Geshe Gedun Tharchin
2004
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Una
Vita significativa in Pace e Armonia
Suprema
Sostanza degli Alchimisti
Il
Corpo influenza la Mente e la Mente influenza il Corpo
Come
sviluppare la Determinazione, la Capacità e la Forza
La
Meditazione nella Solitudine è molto potente
La
rabbia non è mai intenzionale, è una perdita di controllo
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VINCERE LA RABBIA E L’ODIO
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Una Vita Significativa in Pace e Armonia
Siamo riuniti oggi per
parlare dell’approccio Buddhista ad una vita significativa in pace
e armonia che, generalmente, sottintende la necessità di trasformare
radicalmente il proprio modo di pensare.
Non
è necessario diventare Buddhisti per seguire questo percorso
benefico per chiunque, pertanto questi due giorni non saranno di
pratica devozionale Buddhista ma di studio, di insegnamento, di pausa
e di riflessione meditativa. Non è nemmeno necessario esercitare uno
sforzo eccessivo per comprendere le spiegazioni, non sarebbe un
metodo corretto, ma semplicemente aprirci ad un atteggiamento mentale
disteso, rilassato, sereno. Un tempo che dovrebbe essere dedicato
alla “ricarica” delle energie fisiche e mentali perdute durante
una faticosa settimana di lavoro e di tensioni. La vita moderna è
strutturata in modo tale che, senza esserne consapevoli, per farvi
fronte spendiamo una quantità enorme di energia che necessariamente
deve essere recuperata in un rinnovamento fisico e spirituale atto a
ristabilire il giusto equilibrio. Il riposo indubbiamente favorisce
un’immediata ripresa fisica, ma non è sufficiente, infatti l’
energia vitale deve essere riacquisita soprattutto sul piano mentale
e spirituale; la vera forza è l’energia interiore. Per questo è
necessario imparare ad abbandonarsi ad uno stato di rilassata
consapevolezza sul piano fisico e psichico, in modo da poter
mantenere la chiarezza mentale e la capacità di vedere e comprendere
il cammino spirituale da percorrere. Questo è lo scopo primario del
nostro incontro.
Un
secondo scopo è imparare ad economizzare e ottimizzare nel
quotidiano le proprie energie, di cui si deve avere particolare cura.
E’ evidente a tutti come, soprattutto nelle società
industrializzate, si viva convulsamente, bombardati da doveri e
stimoli di ogni genere, con un conseguente abnorme spreco di energie,
anche soltanto per garantire minimi parametri di vita, dunque sarebbe
opportuno fermarsi domandandosi se sia davvero necessario lo sperpero
di tutto il patrimonio energetico per ottenere un risultato in fondo
scarso. Non sarebbe più oculato risparmiarne un po’? E’
possibile imparare a rilassarsi profondamente, interiormente, dando
il giusto valore alle cose e spendendo per le stesse il minimo di
energia necessario, altrimenti è un bel guaio rischieremmo di
lavorare molto, spendere tutta l’energia e, oltrettutto,
guadagnando poco! (risata,
è evidente lo scherzo.)
Un terzo obiettivo è
l’aspetto religioso, la propria realizzazione spirituale, lo
sviluppo delle qualità interiori di conoscenza, comprensione,
compassione e saggezza. Parallelamente all’approfondimento di
queste capacità matura in noi la “felicità”.
Il termine “felicità”
si presta a svariate interpretazioni, esiste una felicità di breve
durata - temporanea, una felicità più durevole nel tempo - di lunga
durata e, infine, una felicità definitiva - che non cessa mai ed è
relativa alla spiritualità. Per un Buddhista la felicità definitiva
è il Nirvana, per un Cristiano è il Paradiso, ma comunque la si
voglia chiamare, è un aspetto della natura della mente.
La
felicità definitiva è una qualità essenziale della mente umana e
il giusto cammino è quello che, passo dopo passo, conduce alla sua
realizzazione.
Il
Paradiso, come il Nirvana, non rappresenta un luogo fisico ma una
realtà che deve essere sperimentata; se fosse solo un aspetto di Dio
e noi non potessimo sperimentarlo, di fatto per noi non esisterebbe;
è una qualità della nostra mente perché la nostra mente può
sperimentarlo.
La felicità definitiva
è sperimentata, vissuta dalla mente umana, è insita nella mente
umana, è una qualità della mente. I Buddhisti parlano di “mente”,
di “coscienza”, i Cristiani di “anima” ma, comunque la si
voglia definire, è questa essenza o capacità della natura umana che
sperimenta la felicità definitiva. Non soltanto Dio, ma anche l’uomo
ne è pienamente partecipe.
La nostra coscienza non
solo ha la capacità, ma addirittura il talento, di ottenere la
felicità, può demolire completamente le barriere della confusione,
delle difficoltà e dei problemi. In sintesi gli obiettivi di questo
incontro sono:
1. Imparare a
rilassarsi, sia fisicamente che mentalmente;
2. Acquisire una
conoscenza che porti ad una maggior saggezza nell’utilizzo oculato
della propria energia;
3. Ottenere
tutti gli elementi per raggiungere e sperimentare, passo dopo passo,
la felicità definitiva, completa, piena.
Tre passaggi
strettamente correlati tra loro e dipendenti uno dall’altro,
infatti con l’apprendimento della pacificazione, del rimanere
tranquilli, sereni, rilassati, si acquisisce una conoscenza profonda
della vita, una maggior comprensione delle diverse situazioni, si
matura la necessaria saggezza per affrontare i vari aspetti
dell’esistenza e si utilizza in modo equilibrato la propria energia
senza sprechi nocivi. Questa saggezza consente lo sviluppo delle
proprie capacità, necessarie all’ottenimento della pace duratura.
E’ importante
riconoscere con chiarezza il collegamento sequenziale dei tre momenti
che conducono alla realizzazione della felicità completa; osservare
come essi non siano tra loro contradditori ma strettamente connessi.
Ogni
realtà è correlata!
A volte si pensa di
dover compiere determinate azioni che avranno un beneficio nel futuro
e ci si concentra esclusivamente su questa proiezione perdendo di
vista il momento presente oppure, al contrario, si è totalmente
immedesimati in una particolare azione del presente dimenticando
completamente la visione della realtà complessiva, dei risultati che
questa azione avrà nel futuro. In entrambe le situazioni tutto
diventa pesante e complesso; la stessa pratica del Dharma, se si è
perduta la visione serena dell’insieme, è gravosa e sterile mentre
nella sequenzialità del cammino e nella visione d’insieme, la
pratica spirituale è leggera, è vera gioia.
Si
deve procedere passo dopo passo, non si possono saltare le tappe
obbligate dell’esistenza. Non si può vivere completamente nel
futuro ignorando il presente come se non esistesse, e non si può
vivere esclusivamente il momento presente ignorandone le inevitabili
ricadute nel futuro.
Se non abbiamo la
capacità di realizzare pace, serenità, rilassamento e distensione
nel presente che stiamo vivendo come potremmo presumere che tutto
questo possa avvenire, quasi per magia, in un momento successivo, nel
futuro? E’ impossibile, questo non si verificherà.
Il raggiungimento del
Nirvana inizia ora, parte dal momento presente e, passo dopo passo,
gradino per gradino, si realizza.
Qual’è
il modo migliore per seguire il percorso graduale? Nella letteratura
Buddhista vi è una considerevole abbondanza e varietà di metodi e
ognuno può essere di immenso beneficio e aiuto, indipendentemente
dalla scelta individuale di aderire o meno ad un determinato percorso
religioso e spirituale. Sono strumenti validi per tutti e non è
assolutamente necessario professare una religione, qualsiasi essa
sia. Ciò ovviamente non significa che i percorsi religiosi, le varie
confessioni spirituali siano inutili, ci sono persone che attraverso
l’adesione formale a una religione si sentono maggiormente a
proprio agio, facilitati nel percorso e quindi positivamente vi
aderiscono, ma deve essere chiaro che questi metodi sono altrettanto
validi anche per persone non religiose.
Suprema Sostanza degli Alchimisti
Negli
incontri Buddhisti, prima di iniziare una qualsiasi attività, sia
studio, meditazione o preghiera, si pone una giusta enfasi sulla
“motivazione
appropriata”,
ci si sofferma a riflettere sullo scopo che si vuole ottenere e si
formula verbalmente l’intenzione; penso che questo atto sia davvero
importante, un’esperienza profonda e commovente.
Generare
la giusta motivazione è come entrare nel proprio cuore, scavare
nelle profondità, smuovere le emozioni, i sentimenti più intimi, in
particolare i sentimenti più veri verso gli altri.
Generare
la motivazione è sperimentare, verificare la reazione emotiva,
personale, intima verso ciò che concerne il rapporto con gli altri,
i loro sentimenti, i loro problemi, le loro sofferenze, le loro
difficoltà. Il far emergere le proprie reazioni con umiltà sviluppa
automaticamente l’impulso altruistico, il desiderio di eliminare la
sofferenza dall’esistenza altrui; si genera l’attitudine naturale
al buon cuore, che è la parte migliore di noi. La gioia che
accompagna sempre il buon cuore è veramente preziosa. Con una
pratica così semplice e così breve si sperimenta una gioia profonda
da cui scaturiscono relazioni significative e armoniose con gli
altri. Una pratica così semplice ha il potere di sconfiggere in se
stessi ogni tristezza, sofferenza e preoccupazione.
Leggeremo
alcuni versi dal testo di Santideva
“BODHICARYAVATARA”
iniziando dal primo capitolo. Data la diversità nelle traduzioni
dal sanscrito, al fine di permettere una maggior comprensione, per
ogni verso confronteremo sempre due traduzioni, a)
e b).
Nel primo capitolo si tratta dei benefici della mente altruistica,
del buon cuore.
