Tuesday, 6 January 2015

LAM RIM PRATICHE PRELIMINARI - LAM RIM JOR CHÖ 2°







Lam Rim pratiche preliminari


Geshe Gedun Tharchin

INSEGNAMENTI DI GIOVEDI ANNO 2004 
Istituto Lamrim / Fondazione Maitreya, Roma







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.INDICE


LAM RIM 2004 (Giovedi)   JOR CHÖ 

Jor Chö – Introduzione alla pratica del Jor Chö…………………………..     
Jor Chö – Il fondamento di tutte le buone qualità  1……………………….     
Jor Chö – Il fondamento di tutte le buone qualità  2……………………….    
Jor Chö – utilità della pratica Jor Chö e introduzione al Dharma 
Jor Chö –  pratica Jor Chö......................................................................................
Trattato del piccolo Lam Rim, Natura di Buddha e realizzazione spirituale  
Come praticare il Dharma …………………………………………………   
Quattro Bodhicitta, tre tipi di generosità con esempi di Lama Potowa……   











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Jor Chö – introduzione alla pratica del Jor Chö


E’ molto bello potersi ritrovare insieme ancora una volta per continuare la ricerca della felicità genuina; è un viaggio interiore che ognuno di noi deve voler percorrere con la consapevolezza che la vera felicità non proviene mai dall’esterno, ma è già presente in noi, sempre, il nostro compito consiste solo nello scoprirla. Gli esseri umani, la mente umana, sono sempre capaci di trovarla.
Esiste una tecnica per attivare la ricerca della vera felicità ed è la meditazione, che non ha nulla di magico, ma che è una pratica, un metodo, che ci accompagna passo a passo verso la meta. Il segreto della meditazione è la scoperta di sé stessi attraverso la consapevolezza. 
Sono contemporaneamente presenti due attività nella nostra mente:
la prima è costituita dalla mente che compie le cose usuali, ordinarie;
la seconda è la mente in grado di leggere le motivazioni e le intenzioni con cui attraversiamo la vita ordinaria. 
La meditazione affonda in entrambe le attività mentali, senza discriminare o escludere nessuna delle due. Durante la meditazione siamo capaci, tramite la consapevolezza, di riesaminare tutti i comportamenti abitudinari, le azioni ordinarie, avendone una visione particolare. Questa è un’attività fondamentale della mente, sempre vigile e presente, perché solo in questa consapevolezza siamo in grado di trasformare le azioni quotidiane in una vera pratica meditativa.
Dobbiamo comprendere chiaramente che nella meditazione sono sempre presenti le due attività mentali e mai, in nessun caso, solo una di esse. Quindi la meditazione non consiste nello sfuggire e negare i pensieri abituali, ma nell’averne una loro rilettura che produce chiarezza mentale, tranquillità, rilassamento, serenità e scoperta della genuina felicità interiore.
Questi nostri incontri ci danno quindi la possibilità di addestrarci alla meditazione.
Anche le realizzazioni ottenute affondano nella mente meditativa, che non rifugge i pensieri abituali, ma mantiene la presenza vigile in ogni attività. 
Mantenendo una presenza mentale chiara scopriamo molti spunti di riflessione che altrimenti non sapremmo vedere, gli oggetti a cui possiamo attingere per sviluppare le capacità della mente. Ecco il motivo per cui leggiamo su ogni argomento più testi  che riportano differenti punti di osservazione, essi favoriscono lo sviluppo e il potenziamento di facoltà mentali aperte e diversificate. 
Sono tre differenti livelli che dobbiamo analizzare in questo percorso:
Il primo è costituito dall’atteggiamento abituale riguardo la vita ordinaria, aspetto importantissimo che ci sostiene nelle attività quotidiane;
il secondo è quello della consapevolezza che ci permette di osservare e guidare tutti gli aspetti della vita quotidiana.
Questi due aspetti costituiscono la base della meditazione e solo se sono presenti entrambi si può parlare di vera meditazione, se ne manca uno, no; 
il terzo livello riguarda tutte le qualità mentali, come l’amore e la compassione, che possono essere sviluppate solo in seguito alla realizzazione dei primi due livelli. 
In genere si pensa, sbagliando, che la meditazione si limiti alla consapevolezza, mentre essa è la base su cui sviluppare le importanti qualità mentali descritte nei testi che leggeremo e che ne costituiscono il cuore. 
Lo studio dei testi è basilare perché  permette di conoscere la gradualità del sentiero, di riconoscere le qualità della mente e di svilupparle in noi. 
Coloro che si interrogano su cosa sia la mente positiva e cercano di meditare per ottenere una rapida e precisa risposta, non la conosceranno mai se non conoscono la gradualità con cui procedere per il suo sviluppo, una simile meditazione non serve a nulla. Invece è importante conoscere i tre livelli di sviluppo della meditazione. 
Adesso comprendete quanto sia difficile risponde alla domanda “cos’è la mente positiva?” perché essa deve poter crescere gradualmente, piano piano. 
La generica accezione di mente positiva che noi abbiamo è assolutamente differente dalla sua accezione spirituale. 
Comunemente si pensa che la mentre positiva sia qualcosa da conquistare, da costruire per la nostra realizzazione, ma il fatto stesso che ci si focalizzi totalmente sull’ “io”, sul “me” e sul “mio”, escludendo automaticamente gli altri, rende la vita molto pesante, difficile e carica di negatività e, purtroppo, questo è il nostro atteggiamento usuale. 
La visione spirituale della mente positiva invece include tutti gli altri esseri nel processo della vita, senza esclusioni o discriminazioni. 
Ad un livello ordinario molti pensano che non sia possibile sviluppare la mente positiva partendo dagli altri esseri, ma che si debba porre se stessi al centro di tutto, però la visione spirituale dimostra esattamente il contrario.
Con la lettura, lo studio e l’ascolto degli insegnamenti si favorisce lo sviluppo della mente positiva che comporta una apertura, una dolcezza e un rilassamento reali, ecco perché è così difficile rispondere in poche parole alla domanda su cosa sia una mente positiva, essa abbraccia un ambito molto vasto e graduale, deve essere appresa lentamente e gradualmente. 
La conoscenza dei diversi livelli della mente richiede tempo e consequenzialità, bisogna iniziare contemporaneamente dai primi due e poi si potranno sviluppare in modo infinito le qualità positive della mente. Lo studio permette l’attuazione di tale processo.
I tre livelli sono dunque costituiti dalla mente ordinaria, dalla mente meditativa e dalle qualità spirituali, ed è bene tener sempre presente che la mente ordinaria non ha in sé nulla di negativo, è la natura insita negli esseri samsarici. Lo spontaneo desiderio e la pulsione verso il bene e le cose buone non ha in sé nulla di errato, ma soltanto in assenza della consapevolezza delle qualità spirituali potrà verificarsi qualcosa di sbagliato.
Nella nostra situazione di esseri samsarici, umili e ordinari, è sufficiente un po’ di consapevolezza per renderci già più intelligenti e con qualità mentali che, trasformandoci in esseri spirituali, possono donarci una vita veramente felice. 
Ciò che dobbiamo sempre ricercare in noi stessi, in ogni istante anche minimo dell’esistenza ordinaria, è la consapevolezza, la presenza delle qualità mentali e la potenzialità del loro sviluppo.
La meditazione si basa sulla nostra naturale potenzialità mentale per cui è sufficiente possedere la piccola chiave in grado di aprire il forziere del tesoro, è così semplice!
Il grande errore che commettiamo invece consiste nell’attendersi tutto dall’esterno, mentre il tesoro è già depositato al nostro interno, basta scoprirlo. Se non sappiamo come aprire il forziere che lo contiene esso rimarrà là, inutile, lasciandoci inesorabilmente poveri ed è un vero peccato, un grande spreco. 
La mente umana è il più grande fenomeno che esista su questo pianeta, è la fonte di ogni qualità, felicità, rilassamento e gioia, è così particolare che contiene un tesoro tanto grande da poter esaudire tutti i desideri e donarci la felicità.
Questo dovrebbe essere il modo corretto di avvicinarsi alla pratica, da questo momento fino alla fine dei nostri giorni, al fine di poter vivere felici rilassati e sereni.
I libri sono un grande aiuto, la mappa che ci permette di trovare più facilmente il tesoro in noi, per questo insieme studieremo il “Jor Chö” un testo tibetano in cui sono contenute tutte le pratiche, esso è il migliore per queste nostre giornate perché è semplice e ci permette di procedere con gradualità iniziando dalla lettura e continuando con la riflessione, la meditazione e la contemplazione.
In questi incontri analizzeremo la versione semplificata, anche se io faccio sempre riferimento al testo completo; ne posseggo una copia identica a quella che mi fu regalata a conclusione del primo anno di corso come premio per essere stato il migliore nella prova di memorizzazione. Un monaco anziano in seguito mi aveva chiesto il testo e così adesso forse quel libro è in Tibet e ciò mi rallegra molto. E’ stato il primo regalo che ho ricevuto e oggi questo è un bel ricordo. 
In monastero ci sono due differenti tipi di valutazione, uno riguarda il numero di pagine che lo studente è riuscito a memorizzare durante l’anno e l’altro riguarda invece l’esame del livello globale di studio, della capacità dialettica  e in quest’ultimo non ho mai avuto difficoltà ad essere il primo della classe, mentre per quel che riguarda la memorizzazione ci sono riuscito soltanto quella volta in cui ho appunto ricevuto questo testo, ed è per me un ricordo interessante perché, tradizionalmente, la memorizzazione delle pagine è considerata essenziale. Certamente la sola capacità di memorizzazione è assolutamente inutile se non è accompagnata dallo sviluppo di tutte le altre necessarie qualità filosofiche. 
E’ comunque bello ricordare come la premiazione per la memorizzazione, anche se è vissuta intensamente dagli interessati che ricevono pubblicamente un regalo, non sia
 mai discriminante perché la tradizione vuole che, anche se si è memorizzata una sola pagina, si riceva ugualmente un dono. Ciò è magnifico perché dimostra che l’essenziale è la compassione che valuta la partecipazione, l’impegno posto secondo le proprie qualità, non esiste un livello minimo al di sotto del quale non si supera la prova, tutti ottengono il riconoscimento del loro l’impegno e dell’entusiasmo posto, indipendentemente dal risultato ottenuto. 
Adesso purtroppo le cose stanno un po’ cambiando, si stanno introducendo criteri valutativi che partono da livelli minimi e comincia a entrare il concetto di bocciatura. Invece il metodo tradizionale è stupendo, ci si può presentare anche con una sola pagina memorizzata e si riceve ugualmente la “kata”, nessuno è escluso. 
Le prove sono due, una consiste nel dibattito e l’altra nella memorizzazione, e non vi è nulla di scritto;  ho trovato una certa analogia nel sistema universitario italiano in cui quasi tutti gli esami sono orali, come nella sua tradizione monastica!....Il valore umano viene esaminato in base alla naturale capacità di espressione della persona e non tanto per le sue capacità di leggere e scrivere. 
Da giovedi prossimo inizieremo quindi lo studio di questo testo che è una vera pratica di Dharma.
Se non ci sono domande concludiamo con la lettura, tutti insieme e a voce bassa, dei “Tre aspetti del Sentiero” :

“Porgo omaggio ai venerabili Lama.

Spiegherò come meglio posso, 
il significato essenziale di tutte le scritture del Buddha,
il sentiero lodato dagli eccellenti Bodhisattva,
la via d’accesso per il fortunato che anela alla liberazione.

Coloro che non sono attaccati ai piaceri dell’esistenza mondana,
coloro che si sforzano per rendere utili le circostanze favorevoli e la fortuna,
coloro che propendono per il sentiero che compiace il Buddha,
questi fortunati dovrebbero ascoltare con mente attenta.

Senza una rinuncia completamente pura,
non vi è modo di frenare l’ardente ricerca di piaceri nell’oceano dell’esistenza.
Inoltre, l’attaccamento all’esistenza ciclica imprigiona completamente gli esseri incarnati.
Quindi, sin dall’inizio bisognerebbe cercare di realizzare la rinuncia.

Le circostanze favorevoli e la fortuna sono difficili da ottenere e la vita non è lunga,
familiarizzando con ciò, si elimina l’attaccamento alle apparenze di questa vita.
Riflettendo costantemente sul karma e sui suoi inevitabili effetti
e sulle sofferenze del Samsara,
si elimina l’attaccamento alle apparenze delle vite future.

Se, avendo meditato in tal modo, non nasce nessun desiderio
per i piaceri dell’esistenza ciclica,
e se costantemente, giorno e notte, sorge un’aspirazione alla liberazione,
allora la rinuncia è stata generata.

Tuttavia, se questa rinuncia non viene unita alla generazione
di una completa aspirazione alla più alta illuminazione,
non diverrà causa della meravigliosa beatitudine dell’insuperabile Bodhi.
Perciò, il saggio dovrebbe generare il supremo Bodhicitta.

Gli esseri samsarici vengono trascinati dalla corrente dei quattro potenti fiumi,
sono legati con le strette catene del karma, difficile da eliminare,
sono entrati  nella gabbia di ferro dell’attaccamento al Sé,
sono completamente oscurati dalle fitte tenebre dell’ignoranza,

nascono nell’esistenza senza limiti, e nelle loro nascite
vengono incessantemente torturati dalle tre sofferenze.
Riflettendo in tal modo circa la condizione delle madri che si trovano in tale stato,
genera la suprema intenzione altruistica di divenire un Risvegliato.
Se non possiedi la saggezza che comprende la vera natura delle cose, 
sebbene tu abbia sviluppato la rinuncia e il Bodhicitta,
la radice del Samsara non può essere estirpata.
Quindi, impegnati intensamente per realizzare l’origine interdipendente.

