La
Via della Beatitudine
Del Cuore - Mente
Del Cuore - Mente
Geshe
Gedun Tharchin
29
- 30 aprile 2017
MERANO
***
INDICE
Motivazione
causale e Motivazione contemporanea
I
sei preliminari alla pratica del Dharma
Rigpa
e Ma-rigpa
***
Motivazione
causale e Motivazione contemporanea
Apriamo
questo incontro con la recitazione delle preghiere di rifugio,
purificazione, offerte e infine con il mantra del Sūtra del Cuore.
(seguono
preghiere)
Per
me è sempre una rinnovata gioia poter dare il benvenuto ai
partecipanti a questo incontro di Dharma, è bello ritrovarsi
periodicamente qui, in questo piccolo Centro di Dharma a Merano, per
approfondire e condividere l’antica saggezza, il messaggio di pace,
della pace interiore che opera come preziosa goccia di balsamico olio
essenziale.
Soprattutto
oggi, in un mondo in cui la tecnologia avanza a livelli vertiginosi,
è importante fermarsi in silenzio per poter procedere altrettanto
efficacemente nella propria crescita interiore.
In
occidente la cultura umanistica era ben radicata sin dai tempi
antichi in cui il pensiero dei filosofi greci e latini gettava i
primi essenziali semi, e ciò ancor prima della parola del Buddha e
del Cristo.
La
via della beatitudine di cuore e mente non è una filastrocca indiana
o una canzoncina piacevole, è un cammino profondo, segreto, che può
realizzarsi soltanto nella propria interiorità, anima, coscienza,
intelligenza, mai forzato o faticoso, ma naturale e culturalmente
avanzato.
Non
esiste né nome né etichetta per definire un percorso così
personale e profondo, nella cultura asiatica lo si esprime con il
termine Dharma e in quella occidentale con Spirito santo.
Il
cammino dell’anima, della coscienza, dello spirito non è il comune
viaggio umano, è la via che permette di affrontare con serenità,
pace, gioia qualsiasi ostacolo l’esistenza presenti
nell’ordinarietà dei giorni.
La
concentrazione che quotidianamente poniamo nella preghiera, nella
meditazione, nella ripetizione dei mantra non sono in sé pratica di
Dharma, ma ne permettono la realizzazione in quanto ci accompagnano
passo dopo passo in questo percorso segnato dalla pura intenzione del
cuore, unica condizione che imprime valore ad ogni atto, poiché in
caso contrario la preghiera stessa potrebbe diventare negativa se
formulata con motivazione egoistica, utilitaristica e con
attaccamento.
La
motivazione o intenzione è dunque fondamentale, diversamente tutto
sarebbe vanificato, e può essere diretta o indiretta, ma in ogni
caso è sempre presente sia a livello conscio che inconscio e tutto
dipende dalla sua qualità, da essa sorge il karma.
La
motivazione si articola su due livelli vi è una prima fase che è la
causale e una seconda che è la realizzazione effettiva
dell’intenzione.
Ogni
atto è determinato in contemporaneità da due tipi di motivazione,
quella che l’ha causata e quella che la trasforma in azione da cui
sorge un effetto che può essere a sua volta causa di ulteriore
motivazione.
Il
secondo atto, la motivazione dell’azione, è detta motivazione
contemporanea ed è resa possibile dalla prima, la motivazione
causale che l’ha generata.
Se
la motivazione causale è buona lo sarà altrettanto quella
contemporanea e la percezione, la consapevolezza di questa positività
è la beatitudine di cui parliamo.
La
beatitudine è sentire, vivere, la bontà della motivazione che
determina ogni azione della nostra esistenza, per questo la radice di
tutte le pratiche del Dharma è la motivazione.
Saper
trasformare le motivazioni è il nostro lavoro, facile e difficile
allo stesso tempo, ma essenziale, su cui fondare ogni meditazione.
In
Tibet si narra di un famoso Geshe Kadampa, Bengunjé,
personaggio particolare vissuto nel decimo secolo, il periodo d’oro
della pratica di Dharma seguente all’arrivo del grande maestro
Atīsha nella zona più arida e dura del paese, nella regione del
monte Kailash bruciata dal sole e gelida al contempo. I praticanti
Kadampa erano persone semplicissime, non avevano istruzione e
trasmettevano gli insegnamenti di base oralmente dedicando
completamente la loro vita alla pratica del Dharma più puro,
autentico.
Bengunjè
in origine era un temutissimo bandito famoso in tutto il territorio
per la sua efferatezza, fino a che un giorno incontrò una vecchietta
semplice e umile che, salutandolo, gli chiese il nome e quando lui lo
pronunciò questa persona cadde a terra morta per lo spavento. Questo
fatto sconcertò Bengunjé che solo in quell’istante
realizzò quanto dolore avesse causato agli altri e si generò in lui
istantaneamente la volontà di cambiamento radicale, la motivazione
divenne la radice di ogni sua azione, raccolse piccole bianche e
altre nere e ogni sera riesaminando le azioni della giornata poneva
da un lato i sassetti neri per contare tutte le intenzioni non buone
e dall’altro quelli bianchi per le motivazioni buone. All’inizio
il mucchio di pietre nere era molto alto mentre i sassolini bianchi
erano pochissimi, ma poi, giorno dopo giorno, con lavoro e pazienza
questa situazione si trasformò completamente e il mucchio di pietre
bianche era quasi totale.