Capitolo
I°, verso 10°:
a) “Essere
simile alla suprema sostanza degli alchimisti, poiché trasforma
questo nostro corpo impuro nel gioiello inestimabile del corpo di
Buddha. Per tale motivo dobbiamo cogliere e sviluppare fermamente la
mente dell’illuminazione.”
- “Prendendo questa vile immagine, la tramuta nell’immagine inestimabile della gemma che è Buddha. Tieni stretto l’elisir di argento vivo, che deve essere completamente raffinato, detto la mente del risveglio.”
Non
vi è dubbio che la qualità più preziosa dell’esistenza umana,
del corpo umano, in grado di trasformare e condurre
all’illuminazione, sia l’attitudine mentale altruistica.
La
nostra mente può essere positiva solo se le attitudini mentali sono
positive e le stesse hanno il potere di influenzare lo stato fisico.
Esistono fortissime connessioni, ormai confermate dalla scienza, tra
lo stato mentale e quello biologico. L’attitudine mentale al buon
cuore si trasforma, sul piano fisico, in benessere, armonia,
equilibrio e dunque in buona salute. E’ ormai dimostrato
scientificamente che lo stato mentale influenza e provoca mutazioni
nello stato biochimico del corpo.
Nel
testo di Santideva si parla di “Bodhicitta” usando più
definizioni: mente dell’illuminazione, o mente altruistica, o
semplicemente buon cuore, ed è descritta come elisir capace di
trasformare il corpo umano, la natura impura, nella natura di un
Buddha, di un essere illuminato. Malgrado sia un testo antichissimo e
affronti l’argomento essenzialmente da un punto di vista
spirituale, indica una verità naturale, biologica che oggi la
scienza, attraverso numerose ricerche e verifiche, conferma.
Lo
sviluppo spirituale che determina un nuovo stato di coscienza
influenza lo stato biochimico del corpo producendone mutamenti
conseguenti; per questo per i Buddhisti è normale la manifestazione
del “corpo di arcobaleno”; è una trasformazione biochimica
risultante da una completa realizzazione spirituale.
Il
coltivare il buon cuore, essere in un’attitudine altruistica,
positiva, influenza lo stato del corpo, eliminando ogni stress, ogni
affaticamento, permettendo di riposare rilassati, sereni, gioiosi,
equilibrati.
Se
invece ci troviamo in uno stato mentale opposto al buon cuore,
all’altruismo, siamo totalmente in balia delle emozioni
perturbatrici che nel Buddhismo sono riconosciute come i veleni che
contaminano la mente, obnubilano la coscienza, e che genericamente
vengono definiti “egoismo”, ma il termine filosofico appropriato
è “attitudine autogratificante” che sorge dalla visione errata
del sé, come se esistesse un sé indipendente, proprio, a sé
stante, egocentrico. Da questa visione, frutto dell’ignoranza,
derivano due disposizioni mentali:
1) l’attaccamento,
che
sorge dalla tendenza ad enfatizzare l’aspetto piacevole delle cose,
ad esagerarne l’essenza, consolidando il forte attaccamento ad
esse;
2) l’avversione,
che sorge dalla tendenza ad enfatizzare gli aspetti spiacevoli delle
cose, esagerandone le dimensioni, consolidando così la forte
repulsione ad esse.
Una
mente dominata dalle emozioni perturbatrici mostra prepotentemente,
in primissimo piano, “l’IO”,
e immediatamente dopo un altrettanto pesantissimo “MIO”.
Quando
“l’io”
incontra cose piacevoli nasce l’attaccamento che determina il
“mio”
ma,
se il “mio”
è
intaccato o “l’io”
contraddetto, nasce all'istante l’avversione. In questa altalena di
«attaccamento - avversione» si consuma una quantità enorme di
energia pur restando immobili, bloccati nell’ignoranza, in un
processo distruttivo che si autoalimenta costantemente.
Invece
preservare l’energia in modo da usufruirne sempre e senza fatica,
significa predisporsi ad attitudini mentali non offuscate
dall’ignoranza.
Se
limitiamo l’analisi di questo aspetto ad una speculazione puramente
filosofica potremmo avere difficoltà a comprenderne le reali
implicazioni, ma se lo affrontiamo dal punto di osservazione del
quotidiano ripetersi di azioni, parole, pensieri, di reazioni alle
esperienze, la prospettiva diventa chiara e possiamo verificare,
momento per momento, come l’attitudine mentale altruistica o
egoistica trasformi la vita, il nostro modo di essere e sia causa
diretta di gioia o di sofferenza.
Il
libro del Dharma è in noi stessi e ciò che sperimentiamo
nell’esistenza di ogni giorno diventa la vera pratica, un cammino
interiore che porta all’apertura del buon cuore, alla compassione.
Ognuno
di noi ha sperimentato direttamente gli effetti della rabbia e
dell’egoismo, percepiti in un devastante malessere mentale e
fisico. Quando l’io e il mio si fanno dominanti si sprofonda in un
pesante obnubilamento mentale, nella depressione psichica e fisica.
Senza la pratica spirituale e lo sviluppo della mente altruistica, le
emozioni perturbatrici prendono il sopravvento sulla coscienza, ne
sono i padroni e i dominatori indiscussi.
Questo
fa la differenza tra il praticante spirituale e la persona che non
pratica.
Un
praticante riconosce le proprie emozioni, la presenza ugualmente
ingombrante dell’io e del mio, ma non se ne lascia sopraffare, non
permette che abbiano nessun tipo di controllo e di forza sulla sua
vita.
Gli
stati mentali si manifestano per le più svariate e mutevoli ragioni,
non si tratta di decisioni volontariamente assunte, ma sono
conseguenza di esperienze passate, di abitudini, di eventi, di
reazioni biochimiche dell’organismo, e di molti altri fattori
ancora. Quando a causa di uno qualsiasi di questi fattori ci
ritroviamo in uno stato mentale negativo, e ce ne lasciamo dominare,
alimentiamo un ciclo negativo estremamente doloroso che distrugge la
pace e il benessere nostro e altrui. L’unico portentoso antidoto in
grado di fronteggiare le emozioni distruttive è la pratica della
pazienza che allarga il buon cuore.
Capitolo
I°, verso 27°:
a) “Se
il semplice pensiero di voler aiutare gli altri ha più valore del
venerare il Buddha, che dire allora dell’impegnarsi effettivamente
nelle azioni che recano beneficio a tutti gli esseri?”
- “La venerazione del Buddha è unicamente superata dal desiderio per il benessere degli altri; quanto più lo sarà dall’impegno continuo per la completa felicità di ogni essere?
Santideva
non lascia adito a dubbi, un solo istante di buon cuore è superiore
a innumerevoli momenti di venerazione del Buddha e non intende un
buon cuore generico verso un tutto astratto, ma si riferisce al buon
cuore rivolto a uno specifico essere, attitudine che si trasforma in
buon cuore verso tutti gli esseri nel momento stesso in cui si
manifesta.
Il
buon cuore dona pacificazione, serenità, gioia a se stessi,
equilibrio biochimico e benessere fisico, gioiose relazioni con gli
altri, amicizia, aiuto e armonia. La vita pare molto più facile e il
successo naturale.
Domanda:
Non mi è chiaro come si possano controllare le proprie emozioni,
perché è così difficile acchiapparle, quando le avvertiamo hanno
già preso il sopravvento su di noi, le subiamo totalmente e poi, e
questa è una seconda domanda, vorrei capire come posso io, che sono
a mia volta succube delle emozioni, aiutare mia figlia quattordicenne
che è completamente soggetta a sbalzi d’umore, tristezza e rabbia.
Lama:
Questo è un problema tipico della società odierna, grazie alla
tecnologia sofisticata tutto è talmente veloce da dover imporre alle
nostre reazioni altrettanta rapidità. Dovremmo avere una mente
totalmente aperta, in grado di comprendere quasi tutto e tanto vasta
da saper dare un’infinità di informazioni subito. Una volta si
scriveva una lettera, la si ponderava e chi la riceveva, prima di
rispondere, aveva tempo di riflettere cercando i concetti più
adeguati; oggi con la posta elettronica la comunicazione è immediata
e tale deve essere la risposta. Il testo di Santideva contiene
consigli diretti e pratici che ci aiutano a sopravvivere in questo
sistema convulso. Oggi chi pratica il Buddhismo deve applicarsi
moltissimo attivando tutta l’intelligenza senza perdere mai di
vista il Dharma. E’ necessario comprendere, interiorizzare ogni
lettura, insegnamento, in modo da essere sempre pronti a metterlo in
pratica nel momento opportuno, senza dover aspettare.
Per
quanto riguarda tua figlia non puoi fare altro che consigliarla,
starle accanto in uno stato mentale rilassato, calmo, sereno e con
molto amore. E’ difficile influenzare la mente di un’altra
persona, ma si può influenzare il suo cuore, perché l’energia
spirituale si trasmette da cuore a cuore e non da cervello a
cervello.
Osservare
e riconoscere il valore del buon cuore, della mente altruistica, i
benefici che ne derivano, favorisce lo sviluppo del buon cuore stesso
e permette di vedere con chiarezza tutti i difetti dell’avversione,
della rabbia e della mancanza di compassione.
Avversione
e attaccamento sono entrambi difetti mentali anche se si manifestano
in modo diverso.
L’attaccamento
è rivolto all’oggetto che si ama e a prima vista potrebbe sembrare
un’attitudine protettiva, favorevole e vantaggiosa per se stessi,
ma in realtà si tratta di una visione distorta ed eccessiva che non
può che condurre sempre e inevitabilmente alla sofferenza.
L’attitudine all’attaccamento è fondata sull’ignoranza, è
estremistica, non coerente alla realtà, frammentaria e parziale e
crea instabilità e debolezza mentale, cioè sofferenza.
