Wednesday 31 March 2021

LA COMPASSIONE E LA SAGGEZZA

LA VIA DEL NIRVANA
Il Dharma del Buddha
2003
Lama Geshe Gedun Tharchin

  

8° LA COMPASSIONE E LA SAGGEZZA


Desidero ringraziare tutti per questo incontro e per la discussione che ne seguirà. La ragione per cui siamo qui è in realtà molto comune, è la stessa ragione che inseguiamo costantemente nella nostra vita quotidiana: abbiamo l’istinto innato di trovare un po' di felicità e di risolvere i nostri problemi, una intenzione che permea tutto il nostro vivere quotidiano. Questa è la ragione principale per cui siamo qui. Così, dobbiamo lavorare insieme per trovare una qualche soluzione, un metodo per aumentare la nostra felicità e per ridurre la nostra sofferenza. 

Questo è lo scopo di ciò che è chiamato Dharma. Dharma è una parola derivante dalla tradizione buddhista, però non è necessariamente legata alla pratica buddhista e consiste piuttosto in una pratica per risolvere questi nostri problemi di natura spirituale.


Oggi ci occupiamo di un argomento che verte su due termini e due questioni fondamentali: compassione e saggezza. In realtà compassione e saggezza sono qualità mentali che dovremmo sviluppare ed aumentare dentro di noi con un vero e proprio  allenamento spirituale. 

Spesso, nella nostra vita quotidiana, ci manca proprio l’opportunità, la possibilità, di dedicarci a questa crescita perché il nostro tempo è assorbito da questioni e problemi di natura materiale. Questa condizione di disequilibrio può essere la causa di problemi di natura spirituale. Per cui la prima condizione per risolvere i problemi della nostra vita dev’essere quella di investire il nostro tempo in maniera equilibrata sia per la soluzione dei problemi di natura spirituale sia per quelli della vita materiale. 

Possiamo notare come nel mondo ci sono alcuni luoghi in cui si dedica la maggior parte del tempo, se non la totalità, alla soluzione di problemi pratici e all’acquisizione di guadagni materiali. Allo stesso modo altrove c'è magari un’attenzione quasi esclusiva a problemi di natura spirituale. Di fatto è molto difficile che si dedichi la stessa attenzione a tutti e due gli aspetti. Questa mancanza di equilibrio è una delle ragioni principali dei tanti conflitti sociali ed è anche la causa dello squilibrio della nostra vita interiore.


Sono lieto di essere in un posto come questo, un centro dove si ha la possibilità di studiare e di confrontare differenti tradizioni spirituali, un’esigenza molto importante nella società di oggi. Confrontarsi e praticare per l’accrescimento del nostro spirito senza essere limitati dalle appartenenze a singole tradizioni spirituali è una cosa importante, soprattutto in questi tempi. È veramente fondamentale perché oggi ci sono molte istituzioni religiose che hanno una mentalità troppo chiusa, troppo esclusiva, per cui spesso se si è buddhisti si può solo essere buddhisti, fare pratica buddhista e non interessarsi ad altre vie, ad altre pratiche. Questo è, appunto, uno specchio della chiusura mentale che è all'origine di conflitti sociali. 

Tale atteggiamento riflette  una mentalità molto antica; nella stessa società tibetana si intendevano le cose in questo modo. Ma questi schemi di pensiero e questa visione delle cose non si addicono e non si adattano ai sistemi democratici della società moderna. Per sviluppare una buona qualità spirituale ed essere il più possibile liberi, spiritualmente e mentalmente, dobbiamo liberarci anche di questo genere di confini e settarismi religiosi. Tale apertura della mente è una delle condizioni principali per lo sviluppo della nostra qualità interiore. Per quanto mi riguarda penso che una persona può essere tranquillamente buddhista, ebrea, islamica. Dietro al concetto per cui, per essere buoni buddhisti, buoni cristiani o quant'altro, si debba essere esclusivamente buddhisti o cristiani eccetera, c’è una cattiva interpretazione della dottrina principale. Questo causa, appunto,  una serie di limitazioni alla nostra crescita spirituale, alla possibilità di aprire il nostro cuore, al nostro sviluppo come esseri umani. 

Così questo centro «Simmetria», qui a  Roma, per quanto piccolo è importante. In genere molte delle cose preziose che troviamo sono in realtà piccole e, proprio perché sono piccole e rare, sono preziose.