Colui che vede come inevitabile la realtà di cause ed effetto di tutti i fenomeni
nel samsara e nel nirvana,
distrugge totalmente ogni percezione errata
ed è entrato nel sentiero che compiace i Buddha.

Fin quando le due realizzazioni, quella delle apparenze,
ovvero l’inevitabilità dell’origine interdipendente,
e quella della Vacuità, ovvero la non-asserzione,
vengono considerate separate, non vi è ancora la realizzazione
del pensiero di Buddha Shakyamuni.

Quando le due realizzazioni esistono simultaneamente, senza alternarsi,
e la semplice percezione dell’inevitabilità dell’origine interdipendente eliminerà
la concezione di un’esistenza intrinseca,
allora l’analisi della visione è completa.

Inoltre, l’estremo dell’esistenza è eliminato dall’apparenza,
e l’estremo della non-esistenza è eliminato dalla Vacuità.
Se comprenderai che la vacuità appare come causa ed effetto
non sarai preda delle visioni estremiste.

Quando avrai realizzato correttamente
i punti essenziali dei tre aspetti principali del sentiero,
dimora in solitudine e genera il potere della perseveranza entusiastica.
Raggiungi presto la tua meta finale, figlio mio.”








Jor Chö  -  Il fondamento di tutte le buone qualità   1


L’incontro di oggi inizia con l’approfondimento del testo Lamrim “Il fondamento di tutte le qualità”, che ha un significato fondamentale per la pratica del sentiero graduale verso l’illuminazione in quanto ogni verso descrive e spiega dettagliatamente e in modo consequenziale ogni passo, gradino dopo gradino. 
Ogni verso analizza differenti qualità spirituali, che non sono già pienamente realizzate in noi, ma costituiscono l’aspirazione, il punto di arrivo, a cui dobbiamo giungere. Il solo ricordarle è qualcosa di assai prezioso e di molto importante, esse esistono già in noi, sono parte di noi, appartengono al mondo, sia a quello interiore che a quello esteriore; in ogni situazione possiamo scoprire le ottime qualità che costituiscono fonte di benessere. 
Quindi, questo testo che si intitola “Il fondamento di ogni qualità”, malgrado la sua brevità, contiene il significato profondo di tutti gli insegnamenti. 
Certamente alcuni significati del testo appaiono ostici, di difficile comprensione, ma questo non ci deve scoraggiare perché attraverso lo studio, una buona esperienza, possiamo cercare e trovare in noi la realtà corrispondente. 
Queste qualità non sono visibili solo all’interno di noi stessi, ma le troviamo anche negli altri; osservando la bellezza del mondo, la bellezza degli esseri umani, comprendiamo come sia più facile ottenere gioia e felicità piuttosto che dolore e difficoltà, e proprio grazie alla presenza delle qualità spirituali. 
Ciò che non mi stanco mai di sottolineare è l’importanza delle due accumulazioni, di meriti e di saggezza, che debbono sempre essere presenti nel nostro cammino spirituale. E’ prima di tutto necessario eliminare il fraintendimento che ci vede sempre protagonisti, costruttori di qualcosa, ma, al contrario, non si tratta di costruire bensì di coltivare con cura le nostre qualità attraverso l’accumulazione dei meriti e l’accumulazione della saggezza che elimina l’ignoranza.
La pace e la felicità mentale dipendono dall’accumulazione dei meriti e dall’accumulazione della saggezza. Anche il portare a compimento i nostri desideri dipende da queste due accumulazioni.
Più analiticamente osserviamo che l’accumulazione dei meriti contiene le prime tre perfezioni:
generosità;
moralità o etica;
pazienza
La generosità consiste nel donare sia i beni materiali che i beni spirituali, è dare protezione, rifugio e Dharma. La generosità è dedicare agli altri questo dare.
L’etica consiste fondamentalmente nel non fare male agli altri, compiere qualsiasi azione sulla base della volontà di non nuocere in alcun modo agli altri. E se ci si trova in una condizione in cui sia impossibile evitare un danno a qualcuno si cerchi di ridurne al massimo gli effetti. 
L’etica non deve assolutamente essere intesa come l’insieme di norme, di regole, perché esse dipendono dalla situazione temporale in cui sono state emesse e sono soggette a interpretazioni e cambiamenti, non è questo, l’etica è l’azione basata sulla volontà di non nuocere agli altri. Questo è un punto saldo e immutabile in qualsiasi tempo e situazione culturale.
La pazienza è prima di tutto fondamentale per la nostra pace e tranquillità mentale.
Un aspetto della pazienza è la capacità di affrontare e sopportare le difficoltà che si presentano e che sono parte della nostra esistenza. Di fronte ai problemi non si può nascondere la testa come gli struzzi ma bisogna farsene carico con serenità e tolleranza. Le difficoltà possono riguardare noi stessi o gli altri e solo sapendole affrontare con pazienza si evita di procurare un danno a se stessi e agli altri; invece di essere un ostacolo esse devono trasformarsi in un mezzo per rafforzare le nostre qualità interiori. 
Un secondo significato che il termine pazienza racchiude è la lungimiranza. Quando subiamo un torto, una aggressione, o un qualsiasi male, non dobbiamo sentirci offesi o colpiti, perché questo approccio è assolutamente non corretto, in realtà dobbiamo essere in grado di capire che il comportamento dell’altro è condizionato da fattori oscuranti, dall’ignoranza, quindi dobbiamo essere in grado di non prendercela, di saper comprendere le motivazioni dell’altro. Questo è un altro modo di praticare la pazienza.
Un altro aspetto della pazienza è in relazione alla pratica del Dharma, e qui è necessario eliminare ogni fraintendimento, non confondere la pazienza con la pigrizia Un detto tibetano cita: “Non confondere la pigrizia con la santità”. Non corrisponde a vera pazienza la non reazione, il non prendersela, se ciò è dovuto esclusivamente alla stanchezza mentale che sorge di fronte ai problemi, questa è pigrizia e non pazienza. A volte è facile confondere pazienza e pigrizia quindi, in questa distinzione, diventa comprensibile il terzo livello della pazienza che richiede al praticante di Dharma una profonda determinazione e convinzione. Il terzo livello di pazienza è proprio basato sulla forte convinzione interiore a voler praticare il Dharma, consiste nel coltivare le buone qualità, nell’azione volta al bene degli altri, e non ha nulla a che vedere con l’atteggiamento del lasciar correre, è, al contrario, una forza interiore che ci permette di essere attivi e non di restare immobili. 
Questi tre modi di praticare la pazienza sono estremamente importanti. Le tre prime perfezioni, generosità etica e pazienza, letteralmente possono essere definite l’accumulazione di meriti.
Le successive due perfezioni:
lo sforzo gioiosa o perseveranza entusiastica;
la concentrazione,
appartengono ad entrambe le accumulazioni, sia all’accumulazione di meriti che all’accumulazione di saggezza, mentre la sesta perfezione:
la saggezza, 
appartiene all’accumulazione della saggezza.
Le sei paramita o perfezioni racchiudono interamente l’insegnamento del Buddha, contengono tutte le pratiche spirituali perché includono sia l’accumulazione dei meriti che l’accumulazione della saggezza e sono dette le pratiche dei Bodhisattva.
Ora, alla luce di questa spiegazione, leggiamo il testo:

IL FONDAMENTO DI TUTTE LE QUALITÀ
Il Guru è il fondamento di tutte le buone qualità ed è molto gentile e venerabile. Avendo ben compreso che seguire il Guru correttamente è la radice del sentiero, vi prego di benedirmi perché possa seguirlo con profonda devozione e sforzo intrepido.
Vi prego, beneditemi perché possa realizzare che la preziosa rinascita umana, ottenuta una sola volta, è grandemente significativa e molto difficile da ottenere di nuovo, e perché io generi la mente che ne prende l’essenza giorno e notte senza sosta.
Vi prego, beneditemi perché possa realizzare che il mio corpo e la mia vita sono fragili come una bolla di sapone e velocemente si deteriorano e si avvicinano alla morte; perché possa io vedere chiaramente ed ottenere la ferma comprensione che, dopo la morte, la mente dovrà seguire il karma positivo e negativo come l’ombra segue il suo corpo; e perché io sia sempre vigile e prudente nell’evitare di accumulare karma negativi anche i più insignificanti, e per ottenere tutte le virtù.
Vi prego, beneditemi perché possa realizzare che i piaceri della felicità samsarica non danno alcuna soddisfazione e sono la porta verso tutte le sofferenze; che le perfezioni del Samsara non valgono la nostra fiducia, e perché io faccia sorgere un desiderio intenso per la felicità della liberazione.
Vi prego, beneditemi perché possa compiere la pratica essenziale, mantenere l’ordinazione di pratimoksa, la radice degli Insegnamenti, con grande cura, attenzione e memoria che derivano dal pensiero puro (della rinuncia).
Vi prego, beneditemi perché sia capace di vedere che, come io sono caduto nell’oceano del Samsara, tutti gli esseri senzienti, mie madri, stanno soffrendo allo stesso modo, e perché possa addestrare la mente nella sublime bodhicitta, sopportando il peso di liberare tutti quei trasmigratori.
Vi prego, beneditemi perché sia capace di vedere che, anche se ho ricevuto la bodhicitta, se non sono ben addestrato nelle tre moralità, con questa soltanto non potrò mai raggiungere l’illuminazione, e perché possa seguire con intenso sforzo le ordinazioni dei figli dei conquistatori (i Bodhisattva).
Vi prego, beneditemi perché possa generare presto nella mia mente il sentiero in cui si uniscono samatha (quiescenza mentale) e vipassana (visione superiore), pacificando la distrazione (causata) da oggetti ingannevoli e contemplando perfettamente il significato assoluto.
Quando sono diventato ricettivo, avendo esercitato la mente nel sentiero generale, vi prego di benedirmi perché possa entrare istantaneamente nel vajrayana che è il più sublime tra tutti gli yana (sentiero), il sentiero eccellente degli esseri fortunati.
Vi prego, beneditemi perché possa ricevere la ferma, autentica certezza nella spiegazione che la base per ottenere i due tipi di realizzazione (ordinarie e straordinarie), è osservare puramente i voti e le parole d’onore e proteggerli anche a costo della vita.
Quindi vi prego, beneditemi perché sia capace di realizzare gli insegnamenti degli esseri puri senza mai abbandonare lo yoga in quattro sessioni, con grande sforzo, avendo perfettamente compreso l’importanza dell’essenza del sentiero tantrico in due stadi.
Vi prego, beneditemi perché i miei guru, che mostrano questo sentiero eccellente, e gli amici spirituali, che lo praticano perfettamente, abbiano lunga vita, e perché pacifichi tutti gli ostacoli esterni ed interni alla mia pratica del Dharma.
In tutte le mie vite future possa io non essere mai separato dai perfetti maestri e gioire del magnifico Dharma e così completare tutto il sentiero ed i suoi gradi; possa io ottenere velocemente lo stato di Vajradhara.

***
Leggeremo anche il commento tibetano al Jor Chö di Potowa, un Kadampa Geshe vissuto nell’undicesimo-dodicesimo secolo, nel quale si dice che tutti gli insegnamenti e tutti i commenti, scaturiscono dagli esseri illuminati e sono stati dati con l’intento di trasformare il continuum mentale. 
Se non avviene questa trasformazione mentale qualsiasi azione virtuosa, sia fisica che verbale, non potrà essere causa della futura illuminazione. Questo è un punto importante: le azioni verbali e fisiche, anche se piene di virtù, se non sono in grado di trasformare la mente, sono prive di significato.
L’insegnamento Lamrim del sentiero graduale verso l’illuminazione, ha quattro grandezze e permette di eliminare le cattive comprensioni degli insegnamenti laddove sia dimostrato che esistono contraddizioni al loro interno. Ciò è bellissimo perché annulla un grave fraintendimento sempre presente nel mondo moderno, una situazione costantemente conflittuale per cui si continua a discriminare, a pensare ed affermare che una cosa sia migliore di un’altra, che una religione sia superiore alle altre, e così via, qualsiasi situazioni si affronti. Ma tutte le religioni nella loro essenza sono ugualmente buone e una tale conflittualità ingenera visioni errate e aumenta la confusione della mente. 
E’ fondamentale comprendere che tutte le dottrine non sono assolutamente contraddittorie tra loro, anzi sono complementari. Questa è la prima grandezza dello studio del Lamrim. 
La seconda grandezza è data dal fatto che tutti gli insegnamenti ci giungono come istruzioni spirituali e tutto ciò che proviene dalle autentiche fedi religiose sono pure istruzioni spirituali che rispondono pienamente alle nostre attitudini.
La terza grandezza è la chiarezza che produce la capacità di comprendere il pensiero dell’essere illuminato immediatamente. 
La quarta grandezza, infine, elimina automaticamente la presenza di concetti errati, le difficoltà e gli ostacoli alla comprensione.
Queste sono le quattro grandezze dell’istruzione del Lamrim. Esistono ulteriori tre caratteristiche che esamineremo la prossima settimana.
Studiando e meditando sui testi Lamrim dobbiamo sempre tener presenti le quattro grandezze.


