La
Pratica della Meditazione
e
della Visualizzazione
Lharampa
Geshe Lama
Gedun
Tharchin
19
- 21 maggio 2017
CAGLIARI
***
INDICE
Sessione
1
Sessione
2
Sessione
3
Sessione
4
Sessione
5
***
Sessione
1
La
meditazione nella pratica di Dharma si sviluppa in due elementi
fondamentali all’inizio e alla fine. All’inizio si crea la
motivazione e alla fine si apre il cuore nella dedica dei meriti
accumulati, entrambi sono gli elementi chiave che rendono
significativa la nostra pratica.
La
motivazione è essenziale, è la base del Dharma, se è buona
condurrà ad una via buona, in caso contrario le azioni conseguenti
avranno la stessa impronta.
Cancelliamo
dal nostro vocabolario il drastico termine “negativo”
quale contrapposizione a “positivo”,
in realtà esistono semplicemente motivazioni positive o non
positive, proficue o improduttive.
La
motivazione è l’intenzione, la radice di ogni azione spirituale e
la più grande motivazione nel Dharma è la mente di bodhicitta che
include compassione e amore inscindibilmente unite a saggezza, due
facce della stessa medaglia.
Con
amore e compassione si intende condividere incondizionatamente la
sofferenza e la gioia del mondo, l’equanimità del mondo, essere in
totale sintonia, adesione all’unità del mondo.
Ora
meditiamo qualche momento per prepararci al ritiro di questi tre
giorni così da poter conoscere, approfondire e sviluppare la
motivazione del cuore di bodhicitta in totale condivisione con la
realtà di tutti esseri.
(segue
meditazione)
Per
essere pronti alla corretta meditazione è bene praticare secondo
l’ordine indicato le sei pratiche preparatorie:
La
pulizia, la purificazione dell’ambiente
per disporre il cuore alla presa di rifugio nei tre gioielli: Buddha
Dharma Sangha, realtà universali che sono in ogni cultura religiosa,
nel cristianesimo sono Dio, il Cristo;
Presentazione
dell’offerta con mente cuore puro;
La
corretta postura in sette punti e la calma della mente tramite il
respiro
con la giusta motivazione attraverso la presa di rifugio nei tre
gioielli, la generazione di bodhicitta e la pratica dei quattro
pensieri incommensurabili.
La
postura con il diritto allineamento dei chakra permette il fluire
dell’energia purificatrice che avviene tramite la respirazione.
Dobbiamo
visualizzare con consapevolezza questo flusso che attraversa tutto il
corpo e che induciamo tramite la pratica dei ventuno cicli di respiro
in cui inspiriamo dalla narice sinistra ed espiriamo dalla narice
destra, per sette volte, poi per sette volte inspiriamo con la narice
destra ed espiriamo con la sinistra e infine per altre sette
inspiriamo nuovamente con la narice sinistra ed espiriamo con la
destra.
Possiamo
anche ripetere questa alternanza nella pratica dei nove giri di
respiro, in cui tale operazione si applica non per sette, ma per tre
volte. L’immaginazione consapevole di questi flussi ci conduce ad
una profonda meditazione, alla visualizzazione del nostro corpo
completamente illuminato, trasformato, splendente, limpido, liberato
da ogni ignoranza e impurità, trasformiamo noi stessi in pura luce.
(segue
meditazione guidata nell’esercizio della consapevolezza del
respiro)
Affronteremo
domani gli altre tre preliminari, soffermiamoci ora invece sulla
formula di “presa
di rifugio nei tre gioielli”
il cui scopo è la generazione di bodhicitta, dei quattro pensieri
incommensurabili, nell’integrazione di consapevolezza di
cuore-mente:
“Prendo
rifugio nel Guru, nel Buddha, nel Dharma, nel Sangha.
Fino
a raggiungere l’illuminazione prendo rifugio nel Buddha, nel
Dharma, nel Sangha.
Per
i meriti virtuosi accumulati praticando la generosità e le altre
perfezioni
Possa
io raggiungere lo stato del Buddha per essere in grado di beneficiare
tutti gli Esseri Senzienti.”
La
formulazione di questa preghiera non è solo una ripetizione di
intenti, ma, profondamente radicata nel cuore, ne genera la
trasformazione.
Ora
leggiamo attentamente le Quattro
Meditazioni Illimitate:
“Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero equanimi,
senza attaccamento né ostilità, non vicini a qualcuno e distanti da
altri.
Possano
dimorare nell’equanimità.
Io
farò in modo che vi dimorino.
Vi
prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice
affinché io sia in grado di fare ciò.
Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti avessero la
felicità e le sue cause.
Possano
essi averla.
Io
farò in modo che la posseggano.
Vi
prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice
affinché io sia in grado di fare ciò.
Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero liberati
dalla sofferenza e dalle sue cause.
Possano
esserne liberati.
Io
farò in modo che ne siano liberati.
Vi
prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice
affinché io sia in grado di fare ciò.
Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti non fossero privi
della gioia delle rinascite elevate o della liberazione completa.
Possano
non esserne mai privi.
Io
farò in modo che essi non ne siano separati.
Vi
prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice
affinché io sia in grado di fare ciò.”
Meditiamo
qualche momento su queste pratiche.
(segue
meditazione guidata)
Intervento: La
meditazione è la più importante pratica per trasformare la mente e
per attuarla correttamente è necessario rispettare varie condizioni,
la prima è certamente la motivazione che però deve scaturire dal
profondo e deve poi essere mantenuta con impegno e perseveranza. Per
fare ciò è necessaria all’inizio la guida di un maestro
qualificato che possa insegnare un metodo chiaro fondato sulle
posizioni e tecniche di respirazione come espresso dal Buddha
Vairočana. La respirazione è davvero fondamentale perché ci
collega in un interscambio inscindibile con l’ambiente, è reale
purificazione e deve essere profonda, fatta lentamente, con
consapevolezza.
Lama: Si
è importante conoscere il significato di ogni passaggio, di ogni
respiro, poiché soltanto in questo modo realizzeremo davvero la
trasformazione della mente, la bodhicitta, che è il senso reale e
unico della vita umana.
Per
realizzare la bodhicitta dobbiamo rendere la nostra mente
estremamente flessibile, come vento poiché, se al contrario,
manteniamo la mente rigida come ferro generiamo solo sofferenza.
Se
siamo vento siamo felici, liberati dal peso del ferro di
attaccamento, rabbia, aggressività, emozioni che invece possono
essere trasformate nel vento che riporta la mente alla sua vera
natura, la libera dalla pesantezza della rigidità.
Dobbiamo
esercitarci in questo continuamente consapevoli di ogni gesto, del
significato autentico della realtà.
Concludiamo
questa sessione e grazie a tutti.
Sessione
2
Prima
di riprendere l’insegnamento recitiamo le preghiere preliminari.