Entriamo ora nell'argomento vero e proprio della conferenza. Nel momento in cui si comprende che tutte le tradizioni spirituali sono ugualmente degne di rispetto, allora ci si può applicare pienamente alla pratica e alla comprensione di concetti come compassione e saggezza. 

Ci sono  quattro allenamenti preliminari prima di potersi considerare pronti per la vera e propria pratica della compassione, per comprendere la compassione.

Prima di tutto, è  fondamentale il rispetto di tutte le diverse tradizioni buddhiste e delle altre religioni.


Il primo allenamento preliminare : la preziosa rinascita umana


La condizione successiva è quella di essere consapevoli della preziosità della vita umana. Ogni cognizione religiosa sorge da questa coscienza. 

Come possiamo comprendere quanto è rara e preziosa la vita umana? Per questo caso la tradizione buddhista individua tre caratteristiche. Per ottenere la rinascita umana devono essere realizzate tre condizioni: la prima condizione è la pratica di una perfetta moralità, di una corretta etica. La seconda condizione si ottiene attraverso la pratica delle cinque moralità perfette che sono: generosità, pazienza, perseveranza entusiastica, concentrazione e, in ultimo, saggezza. Queste prime due condizioni non sono sufficienti; la terza condizione che le completa è la dedizione, o aspirazione. 

Sommando i primi tre punti, cioè la pratica di una perfetta etica, accompagnata e supportata dalle altre cinque perfezioni in cui è condivisa, abbiamo sei pratiche. Queste sei pratiche devono essere tutte alimentate dall’aspirazione, da un desiderio vivo. Queste tre condizioni possono dar luogo a una rinascita umana pienamente qualificata.


Naturalmente si può rinascere senza aver praticato la corretta etica con le sue cinque perfezioni e con dedizione. Ma, se per esempio non si è praticata la generosità, si può rinascere in un luogo in cui si ha una estrema difficoltà per trovare abiti e cibo. Da questo discende una catena di conseguenze perché le condizioni difficili ostacolano la possibilità di dedicarsi serenamente alle questioni spirituali. Inoltre, se nelle vite precedenti non si è praticata la pazienza, diventa davvero difficile seguire un cammino spirituale ad ogni livello e con qualsiasi risultato perché si è soggetti all’ira o alla rabbia che distolgono dalla pratica. 


Il punto cruciale per una pratica spirituale è la necessità della pazienza. In realtà la pazienza è determinante in qualsiasi nostra attività: nella carriera, nello studio… Così, se non abbiamo praticato la pazienza nella vita precedente, in quella attuale può essere molto difficile dedicarsi a un’attività con successo e, per quello che ci riguarda qui, ottenere dei risultati nella crescita spirituale. In italiano si parla di «santa pazienza». Mi è piaciuta questa espressione perché caratterizza in modo quasi divino questa qualità. 

La terza paramita (o perfezione)  è la perseveranza entusiastica, che si può definire semplicemente come uno sforzo gioioso, un applicarsi con gioia. C'è un potere, una forza che nasce dalla gioia, una forza legata alla volontà; il cui frutto è darci una grande forza, un grande entusiasmo senza perdere energia, cosa che succede normalmente quando ci applichiamo con grande sforzo ad uno scopo, difatti applicarsi con gioia ci dà un potere che non svanisce. Comunque, se non si ha una sufficiente concentrazione, per quanto si possa provare a praticare è difficile che si ottengano dei risultati, si può fare ben poco. 

L'essenza della concentrazione è la consapevolezza. Saggezza in realtà significa intelletto, la conoscenza che può discriminare il buono e il cattivo, ciò che è giusto o sbagliato. Per ottenere una rinascita umana pienamente qualificata dobbiamo praticare pienamente tutte e sei le perfezioni. Noi pratichiamo queste sei perfezioni per ottenere dei benefici per gli altri e questa è la causa della dedizione, l’aspirazione. 

La forma umana ha le migliori capacità ed abilità per produrre benefici per gli altri. Potremmo tranquillamente praticare le sei perfezioni per ottenere la rinascita pienamente qualificata solo per noi stessi ma questo non è giusto, non rispecchia la terza condizione, quella appunto della dedizione. È per dare benefici agli altri che dobbiamo praticare e la forma umana ha le migliori qualità per realizzare questo scopo. 