(L’incontro si conclude con una sessione di meditazione e una preghiera di dedica).






Jor Chö – il fondamento di tutte le buone qualità   2


“Il fondamento di tutte le buone qualità” è un testo Lamrim e contiene ogni spiegazione necessaria per percorrere il sentiero verso l’illuminazione. Con il termine Lamrim si sottintende e ci si riferisce ad un preciso insieme di testi.
Tutta la letteratura Lamrim si basa sui testi di Atisha che ne è considerato il fondatore; la sua opera basilare è il “Bodhipathapradipa”  “La Lampada che Illumina il Sentiero che porta all’Illuminazione”.
Per quanto possano differenziarsi tra loro i testi Lamrim contengono la stessa impronta di completezza e soprattutto hanno un modo molto simile, anzi identico, di presentare i passi del sentiero che conduce all’illuminazione. 
Riferendoci alla pratica Lamrim indichiamo in particolare tre diversi passi, o stadi, che è necessario attraversare.
Il primo è il thöpa ed è il livello dell’ascolto e include anche lo studio e la lettura;
Il secondo è il sampa ed è riferito alla comprensione dei testi e alla riflessione;
Il terzo è gompa ed è il livello meditativo della concentrazione e della contemplazione su ciò che si è ricevuto dall’ascolto e dalla riflessione. 
La pratica non è sempre uguale, statica, esistono moltissimi modi diversi di attuarla, ciò che è importante, e rimane punto fermo ed essenziale, indipendentemente dal tipo di pratica che si intenda applicare, è mantenere sempre saldo il cammino attraverso questi tre gradini.
La pratica spirituale non può essere parziale, riferita soltanto alla meditazione, o all’ascolto, o alla lettura, o alla riflessione, ma è l’insieme delle tre fasi che, dunque, devono sempre essere presenti.
E’ piuttosto difficile giungere direttamente alla pratica della meditazione o della riflessione se non si è passati prima attraverso la fase dell’ascolto e della lettura. Questo è l’approccio migliore e corretto.
Per avvicinarsi alla pratica spirituale è necessario riceverne prima la giusta preparazione; tentare di praticare senza avere gli strumenti necessari per farlo correttamente, comporta grandi sforzi e nessun risultato.
La preparazione è dunque fondamentale al fine di poter godere pienamente delle pratiche che si intraprendono e il Jor Chö, che è ciò che noi intendiamo studiare, è essenzialmente una pratica di preparazione.
Quando leggiamo un testo di Lamrim abbiamo la possibilità di aprire la mente alla completa conoscenza del sentiero che conduce all’illuminazione. Le persone che sono adatte al Lamrim, che se ne sentono attratte, sono coloro che ricercano il senso profondo dell’esistenza, che hanno la ferma determinazione di voler rendere significativa la loro vita. Per queste persone dedicarsi al Lamrim sarà entusiasmante, di sicuro interesse e grandemente significativo. 
Anche nella tradizione tibetana per definire il Lamrim si dice che “il Lamrim è l’essenza di tutti gli insegnamenti del Buddha” ed è l’unico sentiero che può essere percorso dal Buddha dei tre tempi.
Il Lamrim appartiene alla grande tradizione di Nagarjuna ed Asanga ed è la suprema tradizione religiosa di coloro che si protendono verso l’illuminazione, comprende tutti i tre livelli delle pratiche degli individui e per questo viene definito il sentiero graduale verso l’illuminazione. 
Il Lamrim attinge alla fonte autentica, non è solo una parte della tradizione spirituale ma è il cammino completo in cui il Buddha ha avuto fede, scaturisce dallo stesso Buddha ed è stato tramandato, attraverso Nagarjuna, fino ai giorni nostri. E’ la gemma che esaudisce tutti i desideri e include tutti i livelli delle pratiche spirituali, è come un oceano in cui sfociano tutti i fiumi, così, per analogia, tutti i molteplici percorsi spirituali, le diverse pratiche spirituali, affluiscono nel Lamrim.
Il Lamrim comprende in sé tutte le pratiche dei Sutra e dei Tantra, è il sistema tradizionale che sottolinea maggiormente l’addestramento del continuum mentale e proprio per questo è facile da seguire.
Il Lamrim fu attivato da Atisha, il quale a sua volta ricevette un insegnamento molto speciale riferito alla bodhicitta dal grande maestro Serlingpa, conosciuto come il maestro dell’isola dorata (Sumatra), quindi fu tramandato con le istruzioni di Nagarjuna, che ne inizia il lignaggio, passando poi da Chandrakirti che integrò ulteriormente le istruzioni. Questa è una caratteristica importante del Lamrim. 
Dobbiamo essere consapevoli di quanto siamo fortunati ad aver incontrato le istruzioni di questo bellissimo e rilevante sentiero, anche se non sempre sappiamo cogliere il significato profondo di ciò che ascoltiamo perché qui siamo in Italia ma la voce viene da molto lontano, dal Tibet. Sono comunque parole bellissime, frasi armoniose che appartenendo alla cultura tibetana di quel tempo e, anche se ci suonano estranee, accogliamole come un magnifico oggetto a cui rivolgersi con omaggio e rispetto.
Una delle grandezze del Lamrim è l’apertura del cuore che permette di poter ascoltare diversi insegnamenti da diversi maestri senza escluderne nessuno, considerandoli tutti come strumento di illuminazione. E’ come un corpo, composto da diverse parti, tutte ugualmente importanti. Differenti maestri, o anche un solo maestro, possono dare insegnamenti diversi, e il praticante Lamrim li vedrà sempre tutti in modo non discriminante, come elemento essenziale del cammino, senza il quale il percorso non sarebbe completo.
Il Lamrim permette di apprezzare qualsiasi piccola pratica e di goderne come irrinunciabile istruzione spirituale. Lo studio del Lamrim permette immediatamente di riconoscere la parte della pratica che si riferisce ad un determinato insegnamento. 
Il Lamrim comprende in sé l’intero sentiero e non è una pratica parziale, singola, per questo è indispensabile la giusta preparazione per poterla attuare; all’inizio non saremo capaci di affrontarla nella sua globalità, è un po’ e come se dovessimo saltare, cominceremo con pochi centimetri e poi potremo aumentare il livello dell’asta, sempre più in alto. 

Ho seguito alcune fasi delle olimpiadi di Atene e mi ha incuriosito l’atleta italiano che prima di saltare si dimenava moltissimo, forse per prepararsi e scaldare i muscoli, ma consumando una gran quantità di energie, e quando si è trattato di saltare, malgrado il suo grande sforzo, ha sbagliato. 
Per praticare il Lamrim non è necessario dimenarsi convulsamente, al contrario è bene iniziare la preparazione con concentrazione e tranquillità, passo dopo passo. 
Tra l’allenamento sportivo dell’atleta e la preparazione del praticante spirituale vi è una differenza sostanziale e a questo proposito è opportuno ricordare Dharmakirti, un famosissimo, forse il maggiore, filosofo e logico indiano della sua epoca (intorno al 600), il quale sottolineava come tutte le cose abbiano un loro limite, quando si salta si può arrivare fino a un certo punto e non oltre; se si fa bollire l’acqua, ugualmente, ciò non può superare il suo limite di riscaldamento. Il salto dipende dallo sforzo di chi salta e ha comunque un limite, il bollore dell’acqua dipende dal fuoco e quando il fuoco finisce anche l’acqua si raffredda, questo è il suo limite, non esiste una natura dell’acqua per cui essa possa bollire da sola. 
Invece nella pratica spirituale non esistono limiti perché essa dipende dalla mente umana e la mente umana non è subalterna alla forza fisica, all’energia. Più si allena, e più lo sforzo iniziale scema sino a quando la mente procede da sola illimitatamente; la spiritualità umana può svilupparsi in modo infinito. 
La natura umana è basata su fondamenta solide e se si ha familiarità con la pratica spirituale non occorre più applicare nessuno sforzo. Ciò costituisce una grande speranza, un vero entusiasmo nell’affrontare lo sforzo iniziale, sapendo che la mente progredirà ogni giorno sempre più in là, senza volontà imposta, in modo naturale e autonomo. 
Per la comprensione di questo meraviglioso processo naturale è interessante leggere gli importantissimi e stupendi commentari contenuti nel testo di Dharmakirti, “Pramanavarttika”.

A conclusione della serata rileggiamo il testo “Il fondamento di tutte le buone qualità” e poi faremo una sessione di meditazione.






Jor Chö – utilità della pratica Jor Chö e introduzione al Dharma 

(la registrazione è molto disturbata e lontana quindi alcune trascrizioni possono non corrispondere esattamente, altre, dove ci sono puntini di sospensione, punti interrogativi  e scritte in corsivo, mancano)

Il Jor Chö introduce al Lamrim ed è fondamentale per coloro che intendono intraprendere un ritiro Lamrim; è molto bello e piacevole per chi si impegna nella pratica  quotidiana e vuole approfondire la conoscenza dei testi. 
Nella pratica Lamrim tendiamo a confrontarci direttamente con il testo, mentre con il Jor Chö abbiamo una pratica più libera. 
Oggi, come già successo al ritiro di Bolsena, ho portato un certo numero di testi relativi alla pratica Jor Chö e in entrambe le situazioni sono stati distribuiti tutti, questo significa che abbiamo un buon karma, una relazione spontanea con il Jor Chö, possiamo dunque procedere ad analizzarlo anche se oggi ne affronteremo solo una parte. 
Cominciamo con l’esame della visualizzazione e dell’invocazione del campo dei meriti e del campo dei rifugi. Questo primo passo è l’invito agli esseri che hanno realizzazioni molto elevate, prendendoli come oggetto della nostra pratica, essi rappresentano i nostri punti di riferimento e con loro prendiamo rifugio nei tre gioielli ed espandiamo l’atteggiamento interiore. 
La seconda fase è lo sviluppo dei quattro pensieri incommensurabili.
Il terzo punto è riferito all’intensificazione della bodhicitta. 
Segue quindi una pratica molto bella che è la “Purificazione in sette rami”.
Leggere, pensare e meditare su questi versi è aprire le porte del Dharma.
Nell’addestramento iniziale dei praticanti Lamrim, al primo capitolo, si afferma di dover abbandonare l’interesse per questa vita. Ma cosa significa concretamente questo abbandono? Esso è reale e completo e il suo centro è posto nell’intenzione di ogni nostra azione.
Se facciamo qualcosa per il piacere la felicità o la fama di questa vita, anche se si tratta di azioni virtuose quali ad esempio la meditazione, esse non avranno alcun significato dharmico perché questo è lo stesso modo di agire degli animali. E’ molto frequente nella terminologia buddhista la comparazione con il mondo animale, un simile atteggiamento non può che riprodurre all’infinito cause samsariche.
Un attitudine ben diversa è l’attenzione verso le vite future. Coloro che agiscono e meditano con l’intenzione di continuare a migliorare se stessi attraverso vite fortunate, umane o divine, attuano una pratica primaria di Dharma ed è la prima intenzione nel Lamrim per non produrre più cause del samsara. 
E’ interessante questa possibilità di praticare il Dharma affrontando questioni esclusivamente samsariche, perché generalmente si pensa che la pratica del Dharma sia essenzialmente rivolta al Nirvana, al Buddha, e nessuno si accorge che essa deve comunque partire dalla situazione presente, al fine di poter cominciare a modificare e migliorare la situazione del samsara stesso.
Per noi, che siamo poverissimi sul piano spirituale, questa pratica è fondamentale per la possibilità di realizzazione dello scopo finale, dobbiamo iniziare ad ottenere dei risultati che possano continuare a migliorare il nostro essere nelle vite future. 
Questa vita è troppo breve perché possiamo ottenere grandi risultati, è già un dono immenso quello di essere nati come esseri umani, ma nel nostro arrancare non otterremo molto di più, tutti i nostri sforzi e il nostro interesse devono essere rivolti alla vita futura in modo da poter rinascere ancora come esseri umani, conoscere il Dharma e poterlo praticare e sviluppare sempre di più, infatti esiste sempre la possibilità di dover rinascere in un posto dove c’è carestia, povertà e nessuna possibilità di venire a contatto con il Dharma. 
In questa vita abbiamo già avuto la grande fortuna di vivere bene, in Italia, ma non abbiamo certezze per quanto riguarda le prossime rinascite. Non ha quindi alcun senso praticare il Dharma per avere fortuna e ottenimenti in questa vita, perchè questo è lo stesso atteggiamento che hanno gli animali, è un atteggiamento che non produce alcun frutto, tende solo a saziare la fame del momento. 
Il primo passo dei praticanti Lamrim riguardo all’interesse per un miglioramento verso le vite future è dunque importantissimo. A questo livello non dobbiamo preoccuparci della liberazione o del Nirvana. 
Vi è poi un’altra intenzione e riguarda la liberazione di se stessi dal samsara, una situazione in cui dobbiamo già possedere la rinuncia, la consapevolezza che tutta la realtà samsarica è sofferenza. Possedere questa consapevolezza e attuare la rinuncia è una pratica verso la liberazione, è causa di liberazione, ed è attuata dal praticante di livello intermedio. 
Esiste un’ulteriore possibilità di espandere la nostra pratica quando l’intenzione non è limitata alla liberazione di noi stessi, ma è rivolta intensamente alla volontà di liberazione di tutti gli esseri. I praticanti superiori praticano il Dharma, la meditazione, con l’intenzione di liberare tutti gli esseri. 
Non è tanto importante quello che si fa, ma, piuttosto,l’intenzione con cui si pratica. 
Se qualcuno, con cattiva intenzione, ci offrisse anche un miliardo di dollari, non li vorremmo. Ma se qualcuno, con una buona intenzione, ci donasse anche solo un cioccolatino questo ci riempirebbe il cuore di gioia. 
La gioia e la sofferenza derivano direttamente dall’intenzione delle azioni e non solo dalle cose materiali in sé, per questo l’intenzione è assolutamente fondamentale. L’intenzione di abbandonare questa vita, cioè i piaceri, la voluttà, l’illusione, l’attaccamento alle cose, è per i praticanti di Dharma il primo passo da compiere. Abbandonare questa vita è abbandonare l’attaccamento, il desiderio, l’abbondanza il possesso e il vero abbandono è un atteggiamento mentale, non è soltanto il lasciare gli oggetti.
Ogni azione compiuta con un’attitudine di attaccamento a questa vita non è Dharma.
Un punto fermo della pratica del Dharma è abbandonare questa vita. La prima pratica del Dharma è il progettare come abbandonare questa vita. Se un individuo non possiede la pratica fondamentale del Dharma, ma si proclama praticante di Dharma, rivela una grande stupidità.
Bisogna dunque osservare dentro se stessi e chiedersi se c’è realmente in noi l’intenzione di abbandonare questa vita oppure no. E’ importante che l’atteggiamento di non attaccamento sia vero, puro, è necessario ridurlo progressivamente.
Il primo passo da compiere  da parte dei praticanti è compiere queste tre cose.
Se si è praticato o meno il Dharma nel passato lo si può comprendere osservando la propria intenzione, se si è abbandonato l’attaccamento alla vita oppure noMarpa diceva a Milarepa “pensare alle sofferenze del Samsara al fine di comprendere il Samsara non posso spiegartelo concretamente anche se moltiplicassi le mie lingue, anche se parlassi per eoni ed eoni, quindi non dovresti sprecare il Dharma.” Questo insegnamento è stato dato da Marpa a Milarepa”. Milarepa invece ha detto che se si voleva praticare il Dharma bisognava sviluppare la fede e l’intenzione dal profondo del cuore.