Ovviamente
oggi questa modalità di valutazione non sarebbe possibile, la nostra
vita è frenetica, scandita da impegni che si susseguono senza pause,
non avrebbe alcun senso considerare meccanicamente come meditare
quasi si trattasse di una ginnastica, ma ciò che è importante, anzi
necessario, è la riflessione, la meditazione sulla motivazione quale
fondamento della pratica del Dharma. Osservare la motivazione è la
nostra vita segreta, il viaggio, il cammino dell’anima, anima
gioiosa, benedetta, soddisfatta, contenta.
Non
si tratta mai di cercare una motivazione in base ad un giudizio di
positività o negatività, il giudizio in sé rappresenta già un
elemento negativo in quanto è sempre relativo, limitante, inutile,
bisogna semplicemente raccogliersi con introspezione e osservare la
motivazione, questo è il primo passo fondamentale che conduce alla
libertà.
La
motivazione è nelle nostre mani e come possiamo osservarla? - Con la
mente cuore, ma la domanda non è facile perché: - chi la osserva?
Io, sempre io, con la mia mente cuore, in un impasto dualistico
incessantemente presente e il saper riconoscere questa costruzione
mentale implica una grande operazione di liberazione, di pulizia, una
meditazione analitica che porta ad una reale conoscenza di se stessi,
delle proprie reazioni di fronte alle diverse situazioni della vita.
Questo
è un approccio morbido alla propria interiorità e va al di là
della materia pesante, si libera nello spazio, noi siamo in grado di
costruire un castello di spazio nello spazio, il lavoro spirituale di
comporre e scomporre nello spazio è una realtà non facile, ma
autentica, vera.
I
fenomeni solidi sono agevolmente individuabili ed è semplice
cambiarli, ma è altrettanto necessario imparare a riconoscere quelli
più sottili che operano nello spazio, le emozioni e reazioni
interiori, dobbiamo saperli osservare e riconoscere poiché solo così
è possibile trasformarli senza esserne condizionati, dobbiamo saper
superare ogni timore, ogni angoscia, ogni barriera interiore, senza
più alcuna paura, questo è il cammino del risveglio.
La
nostra più grande angoscia è la paura della morte e la si può
annientare solo avendone conoscenza, camminando nello spirito, nel
superamento dell’ignoranza che ci acceca e rende incapaci di vedere
i fenomeni sottili, intangibili, che possiamo conoscere solo
nell’interiorità, nello spazio, nella saggezza.
Questo
cammino è la liberazione che ci apre alla visione vera del mondo e
che non può mai essere esteriore in quanto questa è sempre
ingannevole, illusoria, bensì è la visione che possiamo osservare
con coraggio e consapevolezza soltanto nella profondità di noi
stessi, nella nostra anima.
La
via di beatitudine di cuore e mente è tracciata dalla motivazione
poiché tutto in noi è motivazione; se questa è determinata dalla
paura la nostra esistenza sarà un vero inferno, ma se, al contrario,
nella visione interiore superiamo tale immotivato e illusorio
ostacolo la vita sarà veramente ricca di beatitudine e pace.
Vi
sono tre livelli di esistenza, il primo è nel mondo visibile, il
secondo nel mondo invisibile e infine il terzo nel mondo alternativo.
Se
ci fermiamo al primo livello non vediamo concretamente ciò che
definiamo paura, non la distinguiamo e proprio a causa di tale
oscuramento la percepiamo con grande angoscia, ne siamo travolti e
paralizzati e ogni nostra azione è motivata dalla paura, un terrore
incontrollabile che ci fa sentire perennemente minacciati e, nei
disperati tentativi di combatterla e sconfiggerla, ricorriamo
inutilmente ai più svariati artifici ingannevoli, dalla rimozione
del pensiero alla superficiale ricerca di stordimento, perdendo così
completamente ogni possibilità di realizzazione della tranquillità
mentale e permanendo stabilmente in uno stato di tormento
ininterrotto.
Dunque,
come superare gli ostacoli che tendono a bloccarci? e come praticare
concretamente il Dharma?
Nell’antica
tradizione Kadampa si narra che Atīsha, osservando uno dei giovani
monaci che diligentemente stava compiendo la circoambulazione intorno
allo stupa, gli domandò cosa stesse facendo e il monaco rispose che
stava praticando il cora. Atīsha assentì dicendo: -
molto bene, ma è meglio praticare il Dharma -
Il monachello dunque pensò che forse sarebbe stato preferibile
recitare mantra, ma la risposta di Atīsha rimase la stessa: -
molto bene, ma è meglio praticare il Dharma -
. Sempre più intimorito il discepolo si accinse a dedicarsi alle
prosternazioni e Atīsha ripeté: -
molto bene, ma è meglio praticare il Dharma -
e così via, la risposta rimaneva sempre la stessa e alla fine il
monaco esausto e confuso poiché aveva fatto tutto e bene chiese ad
Atīsha: - ma come si pratica il Dharma? -
La
risposta di Atīsha fu: - Domare,
addestrare la mente
- e questo ha un unico significato: osservare, curare la Motivazione,
non è tanto importante ciò che si fa, bensì l’intenzione che
produce l’azione.
