Oggi
è una giornata particolare perché è la ricorrenza di “Diwali”
la festa della Luce che in India è tanto importante quanto in
occidente lo è il Natale, e si celebra ogni anno negli ultimi giorni
di ottobre per concludersi a novembre secondo il calendario lunare in
cui l’energia fisica e spirituale coincide con il movimento cosmico
costituito dalle fasi che iniziano con la luna nuova, poi crescente,
piena, e infine calante. Questo periodo è considerato
particolarmente potente in quanto genera un considerevole
rafforzamento di tutte le energie personali, fisiche, psicologiche,
spirituali che si integrano con quelle dell’ambiente circostante,
in pratica il cosmo interiore si armonizza pienamente con il cosmo
esteriore.
In
tutte le religioni orientali queste fasi lunari di novembre sono
considerate particolarmente proficue alla pratica spirituale e
favoriscono la trasformazione interiore potenziando gli effetti di
qualsiasi azione virtuosa. Diwali significa lampada, luce interiore
che purifica l’anima, il cosmo, l’illuminazione. Luce è la prima
parola che è stata usata per definire Dio.
E
la fiamma della lampada può ardere e illuminare solo grazie alla
presenza dell’aria, e questo ci mostra come il primo elemento da
vivere in modo consapevole sia proprio il respiro, il fondamentale
soffio vitale. Il respiro è la base su cui fondare tutto, la stessa
esistenza e dunque per crescere umanamente non si può respirare in
modo inconsapevole, ma è essenziale meditare concentrandosi sul
movimento di inspirazione ed espirazione, poiché senza aria la
fiamma della lampada non può ardere e, altrettanto, se il vento è
eccessivo la fiamma viene spenta bruscamente, il giusto, cosciente
equilibrio nell’armonia è base essenziale su cui tutto si fonda
armoniosamente.
Ma
cos’è questa lampada che dà luce, calore e senso alla vita umana?
È la compassione, l’amore. Senza amore e compassione il nostro
cuore si indurisce come pietra inerte nell’aridità oscura, nella
tristezza, nella rigidità sterile. Allora per accendere e alimentare
la fiamma di questa lampada dobbiamo lasciarci sprofondare nel ritmo
del respiro, che dilata il cuore, apre ogni cellula del corpo, ci
rende amorevoli, consapevolmente fraterni, naturalmente
compassionevoli.
Il
seme di amore e compassione è innato nel cuore umano, non è
necessario faticare per trovarlo, né acquistarlo a caro prezzo, è
totalmente gratuito, già presente, lo dobbiamo solo far germogliare,
coltivare con attenzione e cura, dolcemente, gustando la grande
bellezza di questa luce, l’essenza della mente, la natura di
Buddha.
Dalla
lampada di amore e compassione sprigiona la fiamma della saggezza. In
genere pensiamo che saggezza, intelligenza, conoscenza, capacità
siano unicamente il risultato di un duro e faticoso percorso di
ricerca, di studio e, anche se certamente questo impegno è
necessario all’approfondimento di queste qualità, esse sono già
insite in noi e scaturiscono spontaneamente dalla nostra compassione.
In
genere il nostro unico obiettivo, quasi un chiodo fissato
ossessivamente nella bramosia dell’ego, è raggiungere
l’illuminazione al più presto possibile, senza particolare impegno
possibilmente, ma per miracolosa trasmissione e così costruiamo
castelli fantasiosi, inventiamo rituali e magie di ogni tipo senza
ovviamente ottenere alcun risultato e, al contrario incrementando
ostacoli e confusione. Invece l’illuminazione è la realtà più
semplice, pulita, sgombra da qualsiasi costruzione esteriore, è
naturalmente la vera essenza del cuore umano.
L’illuminazione
è la pura semplicità, il valore umano in cui siamo finalmente
liberati da quell’ego che è il fautore di tutti i conflitti,
paure, inganni che ci incatenano nella sofferenza. L’ego è lo
schiavista che ci soggioga alla percezione di un “io” che in
realtà non esiste in quanto è l’illusione che sorge
dall’inconsapevolezza del sé.
Per
raggiungere lo stato di illuminazione è necessario liberarsi
dall’ego illusorio e lo si può fare soltanto tramite l’armonia
di amore, saggezza, compassione, siamo così naturalmente liberi
nello spazio infinito in cui ci possiamo muovere senza più le catene
dei condizionamenti dell’ingombrante, ingannevole ego.