L’avversione
è l’attitudine che scaturisce dalla visione degli aspetti
spiacevoli delle cose che di conseguenza si vogliono evitare ed
eliminare ad ogni costo. Dall’avversione può nascere la collera,
come risposta estrema ad un oggetto tanto spiacevole da dover essere
cancellato.
La
rabbia è aggressiva e produce odio.
Quando
la rabbia insorge, per quanto potente sia, in genere ha una durata
limitata, spesso breve, l’odio invece si radica profondamente nel
cuore e vi permane dando origine al desiderio di vendetta. Se la
rabbia può condurre ad azioni sconsiderate dalle tristi conseguenze,
l’odio ha effetti ben più drammatici e provoca la più devastante
autodistruzione.
L’antidoto
alla rabbia è la pazienza. Se qualcosa è sgradito non è necessario
distruggerlo, è invece assai produttivo imparare ad accoglierlo con
pazienza, un’impresa forse difficile ma non impossibile. Con la
pazienza si apprende il perdono, fondamentale pilastro nella crescita
spirituale, anche nel cristianesimo si ribadisce con forza lo stesso
principio. Ho provato una sincera commozione e rispetto verso il Papa
che, ferito, ha perdonato con cuore aperto l’attentatore, è andato
a trovarlo in carcere, ha intercesso per lui presso l’autorità
giudiziaria chiedendo clemenza, ha compiuto un gesto di grande valore
spirituale.
Perdonare
allevia le proprie tensioni e quelle degli altri, porta pace,
serenità e autentica gioia perché libera il cuore dai macigni che
l’opprimono e, con gioiosa leggerezza, induce ad accorrere in
aiuto degli altri desiderando per loro lo stesso bene. Questa è la
pratica spirituale.
Il Corpo influenza la Mente e la Mente influenza il Corpo
L’avversione
e l’attaccamento nelle relazioni con gli altri possono sorgere, non
solo per cause mentali, ma anche per cause fisiche dipendenti da
fattori biochimici, tempeste elettromagnetiche, ecc. quindi,
avvalendosi delle conoscenze filosofiche, spirituali e scientifiche,
è più facile affrontare con pazienza ogni situazione.
Il
corpo influenza la mente e la mente influenza il corpo, la visione
equilibrata dei due aspetti può già di per sé ridurre notevolmente
ogni tensione e negatività e non si deve mai commettere l’errore
di sottovalutare questo duplice aspetto perché se, di fronte al
sorgere di avversione o attaccamento con sentimenti forti quali
rabbia o amore, si osserva il fenomeno solo dal punto vista
filosofico, questo può sembrare astratto, non rispondente
all’effettiva esperienza, quindi lontano, ma se si unisce a questa
conoscenza l’informazione che la scienza offre, osservando il
processo fisiologico e biochimico, si comprende il fenomeno nella sua
globalità ed più facile attivare gli antidoti necessari.
Già
nell’antico Tibet, la visione unilaterale della realtà è stata
causa di un fraintendimento, si pensava: “La
pratica spirituale porta all’illuminazione, quindi, poiché
l’illuminazione è il compimento di tutto, si è liberi da ogni
altro condizionamento.”,
verissimo, affermazione perfetta in sé, però fino a quando non si
raggiunge l’illuminazione i condizionamenti esistono, eccome! e non
si possono ignorare. Noi siamo condizionati dal nostro corpo, quindi
per contrastare le attitudini mentali derivanti dall’ignoranza di
avversione e attaccamento, dobbiamo applicare i rimedi che la pratica
spirituale indica, sapendo che siamo in questo corpo e che lo stesso
interagisce attivamente con i processi mentali.
Dal
secondo capitolo del Bodhicaryavatara si possono trarre alcuni
importanti consigli diretti e immediati. La tendenza onnipresente è
sempre quella di procrastinare, invece è più che mai necessario
oggi poter applicare con forza e subito il rimedio opportuno.
Capitolo
II°, dal verso 33°:
a) “L’inaffidabile
sovrano della morte non attende che le cose siano compiute o
incompiute, che io sia ammalato o in salute, inoltre non posso
confidare nell’incerta durata della mia vita.
Abbandonando
tutto dovrò andarmene da solo, tuttavia, privo di comprensione ho
compiuto innumerevoli azioni negative a causa di amici e nemici.”
b) “Come
posso sfuggirgli? Salvatemi in fretta perché la morte verrà presto,
prima che il mio male sarà stato distrutto!
Questa
morte non bada a ciò che è fatto o non fatto; uccide la sicurezza;
è inaffidabile per i malati e i sani; è un fulmine inaspettato.
Il
male ho compiuto in molti modi spinto da amici e nemici. Non capivo
questo: Dovrò abbandonare tutto e andarmene.”
Siamo
di fronte alla morte, all’impermanenza di tutte le cose, la vita è
un momento e non sappiamo quanto durerà, non possiamo sprecarne
neppure un attimo, dobbiamo essere in grado di afferrare
immediatamente i rimedi alle emozioni distruttive.
Con
la morte si abbandona tutto, i forti attaccamenti e le implacabili
avversioni che ci hanno interamente dominato, inducendoci a
commettere innumerevoli errori, a sprecare nell’inutilità la vita
stessa, e tutto finisce nel nulla, tutto scampare, amici e nemici.
a) “I
miei nemici alla fine cesseranno di esistere, i miei amici e io
stesso cesseremo di esistere, allo stesso modo tutto il resto svanirà
nel nulla.
Tutto
ciò che possiedo e utilizzo è come la fugace visione di un sogno;
qualsiasi cosa di cui ora godo diventerà un ricordo.”
b) “Quelli
che detesto moriranno, quelli che amo moriranno; anch’io morirò e
tutti moriranno.
Ogni
cosa percepita trascolora in ricordo. Ogni cosa è come immagine in
sogno. Se ne è andata e non si vedrà più.”
Sono
versi potenti. Qual’è il motivo di una così forte avversione o di
tanto avido attaccamento se tutto finisce? Attaccamento e avversione
sono inutili e causano soltanto tensioni, fatica, problemi e uno
spropositato spreco di energia.
Capitolo
III°, dal verso 1°:
a) “Con
gioia mi rallegro della virtù che allevia la miseria di tutti gli
esseri, rinati in stati sfortunati, e conduce alla beatitudine coloro
che soffrono.
Gioisco
di quella virtù che diventa la causa dell’ottenimento
dell’illuminazione e gioisco della liberazione definitiva degli
esseri viventi dalla sofferenza dell’esistenza condizionata.
Gioisco
dell’illuminazione dei Buddha protettori e dell’ottenimento dei
vari livelli spirituali dei loro figli, i Bodhisattva.
Con
grande felicità gioisco dell’oceano di bene che proviene dalla
mente dell’illuminazione che si propone di condurre tutti gli
esseri alla beatitudine, come pure gioisco di ogni azione compiuta
per il bene di tutti.”
b) “Mi
rallegro con gioia del bene fatto da tutti gli esseri, che
indebolisce la sofferenza dell’inferno. Possano, coloro che
soffrono, dimorare nella felicità.
Mi
rallegro della liberazione degli esseri incarnati dalla sofferenza
dell’esistenza ciclica. Mi rallegro della natura di Bodhisattva e
di Buddha propria dei Salvatori.
Mi
rallegro anche delle risoluzioni dei Maestri, che sono oceani recanti
felicità a ogni essere, che conferiscono benessere a tutte le
creature.”
Ecco
una consolazione: tutto è impermanente, c’è molta sofferenza, ma
c’è anche gioia e allegria, si tratta soltanto di coltivare
l’attitudine a rallegrarsi delle positività e delle qualità degli
altri, di tutti, indiscriminatamente, perché anche le persone
all’apparenza antipatiche possiedono virtù e ricchezze interiori.
Rallegrarsi
dei meriti altrui è un buon metodo per espandere i propri; è il
rimedio alla sofferenza causata da invidia e gelosia, attitudini di
una mente limitata e gretta che, invece di gioire con gli altri per
le loro virtù, preferisce macerarsi nella sofferenza, chiudersi ad
ogni relazione umana e costruire pesanti e brutti muri difensivi.
Questo è veramente insensato e ridicolo. Di questo passo la piccola
mente sarà gelosa e invidiosa anche del Buddha e persino di Dio!…
Domanda:
Come posso riconoscere delle buone qualità in una persona estrema
come Hitler?
Lama:
Non è la persona ad esser “estrema” ma lo è la sua
attitudine di avversione e odio. La persona è come tutti gli altri,
desidererebbe essere felice, vorrebbe evitare la sofferenza ma,
dominata dall’attitudine estrema di rabbia e odio, perde
completamente questa opportunità e i danni nei confronti di se
stesso e degli altri sono tremendi. Hitler se avesse voluto avrebbe
potuto trasformare la sua attitudine negativa ed essere una persona
buona e anche felice.
Domanda:
Non è sempre facile gioire delle positività altrui, vorrei quindi
capire se lo si deve applicare come antidoto alla gelosia e
all’invidia, oppure se c’è una motivazione più profonda, cioè
se si deve gioire perché questa virtù, che io non posseggo ma è
posseduta da altri, è comunque una qualità della mente?
Lama:
I motivi sono tanti. Gioire delle qualità degli altri, e quindi
abbattere la propria invidia e gelosia, fa si che nel contempo si
costruisca la propria gioia ed è già un’ottima ragione di per sé.
Se
ci si può arrabbiare per i difetti degli altri, perché allo stesso
modo non rallegrarsi delle loro virtù? E’ semplice rispetto degli
altri, riconoscimento del loro valore, delle qualità della mente. I
benefici che ne derivano sono evidenti: volete paragonare il
beneficio immediato che si ottiene nell’apprezzare con gioia le
virtù altrui rispetto allo svantaggio dell’arrabbiarsi per i loro
difetti? Non c’è paragone! La risposta corretta ai difetti degli
altri non è avversione e rabbia, bensì compassione, e la risposta
corretta alle loro virtù è allegria e sincera gioia.
