Wednesday 31 March 2021

La GENEROSITA,

LA VIA DEL NIRVANA
Il Dharma del Buddha
2003
Lama Geshe Gedun Tharchin

12° LA GENEROSITA’

Ci sono vari livelli per arrivare alla realizzazione del Dharma: abbiamo parlato della rinuncia, della compassione, della benevolenza e della Grande Compassione, cioè della mente altruistica. Dopo aver sviluppato questi livelli di attitudine si realizza la Bodhicitta, la mente altruistica, il livello mentale più elevato. 

Nel Buddhismo si pone molta enfasi sullo sviluppo della forza interiore per arrivare a realizzare tutti i livelli di pensiero positivo la cui applicazione e attitudine costituirà un ulteriore avanzamento nel sentiero spirituale rendendo ancor più semplice l’aiutare se stessi e gli altri.

 

In precedenza abbiamo dato la definizione del termine Bodhicitta come “la mente che desidera l’illuminazione per poter alla fine aiutare tutti gli esseri senzienti”. Quest’attitudine è l’unica porta per entrare nella vera pratica Mahayana, ovverosia nella pratica del veicolo universale. Quello di cui ora vorrei parlare è la pratica del Bodhicitta: quando si è sviluppata e si è realizzata il passo successivo consiste nel metterla in pratica, soprattutto nella vita quotidiana. 

Nelle scritture buddhiste si tende a catalogare le pratiche del Bodhisattva in sei categorie: la generosità, la moralità, la pazienza, lo sforzo gioioso, la concentrazione e la saggezza. La pratica del Bodhisattva consiste nella ricerca della motivazione del Bodhicitta e nella pratica delle sei perfezioni.


Per quanto riguarda la generosità, questa non solo coinvolge i beni materiali ma anche le attitudini interiori. La generosità è l’ultima inclinazione che riguarda il distacco e concerne la pratica del donare il proprio corpo per l’ottenimento dello sviluppo interiore. Tutto quello che possiamo donare è contemplato in queste tre categorie: il nostro corpo, i beni materiali e le azioni virtuose. Di conseguenza il nostro Karma positivo. 


La pratica della generosità, dal punto di vista Mahayana, è la volontà, il desiderio di dare agli altri queste cose positive. Il fondamento della generosità è il distacco. L’opposto della generosità è l’attaccamento. Da questo punto di vista se noi utilizziamo tutto ciò che ci appartiene e lo usiamo senza attaccamento giungiamo alla pratica della generosità. Al contrario, se noi facciamo delle donazioni anche cospicue con lo spirito di volere qualcosa in cambio come la fama, il prestigio ecc., questo atteggiamento non rientrerà più nella pratica della generosità. 


Se guardiamo più profondamente tale pratica la possiamo suddividere su due livelli: la generosità comune, quella generica e la generosità suprema, ultima, ovvero la generosità oltremondana. 

Al primo livello appartengono tutte quelle azioni fatte con una sincera generosità ma compiute con uno spirito ancora dualista. Questo implica un concetto dualistico sia in chi dona che in colui che riceve il dono. L’azione del dare, del donare generosamente, fatta con uno spirito non dualista è quella che viene chiamata “generosità suprema, oltremondana”. 

La differenza tra questi due atteggiamenti sta nella acquisita o meno comprensione della vacuità, della natura interdipendente dei fenomeni, della reale natura di tutte le cose. Come possiamo dire che un tipo di generosità è migliore di un’altra? Ciò dipenderà dal livello di influenza positiva che ne riceveremo.

Non è una questione di quantità, non dipende dal numero di persone alle quali concediamo con generosità; se guardiamo alla moltitudine di esseri che necessitano di aiuto comprenderemo che non esisterà mai una generosità perfetta perché non esisterà mai una generosità che potrà soddisfare i bisogni di tutta la moltitudine degli esseri. Quindi la comprensione della generosità avviene a un livello sottile. 


La concezione della generosità, vista in quest’ottica, trasforma le cose al punto che, se ci rubassero il portafoglio, noi vivremmo questo fatto con uno spirito non dualistico perché, nel contesto della generosità, questo atteggiamento può essere inteso come un atto di generosità pura. Se qualcuno ci ruba il portafoglio e noi non inquadriamo questo fatto nell’ottica della generosità ne avremo solamente del dispiacere, appesantendo di più il nostro cuore. Invece, se viviamo l’avvenimento avendo compreso lo spirito della generosità, potremo trasformarlo in un’azione della Bodhicitta, della mente altruistica, liberandoci dai confini entro i quali ci costringe un atteggiamento di rabbia e odio. Con questo non stiamo giustificando il furto ma stiamo dicendo che possiamo acquisire dei vantaggi anche da certo genere di «incidenti».