Jor Chö – pratica Jor Chö


Iniziamo con la lettura delle “Meditazioni e Pratiche preliminari Jor Chö”: 
(traduzione dall’inglese di Annamaria Depretis. Istituto Lama Tzong Khapa, 3 agosto 1993)

VISUALIZZAZIONE DELL’OGGETTO DEL RIFUGIO
Nello spazio di fronte, all’altezza degli occhi, c’è un trono ampio e maestoso fatto di gemme preziose di ogni tipo e sorretto da grandi leoni, due ad ogni angolo, che guardano in alto e in basso. Sopra il trono vi è un seggio mandala composto da un fiore di loto multicolore completamente sbocciato, dal disco di luna e di sole.
Su di esso è seduto il mio guru radice, virtuoso e gentile, nell’aspetto di Buddha Sakyamuni. Il suo corpo, della natura della luce è del colore dell’oro purissimo e splendente. E’ coronato dall’usnisha, ha un volto e due braccia. La mano destra è allungata a toccare terra, la sinistra è posata in grembo nella posizione della meditazione colma di nettare.
E’ adorno di tutti i centodieci segni fisici di un Buddha, indossa le vesti color zafferano da monaco ed è seduto con le gambe incrociate nella postura del vajra (o del loto), in un’aura di luce emanata dal suo corpo.
Attorno a lui sono seduti tutti i miei Guru diretti, quelli del lignaggio, gli Ydam, i Buddha, i Bodhisattva, i Daka, le Dakini e i Protettori del Dharma, con i volumi dei loro insegnamenti, splendenti di luce chiara, posti davanti a loro su magnifici troni.
Tutti i membri di questa potente assemblea sorridono e sono compiaciuti che io stia facendo questa pratica.
Ricordando la loro gentilezza e le loro qualità, sorge in me fiducia e ammirazione profonda.
Io e tutti gli esseri senzienti, mie madri, da rinascite senza inizio fino ad ora, abbiamo sperimentato ogni sorta di sofferenza del samsara in generale e, in particolare dei tre stati inferiori. Tuttavia non ci è facile comprendere la profondità e l’estensione delle sofferenze.
Ma ora ho ottenuto una condizione umana ottimale, pienamente dotata degli otto tipi di libertà e delle dieci circostanze favorevoli al Dharma, che è veramente difficile da trovare e, una volta ottenuta può essere vantaggiosamente utilizzata poiché mi permette di ottenere una buona rinascita , il Nirvana e persino lo stato di Buddha.
Per questa volta ho avuto la fortuna di trovare il Dharma, il cui incontro è rarissimo. Se non mi impegno ora che ho questa occasione così favorevole per ottenere la completa illuminazione, la forma suprema di liberazione da tutte le sofferenze, dovrò sperimentare ancora tutta la serie di sofferenze del samsara in generale e, in particolare, quella dei tre reami inferiori.
Solo il mio guru e i tre gioielli del rifugio visualizzati di fronte a me hanno il potere di proteggermi da tutte queste sofferenze.
Dovendo ottenere il risveglio per riuscire a beneficiare in modo completo tutti gli esseri senzienti, mie madri, prendo rifugio nel maestro e nei tre rari e supremi.

FORMULA DEL RIFUGIO 
(da ripetere tre volte)
Prendo rifugio nel Guru.
Prendo rifugio nel Buddha.
Prendo rifugio nel Dharma.
Prendo rifugio nel Sangha. 

PREGHIERA PER SVILUPPARE LA BODHICITTA
(da ripetere tre volte)
Fino all’illuminazione prendo rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha. Per i meriti virtuosi accumulati praticando la generosità e le altre perfezioni, possa io raggiungere lo stato di Buddha, per essere in grado di beneficiare tutti gli esseri senzienti.

QUATTRO MEDITAZIONI ILLIMITATE
(da ripetere tre volte)
Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri viventi fossero equanimi, senza attaccamento né ostilità, non vicini a qualcuno e distanti da altri. Possano dimorare nell’equanimità. Io farò in modo che vi dimorino. Vi prego, Guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.
Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti avessero la felicità e le sue cause. Possano essi averla. Io farò in modo che la posseggano. Vi prego, Guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.
Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti fossero liberati dalla sofferenza e dalle sue cause. Possano esserne liberati. Io farò in modo che ne siano liberati. Vi prego, Guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.
Come sarebbe meraviglioso se tutti gli esseri senzienti non fossero privi della gioia delle rinascite elevate o della liberazione completa. Possano non esserne mai privi. Io farò in modo che essi non ne siano separati. Vi prego, Guru-divinità, concedetemi la vostra energia ispiratrice affinché io sia in grado di fare ciò.

PREGHIERA PER SVILUPPARE INTENSAMENTE BODHICITTA
Per il bene di tutti gli esseri senzienti, che sono stati mie madri, farò qualsiasi cosa per ottenere al più presto, rapidamente, lo stato prezioso della buddhità pura e completa.
Quindi ora mediterò sugli stadi del sentiero verso l’illuminazione, la porta del sentiero profondo dello yoga del Guru-yidam.
(ora si medita sull’assorbimento dell’oggetto del rifugio.)

PRATICA DEI SETTE RAMI
Oh nobile Manjusri dalla giovane forma, mi prostro davanti a te.
Oh leoni fra gli uomini, Buddha passati, presenti e futuri, a quanti di voi esistono nelle dieci direzioni, mi prostro con corpo, parola e mente.
Sulle onde della potenza di questa regina delle preghiere, per i metodi supremi e sublimi con i corpi numerosi come gli atomi del mondo, mi prostro ai Buddha che pervadono lo spazio.
In ogni atomo si trova un Buddha che siede tra gli innumerevoli figli di Buddha; con sguardo fiducioso mi rivolgo ai vittoriosi che riempiono l’intero dharmadhatu.
A coloro che hanno infiniti oceani di eccellenza, con un oceano di prodigiosa parola canto le lodi alla grandezza di tutti i Buddha: un elogio a coloro che sono andati nella beatitudine.
Offro loro ghirlande di fiori, parasoli decorati, musiche piacevoli e profumi eccelsi; offro a tutti i vittoriosi lampade al burro e sacro incenso purissimo.
Cibo eccellente, fragranze supreme e un cumulo di sostanze mistiche alto come il monte Meru, dispongo in un ordine speciale e offro a coloro che hanno conquistato se stessi.
Elevo tutte le offerte impareggiabili con ammirazione per coloro che sono andati nella beatitudine con la forza della fede nei metodi sublimi, mi prostro e faccio offerte ai conquistatori.
Da lungo tempo, sopraffatto da attaccamento, odio e ignoranza, con il corpo, la parola e la mente ho compiuto innumerevoli azioni negative. Ora le confesso tutte senza omissioni.
Nelle perfezioni dei Buddha, Bodhisattva, Arhat, sul sentiero e oltre e nella potenziale bontà di tutti gli esseri viventi, elevo il mio cuore e gioisco.
Oh luci dell’universo, Buddha che otteneste lo stato dell’illuminazione incontaminato, a tutti voi rivolgo questa richiesta: fate girare l’incomparabile “ruota del Dharma”.
Oh maestri che volete mostrare il paranirvana, vi prego di restare con noi e insegnare per tanti eoni quanti sono i granelli di polvere, per portare gioia e virtù a tutti gli esseri.
Possa qualunque merito accumulato con queste prostrazioni, offerte, purificazione, nel rigioire e chiedendo ai Buddha di rimanere e insegnare il Dharma, essere dedicato all’illuminazione suprema e perfetta, affinché, al più presto, liberi dalla sofferenza tutti gli esseri.

IL FONDAMENTO DI TUTTE LE BUONE QUALITA’
Il Guru è il fondamento di tutte le buone qualità ed è molto gentile e venerabile. Avendo ben compreso che seguire il guru correttamente è la radice del sentiero, vi prego di benedirmi perché possa seguirlo con profonda devozione e sforzo intrepido.
Vi prego, beneditemi perché possa realizzare che la preziosa rinascita umana, ottenuta una sola volta, è grandemente significativa e molto difficile da ottenere di nuovo, e perché io generi la mente che ne prende l’essenza giorno e notte senza sosta.
Vi prego beneditemi perché possa realizzare che il mio corpo e la mia vita sono fragili come una bolla di sapone e velocemente si deteriorano e si avvicinano alla morte; perché io possa vedere chiaramente ed ottenere la ferma comprensione che, dopo la morte, la mente dovrà seguire il karma positivo e negativo come l’ombra segue il suo corpo, e perché io sia sempre vigile e prudente nell’evitare di accumulare karma negativi anche i più insignificanti, e per ottenere tutte le virtù.
Vi prego beneditemi perché possa realizzare che i piaceri della felicità samsarica non danno alcuna soddisfazione e sono la porta verso tutte le sofferenze, che le perfezioni del Samsara non valgono la nostra fiducia, e perché io faccia sorgere un desiderio intenso per la felicità della liberazione.
Vi prego beneditemi perché possa compiere la pratica essenziale, mantenere l’ordinazione di pratimoksa, la radice degli Insegnamenti, con grande cura, attenzione e memoria che derivano dal pensiero puro (della rinuncia).
Vi prego beneditemi perché sia capace di vedere che, come io sono caduto nell’oceano del Samsara, tutti gli esseri senzienti, mie madri, stanno soffrendo allo stesso modo, e perché possa addestrare la mente nella sublime bodhicitta, sopportando il peso di liberare tutti quei trasmigratori.
Vi prego beneditemi perché sia capace di vedere che, se anche ho ricevuto la bodhicitta, se sono ben addestrato nelle tre moralità, con questa soltanto non potrò mai raggiungere l’illuminazione, e perché possa seguire con intenso sforzo, l’ordinazione dei figli dei conquistatori (i Bodhisattva).
Vi prego beneditemi perché possa generare presto nella mia mente il sentiero in cui si uniscono samatha (quiescenza mentale e vipassana (visione superiore), pacificando la distrazione (causata) da oggetti ingannevoli e contemplando perfettamente il significato assoluto.
Quando sono diventato ricettivo, avendo esercitato la mente nel sentiero generale, vi prego di benedirmi perché possa entrare istantaneamente nel vajrayana che è il più sublime tra tutti gli yana (sentiero), il sentiero eccellente degli esseri fortunati.
Vi prego beneditemi perché possa ricevere la ferma, autentica certezza nella spiegazione che la base per ottenere i due tipi realizzazioni (ordinarie e straordinarie) è osservare puramente i voti e le parole d’onore e proteggerli anche a costo della vita.
Quindi, vi prego beneditemi perché sia capace di realizzare gli insegnamenti degli esseri puri senza mai abbandonare lo yoga in quattro sessioni, con grande sforzo, avendo perfettamente compreso l’importanza dell’essenza del sentiero tantrico in due stadi.
Vi prego beneditemi perché i miei guru, che mostrano questo sentiero eccellente, e gli amici spirituali che lo praticano perfettamente, abbiano lunga vita, e perché pacifichi tutti gli ostacoli esterni e interni alla mia pratica del Dharma.
In tutte le mie vite future possa io non essere mai separato dai perfetti maestri e gioire del magnifico Dharma e così completare tutto il sentiero ed i suoi gradi; possa io ottenere velocemente lo stato di Vajradhara.

