Il Dharma del Buddha
2003
Lama Geshe Gedun Tharchin
4° IL SENSO DELLA VITA UMANA
Quello che tentiamo di fare quotidianamente è ricercare l’essenza della vita, darle un senso che vada oltre quelle che sono le preoccupazioni quotidiane. La ragione per cui ne ricerchiamo il senso è aumentare la fiducia in noi stessi e nella nostra vita.
Quando raggiungeremo profonda fiducia nella nostro modo di essere, allora la nostra vita acquisterà stabilità ed equilibrio. Una condizione che sia stabile ed equilibrata ci pone in un rapporto di pacifica confidenza con noi stessi. In questo senso il Dharma è l’essenza della nostra vita, e ci condurrà allo sviluppo di una fondamentale introspezione.
Quando parliamo dell’esistenza, dobbiamo distinguere tra uno stile di vita interiore ed uno esteriore, uno spirituale ed uno materiale. Questa divisione è in relazione alla ripartizione che possiamo fare tra la salute fisica e la salute mentale o spirituale.
Anche i sentimenti possono essere suddivisi tra quelli che producono benessere fisico e quelli che producono benessere mentale.
Bisogna imparare a conoscere qual è il potenziale di questi differenti tipi di sensibilità.
Noi siamo più interessati a mantenere i nostri sentimenti a livello interiore, questo perché la vita spirituale è alla base della vita esteriore e materiale. Quindi, quello che cerchiamo di fare è arricchire l’interiorità in modo da potenziare, di conseguenza, la nostra fisicità. Lo sviluppo delle qualità interiori può permettere di superare i problemi fisici e materiali, e questo non accade solamente durante la meditazione, ma anche studiando il Dharma e producendo un arricchimento del nostro stile di vita.
Un argomento importante da affrontare è quello relativo alle «Sei Paramita» (di cui si tratterà nei capitoli successivi). Esse sono contenute nello sviluppo della mente altruistica, Bodhicitta, che permette di aumentare le nostre qualità interiori.
Vivere praticando le Paramita aiuta ad avere uno stile di vita più salutare e permette di cambiare non solo la qualità della meditazione, ma l’intera vita.
E’ per questo che le sei Paramita sono l’essenza dell’addestramento dello stile di vita del Mahayana. Non c’è bisogno di un solido background filosofico o teoretico, semplicemente basta vivere sulla base delle sei Paramita. Mirare ed aspirare ad uno stile di vita basato su tale modello ci consente di mantenere una consapevolezza, una completa vigilanza su quanto facciamo nella quotidianità.
Mediante questa consapevolezza possiamo valutare quanto, durante la giornata, attuiamo le sei Paramita o, al contrario, quanto le eludiamo. Dobbiamo renderci conto che le Paramita sono un impegno che, chiunque segua il sentiero Mahayana, dovrebbe cercare di affrontare. La consapevolezza, l’attenzione, la pienezza mentale, l’introspezione sono gli strumenti attraverso i quali possiamo mantenere noi stessi entro tale sentiero.
Come ho già detto, il risveglio e gli istanti prima di dormire sono i due momenti fondamentali per ricordare quello che faremo e che abbiamo fatto durante la giornata. E’ lì che abbiamo la consapevolezza piena di tutto il vissuto positivo.
A tal proposito, ritengo che la consapevolezza e l’attenzione siano dei punti fondamentali, gli elementi più importanti dell’insegnamento del Buddha. Bisognerebbe essere in grado di «riempire» la nostra mente di consapevolezza durante l’arco della giornata oltre che durante l’arco della notte. E’ importante cercare di estendere la nostra attenzione per vivere le sei Paramita durante tutte le ventiquattro ore; questo porterà la nostra vita ad un livello più stabile e più equilibrato.
Vivere con consapevolezza causerà degli effetti benefici sia temporanei che a lungo termine. Gli effetti benefici sono quelli di poter estendere nella nostra esistenza, nella nostra vita quotidiana, i momenti di tranquillità, i momenti di concentrazione e di consapevolezza in modo da poter ridurre lo stress, la tensione che ci deriva dal vivere nel Samsara.
Vivere gli effetti benefici temporanei, in termini di diminuzione dello stress, è la base per i successivi sviluppi quali la realizzazione oppure il Samadhi o la Vipassana.
Percorrere uno stile di vita basato sulle sei Paramita permette le successive realizzazioni, gli obiettivi ultimi della pratica del Dharma.
Quindi, meditazione vuol soprattutto dire vivere nella concentrazione, con consapevolezza e pienezza mentale, tutta la giornata, esercitando la saggezza.
Significa vivere in confidenza con il proprio stile di vita, eliminando così la confusione. Intendiamo qui per confidenza con se stessi avere coscienza di quella che è la nostra meta finale. Inoltre, questo significa soprattutto affrontare l’esistenza senza paura: qualsiasi difficoltà possa sorgere bisogna saper restare «stabili»; raggiungeremo in tal modo pace e felicità durature.
Questo è quello che si intende parlando di realizzazione di Shamatha e di Vipassana.
La meditazione non è solo quella che si compie in una sala di meditazione, ma è ciò che si deve esprimere durante tutto l’arco della giornata attraverso lo studio, la contemplazione, ma, soprattutto, sperimentando ciò che si studia e si contempla.