Penso che la gente che vive a Roma, in questo senso, in passato deve aver fatto un buon lavoro per vivere le sei condizioni. La realizzazione ottenuta dalla corretta pratica di queste sei perfezioni è definita come la conoscenza della preziosità della forma umana. La ragione fondamentale per cui dobbiamo praticare è portare avanti questa missione. 

Missione tanto importante quanto difficile.



Il secondo allenamento preliminare: l’impermanenza


La seconda delle pratiche preliminari necessarie a evolversi nella vera e propria pratica della compassione è la conoscenza, o la realizzazione della impermanenza.

Primo significato dell’impermanenza è che il nostro corpo cambia nel tempo, è un processo naturale, ogni cosa cresce e decade, invecchia. Nulla può arrestare questo processo perché è naturale, non possiamo fare assolutamente niente per interrompere o contrastare questo processo naturale. Questo è il principio della natura impermanente dei fenomeni. 

Dobbiamo realizzare che il nostro corpo, per quanto prezioso, non dura per sempre e che  il decadimento dei fenomeni materiali illusori non si ferma mai. Il significato  di questa presa di coscienza consiste nel realizzare che non c’è tempo da perdere e che dobbiamo usare il nostro corpo per averne i vantaggi nel presente: qui e ora. 

Questa è la seconda pratica preliminare, essere consapevoli della impermanenza della vita umana e del corpo umano.



Il terzo allenamento preliminare: Il karma ovvero la legge di causa-effetto


La terza pratica preliminare è la realizzazione, la comprensione  della legge di causa-effetto. La legge di causa-effetto è ciò che nella tradizione buddhista chiamiamo normalmente karma. Si basa su tre caratteristiche. 

La regola del karma fissa la sequenzialità degli eventi: rapporti di causa-effetto positivi non possono in alcun modo causare risultati negativi, viceversa rapporti di causa-effetto negativi producono solo risultati negativi. È ovvio che se piantiamo semi di riso può nascere solo riso. Un seme diverso non potrà produrre riso, è una legge della natura, nessuno e niente la può cambiare; e anche noi viviamo immersi in questa legge naturale. 

Così ogni momento gioioso o doloroso che viviamo in questa vita è il risultato delle nostre azioni, delle relazioni di causa-effetto poste precedentemente. 

La seconda caratteristica della legge di causa-effetto consiste nel fatto che non possiamo andare incontro a nessuna esperienza che non sia il prodotto di una qualche nostra scelta volontaria antecedente; è impossibile che l’accumulo di azioni negative da parte mia si traduca in risultati negativi su qualcun altro, ma solo su di me. 

Dobbiamo renderci conto che ogni esperienza alla quale andiamo incontro nel tempo presente è il risultato esclusivo dell’accumulo delle nostre azioni e delle nostre responsabilità nel passato.

La terza caratteristica riguarda il futuro: è inevitabile andare incontro a esperienze create da noi stessi; non c’è modo di far scomparire i risultati delle nostre azioni del passato. Queste sono le tre caratteristiche della legge di causa-effetto che descrivono il funzionamento di tutti i fenomeni. 

È una legge universale di natura, non è una legge applicabile solo a Roma o in Inghilterra. Questa comprensione della legge naturale di causa-effetto è la terza pratica preliminare per evolversi e arrivare al passo successivo della compassione.



Il quarto allenamento preliminare:il samsara


Il quarto pensiero fondamentale è la condizione della vita. In Sanscrito ci si riferisce al Samsara come ciclo delle esistenze. Non è semplicemente esistere ma esistere in dipendenza da qualcos’altro. La nostra vita quotidiana è definita da un processo ciclico. Com’è possibile che si sia vincolati a questo processo ciclico? Perché non ne usciamo? Abbiamo sempre un sacco di cose da fare, molti impegni ed enormi frustrazioni ed impedimenti; com’è possibile? 

Per ciascuno il problema principale è la necessità di nutrirsi per sopravvivere, per cui sarei felicissimo se non avessi questa schiavitù; penso che ci libereremmo da diverse frustrazioni ed avremmo molto più tempo da dedicare alla pratica se non avessimo la necessità di alimentarci. Questa è la nostra vita concreta e materiale, anch’essa prodotta da noi, causata da noi stessi. 

Se comprendiamo il principio di causa-effetto possiamo vedere con sufficiente chiarezza come abbiamo prodotto da noi stessi questa dimensione di vita. Questa è la quarta pratica preliminare della nostra condizione di vita. 

