Tuesday, 22 August 2017

La Via della Beatitudine Del Cuore - Mente








La Via della Beatitudine
Del Cuore - Mente







Geshe Gedun Tharchin
29 - 30 aprile 2017
MERANO












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INDICE

Motivazione causale e Motivazione contemporanea
I sei preliminari alla pratica del Dharma
Rigpa e Ma-rigpa









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Motivazione causale e Motivazione contemporanea

Apriamo questo incontro con la recitazione delle preghiere di rifugio, purificazione, offerte e infine con il mantra del Sūtra del Cuore.

(seguono preghiere)

Per me è sempre una rinnovata gioia poter dare il benvenuto ai partecipanti a questo incontro di Dharma, è bello ritrovarsi periodicamente qui, in questo piccolo Centro di Dharma a Merano, per approfondire e condividere l’antica saggezza, il messaggio di pace, della pace interiore che opera come preziosa goccia di balsamico olio essenziale.
Soprattutto oggi, in un mondo in cui la tecnologia avanza a livelli vertiginosi, è importante fermarsi in silenzio per poter procedere altrettanto efficacemente nella propria crescita interiore.
In occidente la cultura umanistica era ben radicata sin dai tempi antichi in cui il pensiero dei filosofi greci e latini gettava i primi essenziali semi, e ciò ancor prima della parola del Buddha e del Cristo.
La via della beatitudine di cuore e mente non è una filastrocca indiana o una canzoncina piacevole, è un cammino profondo, segreto, che può realizzarsi soltanto nella propria interiorità, anima, coscienza, intelligenza, mai forzato o faticoso, ma naturale e culturalmente avanzato.
Non esiste né nome né etichetta per definire un percorso così personale e profondo, nella cultura asiatica lo si esprime con il termine Dharma e in quella occidentale con Spirito santo.
Il cammino dell’anima, della coscienza, dello spirito non è il comune viaggio umano, è la via che permette di affrontare con serenità, pace, gioia qualsiasi ostacolo l’esistenza presenti nell’ordinarietà dei giorni.
La concentrazione che quotidianamente poniamo nella preghiera, nella meditazione, nella ripetizione dei mantra non sono in sé pratica di Dharma, ma ne permettono la realizzazione in quanto ci accompagnano passo dopo passo in questo percorso segnato dalla pura intenzione del cuore, unica condizione che imprime valore ad ogni atto, poiché in caso contrario la preghiera stessa potrebbe diventare negativa se formulata con motivazione egoistica, utilitaristica e con attaccamento.
La motivazione o intenzione è dunque fondamentale, diversamente tutto sarebbe vanificato, e può essere diretta o indiretta, ma in ogni caso è sempre presente sia a livello conscio che inconscio e tutto dipende dalla sua qualità, da essa sorge il karma.
La motivazione si articola su due livelli vi è una prima fase che è la causale e una seconda che è la realizzazione effettiva dell’intenzione.
Ogni atto è determinato in contemporaneità da due tipi di motivazione, quella che l’ha causata e quella che la trasforma in azione da cui sorge un effetto che può essere a sua volta causa di ulteriore motivazione.
Il secondo atto, la motivazione dell’azione, è detta motivazione contemporanea ed è resa possibile dalla prima, la motivazione causale che l’ha generata.
Se la motivazione causale è buona lo sarà altrettanto quella contemporanea e la percezione, la consapevolezza di questa positività è la beatitudine di cui parliamo.
La beatitudine è sentire, vivere, la bontà della motivazione che determina ogni azione della nostra esistenza, per questo la radice di tutte le pratiche del Dharma è la motivazione.
Saper trasformare le motivazioni è il nostro lavoro, facile e difficile allo stesso tempo, ma essenziale, su cui fondare ogni meditazione.
In Tibet si narra di un famoso Geshe Kadampa, Bengunjé, personaggio particolare vissuto nel decimo secolo, il periodo d’oro della pratica di Dharma seguente all’arrivo del grande maestro Atīsha nella zona più arida e dura del paese, nella regione del monte Kailash bruciata dal sole e gelida al contempo. I praticanti Kadampa erano persone semplicissime, non avevano istruzione e trasmettevano gli insegnamenti di base oralmente dedicando completamente la loro vita alla pratica del Dharma più puro, autentico.
Bengunjè in origine era un temutissimo bandito famoso in tutto il territorio per la sua efferatezza, fino a che un giorno incontrò una vecchietta semplice e umile che, salutandolo, gli chiese il nome e quando lui lo pronunciò questa persona cadde a terra morta per lo spavento. Questo fatto sconcertò Bengunjé che solo in quell’istante realizzò quanto dolore avesse causato agli altri e si generò in lui istantaneamente la volontà di cambiamento radicale, la motivazione divenne la radice di ogni sua azione, raccolse piccole bianche e altre nere e ogni sera riesaminando le azioni della giornata poneva da un lato i sassetti neri per contare tutte le intenzioni non buone e dall’altro quelli bianchi per le motivazioni buone. All’inizio il mucchio di pietre nere era molto alto mentre i sassolini bianchi erano pochissimi, ma poi, giorno dopo giorno, con lavoro e pazienza questa situazione si trasformò completamente e il mucchio di pietre bianche era quasi totale.