Avversione
e rabbia causano in noi stessi e negli altri solo conflittualità e
sofferenza, mentre compassione per i difetti e gioia per le virtù
altrui portano pacificazione, annullamento di ogni possibile
tensione, relazioni armoniose, preziose amicizie, arricchimento
interiore.
Capitolo
III°, Verso 14°:
a) “Per
cui lascerò che essi facciano di me ciò che desiderano purché ciò
non diventi causa anche di un loro più piccolo danno. Ogni qualvolta
qualcuno mi incontrerà possa ciò essere unicamente di beneficio per
tutti.”
b) “Che
facciano di me qualsiasi cosa dia loro piacere. Che non si nuoccia
mai ad alcuno per causa mia.”
Domanda:
Sono perplessa sul “..che
essi facciano di me tutto ciò che desiderano…”,
ci sono limiti oggettivi, credo, che non possono essere superati,
anche per impedire agli altri di fare del male a me e a loro stessi.
Non è meglio mettere dei freni, delle barriere?
Lama:
Dipende, nel versetto appena letto chi osserva la realtà ha la
visione elevata del Bodhisattva, tutto si radica nell’attitudine
altruistica e le barriere che si pongono dipendono dal grado di
realizzazione del praticante spirituale. Coloro che hanno un’alta
realizzazione non possono essere veramente danneggiati. Nella seconda
parte del versetto si aggiunge: “Ogni
qualvolta qualcuno mi incontrerà possa ciò essere unicamente di
beneficio per tutti”,
con quest’attitudine il praticante diventa come pianta medicinale,
in grado di portare beneficio anche se l’atteggiamento mentale
dell’altro è negativo.
Capitolo
III°, Verso
15°:
- “Se in coloro che mi incontrano sorgerà un pensiero di devozione o di collera possa esso diventare costantemente un mezzo per realizzare ogni loro desiderio.
Coloro
che mi rivolgono insulti o che mi causano qualsiasi altro danno,
anche se mi incolpano o mi calunniano, possano tutti avere la fortuna
di ottenere l’illuminazione.
Possa
io essere un protettore, per coloro che ne sono privi, una guida, per
coloro che sono in cammino sulla via possa essere un ponte,
un’imbarcazione e una nave per tutti coloro che desiderano
attraversare le acque, possa essere un’isola per coloro che sono
alla ricerca di terra e una luce per quelli che desiderano la luce,
possa essere un giaciglio per coloro che desiderano riposo, e un
riposo e un servitore per tutti coloro che ne desiderano uno.
Possa
essere un gioiello dei desideri, un vaso della fortuna, mantra
potenti e medicine prodigiose, possa diventare un albero che
esaudisce i desideri e una mucca dell’abbondanza per il mondo.
Proprio
come la terra e gli altri elementi, possa io essere un sostegno per
la vita delle innumerevoli creature rimanendo sino a quando esisterà
lo spazio, e sino a quando non trascenderanno il dolore possa io
essere fonte di vita e di sostentamento per tutti gli esseri viventi
che si estendono fino ai confini dello spazio.”
- “Dovesse la loro mente divenire irata o scontenta per causa mia, che anche questo sia causa per loro del conseguire sempre ogni meta.
Coloro
che mi accuseranno falsamente, e gli altri che mi faranno del male, e
gli altri ancora che mi degraderanno, tutti coloro possano
condividere il risveglio.
Sono
il protettore dei non protetti e il capocarovana dei viaggiatori.
Sono diventato la barca, la strada e il ponte di coloro che
desiderano raggiungere l’atra riva.
Possa
io essere una luce per coloro che hanno bisogno di luce. Possa io
essere un letto per coloro che hanno bisogno di riposo. Possa io
essere un servo per coloro che hanno bisogno di servigi, per tutti
gli esseri incarnati.
Possa
io essere il gioiello che soddisfa i desideri, il vaso
dell’abbondanza, la formula magica che sempre funziona, la potente
erba medicinale, l’albero magico che conferisce ogni desiderio e la
vacca da latte che soddisfa ogni bisogno, per tutti gli esseri
incarnati.
Proprio
come la terra e gli altri elementi sono utili in molti modi agli
esseri innumerevoli che dimorano in ogni parte dello spazio, così
possa io essere di sostentamento in molti modi per il regno degli
esseri in ogni parte dello spazio, finché tutti non abbiano ottenuto
la liberazione.”
Questi
versi contengono l’ideale e la pratica del Bodhisattva.
In
Tibet visse Milarepa, in India Santideva, due grandi praticanti e
asceti che esprimono pienamente l’ideale del Bodhisattva. Santideva
in un altro testo espone l’insieme delle regole morali, il
compendio delle pratiche del Bodhisattva, detto anche “Vinaya di
Bodhisattva”, offre una descrizione particolarmente dettagliata
della pratica del Bodhisattva, dello sviluppo della mente
altruistica, insegna il metodo per vincere l’attitudine
all’attaccamento, alla rabbia, all’odio e a tutte le possibili
disposizioni disturbanti. La “preghiera semplice” di S
.Francesco ha molte analogie.
Assisi
è un luogo particolarmente mistico e io vissi un’esperienza
intensa durante un incontro interreligioso tra cristiani, induisti e
Buddhisti. In quella circostanza condividemmo canti e preghiere
constatando ancora una volta che le forme e le espressioni possono
essere diverse, perché diverse sono le rispettive culture, ma il
contenuto profondo, l’obiettivo ultimo, è lo stesso. La commozione
pervase tutti fortemente nella condivisa armonia. E’ proprio una
follia non rispettare allo stesso modo tutte le tradizioni religiose.
Come sviluppare la Determinazione, la Capacità e la Forza
Nel
testo di Santideva è evidente come gli altri, il loro benessere,
siano il vero obiettivo, il centro della pratica, quindi in nessun
caso potrebbero diventare motivo di avversione e di rabbia.
Capitolo
IV°, dal verso 44°:
a) “Sarebbe
meglio per me essere arso vivo, oppure essere decapitato, piuttosto
che in alcun caso sottomettermi a questi mortali nemici, le emozioni
negative!
I
nemici ordinari quando vengono cacciati dallo stato si ritirano e si
stabiliscono in un altro paese, qui radunano le loro forze per
ritornare più combattivi. Ma i nostri difetti mentali non utilizzano
simili stratagemmi.
Nocivi
difetti mentali, una volta dispersi dall’occhio della saggezza e
scacciati dalla mia mente, dove andate? Da dove potete tornare per
danneggiarmi? Ma, ahimé, la mia mente è debole e sono preda
dell’indolenza.
Tuttavia
i difetti mentali non esistono negli oggetti, né nelle facoltà
sensoriali, né tra questi due, né in qualsiasi altro luogo, in tal
caso, dov’è la loro dimora? E da dove recano danno a tutti gli
esseri migratori? Essi sono vuoti come un’illusione, un miraggio,
per cui fatevi coraggio, eliminate ogni paura nel Vostro cuore e
sforzatevi di percepire la loro vera natura con l’occhio della
saggezza. Perché? Soffrire così a lungo negli inferni?”
b
“Non
importa se mi tireranno fuori le budella! Che la mia testa cada
pure! Ma mai mi inchinerò di fronte al nemico, le contaminazioni!
Anche
se esiliato, un nemico può trovare seguito e appoggio in un altro
paese, e di lì ritornare dopo aver ripreso forza. Ma non ha una
risorsa simile questo nemico, le contaminazioni.
Stabilito
nella mia mente, dove potrebbe andare una volta scacciato? Dove
potrebbe stare per lavorare alla mia distruzione? Non mi sforzo solo
perché la mia mente è ottusa. Le contaminazioni sono deboli
creature da sottomettere con la luce abbagliante della sapienza.
Le
contaminazioni non dimorano negli oggetti, né nell’insieme dei
sensi, né nello spazio intermedio. Non possono dimorare in nessun
altro luogo, e tuttavia sconvolgono l’intero universo. Questa non
è altro che illusione! Dunque , o cuore, liberati dalla paura,
dedicati alla ricerca della sapienza. Perché, senza bisogno alcuno,
ti tormenti negli inferni?”
Santideva
insegna come sviluppare la determinazione, la capacità e la forza di
opporsi alle emozioni negative e sottolinea la differenza esistente
tra il nemico esterno e il nemico interno; il nemico esterno può
essere cacciato, mandato lontano, ma quello interno no, è sempre
inesorabilmente al suo posto. L’unica possibilità di combatterlo e
sconfiggerlo è lo sviluppo della mente di saggezza, sempre allerta,
vigile.
Sono
particolarmente interessanti le domande poste dal 47° verso: Dove
sono i difetti mentali, le emozioni negative e disturbanti, le
contaminazioni? Sono forse negli oggetti? no, sono nei sensi? no,
sono in qualche luogo fisico? no, sono dunque intermedi a tutte
queste situazioni? no. Non è possibile trovarli da nessuna parte,
nondimeno sono devastanti. Forse le emozioni risiedono nel nostro
corpo? oppure provengono dal corpo degli altri? sorgono dalla vista?
dall’udito? dove sono infine? DOVE?…. eppure i danni che
producono sono gravissimi!
Quando
si è preda di un’emozione negativa la si vorrebbe afferrare,
gettare via, ma non vi è nulla da afferrare, nulla da buttare.
Volendo individuare le emozioni negative si prende finalmente
coscienza della grande differenza tra la loro essenza e la percezione
che se ne ha e questa osservazione è il metodo per combatterle e
liberarsene.