Prima
di tutto è necessario comprendere due fattori, 1) chi osserva la
motivazione, il soggetto, e 2) cosa si osserva, l’oggetto; questo è
l’approccio corretto per poter conoscere pienamente la propria
realtà, il mondo, la vita, l’universo, smantellando una a una le
false illusioni, le sovrastrutture fittizie e ingannevoli. Questa
consapevolezza è la saggezza.
La
saggezza è l’unica conoscenza che ci permette di superare ogni
emozione paralizzante quale paura, rabbia, ansia, attaccamento, odio
e non è conquistabile con la fatica fisica, materiale, la saggezza è
spazio infinito, noi stessi siamo spazio, la beatitudine è il valore
spirituale nello spazio, tutto dipende dallo spazio, lo stesso corpo
è spazio.
Intervento:
Quindi è un errore pensare che le emozioni tipo rabbia, odio e tutto
ciò che noi tendiamo a definire inesistente sia privo di corpo, in
realtà tutto ha una sua esistenza nello spazio, altrimenti lo spazio
stesso non esisterebbe. Se si comprende come lo spazio sia invece una
realtà esistente si comprende quanto sia importante avere coscienza
di questo spazio dentro di noi e vedere in questo spazio tutto ciò
che accade, la nostra stessa paura, perché solo osservandola in
questo modo è possibile trasformarne la qualità.
Domanda: Questo
vale per tutte le situazioni negative?
Lama: Non
esistono situazioni esclusivamente positive o negative, questa è già
un’errata visione, noi istintivamente di fronte a qualsiasi evento
formuliamo subito un giudizio, un’interpretazione parziale, errata
che può essere superata soltanto nella saggezza che cancella i
limiti di false osservazioni della realtà, i concetti di giusto o
ingiusto, bene o male, bello o brutto, ciò che guida è soltanto la
pura intenzione nello spazio infinito dell’innocenza. Non esiste
nulla che sia soltanto negativo poiché anche le negatività
posseggono elementi indispensabili, necessari e dunque positivi.
Intervento: Se
non ci fosse la negatività non ci sarebbe un sentiero verso la
positività.
Lama: Dobbiamo
impiegare i mezzi abili, osservare e usare ogni emozione, rabbia,
compassione, attaccamento, amore, gelosia, invidia, generosità,
perché tutto è parte della vita, ha un suo ruolo, ed è quindi
necessario accogliere e fare la sintesi di ogni aspetto di questa
forma umana. Soltanto l’effetto di tutto l’insieme produce il
nirvāna, la liberazione nella beatitudine dello spazio, nell’essenza
della nostra anima.
Domanda: Non
mi è molto chiaro come si debba procedere con la motivazione, perché
come possiamo sapere se la nostra motivazione sia corretta o meno?
Lama: Il
principio che guida ogni motivazione è chiaramente sintetizzato nei
quattro pensieri incommensurabili: il primo è l’Equanimità, cioè
avere una mente libera da attaccamento e avversione, poi seguono
Amore, Compassione e Gioia. La Motivazione non può mai essere un
obbligo, una fatica, bensì deve essere sempre una consapevole,
libera, gioiosa scelta e la sua potenzialità è il Dharma. Questo è
il valore spirituale che costituisce il senso della nostra vita. Ora
dite voi cosa pensate in proposito.
Risposte: -
Faccio un passo indietro e ritorno al discorso sulla paura, io mi
chiedo “perché ho paura?” credo che questo dipenda dal fatto che
non conosco il sé, perché a me pare che noi esistiamo in tre
livelli: l’ego,
l’io
e il sé,
una divisione simile a quella dei tre mondi, visibile, invisibile e
alternativo. Noi viviamo costantemente e faticosamente nell’ego,
questo è indubbio, dell’io invece abbiamo l’intuizione che ci
permette di sviluppare la motivazione e di praticare il Dharma e che,
quando saremo alla fine del percorso umano, ci porterà alla
conoscenza del sé, e solo allora la paura scomparirà naturalmente;
A
me piace molto quest’idea dello spazio che non è vuoto o privo di
esistenza, bensì creativo e in questa essenza si presenta la
motivazione;
Tu
hai detto che la via è ancora molto lunga, non c’è via verso la
beatitudine, ma la beatitudine è la via, e dunque la gioia la trovo
nella motivazione con cui faccio le cose;
Veramente
la motivazione è fondamentale e non c’è alcuna differenza tra un
cardiochirurgo e uno spazzino perché se la motivazione del
cardiochirurgo è quella di diventare famoso, ricco, può essere
negativa, mentre quella dello spazzino che pulisce con consapevole
amorevolezza la strada per il bene comune è proficua.
Lama: Fare
tutto consapevolmente in armonia, questo è importante. Ora
dedichiamo il buon lavoro sviluppato insieme oggi e i meriti
accumulati a beneficio di tutti gli esseri senzienti recitando
insieme la preghiera di dedica.
***
I
sei preliminari alla pratica del Dharma
Riprendiamo
la nostra riflessione ricordando l’essenza della pratica di Dharma,
la motivazione, che deve sempre essere appropriata, in grado di
gestire, indirizzare, correggere per permetterci di realizzare
l’unico sostanziale obiettivo che, come ha insegnato Atīsha, è -
praticare
il Dharma
-. Una sola breve frase che dice tutto, non si riferisce alla pratica
formale, bensì all’apporto nella nostra esistenza degli elementi
fondamentali: saggezza, conoscenza, profondità e poiché tutto ciò
che facciamo è determinato dalla motivazione che ne imprime la
qualità e ci modifica praticare il Dharma comprende il tutto.