Dal momento che questa condizione è qualcosa che abbiamo prodotto noi stessi c’è poco da essere dispiaciuti, sofferenti o arrabbiati con altri; ho comprato una bottiglietta d’acqua e ne sono deluso, però non posso biasimare nessuno se non me stesso perché sono stato io a comprarla. Questo è un significato particolare, in dettaglio, della conoscenza della nostra vita. Per quanto breve possa essere questa descrizione la pratica di queste quattro condizioni deve essere completa prima di potersi dedicarsi alla vera e propria pratica della compassione. 


La compassione


Non c’è modo di praticare la compassione nella filosofia buddhista se prima non abbiamo praticato queste quattro condizioni. In realtà la compassione dovrebbe sorgere spontaneamente, quasi come risultato dell’attuazione di queste quattro pratiche preliminari.


Ogni volta che parlo di compassione noto che la gente vuole soffermarsi su questo concetto a lungo; ritengo sia sbagliato perché in realtà la compassione è un risultato. Nel momento in cui raccogliamo i frutti dell’applicazione delle quattro pratiche preliminari la compassione sorge spontaneamente. 

Allora, vediamo come avvicinarci alla vera e propria pratica della compassione, una volta raggiunti e completati i risultati delle prime quattro pratiche preliminari. 

Ci sono diversi passi da seguire. La prima considerazione da fare è quella sugli svantaggi del nostro comportamento egoistico. A questo proposito le scritture tradizionali ci dicono che dovremmo bandire colui che si lamenta di tutto, di ogni cosa. Questo è l’atteggiamento egocentrico, concentrato su se stesso. Quando abbiamo dei problemi andiamo sempre alla ricerca di cause esterne e non troviamo mai la vera ragione che è solo in noi. 

È buffo perché questa visione rovescia il nostro modo di vedere abituale. In realtà è lavorando con molta semplicità e continuità su questo atteggiamento egocentrico che possiamo risolvere i problemi. 

Quindi una prima definizione di compassione è rispettare tutti, senza accusare nessuno e senza lamentarsi perché la causa dei nostri problemi non è al di fuori di noi, non è lì, ma qui, dentro di noi e questo aspetto della compassione è molto realistico. In questo caso la compassione ha due aspetti: il primo è rispettare gli altri, il secondo è compiangere i nostri atteggiamenti negativi. Questo non significa compiangere noi stessi ma solo i nostri atteggiamenti negativi. Anche rispettare noi stessi è compassione. 

Nella tradizione buddhista la difesa, e quindi la preservazione di noi stessi è cosa saggia; è importante che distinguiamo bene queste due cose: noi e i nostri atteggiamenti negativi. Questo aspetto della compassione è allo stesso tempo spirituale e pratico; può essere messo in atto a livello singolo, di gruppo o finanche per un’intera nazione.

Nel secondo verso delle scritture si dice: «Meditate sulla grande gentilezza di tutti gli esseri».

Perché dobbiamo quindi rispettare gli altri? Perché gli altri sono la causa della nostra felicità, di tutte le nostre qualità e di tutti i nostri guadagni. Sono sempre molto gentili con noi ed ogni cosa diventa oggetto di rispetto se meditiamo sulla grande gentilezza di tutti gli esseri. È molto facile comprendere questo concetto: se non ci fosse nessuno e fossimo completamente soli come potremmo essere felici? È molto semplice. 

Ciò vale anche riguardo alla mia esperienza personale, relativa alla mia venuta in Occidente e al fatto che ho sentito la mancanza dei miei amici. Gli altri sono l’unica causa della nostra felicità, tranquillità e persino della nostra posizione sociale: un primo ministro o un presidente, se fossero soli, chi governerebbero? Io sto parlando ma ci siete voi che mi ascoltate, altrimenti a chi parlerei? Anche una singola persona è necessaria. Questa condizione è prodotta dagli atteggiamenti noi tutti, insieme. Se riflettiamo con attenzione possiamo realizzare che ogni individuo è gentile con noi. 

Pensiamo al grande problema della guerra. Quello che dobbiamo assolutamente fare è difendere noi stessi. Ma come? Io non credo che le maschere antigas siano un grande mezzo di difesa, anche perché sono molto scomode da portare. La compassione è già una prima grande tecnica di autodifesa: ci libera dalla paura. 

