene di quell’essere
anche se avrò ottenuto la suprema illuminazione.”
Amore, compassione e bodhicitta.
Una
persona non è terra, né acqua, né fuoco, né aria, né vento, né
spazio, né coscienza, e neppure tutti questi. Che persona c’è
altro da questi? Non
c’è bisogno di risposta, nella domanda stessa c’è la Chiara
Luce, non serve null’altro, questa è la profonda saggezza che
osserva l’essenziale senza lasciarsi fuorviare da ingannevoli
elucubrazioni intellettuali.
****
La
Vacuità della Vacuità
Preghiere
all’inizio della sessione di meditazione:
PRESA
DI RIFUGIO
Prendo
Rifugio fino all’Illuminazione nel Buddha,
nel Dharma
e nel Sangha.
Per
i meriti acquisiti praticando la generosità e le altre Perfezioni,
possa io al più presto raggiungere l’Illuminazione per il
beneficio di tutti gli esseri senzienti.
SAN-GHIE
CIÖ-DAN TSOG-GHI CIOG-NAM-LA’
CIANG-CIUB
BAR-DU DA-NI CHIAB-SU-CI
DA-GHI
GIN-SOG GHI-PE SÖ-NAM-KI
DRO-LA
PEN-CIR SANGHIE DRUB-PAR-SCIO'
OFFERTA
DEL MANDALA BREVE
Offro
questa terra aspersa con profumo e cosparsa di fiori,
ornata
del Monte Meru, dai quattro continenti,
dal
sole e dalla luna e visualizzata come un campo di Buddha.
Possano
tutti gli esseri gioire di questo reame completamente puro.
YDAM,
GURU, RATNA, MANDALAKAM, NYRIATAIAMI
SA-SCI-PÖ CHI-GHIU SCIN-ME-TOG TRAM
RI-RAB
LING-SCI GNI-DE’ GHIEN-PADI’
SANGHIE’
SCING-DU MIG-TE’ UL-UAR-GHI’
DRO-CUN
NAM-DAG SCING-LA CIÖ PAR-SCIOG
YDAM
GURU RATNA- MANDALAKAM NIRYATAIAMI
LODE
BREVE A TARA
OM,
Omaggio alla Nobile Tara.
Omaggio.
Salvatrice TARE,
eroina
Con
TUTTARE
elimini tutte le paure.
Con
TURE
garantisci tutti i benefici.
Mi
prostro a Te, con il suono SOHA
OM
TARE TUTTARE MAMO AIUGHIANA PUTTAM CURIE SOHA
OM,
Getzuma
Phama Dolma-La Ciatzelo
Ciatzel
Dolma TARI
Pamo
TUTTARAI
Gikkün
Sema
TÜRI
Tonnam Tamge Terma
SOHA
Ighi Cela Rabdu
OM
TARE TUTTARE MAMO AIUGHIANA PUTTAM CURIE SOHA
MANTRA
di VAJRASATTVA
(
Per la purificazione dalle interferenze)
Om,
Vàgirasattva samayà,
manu
pala yà,
Vàgirasattva
teno pà,
tista
drido mebauà,
suto
kayo mebauà,
supo
kàio mebauà,
anurakto
mebauà,
sàrva
siddhi mèpraiaccia,
sàrva
karma sùtsa mè
tsittàm,
sìria, kuru hum,
ha
hà ha hà hò,
bàgavan,
sàrva, tatàghatà,
vàgira
màme mùncia
vàgira
bàva
màha
samàya sàto,
hà,
hùm, pè.
***
Continua
il testo di Nāgārjuna:
“Proprio
come una persona non è reale, essendo un composto dei sei
costituenti, così pure ciascuno dei costituenti non è reale essendo
un composto.
Poiché
i fenomeni delle forme sono solo nomi, anche lo spazio è solo un
nome.
Senza
gli elementi, come potrebbero esistere le forme? Perciò, perfino il
solo nome non esiste.”
In
tibetano la parola - persona - si articola in più sfumature davvero
importanti: skye-wu
significa essere, non essere umano, ma nel senso di esistere,
gand-zag
significa
essere, bdag
significa io, nga
significa
sé, dunque come identificare il proprio io? questa è la domanda.
L’io
che percepisco identifica la mia persona come essere umano, composto
dai quattro elementi - acqua, terra, fuoco, aria a cui si aggiungono
spazio e coscienza.
Eppure
i sei elementi di cui siamo composti, non costituiscono la persona
che siamo, né presi isolatamente né tutti insieme, dunque dov’è
questo io, il sé misterioso?
Nella
nostra percezione forzatamente limitata tendiamo a voler identificare
il sé come fenomeno tangibile, concreto, indipendente, perfettamente
definibile, ma questo non esiste e da qui sorge la domanda che, se
accolta con lucidità consapevole, porta al non attaccamento al sé.