DEVOZIONE CONCLUSIVA VERSO IL GURU-Buddha
Mi prostro a Sakyamuni, guru vittorioso, ti porgo offerte, in te prendo rifugio.
Om muni muni maha muni ye so ha
(recitare questo mantra molte volte)
Per queste virtù così create , possa io al più presto diventare Guru-Buddha per poter condurre ogni essere, senza eccezione alcuna, a quello stesso stato.


***
In alcuni Centri di Dharma queste pratiche sono cantate in tibetano, ciò rispetta l’armonia con cui sono state pensate, ma c’è il problema che non vengono capite. Se si recitano in italiano, invece, perdono la grande bellezza della poesia, però sono comprensibili, dovremmo quindi ingegnarci per renderle altrettanto musicali in italiano.
Non ha senso salmodiare un testo così pregno di significato senza comprenderlo, si deve invece cogliere il più possibile il senso di ogni frase in modo da saper riconoscere nella melodia stessa il sentimento profondo ispiratore delle parole.
Ogni monastero, ogni lama, ha il suo modo di salmodiare, di leggere, di intonare e, anche quando tutti sono riuniti, ognuno canta diversamente, così come sente il testo.
All’inizio della pratica questa lettura deve certamente essere fatta in italiano, deve essere compresa profondamente, perché maggiore è la comprensione più c’è partecipazione, sensibilità, sentimento, da cui potrà nascere in seguito l’armonia. 
Il canto è l’espressione della propria realizzazione interiore, non ci sono regole prestabilite, non si può imparare la melodia seguendo le note come se si fosse parte di un coro, soggetto a precise tecniche musicali controllate e dirette dal maestro, in questo caso il lama.
Mutano i tempi e le necessità e non è facile conservare il Dharma, farsene carico mantenendo vigile l’attenzione verso i cambiamenti che coinvolgono la comunità e il mondo intero.
L’approccio spirituale corretto è senza dubbio quello di saper curare se stessi, perché curando se stessi si cura il mondo. Qualsiasi cosa facciamo che abbia un impatto su di noi, compie inevitabilmente una trasformazione che ricade sul mondo. E’ fondamentale dunque comprendere l’essenza del Dharma, perché attraverso di essa si può fare tutto, in caso contrario ogni cosa diviene enormemente difficile.
Ritornando al testo del Jor Chö, constatiamo che se lo leggiamo in italiano non risulta così armonioso e gradevole, ma se lo leggiamo in tibetano non capiamo niente e quindi dovremo trovare il modo per far emergere entrambe le valenze, questo è il metodo corretto che ci permetterà, con il tempo, di realizzare un buon risultato. Ci sono domande?
Il Jor Chö, essendo una pratica molto tradizionale, è piuttosto complicata, quindi non abbiate timore nell’esprimere le vostre difficoltà, ciò che è emerso nella vostra pratica, il porre domande può essere utile a tutti.

Domanda: Nella preghiera per sviluppare correttamente la bodhicitta c’è un punto in cui dice che bisogna meditare, ma quale tipo di meditazione dobbiamo applicare?
Risposta:  In questo caso non si intende una meditazione da attuare dopo, ma è la meditazione sulle parole della preghiera, nel momento stesso in cui si pronunciano.
Domanda: Resta però il fatto che io non so cos’è lo “yoga del guru-yidam”
Risposta:  Yidam è la divinità personale e quindi, in questo contesto, dovrebbe essere riferito al Buddha Sakyamuni.
Nella pratica Lamrim il punto focale non è la divinità ma il Buddha Sakyamuni. E’ anche necessario evitare una ulteriore confusione, il punto centrale non è costituito nemmeno dal guru ma sempre dal Buddha Sakyamuni.
Bisogna intendere chiaramente che non esiste separazione tra divinità personale, guru, e Buddha Sakyamuni. 
Il primo livello è quello del Buddha Sakyamuni perché il Lamrim è esattamente una pratica di devozione al Buddha Sakyamuni.
Domanda: Si può porre al centro un altro Buddha invece del Buddha Sakyamuni?
Risposta:  Dipende dal tipo di pratica che si fa, c’è ad esempio la pratica di Amitabha e, in questo caso, il punto centrale sarà il Buddha Amitabha, ma nel Jor Chö è il Buddha Sakyamuni.
 Domanda: Quando si parla dei Buddha dei tre tempi, presente, passato e futuro, riferendosi al futuro si possono intendere tutti gli esseri che sono destinati a diventare Buddha?
Risposta:  La pratica dei sette rami è tratta direttamente dai sutra del Buddha Sakyamuni e non a caso essa viene definita “il re delle preghiere”, noi in realtà abbiamo letto il dieci per cento del testo completo normalmente utilizzato per tale pratica. 
Nella prima parte, dell’omaggio, si riferisce alle dieci direzioni del mondo, ma, in queste dieci direzioni quanti mondi ci sono? 
Le dieci direzioni sono costituite dai punti cardinali e dalle fasi intermedie (nord-est, sud-ovest, ecc.) quindi da tutti gli otto punti della rosa dei venti ai quali cui si devono aggiungere il sopra e il sotto. 
Al centro delle dieci direzioni si trovano coloro che praticano e, dalle ramificazioni, si sviluppa un numero interminabile di mondi. 
Per quanto concerne questo pianeta il Buddha del presente è il Buddha Sakyamuni, il quarto dei Buddha esistiti. Gli altri tre sono i Buddha del passato. Il momento presente è quello in cui agiscono gli insegnamenti del Buddha storico, il Buddha Sakyamuni.
Il Buddha immediatamente successivo nel futuro sarà il Buddha Maitreya, a cui ne seguiranno altri novecentonovantacinque. Ciò indica che siamo nell’eone (o era) dei mille Buddha. 
Le caratteristiche particolari dei mille Buddha sono specificate nel testo che si intitola “Il sutra del buon eone”, (o della buona era). In esso si possono trovare tutte le indicazioni relative alla vita e agli insegnamenti di ognuno dei mille Buddha. E’ un libro estremamente noto e diffuso nella cultura tibetana, lo si trova in tutte le famiglie e viene utilizzato a scopi devozionali, è consuetudine invitare i monaci per ricevere una corretta lettura e interpretazione del testo. 
Ecco cosa si intende quando si dice Buddha dei tre tempi. 
Nello stesso verso si parla dei mondi delle dieci direzioni, si immagina che ci sia un Buddha in ogni atomo ed è un tipo di immaginazione straordinaria, il re delle preghiere. 
Nella frase “in ogni atomo si trova un Buddha che siede tra gli innumerevoli figli di Buddha; con sguardo fiducioso mi rivolgo ai vittoriosi che riempiono l’intero dharmadhatu” si vuole sottolineare, con dharmadatu, la vacuità, anche la vacuità dei Buddha. 
Quindi quanti Buddha ci sono adesso? 
Il Jor Chö non è facile perché ogni verso introduce approfondimenti complessi. Quando ci prostriamo non ci rivolgiamo ad un singolo individuo, ma a tanti quanti sono gli atomi.
Quando ci prostriamo porgiamo omaggio a tutti i Buddha, quanti sono gli atomi dell’universo e, nel contempo, dobbiamo immaginare noi come tutti gli atomi dell’universo. 
E’ complesso il Jor Chö, quindi è bene affrontarlo con la dovuta calma, piano, piano. I primi versi sono dedicati all’omaggio e sono un modo per accumulare meriti. 

Questo è lo stato dell’insegnamento del Dharma ai giorni nostri. 
Nei versi si dice che il Buddha Sakyamuni è passato oltre, i grandi maestri che hanno mantenuto vivo il Dharma e lo hanno trasmesso, sono passati e quindi ,ora, lo stato dell’insegnamento del Dharma è ben povera cosa. 
Noi siamo i fortunati, attaccati alla coda dell’elefante della storia e possiamo ancora usufruire di questo insegnamento, una situazione in cui ci sono vantaggi e svantaggi. 
Lo svantaggio è ci troviamo in una posizione assai precaria, attaccati ad un esile appiglio, la punta della coda.
Il vantaggio è che, perlomeno, siamo ancora alla presenza del Dharma e ciò è comunque uno stato di grande valore e fortuna.
Quando affrontate il Dharma non pensiate di avere a portata di mano una cosa perfetta e completa, perché in una simile realtà è ben piccola cosa. 
Nella società tibetana usualmente per cena si presenta una zuppa composta di acqua, farina di orzo, ossa di animali e, se si può, un po’ di carne, ma chiaramente, chi non ha molte possibilità economiche, la carne la centellina con cura ed è molto difficile trovarne un pezzo quando si affonda il cucchiaio nel brodo. 
Così è oggi la situazione del Dharma, è assai raro incontrare il Dharma ma è ancora più difficile incontrare il Dharma puro. 
Ho ricevuto una e-mail da una persona che non conosco e che esprimeva forti preoccupazioni sulla tremenda situazione tibetana. Io ho risposto che il Tibet antico ormai è finito, il Tibet presente è sotto il dominio cinese, e il Tibet futuro ancora non è arrivato. Come ogni cosa il Tibet è impermanente e soggetto a cambiamento. La cosa migliore è sperare che la situazione si evolva positivamente e, poiché nessuno conosce il futuro, essere ottimisti è meglio che essere pessimisti. Il modo migliore per essere di aiuto in situazioni drammatiche è quello di provvedere alle necessità della popolazione e dare rifugio con buon cuore. Questo è il servizio pratico e concreto all’umanità. 