La
pace, la tranquillità interiore, la gioia, la beatitudine, la
soddisfazione e la contentezza costruiscono una vita realmente
liberata dalla paura e capace di trasformare la quotidianità in
autentica pratica di Dharma.
Per
indirizzarci correttamente nel cammino della pratica di Dharma
abbiamo uno strumento importantissimo che però deve essere applicato
con intelligenza, apertura mentale e corretto approfondimento e
consiste nell’applicazione di sei pratiche preparatorie, o
preliminari, che costituiscono in ogni loro aspetto le azioni utili
che ci guidano in questa esistenza, passo dopo passo, sulla via del
Dharma.
La
prima pratica indica la necessità di pulire la stanza, decorare
l’altare, rendere bello, appropriato l’ambiente, una pulizia e
cura in omaggio ai tre gioielli, Buddha, Dharma e Sangha, o a Padre,
Figlio e Spirito santo, o a qualsiasi altra Trinità così come
rappresentata in tutte le religioni, un’azione che ci libera, mai
imprigionati in regole rigide, allarga il nostro cuore con le
modalità che ogni tradizione suggerisce. La pulizia, la decorazione
esteriore, l’omaggio ai tre gioielli ovviamente non sono fine a se
stessi, ma implicano una realizzazione interiore ben più complessa,
rispetto, devozione e pulizia interiore sono la base necessaria per
un approccio purificato a ciò che viene dopo.
La
seconda pratica consiste nel presentare l’offerta pura, sciolta
da ogni inganno, incorrotta, non conta la sua consistenza, il valore
intrinseco, ma la purezza con cui la si dona, un fiorellino di campo
può essere infinitamente più prezioso di un oggetto prezioso, tutto
dipende dall’apertura di cuore, dalla gioia del dare,
dall’autentica generosità interiore.
La
terza pratica definisce l’importanza della postura del corpo,
il nostro tempio in cui approfondire ogni realizzazione spirituale ed
è articolata in sette posizioni ben rappresentate nella
raffigurazione del Buddha Vairočana. È molto importante applicare
ogni punto con naturalezza, senza forzature, è bene stare seduti in
modo confortevole, rilassato, mantenendo la schiena diritta per
permettere l’agevole scorrere del flusso di energia nei chakra.
Il
flusso energetico è favorito dall’applicazione dell’ottava
postura, la pratica dei ventuno cicli di respiro, ma, attenzione, non
necessariamente riguarda esclusivamente l’esercizio fisico, bensì,
soprattutto, deve essere introiettata a livello immaginario.
Visualizziamo
i tre canali principali che scorrono nel corpo, dalla sommità del
capo sino all’inguine, uno centrale e due laterali, e immaginiamo
di inspirare con la narice sinistra ed espirare dalla narice destra,
per sette volte, poi per sette volte inspiriamo con la narice destra
ed espiriamo con la sinistra e infine per altre sette inspiriamo
nuovamente con la narice sinistra ed espiriamo con la destra.
Altra
pratica simile e altrettanto importante consiste, con la stessa
modalità, nel ciclo dei nove giri di respiro, invece di sette si
ripete questa alternanza per tre volte e nella visualizzazione si
immagina di inspirare da una narice la luce purificatrice che
pulisce, illumina, libera e con l’espirazione dall’altra si
espelle tutta la nostra ignoranza e le varie impurità e negatività.
Proviamo
dunque insieme questa pratica mantenendo la mente libera da
avversione, attaccamento e ignoranza.
Siamo
giunti a metà percorso nell’esame del significato delle pratiche
preparatorie, e possiamo sederci in posizione confortevole con
attenzione alle sette posture del Buddha Vairočana e iniziamo la
purificazione mentale tramite i cicli dei 21 o 9 giri di respiro e,
rimanendo concentrati nella meditazione, dimoriamo nell’equanimità
della calma di cuore mente con cui poter stabilire tramite i quattro
pensieri incommensurabili la buona motivazione.
(segue
breve meditazione concentrata sul respiro)
Ora
recitiamo le preghiere relative a questi preliminari, cominciamo
prendendo rifugio nei tre gioielli, poi generiamo la bodhicitta nella
pratica delle sei pāramitā: - Generosità, Etica o Moralità,
Pazienza, Perseveranza entusiastica, Concentrazione, Saggezza - per
ottenere l’illuminazione a beneficio di tutti gli esseri senzienti
nella generazione della bodhicitta.
Soltanto
l’Amore vincerà la morte, la paura della morte, questo è il
senso della bodhicitta, universale conoscenza della realtà che non
ha nulla di illusorio, la bodhicitta supera tutto è una realtà
infinita.
Si
conclude dunque la terza pratica preparatoria con l’applicazione
dei quattro pensieri incommensurabili che costituiscono un’unità
nella motivazione con equanimità, amore e compassione e gioia,
quattro aspetti correlati e inscindibili di un’unica realtà nel
continuum mentale.