Ovviamente oggi questa modalità di valutazione non sarebbe possibile, la nostra vita è frenetica, scandita da impegni che si susseguono senza pause, non avrebbe alcun senso considerare meccanicamente come meditare quasi si trattasse di una ginnastica, ma ciò che è importante, anzi necessario, è la riflessione, la meditazione sulla motivazione quale fondamento della pratica del Dharma. Osservare la motivazione è la nostra vita segreta, il viaggio, il cammino dell’anima, anima gioiosa, benedetta, soddisfatta, contenta.
Non si tratta mai di cercare una motivazione in base ad un giudizio di positività o negatività, il giudizio in sé rappresenta già un elemento negativo in quanto è sempre relativo, limitante, inutile, bisogna semplicemente raccogliersi con introspezione e osservare la motivazione, questo è il primo passo fondamentale che conduce alla libertà.
La motivazione è nelle nostre mani e come possiamo osservarla? - Con la mente cuore, ma la domanda non è facile perché: - chi la osserva? Io, sempre io, con la mia mente cuore, in un impasto dualistico incessantemente presente e il saper riconoscere questa costruzione mentale implica una grande operazione di liberazione, di pulizia, una meditazione analitica che porta ad una reale conoscenza di se stessi, delle proprie reazioni di fronte alle diverse situazioni della vita.
Questo è un approccio morbido alla propria interiorità e va al di là della materia pesante, si libera nello spazio, noi siamo in grado di costruire un castello di spazio nello spazio, il lavoro spirituale di comporre e scomporre nello spazio è una realtà non facile, ma autentica, vera.
I fenomeni solidi sono agevolmente individuabili ed è semplice cambiarli, ma è altrettanto necessario imparare a riconoscere quelli più sottili che operano nello spazio, le emozioni e reazioni interiori, dobbiamo saperli osservare e riconoscere poiché solo così è possibile trasformarli senza esserne condizionati, dobbiamo saper superare ogni timore, ogni angoscia, ogni barriera interiore, senza più alcuna paura, questo è il cammino del risveglio.
La nostra più grande angoscia è la paura della morte e la si può annientare solo avendone conoscenza, camminando nello spirito, nel superamento dell’ignoranza che ci acceca e rende incapaci di vedere i fenomeni sottili, intangibili, che possiamo conoscere solo nell’interiorità, nello spazio, nella saggezza.
Questo cammino è la liberazione che ci apre alla visione vera del mondo e che non può mai essere esteriore in quanto questa è sempre ingannevole, illusoria, bensì è la visione che possiamo osservare con coraggio e consapevolezza soltanto nella profondità di noi stessi, nella nostra anima.
La via di beatitudine di cuore e mente è tracciata dalla motivazione poiché tutto in noi è motivazione; se questa è determinata dalla paura la nostra esistenza sarà un vero inferno, ma se, al contrario, nella visione interiore superiamo tale immotivato e illusorio ostacolo la vita sarà veramente ricca di beatitudine e pace.
Vi sono tre livelli di esistenza, il primo è nel mondo visibile, il secondo nel mondo invisibile e infine il terzo nel mondo alternativo.
Se ci fermiamo al primo livello non vediamo concretamente ciò che definiamo paura, non la distinguiamo e proprio a causa di tale oscuramento la percepiamo con grande angoscia, ne siamo travolti e paralizzati e ogni nostra azione è motivata dalla paura, un terrore incontrollabile che ci fa sentire perennemente minacciati e, nei disperati tentativi di combatterla e sconfiggerla, ricorriamo inutilmente ai più svariati artifici ingannevoli, dalla rimozione del pensiero alla superficiale ricerca di stordimento, perdendo così completamente ogni possibilità di realizzazione della tranquillità mentale e permanendo stabilmente in uno stato di tormento ininterrotto.
Dunque, come superare gli ostacoli che tendono a bloccarci? e come praticare concretamente il Dharma?
Nell’antica tradizione Kadampa si narra che Atīsha, osservando uno dei giovani monaci che diligentemente stava compiendo la circoambulazione intorno allo stupa, gli domandò cosa stesse facendo e il monaco rispose che stava praticando il cora. Atīsha assentì dicendo: - molto bene, ma è meglio praticare il Dharma - Il monachello dunque pensò che forse sarebbe stato preferibile recitare mantra, ma la risposta di Atīsha rimase la stessa: - molto bene, ma è meglio praticare il Dharma - . Sempre più intimorito il discepolo si accinse a dedicarsi alle prosternazioni e Atīsha ripeté: - molto bene, ma è meglio praticare il Dharma - e così via, la risposta rimaneva sempre la stessa e alla fine il monaco esausto e confuso poiché aveva fatto tutto e bene chiese ad Atīsha: - ma come si pratica il Dharma? -