Trattato del versione Lam  Rim media di Je Tsong Khapa 

Natura di Buddha e realizzazione spirituale

Ogni volta che abbiamo la possibilità di ritrovarci per praticare il Dharma è sempre una grande gioia. 
L’incontro nel Dharma significa poter godere insieme di quest’atmosfera ricca di pace in cui è semplice dimenticare i soliti problemi permettendo alla nostra mente di diventare più elastica, benedetta dal Dharma, e quando essa è calma è più facile addestrarla. 
E’ necessario dedicare il tempo opportuno per creare quest’atmosfera e rendere la mente veramente duttile e malleabile. 
Ultimamente sono andato in Nepal dalla mia famiglia e mia madre, che è una persona profondamente religiosa, mi ha chiesto cosa faccio in Italia; le ho risposto che sto in casa o mi sposto per dare insegnamenti di Dharma. Questo l’ha resa estremamente felice perché, come mi ha fatto notare, i momenti in cui insegno il Dharma sono i più gioiosi per me perché possono rendere felici anche gli altri, e mi ha esortato a proseguire su questa strada. 
Sono rimasto profondamente colpito da questo suo consiglio perché a volte è difficile comprendere realmente se stessi e la propria finzione nei confronti degli altri; Mia madre invece ha immediatamente colto l’aspetto più importante e adesso anch’io sono in grado di vederlo, di poterlo sviluppare il più possibile, e dagli incontri di Dharma ricevo veramente una immensa gioia.
Mi ha toccato la sua naturale capacità di cogliere l’essenziale e mi sono chiesto, quasi stupito, come poteva lei veder che anche il maestro, vivendo una realtà così preziosa, fosse felice.
Possiamo essere certi che ogni istante trascorso nel Dharma è un momento particolare, sperimentiamo una felicità speciale, un’atmosfera unica che riconosciamo come atmosfera dharmica.
Spesso viviamo belle esperienze, istanti preziosi, e l’importante è averne piena coscienza. Il riconoscimento, la consapevolezza, conferisce un significato superiore a ciò che stiamo vivendo. 
Questa consapevolezza mi è stata donata dalle parole di mia madre. 
E’ un insegnamento a non abbassare mai la guardia e a mantenere vigile l’attenzione, perché spesso le persone più semplici, che non hanno una particolare preparazione, ci offrono eccellenti consigli. Mia madre non è istruita, ma ha una mente vasta, aperta, ed è molto intelligente; Queste persone ci donano insegnamenti unici e ci arricchiscono. 
Nei monasteri tibetani, succede abbastanza frequentemente che si ricevano ottimi consigli da persone ignoranti, apparentemente stupide, perché nella loro semplicità lasciano scaturire l’essenza delle cose e offrono indicazioni fondamentali. Per questo è necessario essere umili e imparare ad ascoltarli con attenzione e rispetto. Un proverbio tibetano recita che discorsi eloquenti possono essere formulati anche dalla bocca di un bambino. Tutto ciò è molto bello. 
Ad Assisi ho visto un interessante dipinto in cui sono raffigurati San Francesco sdraiato, un grande filosofo in atteggiamento dotto e concentrato, e un povero che osserva il cielo stellato; ciò che emerge immediatamente è la perfetta armonia dell’insieme, quasi le tre figure fossero complementari, ciò significa che, indipendentemente dai diversi livelli di conoscenza, tutti, con uguale capacità potevano comprendere la verità. 
Le qualità spirituali, le realizzazioni, sono presenti in ogni individuo, si tratta solo di farle emergere. Questo è un punto primario nella visione buddhista.
Tutti gli esseri senzienti debbono essere considerasti uguali, perché tutti possiedono la natura di Buddha. La possibilità data agli esseri di raggiungere l’illuminazione è chiamata la natura di Buddha. 
Il testo che stiamo leggendo è il Lamrim, il sentiero che conduce all’illuminazione e si basa su sei categorie:
La prima categoria è la causa, indica perché possiamo ottenere l’illuminazione e perché abbiamo la causa dell’illuminazione;
la seconda è la forma umana, che è la realtà che ha le maggiori possibilità di sviluppare la natura di Buddha o il seme dell’illuminazione. Per far crescere e maturare questo seme la miglior cosa è la forma umana. Il luogo in cui può essere piantato questo seme è la forma umana. Questo è interessante perché se possediamo un seme, ma non sappiamo dove piantarlo esso resta completamente inutilizzato;
abbiamo un seme, il luogo dove piantarlo, ma occorre il tempo adatto per fare ciò e questa è la terza categoria, la condizione. La condizione è un amico spirituale. Se abbiamo la causa dell’illuminazione, la forma umana che permette lo sviluppo del seme, ma non abbiamo un amico spirituale, non sappiamo come far crescere il seme piantato. La terza categoria è l’amico spirituale che sa come attivare lo sviluppo;
la quarta è rappresentata dalle istruzioni impartite dall’amico spirituale;
la quinta è il risultato del seme piantato nella forma umana, coltivato e cresciuto. Il risultato è l’illuminazione;
Quale sarà la sesta? quando si è raggiunto lo stato dell’illuminazione che cosa c’è ancora da fare? Qual’è il beneficio dello stato dell’illuminazione? E’ l’azione senza le intenzioni ordinarie. Generalmente il compimento di un’azione è la conseguenza di precise intenzioni, invece, nell’illuminazione, l’azione è pura, rivolta al benessere di tutti gli esseri, priva di intenzioni personali.
Sorge spontanea una domanda: “Se siamo esseri ordinari possiamo ugualmente raggiungere l’illuminazione?” la risposta è senza dubbio: SI,  perché possediamo il seme dell’illuminazione, o, detto in altre parole, possediamo l’essenza di Buddha. Quindi l’essenza di Buddha è posseduta da tutti gli esseri senzienti e si  diffonde in tutti gli uomini così come il burro è contenuto nel latte, anche se non riusciamo a distinguerlo.
Una seconda domanda è: “perché tutti gli esseri senzienti hanno la natura di Buddha?” Per tre ragioni:
la prima è che tutti gli esseri sono vacui, hanno la natura di vacuità;
la seconda  è che la natura di vacuità non ha  differenze;
la terza ragione è che tutti gli esseri posseggono la natura di Buddha. 
Ognuno è coperto dalla vacuità e non c’è differenza nella natura di vacuità. Non c’è alcuna differenza tra la natura di vacuità delle persone, anche se hanno esperienze diverse, realizzazioni diverse; non esiste tra loro alcuna differenza nella natura di vacuità.
Tutti noi possediamo in modo uguale la natura di Buddha. Poiché tutti gli esseri senzienti hanno la natura di Buddha tutti gli esseri senzienti sono coperti dalla natura di vacuità.
La vacuità di un Buddha e la vacuità degli esseri senzienti è la stessa, non c’è nessuna differenza e questa è la ragione per cui tutti gli esseri senzienti posseggono l’essenza dell’illuminazione.
La natura di Buddha non è altro che il potenziale per sviluppare le qualità del Buddha, di essere illuminato. Questo potenziale è naturalmente presente in ogni individuo dal tempo senza inizio. Possedere la natura di Buddha significa possedere il seme dell’illuminazione. 
E’ un argomento molto difficile, ma è essenziale comprendere la natura di Buddha, il seme dell’illuminazione, perché esso è naturalmente in noi dal tempo senza inizio ed è il potenziale che ci porterà all’illuminazione. E’ stupendo! Non c’è bisogno di chiedere “datemi il seme, la natura di Buddha”, perché essa è già in noi e, sulla base di questa consapevolezza, possiamo praticare il Dharma molto facilmente e con vero entusiasmo.
Cos’è esattamente la natura di Buddha? È qualcosa di fisico? No, è semplicemente la famosa vacuità. Questa vacuità che copre in ugual modo ogni cosa, copre il Buddha, copre gli esseri illuminati e gli esseri non illuminati. Non c’è alcuna differenza tra la vacuità degli esseri illuminati e quella degli esseri non illuminati.
L’essenza dell’esistenza degli esseri illuminati e l’essenza dell’esistenza degli esseri non illuminati è la stessa essi hanno in comune la stessa natura.
La natura di Buddha è il seme dell’illuminazione ed è il potenziale per sviluppare le qualità degli esseri illuminati. 
Quali sono le qualità degli esseri illuminati?
Risposte (di tutti): la bodhicitta…, l’azione..., la vacuità…, la compassione..., la semplicità…, la spontaneità…, il distacco…, la saggezza…, il non attaccamento…, la capacità di insegnare secondo la capacità di percezione delle persone…, non so…, il senso della giustizia…, l’equanimità… 
Vero, tutte queste qualità insieme sono importanti. Con la natura di Buddha innata, nella vacuità, c’è la possibilità di sviluppare le qualità dell’illuminazione. 
La qualità essenziale degli esseri illuminati è l’amore e la compassione infiniti, ed esiste una simile possibilità solo perché c’è la vacuità. Senza la vacuità non potremmo mai sviluppare nulla di infinito.
Il Buddha è amore e compassione infiniti e anche se adesso il nostro amore e la nostra compassione sono limitati, finiti, abbiamo in noi la potenzialità per svilupparli trasformandoli in amore e compassione infiniti. 
L’amore e la compassione infiniti devono essere supportati dalla saggezza. L’amore e la compassione infiniti portano ad azioni spontanee con tutte le qualità che avete elencato prima, è chiaro?
La natura  di Buddha è un argomento molto importante, è il seme dell’illuminazione, il potenziale per sviluppare le qualità in maniera infinita.

Domanda: Che cos’è la vacuità?
Risposta:  La vacuità è lo spazio che contiene tutta l’esistenza. Poiché c’è la vacuità c’è l’esistenza e poiché c’è l’esistenza c’è la vacuità; sono due fenomeni coesistenti. La vacuità è la sostanza di tutta l’esistenza.
Domanda: Sono due fenomeni coesistenti o sono due concause?
Domanda: praticamente è un continuum?
Risposta:  E’ uno spazio che dà tutte le possibilità, è uno spazio assolutamente utile. 






Come praticare il Dharma 


Come praticare il Dharma?
Risposta:  Una pratica di vita; non mi verrebbe da dire altro;
A.:  Ritornando a casa in metropolitana, leggevo sul libretto una parte a proposito del karma nella pratica del Dharma e ciò su cui mi sono soffermata a riflettere è la fondamentale importanza della motivazione e dell’intenzione delle nostre azioni. Io sono insegnante e le mie intenzioni, certamente positive, sono sempre rivolte agli studenti, però qualcosa non funziona, si inceppa durante il percorso, credo che il problema sia la mia ansia nel ricercare sempre il risultato che si traduce in impazienza, in un potenziamento dell’ego perché, se non ottengo immediati risultati, accuso gli studenti di essere incapaci o io stessa mi sento inadeguata. Riflettevo dunque sull’importanza della pratica nelle intenzioni che deve essere sempre accompagnata da una sorta di pace interiore che nasce dall’abbandono delle illusioni.
Lama:        Vero, molto chiaro.
R.:        Non saprei, forse praticare l’ottuplice sentiero….
Lama:        L’ottuplice sentiero è importante, è trasversale a tutto.
Altra risp.: Io volevo dire che nella mia pratica di vita ho sempre amato leggere molto, però da alcuni mesi non lo sto facendo perché mi pare più importante, ora, prestare attenzione ad ogni momento della giornata, lo sento più essenziale al Dharma perché aiuta ad essere più vicini alle persone e alle situazioni quotidiane. A volte tendo ad essere un po’ rigida però, con questo nuovo atteggiamento, sto imparando ad accogliere le situazioni con naturalezza senza reagire di impulso, istintivamente, ma fermandomi a riflettere. Questa è una trasformazione che ho notato in me e che mi permette anche di godere del piacere di stare da sola mentre prima questo era quasi sempre motivo di sofferenza.
F.:  Il Dharma interessa ognuno in maniera diversa e, poiché gli insegnamenti sono molto vasti e profondi, una cosa certa e propedeutica a tutto, alla meditazione, alla vita, è l’accontentarsi. In questo atteggiamento c’è tutto, l’attenzione, perché tu sai di cosa ti stai accontentando, non si proietta troppo, non si esclude niente e tutto viene da sé.
Altra risp.: Qualche giorno fa ho avuto un problema di salute, una seria infiammazione agli occhi e questo, poiché ho la vista debole, qualche tempo addietro mi avrebbe preoccupato tantissimo, adesso invece il mio atteggiamento è stato quello di non preoccuparmi, di considerarlo un fenomeno transitorio, ho affrontato la malattia in modo nuovo che mi pare davvero ottimo, vivendo il presente.
Al.: Il Dharma si vive tutti i giorni in ogni momento, restando aperti agli altri. Ultimamente ho due tipi di problemi: uno è quello di colpevolizzarmi perché non sono costante nel sedermi e praticare la meditazione, e a questo proposito sono stato però aiutato dalla lettura di un libro del Dalai Lama nel quale si dice di unire metodo e saggezza; il metodo è la pratica delle sei perfezioni e quindi la generosità, l’etica, la compassione,.. che devono essere praticate nel periodo “pre” e “post” meditativo. Al di fuori del periodo meditavo si pratica il Dharma dell’ottuplice sentiero con le sei perfezioni. Questa visione aiuta a capire che, anche se nella vita di tutti i giorni non si può praticare la meditazione seduta, si può praticare ugualmente il Dharma, senza colpevolizzarsi e così ho ricevuto un incoraggiamento, mi sono sentito spronato a voler praticare maggiormente. Il secondo problema è quello di essere troppo assorbito dalle questioni quotidiane di lavoro, dalle moltissime informazioni con cui si è bombardati, con il pericolo di non riuscire a distaccarsene. Geshe una volta ha detto: “Se devi fare una cosa non è detto che tu la debba fare oggi, puoi anche farla domani, affrontare il problema con calma” Io invece ho una tendenza ansiosa a voler risolvere tutto e subito. Questi sono i due elementi su cui sto lavorando nella pratica di Dharma.
M.: Per me il Dharma deve essere praticato nella vita. Non riesco a pensare a nessuna pratica al di fuori di essa. Con questo non dico che non ci si debba sedere a meditare, ma per me la meditazione è uno strumento che permette di focalizzare meglio quello che posso fare nella vita, la meditazione è un mezzo per ottenere il fine, l’obiettivo, che è la qualità della vita, naturalmente non solo per me, ma anche per gli altri. Io pratico per poter dare agli altri e dando agli altri sto meglio anch’io, è una situazione assolutamente reciproca. Rispetto a ieri oggi sento di avere compreso più profondamente la compassione e l’ho potuto verificare nel mio lavoro che mi pone a contatto continuo con le altre persone, perché ho imparato a non reagire aggressivamente all’aggressività e alla provocazione dall’esterno, cosa che prima facevo spesso, sentendo invece i problemi e le motivazioni dell’altra persona. Questo aspetto è stato molto importante e ha cambiato totalmente la mia vita di relazione con gli altri.
L.:     Per me è stato cercare di far emergere le qualità che normalmente non vengono considerate o che, addirittura, sono valutate negativamente. Ad esempio la pazienza nella società occidentale è un difetto, non si ritiene giusto essere troppo pazienti o troppo tolleranti. Invece queste qualità devono essere coltivate perché aiutano a vivere bene con se stessi e con gli altri, è dunque importante, come se fosse una specie di esercitazione, non desistere e cercare continuamente di familiarizzare con i pregi interiori  che hanno una grossa ricaduta sul mondo esterno.

Non è facile dare una risposta alla domanda“come praticare il Dharma?”, perché essa dipende esclusivamente dalla condizione personale, dalle possibilità e dalle capacità di ognuno.
Esistono varie possibilità per una buona pratica del Dharma e, anche se la ricerca del meglio è buona e positiva, non bisogna mai forzare le capacità e possibilità individuali, perché è facilissimo cadere nella trappola di voler classificare tutto, individuare gli aspetti che definiscono l’identità di una buona pratica, ritenendo, erroneamente, che essa debba essere eseguita sempre in un determinato modo, uguale per tutti. Ma non è assolutamente così, ogni persona la vive secondo le proprie possibilità. 
E’ fondamentale comprendere la misura con cui praticare in rapporto alle proprie capacità e possibilità così da potersi accostare nel modo migliore e corretto al Dharma. 
E’ anche necessario considerare la propria quotidianità perché il Dharma deve essere integrato negli impegni di tutti i giorni. Anche se siamo molto occupati e abbiamo un intenso programma giornaliero ciò non significa che siamo esentati dal praticare il Dharma, al contrario, lo dobbiamo introdurre in ogni attività.. 
Anche quando siamo malati non dobbiamo accantonare il Dharma, al contrario, esso deve essere lo spirito all’interno della malattia stessa. 
Soprattutto durante il tempo libero delle vacanze è il momento opportuno per dedicarci alla pratica Dharma; stando soli, preparando altari, recitando mantra, meditando. Generalmente invece tendiamo sempre a sprecare tutto il tempo libero in futilità, ed è un vero peccato, perché perdiamo un’occasione unica di praticare intensamente.
La pratica del Dharma non dovrebbe mai essere separata dalla vita quotidiana, in particolar modo nei periodi di vacanza perché questo le attribuisce un significato maggiore, e dovremmo sempre riservare uno spazio per approfondire e potenziare la pratica, perché in caso contrario è ben difficile farla crescere quando siamo completamente assorbiti da giornate estenuanti cariche di impegni.
Questi sono i due modi diversi di praticare il Dharma, uno negli impegni che affollano le giornate di lavoro, e l’altro nel tempo libero e, in ogni caso, non bisogna mai separare il dharma dalle attività di tutti i giorni. 
L’intenzione è un atteggiamento dharmico che deve essere sempre posto all’inizio di ogni attività.