Questa domanda è la vera risposta, ogni tentativo di andare oltre,
in una dimensione illusoria e irreale è fuorviante, inutile,
ingannevole.
Afferrandoci
a questo falso sé non ci accorgiamo che ci aggrappiamo con bramosia
soltanto a un nome e sviluppiamo un attaccamento alla fama,
all’apparenza formale che questo può dare, divenendo così sempre
più inconsapevoli, confusi, persi in una giungla irreale di inganni
e illusioni, confondiamo la realtà con una semplice inutile
etichetta.
L’abitudine
acquisita e consolidata a vivere come tangibilmente reale ciò che
invece è soltanto un miraggio, l’etichetta di un contenitore
inesistente, ci fa permanere nell’ignoranza e nella non conoscenza
e conseguente negazione della realtà.
I
fenomeni della forma sono soltanto un nome, lo spazio stesso è solo
nome, senza gli elementi come potrebbero esistere le forme? dunque
tutto esiste soltanto a livello di nome e anche lo stesso nome alla
fine non esiste. La natura di ogni fenomeno è vacuità della
vacuità.
In
modo ancora più sottile la concezione bene espressa dalla corrente
citta-mattra, la scuola della sola mente, dice che non vi è dualismo
alcuno tra la forma e la valida conoscenza della forma, si tratta di
un unico fenomeno poiché l’oggetto osservato non è altro,
esterno, bensì parte inscindibile della conoscenza che se ne ha,
quindi sostanzialmente è un solo fenomeno.
Domanda:
Dunque posso vedere soltanto quello che già conosco, che è
integrato in me, altrimenti non potrebbe esistere per me, è così?
Lama: Si.
Intervento: Vorrei
aggiungere le interessanti conclusioni di uno studio antropologico
perché possono essere davvero esplicative: - Cristoforo Colombo
quando approdò per la prima volta in America venne accolto dagli
indigeni come proveniente direttamente dal mare in quanto non avevano
visto le navi con cui era giunto semplicemente perché non
conoscevano questi vascelli, e dunque nella loro mente queste non
esistevano e le avevano osservate unicamente come onde marine. Ciò
mostra come, se non si ha conoscenza di un fenomeno, quello
concretamente non esiste.
Lama: E’
così, tutto esiste solo come etichetta, come nome e la stessa
etichetta esiste grazie all’etichetta.
Io,
tu, Buddha, Bodhisattva, tutto esiste grazie all’etichetta. Ciò
che io vedo e vivo come bello per altri è orribile, e viceversa, le
percezioni così differenti di uno stesso fenomeno ne dimostrano
l’inconsistenza intrinseca e la percezione determinata unicamente
dalla conoscenza che se ne ha.
Dunque
ritorniamo sempre alla domanda-risposta di Nāgārjuna, dov’è la
persona che noi chiamiamo sé? Non la possiamo individuare da nessuna
parte e dobbiamo semplicemente rimanere in modo pienamente
consapevole nella giusta via di mezzo, senza lasciarci ingannare da
concetti estremistici di eternalismo o nichilismo.
Come
diceva Platone: - So di non sapere -
La
cosa più difficile per noi non è il sapere, ma la necessità di
accogliere consapevolmente il non sapere, smettere di sprecare
infinite energie inutilmente, dobbiamo semplicemente sapere di non
sapere.
Questa
è la saggezza.
Intervento: Ed
è anche un segno di forza perché ci vuole più coraggio nel
rimanere senza risposta.
Intervento: Quando
io non so che non so non ho consapevolezza, mentre quando so che non
so ho consapevolezza.
Lama: Perfetto,
ma sapere di non sapere è ancora un’altra cosa rispetto al so che
non so, perché va oltre, non c’è nulla da sapere, nessun falso
fenomeno a cui apporre etichetta.
Platone
e Nāgārjuna si pongono la stessa domanda-risposta.
È
necessario sciogliere i lacci che ci legano all’attaccamento al sé,
liberare la coscienza, il continuum, allenarci nell’amore,
compassione e bodhicitta.
(Inizia
una discussione sull’amore ma la registrazionea questo punto si
interrompe bruscamente)
Fine!
*******
Māhamudhrā:
significa “Grande sigillo” è la rappresentazione simbolica della
perfezione divina.
Vajradhara:
l’identità del divino è unica e per i cristiani potrebbe
corrispondere a Dio.
Buddha:
Essere
illuminato
Mañjusrī:
Per i cristiani corrisponde al Cristo.
Samsāra:
ciclo delle vite di sofferenza, condizione di tutti gli esseri
viventi.