La risposta di Atīsha fu: - Domare, addestrare la mente - e questo ha un unico significato: osservare, curare la Motivazione, non è tanto importante ciò che si fa, bensì l’intenzione che produce l’azione.
Prima di tutto è necessario comprendere due fattori, 1) chi osserva la motivazione, il soggetto, e 2) cosa si osserva, l’oggetto; questo è l’approccio corretto per poter conoscere pienamente la propria realtà, il mondo, la vita, l’universo, smantellando una a una le false illusioni, le sovrastrutture fittizie e ingannevoli. Questa consapevolezza è la saggezza.
La saggezza è l’unica conoscenza che ci permette di superare ogni emozione paralizzante quale paura, rabbia, ansia, attaccamento, odio e non è conquistabile con la fatica fisica, materiale, la saggezza è spazio infinito, noi stessi siamo spazio, la beatitudine è il valore spirituale nello spazio, tutto dipende dallo spazio, lo stesso corpo è spazio.
Intervento: Quindi è un errore pensare che le emozioni tipo rabbia, odio e tutto ciò che noi tendiamo a definire inesistente sia privo di corpo, in realtà tutto ha una sua esistenza nello spazio, altrimenti lo spazio stesso non esisterebbe. Se si comprende come lo spazio sia invece una realtà esistente si comprende quanto sia importante avere coscienza di questo spazio dentro di noi e vedere in questo spazio tutto ciò che accade, la nostra stessa paura, perché solo osservandola in questo modo è possibile trasformarne la qualità.
Domanda: Questo vale per tutte le situazioni negative?
Lama: Non esistono situazioni esclusivamente positive o negative, questa è già un’errata visione, noi istintivamente di fronte a qualsiasi evento formuliamo subito un giudizio, un’interpretazione parziale, errata che può essere superata soltanto nella saggezza che cancella i limiti di false osservazioni della realtà, i concetti di giusto o ingiusto, bene o male, bello o brutto, ciò che guida è soltanto la pura intenzione nello spazio infinito dell’innocenza. Non esiste nulla che sia soltanto negativo poiché anche le negatività posseggono elementi indispensabili, necessari e dunque positivi.
Intervento: Se non ci fosse la negatività non ci sarebbe un sentiero verso la positività.
Lama: Dobbiamo impiegare i mezzi abili, osservare e usare ogni emozione, rabbia, compassione, attaccamento, amore, gelosia, invidia, generosità, perché tutto è parte della vita, ha un suo ruolo, ed è quindi necessario accogliere e fare la sintesi di ogni aspetto di questa forma umana. Soltanto l’effetto di tutto l’insieme produce il nirvāna, la liberazione nella beatitudine dello spazio, nell’essenza della nostra anima.
Domanda: Non mi è molto chiaro come si debba procedere con la motivazione, perché come possiamo sapere se la nostra motivazione sia corretta o meno?
Lama: Il principio che guida ogni motivazione è chiaramente sintetizzato nei quattro pensieri incommensurabili: il primo è l’Equanimità, cioè avere una mente libera da attaccamento e avversione, poi seguono Amore, Compassione e Gioia. La Motivazione non può mai essere un obbligo, una fatica, bensì deve essere sempre una consapevole, libera, gioiosa scelta e la sua potenzialità è il Dharma. Questo è il valore spirituale che costituisce il senso della nostra vita. Ora dite voi cosa pensate in proposito.
Risposte: - Faccio un passo indietro e ritorno al discorso sulla paura, io mi chiedo “perché ho paura?” credo che questo dipenda dal fatto che non conosco il sé, perché a me pare che noi esistiamo in tre livelli: l’ego, l’io e il , una divisione simile a quella dei tre mondi, visibile, invisibile e alternativo. Noi viviamo costantemente e faticosamente nell’ego, questo è indubbio, dell’io invece abbiamo l’intuizione che ci permette di sviluppare la motivazione e di praticare il Dharma e che, quando saremo alla fine del percorso umano, ci porterà alla conoscenza del sé, e solo allora la paura scomparirà naturalmente;
A me piace molto quest’idea dello spazio che non è vuoto o privo di esistenza, bensì creativo e in questa essenza si presenta la motivazione;
Tu hai detto che la via è ancora molto lunga, non c’è via verso la beatitudine, ma la beatitudine è la via, e dunque la gioia la trovo nella motivazione con cui faccio le cose;
Veramente la motivazione è fondamentale e non c’è alcuna differenza tra un cardiochirurgo e uno spazzino perché se la motivazione del cardiochirurgo è quella di diventare famoso, ricco, può essere negativa, mentre quella dello spazzino che pulisce con consapevole amorevolezza la strada per il bene comune è proficua.
Lama: Fare tutto consapevolmente in armonia, questo è importante. Ora dedichiamo il buon lavoro sviluppato insieme oggi e i meriti accumulati a beneficio di tutti gli esseri senzienti recitando insieme la preghiera di dedica.