Soltanto con l’esperienza individuale una persona può convincersi degli aspetti benefici del vivere nelle sei Paramita.
E’ quello che in termini buddhisti viene chiamata fede, la fede nelle sei Paramita, ma anche la fede nel Dharma e nella meditazione. E’ questo che porta alla fede nel Buddha.
Successivamente può giungere quella nel Sangha, e cioè in coloro che praticano ed «espandono» il Dharma. Quindi si può avere fede ed ammirazione nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha.
Sviluppare ammirazione per i Tre Gioielli è quello che si chiama vivere nella fede. Per questo è impossibile per i praticanti buddhisti diventare fanatici. Per fanatici ed integralisti il principale oggetto di fede è la persona, cioè la fede in una persona di cui non si conoscono le qualità e di cui si seguono parole ed azioni.
Questa è fede cieca: una fede da invasati non è la forma di credo buddhista, è una fede di tipo samsarico.
Entrambe possono essere definite fedi, tuttavia sono completamente differenti. L’attitudine alla fede nei Tre Gioielli può essere «trasportata» anche in altre religioni e viceversa.
Ad esempio, i cattolici credono in Gesù Cristo, figlio di Dio. Questa stessa fede è presente anche nei protestanti, negli ortodossi e in altre confessioni cristiane, tra le quali spesso sorgono dispute di carattere teologico. Nel Cristianesimo, inoltre, vi sono dei dogmi: Cristo è figlio di Dio, però è anche Dio, e Maria è sia la Madre di Cristo che la Madre di Dio. Questi stessi dogmi del Cattolicesimo sono ripresi anche da altre confessioni cristiane che però sono più critiche e addirittura polemiche. La critica è un’attitudine presente non solo in ambito religioso, ma in qualsiasi campo del sapere umano: quando non concordiamo su un punto di vista tendiamo sempre a dire che solo il nostro è quello giusto.
Anche il Dharma non è immune da tali atteggiamenti. Ad esempio, i buddhisti tibetani credono che il Dalai Lama sia il Buddha, in quanto sua reincarnazione e sua madre, la madre di Buddha.
Accade lo stesso anche nelle tradizioni Zen e Theravada che affermano, in merito, che i tibetani sono pazzi e che queste credenze non sono vere. Ma anche lo Zen ha i suoi dogmi: ad esempio crede nella trasmissione da cuore a cuore, il tutto a partire da Buddha a Mahakassyapa. Analogamente, le altre tradizioni dicono che gli Zen sono confusi e sbagliano. Anche il Buddhismo Theravada risente dei dogmi; non mette enfasi come nel Mahayana negli ideali del Bodhisattva, non ha rituali elaborati e crede solamente nel Buddha Shakyamuni, il Buddha storico, e segue le sue vie ed il suo insegnamento in maniera molto semplice.
Questi diversi approcci sono tutti positivi, non c’è bisogno di dire che uno è giusto e l’altro è errato. Come possiamo combinarli ed armonizzarli? L’unica maniera è attraverso la sensibilità e l’esperienza di ogni singolo individuo, non c’è altra possibilità di farlo, non servono conferenze o incontri, perché spesso in queste occasioni la gente arriva pronta a combattere la propria battaglia.
Penso che sia impossibile cercare di risolvere le diversità dal punto di vista teoretico. L’importante, invece, è la pratica che ognuno affronta nel cattolicesimo, nel Buddhismo Tibetano, nello Zen, nel Theravada. In poche parole, ciò che conta è il risultato. Se questo è positivo vuol dire che tutte le vie e le pratiche hanno un certo grado di equivalenza sul piano concreto. Possiamo convincerci che ciascuna di queste fedi sia corretta perché i praticanti la seguono con devozione ed il risultato è una vita positiva.
Comunque la scelta è individuale e compete a ciascuno di noi. Ciò che conta è non criticare le altre tradizioni.
Malauguratamente, la tendenza alla confutazione delle pratiche altrui è cosa molto diffusa nella società moderna: quando seguiamo una fede e vediamo che un’altra è diversa a livello teorico dalla nostra, tendiamo a dire che la nostra incarna la verità confutando le altre.
Tutto il Dharma è buono se praticandolo siamo in grado di vedere che progrediamo nella quotidianità e diveniamo persone migliori.
Come è possibile comunicare agli altri la propria esperienza? Soltanto con il nostro modo di essere, non per il tramite di sofismi filosofici.
Questo è un problema presente anche nella società tibetana perché molti credono che il Dalai Lama sia il Buddha, essendo la reincarnazione di Avalokitesvara. E quando questi incontrano persone che non credono in ciò emergono aspre dispute sulla questione.
Vi sono poi persone che arrivano a desiderare la morte di qualcuno a loro avverso, raffigurando questi come una sorta di demonio.
La fede è la convinzione che una certa pratica è buona per se stessi, e non che quella pratica rappresenti la verità assoluta.
Se invece non si riescono a sperimentare gli effetti benefici vuol dire che quella data pratica non va bene per se, ma non vuol dire che sia errata in assoluto.
Ci sono persone che affermano di avere una grande realizzazione praticando una data via e questo può essere possibile, ma non significa certo che sia l’unica via esistente.
Paramita: perfezioni, modus comportamentale per raggiungere la meta spirituale.