Ora
affrontiamo la pratica della visualizzazione in cui si
costruisce il campo di meriti, un’anima superiore che
procede con questa guida verso l’illuminazione. La visualizzazione
del campo di meriti, in cui collochiamo i maestri, i Buddha e i
Bodhisattva, non è definibile rigidamente secondo un unico schema
per tutti, ogni scuola, ogni religione, ogni persona ha il suo campo
di meriti e ogni praticante può mettervi chi e ciò che ritiene una
guida valida per se stesso.
L’immaginazione
ha un potere molto forte e conduce alla realizzazione della pratica
Vajrāyana, crea la realtà, è il compito del terzo occhio, l’occhio
della mente che porta gioia, serenità, salute ed equilibra ogni
cellula del corpo. È importante non porre ostacoli e preconcetti
alla visualizzazione del campo di meriti, perché, come affermava
Einstein, il potere dell’immaginazione è più forte della
conoscenza, va al di là del visibile, inevitabilmente circoscritto,
e osserva la realtà infinita, illimitata, dunque ognuno immagini
liberamente il proprio campo di meriti, questa è la fondamentale
azione del terzo occhio.
Abbiamo
così percorso velocemente i primi quattro preliminari, il quinto
si sofferma sull’essenza della pratica dell’accumulazione che è
la purificazione dell’offerta del mandala ben illustrata nella
preghiera dei sette rami in cui si sintetizzano i vari passaggi,
omaggio, offerta, confessione o distruzione delle proprie azioni
negative accumulate, ammirazione e gioia per i meriti altrui, ricerca
del Dharma, preghiere di lunga vita di altri e dedica dei meriti
accumulati a beneficio di tutti gli esseri.
La
spiegazione dell’offerta del mandala è lunga e complessa, ma
sintetizzando diciamo che riguarda l’offerta dei meriti di corpo,
parola e mente nei tre tempi: passato, presente e futuro, con il dono
illimitato di tutti i beni immaginabili, e l’insieme così
costituito è presentato nella forma di mandala.
L’offerta
del mandala sintetizza la pratica più pura e completa della
generosità, della compassione, della pazienza, della perseveranza
entusiastica, della concentrazione, della saggezza senza limite,
senza attaccamenti, confini o strutture di alcun genere, tutto è
nella realtà dell’infinito in corpo, parola e mente.
La
pratica dei sette rami comprende davvero tutto e ogni tappa indica un
radicale lavoro che induce una trasformazione profonda di sé e,
insieme alla visualizzazione dell’offerta del mandala, porta a
vivere realmente nella realtà della terra pura.
Tutto
scaturisce dall’impegno interiore, non si tratta di una favola, ma
è la realizzazione concreta della propria capacità di
visualizzazione, di immaginazione, questo è il grande potere del
Dharma, poter uscire dall’ordinario per vivere in una dimensione
più ampia, completa, illimitata.
Intervento: In
un primo approccio superficiale noi occidentali potremmo avere
difficoltà ad entrare in questo universo, eppure nella Messa
cattolica al momento dell’offertorio avviene la stessa cosa, perché
quando il sacerdote alzando l’ostia e il vino ricorda le parole del
Cristo “questo è il mio corpo e il mio sangue mangiatene e
bevetene tutti” ci trasforma in una dimensione non ordinaria. Credo
che questo aspetto della trasformazione della mente in una realtà
non tangibile, ma assolutamente reale, sia presente seppur in
modalità diverse in tutte le religioni.
Lama: Certo,
ecco perché è così importante leggere i testi sacri andando oltre
il significato formale e limitato del linguaggio, l’insegnamento e
il messaggio che viene dato è infinitamente più vasto, profondo,
universale e infinito. Una ripetizione delle preghiere che si fermi
al solo senso letterale delle parole è inutile e dannosa. Questo è
il problema della società moderna fondata sul pragmatismo
tecnologico veloce, è invece necessario sapersi addentrare in
un’altra dimensione, scendere ad un più profondo livello di
coscienza e di realizzazione della realtà. Io seguo spesso la Messa
con attenzione e scopro moltissime similitudini con il buddhismo,
addirittura le stesse parole, i cristiani si rivolgono al Cristo come
il salvatore del mondo e noi facciamo altrettanto con il Buddha, e
non vi è alcuna contraddizione in questo, al contrario l’inclusione
è perfetta, semplicemente vengono utilizzati due nomi diversi,
Cristo e Buddha, per indicare le stesse qualità, capacità e
sacralità.
Intervento: Infatti,
anche perché Gesù è un nome proprio, come Śākyamuni, mentre il
Cristo indica l’unto del Signore, cioè l’illuminato, esattamente
come il Buddha.
Lama: È
così e la vera forza del mandala è proprio la capacità e
possibilità di cambiare questo mondo ordinario in mondo
straordinario.
La
pratica Vajrāyana consiste nel trasformare con la forza
dell’immaginazione tutto ciò che si osserva in realtà divina,
tutto ciò che si sente in mantra, tutto ciò che si pensa in
Dharmakāya. Questo ad esempio è chiarissimo nella vita di Milarepa
e di san Francesco, tutto è sacro, tutto ha natura divina.
Domanda: Quando
parli di attaccamento ti riferisci solo a oggetti, beni materiali, o
anche ad attaccamento, abitudini e dipendenza da sostanze?