Domanda: Quando intraprendo una qualsiasi attività mi chiedo “perché faccio questo?” è ciò che ho imparato stando con voi. Anni fa, insegnando a gruppi ebrei di kabalà, il mio si chiamava “Kavannà”, che significa “l’intenzione del cuore”, avevo un approccio molto intellettuale, assolutamente diverso, qui invece ho capito, subendo una trasformazione radicale, che qualunque cosa faccia l’importante è chiedermi il perché, qual’è l’intenzione. Per me questo è il cuore del Dharma.
Risposta:  L’intenzione è solo una, qualsiasi cosa facciamo, l’intenzione è sempre quella di agire per il bene degli altri esseri, non può essere altra.
Non è però sempre possibile essere in presenza di Dharma puro, ma anche soltanto cercando di mantenerne lo spirito, seppur in un’attività molto stupida, rende possibile la sua trasformazione in qualità positiva. Quindi, nel momento in cui riusciamo a mantenere un’attitudine dharmica in tutto ciò che facciamo, le cose diventano leggere, flessibili, facili da trasformare.
Si è parlato spesso dei tre momenti, apprendere, riflettere e contemplare
Per quanto riguarda “imparare” lo si può fare in qualsiasi momento della vita, ogni istante può essere un mezzo per imparare il Dharma, ogni esperienza può divenire un mezzo di insegnamento del Dharma.
Ogni esperienza offre la possibilità di riflettere e di meditare sul Dharma. 
Per questo è fondamentale dedicare una parte del tempo libero alla pratica del Dharma, altrimenti rischiamo di perderci in migliaia di faccende senza giungere mai a conclusione e, anche se sappiamo di dover morire domani, non abbiamo potuto finire nulla. 
I praticanti di Dharma dovrebbero essere preparati a morire in qualsiasi momento. In ogni istante il tuo diario deve poter essere chiuso; questo fa parte della realtà dell’impermanenza. Il Dharma è connesso all’impermanenza, le cose cambiano continuamente e dobbiamo essere preparati ad affrontarne la realtà.
Inoltre il Dharma è correlato alla legge di causa effetto. Il fenomeno di causa effetto è strettamente connesso alla pratica del Dharma. 
Una realtà da tenere in considerazione è rappresentata dai difetti del samsara. Tutti commettiamo errori, è parte del samsara, però esiste sempre la possibilità di trasformare le situazioni, e tale aspetto di flessibilità è anch’esso Dharma. Quando altri cadono in errore non bisogna dire: “ah è impossibile!...”, perché se succede significa che è possibile, ma si può riflettere su come gli stessi errori possano essere trasformati, questo è lo spirito del Dharma, esiste sempre la possibilità di cambiare. 
Un altro aspetto della legge di causa – effetto da tenere ben presente è il valore di ogni azione, dobbiamo agire, sempre e comunque, bene, senza perderci in stupidi conti di quante cose buone si siano fatte o quanti risultati si siano ottenuti. Se si agisce bene i risultati scaturiranno naturalmente.
Quando siamo arrabbiati ci scordiamo completamente dell’impermanenza, perché se si pensasse all’impermanenza la rabbia scomparirebbe nello stesso istante. 
Quando siamo arrabbiati dimentichiamo totalmente la legge di causa – effetto perché, se la realizzassimo, ci calmeremmo immediatamente. 
Ugualmente, dobbiamo rammentare sempre che la sofferenza è una realtà condivisa da tutti, eppure, quando siamo arrabbiati, ce ne scordiamo perdendo di vista un punto centrale del Dharma.
Con la realizzazione di questi tre aspetti sorgono naturalmente in noi l’amore, la compassione, la semplicità. 
Spesso si parla della consapevolezza della presenza mentale che è importante, non di per sé, ma in quanto ci rammenta queste tre realtà. La pratica del Dharma è esserne consapevoli in tutti i momenti della vita.
Così non c’è più spazio per la negatività, siamo rilassati, e la nostra vita subisce una trasformazione positiva. Questi tre punti, strettamente connessi al Dharma, non sono qualcosa da noi creato, ma uno stato di fatto, una realtà con cui ci dobbiamo confrontare sempre. 
Praticare il Dharma nel tempo libero è mantenere la presenza mentale di queste tre realtà, mitigando così le forti emozioni quotidiane strettamente connesse all’ego. 
La presentazione delle offerte fa emergere la generosità e ad essa possono collegarsi naturalmente molteplici qualità spirituali, anche solo con il semplice gesto di accendere una candela. 
E’ fondamentale mantenere vigile la consapevolezza, le stesse statue non devono essere considerate soltanto decorazioni, in modo che, osservando una statua del Buddha, immediatamente riportiamo alla mente i suoi insegnamenti, ricordiamo le quattro nobili verità, e, accendendo una candela, lo ringraziamo per questo suo inestimabile dono. Anche se non abbiamo conosciuto personalmente il Buddha le sue parole, ancora oggi, si rivelano estremamente utili e preziose e dunque il nostro piccolo gesto, così colmo di significato, diventa automaticamente una buona pratica. 
A casa della mia famiglia non c’è giorno in cui non si accendano candele e incensi, può non esserci cibo, ma l’offerta al Buddha non manca mai, perché è forte la fede nelle tre realtà della sofferenza generale del Samsara, della legge di causa effetto, e dell’impermanenza. Accendere la candela non è sprecare dell’olio ma accumulare meriti positivi. 
Anche pulire la stanza, presentare offerte, sono attività propedeutiche alla meditazione; è difficile poter meditare senza i preparativi accurati dello spazio esterno, perché tramite essi si predispone la mente ad una serena pratica di meditazione intensa.
I simboli, i segni, hanno significato quando noi ne conosciamo il senso profondo, altrimenti, anche se abbiamo una preziosa statua d’oro del Buddha, essa è priva di significato, è un banale oggetto da museo. La differenza è enorme. 
Possiamo dedicare il tempo libero alla pratica del Jor Chö, preparare con cura lo spazio esterno e poi preparare lo spazio interiore. Non importa se all’inizio sarà molo imperfetto, ciò che conta è farlo con apertura senza preoccupazione. 
Oggi, nella tradizione e cultura orientale impariamo queste cose osservando e aiutando coloro che le fanno, in questo contesto però, poiché non abbiamo l’abitudine all’osservazione, sarebbe difficile organizzare un seminario sull’argomento, e, in ogni caso non ce ne preoccupiamo perché impareremo ugualmente, poco per volta, piano piano. Se ci focalizzassimo rigidamente su questi aspetti formali e non indispensabili dovremmo programmare corsi per tutte le cose: per imparare a realizzare il mandala, a suonare le campane, ecc.. ma  tutto ciò sarebbe per noi un segno di degenerazione. 
L’importante è lo spirito, la preparazione interiore, senza alcun tipo di strumenti, solo una visualizzazione semplice e chiara. Io preferisco la pratica in cui gli unici supporti sono il Buddha e alcune offerte da usare come oggetto della meditazione. 
Perché se rincorriamo la coreografia degli strumenti trasformiamo la pratica in uno spettacolo da portare al teatro dell’opera, ma perdiamo completamente la meditazione. Attenzione, sarebbe molto facile perdere il Dharma invece di afferrarlo.

Domanda: Qual’è la differenza tra le scuole buddhiste, ad esempio tra la corrente dei Theravada e le scuole tibetane?
Domanda: Io credo che sostanzialmente non ci sia alcuna differenza, sono la stessa cosa, espressa secondo usi e costumi della cultura in cui sono inseriti.
Domanda: E’ un po’ come nel cattolicesimo, il Padre il Figlio e lo Spirito Santo, sono sostanzialmente la stessa cosa.
Risposta:  Esattamente, la differenza sorge solo dai limiti del linguaggio, esistono tanti linguaggi quante religioni. Ognuna di esse si esprime secondo i parametri della cultura in cui è immersa. Se così non fosse ci potrebbero essere solo Bodhisattva buddhisti, o santi cattolici, invece i Bodhisattva e i santi appartengono a tutte le tradizioni religiose.
Domanda: Questa commistione di principi può creare qualche impedimento alla realizzazione finale del dharma?
Risposta:  L’armonia è il Dharma, oggi sarebbe impossibile dare definizioni esclusive per ogni religione, forse era così nel passato, ma ora non ha proprio senso, le differenze sono solo dovute ai limiti umani nell’esprimere questi grandi principi. Diversamente un buddhista potrebbe dire io so tutto sul buddhismo, ma questo non è vero, oppure, un cristiano potrebbe dire io so tutto sul cristianesimo, ma anche questo non è vero; sono le istituzioni che determinano i limiti. Se conoscessimo tutto il buddhismo o tutto il cristianesimo saremmo già degli illuminati, dei Buddha.
Domanda: Quest’estate ho letto un libro del Dalai Lama, una raccolta dei suoi discorsi, e una cosa che mi ha stupito positivamente è la sua affermazione del principio di grande tolleranza verso tutte le espressioni spirituali, con un invito particolare rivolto a tutti, soprattutto agli occidentali, di non forzare la propria natura, la propria identità culturale con strane conversioni. Lui afferma la necessità di portare avanti naturalmente il processo spirituale che non può che affondare nella propria cultura pur facendo propri i principi buddhisti che sono universali e che ritroviamo in tante religioni.
Risposta:  Molto bene.