Questo
è il significato della festività di Diwali, una giornata di
meditazione nella luce interiore, poiché la meditazione è lo
strumento di base per realizzare saggezza e compassione, e dunque ora
insieme ne sperimentiamo subito la potenza ad iniziare dalla
consapevolezza del respiro in ogni movimento di inspirazione ed
espirazione. Da questa concentrazione consapevole sul respiro sorgono
naturalmente compassione e amore da cui scaturisce la saggezza e
dalla saggezza emerge il riconoscimento della propria natura
purificata, spoglia e splendente particella nell’universo.
Sperimentiamo dunque consapevolmente questa semplicità pronti ad
immergerci spontaneamente, senza alcuno sforzo, nella meditazione.
(segue
meditazione)
Il
respiro nella consapevolezza dà risultati ben diversi dal respiro
inconsapevole, nella consapevolezza troviamo l’armonia di una mente
che, non più chiusa nella consueta rigidità, diventa pacifica,
aperta, elastica, stabilmente saggia. La saggezza è la conoscenza
della verità ultima, la conoscenza dell’autentico sé e per questo
è imprescindibile il nutrimento della sorgente di amore,
compassione, saggezza.
Nel
buddhismo il lavoro principale consiste nella conquista di se stessi,
la capacità di osservarci come realmente siamo, senza le pesanti
illusioni in cui costantemente ci crogioliamo, invece nella
consapevolezza di sé sviluppiamo gioiosamente e spontaneamente il
desiderio di compassione, armonia, allontanandoci sempre più dagli
ordinari ostacoli di rabbia, odio, avidità, rancori.
L’incoscienza
del respiro ci fa vivere in un limbo confusionale è la causa
principale del non controllo di noi stessi, se cominciamo invece ad
essere consapevoli del respiro impariamo poco alla volta a vedere la
realtà senza più questi miraggi ingannevoli, siamo sempre più
lucidi e coscienti di ciò che in realtà siamo.
Armonia
non significa essere sempre serafici e contenti, si può altrettanto
vivere ogni emozione dolorosa poiché anche la rabbia, l’attaccamento
e altro possono essere importanti in quanto possiedono potenzialità
positive, però è necessario imparare ad averne conoscenza nella
visione non dualistica in quanto la verità non ha mai un unico polo,
ma si realizza nell’equilibrio di entrambi i poli opposti, ecco
perché l’armonia umana, la vera saggezza può essere realizzata
solo nella via di mezzo o Mādhyamika, la filosofia spiegata
dettagliatamente dal grande maestro indiano Nāgārjuna.
La
via di mezzo deve essere applicata sempre, in qualsiasi circostanza,
è il contesto in cui si costruisce la giusta misura, l’equilibrio
della saggezza che conosce la verità convenzionale, una conoscenza
che può avvenire solo nella consapevolezza di ogni azione, pensiero,
parola, interiore e dell’ambiente esteriore. Nella via di mezzo si
cammina in quell’unico percorso che può portare alla conoscenza
della verità ultima.
Abbiamo
già affrontato un argomento particolarmente intenso analizzando i
vari passaggi per giungere alla retta visione della saggezza. Tutto
ciò si realizza secondo i fondamentali insegnamenti del Buddha, le
Quattro
Nobili Verità
e l’Ottuplice
Sentiero.
Il
primo insegnamento dato dal Buddha a Benares dopo aver raggiunto
l’illuminazione e è imperniato sulla realtà comune a tutti gli
esseri,quella della sofferenza ed è articolato nell’analisi di
quattro passaggi, le “Quattro
nobili Verità”.
La
prima nobile verità, facilmente comprensibile, è la -Verità
della Sofferenza-
è così presentata dal Buddha: “Ecco,
o monaci, la nobile verità sulla sofferenza: la nascita è
sofferenza,
la
vecchiaia è sofferenza, la morte è sofferenza, essere unito a ciò
che non si ama è sofferenza, essere separato da ciò che si ama è
sofferenza, non ottenere ciò che si desidera è sofferenza.
Riassumendo i cinque aggregati dell’attaccamento sono sofferenza.”
e
questa sofferenza si articola a sua volta in tre livelli, il primo
livello, più semplice, è la
sofferenza
della sofferenza,
facilmente individuabile in un preciso dolore: mal di testa, di
denti, una malattia, è la constatazione di un’imprescindibile
realtà umana, il secondo livello riguarda invece la
sofferenza
del cambiamento
è
un po’ più profondo e sottile e riguarda tutto ciò a cui noi ci
afferriamo come se fosse permanentemente positivo, mentre in realtà
è quanto mai effimero e impermanente, ad esempio riguarda tutto ciò
che a prima vista può anche apparire appagante, gratificante,
desiderabile come mangiare smodatamente cibi gustosi, fumare, bere
alcool, assumere droghe per chissà quali viaggi psichedelici, ma le
cui conseguenze si presentano immediatamente come intensa sofferenza.