(Segue
lettura delle preghiere)
Siamo
tutti qui come amici spirituali, e questo è il significato della
parola Geshe, dunque siamo tutti Geshe e, come dicevano gli antichi
maestri Kadampa, non per gratificare l’ego di nessuno, ma per
indicare la qualità spirituale dell’amore, della compassione,
rendendosi disponibili a dare aiuto agli altri affinché imparino
come sviluppare i valori interiori.
È
necessario avere chiara la consapevolezza di essere tutti Geshe, di
saper riconoscere le qualità proprie di questa essenza che derivano
dalla motivazione, l’intenzione che si esprime in un’unica
parola: “Bodhicitta”
La
bodhicitta era il cuore, il fulcro dei maestri Kadampa i quali giorno
e notte praticavano questa unica consapevolezza.
La
bodhicitta ha due aspetti, il primo è la compassione, karunā in
sanscrito, inscindibile dal secondo, la saggezza ultima di Chiara
Luce.
La
bodhicitta può essere pratica in modalità molteplici perché le sue
possibilità sono infinite, ma quello che affrontiamo qui è
l’aspetto dell’aspirazione a raggiungere l’illuminazione in
questa vita per poter essere di concreto beneficio a tutti gli
esseri.
Troppo
spesso questo obiettivo ci pare irraggiungibile, non alla nostra
portata, ma in realtà non è così poiché l’illuminazione è già
presente in noi, è la natura di Buddha, la radice, il seme di karunā
e Chiara Luce inscindibile essenza.
L’illuminazione
non è un evento straordinario, magico, eclatante, è la chiara
visione liberata da tutti gli ostacoli e il seme è già in noi,
dobbiamo semplicemente farlo maturare, crescere.
Per
tutti i tibetani questo concetto è molto chiaro, in occidente invece
si immagina l’illuminazione in modo assolutamente distorto e per
questo si pensa di non poterla realmente ottenere, ma non è così, è
un obiettivo a portata di mano, il germoglio è già in noi e lo
possiamo realizzare pienamente proprio in questa vita.
Il
potere di questo germoglio, la bodhicitta, è forte, semplicemente
dobbiamo coltivare la pianta partendo dall’intenzione, questo
addestramento mentale è praticato nel Lo Jong in cui si dice che ci
sono due azioni importanti, la motivazione e l’intenzione, che
devono essere applicate all’inizio e alla fine di ogni azione.
La
bodhicitta si sviluppa nell’interazione di queste due azioni,
all’inizio dell’attività karmica è fondamentale la motivazione
e alla fine l’intenzione di dedicare i meriti così acquisiti a
beneficio di tutti gli esseri senzienti. In questo modo anche
l’azione più piccola assume un valore infinito, questo è il
potere illimitato della bodhicitta.
Dedichiamoci
ora alla meditazione del Tong Len, la pratica che scambia la
sofferenza altrui con i propri benefici, concentriamoci sul respiro e
ad ogni inspirazione prendiamo in noi tutti gli ostacoli e i problemi
degli esseri, mentre espirando mandiamo loro tutte le nostre qualità
positive e ogni bene.
Il
Tong Len è personale, ognuno offre tutto il proprio bene e prende su
di sé ogni sofferenza e ostacolo, ma si deve iniziare con il
prendere e pulire la nostra stessa sofferenza, purificare ogni azione
presente e futura, poi con questo cuore aperto, puro , dilatato
possiamo disporci ad accogliere la sofferenza altrui e donare in
cambio la nostra gioia, capacità, meriti.
Ripetendo
costantemente questa pratica purifichiamo e trasformiamo realmente il
nostro cuore, completamente liberato dagli ostacoli, una benefica
purezza che offriamo a tutti gli esseri.
Mantenendo
questa consapevolezza leggiamo ora insieme gli Otto versi di
Trasformazione della Mente composti
da Kadampa Geshe Langri Tangpa, (XII° secolo)
e
parte degli insegnamenti Lo Jong. Con questa preghiera noi assorbiamo
lo spirito di bodhicitta nel nostro continuum mentale.
OTTO
VERSI DELLA TRASFORMAZIONE DELLA MENTE
Considerando
tutti gli esseri senzienti
superiori
alla gemma che esaudisce i desideri
per
realizzare il fine supremo
possa
io costantemente prenderli a cuore.
Quando
sarò con gli altri,
riterrò
me stesso come il meno importante,
e
mi prenderò cura di loro fin nel profondo del cuore
come
se ognuno fosse il più elevato degli esseri.
Vigile,
ogni volta che sorge un’emozione negativa
Che
possa nuocere me o gli altri,
l’affronterò
e l’eliminerò
senza
indugio.
Vedendo
esseri in preda alla malvagità
Intenti
a violente azioni negative, sopraffatti da sofferenze,
avrò
sempre cura di tali creature così rare,
come
se avessi trovato un tesoro prezioso.
Quando
altri, per invidia, mi maltratteranno,
mi
insulteranno o faranno cose simili,
accetterò
la sconfitta e offrirò la vittoria.
Quando
qualcuno a cui ho fatto del bene
e
in cui ho riposto grandi speranze
mi
infligge un danno terribile,
lo
considererò il mio santo amico spirituale
(ripetere
3 volte) In
breve, direttamente e indirettamente, offro
ogni
beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri;
possa
io segretamente prendere su di me
tutte
le loro azioni negative e sofferenze.
Possa
la pratica non essere mai contaminata dalle idee causate
dalle
otto preoccupazioni mondane e, consapevole che tutte le cose sono
illusorie,
possa
io, privo di attaccamento, essere libero dal samsāra.
***
Intervento: Vorrei
ribadire alcuni aspetti della pratica della concentrazione in
rapporto alla trasformazione dello stato mentale che è così in
grado di estendere il proprio spazio. In genere il nostro stato
mentale è carico di sofferenza a causa della sua ristrettezza e
riempito completamente da preconcetti, pregiudizi, preoccupazioni,
condizionamenti e altro ancora. La meditazione fondata sulla
consapevolezza del respiro invece estende moltissimo lo spazio
mentale, per cui tutti questi limiti sono fortemente diluiti e i
fattori mentali positivi hanno maggiore possibilità di agire e
neutralizzare quelli negativi. Oggi la stessa neuroscienza è in
grado di dimostrare questa reale trasformazione tanto che accetta il
concetto dell’esistenza, a certi livelli di maturazione mentale, di
una naturale attitudine a scambiare se stessi con gli altri.
Domanda: Scambiare
se stessi con gli altri mi sembra un obiettivo davvero difficile, ma
forse questo processo aiuta a sviluppare l’empatia, a sapersi
mettere nei panni dell’altro?