Lama: L’attaccamento
può essere di tipo biologico, chimico, fisico, mentale a tutti i
livelli, eppure esiste anche un attaccamento a livello incontrollato,
non cosciente. Ad esempio tu puoi non avere alcun attaccamento ad una
tua condizione biologica, o chimica, ma le tue cellule no, ne sono
strettamente attaccate quindi, affinché non si crei inutile
confusione, qui consideriamo esclusivamente l’attaccamento a
livello mentale.
Il
Buddha Śākyamuni quando si rese conto della sua situazione ricca di
molti privilegi e beni volle abbandonare tutto immediatamente, in un
colpo solo, liberarsi da ogni pur minimo attaccamento e per questo
fuggì dalla sua casa compiendo la grande rinuncia. Ma per noi non
sarebbe possibile un simile salto, resteremmo confusi dai troppi tipi
di attaccamento, quindi concentriamoci sull’attaccamento mentale,
risaliamo alla sua natura di sofferenza così da poter comprendere e
intervenire sulla sua causa.
Riassumendo
il lavoro di oggi le prime cinque pratiche preparatorie esaminate
sono:
La
pulizia, la purificazione dell’ambiente per la presentazione
corretta dei tre gioielli;
L’offerta
pura;
La
corretta postura in sette punti e la calma della mente tramite il
respiro con la giusta motivazione attraverso la presa di rifugio nei
tre gioielli, la generazione di bodhicitta e la pratica dei pensieri
incommensurabili;
La
visualizzazione del campo dei meriti in cui stabiliamo il nostro
spazio;
La
sintesi, l’essenza della purificazione nell’accumulazione di
meriti, la pratica dei sette rami e l’offerta del mandala.
Rimane
dunque l’ultimo preliminare, il sesto, di cui parleremo nel
pomeriggio. Intanto grazie per tutto, per questa condivisione e
ricerca insieme.
Concludiamo
con la preghiera di dedica.
***
Rigpa
e Ma-rigpa
La
sessione riprende con la recitazione del mantra del Sūtra del Cuore,
la meditazione, il radicamento, la madre di tutti i vittoriosi, i
Buddha, la Prajñāpāramitā, la perfezione della saggezza che nel
buddhismo è espressa in queste sillabe:
“TADYATHA
GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA”
La
perfezione della Saggezza è riconosciuta come Madre in quanto senza
madre non ci possono essere figli, senza Saggezza non ci possono
essere Buddha.
La
traduzione del significato di questo mantra fondamentale è davvero
difficile, ma tentiamo di darne un abbozzo aiutandoci
nell’osservazione della figura qui rappresentata sul tanka.
Per
cinque volte si ripete il termine “Gate” che significa entrata,
porta aperta sul confine che definisce due mondi, non in senso
geografico, ma spirituale, samsāra e nirvāna e che non sono
separati, divisi, bensì parte della stessa unità.
Il
samsāra ci fa permanere nell’illusione, nella confusione,
nell’incapacità di scioglierci dal pantano delle molteplici
emozioni. Questo senso di angoscia, di incapacità e impossibilità
ad uscire da una situazione dolorosa è ciò che sperimentiamo spesso
nel sonno, ma al risveglio l’incubo finisce all’istante e ci
sentiamo con sollievo completamente liberati. Questo è un esempio
della nostra vita samsarica, spesso non vediamo vie d’uscita, siamo
condizionati dalla confusione samsarica e l’unica soluzione è il
risveglio.
E
come risvegliarci? Utilizziamo sempre la metafora del sonno perché
il nostro vagare nell’illusione samsarica è davvero un sogno,
dobbiamo consapevolmente sviluppare nel momento di entrata in questo
stato di torpore il Rigpa, l’unico strumento che ci permette di
staccarsi dall’incubo, di superare l’oscuramento mentale e in
grado di determinare automaticamente al momento del risveglio la sua
cessazione.
Rigpa
è un termine Dzogchen che indica la mente di saggezza.
La
saggezza è frutto della consapevolezza che deve essere vigile
sempre, anche nella condizione samsarica che è come sogno e come
tale deve essere riconosciuta poiché soltanto questa consapevolezza
cambierà completamente la nostra reazione che non sarà più di
paura, di disorientamento, ma di tranquilla osservazione. Nello stato
di saggezza risvegliata sappiamo che si tratta solo di un sogno e
quindi lo osserviamo con distacco nella sua apparenza, senza più
alcun timore, se invece manca tale coscienza ci lasciamo
completamente travolgere dall’ingannevole visione di eventi
illusori che viviamo come reali.
La
consapevolezza ci mostra come queste apparizioni siano soltanto
illusioni, non reali e dunque il nostro cammino nel samsāra può
procedere nella visione di saggezza, in uno stato di conoscenza e non
sopraffatto dalla confusione di un sonno samsarico inconsapevole e
ingannevole.
In
genere si traducono le parole “rigpa” come consapevolezza e
“ma-rigpa” come ignoranza, però sarebbe più corretto dire che
con la prima si intende la capacità di vedere e con il suo contrario
l’incapacità di vedere, uno stato in cui non si distingue nulla,
si è nella totale inconsapevolezza, nella confusione e
nell’oscuramente completo. Rigpa è saggezza e ma-rigpa la sua
assenza.