Riassumendo, ci sono questi due aspetti della pratica della compassione: il primo è non accusare gli altri come causa della nostra sofferenza perché l’unica causa risiede nei nostri atteggiamenti negativi; il secondo è rispettare tutti gli altri esseri per la loro estrema gentilezza nei nostri confronti. Nel momento in cui abbiamo sviluppato i quattro aspetti preliminari e i due aspetti della compassione dobbiamo praticare in concreto. In tibetano si chiama Tong Len, la pratica del dare e ricevere. Significa dare tutte le nostre buone qualità agli altri e prendere su di noi tutte le responsabilità dei nostri problemi. Poiché gli altri sono molto gentili con noi non possiamo fare altro che sviluppare un atteggiamento altrettanto gentile nei loro confronti. Non c’è una verità numerica perché «gli altri» è indefinito, l’io è uno, quindi rivolgere questo atteggiamento di compassione agli altri è la cosa più grande che si  possa fare. 

Così forse si comincia a capire cos’è la compassione e quanto grande è la mente compassionevole: è la cosa più grande che possiamo fare dal momento che possediamo questa forma umana. 


Per quanto riguarda la tradizione buddhista, lo scopo più alto è sviluppare e coltivare questa attitudine che si definisce compassione e praticarla. Se la pratichiamo correttamente essa diventerà la causa primaria, la fonte della nostra piena gioia, felicità e tranquillità, e diventa anche la fonte di gioia, felicità e tranquillità per gli altri. Tra tutti i fenomeni dell'universo il più prezioso è quello della compassione. Perché è il solo e unico fenomeno che dà gioia e tranquillità universali. E si basa su fatti concreti, sulla realtà, non stiamo creando nulla di nuovo. 

Quindi dalla definizione di compassione, nella tradizione buddhista, deriva anche la definizione delle azioni negative: semplicemente è ciò che va nelle direzione opposta alla compassione. Le azioni negative sono quelle che arrecano infelicità a noi e agli altri, quelle  positive invece vanno nella direzione dello sviluppo della compassione, portano felicità e potenziano ulteriormente lo sviluppo della compassione. Queste sono cose basate su fatti concreti, su quei quattro principi di cui parlavamo all’inizio.


In tibetano la saggezza si traduce con “she-rab”,  un termine che definisce un tipo di intelletto, di conoscenza, capace di discriminare il buono dal cattivo. Dividiamo la saggezza in due parti: da un lato quella che si definisce conoscenza del livello convenzionale della verità, e dall’altro la conoscenza della verità ultima. Queste due conoscenze sono legate a queste due realtà di fatto: la realtà convenzionale e la realtà ultima, superiore. Queste due realtà sono collegate, sono due aspetti di ciascun singolo fenomeno. Sul livello di verità convenzionale i due aspetti buono e cattivo, sofferenza e felicità, esistono realmente, sono veri ad un livello convenzionale; ma quando andiamo più in profondità, al livello della verità ultima, essi coincidono.

Nella tradizione buddhista sul piano di verità convenzionale ci sono delle differenze ma sul piano della verità ultima tutto è uguale. Significa anche che non c’è nulla di completamente nero o completamente bianco, ogni cosa può cambiare, la natura è trasformazione. Da questo punto di vista non c'è nulla a cui rimanere vincolati, a cui aggrapparsi o da odiare profondamente. Non ci sono nemici o amici assoluti. Si tratta della duplice natura, di due aspetti di una sola cosa. Se riflettiamo su questo principio e lo paragoniamo al nostro modo di pensare quotidiano troviamo una differenza enorme; ciò significa che le percezioni, i pensieri e i giudizi che abitualmente abbiamo sulle cose sono opposti alla vera realtà delle cose. 

Quindi, le nostre percezioni istintive non sono normalmente corrette e non dovremmo seguirle. Dopo una valutazione, una percezione, dovremmo fermarci sempre un attimo a pensare, non dovremmo mai agire senza riflettere. Attraverso questo tipo di indagine ed attenzione un uomo può interrompere ed evitare molti problemi che derivano dal comportamento irriflessivo. Questo è ciò che chiamiamo propriamente saggezza. La chiave per aprire gli occhi della saggezza, dell’intelletto, è conoscere la realtà ultima dei fenomeni ed è strettamente  collegata al concetto di compassione. Non c’è possibilità di praticare una completa compassione senza una reale saggezza e, senza una completa pratica della compassione, non c'è possibilità di praticare ed ottenere una completa saggezza. Questi due atteggiamenti mentali sono complementari. Sono necessari l’uno all’altro per svilupparsi. 


