La
mente virtuosa o l’attitudine virtuosa che sorge nel nostro cuore è
rara ed è come un fulmine, un lampo nella notte; dovremmo
considerare il nostro incontro di Dharma come un’occasione
importante per riscaldare il nostro cuore. Dedicare se stessi a
questa attività è un gesto significativo.
Generalmente
noi collochiamo questo tipo di attività all’ultimo posto nella
lista delle cose che abbiamo in programma da fare. È per questo che
questa pratica viene svolta solitamente di domenica, il giorno in cui
facciamo le cose che sono rimaste per ultime nella nostra lista! Ma
lo svolgimento di questa attività di domenica non è intenzionale, è
piuttosto dovuto alle condizioni che ci circondano, non è motivato
solo dalla decisione del singolo, ma anche basato sulla struttura
sociale. A livello sociale, infatti, la pratica spirituale, la
pratica del Dharma, è giudicata superflua, poco importante, spesso
manca del tutto. Dipende dall’individuo organizzare il proprio
tempo in modo tale da farvi rientrare anche tali eventi. È
interessante notare come la domenica sia il giorno in cui il governo
lascia liberi per poter andare a messa.
Quando
ero in Nepal il giorno di festa era il sabato e il venerdì era festa
per mezza giornata. Il venerdì pomeriggio, a scuola, facevano dei
gruppi di dieci bambini ciascuno, ad ogni gruppo veniva data una
saponetta e nel pomeriggio si andava al fiume, dove bisognava lottare
per riuscire a prendere questa saponetta con cui potersi lavare.
Quindi il venerdì era il giorno dedicato alla cura del corpo, mentre
il sabato era un giorno di festa vera e propria, per rilassarsi e
svagarsi. Ogni sabato mia madre mi dava 50 paisa,
l’equivalente di cinquanta centesimi ed io, non so perché, andavo
dal mio villaggio all’aeroporto. Tornando mi fermavo ad un
ristorante nepalese dove con questi soldi mi prendevo un po’ di tè
e un piccolo dolcetto. Quando invece sono andato nel monastero, in
India, il giorno di riposo era il lunedì. Penso che in India il
giorno festivo sia generalmente la domenica,
mentre nella nostra zona era il lunedì, perché a Mundgod
il lunedì era il giorno di mercato, durante il quale da tutti i
posti circostanti venivano i contadini a vendere le verdure. Quando
ero al monastero il lunedì era un giorno molto prezioso.
Quando
sono venuto qui in occidente ho trovato la domenica quale giorno
festivo, anche se per me è festa tutti i giorni! Domenica perché è
la giornata in cui i cristiani vanno a messa. Dunque le vacanze
dipendono dalle diverse situazioni, dalle usanze del posto. Non so
perché in Nepal il giorno festivo sia il sabato, ma forse è perché
nel calendario tibetano la domenica è il primo giorno della
settimana, mentre l’ultimo, secondo il calendario lunare, è il
sabato. Anche gli ebrei hanno il sabato come giorno festivo.
I
tibetani vanno al monastero in occasioni speciali: il novilunio ,
quando la luna è a metà, il plenilunio. Solitamente sono importanti
per la pratica del dharma, per la meditazione,
il primo giorno del mese, il 15 del mese e l’ultimo giorno, cioè
il 30. Tali giorni sono significativi perché si ritiene che al
cambiare della luna corrispondano dei cambiamenti nel nostro mondo
interiore, dei momenti in cui vi sono maggiori opportunità per
espandere le nostre realizzazioni, la nostra sapienza. Per chi
pratica il puja per Tara è fondamentale l’ottavo giorno del mese,
per chi pratica il puja per Padmasambawa il decimo giorno, per chi
pratica il puja per Jey Tsongkhapa il venticinquesimo. Poi ve ne sono
molti altri, è una cosa molto simile ai santi nel calendario
occidentale. Ma per tutti sono importanti il primo, il quindicesimo e
l’ultimo giorno mensile e ciò è valido per i tutti praticanti
spirituali, di qualsiasi fede religiosa.
Mia
madre è molto devota ed è molto brava nel seguire tutti questi
impegni, ha un’ottima consapevolezza, una buona perseveranza
entusiastica, una buona compassione, una buona pazienza, una buona
concentrazione, forse non un’ottima saggezza. Ma ritengo che sia
molto più importante avere una saggezza sufficiente e possedere una
buona compassione, una buona pazienza, piuttosto che avere una grande
saggezza, ma poca compassione, poca pazienza. Mio padre è una
persona molto intelligente, impara tutto subito, però, non possiede
tantissima pazienza e ha poca perseveranza entusiastica. Quindi la
pratica dei miei genitori è un po’ diversa: mio padre pratica piu’
di mattina, finché non arriva la colazione in tavola; mentre aspetta
che mia madre abbia finito di preparare la colazione fa puja e
meditazione, ma una volta fatta colazione se ne va. Ovviamente sto
scherzando un po’ sui miei genitori!
Mia
madre dal momento in cui apre gli occhi la mattina fino a quando li
chiude la sera, continua a praticare la meditazione, a fare offerte,
preghiere, a prescindere da qualsiasi cosa stia facendo, durante
qualsiasi attività continua a portare avanti la pratica. Questa è
secondo me una pratica di livello veramente alto.