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I sei preliminari alla pratica del Dharma

Riprendiamo la nostra riflessione ricordando l’essenza della pratica di Dharma, la motivazione, che deve sempre essere appropriata, in grado di gestire, indirizzare, correggere per permetterci di realizzare l’unico sostanziale obiettivo che, come ha insegnato Atīsha, è - praticare il Dharma -. Una sola breve frase che dice tutto, non si riferisce alla pratica formale, bensì all’apporto nella nostra esistenza degli elementi fondamentali: saggezza, conoscenza, profondità e poiché tutto ciò che facciamo è determinato dalla motivazione che ne imprime la qualità e ci modifica praticare il Dharma comprende il tutto.
La pace, la tranquillità interiore, la gioia, la beatitudine, la soddisfazione e la contentezza costruiscono una vita realmente liberata dalla paura e capace di trasformare la quotidianità in autentica pratica di Dharma.
Per indirizzarci correttamente nel cammino della pratica di Dharma abbiamo uno strumento importantissimo che però deve essere applicato con intelligenza, apertura mentale e corretto approfondimento e consiste nell’applicazione di sei pratiche preparatorie, o preliminari, che costituiscono in ogni loro aspetto le azioni utili che ci guidano in questa esistenza, passo dopo passo, sulla via del Dharma.
La prima pratica indica la necessità di pulire la stanza, decorare l’altare, rendere bello, appropriato l’ambiente, una pulizia e cura in omaggio ai tre gioielli, Buddha, Dharma e Sangha, o a Padre, Figlio e Spirito santo, o a qualsiasi altra Trinità così come rappresentata in tutte le religioni, un’azione che ci libera, mai imprigionati in regole rigide, allarga il nostro cuore con le modalità che ogni tradizione suggerisce. La pulizia, la decorazione esteriore, l’omaggio ai tre gioielli ovviamente non sono fine a se stessi, ma implicano una realizzazione interiore ben più complessa, rispetto, devozione e pulizia interiore sono la base necessaria per un approccio purificato a ciò che viene dopo.
La seconda pratica consiste nel presentare l’offerta pura, sciolta da ogni inganno, incorrotta, non conta la sua consistenza, il valore intrinseco, ma la purezza con cui la si dona, un fiorellino di campo può essere infinitamente più prezioso di un oggetto prezioso, tutto dipende dall’apertura di cuore, dalla gioia del dare, dall’autentica generosità interiore.
La terza pratica definisce l’importanza della postura del corpo, il nostro tempio in cui approfondire ogni realizzazione spirituale ed è articolata in sette posizioni ben rappresentate nella raffigurazione del Buddha Vairočana. È molto importante applicare ogni punto con naturalezza, senza forzature, è bene stare seduti in modo confortevole, rilassato, mantenendo la schiena diritta per permettere l’agevole scorrere del flusso di energia nei chakra.
Il flusso energetico è favorito dall’applicazione dell’ottava postura, la pratica dei ventuno cicli di respiro, ma, attenzione, non necessariamente riguarda esclusivamente l’esercizio fisico, bensì, soprattutto, deve essere introiettata a livello immaginario.
Visualizziamo i tre canali principali che scorrono nel corpo, dalla sommità del capo sino all’inguine, uno centrale e due laterali, e immaginiamo di inspirare con la narice sinistra ed espirare dalla narice destra, per sette volte, poi per sette volte inspiriamo con la narice destra ed espiriamo con la sinistra e infine per altre sette inspiriamo nuovamente con la narice sinistra ed espiriamo con la destra.
Altra pratica simile e altrettanto importante consiste, con la stessa modalità, nel ciclo dei nove giri di respiro, invece di sette si ripete questa alternanza per tre volte e nella visualizzazione si immagina di inspirare da una narice la luce purificatrice che pulisce, illumina, libera e con l’espirazione dall’altra si espelle tutta la nostra ignoranza e le varie impurità e negatività.
Proviamo dunque insieme questa pratica mantenendo la mente libera da avversione, attaccamento e ignoranza.
Siamo giunti a metà percorso nell’esame del significato delle pratiche preparatorie, e possiamo sederci in posizione confortevole con attenzione alle sette posture del Buddha Vairočana e iniziamo la purificazione mentale tramite i cicli dei 21 o 9 giri di respiro e, rimanendo concentrati nella meditazione, dimoriamo nell’equanimità della calma di cuore mente con cui poter stabilire tramite i quattro pensieri incommensurabili la buona motivazione.

(segue breve meditazione concentrata sul respiro)