Ogni tipo di pratica che riguardi compassione e saggezza deve svilupparsi in tre passaggi: per prima vi è una fase di studio, di lettura e di apprendimento; la seconda è una fase di osservazione e la terza è di contemplazione. Questi tre livelli, tre gradini, sono molto importanti per seguire una pratica corretta. La ragione per cui dobbiamo praticare la compassione è suscitata dagli aspetti del vero intelletto, della vera saggezza, ed è la stessa ragione per cui dobbiamo arrivare a discernere la verità ultima dei fenomeni.


Domanda: esiste una spiegazione del termine "gentilezza" dell’altro e/o verso l’altro, ed è possibile metterla in rapporto con il termine «sacralità» dell’altro?


Risposta:  è giusto considerare gli altri come sacri, più che gentili, anche quando non ci appaiono tali. Non è facile ovviamente sviluppare questa considerazione ma, per quanto possa non essere facile, dobbiamo continuare a pensare ai tanti  benefici che ci derivano  dalla semplice esistenza degli altri.


Domanda: si è parlato di persone che non si contentano mai, che si lamentano sempre, dobbiamo averne compassione, cercare di parlar con loro o emarginarli?

Risposta: nel  Buddhismo si ritiene che sia molto difficile giudicare una persona dall’esterno; se abbiamo di fronte un perfetto Buddha o uno stupido non possiamo saperlo. Quindi un buon modo per avvicinare una persona è intanto quello di rispettarla e cercare di capire il motivo per cui si lamenta. Nel momento in cui le mostriamo  rispetto è probabile che in tale persona si sviluppi qualcosa di speciale. In realtà è molto più facile che il nostro prossimo sia buono più che cattivo e, se riusciamo a rispettarlo, gli diamo una maggiore possibilità di manifestarsi come tale. Questa è una buona pratica sia per noi che per gli altri. C’è un parallelismo con i Vangeli dove c’è scritto: "non giudicate per non essere giudicati", il Buddha ha detto qualcosa di simile: "nessuno può giudicare un altro se non è un Buddha”.


Domanda:  rispetto al karma è stato detto che un’azione positiva va nella direzione dello sviluppo della compassione e invece una negativa ovviamente se ne allontana e, una volta compiuta, è impossibile tornare indietro. Vorrei chiedere due cose: per quanto riguarda l’azione negativa nella religione cristiana c'è la remissione del peccato, che non è un tornare indietro ma, in qualche modo, un riscatto del debito che si è acquisito compiendo una determinata azione negativa. 

Esiste qualcosa del genere nel Buddhismo? La seconda è una domanda rivolta anche a me stesso: come faccio o discriminare l’azione che sto compiendo: se è buona o cattiva?

Risposta: non c’è in effetti nella tradizione buddhista un concetto come la remissione del debito ma una cosa che può avere la stessa funzione: la purificazione. Anche se il danno relativo all’azione negativa compiuta rimane, attraverso la purificazione si possono incrementare le qualità positive. Lo sviluppo delle qualità positive è automaticamente la purificazione delle azioni negative. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, l’unico criterio per discriminare le azioni negative da quelle positive è osservare se producono felicità e  tranquillità negli altri oppure disturbi e problemi. In generale, prima di coinvolgersi in una qualsiasi azione bisogna fermarsi e pensare, senza seguire l’istinto. Questo significa sviluppare la consapevolezza. La meditazione è il grande aiuto per sviluppare la consapevolezza.

Domanda: ad un certo punto ha parlato di difesa, come possiamo difenderci?


Risposta: sviluppando la compassione.


Domanda: se le azioni buone e cattive sono due aspetti di una stessa realtà quando io compio un’azione pensando di essere nel giusto ma questa crea, realmente o potenzialmente, danno agli altri, in che posizione mi trovo rispetto allo sviluppo della compassione?

Risposta: indipendentemente dal risultato, dal danno arrecato agli altri,  quando l’intenzione è giusta si tende a considerare l’azione in modo un po' più positivo che negativo. 

Ci sono sempre due livelli nella motivazione: il primo livello, quando si compie un’azione positiva, senza arrecare danno al prossimo,  con una motivazione positiva, compassionevole; il secondo livello, quando,  pur essendo guidati da una motivazione compassionevole, si arreca del danno agli altri. In entrambi i casi, si compie comunque un’azione positiva.