Quattro Bodhicitta e Tre tipi di generosità con esempi di Lama Potowa


L’argomento di oggi è la bodhicitta. Comunemente riferendosi ad essa, si intende quella convenzionale, cioè l’aspirazione ad ottenere l’illuminazione per poter aiutare tutti gli esseri senzienti a raggiungere lo stesso obiettivo.
Ma nei testi, nei sutra e nei commentari, si fa spesso riferimento a due diverse bodhicitta:
la bodhicitta convenzionale;
la bodhicitta ultima, cioè la mente dell’illuminazione che ha realizzato la comprensione della vera natura della realtà. 
Un’altra definizione che viene data  è:
il metodo, che corrisponde alla bodhicitta convenzionale;
la saggezza, che corrisponde alla bodhicitta ultima.
E’ dunque sempre necessario distinguere a quale delle due bodhicitta ci si riferisce.
La bodhicitta convenzionale si presenta a sua volta su due livelli:
Il livello dell’aspirazione;
livello dell’impegno.
La bodhicitta dell’aspirazione sottintende che ancora non si abbia un impegno in alcun tipo di pratica, essa rimane al momento solo su un piano ideale.
Ma quando la bodhicitta penetra profondamente nel cuore si trasforma nell’impegno della pratica. 
A volte leggiamo riguardo ai Bodhisattva, che c’è un’aspirazione, un sentiero del Bodhisattva e ciò corrisponde sia al livello dell’aspirazione che a quello dell’impegno. La bodhicitta dell’aspirazione si manifesta a livello mentale, mentre quella dell’impegno consiste nell’applicazione nelle sei perfezioni, o paramita.
Santideva, nel Bodhicaryavatara, chiarisce questo concetto con questo esempio: “la bodhicitta dell’aspirazione corrisponde al desidero di recarsi in un determinato luogo e la bodhicitta dell’impegno è invece l’ andare concretamente, il movimento verso quel luogo”.
Onde evitare fraintendimenti e confusione è importante riconoscere, leggendo sui testi argomenti riguardanti la bodhicitta, a quale di queste suddivisioni essa appartiene.
Riassumendo: la bodhicitta è suddivisa in  bodhicitta convenzionale e bodhicitta ultima.
La bodhicitta convenzionale è a sua volta suddivisa in bodhicitta dell’aspirazione e bodhicitta dell’impegno.
Bodhicitta è uno dei termini più importanti della pratica mahayana, che ne comprende tutti e tre i livelli.
Con la bodhicitta dell’impegno ci si riferisce all’applicazione delle sei paramita e delle dieci paramita. 
La pratica della bodhicitta è inclusa nelle sei paramita perché tutte le qualità del Buddha risultano dalle due accumulazioni. 
Le sei paramita costituiscono la completezza delle cause per realizzare le qualità del Buddha. 
Tutte le qualità del Buddha risultano dalle due accumulazioni e le due accumulazioni sono completate dalle sei paramita. 
La pratica del Bodhisattva e la bodhicitta dell’impegno si attuano con le sei paramita. Delle sei paramita, le prime cinque: la generosità, l’etica, la pazienza, la perseveranza entusiastica e la concentrazione sono accumulazione di meriti, la sesta, la saggezza costituisce accumulazione di saggezza. 
La generosità è l’offrire il proprio corpo, i propri beni e le proprie virtù a tutti gli esseri dei tre tempi, senza avere alcun attaccamento. 
La generosità presenta tre livelli: 
la generosità dei beni materiali
la generosità del Dharma;
la generosità della protezione.
Nel testo di Geshe Potowa la generosità materiale viene spiegata con cinque esempi:
Il primo è conosciuto come “la pelle del serpente”. Quando il serpente cambia pelle lascia quella vecchia dove si trova  e se ne va senza alcun attaccamento. Ciò significa che quando si dona qualcosa non è bene voltarsi indietro rimpiangendo ciò che si è lasciato, ma bisogna allontanarsi, senza attaccamento, come il serpente. 
Il Bodhisattva non ha attaccamento alcuno e, per quanto ci riguarda, la generosità non consiste solo nel dare oggetti ma soprattutto nel non esserne attaccati. Questa è l’essenza della generosità.
Un altro esempio che risale a tempi molto antichi, parla di due uomini in competizione tra loro per dimostrare chi dei due fosse più generoso. Entrambi offrivano tutto ciò che avevano fino a quando uno dei due, rimasto senza nulla, decise di abbandonare anche i desideri e divenne monaco. Nella rinuncia totale, senza più attaccamento alcuno, nemmeno al concetto di generosità, divenne naturalmente il vincitore.
Il secondo esempio riguarda gli animali selvatici della foresta che non hanno possedimento alcuno, costretti a vagare continuamente senza riparo; similmente, la generosità del Bodhisattva è lasciare ogni cosa, non possedere nulla, nemmeno un posto sicuro in cui poter riposare.
I terzo esempio narra di un proprietario di case, tanto ricco quanto avaro. U giorno però qualcuno gli fece notare che la sua generosità consisteva nel dare passando le ricchezze da una mano all’altra di se stesso. Resosi conto dell’inutilità del suo agire, cambiò e divenne una persona molto generosa. 
Con ciò si intende che ognuno può praticare la generosità, sempre, anche cominciando con il dono di piccole cose.
Il quarto esempio riguarda un monaco avido, attaccato ai propri beni e con grandi desideri di possederne sempre di più. Un suo amico, stanco di un atteggiamento così stolto, un giorno gli disse: “io ti offro tutte le cose che ho a patto che tu non ne desideri il possesso, fino a quando però tu dici che vorresti quello o quell’altro io non ti darò nulla.” Allora il monaco, riflettendo sulle parole dell’amico, cambiò veramente atteggiamento interiore e dicendo sinceramente a se stesso “non voglio nulla, non desidero nulla”, trasformò il proprio atteggiamento mentale e divenne una persona buona e generosa. Pure questa è pratica della generosità.
La generosità dunque può nascere anche dalle parole.
Un’altra storia riguarda Atisha che, essendo venerato da molti, riceva ingenti offerte. I suoi discepoli, incuriositi gli domandarono che cosa ne avrebbe fatto ed egli rispose serenamente che, per quanto lo riguardava, egli non aveva ricevuto alcuna offerta, allora ressi insistettero: “dunque a chi darai tutte queste cose?” Allora Atisha, che era particolarmente esperto nella pratica della generosità, disse: “non importa a chi si da, quello che realmente conta è il dare.”
Nell’azione della generosità ci sono tre soggetti:
la persona che dona, il donatore;
l’oggetto della donazione;
l’atto del donare.
Bisogna comprendere bene che tutti e tre i soggetti sono vacuità. La vacuità è la loro realtà vera.
Questo è il modo di praticare la generosità dei beni materiali.
Un’altra storia riguarda un Lama in India, che riceveva molte visite di persone provenienti dai villaggi vicini, ma lui non aveva nulla di materiale da offrire, né cibo, né altro, allora dava loro insegnamenti di Dharma. 
Nell’insegnare il Dharma la generosità del Dharma sorge dalla bodhicitta dell’aspirazione e, il Lama, nello stesso momento, riconosce in tutti gli esseri senzienti la natura del Buddha, consapevole che le oscurazioni mentali che essi possono mostrare sono temporanee. 
L’insegnamento del Dharma ha l’obiettivo di dissolvere le oscurazioni mentali temporanee delle persone che ricevono tale dono, in modo che possa essere liberata la realtà ultima, la natura di Buddha, già viva e presente in ognuno.. 
Questo è il modo di praticare la generosità del Dharma. 
La generosità del Dharma consiste nel chiarire, nello spiegare il Dharma e vi sono tre diversi modi per farlo: 
Dare l’aspetto terminologico, linguistico del Dharma;
Dare il significato del Dharma;
Dare i testi del Dharma.
Se si è ancora lontani da elevate realizzazioni suggerisco di non tentare di dare agli altri insegnamenti di Dharma, ma di concentrarsi nella purificazione della propria mente. 
Nell’antica India c’era un monaco molto generoso, gentile e compassionevole che leggeva i testi del sutra, non per insegnarli ad altri, ma per la propria realizzazione spirituale, però mentre lui leggeva c’erano nell’aria esseri invisibili che ascoltavano, traendone grande beneficio; questo è Dharma. Quindi anche se pratichiamo il Dharma, leggiamo i sutra per il nostro avanzamento spirituale, se lo facciamo con compassione, amore e gentilezza, automaticamente esso diventa generosità del Dharma. 
Quando si legge il Dharma con lo spirito della generosità del Dharma, automaticamente, gli esseri invisibili, i naga, che ascoltano ne sono felici e ci aiuteranno.
La terza generosità è la generosità della protezione.
Se una persona con importanti realizzazioni protegge gli altri e opera per il loro benessere, conforta e rende naturalmente felici tutti coloro che hanno la fortuna di incontrarla.
Mettendo in atto la generosità della protezione verso animali, persone, o chiunque sia meno capace di noi, rendiamo automaticamente felici tutti questi esseri con la sola nostra presenza.
La generosità della protezione è offrirla chi è meno capace, meno potente, e infonde a tutti gioia eliminando ogni paura. 
Questo è il saper dare la generosità della protezione. 
Un esempio evidenzia questo concetto: Se ci trovassimo soli, in una regione deserta, sconosciuta, nota per la presenza di banditi e rapinatori, e vedessimo in lontananza avvicinarsi una persona sconosciuta avremmo una immediata reazione di paura, ma quando, nell’avvicinarsi, riconoscessimo in essa un monaco o un prete ci sentiremmo subito rassicurati. Poter trasmettere questa sensazione ad altri è la generosità della protezione.
Geshe kadampa Potowa era molto abile nel trasmettere il Dharma usando una gran quantità di chiarissimi esempi. Tutto il Lamrim e il Lojong viene così insegnato in questo testo.
Abbiamo presentato la generosità dei bei materiali, del Dharma e della protezione attraverso esempi semplici e chiari e questo è un metodo molto originale ma efficace di spiegare il Dharma. Alcuni esempi sono strettamente connessi alla cultura tibetana e forse non è sempre facile darne una spiegazione esauriente, in ogni caso sono importanti, non dimentichiamoli.
Lama:  Qual’era il primo esempio?
gruppo:  la pelle del serpente….
Lama: Si, i primi cinque esempi appartengono alla generosità dei beni materiali, poi ne abbiamo due per la generosità del Dharma e altri due per la generosità della protezione. Il secondo esempio?.... Il primo esempio era la pelle del serpente, il secondo gli animali selvatici che non posseggono alcun rifugio, il terzo è il proprietario di case, il quarto il monaco con tantissimi desideri, c’è poi l’esempio di Atisha che insegna con grande abilità l’importanza del dare indipendentemente dagli esseri a cui si da, e, infine, l’esempio delle persone in competizione per il primato di generosità finché uno dei due, divenendo monaco, risulta essere il vincitore. 
Il titolo dell’interessante testo di Geshe Potowa potrebbe essere così tradotto: “L’unione dei gioielli degli esempi del Dharma”, è l’unico insegnamento dato esclusivamente con  esempi. 
Un esempio si chiama “Ama ani” che significa, “Madre, sono io” e narra la storia di una pigra ragazza che, sposandosi, era andata a vivere nella casa del marito, ma un giorno, afflitta, torna a casa dalla madre e dice “mamma io ho molti problemi”. Ciò significa che, se entrando nel Dharma incontriamo troppe difficoltà, è un segno che non abbiamo sufficiente accumulazione di meriti.
Un giorno un giovane monaco giovane andò da Geshe Potowa e gli chiese come riuscisse a trovare esempi tanto semplici quanto chiari e comprensibili nel suo insegnamento e lui rispose tranquillamente: “io ricevo questi esempi dal maestro Wormga”. 
Ma, ci domandiamo, chi è il maestro Wormga? Infatti egli non esiste nel mondo fisico, con questa risposta Geshe Potowa si riferiva alla propria conoscenza personale, al maestro interiore. 
Ciò significa che se noi sappiamo avere consapevolezza della realtà esterna appariamo agli altri come maestri e questo è un segno di avere una buona comprensione del Dharma.
Gli esempi raccolti nel libro di Geshe Potowa sono scaturiti direttamente dalla sua coscienza e io sono assolutamente affascinato da questo metodo di insegnamento; è divertente usarlo nel contesto tibetano, ma trasporlo nella realtà occidentale può essere davvero complicato, chissà, forse un giorno riusciremo a trovare esempi italiani altrettanto incisivi e diventare come Geshe Potowa!....
Grazie.





 Testo insegnato dall’erudito monaco Lobsang Drakpa Pal (Tsong Khapa) a Tsa Kho Vonpo Ngawang Drakpa. La traduzione inglese e le note sono di Geshe Gedun Tharchin. La traduzione italiana è stata curata dall’istituto Lamrim di Roma.
 Lama (termine tibetano, in sanscrito Guru), guida o maestro spirituale. Letteralmente “ricco di qualità spirituali”.
 Bodhisattva (termine sanscrito): colui che possiede la Bodhicitta.
 Liberazione (in sanscrito Moksha): eliminazione di tutte le emozioni afflittive o illusioni, ottenimento dello stato di Arhat, il sentiero della fine dell’apprendimento del sarvakabuddha e della pratyekabuddha.
 Piaceri dell’esistenza mondana:  piaceri dominati dall’attaccamento ai piaceri dei sensi
 Circostanze favorevoli e la fortuna:  avere delle buone opportunità e condizioni per praticare il Dharma.
 Fortunati: coloro che hanno incontrato il Dharma e sono capaci di praticarlo.
 Rinuncia: autentica intenzione di abbandonare il samsara e raggiungere il Nirvana.
 Oceano dell’esistenza (in sanscrito samsara, in tibetano khor wa): attaccamento alle apparenze di questa vita, interesse per gli aspetti riguardanti la vita presente.
 Samsara (termine sanscrito): gli aggregati impuri di un essere senziente, che da tempo senza inizio hanno luogo al ciclo di morte e rinascita a causa dell’illusione e del karma e hanno reso gli esseri senzi9enti carichi delle sofferenze dei sei regni fisici e spirituali. 
 Attaccamento alle apparenze delle vite future: interesse per gli aspetti riguardanti le prossime vite nel samsara.
 Aspirazione alla più alta illuminazione (in sanscrito Bodhicitta, in tibetano jang chub kyi sem).
 Insuperabile Bodhi: lo stato di Buddha.
 Bodhicitta (termine sanscrito): autentica aspirazione a raggiungere la completa illuminazione allo scopo di portare tutti gli esseri senzienti allo stato di completa illuminazione.
 Quattro potenti fiumi: rinascita, invecchiamento, malattia e morte.
 Karma  (termine sanscrito, in italiano azione, in tibetano les): una sottile impronta nel continuum mentale proveniente da esperienze precedenti, la quale da impulsi ad azioni mentali e fisiche.
 Attaccamento al Sé (in tibetano dag zin): percezione errata che si attacca all’idea di un Sé o di un io intrinsecamente esistente.
 Tre sofferenze: sofferenza del dolore, del cambiamento e della condizione.
 Madri: tutti gli esseri senzienti, i più cari, quelli che ci hanno recato più benefici.
 Intenzione astica di divenire un Risvegliato: in questo contesto si riferisce al Bodhicitta
 Saggezza: realizzazione della Vacuità.
 La vera natura delle cose: la realtà ultima dell’esistenza delle cose, vacue di un’esistenza intrinseca.
 Radice del samsara: l’ignoranza, il non vedere la verità, opposta alla saggezza.
 Origine interdipendente (in tibetano ten byung): la realtà dell’esistenza delle cose e degli eventi, che esistono in modo interdipendente.
 Nirvana. Al di la della sofferenza, cessazione della sofferenza.
 Apparenze, ovvero l’inevitabilità dell’origine interdipendente: realtà convenzionale o verità convenzionale.
 Vacuità, ovvero la non-asserzione: realtà ultima o verità ultima.
 Pensiero di Buddha Shakyamuni: la natura non duale delle due verità.
 Visione: realtà ultima.
 Estremo dell’esistenza: l’idea che le cose esistano solo in maniera intrinseca o da sé .
 Apparenza: visione comune.
 Estremo della non-esistenza: l’idea che le cose non esistano, se non esistono in maniera intrinseca.
 Vacuità: la vera natura dei fenomeni, non esistenti in maniera intrinseca.
 Visioni estremiste: Nichilismo ed  Eternalismo.
 Tre aspetti principali del Sentiero:  Rinuncia, Bodhicitta e Saggezza
 Perseveranza entusiastica: sforzo gioioso nella pratica del Dharma.
 Meta finale: illuminazione competa, stato di Buddha.
 Figlio mio: direttamente rivolto al suo discepolo T.N.D. - ma indirettamente a tutti coloro che desiderano realizzare i tre aspetti del sentiero.