Ora recitiamo le preghiere relative a questi preliminari, cominciamo prendendo rifugio nei tre gioielli, poi generiamo la bodhicitta nella pratica delle sei pāramitā: - Generosità, Etica o Moralità, Pazienza, Perseveranza entusiastica, Concentrazione, Saggezza - per ottenere l’illuminazione a beneficio di tutti gli esseri senzienti nella generazione della bodhicitta.
Soltanto l’Amore vincerà la morte, la paura della morte, questo è il senso della bodhicitta, universale conoscenza della realtà che non ha nulla di illusorio, la bodhicitta supera tutto è una realtà infinita.
Si conclude dunque la terza pratica preparatoria con l’applicazione dei quattro pensieri incommensurabili che costituiscono un’unità nella motivazione con equanimità, amore e compassione e gioia, quattro aspetti correlati e inscindibili di un’unica realtà nel continuum mentale.
Ora affrontiamo la pratica della visualizzazione in cui si costruisce il campo di meriti, un’anima superiore che procede con questa guida verso l’illuminazione. La visualizzazione del campo di meriti, in cui collochiamo i maestri, i Buddha e i Bodhisattva, non è definibile rigidamente secondo un unico schema per tutti, ogni scuola, ogni religione, ogni persona ha il suo campo di meriti e ogni praticante può mettervi chi e ciò che ritiene una guida valida per se stesso.
L’immaginazione ha un potere molto forte e conduce alla realizzazione della pratica Vajrāyana, crea la realtà, è il compito del terzo occhio, l’occhio della mente che porta gioia, serenità, salute ed equilibra ogni cellula del corpo. È importante non porre ostacoli e preconcetti alla visualizzazione del campo di meriti, perché, come affermava Einstein, il potere dell’immaginazione è più forte della conoscenza, va al di là del visibile, inevitabilmente circoscritto, e osserva la realtà infinita, illimitata, dunque ognuno immagini liberamente il proprio campo di meriti, questa è la fondamentale azione del terzo occhio.
Abbiamo così percorso velocemente i primi quattro preliminari, il quinto si sofferma sull’essenza della pratica dell’accumulazione che è la purificazione dell’offerta del mandala ben illustrata nella preghiera dei sette rami in cui si sintetizzano i vari passaggi, omaggio, offerta, confessione o distruzione delle proprie azioni negative accumulate, ammirazione e gioia per i meriti altrui, ricerca del Dharma, preghiere di lunga vita di altri e dedica dei meriti accumulati a beneficio di tutti gli esseri.
La spiegazione dell’offerta del mandala è lunga e complessa, ma sintetizzando diciamo che riguarda l’offerta dei meriti di corpo, parola e mente nei tre tempi: passato, presente e futuro, con il dono illimitato di tutti i beni immaginabili, e l’insieme così costituito è presentato nella forma di mandala.
L’offerta del mandala sintetizza la pratica più pura e completa della generosità, della compassione, della pazienza, della perseveranza entusiastica, della concentrazione, della saggezza senza limite, senza attaccamenti, confini o strutture di alcun genere, tutto è nella realtà dell’infinito in corpo, parola e mente.
La pratica dei sette rami comprende davvero tutto e ogni tappa indica un radicale lavoro che induce una trasformazione profonda di sé e, insieme alla visualizzazione dell’offerta del mandala, porta a vivere realmente nella realtà della terra pura.
Tutto scaturisce dall’impegno interiore, non si tratta di una favola, ma è la realizzazione concreta della propria capacità di visualizzazione, di immaginazione, questo è il grande potere del Dharma, poter uscire dall’ordinario per vivere in una dimensione più ampia, completa, illimitata.
Intervento: In un primo approccio superficiale noi occidentali potremmo avere difficoltà ad entrare in questo universo, eppure nella Messa cattolica al momento dell’offertorio avviene la stessa cosa, perché quando il sacerdote alzando l’ostia e il vino ricorda le parole del Cristo “questo è il mio corpo e il mio sangue mangiatene e bevetene tutti” ci trasforma in una dimensione non ordinaria. Credo che questo aspetto della trasformazione della mente in una realtà non tangibile, ma assolutamente reale, sia presente seppur in modalità diverse in tutte le religioni.
Lama: Certo, ecco perché è così importante leggere i testi sacri andando oltre il significato formale e limitato del linguaggio, l’insegnamento e il messaggio che viene dato è infinitamente più vasto, profondo, universale e infinito. Una ripetizione delle preghiere che si fermi al solo senso letterale delle parole è inutile e dannosa. Questo è il problema della società moderna fondata sul pragmatismo tecnologico veloce, è invece necessario sapersi addentrare in un’altra dimensione, scendere ad un più profondo livello di coscienza e di realizzazione della realtà. Io seguo spesso la Messa con attenzione e scopro moltissime similitudini con il buddhismo, addirittura le stesse parole, i cristiani si rivolgono al Cristo come il salvatore del mondo e noi facciamo altrettanto con il Buddha, e non vi è alcuna contraddizione in questo, al contrario l’inclusione è perfetta, semplicemente vengono utilizzati due nomi diversi, Cristo e Buddha, per indicare le stesse qualità, capacità e sacralità.
Intervento: Infatti, anche perché Gesù è un nome proprio, come Śākyamuni, mentre il Cristo indica l’unto del Signore, cioè l’illuminato, esattamente come il Buddha.
Lama: È così e la vera forza del mandala è proprio la capacità e possibilità di cambiare questo mondo ordinario in mondo straordinario.
La pratica Vajrāyana consiste nel trasformare con la forza dell’immaginazione tutto ciò che si osserva in realtà divina, tutto ciò che si sente in mantra, tutto ciò che si pensa in Dharmakāya. Questo ad esempio è chiarissimo nella vita di Milarepa e di san Francesco, tutto è sacro, tutto ha natura divina.
Domanda: Quando parli di attaccamento ti riferisci solo a oggetti, beni materiali, o anche ad attaccamento, abitudini e dipendenza da sostanze?
Lama: L’attaccamento può essere di tipo biologico, chimico, fisico, mentale a tutti i livelli, eppure esiste anche un attaccamento a livello incontrollato, non cosciente. Ad esempio tu puoi non avere alcun attaccamento ad una tua condizione biologica, o chimica, ma le tue cellule no, ne sono strettamente attaccate quindi, affinché non si crei inutile confusione, qui consideriamo esclusivamente l’attaccamento a livello mentale.
Il Buddha Śākyamuni quando si rese conto della sua situazione ricca di molti privilegi e beni volle abbandonare tutto immediatamente, in un colpo solo, liberarsi da ogni pur minimo attaccamento e per questo fuggì dalla sua casa compiendo la grande rinuncia. Ma per noi non sarebbe possibile un simile salto, resteremmo confusi dai troppi tipi di attaccamento, quindi concentriamoci sull’attaccamento mentale, risaliamo alla sua natura di sofferenza così da poter comprendere e intervenire sulla sua causa.
Riassumendo il lavoro di oggi le prime cinque pratiche preparatorie esaminate sono:
La pulizia, la purificazione dell’ambiente per la presentazione corretta dei tre gioielli;
L’offerta pura;
La corretta postura in sette punti e la calma della mente tramite il respiro con la giusta motivazione attraverso la presa di rifugio nei tre gioielli, la generazione di bodhicitta e la pratica dei pensieri incommensurabili;
La visualizzazione del campo dei meriti in cui stabiliamo il nostro spazio;
La sintesi, l’essenza della purificazione nell’accumulazione di meriti, la pratica dei sette rami e l’offerta del mandala.
Rimane dunque l’ultimo preliminare, il sesto, di cui parleremo nel pomeriggio. Intanto grazie per tutto, per questa condivisione e ricerca insieme.