Lama: Dal
punto di vista delle neuroscienze io non so dare una spiegazione,
però, filosoficamente è semplice, noi in realtà non siamo unità
distinte, ma parte dello stesso Uno. Noi ci percepiamo come individui
separati, invece siamo tutti in un’unità e in questa realtà è
possibile scambiare se stessi con gli altri. La separazione nasce
dall’illusione creata dall’ego che ci fa erroneamente percepire
come individui, isole autonome e questa è l’ignoranza
fondamentale. Nella visione di bodhicitta invece non esiste
separazione alcuna, ogni persona è nel Tutto, nell’Uno.
La
bodhicitta è il fenomeno che riunisce l’Universo, mentre, al
contrario, la bomba atomica e tutti gli strumenti bellici che noi
costruiamo in base alla falsa visione prodotta dall’ego sono per
dividere, distruggere, allontanare sia a livello di esseri umani che
geografico.
La
bodhicitta invece è la meditazione atomica che riunisce l’universo.
L’universo è uno, ogni singolo atomo li contiene in sé tutti.
Tong
Len include
“due parole: “Tong”
significa
purificare il cuore, lasciare l’attaccamento all’ego che è il
vero ostacolo interiore, e
“Len”
significa prendere su di sé la sofferenza altrui donando in cambio
le proprie qualità, la gioia, il bene.
È
necessario abbandonare le ingannevoli illusioni dell’ego che ci
mostrano ciò che in realtà è inesistente e ci rendono
costantemente obnubilati. Soltanto purificando il cuore da questi
miraggi confusi possiamo ricevere tutte le qualità nel nostro
continuum mentale reso così flessibile come spazio, come vento,
aperto completamente agli altri nel dare e ricevere, unificandosi
nella bodhicitta con l’universo intero.
A
chiarimento di questa importante visione possiamo esaminare
consapevolmente ogni parola espressa nel Sūtra del Cuore, la realtà
ultima, la vacuità della vacuità, questa consapevolezza, è il
cuore della meditazione.
Non
conosco il latino, ma il termine consapevolezza è l’insieme di
con-sapienza, o conoscenza, e volontà?
Intervento:
Non esattamente, la parola consapevolezza è un composto di due
termini latini, cum
sapientia,
però per i latini questo aveva scarso significato in quanto
ritenevano la coscienza un elemento estraneo, più legato a spiriti
vitali, e anche noi generalmente nel nostro linguaggio non abbiamo
chiara la distinzione tra coscienza e consapevolezza. Se ad esempio
io al mare mi butto nell’acqua ne ho coscienza, ma non ho affatto
consapevolezza di tutti gli elementi che la compongono, la sua
salinità, la temperatura, la durezza, e dunque se tutto ciò non è
tradotto a livello del cuore non serve a nulla. Una conoscenza senza
consapevolezza è inutile.
Domanda: E’
possibile che la consapevolezza sia figlia della presenza mentale?
Intervento: Certamente
la presenza mentale è fondamentale, ma deve essere ripulita da tutto
il ciarpame della mente ordinaria, si deve essere a livello di mente
sottile, altrimenti si cade in inganni devastanti, dubbi ed
elucubrazioni mentali che allontanano dal centro e distorcono la
realtà.
Domanda: Avrei
bisogno di un chiarimento sulla pratica del Tong Len, quando noi
visualizziamo di prendere su di noi la sofferenza altrui, poi cosa ne
facciamo, in quale contenitore la mettiamo?
Lama: Non
c’è alcun contenitore, la bruciamo, tutta questa sofferenza altrui
e nostra è il combustibile che brucia, dissolve il nostro ego. Prima
si prende la propria sofferenza, ci si purifica così da avere il
cuore puro in grado di prendere la sofferenza altrui dando in cambio
tutta la gioia, le qualità.
Domanda: Io
ho capito che l’ego è il prodotto della mente ordinaria e lo
costruiamo attraverso le esperienze che sono inevitabilmente
discriminanti e giudicanti e quindi negative. Dovremmo dunque
abbandonare l’ego per poter individuare il nostro autentico sé che
proviene dal sé cosmico, è corretto? Ma quando voi parlate di
prendere le sofferenze proprie e altrui io vedo l’ego come
protagonista, non è una contraddizione interna?
Lama: Nella
vita quotidiana è molto difficile distinguere in modo netto ego, sé,
o altro. L’ego è sempre presente nel samsāra, non lo si può
ignorare, e se è vero che crea molti problemi è anche possibilità
di soluzione di problemi. Come già detto non esiste nulla di
completamente negativo, c’è sempre una scintilla di positivo in
tutto, ciò che importa è riconoscere la radice di tutti i problemi
comprendere che l’immagine che l’ego ci mostra di noi stessi è
illusoria, falsa, senza consistenza. Non pensiamo di poter eliminare
l’ego, questo sarebbe l’inganno più grave, lo vediamo,
osserviamo con consapevolezza, e procedendo con bodhicitta e
saggezza, viviamo nel samsāra controllando l’ego. Nella pratica
del Dharma procediamo consapevolmente in armonia, in equilibrio tra
ego e non-ego.
In
sintesi per rendere la pratica realmente efficace è necessario
comprendere il significato di bodhicitta e Tong Len.
Ad
ogni respiro dilatiamo il cuore al benessere di tutti gli esseri,
nutriamo e purifichiamo il nostro cuore che trasmette, dona aria
pulita, ossigeno, vento rigeneratore nello spazio infinito
dell’universo a tutti gli esseri.
In
questa armonia siamo nella pace e in salute, con l’anima, con il
cuore puro, flessibile. Risanando il nostro cuore risaniamo il cuore
dell’universo, ogni nostro singolo respiro è il respiro
dell’universo, siamo Uno.
Questo
è il significato di Bodhicitta Tong Len, praticata giorno e notte,
ininterrottamente dagli antichi, semplici e saggi maestri Kadampa,
non facevano altro.
Il
grande maestro Śāntideva, autore del “Bodhicaryāvatāra”, era
criticato dai suoi compagni perché sembrava dormisse tutto il giorno
senza fare altro, tanto che volevano cacciarlo da monastero, in
realtà per tutto il tempo era concentrato nella pratica Tong Len,
meditando ogni respiro nella bodhicitta.
Sessione
3
Abbiamo
visto le prime tre pratiche, prendere rifugio, generare la
bodhicitta, concentrazione sul respiro nella contemplazione dei
quattro pensieri incommensurabili, trasformando il nostro continuum
mentale nella natura di amore, compassione e saggezza.
Sediamo
dunque rilassati e riflettiamo ora sulla meditazione e sulle tecniche
per attuarla al meglio.
In
tibetano vi sono tre termini specifici che definiscono le fasi
fondamentali della meditazione. Il primo significa meditazione della
calma dimorante, concentrazione, śamatha; il secondo la visione
profonda, vipaśyanā; il terzo, molto importante, indica l’unione
dśamatha e vipaśyanā.