Nella
condizione di ma-rigpa siamo addormentati o come in coma, incapaci di
vedere e comprendere che si tratta soltanto di un sogno, di un incubo
da cui è possibile uscire trovando la via tramite la vigile
coscienza, la presenza mentale che ci fa riconoscere che stiamo
vedendo soltanto le immagini di un sonno angoscioso e maturare lo
stato di rigpa che ci indica il cammino verso il risveglio.
Questa
è la nostra salvezza, la via della beatitudine di cuore e mente,
significa che dobbiamo essere pienamente nel samsāra, senza
rinnegare nulla, ma vivendo tale condizione con consapevolezza, come
spettatori, coscienti di essere in un sogno che viviamo fino in
fondo, però riconoscendolo per quello che è.
La
mancanza della saggezza non è imputabile a qualcuno o a qualcosa,
semplicemente è una condizione di ignoranza fondamentale, spontanea,
che sorge dal buio totale che non permette la visione di nulla e in
questa oscurità si forma l’ignoranza intellettuale che pretende di
giudicare ogni circostanza secondo una interpretazione propria, nulla
si vede nella realtà e dunque si creano immagini false, illusorie,
si ritiene tutto come permanente e concretamente stabile, mentre
nulla lo è. Questo è il mondo illusorio samsarico, ne siamo immersi
e non dobbiamo rinnegarlo, ma ciò che è davvero fondamentale è
semplicemente averne consapevolezza.
Tutti
i fenomeni samsārici che noi percepiamo come reali sono solo il
riflesso della luna nel lago.
L’argomento
è molto complesso e implica un lavoro finissimo di trasformazione
interiore e ciò che deve essere sempre presente è il riconoscimento
del non dualismo tra verità convenzionale e verità ultima.
Ora
cerchiamo di concludere il veloce percorso di analisi del senso delle
pratiche preliminari, manca la sesta che è la preghiera, o
meglio la richiesta di benedizione degli Esseri del campo di meriti a
cui ci possiamo rivolgere singolarmente, un maestro alla volta,
oppure collettivamente.
È
una richiesta di benedizione per la realizzazione del sentiero verso
l’illuminazione, il Lam Rim, leggiamo dunque insieme la preghiera
del fondamento di tutte le buone qualità:
Il
Fondamento di Tutte le Buone Qualità
Di
Je Tzong Khapa
I
Maestri spirituali, gentili e venerabili sono il fondamento di tutte
le buone qualità. Comprendendo che affidarsi a loro e la radice del
sentiero, vi prego beneditemi affinché io possa seguirli con grande
rispetto e sforzo intrepido.
Una
vita umana dotata di agi si ottiene una sola volta. Comprendendo che
ha un grande valore ed è difficile da ottenere, vi prego beneditemi
perché io possa produrre incessantemente la mente conscia della sua
preziosità e rarità giorno e notte.
Il
nostro corpo e la nostra vita vacillano come una bolla d’acqua;
ricordati della morte, perché moriamo così velocemente. Dopo la
morte, gli effetti del karma nero e bianco ci seguono come un’ombra
segue un corpo.
Essendo
certo di ciò, vi prego beneditemi perché io possa sempre stare
attento ad abbandonare anche la più piccola azione negativa e
completare l’accumulazione di ogni virtù.
Non
c’è soddisfazione nel godere dei piaceri mondani. Sono le porte di
tutta la sofferenza. Avendo realizzato che il difetto delle
perfezioni samsariche è che su di loro non si può fare affidamento,
vi prego beneditemi perché io possa costantemente concentrarmi sulla
beatitudine della liberazione.
Questo
pensiero puro (di ottenere la liberazione) produce grande coscienza,
presenza mentale e consapevolezza. Vi prego, beneditemi perché io
possa intraprendere la pratica del Pratimoksa, la radice della
dottrina.
Avendo
visto che tutti gli esseri, mie madri, sono caduti come me
nell’oceano dell’esistenza ciclica, vi prego, beneditemi perché
io possa addestrarmi nella bodhicitta, assumendomi l’obbligo di
liberare tutti gli esseri migratori.
Generare
solo l’aspirazione, senza coltivare le tre pratiche morali, non
conduce all’illuminazione. Avendo realizzato ciò, vi prego
beneditemi perché io possa praticare con sforzo intenso i voti del
Conquistatore e dei suoi figli spirituali.
Acquietando
la distrazione rivolta agli oggetti falsi e analizzando il
significato della realtà, beneditemi perché io possa velocemente
generare il mio flusso mentale, il sentiero che unisce la calma
dimorante alla visione speciale.
Quando,
addestrato nel sentiero comune, sarò divenuto un recipiente adatto,
beneditemi affinché io acceda facilmente al grande sentiero per i
fortunati, il Vajrāyana, il più alto di tutti i veicoli.
La
base per conseguire i due potenti Siddhi è costituita dai voti puri
e dagli impegni. Scoprendolo con genuina certezza, beneditemi perché
io possa mantenerli anche a costo della mia stessa vita.
Avendo
realizzato il significato dei due stadi, che sono l’essenza del
sentiero del mantra, vi prego, beneditemi perché io possa praticare
tenacemente e senza pigrizia le quattro sessioni di Yoga, e
realizzare ciò che gli Esseri nobili hanno insegnato.
Possano
i Maestri Spirituali che mi guidano lungo il sacro sentiero e tutti
gli amici spirituali che lo praticano avere lunga vita. Vi prego,
beneditemi affinché io possa velocemente e completamente pacificare
tutti gli ostacoli esterni e interni.