In
tutti i Paesi Buddhisti asiatici questo aspetto fondamentale è
oggetto di lunghi e profondi studi. In Italia, relativamente allo
studio del Buddhismo, potremmo essere alla scuola materna, anche se
qualcuno è convinto di sapere già tutto e di avere studiato
moltissimo!…Invece è importante comprendere che lo studio e la
comprensione profonda sono essenziali e ancor di più lo è la
pratica che ci permette di trasformarci e di costruire una buona
personalità.
Una
persona semplice, buona, intelligente, anche se non ha ricevuto
grande istruzione, non trasmetterà mai nulla di sbagliato.
Se
l’ignoranza è pericolosa, lo è ancor di più una cattiva
personalità.
Una
buona personalità è la qualità essenziale di un insegnante di
Dharma e di un praticante e, poiché non è possibile conoscere il
cuore degli altri e quindi giudicarli, la virtù che deve essere
sempre presente è la pazienza!
La
base della pratica è la meditazione, ma non vi è un solo modo di
meditare; in genere la nostra meditazione è comoda e dunque i
risultati saranno altrettanto modesti, osserviamo invece alcuni tipi
di meditazione praticati nell’antico Tibet, diversi in apparenza,
ma identici nella sostanza e riassunti nel verso del tantra: “Le
pratiche estremamente elaborate, le pratiche poco elaborate e le
pratiche senza alcuna elaborazione sono identiche”.
Eccone tre esempi:
1. Pratiche
molto
elaborate:
la meditazione di Lama con alta realizzazione durante rituali e danze
complessi, con simbolismi ed esteriorità marcate nell’espressione
gestuale, nei suoni e nei colori. Il meditante deve saper coniugare
la mente interiore con i molteplici aspetti esteriori e non è
facile.
2. Pratiche
poco
elaborate:
la meditazione di Milarepa, molto semplice. Milarepa meditava
lungamente, immobile, con una candela sulla testa, nel silenzio di
una grotta che poteva essere aperta solo dall’esterno;
- Pratiche senza elaborazione alcuna: la meditazione di Santideva, grandissimo meditante, ma non riconosciuto come tale dai suoi compagni che, anzi, lo accusavano di essere il monaco più pigro del monastero.
Domanda:
Non
capisco, come meditava Santideva?
Lama: Dormendo!… In monastero era famoso per
saper fare solo tre cose: mangiare, dormire e adempiere alle
necessità corporali. Ma lui, dormendo, meditava in modo vigile e
profondo, continuamente.
Esisteva allora una regola del monastero per cui, a turno, ogni
monaco doveva dare un insegnamento pubblico. Quando toccò a
Santideva i suoi compagni si predisposero a un grande divertimento e
prepararono, tanto per cominciare, un trono altissimo su cui era
impossibile arrampicarsi; Santideva non si scompose e giunto davanti
al trono, tranquillamente con un semplice gesto della mano lo
abbassò, poi si sedette e con umiltà iniziò il suo discorso, (il
Bodhicaryavatara):
“Non c’è nulla di nuovo da dire che già non sia stato
detto nel passato. Io non ho alcuna abilità oratoria e
nemmeno ho la presunzione che il mio discorso possa aiutare gli
altri, ma semplicemente parlerò per rendere familiari questi
concetti alla mia stessa mente. Tengo questo discorso come promemoria
per ricordare sempre ciò che porta virtù e buone azioni alla
pratica. Questo discorso può essere di beneficio a coloro che hanno
le stesse capacità o abilità mentali o predisposizioni; e questo
discorso possa essere loro di beneficio”.
Parliamo
spesso di Pratica, ma che cos’è?
Se
lo studio di questo testo produce un cambiamento in noi significa che
abbiamo la predisposizione di cui parlava Santideva a comprendere il
significato profondo delle sue parole e dunque anche noi potremmo
essere “praticanti dormienti”.
Ma,
sia che ci si trovi in profonda meditazione, sia che si stia
consapevolmente riposando perfettamente rilassati, sia che si
partecipi a un complesso cerimoniale tantrico, ciò che resta
perfettamente identico e inalterato è la qualità meditativa della
mente in ogni situazione.
Le
diverse forme di pratica non sono contraddittorie tra loro e una
persona può usarle tutte con uguale capacità.
IV°
capitolo, verso 48°
a) “Questo
è il modo in cui dovrei riflettere ed operare mettendo in pratica i
precetti qui illustrati. Quale malato bisognoso di cure ha
riacquistato la salute ignorando le prescrizioni del dottore?.”
- “Prendendo una ferma risoluzione, dunque, mi sforzerò di seguire l’addestramento come è stato insegnato. Come può ristabilirsi qualcuno che potrebbe essere curato con un farmaco, se non segue il consiglio del medico?.”
Non
è sufficiente avere la prescrizione medica (leggere, studiare,
imparare, riflettere), bisogna anche assumere la medicina, cioè
mettere in pratica quanto si è appreso. Noi parliamo spesso di
pratica, ma che cos’è? E’ l’attitudine all’osservazione
vigilante e attenta della mente come viene descritta nel testo a
partire da:
capitolo
V°, verso 1°
a) “Coloro
che desiderano proteggere la loro pratica dovrebbero, con grande
zelo, salvaguardare le loro menti, poiché senza vigilare sulla mente
non sarà mai possibile mantenere una disciplina.”
- “Chi desideri sorvegliare la sua pratica, deve sorvegliare con scrupolo la sua mente. E’ impossibile sorvegliare la pratica senza sorvegliare la mente distratta.”
Se
non si protegge la mente, se ci si distrae, essa lasciata libera,
abbandonata nell’incuria, può causare enormi problemi. Vigilare
sulla mente non è limitarsi ad osservarla, ma significa seguirla
costantemente, come si fa con i bambini per impedire che si facciano
male, pur non limitando la loro crescita, li si sorveglia
discretamente, sempre.
C’era
in monastero un monachello che non aveva nessuna voglia di studiare,
ma il maestro, ancora speranzoso di cavarne qualcosa di buono, gli
ripeteva continuamente: “guarda il testo, non distrarti, guarda il
testo…”. Lo studente, svogliato ma obbediente, fissava lungamente
il testo senza peraltro migliorare la sua conoscenza e rimanendo
nell’assoluta ignoranza, perché non aveva capito che il maestro,
dicendo “guarda il testo”, lo incitava ad osservare con
attenzione il contenuto, conoscendolo e imparandolo.
Se
non si ha la stessa vigile attenzione nei confronti della mente essa,
abbandonata a se stessa, è in grado di produrre un vero inferno e
Santideva osserva appunto che l’inferno altro non è che nella
nostra mente.
capitolo
V°, versi 7° e 8°
a) “Chi
ha creato intenzionalmente tutte le armi che tormentano coloro che si
trovano negli inferi? Chi ha creato il terreno di ferro rovente? Da
dove provengono queste demoniache figure di fuoco?
Il
grande Saggio ha affermato che tutte queste manifestazioni sono
unicamente prodotto di una mente negativa, per cui all’interno dei
tre reami dell’esistenza l’unica cosa che dobbiamo temere è la
mente.”
b) “Chi
forgiò con tanta cura le armi dell’inferno? Chi creò il pavimento
di ferro rovente? E chi generò quelle sirene?
Tutte
quante le cose sorgono dalla mente malvagia , cantò il Saggio. Così
nei tre mondi non c’è nulla di pericoloso se non la mente.”
L’inferno
non è un luogo geografico individuabile fisicamente, è una
proiezione mentale disturbata. Santideva affronta in modo diretto e
chiaro il problema; alla nostra paura e ossessione dell’inferno
risponde con una domanda/risposta: “Chi
lo ha creato con tutte le sue armi?” “La nostra mente, l’inferno
è all’interno di essa”.
La sola protezione che abbiamo per cambiare noi stessi è la PAZIENZA
L’inferno
è simile ai peggiori incubi che noi viviamo e soffriamo come se
fossero reali, eppure sono illusioni, creazioni della nostra mente.
Che
fare dunque per vigilare con cura sulla nostra mente? Sviluppare la
pratica della pazienza! Santideva affronta l’argomento al:
capitolo
V° dal verso 12°
a) “Gli
esseri ostili privi di autocontrollo sono illimitati come lo spazio,
per cui non è assolutamente possibile sottometterli tutti, ma se
solo elimino la rabbia che colma la mia mente ciò equivarrà a
sconfiggere tutti i nemici.
Dove
potrei trovare abbastanza cuoio per ricoprire tutta la superficie
della terrà? Tuttavia, solo indossando del cuoio sotto le suole
delle mie scarpe equivarrà a ricoprire tutta la terra con esso.
Similmente,
non sarà mai possibile influenzare totalmente gli eventi esteriori,
tuttavia, solo padroneggiando questa mia mente in modo positivo, che
altro rimarrà da controllare?.”
b) “Quante
persone malvagie, senza fine come il cielo, posso io uccidere? Ma
quando l’atteggiamento mentale dell’ira è ucciso, ucciso è ogni
nemico.
Dov’è
tanto cuoio da coprire il mondo intero? Il vasto mondo può essere
coperto con il cuoio che basta per un paio di scarpe soltanto.
Allo
stesso modo, poiché non posso controllare gli eventi esterni,
controllerò la mia mente. E’ forse affar mio se le altre cose sono
controllate? .”
La
pratica della pazienza è distruggere, dominare, superare la rabbia
che c’è in noi. Con il dominio della collera nessun oggetto potrà
più esserci nocivo.
Coloro
che chiamiamo nemici, oggetti di avversione, antipatia, altro non
sono che il riflesso della rabbia che cova libera in noi.
Se
noi, in preda alla rabbia incontrollata, decidessimo, con atto
volontaristico, pur rimanendo in questo stato, di praticare la
pazienza iniziando dal “dover perdonare tutti”, pretenderemmo di
affrontare un’impresa assolutamente impossibile. Solo abbandonando
la rabbia, eliminando ogni avversione, avviene la trasformazione
interiore profonda e vera che permette l’autentica e naturale
pratica della pazienza.