Il
primo punto, śamatha, è la base di ogni meditazione poiché è una
tecnica tendente a rafforzare la nostra energia mentale concentrati
nella calma dimorante, placare i pensieri indirizzando la mente verso
il giusto oggetto. Il risultato di questo allenamento è il
raggiungimento della beatitudine di mente e corpo.
Nella
pratica della concentrazione, in armonia di mente e corpo, due
condizioni inscindibili, mente sana in corpo sano, si realizza
la visione profonda, ecco perché è così importante curare la
postura, che non deve mai essere forzata, faticosa, ma tutto deve
fluire armoniosamente, gioiosamente correlato, senza stanchezza
alcuna.
Questo
è un allenamento per raggiungere l’ anātman, l’assenza del sé,
la visione profonda, però non è ancora sufficiente per diventare un
Ārya, essere superiore, per realizzare questo ulteriore passaggio è
necessaria l’unione di śamatha e vipaśyanā.
Vi
sono tre stadi della meditazione che devono essere compiuti
consapevolmente, è un cammino che deve procedere passo dopo passo,
il primo stadio consiste nella cura dell’ambiente, il secondo
nell’avere la condizione favorevole, tutto il necessario e il terzo
riguarda la condizione mentale in cui la mente deve essere pronta,
libera dagli eccessivi desideri.
Kamalašȋla,
secondo maestro giunto in Tibet dal’India intorno al 780, fu il
primo a codificare questo aspetto in tre testi relativi agli stadi di
meditazione, come risposta alla richiesta del re Trisongdetzen
indotta dalle differenti visioni tra maestri della scuola cinese e
indiana pervenuti in Tibet a seguito del matrimonio del re con due
principesse una nepalese e l’altra cinese.
Il
re voleva approfondire quale fosse la visione più corretta e così
consultò dapprima il maestro grand abate Shanta-Rakyita Indiano,
al fine di confrontare i suoi insegnamenti con quelli cinesi, ma
l’abate declinò l’invito indicando come maestro più qualificato
Kamalašȋla e si organizzo così un importante dibattito tra
Kamalašȋla e il maestro cinese Heshang a Samyé. Il re, ascoltate
con grande attenzione le differenti tesi, decretò vincitore
Kamalašȋla che, nell’opera “Gli stadi della meditazione”,
presentò i testi fondamentali su śamatha e vipaśyanā e che
tuttora sono la base del Lam Rim.
Kamalašȋla
voleva riportare il buddhismo alla sua più pura essenza, privo di
inutili arzigogoli e cavilli intellettualistici e per questo volle
ribadirne l’essenzialità del messaggio originale basandosi
esclusivamente sui sūtra del Buddha.
La
pratica di śamatha, sul singolo punto, è la prima tecnica di
meditazione, per questo è necessario occuparsi delle condizioni
opportune alla meditazione stessa, avere un ambiente confortevole,
pulito, sano, sicuro, poi poter disporre del minimo necessario e
infine, terzo elemento, preparare la mente adeguatamente, cioè
purificandola, non occupata dai troppi desideri, un vero ostacolo
sopratutto qui in occidente.
I
primi due aspetti ambiente confortevole e condizioni di vita
adeguate, sono scontate, non ce ne occupiamo, concentrandoci invece
nella infinita moltiplicazione di desideri, nulla pare bastarci.
Avendo
la mente ripulita da questi ostacoli possiamo dedicarci con autentica
gioia senza fatica, pienamente sereni alla pratica di vipaśyanā,
poiché questo è il nostro scopo, null’altro, non dobbiamo sperare
in manifestazioni eclatanti come la levitazione o poter volare al di
sopra di tutto, questi fantasiosi desideri sono proprio il maggiore
ostacolo.
Il
più grande e giusto desiderio è non avere desideri, dimorare nella
naturalezza della mente di rinuncia, condizione fondamentale per
praticare la meditazione.
Con
quest’attitudine mentale possiamo applicarci alle sei pratiche
preparatorie, pulire l’ambiente, prendere rifugio nei Tre Gioielli,
predisporre le offerte pure, ma attenzione questo è molto difficile
poiché l’ego con i suoi tranelli è sempre in agguato.
A
questo proposito io racconto sempre la storia del monaco eremita
Bengunjé che aveva un benefattore che regolarmente portava offerte e
Bengunjé un giorno sapendo dell’arrivo di questa persona si
affrettò a ripulire molto bene l’altare, ponendovi fiori e curando
ogni dettaglio, ma, ultimato il lavoro si rese conto che aveva fatto
tutto questo, non per devozione, ma per compiacere il benefattore,
ebbe consapevolezza che la sua intenzione era sbagliata, motivata
unicamente dagli otto Dharma mondani, così raccolse della terra e la
gettò sull’altare sporcandolo e questa fu la vera offerta pura.
Passiamo
poi alla corretta postura, nelle sette posizioni del Buddha
Vairočana, comodi, rilassati, gioiosi, senza rincorrere nulla,
rimanendo stabili con corpo diritto e mente diritta.
Intervento: Vorrei
soffermarmi un momento sul funzionamento del cervello nello stato
meditativo. Il re Trisongdetsen ebbe un’ottima idea sposando due
principesse, una cinese e l’altra indiana, che avevano portato in
Tibet i loro maestri e i loro Buddha che però nel frattempo avevano
subito molte mutazioni rispetto la figura del Buddha originario. Il
buddhismo sostanzialmente si diffuse articolandosi in due fasi
fondamentali: la prima, di derivazione indiana e durata fino all’anno
100 d.C., è il buddhismo theravāda, degli uditori che avevano
ascoltato direttamente gli insegnamenti del maestro, però basato
essenzialmente sul concetto dell’Arhat, il monaco che cerca
l’illuminazione per sé stesso, mentre solo successivamente si è
sviluppata una seconda fase che ha avuto grandissima diffusione,
detto buddhismo trans-himalayano. Sul buddhismo di derivazione
cinese, molto raffinato ma più intellettuale, ebbe la meglio il
buddhismo di derivazione indiana.
Qui
mi ricollego al discorso delle neuroscienze perché il Dharma Buddha
è l’unica dottrina accettata in campo neuroscientifico in quanto
ha in sé fondamenti scientifici profondi riconosciuti in cui si vede
come il messaggio che giunge al cervello viene rapidamente
moltiplicato, così ad esempio quando si riceve un insulto si ha
un’immediata risposta potenziata e soltanto grazie ad un esercizio
costante della meditazione si permane in una situazione di calma
dimorante avendo un controllo effettivo su questa reazione e si è in
grado di neutralizzarne gli effetti. Questa calma è il primo passo,
ma non l’unico.
Lama: E’
molto importante l’argomento che stiamo affrontando sulle tecniche
di meditazione, la cura dell’ambiente, delle condizioni, della
postura in sette punti Vairočana lasciando la mente nel
rilassamento, semplicemente, senza ancora alcun impegno particolare.