Concludiamo con la preghiera di dedica.




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Rigpa e Ma-rigpa

La sessione riprende con la recitazione del mantra del Sūtra del Cuore, la meditazione, il radicamento, la madre di tutti i vittoriosi, i Buddha, la Prajñāpāramitā, la perfezione della saggezza che nel buddhismo è espressa in queste sillabe:
TADYATHA GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
La perfezione della Saggezza è riconosciuta come Madre in quanto senza madre non ci possono essere figli, senza Saggezza non ci possono essere Buddha.
La traduzione del significato di questo mantra fondamentale è davvero difficile, ma tentiamo di darne un abbozzo aiutandoci nell’osservazione della figura qui rappresentata sul tanka.
Per cinque volte si ripete il termine “Gate” che significa entrata, porta aperta sul confine che definisce due mondi, non in senso geografico, ma spirituale, samsāra e nirvāna e che non sono separati, divisi, bensì parte della stessa unità.
Il samsāra ci fa permanere nell’illusione, nella confusione, nell’incapacità di scioglierci dal pantano delle molteplici emozioni. Questo senso di angoscia, di incapacità e impossibilità ad uscire da una situazione dolorosa è ciò che sperimentiamo spesso nel sonno, ma al risveglio l’incubo finisce all’istante e ci sentiamo con sollievo completamente liberati. Questo è un esempio della nostra vita samsarica, spesso non vediamo vie d’uscita, siamo condizionati dalla confusione samsarica e l’unica soluzione è il risveglio.
E come risvegliarci? Utilizziamo sempre la metafora del sonno perché il nostro vagare nell’illusione samsarica è davvero un sogno, dobbiamo consapevolmente sviluppare nel momento di entrata in questo stato di torpore il Rigpa, l’unico strumento che ci permette di staccarsi dall’incubo, di superare l’oscuramento mentale e in grado di determinare automaticamente al momento del risveglio la sua cessazione.
Rigpa è un termine Dzogchen che indica la mente di saggezza.
La saggezza è frutto della consapevolezza che deve essere vigile sempre, anche nella condizione samsarica che è come sogno e come tale deve essere riconosciuta poiché soltanto questa consapevolezza cambierà completamente la nostra reazione che non sarà più di paura, di disorientamento, ma di tranquilla osservazione. Nello stato di saggezza risvegliata sappiamo che si tratta solo di un sogno e quindi lo osserviamo con distacco nella sua apparenza, senza più alcun timore, se invece manca tale coscienza ci lasciamo completamente travolgere dall’ingannevole visione di eventi illusori che viviamo come reali.
La consapevolezza ci mostra come queste apparizioni siano soltanto illusioni, non reali e dunque il nostro cammino nel samsāra può procedere nella visione di saggezza, in uno stato di conoscenza e non sopraffatto dalla confusione di un sonno samsarico inconsapevole e ingannevole.
In genere si traducono le parole “rigpa” come consapevolezza e “ma-rigpa” come ignoranza, però sarebbe più corretto dire che con la prima si intende la capacità di vedere e con il suo contrario l’incapacità di vedere, uno stato in cui non si distingue nulla, si è nella totale inconsapevolezza, nella confusione e nell’oscuramente completo. Rigpa è saggezza e ma-rigpa la sua assenza.
Nella condizione di ma-rigpa siamo addormentati o come in coma, incapaci di vedere e comprendere che si tratta soltanto di un sogno, di un incubo da cui è possibile uscire trovando la via tramite la vigile coscienza, la presenza mentale che ci fa riconoscere che stiamo vedendo soltanto le immagini di un sonno angoscioso e maturare lo stato di rigpa che ci indica il cammino verso il risveglio.
Questa è la nostra salvezza, la via della beatitudine di cuore e mente, significa che dobbiamo essere pienamente nel samsāra, senza rinnegare nulla, ma vivendo tale condizione con consapevolezza, come spettatori, coscienti di essere in un sogno che viviamo fino in fondo, però riconoscendolo per quello che è.
La mancanza della saggezza non è imputabile a qualcuno o a qualcosa, semplicemente è una condizione di ignoranza fondamentale, spontanea, che sorge dal buio totale che non permette la visione di nulla e in questa oscurità si forma l’ignoranza intellettuale che pretende di giudicare ogni circostanza secondo una interpretazione propria, nulla si vede nella realtà e dunque si creano immagini false, illusorie, si ritiene tutto come permanente e concretamente stabile, mentre nulla lo è. Questo è il mondo illusorio samsarico, ne siamo immersi e non dobbiamo rinnegarlo, ma ciò che è davvero fondamentale è semplicemente averne consapevolezza.
Tutti i fenomeni samsārici che noi percepiamo come reali sono solo il riflesso della luna nel lago.
L’argomento è molto complesso e implica un lavoro finissimo di trasformazione interiore e ciò che deve essere sempre presente è il riconoscimento del non dualismo tra verità convenzionale e verità ultima.
Ora cerchiamo di concludere il veloce percorso di analisi del senso delle pratiche preliminari, manca la sesta che è la preghiera, o meglio la richiesta di benedizione degli Esseri del campo di meriti a cui ci possiamo rivolgere singolarmente, un maestro alla volta, oppure collettivamente.
È una richiesta di benedizione per la realizzazione del sentiero verso l’illuminazione, il Lam Rim, leggiamo dunque insieme la preghiera del fondamento di tutte le buone qualità:

Il Fondamento di Tutte le Buone Qualità
Di Je Tzong Khapa

I Maestri spirituali, gentili e venerabili sono il fondamento di tutte le buone qualità. Comprendendo che affidarsi a loro e la radice del sentiero, vi prego beneditemi affinché io possa seguirli con grande rispetto e sforzo intrepido.
Una vita umana dotata di agi si ottiene una sola volta. Comprendendo che ha un grande valore ed è difficile da ottenere, vi prego beneditemi perché io possa produrre incessantemente la mente conscia della sua preziosità e rarità giorno e notte.
Il nostro corpo e la nostra vita vacillano come una bolla d’acqua; ricordati della morte, perché moriamo così velocemente. Dopo la morte, gli effetti del karma nero e bianco ci seguono come un’ombra segue un corpo.
Essendo certo di ciò, vi prego beneditemi perché io possa sempre stare attento ad abbandonare anche la più piccola azione negativa e completare l’accumulazione di ogni virtù.
Non c’è soddisfazione nel godere dei piaceri mondani. Sono le porte di tutta la sofferenza. Avendo realizzato che il difetto delle perfezioni samsariche è che su di loro non si può fare affidamento, vi prego beneditemi perché io possa costantemente concentrarmi sulla beatitudine della liberazione.
Questo pensiero puro (di ottenere la liberazione) produce grande coscienza, presenza mentale e consapevolezza. Vi prego, beneditemi perché io possa intraprendere la pratica del Pratimoksa, la radice della dottrina.
Avendo visto che tutti gli esseri, mie madri, sono caduti come me nell’oceano dell’esistenza ciclica, vi prego, beneditemi perché io possa addestrarmi nella bodhicitta, assumendomi l’obbligo di liberare tutti gli esseri migratori.
Generare solo l’aspirazione, senza coltivare le tre pratiche morali, non conduce all’illuminazione. Avendo realizzato ciò, vi prego beneditemi perché io possa praticare con sforzo intenso i voti del Conquistatore e dei suoi figli spirituali.
Acquietando la distrazione rivolta agli oggetti falsi e analizzando il significato della realtà, beneditemi perché io possa velocemente generare il mio flusso mentale, il sentiero che unisce la calma dimorante alla visione speciale.
Quando, addestrato nel sentiero comune, sarò divenuto un recipiente adatto, beneditemi affinché io acceda facilmente al grande sentiero per i fortunati, il Vajrāyana, il più alto di tutti i veicoli.
La base per conseguire i due potenti Siddhi è costituita dai voti puri e dagli impegni. Scoprendolo con genuina certezza, beneditemi perché io possa mantenerli anche a costo della mia stessa vita.
Avendo realizzato il significato dei due stadi, che sono l’essenza del sentiero del mantra, vi prego, beneditemi perché io possa praticare tenacemente e senza pigrizia le quattro sessioni di Yoga, e realizzare ciò che gli Esseri nobili hanno insegnato.
Possano i Maestri Spirituali che mi guidano lungo il sacro sentiero e tutti gli amici spirituali che lo praticano avere lunga vita. Vi prego, beneditemi affinché io possa velocemente e completamente pacificare tutti gli ostacoli esterni e interni.
In tutte le mie rinascite possa io non essere mai separato dai perfetti Maestri Spirituali e gioire del magnifico Dharma. Conseguendo tutte le qualità degli stadi e dei sentieri, possa io velocemente ottenere lo stato di Vajradhara.”