Come
dice Santideva, se voglio percorrere tutta la terra senza ferirmi i
piedi non è necessario che la ricopra interamente di cuoio, è
sufficiente che ponga due piccole strisce di cuoio sotto la pianta
dei piedi e potrò andare ovunque desideri. Così, dominando la
collera, sono completamente protetto da ogni disturbo e il perdono
avviene naturalmente, senza sforzi artificiosi e inutili.
Spesso
si pensa di poter superare le difficoltà cambiando gli altri, ma
questa è un illusione, un’impresa impossibile, possiamo solo
cambiare noi stessi proteggendo la nostra mente con la pazienza.
Domanda:
In
linea teorica concordo su quanto hai detto, però a volte si
verificano situazioni esterne pesantissime in cui si subiscono
continuamente vessazioni, un esempio potrebbe essere il mobbing nei
luoghi di lavoro, come si può contrastare tutto questo?
Lama:
Con azioni non violente ma ugualmente incisive, come faceva Gandhi
che partiva da un retroterra di profonda meditazione e quindi
applicava la non violenza sulla base dell’attitudine mentale di
assenza di collera; sempre quieto, sereno, rivolgeva la mente
esclusivamente al bene degli altri, mai agiva per sé. Considerava
con assoluta equanimità Indù, Cristiani, Buddhisti, Islamici. E’
un modello di pratica non facile da emulare, ma il più efficace. Nel
caso del mobbing la pratica della pazienza diventa fonte di calma e
pace.
La
pazienza è sorgente di forza interiore, di intelligenza e di
presenza mentale. Quando si perde il controllo non si è più
credibili, ma se ci si mantiene stabili, forti, dignitosi e calmi,
gli altri presteranno attenzione alle nostre ragioni. Solo con la
tranquillità interiore si possono trovare i giusti mezzi per
ottenere un buon risultato, soprattutto in una società dai
cambiamenti repentini e dalle infinite sollecitazioni. Ricordo un
episodio significativo accaduto ad una persona del gruppo di Roma che
si era trasferita a Milano; poco dopo la società americana per cui
lavorava decideva di ridurre il personale e probabilmente il primo ad
essere licenziato sarebbe stato un padre di famiglia con due figli
ancora piccoli, era necessario dunque trovare velocemente la
soluzione meno dolorosa e questa persona, praticante Buddhista, si è
offerta spontaneamente in cambio del collega.
Oggi
ci si trova continuamente a dover fronteggiare situazioni
inaspettate, problemi a cui è necessario offrire risposte immediate,
ma per farlo occorre avere equilibrio e pace interiore e i mezzi che
suggerisce Santideva sono preziosi. Abbiamo gli strumenti occorrenti,
dunque la responsabilità di praticare correttamente il Dharma oggi,
secondo le esigenze del nostro tempo, è tutta ed esclusivamente
nostra. Buddha, Gesù Cristo, Santideva ci hanno indicato la strada,
ma adesso tocca a noi percorrerla.
Nel
VI° capitolo si descrive dettagliatamente la pratica della pazienza,
lo stato mentale che sconfigge la rabbia.
Lo
scopo della rabbia è distruttivo e da essa nasce l’odio, che non è
solo l’attitudine temporanea a voler danneggiare, ma è permanente,
radicata nel profondo e produce volontà di vendetta. Se dunque la
rabbia in un preciso momento può provocare un disastro, l’odio è
una malattia mortale.
Rabbia
e odio cancellano in noi ogni possibile spazio positivo, non a caso
si dice che esse sono le più potenti azioni negative. Distruggono
tutto, affetti, amicizie preziose, beni e la vita stessa. Quanto di
più terribile avviene nel mondo è provocato da rabbia e odio e
porta con sé un pesantissimo fardello di inutile ed evitabile
dolore.
Il
capitolo VI° inizia così:
- “Ogni azione positiva portata a compimento nel corso di mille ere cosmiche, ad esempio fare offerte ai Tathagata e praticare la generosità, verrà distrutta da un singolo istante di collera.
Non
c’è virtù uguale alla pazienza, né negatività uguale alla
collera, ragion per cui devo praticare in ogni modo la pazienza.”
- “Questa adorazione dei Sugata, la generosità, la buona condotta osservata nel corso di migliaia di eoni: l’odio distrugge tutto ciò.
Non
c’è male eguale all’odio, non c’è pratica spirituale uguale
alla pazienza. Perciò con vari mezzi, con grande sforzo, si sviluppi
la pazienza.”
E’
evidente perché la pazienza sia considerata la pratica fondamentale,
la più importante e, viceversa, nel 3° versetto si spiega perché
l’odio sia la più nociva delle attitudini mentali. Non esiste
pensiero più doloroso dell’odio; la mente pervasa da rabbia e odio
non può trovare pace in alcun luogo e in nessun modo, non prova più
gioia, non riesce più a dormire, è definitivamente instabile,
impazzita. E la follia è che tanto dolore distruttivo non proviene
dall’esterno, ma è costruito, mattone dopo mattone, da noi stessi!
Domanda.
Non è possibile che quest’attitudine alla rabbia e all’odio sia
causata anche dal condizionamento pesante del karma?
Lama:
E’ piuttosto un’abitudine. Le impronte karmiche non possono mai
interrompere la pratica, che è l’unica soluzione per cambiare lo
stato del karma. La pratica è più forte della più negativa forza
karmica. Con la pratica si riducono naturalmente rabbia e odio sino
alla loro totale dissoluzione, è garantito!..
Domanda:
Sono un po’ confusa da questa equazione in cui pare che: odio,
rabbia, impazienza, necessità di correggere azioni negative, anche
in funzione di un senso del dovere, siano accomunate in un’unica
emozione, mentre a me sembrano molto diverse, ad esempio se io vedo
una persone che infrange le regole stradali e causa un grave
incidente provo un moto di avversione per questo atto, mi indigno
profondamente, ma questa forte reazione è rabbia? Per me no.
Lama:
Certamente, sono cose molto diverse. L’indignazione per
un’azione nociva non ha nulla a che vedere con la rabbia, è
espressione del dispiacere nel constatare il danno prodotto da
un’azione negativa, diventerebbe rabbia se sorgesse l’impulso a
voler colpire la persona responsabile del danno.
Domanda:
Pazienza e sopportazione sono la stessa cosa? Perché la pazienza mi
pare una virtù attiva e la sopportazione passiva.
Lama:
In tibetano spesso questi termini si equivalgono anche perché,
pur definendo due situazioni distinte, non vi è mai una netta
separazione tra loro. Quando ci si trova in una situazione veramente
pesante da sopportare, con la pratica costante della pazienza si
ottiene di pari passo una diminuzione di questa insofferenza. La
pazienza trasforma la percezione delle circostanze, ne diminuisce la
sofferenza.
Capitolo
VI°, dal verso 4°:
- “Nobili condottieri se, colmi di odio, verranno attaccati e uccisi persino dai servitori che da tali padroni hanno ottenuto onori e beni.
Isolati
da amici e parenti ed evitati anche da coloro che sono attratti
dalla loro ricchezza, gli individui colmi di rabbia sono privi di
ogni gioia, felicità e pace mentale.
Per
cui il nemico, la collera, è la causa di tutti questi mali, tuttavia
chiunque si impegna ad eliminare la propria rabbia troverà la
felicità, in questa vita e nelle future.”
- “Persino coloro che si onora con doni e rispetto, e anche i propri dipendenti, bramano di distruggere il padrone che è sfigurato dall’odio.
Anche
gli amici rifuggono da lui. Egli dà, ma non è onorato. In breve,
non c’è verso per cui chi è incline alla rabbia sia ricco.
Chi
comprende che l’odio è un nemico poiché crea simili sofferenze, e
con ostinazione lo colpisce, è felice in questo mondo e nel
successivo.”
E’
evidente che non vi può essere pace per coloro in cui albergano
rabbia e odio, ma come nasce la rabbia? Sorge verso chi si è
comportato in modo disonesto o dannoso? oppure emerge quando qualcuno
agisce in modo da ostacolare la realizzazione dei nostri desideri?
Tali circostanze provocano in noi avversione da cui nascono collera e
odio che, a loro volta, causano infelicità, nel presente e nel
futuro.
Collera
e odio, prodotte da una forte volontà egocentrica di affermazione
dell’IO
e del MIO,
per
ironia della sorte, determinano una totale e devastante distruzione
del sé.
La
collera e l’odio che si sviluppano prontamente di fronte a una
qualsiasi minaccia all’affermazione dell’io e del mio determinano
uno stato di infelicità e questa stessa infelicità si trasforma nel
cibo che alimenta rabbia e odio. Si crea un circolo vizioso: io odio,
quindi soffro, ma questo dolore alimenta e aumenta il mio odio che
produrrà maggior sofferenza!….Come uscirne? Santideva propone una
soluzione semplicissima ma efficace: “Se
non riesci a uccidere il nemico, toglili il cibo”.
Capitolo
VI°, versi 7° e 8°
- “Ottenendo ciò che non voglio e ciò che ostacola i miei desideri, l’insoddisfazione della mente si accresce sempre più; da essa sorge la rabbia che mi opprime e mi sconvolge.
Per
cui distruggerò completamente ogni causa che fa sorgere questo mio
nemico, la rabbia, in quanto esso ha un’unica funzione: quella di
nuocermi.”
- “Consumando il cibo della frustrazione preparato facendo l’indesiderabile e ostacolando il desiderabile, un odio tagliente mi abbatte.
Perciò
distruggerò il cibo di questo ingannatore, perché questo odio non
ha altro fine che il mio assassinio.”