Queste sono le basi fondamentali di qualità su cui costruire e
consolidare la meditazione, la grande meditazione.
La
meditazione è come la costruzione di un ponte e ogni pietra deve
accuratamente essere collocata nel punto giusto, un passo alla volta
senza fretta e soltanto se è ben strutturata, con pazienza, potrà
edificare una solida costruzione, altrimenti se mettiamo le pietre a
caso gli archi di sostegno cederanno e il ponte crollerà.
Una
volta stabilita la corretta postura del corpo possiamo osservare la
nostra mente, se non troviamo nessun problema tanto meglio, rimaniamo
immediatamente concentrati, se invece incontriamo soliti ostacoli,
agitazione, troppi desideri, i problemi più comuni suddivisi
generalmente in tre categorie: attaccamento, ignoranza, rabbia o
odio, dobbiamo porvi rimedio tramite l’applicazione degli antidoti,
uno tra questi, molto importante, è la concentrazione sul respiro e
quindi ci focalizziamo sui cicli dei 9 o 21 respiri di cui abbiamo
parlato ieri, così da riportare la mente a casa.
È
un lavoro costante, giorno dopo giorno, metodico e lineare, senza
fatica, né sforzo, né alcuna coercizione esterna, ognuno deve
trovare ciò che gli è più affine, idoneo, piacevole e posare
ordinatamente pietra dopo pietra per l’edificazione del proprio
ambiente, deve cioè applicare tutte le tecniche necessarie nella
costruzione della pratica.
Meditiamo
ora insieme.
Poniamoci
nella corretta postura il cui centro è la colonna diritta e
aiutiamoci reciprocamente, con suggerimenti ed esperienza, a trovare
la posizione più comoda e giusta, così come facevano gli antichi
maestri Kadampa che avevano un forte senso della condivisione della
quotidianità nell’unità fraterna poiché questo è il senso del
Sangha.
Ora,
non abbiamo ostacoli e scendiamo direttamente nella concentrazione
consapevole del nostro respiro, di ogni inspirazione ed espirazione e
così stabilizzati iniziamo la meditazione sul singolo punto in cui
stabiliamo l’oggetto della meditazione che oggi noi individuiamo
immaginando un Buddha vivente. Per aiutarvi vi leggerò le
caratteristiche che deve avere l’oggetto di meditazione e voi
cercate di crearlo di fronte al vostro spazio:
“Nello
spazio di fronte a me, all’altezza degli occhi c’è un trono
ampio e maestoso fatto di gemme preziose e sorretto da grandi leoni,
tre ad ogni angolo che guardano in alto e in basso.
Sopra
il trono vi è un seggio mandala composto da fiori di loto
multicolori completamente sbocciati dal disco di luna e di sole.
Su
di esso è seduto il Buddha Śākyamuni, il suo corpo è della natura
di Luce e il colore di oro purissimo e splendente coronato da usnȋsa.
Ha un volto e due braccia.
La
mano destra è allungata a toccare la terra.
La
mano sinistra è appoggiata in grembo nella posizione della
meditazione e tiene una ciotola colma di nettare.
Adorno
di tutti i centodieci segni di Buddha, indossa le vesti color
zafferano da monaco ed è seduto con le gambe incrociate nella
postura del vajra e del loto in un’aura di luce emanata dal suo
corpo.”
Stabilizziamo
con la maggior chiarezza possibile l’oggetto di concentrazione come
descritto e focalizziamo la mente su di esso. Riportiamo la mente a
casa, completamente calma.
Questa
è la meditazione sul singolo punto, ferma in quella concentrazione
che trasforma e guarisce non solo la mente, ma anche il corpo ed è
articolata in nove stadi.
Il
primo consiste nel stabilire l’oggetto della meditazione e
concentrarsi su di esso. Ad esempio possiamo scegliere come oggetto
il Buddha nella sua raffigurazione umana e dopo aver creato questa
connessione possiamo procedere alla seconda fase di stabilizzazione
della visione dell’oggetto stesso tramite il terzo occhio,
realizzando così la relazione profonda, l’armonia, tra oggetto e
soggetto.
Domanda: Che
significa creare armonia tra soggetto e oggetto, visualizzare o che
altro?
Lama: Prima
di tutto stabilire l’oggetto e poi collegare la mente in
concentrazione profonda con questo oggetto, senza mai staccare la
mente da esso.
Il
terzo passo si applica quando la concentrazione si affievolisce e
vacilla riportando la mente a casa, ritornando alla concentrazione
sull’oggetto.
Ogni
volta si comincia dall’inizio e sarà sempre più naturale, facile.
Questi tre passaggi sono davvero fondamentali.
Domani
mattina approfondiremo questa problematica e affronteremo dubbi e
perplessità.
Concludiamo
dunque la giornata con al preghiera di dedica.
Sessione
4
Oggi
è l’ultima giornata di questo ritiro il cui obiettivo possiamo
sintetizzare in due fasi fondamentali: l’esercizio di
trasformazione di ogni respiro nella natura di bodhicitta attraverso
la pratica del Tong Len.
Per
sviluppare queste capacità nel valore dell’esistenza è
indispensabile possedere le forti qualità mentali di concentrazione
e intelligenza e per questo ci siamo soffermati sulla śamatha, la
meditazione concentrata, e sul vipaśyanā realizzando così la
visione profonda di unione tra śamatha e vipaśyanā.
Quest’attitudine
mentale nella calma dimorante della visione profonda rende la nostra
quotidianità armonica in ogni suo aspetto, significa avere la
capacità di raggiungere l’illuminazione in una sola vita, cioè
non è necessario attendere la morte, la si può realizzare qui e
ora, se ne può avere esperienza anche per un secondo che però può
essere prolungato tramite la visione profonda. Dobbiamo essere sempre
consapevoli del grande valore intrinseco in noi, delle infinite
potenzialità della mente.
Abbiamo
approfondito a lungo questo aspetto e ora dobbiamo praticare per
generare la bodhicitta, iniziamo dalle preghiere del Jor Chö che
riguardano le prime due pratiche la pulizia dell’ambiente e la
purezza delle offerte:
PURIFICAZIONE
DEL LUOGO
Possa
la superficie della terra, in ogni direzione, essere pura, senza
asperità e imperfezioni, soffice e liscia come il palmo della mano
di un bambino, naturalmente levigata come il lapislazzuli.
OFFERTE
Possano
le offerte materiali degli umani e dei deva, quelle effettivamente
preparate, quelle immaginate e le nuvole delle ineguagliabili offerte
di Samantabhadra, pervadere la totalità dello spazio.
Ora
passiamo alla terza pratica, la postura del corpo, visualizziamo la
figura del Buddha Vairočana e prendiamo rifugio nei te gioielli
sviluppando la bodhicitta, immersi nei quattro pensieri
incommensurabili e visualizziamo di fronte a noi l’assemblea di
tutti i Buddha, i Bodhisattva, i protettori, affidiamo la nostra vita
alla loro benevolenza, come ai nostri genitori, riconosciamo la loro
infinita saggezza e compassione. Stabilizzati in questo rifugio nel
Buddha, Dharma, Sangha siamo accompagnati dalla loro guida nel nostro
cammino spirituale.