Se ricevessimo tutte queste benedizioni saremmo estremamente fortunati. È fondamentale questa sesta pratica preparatoria di richiesta di benedizione e riguarda tutti i sentieri che portano all’illuminazione.
In questi versi Lama Tzong Khapa si rivolge al gentile maestro quale fondamento di tutte le buone qualità, ma chi è questo maestro gentile?
Risposta: Il maestro interiore…
Lama: Certamente è molto importante, ma le domande da porsi in realtà sono due, in primo luogo è necessario comprendere perché il gentile maestro sia il fondamento della radice di tutte le buone qualità, e poi, ed è la domanda che pongo a voi ora, chi è questo maestro?
Risposte: -È chi mi dà gli insegnamenti, colui dal quale ho ricevuto le iniziazioni ed è anche il maestro interiore…; - Il maestro può essere tutto, la vita stessa, sia esterna che interiore…; - In questo testo però si evidenzia l’importanza della persona fisica, del guru…; - Per me vale quanto dice Paolo nella Bibbia quando si riferisce alla parte indistruttibile nella profondità del cuore dell’uomo…; - Esistono più livelli, c’è un maestro esteriore, uno interiore e uno segreto…; - Nella consapevolezza tutto diviene maestro, non c’è nulla e nessuno che non lo sia e il maestro che ha l’ultima parola, il maggior peso, è sempre il maestro interiore.
Lama: Tutte buone risposte su un argomento immensamente importante.
Il venerabile maestro come fondamento di tutte le buone qualità è la radice del sentiero e l’unico modo per poter guidare alla corretta applicazione delle pratiche che, appoggiandosi ad una guida spirituale, sono indirizzate sul sentiero verso la realizzazione della pura visione che ci permette di trasformare questa terra impura in terra pura, qui e ora, ed è una trasformazione che non è oggettivamente dipendente da nessuno e nemmeno estendibile ad altri, è la pura visione personale, costruita con la nostra profonda azione interiore, passo dopo passo.
Se deleghiamo al maestro esteriore, quale unico artefice, la realizzazione della nostra pura visione e mitizziamo la persona e il suo potere diventiamo fanatici e non concluderemo proprio nulla, questo è un lavoro interiore che possiamo fare soltanto noi individualmente, pur avvalendoci e riconoscendo tutto il valore di guide esterne che possano indicare una corretta direzione.
La sintesi della pratica dei sette rami e l’offerta del mandala, la pratica di purificazione è l’accumulazione di meriti, la si può applicare in ogni circostanza e verso chiunque ed è un ottimo metodo quello di iniziare con una sola persona che ci è cara e vicina e che facilmente possiamo riconoscere quale nostro maestro gentile.
È un esercizio eccellente che costruisce mattone su mattone un genuino altruismo rivolto dapprima ad una persona amica con cui è facile entrare in condivisione e poco alla volta esteso spontaneamente con naturale empatia a più persone per giungere infine con naturalezza a generare autentico rispetto, venerazione e gratitudine nei confronti di tutti gli esseri senzienti, riconoscendoli davvero con gratitudine e stupore come gentili maestri nella pura visione che è il punto di partenza per qualsiasi realizzazione.
Per questo la pratica della pura visione è la radice di tutti i sentieri e il vero significato della devozione al maestro.
Le varie distorsioni che tendono a sollevarci da ogni impegno e responsabilità personale inducendoci a delegare ogni nostra realizzazione ai maestri esteriori in cui vogliamo vedere e venerare una perfezione quasi magica attribuendo loro capacità miracolistiche, per cui è sufficiente un loro soffio e il nirvāna ci è assicurato, sono soltanto forme di fanatismo che uccidono il Dharma, questo non è buddhismo, ma ignoranza che limita, distrugge, impedisce la crescita e lo sviluppo di qualsiasi realizzazione. Questo rischio, già ampiamente diffuso nel Tibet del passato, sta ora dilagando in occidente con forme di fanatismo che sono assimilabili a vera superstizione e che nulla hanno in comune con la pratica spirituale.
Ogni preghiera, meditazione, testo, devono dunque essere sempre affrontati con consapevole apertura mentale, con intelligenza.
Il guru, il maestro gentile, non è identificabile con una persona, ma con ogni situazione e condizione che sia sorgente di ispirazione all’autentica pratica di Dharma poiché, come dice Atīsha: “Tutto va bene, ma è meglio praticare il Dharma”.
Possiamo concludere l’impegno condiviso in questi due giorni con questa riflessione: - praticare il Dharma per sviluppare la consapevolezza che riconosce il sonno samsarico e percorrere nella gioia e nella beatitudine il sentiero verso il risveglio, il rigpa.

Recitiamo ora insieme la preghiera di dedica dei meriti.

Grazie a tutti.