Privata
di cibo, la rabbia, non più alimentata, non potrà crescere e invece
di svilupparsi deperirà naturalmente sino all’estinzione, senza
che nessuna battaglia debba essere combattuta. La domanda è: come
togliere cibo alla rabbia? Con la calma mentale e la pratica della
pazienza. Se di fronte ad un problema si perde la pace interiore non
sarà certamente favorita la sua soluzione, anzi lo si aggraverà. E’
famoso il proverbio tibetano: “Se
una situazione può essere cambiata, perché dispiacersi? Ma se non
può essere cambiata, perché dispiacersi?”.
Il
sorgere della rabbia può essere così riassunto:
L’“io”
e il “mio”
sono causa
fondamentale di rabbia e odio che sono determinati dall’incontro
con le condizioni,
in
questo caso
rappresentate
dalle azioni degli altri che ostacolano l’affermazione del nostro
ego e la realizzazione dei nostri desideri.
Quando
causa,
(l’io e il mio che vogliono affermarsi o possedere), e condizioni
(azioni altrui contrarie ai nostri desideri di affermazione e
possesso) si incontrano sorge l’infelicità, alimento che nutre
l’attitudine mentale aggressiva alla rabbia e all’odio con
conseguente devastante distruzione.
Anche
Santideva, come la moderna psicologia, non dice di combattere,
reprimere la rabbia, la soluzione è più naturale: basta toglierle
il cibo.
Se
di fronte alle azioni degli altri proviamo disagio, perché
preoccuparsene? possiamo forse cambiarne il corso? no, e se invece
possiamo, perché alterarci? distruggendo con la rabbia tutte le
azioni virtuose, che altro risultato otteniamo se non il nostro
annientamento? e allora perché alimentare un’attitudine così
nociva e inutile?
Domanda:
Se un’azione mi colpisce una volta sola, posso conservare la pace
mentale, praticare la pazienza ed evitare la rabbia, ma se subisco
vessazioni continue come nel caso del mobbing citato questa mattina,
come posso non soccombere a questa infelicità?
Lama:
E’ soltanto questione di applicazione, la prima volta sarà
veramente arduo, ma continuando a praticare sarà sempre meno
difficile e avverrà una vera trasformazione interiore che permetterà
di superare anche la vessazione quotidiana più pesante. La
situazione esterna potrà rimanere inalterata ma tu sarai sempre più
abile nell’affrontarla. Questo metodo è valido in ogni situazione
perché permette di mantenere la calma mentale indipendentemente
dalle circostanze esterne.
Santideva
sottolinea che ci solo molteplici e differenti cause alla rabbia:
11°
verso del VI° capitolo:
a) “Per
me stesso e per tutti i miei cari non desidero dolori né
umiliazioni, insulti o rimproveri, ma, per i miei nemici, vale
proprio l’opposto.”
b) “Sofferenza,
umiliazione, dure parole e disonore: non desideriamo queste cose né
per noi stessi né per i nostri cari; ma è l’inverso per i nostri
nemici.”
Purtroppo
questa attitudine è comune, ci appare quasi naturale e quando è
contraddetta da eventi esterni proviamo dispiacere e frustrazione che
alimentano in noi la rabbia.
Domanda:
In questo testo si parla sempre di odio verso gli altri, ma non si
accenna mai ad una condizione molto diffusa in occidente: “l’odio
per se stessi” o se preferisci, la poca stima di sé, la
percezione, in una società fortemente competitiva, di non essere
all’altezza delle situazioni con conseguente maturazione di
atteggiamenti autodistruttivi come l’anoressia ad esempio. Ho letto
che tra i tibetani questo odio di sé è completamente sconosciuto,
tanto che lo stesso Dalai Lama, in un incontro con scienziati
occidentali in cui tra gli altri si affrontava questo argomento,
aveva qualche difficoltà a inquadrarlo correttamente.
Lama:
“Odiare se stessi”mi sembra un po’ forte, non saprei cosa
dire in questo momento, forse procedendo nella lettura del testo
potremo trovare la risposta.
La Meditazione nella Solitudine è molto potente
Riprendiamo
la questione della rabbia che si manifesta nei confronti di chi
agisce in modo a noi sgradito, ci manca di rispetto, colpisce il
nostro “io”, oppure attenta al nostro “mio”, come
affrontarla? Esistono tre tipi di approccio:
1. Accettare
la sofferenza derivante dall’azione sgradita;
2. Osservare
consapevolmente il Dharma;
3. Sviluppare
la sopportazione.
In
ogni caso è sempre necessario praticare la virtù della Pazienza.
La
pratica della pazienza si basa sull’accettazione della sofferenza
che è meditazione sulla sofferenza generale del Samsara di cui è
l’essenza stessa; l’esistenza condizionata è per sua natura
sofferenza e riflettervi è salutare perché mostra come la
sofferenza non accettata passivamente, ma vissuta come realtà
intrinseca all’esistenza stessa, sia trasformata in gioia profonda.
Ogni
qualvolta si presenta una situazione contraria, la meditazione nella
pazienza ci permette di familiarizzare con la sofferenza sino a farla
scomparire naturalmente e a permetterci di acquisire la
consapevolezza che, sapendo superare le piccole avversità con pace,
siamo in grado di annullare anche le grandi sofferenze.
La
condizione del samsara è sofferenza, senza sofferenza non
esiterebbero gli esseri samsarici, noi esistiamo grazie al Samsara!
La meditazione sulla sofferenza porta preziosi benefici, o se
preferite, i benefici prodotti dall’esperienza del dolore.
Capitolo
VI°, dal verso dal 12°:
- “Le cause della felicità si ottengono molto raramente, mentre le cause della sofferenza sono molteplici, tuttavia senza sperimentare il dolore non vi sarà desiderio di liberazione, per cui, mente, sii forte e determinata.
Se
alcuni asceti e le genti di Karnata sopportano senza alcun scopo il
dolore di ferite e bruciature, perché mai sono privo del coraggio di
ottenere la liberazione?
Non
vi è nulla che non diventi accessibile tramite una costante
familiarità, per cui abituandomi a tollerare lievi preoccupazioni mi
eserciterò per le grandi avversità”
- “La felicità è rara. La sofferenza persiste senza sforzo, ma solo attraverso la sofferenza si può trovare questo scampo. Perciò, o mente, sii forte!
Nel
Karnata i devoti di Durga sopportano volentieri e inutilmente il
dolore di ustioni, ferite e altro ancora. Dal momento che la mia meta
è la liberazione, perché sono un codardo?
Con
la pratica nulla rimane difficile. Così, facendo pratica con i
disagi minori, diventano sopportabili anche i disagi maggiori.”
Il
riferimento alla sofferenza inutile di ferite e bruciature riguarda
gli interventi dolorosi a cui ci si sottopone volontariamente per
raggiungere uno scopo mondano: (ad esempio il pugile che combatte per
denaro, gli interventi di chirurgia plastica per una maggior
prestanza…).
L’ultimo
verso vuole infondere coraggio e indurre un atteggiamento positivo
nei praticanti in modo che, nell’abitudine ad affrontare le piccole
pene con serenità, imparino superare con gioia le grandi sofferenza,
perché non esiste nulla che non possa essere realizzato.
Nella
traduzione inglese si usa unicamente il termine “sofferenza”, in
tibetano invece si utilizzano più parole per esprimere quello stato
di insoddisfazione, dispiacere, malessere, disagio, sofferenza
fondamentale del Samsara, che si avverte particolarmente nella
solitudine.
La
sensazione di “mancanza” che ci pervade nella solitudine non è
definibile né colmabile, possiamo pensare: “mi manca una persona”
e allora cerco quella persona, ma il malessere permane inalterato,
“mi mancano oggetti preziosi”e allora li procuro, ma il malessere
non passa.
Si
avverte una privazione sostanziale, ma nulla e nessuno può colmare
questa carenza, è la sofferenza pervasiva del Samsara, quello che
manca è il Nirvana, ma noi siamo nel samsara.
La
meditazione nella solitudine è molto potente perché si inoltra sino
alla radice della natura della sofferenza e familiarizzando con essa
comprendiamo e tocchiamo la libertà. Il senso della libertà e il
senso della solitudine esistenziale coincidono, dove c’è
solitudine c’è libertà e dove c’è libertà c’è solitudine,
dunque, la solitudine vissuta come sofferenza può essere trasformata
in solitudine vissuta nella gioia della liberazione.
Questo
è il grande beneficio che possono ottenere i praticanti meditatori,
vivere nella gioia, dormire e morire in pace. La paura della morte
sorge a causa della solitudine vissuta con dolore: si muore soli, si
deve lasciare tutto ciò verso cui si ha attaccamento, da cui non si
è liberi.
Ieri
abbiamo concluso la giornata con la preghiera di dedica dei meriti,
quattro brevissimi versi che racchiudono tutto l’insegnamento del
Bodhicaryavatara:
“CYANg
CIUB SEM CIO RINPOCÉ
MA
KYE PA NAM KYE GYUR CI
KYE
PA GNAM PA ME PA TANg
KONg
NE KONg TU PEL UAR SCIO”
Versi
che, pur tradotti con parole diverse, mantengono inalterato il
profondo significato:
“ Possano
gli aspetti della preziosa e sublime Motivazione del Risveglio
che
non sono nati nascere in noi;
Possano
quelli che sono nati, senza deteriorarsi,
svilupparsi
sempre più.”
E’
la preghiera della preziosa Bodhicitta, il livello più elevato di
apertura del cuore, la grande compassione che abbraccia tutto. La
Bodhicitta nasce dalla pura intenzione di responsabilità universale
che scaturisce dalla compassione. La grande compassione sorge
dall’amorevole gentilezza, risultato del riconoscimento consapevole
della grande gentilezza di tutti gli esseri senzienti, nostre madri.
Dalla consapevolezza nasce il forte desiderio di ricambiare
l’amorevole gentilezza.
