Dharma e umanità
Geshe Gedun Tharchin
Ci
ritroviamo questa sera in uno degli ultimi incontri di
quest’anno, molti amici sono passati di qui per partecipare alle
meditazioni ed assistere agli insegnamenti di Dharma, tutte attività
molto buone, ma la mia funzione di Lama tibetano, di insegnante di
Dharma, non è tanto quella di parlarvi del buddhismo, quanto quella
di aiutarvi ad ampliare la vostra capacità di visione, di trovare un
terreno comune in tutto ciò che è umano e praticare insieme sulla
base di tale scoperta.
Con
la terminologia buddhista “pratica del Dharma” si intende la
focalizzazione del proprio interesse sulla bontà e qualità umana,
il saperla riconoscere come realtà fondamentale.
La
qualità umana essenziale è qualcosa che tutta l’umanità
condivide; secondo la visione cristiana la si può definire come dono
di Dio dato a tutta l’umanità, senza discriminazione alcuna, ed è
magnifico, perché significa che tutti abbiamo le stesse capacità e
possibilità, gli stessi valori.
Riconoscendo
tali valenze, comuni a tutti, è evidente il reciproco rispetto che
sorge naturalmente in ogni essere umano nei confronti dell’altro.
Questo
rispetto è riconosciuto come prioritario sia nel cristianesimo, che
lo chiama «amore», che nel buddhismo, che lo chiama «compassione».
Nel
cristianesimo è la condivisione della natura divina, tramite Gesù,
che ci rende simili e prossimi a Dio, mentre, nel buddhismo, è la
scoperta della natura di Buddha in noi, che tutti condividiamo e che
ci rende simili al Buddha.
Sono
due approcci differenti per esprimere la stessa qualità della bontà
e caratteristica umana di base e, quanto più sviluppiamo la capacità
di comprendere questa realtà che ci unisce agli altri, tanto più
abbiamo la possibilità di addentrarci nel significato profondo
dell’amore e della compassione.
La
benedizione, parola utilizzata ripetutamente in ambito religioso,
indica precisamente la natura divina, la natura di Buddha, che tutti
condividiamo.
In
un linguaggio più secolare si preferisce utilizzare il concetto di
natura di base, di bontà di base presente in ogni essere umano e,
imparando ad osservare tali qualità in se stessi si acquisisce la
visione della propria dignità che permette di sentirsi più
tranquilli, sicuri, rilassati e sereni.
La
dignità umana significa riconoscere in se stessi questi valori di
base.
Tra
la dignità, il valore umano, e i diritti umani esiste una grande
differenza:
- Per la dignità e il valore umano non è necessario fare nulla, non c’è bisogno di ingaggiare nessuna battaglia, perché è una realtà di cui siamo già in possesso, è una sorta di dovere naturale che ci appartiene.
- Per i diritti umani invece è necessario rivendicare, lottare, e si trasformano spesso in causa di conflitti dolorosi.
Secondo
la visione spirituale, invece di concentrarsi sul termine più
restrittivo di “diritti umani”, sarebbe meglio dedicarsi
completamente ai “doveri umani”: “devo fare qualcosa di
buono, di giusto, perché questo è il mio dovere.” Ma, se per
fare qualcosa di buono si deve combattere contro qualcuno, si crea
una situazione difficile e contraddittoria. Ho sempre davanti a me
l’esempio di Gandhi, un perfetto comportamento di chi, invece di
fermarsi alla rivendicazione di diritti, ha professato, dedicandovi
completamente la vita, il dovere umano, ottenendo grandi risultati.
Riconoscere
questo valore umano, vivendolo con totalità, è la pratica del
Dharma.
Riconoscere
il proprio valore umano significa riconoscere il valore umano degli
altri e, finché non individuiamo questa bontà umana in noi, sarà
impossibile vederla negli altri.
Soltanto
in seguito all’accogliente osservazione del nostro valore e bontà
umana, saremo condotti immancabilmente a compiere azioni buone e ciò
significa essere naturalmente al servizio degli altri.
La
pratica del Dharma, che sia l’amore di Dio o la compassione del
Buddha, tratta tutti gli esseri allo stesso modo, ricchi o poveri,
non esiste la minima discriminazione. Dovremmo essere in grado di
vedere sempre, non tanto la povertà o la ricchezza esteriore, ma la
povertà e la ricchezza interiore, che è impossibile giudicare.
Ogni
pratica religiosa, spirituale, di Dharma, deve essere fondata sul
riconoscimento in tutti gli esseri umani delle stesse possibilità,
valori e doveri. Su tale base possiamo vedere con chiarezza e
precisione, in ogni dettaglio, la via per aiutare noi stessi e gli
altri.
Per
questo è così importante riconoscere prima di tutto in se stessi la
naturale bontà, la dignità umana, il rispetto di sé,
consapevolezza che condurrà con gioia e naturalezza a compiere
azioni buone per gli altri senza discriminazioni di sorta.
Riuscire
a creare questa situazione in se stessi, negli altri, e nella
società, è il principio del Dharma; per questo la meditazione è un
grande aiuto, nella riflessione profonda, nella scoperta delle
proprie potenzialità che sono generatrici di pace, tranquillità,
gioia e felicità per sé e per gli altri.
In
questo modo ognuno scoprirà che è un “diamante”, un gioiello,
una realtà preziosa per sé e per gli altri. Già il fatto di essere
un diamante rappresenta un qualche cosa di utile perché, certamente,
un diamante non può formulare nessuna discriminazione nei confronti
di chicchessia e ciò significa operare secondo la natura umana di
base, nel rispetto e in perfetta armonia con il mondo e l’umanità
intera.
Questa
è la mia personale ricerca e, purtroppo, per ciò che riguarda la
società contemporanea, e nello specifico l’Italia, un paese pur
così sviluppato e progredito, ho osservato che vi è una grande
carenza in questo senso ed è ancora lungo il cammino verso la
scoperta dalla dignità interiore.
Riconoscere
la dignità in se stessi, ovviamente, non significa sviluppare il
proprio ego, è una cosa ben differente perché potenziando l’ego
si incrementa esclusivamente la paura e la confusione.
La
dignità sottintende il riconoscimento della natura, della bontà
umana di base, e la vita vissuta in tale consapevolezza. Ecco perché
la spiritualità è un indispensabile aiuto ed è così giovevole.
Tempo
fa, ho partecipato, con un amico francescano, e
un medico oncologo che si occupava, con grande coinvolgimento, di
malati terminali, ad una conferenza il cui tema era “La morte e
l’aiuto ai morenti”. Ma, quando giunge il momento della morte,
non c’è nessuno che possa aiutare dall’esterno, soltanto il
riconoscimento della propria pratica, della propria natura di bontà,
dei valori e della dignità umana, sono l’unico sostegno che una
persona ha nel momento del trapasso.
Che
vuol dire “aiutare a morire”? Sinceramente ho difficoltà a
comprendere il significato, anche letterale, di tale affermazione.
Quando una persona sta morendo che c’è da aiutare?
Nel
momento critico nessuno può essere aiutato dall’esterno, riceve
l’aiuto soltanto dalla propria pratica, natura, bontà, dignità e
rispetto.
La
pratica del Dharma, la spiritualità, è ciò che ci serve nel
momento in cui nessun altro può sostituirsi a noi, nemmeno il Cristo
o il Buddha, se anche fossero presenti.
La
pratica del Dharma è la preparazione al momento del trapasso. I
problemi di tutti i giorni sono nulla rispetto al passaggio nella
morte, e questa è una verità che dobbiamo affrontare senza
prenderci in giro.