Infine il terzo livello, molto sottile, è
la
sofferenza del condizionamento
o sofferenza pervasiva, onnipresente, è quell’insoddisfazione,
senso di vuoto, sempre presente anche nei momenti di grande
momentanea felicità. La prima nobile verità della sofferenza è sia
convenzionale, quella che sperimentiamo nel quotidiano, che ultima.
La
seconda nobile verità è -La
verità sull’origine della Sofferenza-
è così presentata dal Buddha: “Ecco,
o monaci, la nobile verità sull’origine della sofferenza. È
questa sete che produce la rinascita, il ri-divenire, che legata a
un’avidità passionale che trova nuovo piacere qui e là, ossia
sete di piaceri dei sensi, quella dell’esistenza e del divenire e
quella della non-esistenza”. Nell’indagine
sulla causa dell’insorgere della sofferenza si riscontrano
essenzialmente due fattori determinanti, il primo è il karma e il
secondo l’ignoranza fondamentale che ingenera continuamente le
illusioni che confondono la mente e impediscono ogni conoscenza della
verità a causa di attaccamento, avversione, bramosia, odio.
Il
karma, già riconosciuto dalle antichissime religioni pre-esistenti
al buddhismo, è il risultato diretto delle nostre azioni fisiche,
verbali e mentali e può essere negativo, positivo o neutro,
quest’ultimo è relativo alle azioni che compiamo incoscientemente,
senza alcuna volontà. La consapevolezza di ogni azione, fisica
verbale e mentale è essenziale la senso stesso dell’esistenza
altrimenti ci sono solo sprechi inutili o dannosi e a tale proposito
io racconto sempre la storia di un antico Geshe Kadampa, persona
analfabeta, molto semplice, e grande meditatore. Ogni giorno lui
raccoglieva una quantità di pietre bianche e una di pietre nere e,
giunto a sera, si soffermava ad analizzare tutte le intenzioni che
avevano motivato le sue azioni in quella giornata e per ogni azione
negativa metteva una pietra nera mentre per quella positiva una
bianca. All’inizio la montagnola di pietre nere era di gran lunga
più alta di quella di pietre bianche, ma poi man mano che la sua
consapevolezza si affinava la montagna di pietre bianche aumentava e
diminuiva quella di pietre nere. Questa è la pratica del karma,
imparare ad osservare e valutare le proprie intenzioni così da
modificare i propri pensieri, liberando la mente da quelli inutili e
negativi, inevitabile causa di sofferenza.
Il
Buddha, avendo così riconosciuto la seconda nobile verità
dell’origine della sofferenza ha proseguito nell’approfondimento
per conoscere come poter eliminare queste cause ed è giunto così
alla realizzazione della terza nobile verità, -La
verità della Cessazione della Sofferenza-
“Ecco,
o monaci, la nobile verità sulla cessazione della sofferenza. È la
cessazione completa di questa sete, abbandonarla, rinunciare ad essa,
liberarsene, staccarsene” Dall’eliminazione
delle cause che producono sofferenza sorge automaticamente la quarta
nobile verità, -La
Verità del Sentiero che porta alla cessazione della causa della
sofferenza-
ed è così insegnato dal Buddha: “Ecco,
o monaci,
la
nobile verità sulla via che conduce
alla
cessazione della sofferenza. È il Nobile Ottuplice Sentiero, ossia
la retta visione, il retto pensare, la retta parola, la retta azione,
il retto mezzo di sussistenza, il retto sforzo, la retta attenzione
o consapevolezza, il retto raccoglimento o concentrazione.”
L’Ottuplice
Sentiero, si sviluppa fondamentalmente nei tre addestramenti
fondamentali di moralità,
concentrazione
e saggezza.
I primi due passi di questo sentiero, Retta Visione e Retto Pensiero
appartengono alla pratica della saggezza, il terzo quarto e quinto,
la Retta Parola, la Retta Azione e il Retto modo di Sussistenza sono
invece parte della pratica della moralità e tutti gli otto passi
appartengono alla pratica della concentrazione o conoscenza superiore
e devono essere attuati in piena consapevolezza.