In
tutte le mie rinascite possa io non essere mai separato dai perfetti
Maestri Spirituali e gioire del magnifico Dharma. Conseguendo tutte
le qualità degli stadi e dei sentieri, possa io velocemente ottenere
lo stato di Vajradhara.”
Se
ricevessimo tutte queste benedizioni saremmo estremamente fortunati.
È fondamentale questa sesta pratica preparatoria di richiesta di
benedizione e riguarda tutti i sentieri che portano
all’illuminazione.
In
questi versi Lama Tzong Khapa si rivolge al gentile maestro quale
fondamento di tutte le buone qualità, ma chi è questo maestro
gentile?
Risposta: Il
maestro interiore…
Lama: Certamente
è molto importante, ma le domande da porsi in realtà sono due, in
primo luogo è necessario comprendere perché il gentile maestro sia
il fondamento della radice di tutte le buone qualità, e poi, ed è
la domanda che pongo a voi ora, chi è questo maestro?
Risposte: -È
chi mi dà gli insegnamenti, colui dal quale ho ricevuto le
iniziazioni ed è anche il maestro interiore…; - Il maestro può
essere tutto, la vita stessa, sia esterna che interiore…; - In
questo testo però si evidenzia l’importanza della persona fisica,
del guru…; - Per me vale quanto dice Paolo nella Bibbia quando si
riferisce alla parte indistruttibile nella profondità del cuore
dell’uomo…; - Esistono più livelli, c’è un maestro esteriore,
uno interiore e uno segreto…; - Nella consapevolezza tutto diviene
maestro, non c’è nulla e nessuno che non lo sia e il maestro che
ha l’ultima parola, il maggior peso, è sempre il maestro
interiore.
Lama: Tutte
buone risposte su un argomento immensamente importante.
Il
venerabile maestro come fondamento di tutte le buone qualità è la
radice del sentiero e l’unico modo per poter guidare alla corretta
applicazione delle pratiche che, appoggiandosi ad una guida
spirituale, sono indirizzate sul sentiero verso la realizzazione
della pura visione che ci permette di trasformare questa terra impura
in terra pura, qui e ora, ed è una trasformazione che non è
oggettivamente dipendente da nessuno e nemmeno estendibile ad altri,
è la pura visione personale, costruita con la nostra profonda azione
interiore, passo dopo passo.
Se
deleghiamo al maestro esteriore, quale unico artefice, la
realizzazione della nostra pura visione e mitizziamo la persona e il
suo potere diventiamo fanatici e non concluderemo proprio nulla,
questo è un lavoro interiore che possiamo fare soltanto noi
individualmente, pur avvalendoci e riconoscendo tutto il valore di
guide esterne che possano indicare una corretta direzione.
La
sintesi della pratica dei sette rami e l’offerta del mandala, la
pratica di purificazione è l’accumulazione di meriti, la si può
applicare in ogni circostanza e verso chiunque ed è un ottimo metodo
quello di iniziare con una sola persona che ci è cara e vicina e che
facilmente possiamo riconoscere quale nostro maestro gentile.
È
un esercizio eccellente che costruisce mattone su mattone un genuino
altruismo rivolto dapprima ad una persona amica con cui è facile
entrare in condivisione e poco alla volta esteso spontaneamente con
naturale empatia a più persone per giungere infine con naturalezza a
generare autentico rispetto, venerazione e gratitudine nei confronti
di tutti gli esseri senzienti, riconoscendoli davvero con gratitudine
e stupore come gentili maestri nella pura visione che è il punto di
partenza per qualsiasi realizzazione.
Per
questo la pratica della pura visione è la radice di tutti i sentieri
e il vero significato della devozione al maestro.
Le
varie distorsioni che tendono a sollevarci da ogni impegno e
responsabilità personale inducendoci a delegare ogni nostra
realizzazione ai maestri esteriori in cui vogliamo vedere e venerare
una perfezione quasi magica attribuendo loro capacità
miracolistiche, per cui è sufficiente un loro soffio e il nirvāna
ci è assicurato, sono soltanto forme di fanatismo che uccidono il
Dharma, questo non è buddhismo, ma ignoranza che limita, distrugge,
impedisce la crescita e lo sviluppo di qualsiasi realizzazione.
Questo rischio, già ampiamente diffuso nel Tibet del passato, sta
ora dilagando in occidente con forme di fanatismo che sono
assimilabili a vera superstizione e che nulla hanno in comune con la
pratica spirituale.
Ogni
preghiera, meditazione, testo, devono dunque essere sempre affrontati
con consapevole apertura mentale, con intelligenza.
Il
guru, il maestro gentile, non è identificabile con una persona, ma
con ogni situazione e condizione che sia sorgente di ispirazione
all’autentica pratica di Dharma poiché, come dice Atīsha: “Tutto
va bene, ma è meglio praticare il Dharma”.
Possiamo
concludere l’impegno condiviso in questi due giorni con questa
riflessione: - praticare il Dharma per sviluppare la consapevolezza
che riconosce il sonno samsarico e percorrere nella gioia e nella
beatitudine il sentiero verso il risveglio, il rigpa.
Recitiamo
ora insieme la preghiera di dedica dei meriti.
Grazie
a tutti.