E’ vero che ci sono situazioni più facili per praticare la generosità; ad esempio aiutare i mendicanti che in Italia sono in aumento. In India e in Tibet esiste una diffusa cultura della generosità perché, pur essendo paesi molto poveri, alle stazioni ferroviarie c’è sempre un posto di ristoro dove viene data dell’acqua e del cibo gratuitamente; quando ci sono delle ricorrenze buddhiste i poveri si riuniscono nei luoghi sacri, come Bodhgaya e Varanasi, e ricevono delle donazioni. I pellegrini vanno nelle banche e cambiano i soldi in monetine per poterle distribuire a tutti i mendicanti. Penso che questo sia un atto di generosità molto puro perché chi dona non si aspetta nulla in cambio. La generosità dipende anche dalle condizioni dell’individuo: dal punto di vista buddhista si presume che una persona molto povera abbia un atteggiamento di non attaccamento quando dona. Ovviamente fare una donazione e poi vantarsene dicendolo a tutti non è un atto di pura generosità. 


Quindi la generosità di tipo mondano è una generosità legata a un atteggiamento di aspettativa. La generosità oltremondana è un livello superiore di generosità ed è compiuta con atteggiamento non duale e cioè si percepisce il donatore, l’oggetto che viene donato e la persona a cui si dona con un atteggiamento di non separazione. La generosità non dipende da quanto doniamo ma da quanto l’atto del donare influenzi noi stessi e incrementi la nostra forza interiore e il nostro sviluppo individuale. L’importante è l’atteggiamento interiore. La pratica del dare, anche cose materiali, che aiuta a rompere la corazza dell’attaccamento infrangendone i confini, in questo senso è salutare. E’ altrettanto vero che è difficile, per noi che viviamo in questa società, sviluppare la vera generosità. Dal punto di vista di un guru praticante, di un praticante realizzato, è molto più semplice. Comunque, rispetto alla pratica della generosità, è fondamentale capire quanto questa ci influenzi e come costituisca un’ottima testimonianza del livello della nostra pratica. Ad esempio: c’è un mendicante che si mette sempre accanto alla chiesa vicina a dove abito. So che lui è là con il suo cane e elemosinare è tutto ciò che gli resta da fare e io alcune volte vado di proposito a dargli qualcosa. Questa è un’ottima maniera per testimoniare la propria attitudine verso la generosità. Non stiamo parlando di un grande livello di generosità, stiamo parlando di un livello molto elementare, piccole cose efficaci: molte volte per noi è difficile elargire anche poche lire. 


Abbiamo parlato molto della generosità, che è la prima delle Paramita. Essa non è una regola, qualcosa che ci viene imposto, non è un ordine ma uno stile di vita che influenza positivamente la nostra vita creando un’atmosfera più «morbida», più salutare, più confortevole e porta maggiore stabilità.

In questo consiste la pratica del Dharma, che è basata soprattutto sulla realtà. Ogni teoria deve essere sempre «riportata sulla terra», deve essere calata nella pratica della nostra vita quotidiana. Quindi cercate con calma, non siamo macchine o computer dove è sufficiente premere un tasto per farci funzionare.

Questa è una cultura antica che può essere, però, attualizzata. C’è un libro del Dalai Lama che credo si chiami proprio Cultura Antica e Mondo Moderno. Ed è questo che attira molti occidentali al Buddhismo perché esso è una cultura molto antica. 


Il Dalai Lama non ha mai parlato di Buddhismo moderno, il Buddhismo non si può creare ora, è una cultura antica ma ci aiuta a costruire un mondo moderno e migliore. Questa dovrebbe essere l’integrazione del Buddhismo nella nostra vita: proviamo a vedere come il Buddismo sia adattabile e come questo può influenzare la nostra vita attuale. Questa è la nostra pratica.


Domanda: ci puoi dire cosa, voi tibetani, provate nei confronti dei cinesi?

Risposta: dal punto di vista personale non lo so, in quanto non sono nato in Tibet e non ci sono mai stato, però so che i tibetani considerano l’occupazione cinese il risultato del loro karma negativo. Le persone che hanno una maggiore comprensione del Buddhismo e sono più radicate nella pratica sviluppano meno rabbia nei confronti dell’occupazione cinese. Il Dalai Lama non ha mai avuto atteggiamenti ostili verso i cinesi. Dal punto di vista politico si tende a presentare il Tibet come una Terra Pura ma in realtà non è così: il Tibet, prima dell’occupazione, era sottoposto a un regime medioevale ed esisteva un sistema di caste molto accentuato con sfruttati e sfruttatori. Sarebbe utile leggere dei testi scritti da un paio di missionari che sono stati in Tibet prima dell’occupazione. Descrivono il Tibet di allora da un punto di vista realistico, al contrario della maggior parte dei testi che tendono a darne un’interpretazione di parte. Questi due missionari inglesi sono andati dall’India in Tibet e le loro analisi si sono rivelate molto obiettive, al contrario dei cinesi e dei tibetani che hanno sempre diffuso resoconti storici di parte. Parlare di tali vicende da un punto di vista politico è una cosa, parlarne da un punto di vista spirituale è un’altra. Molto difficile unire i due aspetti. Dal punto di vista spirituale nel Buddhismo non c’è motivo di essere arrabbiati con i cinesi perché questo era il loro destino. 


Domanda: l’invasione della Cina è stata un’opportunità per diffondere il Buddhismo?

Risposta: no, non credo.