Una
buona pratica non significa stare seduti in posizione meditativa con
un’espressione concentrata sul volto, si tratta di continuare la
pratica durante ogni momento della nostra vita, durante ogni attività
intrapresa. Per questo si dice che la saggezza è una buona cosa, ma
la pazienza e la perseveranza sono più importanti per portare avanti
la pratica spirituale. Una saggezza sufficiente è abbastanza.
Mia
madre si ricorda sempre di tutte queste occasioni importanti, senza
mai dimenticarne nessuna. Un’altra offerta particolare consiste in
alcune lampade che vengono tenute accese giorno e notte, senza
interruzione. Non è solo una questione di luce, rappresenta tutta la
pratica: la generosità, la pace, la concentrazione, la pazienza,
l’offerta da fare la mattina, quella da fare la sera, il mantenere
pulito questo luogo speciale.
Come
si fa a praticare il Dharma? Qui in occidente a volte si pensa che la
pratica consista nel mettersi seduti in un luogo molto bello a
meditare, recitando sutra, ascoltando della bella musica, con
dell’ottimo cibo. In quel momenti si dice: “Stiamo meditando”.
Per un po’ questo è bello, ma la pratica quotidiana deve essere
integrata alla nostra vita e ciò è estremamente difficile, ma se ci
riusciamo vi sarà una perfetta compenetrazione fra le due entità,
la nostra vita quotidiana diventerà la nostra pratica e la nostra
pratica diventerà la nostra vita quotidiana, non vi sarà più
differenza fra esse.
Questi piccoli rituali come offrire incenso o preparare l’altare hanno a che fare con la pratica delle sei Paramita, l’essenza del Dharma; talvolta però possono divenire pericolosi e a tal proposito vi è la storia di Geshe Ben Kun Je. Costui era un bandito che poi era divenuto un grande yogi e viveva in eremitaggio. Un giorno un suo sostenitore stava per venirlo a trovare e allora preparò un altare molto decorato, vi recò molte offerte per poterglielo mostrare. Poi si mise ad attendere questo sostenitore, ma ad un certo momento si rese conto che quanto aveva preparato era Dharma mondano e perciò uscì, prese della polvere e la gettò sull’altare, rovinando tutte le offerte. Nello stesso momento in cui fece questo gesto nel Sud dell’India vi fu un importante yogi chiamato Fa Dam Pa San Gye, che disse a un suo discepolo: “In questo momento un Geshe ha compreso l’inutilità del Dharma mondano, è riuscito a tirare della polvere sul Dharma mondano”. Questo non è facile, lo stesso Fa Dam Pa San Gye, che era considerato un grande yogi, ne rimase sorpreso. Tale avvenimento costituì un riconoscimento molto importante per questo yogi tibetano Geshe Ben Kun Je.
La pratica di Geshe Ben Kun Je era molto semplice, in quanto era stato un bandito e di conseguenza non era molto erudito, non era uno studioso. La sua pratica consisteva nell’osservare la sua mente, tenerla sotto controllo: osservava se ciò che vi si manifestava era positivo o negativo. Quando sorgeva un aspetto positivo nella mente metteva un sassolino bianco, quando sorgeva uno negativo metteva un sassolino nero e trascorreva così tutto il tempo. La sera li contava e vedeva quanti sassolini bianchi vi fossero e quanti neri. All’inizio ce n’erano molti neri e pochi bianchi. Poi, gradualmente, giorno dopo giorno, quelli neri divennero sempre di meno e quelli bianchi sempre di più. Un modo molto pratico.
Questi piccoli rituali come offrire incenso o preparare l’altare hanno a che fare con la pratica delle sei Paramita, l’essenza del Dharma; talvolta però possono divenire pericolosi e a tal proposito vi è la storia di Geshe Ben Kun Je. Costui era un bandito che poi era divenuto un grande yogi e viveva in eremitaggio. Un giorno un suo sostenitore stava per venirlo a trovare e allora preparò un altare molto decorato, vi recò molte offerte per poterglielo mostrare. Poi si mise ad attendere questo sostenitore, ma ad un certo momento si rese conto che quanto aveva preparato era Dharma mondano e perciò uscì, prese della polvere e la gettò sull’altare, rovinando tutte le offerte. Nello stesso momento in cui fece questo gesto nel Sud dell’India vi fu un importante yogi chiamato Fa Dam Pa San Gye, che disse a un suo discepolo: “In questo momento un Geshe ha compreso l’inutilità del Dharma mondano, è riuscito a tirare della polvere sul Dharma mondano”. Questo non è facile, lo stesso Fa Dam Pa San Gye, che era considerato un grande yogi, ne rimase sorpreso. Tale avvenimento costituì un riconoscimento molto importante per questo yogi tibetano Geshe Ben Kun Je.
La pratica di Geshe Ben Kun Je era molto semplice, in quanto era stato un bandito e di conseguenza non era molto erudito, non era uno studioso. La sua pratica consisteva nell’osservare la sua mente, tenerla sotto controllo: osservava se ciò che vi si manifestava era positivo o negativo. Quando sorgeva un aspetto positivo nella mente metteva un sassolino bianco, quando sorgeva uno negativo metteva un sassolino nero e trascorreva così tutto il tempo. La sera li contava e vedeva quanti sassolini bianchi vi fossero e quanti neri. All’inizio ce n’erano molti neri e pochi bianchi. Poi, gradualmente, giorno dopo giorno, quelli neri divennero sempre di meno e quelli bianchi sempre di più. Un modo molto pratico.