La
quarta pratica comprende la visualizzazione del campo dei meriti in
cui stabiliamo il nostro spazio, l’assemblea de maestri di fronte a
noi approva la nostra pratica e, come genitori, mostrano immenso
amore nei nostri confronti;
La
quinta pratica infine è la sintesi, l’essenza della purificazione
nell’accumulazione di meriti e la purificazione delle azioni
negative compiute nel passato, recitiamo per questo la pratica dei
sette rami e l’offerta del mandala.
PRATICA
DEI SETTE RAMI
Oh
nobile Mañjusrī dalla giovane forma, mi prostro davanti a te.
Oh
leoni fra gli uomini, Buddha passati, presenti e futuri a quanti di
voi esistono nelle dieci direzioni mi prostro con il corpo, parola e
mente.
Sulle
onde della potenza di questa regina delle preghiere, per i metodi
supremi e sublimi con i corpi numerosi come gli atomi del mondo, mi
prostro ai Buddha che pervadono lo spazio.
In
ogni atomo si trova un Buddha che siede tra gli innumerevoli figli di
Buddha; con uno sguardo fiducioso mi rivolgo ai vittoriosi che
riempiono l’intero dharmadhātu.
A
coloro che hanno infiniti oceani di eccellenza, con un oceano di
prodigiosa parola canto le lodi alla grandezza di tutti i Buddha: un
elogio a coloro che sono andati nella beatitudine.
Offro
loro ghirlande di fiori, parasoli decorati, musiche piacevoli e
profumi eccelsi; offro a tutti i vittoriosi lampade al burro e sacro
incenso purissimo.
Cibo
eccellente, fragranze supreme e un cumulo di sostanze mistiche alto
come il monte Meru dispongono in un ordine speciale e offro a coloro
che hanno conquistato se stessi.
Da
lungo tempo, sopraffatto da attaccamento, odio e ignoranza, con il
corpo, la parola e la mente ho compiuto innumerevoli azioni negative.
Ora le confesso tutte senza omissioni.
Nelle
perfezioni dei Buddha, Bodhisattva, Arhat sul sentiero e oltre e
nella potenziale bontà di tutti gli esseri viventi, elevo il mio
cuore e gioisco.
Oh
luci dell’universo, Buddha che otteneste lo stato
dell’illuminazione incontaminato, a tutti voi rivolgo questa
richiesta: fate girare l’incomparabile “ruota del Dharma”.
Oh
Maestri che volete mostrare il paranirvana, vi prego di restare con
noi e insegnare per tanti eoni quanti sono i granelli di polvere, per
portare gioia e virtù a tutti gli esseri.
Possa
qualunque merito accumulato con queste prostrazioni, offerte,
purificazione, nel rigioire e chiedendo ai Buddha di rimanere e
insegnare il Dharma, essere dedicato all’illuminazione suprema e
perfetta, affinché, al più presto, liberi dalla sofferenza tutti
gli esseri.
Offerta
del Mandala
Con
fede inamovibile nei miei guru, yidam e tre preziosi gioielli, offro
il prezioso mandala ingioiellato, altre purissime offerte, ricchezze,
tutte le virtù create da chiunque nel passato, nel presente e nel
futuro con il corpo, la parola e la mente. Accettandole con la vostra
infinita compassione, mandatemi onde di energia ispiratrice.
IDAM
GURU RATNA MANDALA KAM NIRYATA YAMI
Invio
questo mandala ingioiellato a voi guru preziosi.
Il
punto centrale dunque in questa esistenza è generare la bodhicitta e
mantenerne sempre viva la fiamma affinché illumini in nostro
cammino, ripetiamo dunque per tre volte la preghiera che ci fortifica
in questa intenzione:
Generare
la Bodhicitta
Con
il desiderio di liberare tutti gli esseri,
Fino
al raggiungimento dell’essenza dell’illuminazione
Prenderò
sempre rifugio
Nel
Buddha, nel Dharma, nel Sangha.
Con
saggezza, amore e compassione
Mi
sforzerò di recare beneficio agli esseri senzienti.
Stando
davanti ai Buddha,
Genero
la mente della completa illuminazione.
Abbiamo
aperto la nostra mente di bodhicitta di fronte a tutta l’Assemblea
dei maestri del campo di meriti che hanno il compito di
accompagnarci, mentre noi dobbiamo essere pienamente consci della
responsabilità di mantenere sempre vivo il cuore di bodhicitta al
fine di poter aiutare gli altri esseri.
Questa
condizione non deve mai essere vista come un dovere, bensì è una
scelta consapevole, gioiosamente saggia, che rende la vita felice,
armoniosa, amichevole.
Ora
leggiamo le quattro meditazioni illimitate di Śāntideva:
Quattro
Meditazioni Illimitate
Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero equanimi,
senza attaccamento né ostilità, non vicini a qualcuno e distanti da
altri. Possano dimorare nell’equanimità. Io farò in modo che vi
dimorino. Vi prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia
ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.
Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti avessero la
felicità e le sue cause, Possano essi averla. Io farò in modo che
la posseggano. Vi prego, guru-divinità, concedetemi la vostra
energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.
Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero liberati
dalla sofferenza e dalle sue cause. Possano esserne liberati. Io farò
in modo che ne siano liberati. Vi prego, guru-divinità, concedetemi
la vostra energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.
Come
sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti non fossero privi
della gioia delle rinascite elevate o della liberazione completa.
Possano non esserne mai privi. Io farò in modo che essi non ne siano
separati. Vi prego, guru-divinità, concedetemi la vostra energia
ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.
Fino
a quando durerà lo spazio
E
fino a quando esisteranno gli esseri senzienti,
Fino
a quel momento io resterò
Per
disperdere le sofferenze degli esseri
Abbiamo
dunque praticato le prime cinque pratiche Jor Chö, compresa la
generazione di bodhicitta, ed è rimasta la sesta e ultima.
Soffermiamoci
a rivedere qualche flash sulla meditazione, la sua luce,
intelligenza, saggezza.
Intervento: Quando
ero ragazzo sentivo parlare di meditazione come di una realtà strana
esotica, esoterica, assolutamente estranea alla vita normale, e
comunque oggi ritengo a ragion veduta che questo termine sia
completamente sbagliato in quanto non c’è da meditare nulla, ma
semplicemente, con la meditazione, scoprire la naturale luminosità
della mente. Il problema però è complesso perché noi siamo
essenzialmente un corpo completamente formato da polvere di stelle.