La
Retta
Visione
è la visione della saggezza che ci mostra la realtà completa,
ripulita da tutte le illusioni e dagli inganni che ci impediscono
qualsiasi conoscenza presentandoci solo una piccolissima e distorta
parte della realtà, cioè esclusivamente quella che passa attraverso
i nostri sensi ordinari. Ad esempio noi spesso ci entusiasmiamo
all’idea della compassione, ci sentiamo appagati del provare
sentimenti altruistici, facciamo volontariato e siamo contenti di
essere compassionevoli verso gli altri, percepiamo tutta la
gratificazione di essere buoni e ci crogioliamo nella certezza di
aver prodotto karma positivo, ma la realtà è ben diversa, questo
indica semplicemente che abbiamo attaccamento verso la compassione,
siamo compiaciuti di noi stessi e nutrito ulteriormente in modo
abnorme il nostro ego, perché siamo capaci di vedere solo una parte
di questa situazione, ma non la sua realtà completa, non ne abbiamo
ancora la retta visione. Nella retta visione invece, l’ego non ha
nessuna ricompensa, ma il sé autentico è in grado di andare oltre
la visione della realtà convenzionale e può osservare la verità
ultima, senza più dualismi.
Il
secondo passaggio, Il Retto
Pensiero,
indica la necessità e capacità di pensare con consapevolezza. Un
buon esempio ci è offerto da Krishnamurti che elaborava concetti
essenziali, profondissimi e completi e prima di esprimerli pensava
ogni elemento con acuta e totale consapevolezza. È fondamentale non
disperdersi in pensieri futili, inutili, ma saper selezionare solo
quelli necessari rimanendovi consapevolmente concentrati, questo è
il nutrimento per l’evoluzione della mente.
La
Retta
Parola
deve dunque essere valutata con grande consapevolezza così da essere
espressa con assoluta chiarezza ed essenzialità, priva di confusione
e di inutili appesantimenti, perché si deve trasmettere un messaggio
senza sprechi, senza cadere nell’illusione di dover accumulare
karma, rimanere nella leggerezza della purezza, nella semplicità di
un’eloquenza fertile, libera da attaccamento, ignoranza, senza
creare nessun karma. Le nostre giornate invece sono generalmente
stracolme di inutili parole che appesantiscono, stancano, svuotano di
contenuti ogni realtà e sono un grande ostacolo alla liberazione del
sé, che invece può progredire solo se conosciamo consapevolmente il
valore di ogni parola detta.
Anche
per la Retta
Azione
vale lo stesso principio, di consapevolezza, purezza dell’intenzione,
senza il dannosissimo e illusorio attaccamento all’idea di creare
buon karma, di sentirsi importanti e buoni quando compiamo una
qualsiasi azione a favore degli altri, che è solo normalità, mentre
noi immediatamente ci crogioliamo nel compiacimento della nostra
presunta compassione, generosità e bontà, mentre in realtà questa
è la peggior illusione e alimentazione del nostro ego. Siamo tutti
nella stessa barca e l’aiutarci a vicenda è solo normalità, nulla
di eccezionale. La prima causa della sofferenza è questa ignoranza
fondamentale che ci impedisce di vedere la realtà nella sua purezza
e ci induce invece ad aggrapparci sempre più fortemente allo
smisurato ego, alle illusioni di un’immagine di sé assolutamente
inesistente.
Il
Retto
modo di Sussistenza,
seppur in relazione con le differenti situazioni individuali, deve
essere sempre applicato secondo le giuste ed eque modalità per
procurarsi i mezzi necessari per la propria vita senza
prevaricazioni, egoismi, avidità, attaccamenti insensati, bramosie.
Non si può trarre sostentamento da attività che possono essere
potenzialmente nocive ad altri, come ad esempio la produzione e
commercializzazione di armi.
I
tre successivi passi, Retto Sforzo, Retta Consapevolezza, Retta
Concentrazione appartengono alla pratica della concentrazione.
Il
Retto
Sforzo
non significa,fatica, tensione volontaristica assolutamente inutile,
ma semplicemente intelligente meditazione nella saggezza, restare
concentrati con equilibrio, consapevolezza e vigilanza. Lo stesso
vale per le pratiche di Retta
Consapevolezza e
Retta concentrazione, la
pratica sul singolo punto che consiste nel raggiungere la liberazione
dai condizionamenti del corpo materiale, poi dalle sovrastrutture
inutili della parola, e infine dalle illusioni della mente grossolana
e questa è la via che porta alla liberazione dalla sofferenza, è
raggiungibile solo con il superamento dell’ignoranza
dell’attaccamento al sé tramite la meditazione che realizza
concentrazione e saggezza.
Possiamo
concludere il nostro lavoro con la dedica dei meriti a beneficio di
tutti gli esseri senzienti.
Grazie
a tutti.
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