Come
insegna Santideva è dunque fondamentale e necessario accogliere con
cuore aperto gli esseri senzienti riconoscendo in loro la causa di
tutte le buone qualità interiori.
I
quattro versi della preghiera di dedica sono spiegati nei dieci
capitoli del Bodhicaryavatara:
cap.
1. Elogio alla mente del Risveglio
cap.
2. Purificazione delle azioni (o Confessione delle colpe)
cap.
3. Adozione della mente del Risveglio (o della Bodhicitta)
Nei
primi tre capitoli si spiegano i benefici dello sviluppo della
Bodhicitta auspicando che tale realizzazione possa essere ottenuta da
coloro che ne sono ancora privi, e corrisponde al contenuto dei
primi due versi della preghiera di dedica; il terzo e quarto verso
sono rivolti invece a coloro che hanno già sviluppato la Bodhicitta,
e che la devono mantenere e potenziare; dal quarto all’ottavo
capitolo del testo si indica come raggiungere l’obiettivo
applicando le sei Paramita.
cap.
4. Vigilanza in merito alla mente del risveglio (o Come preservare
il Valore delle Qualità Spirituali)
cap.
5. La Sorveglianza della Consapevolezza (o Attenta Vigilanza)
cap.
6. La Perfezione della Pazienza
cap.
7. La Perfezione del Vigore (o La Perseveranza gioiosa)
cap.
8. La Perfezione dell’Assorbimento Meditativo (o Concentrazione)
La
terza e ultima parte del testo riguarda il sempre maggior sviluppo
della Bodhicitta per il bene di tutti gli esseri senzienti e la
dedica vera e propria.
cap.
9. La Perfezione della Conoscenza (o Saggezza)
Cap.
10. Dedica.
La
Bodhicitta, meravigliosa mente di illuminazione, dona uno stato
autentico di pace, rilassamento, apertura, felicità e gioia.
Santideva
dimostra come, grazie all’esistenza degli esseri senzienti, si
generi la compassione, che deve essere dunque motivo di rispetto e
devozione nei loro confronti poiché ci permettono di sviluppare la
Bodhicitta e realizzare e l’illuminazione, così come abbiamo
rispetto e devozione per il Buddha che ci indica la via
dell’illuminazione nel Dharma.
Il
rispetto verso il Buddha e gli esseri senzienti non è discriminante,
non si basa sulla valutazione delle realizzazioni di ognuno, ma è
determinato dall’essenza dello stesso risultato a cui entrambi
conducono: l’illuminazione. La pratica della generosità, della
pazienza e di ogni altra virtù è possibile grazie all’esistenza
degli esseri senzienti, l’unica vera fonte di ogni cosa buona.
Invece, confusione, scontento, disagio, malessere, problemi, sono, al
cento per cento, esclusiva responsabilità personale.
Le
persone con cui viviamo, l’ambiente che ci circonda sono preziosi,
sono loro che ci permettono di sviluppare ogni nostra buona
potenzialità. Quest’anno ho avuto la possibilità di verificare
questo aspetto visitando il piccolo villaggio di tibetani in Nepal
dove vivono i miei genitori. Ci sono relazioni di buon vicinato,
altre problematiche, ma ogni giorno insieme questo gruppo di persone
costruisce la vita, condivide gioie, passioni, dolori, e non potrebbe
esistere per loro situazione più autentica per poter praticare la
Bodhicitta. Immaginate se portassi i miei genitori a Roma!… Ne
sarebbero sconvolti, Mi chiederebbero dov’è lo stupa intorno al
quale poter praticare la cora recitando il mantra, dove andrebbero,
al Colosseo? Sarebbero considerati matti, eppure questa pratica per
loro è essenziale. Potrebbero solo starsene rinchiusi in uno strano
appartamento che rappresenterebbe una prigione, senza i loro compagni
di vita che potrebbero fare? Nulla. La compagnia dei propri compagni
di viaggio è essenziale!
Riflettere
profondamente su ciò apre la mente e il cuore, fa stare bene, a
proprio agio, favorendo l’approccio amichevole ricco di calore e di
condivisione. Poco per volta si crea il buon cuore e si gode
pienamente della pace e della felicità rappresentate dall’esistenza
stessa degli altri. Perché non accogliere con gioia questo dono?
Perché non ricambiarlo con amorevole gentilezza?
E’
tanto ovvio e semplice, eppure in genere preferiamo ignorarlo
complicandoci la vita, creiamo continuamente situazioni che ci fanno
arrabbiare, allontanare con stizza da tutto e da tutti fino a quando,
non avendo più oggetti esterni da colpire, rivolgiamo questo astio
contro noi stessi. Ecco la risposta alla precedente domanda sull’odio
di sé.
Siamo
gli architetti e i costruttori della nostra infelicità, gli unici
responsabili! Non è una vera follia e sconsiderata ottusità
mentale?
La rabbia non è mai intenzionale, è una perdita di controllo
Un’assurdità
è anche la difficoltà che abbiamo nel gioire sinceramente, con
pace, delle buone qualità degli altri, eppure se solo sapessimo
godere di questo prezioso dono, oltre ad essere immediatamente felici
nelle condivisione, potremmo usare quelle stesse qualità a nostro
vantaggio. Al contrario, a causa dei difetti mentali, delle
afflizioni distruttive, soffriamo inutilmente, è necessario
sviluppare attentamente la virtù della pazienza.
Capitolo
VI°, dal verso 18°:
- “Questo è il risultato della mente, che può essere forte o colmo di paura, per cui devo vincere ogni dolore senza essere influenzato dalla difficoltà.
La
mente dei saggi, anche quando sperimentano dolore, rimane serena e
chiara in quanto nella lotta contro i difetti mentali molteplici sono
le difficoltà, come in battaglia.
I
guerrieri coraggiosi sono coloro che, non curandosi di qualsiasi
dolore, distruggono i veri nemici come l’odio e così via; i
guerrieri ordinari uccidono semplicemente cadaveri.
Inoltre
la sofferenza ha un suo valore, a causa del dolore di eliminano
l’orgoglio e l’arroganza, si prova compassione per coloro che
vagano nell’esistenza ciclica, si evita il male e si gioisce nella
pratica della virtù.”
- “Questo deriva dall’audacia o dalla codardia della mente. Perciò bisogna divenire invincibili di fronte alla sofferenza e superare il disagio.
Neppure
nella sofferenza il saggio dovrebbe permettere che la sua serena
fiducia mentale sia turbata, poiché la battaglia è con le
contaminazioni, e in guerra il dolore si vince facilmente.
Coloro
che vincono il nemico prendendo sul petto i colpi dell’avversario
sono gli eroi trionfanti, mentre gli altri uccidono chi è già
morto.
La
virtù della sofferenza non ha rivali, poiché, per il trauma che
provoca, l’ebbrezza svanisce e sorgono compassione per gli esseri
nell’esistenza ciclica, timore del male e desiderio del
Vittorioso.”
La
sofferenza ha la preziosa qualità di produrre l’umiltà, di
generare la compassione verso coloro che soffrono e di far riflettere
sull’essenza della sofferenza stessa, una meditazione che induce a
sviluppare le azioni virtuose e ad abbandonare quelle nocive.
La
reazione della rabbia perde consistenza, che cos’è la rabbia? con
chi ci arrabbiamo? perché? non è così automatica la risposta. Ad
esempio, un automobilista ci viene addosso perché i freni dell’auto
si sono improvvisamente rotti, ci arrabbiamo con lui? ma non aveva
intenzione di farci del male e allora perché arrabbiarsi con lui? ci
arrabbiamo con l’auto che si è rotta? La nostra rabbia non ha un
vero oggetto e non è mai intenzionale, sarebbe più corretto dire
che è una perdita di controllo.
Domanda:
Non sempre, qualche volta mi arrabbio intenzionalmente: ho davanti a
me una persona che ha un comportamento che reputo scorretto e quindi
mi pongo lucidamente il quesito se arrabbiarmi o no e poi decido che
voglio arrabbiarmi e dico cose anche molto dure. Lucidamente si
possono decidere le nefandezze peggiori, posso anche decidere di
uccidere qualcuno e programmo nei dettagli come commettere
l’omicidio.
Lama:
Ma la rabbia è altra cosa, avviene a causa di fattori
circostanziali e incontrollabili. Se tu decidi a mente fredda di fare
del male a qualcuno è già subentrato l’odio, non è più rabbia,
oppure il tuo può essere un atteggiamento di benevolenza nei
confronti dell’altro per correggere un comportamento dannoso; un
genitore può decidere, per amore, di essere particolarmente duro e
di punire severamente il figlio che sbaglia, ma non è rabbia.
Domanda:
Prima
hai tessuto l’elogio della solitudine, poi quello della compagnia,
poi hai detto che tutto quel che c’è di male è colpa nostra, e
tutto quel che c’è di bene è merito degli altri. A questo punto
sono davvero confuso.
Lama:
Il male non è “colpa nostra” ma “responsabilità nostra”,
è una cosa ben diversa. Ognuno ha piena capacità di risolvere i
problemi e di non crearsi sofferenza, il risultato è esclusiva
responsabilità propria. Il fatto poi che tutta la felicità derivi
dagli altri, dalla loro semplice esistenza non significa che non
possa venire anche da noi stessi, l’una cosa non esclude l’altra,
rientra sempre nella responsabilità, io ho tutti gli strumenti per
essere felice, ma posso decidere di non esserlo. Ma senza la
collaborazione e l’aiuto degli altri, senza la condivisione
compassionevole e la compagnia degli altri non vi è il più piccolo
spazio per la felicità. E abbiamo bisogno della solitudine, che non
è rifuggire gli altri, ma è meditare ed evitare i pensieri
disturbanti, le afflizioni mentali.
“pensare,
pensare e ancora pensare,
riflettere,
guardare,
ancora e ancora,
sentire,
ancora e ancora,
questa
è la meditazione”
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