Il cervello soffre a causa della materia che oscura la luce di cui è
costituito e, pur essendo una parte preponderante di noi, non è la
mente con cui ha comunque un collegamento. È come se avessimo un
computer costituito da hardware, parte concreta, materia e software
parte volatile, invisibile, uniti in una virtuale interfaccia. Il
cervello è parte di questo aspetto concreto, convenzionale, da cui
non possiamo prescindere, soggetto ad un processo evolutivo che ha
dovuto selezionare e spesso sovrapporre capacità con conseguente
alternanza di pulsioni e funzionamenti diversi su più livelli:
quello materiale che regola tutte le funzioni fisiche, poi quello a
livello emozionale e infine quello superiore della saggezza che però
praticamente non può intervenire negli altri livelli che spesso
hanno invece il sopravvento. Quindi ciò che dobbiamo fare è
sviluppare la parte superiore che con la preghiera e meditazione nel
raccoglimento profondo è in grado collaborare con tutte le strutture
cerebrali.
Lama: Intenso
e non facile. Riprendiamo dunque dalla meditazione, śamatha e
vipaśyanā.
Tutte
le sei pratiche preparatorie fanno parte del Lam Rim e sono
fondamentali, la sesta pratica che non abbiamo ancora analizzato
consiste nel Jor Chö ed è l’evocazione della benedizione sul
proprio continuum mentale.
Non
dimentichiamo dunque la visualizzazione del campo di meriti con tutti
i nostri maestri, percorriamo le prime cinque pratiche e la
generazione di bodhicitta e infine invochiamo questa benedizione per
rendere malleabile e aperto il nostro continuum mentale tramite la
realizzazione dei sentieri Lam Rim, leggiamo insieme il testo:
IL
FONDAMENTO DI TUTTE LE BUONE QUALITA’
Il
guru è il fondamento di tutte le buone qualità ed è molto gentile
e venerabile. Avendo ben compreso che seguire il guru correttamente è
la radice del sentiero, vi prego di benedirmi perché possa seguirlo
con profonda devozione e sforzo intrepido.
Vi
prego, beneditemi perché possa realizzare che la preziosa rinascita
umana, ottenuta una sola volta, è grandemente significativa e molto
difficile da ottenere di nuovo, e perché io generi la mente che ne
prende l’essenza giorno e notte senza sosta.
Vi
prego, beneditemi perché possa realizzare che il mio corpo e la mia
vita sono fragili come una bolla di sapone e velocemente si
deteriorano e si avvicinano alla morte; perché io possa vedere
chiaramente ed ottenere la ferma comprensione che, dopo la morte, la
mente dovrà seguire il karma positivo e negativo come l’ombra
segue il suo corpo; e perché io sia sempre vigile e prudente
nell’evitare di accumulare karma negativi anche i più
insignificanti, e per ottenere tutte le virtù.
Vi
prego, beneditemi perché possa realizzare che i piaceri della
felicità samsarica non danno alcuna soddisfazione e sono la porta
verso tutte le sofferenze; che le perfezioni del samsara non valgono
la nostra fiducia, e perché io faccia sorgere un desiderio intenso
per la felicità della liberazione.
Vi
prego, beneditemi perché possa compiere la pratica essenziale,
mantenere l’ordinazione di pratimoksa, la radice degli
Insegnamenti, con grande cura, attenzione e memoria che derivano dal
pensiero puro (della rinuncia).
Vi
prego, beneditemi perché sia capace di vedere che, come io sono
caduto nell’oceano del samsara, tutti gli esseri senzienti, mie
madri, stanno soffrendo allo stesso modo, e perché possa addestrare
la mente nella sublime bodhicitta, sopportando il peso di liberare
tutti quei trasmigratori.
Vi
prego, beneditemi perché sia capace di vedere che, se anche ho
ricevuto la bodhicitta, se non sono ben addestrato nelle tre
moralità, con questa soltanto non potrò mai raggiungere
l’illuminazione, e perché possa seguire con intenso sforzo, le
ordinazioni dei figli dei conquistatori (i Bodhisattva).
Vi
prego, beneditemi perché possa generare presto nella mia mente il
sentiero in cui si uniscono Samatha (quiescenza mentale) e Vipassanā
(visione superiore), pacificando la distrazione (causata) da oggetti
ingannevoli e contemplando perfettamente il significato assoluto.
Quando
sono diventato ricettivo, avendo esercitato la mente nel sentiero
generale, Vi prego di benedirmi perché possa entrare istantaneamente
nel Vajrayana che è il più sublime tra tutti gli yana (sentiero),
il sentiero eccellente degli esseri fortunati.
Vi
prego, beneditemi perché possa ricevere la ferma, autentica certezza
nella spiegazione che la base per ottenere i due tipi di
realizzazione (ordinarie e straordinarie), è osservare puramente i
voti e le parole d’onore e proteggerli anche a costo della vita.
Quindi
Vi prego, beneditemi perché sia capace di realizzare gli
insegnamenti degli Esseri puri senza mai abbandonare lo yoga in
quattro sessioni, con grande sforzo, avendo perfettamente compreso
l’importanza dell’essenza del sentiero tantrico in due stadi.
Vi
prego, beneditemi perché i miei Guru, che mostrano questo sentiero
eccellente, e gli amici spirituali, che lo praticano perfettamente,
abbiano lunga vita, e perché pacifichi tutti gli ostacoli esterni e
interni alla mia pratica del Dharma.
In
tutte le mie vite future possa io non essere mai separato dai
perfetti maestri e gioire del magnifico Dharma e così completare
tutto il sentiero e i suoi gradi; possa io ottenere velocemente lo
stato di Vajradhara.
(L’albero
dell’assemblea dei Guru si assorbe nella figura centrale che scende
sul tuo capo e si trasforma in Guru Sākyamuni Buddha. Ora medita per
qualche tempo su un soggetto del sentiero Generale.)
La
meditazione è visualizzazione e qual è la differenza tra le due?
Risposta: La
visualizzazione è la fase della concentrazione su un oggetto, mentre
la meditazione è la riflessione che ne scaturisce.
Lama: Molto
difficile stabilire confini netti, meditare è addestrare la mente,
sempre, in un esercizio continuo che sviluppa più passaggi: pensare,
vedere, percepire a livello profondo, comprendere, riflettere e
familiarizzare, ed è necessario essere in questa ripetizione
costante concentrati sullo stesso oggetto. Saltellare da un oggetto
di meditazione all’altro significherebbe dover sempre ricominciare
daccapo senza scendere mai veramente nel profondo.
La
stabilizzazione dell’oggetto è la meditazione sul singolo punto
con concentrazione, consapevolezza, vigilanza, che fa crescere la
potenzialità di corpo e mente in una flessibilità aperta allo
spazio, senza più blocchi, senza ostacoli. Questa meditazione
diventa natura di beatitudine che penetra il corpo sottile.
Autentica
beatitudine in grado di vincere la sofferenza, il dukkha, la
meditazione vipaśyanā, la pratica śamatha che indaga la verità
della sofferenza, ne cerca e riconosce le cause e solo in questo modo
le supera realizzando le quattro nobili verità.
L’energia
del corpo sottile è in grado di trasformare tutto; noi siamo
costituiti dal corpo sottile e dai cinque aggregati: forma,
sensazione, percezione, formazione mentale e coscienza, ma crediamo
erroneamente che possa esistere soltanto ciò che vediamo, che sia
concretamente tangibile, limitando in questo modo la nostra capacità
di creazione, di conoscenza della realtà.
La
realizzazione del veicolo del tantra deriva dalla capacità di
pensiero, di immaginazione, di visualizzazione, di creare immagine
archetipe e in questa familiarizzazione ci si può davvero
trasformare, produrre qualcosa di reale, creare la forma intangibile
del Dharma.
Questa
è la visualizzazione nel veicolo tantrico del Vajrāyana basato
sulla pratica di vipaśyanā e śamatha insieme, ma è una pratica
non percorribile da tutti, ci vuole grande addestramento e costanza
capacità di scendere ad una profondità che solo gli yogi hanno
realmente sviluppato.
Tutti
desidereremmo possedere le capacità di uno yogi, ma per raggiungere
questo livello dobbiamo lavorare senza interruzione e allenarci
ininterrottamente per ritornare alla nostra natura originaria e ciò
implica in primo luogo il totale superamento dell’ostacolo
principale che è la pigrizia, il lassismo, l’incapacità di
restare fermi.
Per
noi comunque è più accessibile il veicolo dei sūtra, ma anche qui
dobbiamo lavorare sulle nostre pigrizie, la pigrizia
dell’indifferenza verso tutti e tutto, poi quella dell’attaccamento
a internet, la pigrizia dell’attività compulsiva e moltissime
altre ancora.
Dobbiamo
dunque sviluppare, coscienti delle pigrizie che ci condizionano, una
ricerca costantemente vigile volta al raggiungimento dello stato
mentale della beatitudine, della perfezione nella pratica della
concentrazione, nella perseveranza entusiastica e questo è l’esatto
opposto di ogni pigrizia.
Con
fiducia, gioia nella meditazione, perseveranza entusiastica si vince
ogni pigrizia e dunque Shiné, la meditazione sul singolo punto, è
fondamentale.
Sessione
5
Siamo
giunti alla conclusione del nostro ritiro ed è un momento molto
importante, quello della raccolta dei frutti maturati in esso,
consapevoli dell’immensa gioia, pace, felicità, armonia derivanti
dall’accumulazione di meriti.
In
questi tre giorni ci siamo impegnati a sviluppare un buon cuore nella
purezza e ci siamo concentrati sull’aspetto fondamentale della
meditazione e visualizzazione nel veicolo tantrico del Vajrāyana.
Qualsiasi
pratica delle quattro classi tantriche nell’unione di vipaśyanā e
śamatha si fonda sulla immaginazione e visualizzazione nella
concentrazione e perseveranza entusiastica, per produrre un altro
livello di esistenza, una forma senza forma, non tangibile ai cinque
sensi ma a livello di coscienza, nell’infinito.
Ritornando
al veicolo dei sūtra, śamatha sviluppa la potenzialità mentale
tramite la concentrazione e vipaśyanā produce saggezza, conoscenza
superiore, nella meditazione dunque si giunge ad una visione che va
oltre l’ordinario, una realtà che trascende la percezione consueta
di ciò che è tangibile ai nostri sensi, si realizza la vacuità, la
realtà ultima.
Il
veicolo dei sūtra, Sūtrayana è detto anche veicolo della
Prajñāpāramitā, fondato sulle sei fondamentali perfezioni.
Per
sviluppare una completa realizzazione di vipaśyanā prima si deve
raggiungere lo stato mentale di śamatha, calma dimorante o singolo
punto.
La
natura originale della mente è calma, è come acqua limpida con cui
possiamo pulire tutto, mentre se tentassimo di farlo con acqua sporca
otterremo l’esatto contrario.
Riportare
la mente alla sua purezza originale è la pratica di Shiné, dimorare
nella calma dimorante, già indicata come Mahāmudrā, Dzogchen,
Rigpa, e per poter attuare questo è necessario liberarsi da
complicate sovrastrutture, essere semplici, liberi di meditare
profondamente in un ambiente non inquinato, pulito, silenzioso,
liberati da tutti i condizionamenti inutili.
È
fondamentale la preparazione alla meditazione, una prassi che deve
essere fatta con pazienza, senza alcuna fretta e la concentrazione
sul respiro, il ciclo dei nove o ventuno respiri sono uno strumento
davvero importante per raggiungere questa calma interiore. La
concentrazione sull’oggetto di meditazione è il primo passo e si
deve consapevolmente rimanere stabili su di esso poiché il primo
ostacolo che si incontra è la difficoltà a ricordare questo stesso
oggetto.
Spesso
si cade nel sonno, nell’obnubilamento o nell’agitazione mentale,
e l’antidoto a questa dimenticanza è l’introspezione vigilante
nella consapevolezza dell’oggetto di meditazione.
Però
un altro ostacolo più sottile, ma non meno pesante, è
l’applicazione non necessaria dell’antidoto, il giusto equilibrio
è fondamentale. In questa pratica si possono riconoscere cinque
ostacoli e otto rimedi.
Nella
meditazione vipaśyanā questa consapevolezza è essenziale.
Nel
buddhismo tibetano si parla spesso di vacuità e si sono codificati
livelli di pratica con l’ordinazione di quattro diversi tipi di
Sangha, laici o monaci, divisi secondo il genere, maschi o femmine,
con una suddivisione in regole contenute nel testo ufficiale della
disciplina di vita del Vinaya, e si sono così formati così
differenti diciotto scuole e gruppi in base alla cultura dei paesi in
cui il buddismo si sviluppava, rimanendo però tutti fedeli
all’insegnamento originario del Buddha.
In
Tibet si è seguita la corrente relativa all’insegnamento di da
Nāgārjuna fondata sull’essenzialità dei due aspetti della
vacuità: la vacuità del sé e la vacuità dei fenomeni.
In
genere noi siamo attenti e consideriamo naturale la vacuità dei
fenomeni, ma non accettiamo quella del sé.
Ma
Nāgārjuna dice che prima di tutto è fondamentale realizzare la
vacuità del sé, cioè realizzare che non esiste un sé permanente,
un sé indivisibile, un sé indipendente.
Quindi
sono queste le domande che dobbiamo porre a noi stessi,
continuamente, e la risposta è nella domanda stessa.
Tutte
le risposte ricercate all’esterno provocano solo confusione,
divisione tra le varie religioni con classificazioni inesatte e
inesistenti.
Grazie
a tutti, insieme abbiamo fatto un buon lavoro.